Genocidio armeno. «La mia ultima scoperta rimuoverà l’ultimo mattone del muro negazionista turco» (Tempi 24.04.17)

«Ho trovato la pistola fumante che mancava. Questa scoperta è un vero terremoto e spero che rimuoverà l’ultimo mattone nel muro negazionista». Taner Akcam, storico turco presso l’università Clark di Worcester, ha dedicato decenni di studi e ricerche a provare che il genocidio armeno è stato condotto e premeditato dai fondatori della moderna Turchia. Ora, spiega al New York Times, ha trovato la prova che gli mancava.

GENOCIDIO ARMENO. Oggi ricorre il 102esimo anniversario del genocidio armeno. Tra il 1915 e il 1923 un milione e mezzo di armeni vennero sterminati sotto l’Impero Ottomano in disfacimento all’inizio della Grande Guerra, dominato fin dal 1908 dal partito ultranazionalista dei “Giovani Turchi”. Gli armeni, che si erano stanziati in Anatolia secoli prima dell’arrivo dei sultani islamici, si trovarono improvvisamente colpevoli di vivere nella propria terra e di essere armeni. Cioè non turchi, quindi ostacolo alla creazione di quella nazione omogenea dal punto di vista etnico e religioso favoleggiata dai sostenitori del motto “la Turchia ai turchi”. Alla tragedia il nuovo numero di Tempi, in edicola da giovedì, dedica un ampio e nutrito servizio sulla mostra Metz Yeghern a Milano.

«PROVA FONDAMENTALE». Akcam, il docente turco, ha finalmente ritrovato e decifrato un documento «fondamentale»: si tratta di un telegramma in codice inviato nel 1915 da Behaeddin Shakir, alto ufficiale dell’Impero Ottomano residente nella città turca di Erzurum, per chiedere i dettagli delle deportazioni e del massacro degli armeni in Anatolia. Considerato uno degli organizzatori del genocidio, è stato processato per crimini contro l’umanità anche a causa del citato telegramma, poi sparito. Shakir sfuggì alla condanna a morte di un tribunale militare, per essere assassinato pochi anni dopo a Berlino.

TELEGRAMMA RITROVATO. Il telegramma, ha ricostruito il professore, è stato spedito in Inghilterra insieme a migliaia di altri documenti nel 1922, quando gli armeni rimasti a Istanbul temevano che le prove sarebbero state distrutte dai turchi. Da qui i documenti sono arrivati a Gerusalemme, passando per la Francia. L’archivio dove sono conservati non è mai stato aperto ad Akcam, che ha trovato però una foto del telegramma a New York, nelle mani del nipote di un monaco armeno sopravvissuto al genocidio. Questi, negli anni Quaranta, si era recato a Gerusalemme per fotografare tutto su consiglio di un giudice ottomano che aveva condotto i processi sullo sterminio alla fine della guerra.

«RICONOSCERE GLI ERRORI». Il telegramma criptato è stato decifrato e rappresenta una prova inequivocabile della volontà del governo di sterminare sistematicamente gli armeni. «Io sono turco», spiega Akcam, «e credo fermamente che la democrazia e i diritti umani potranno essere stabiliti in Turchia solo se il paese affronta la sua storia e ammette i suoi errori». Anche se, conclude, credo che «nonostante le prove ci vorrà molto tempo».

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