Sergio Romano nega il genocidio armeno. Corriere della Sera

Ancora un volta ed a differenza della stragrande maggioranza dei suoi colleghi, l’editorialista del Corriere della Sera Sergio Romano, nega la realtà del genocidio armeno e sposa le tesi turche e quelle dello storico  Bernard Lewis che, negli anni novanta, fu addirittura condannato per la sua visione negazionista della storia.

Sul CDS del 08 maggio u.s. ad un replica dell’Ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia Sergio Romano risponde che i fatti del 1915 non possono essere definite “genocidio”, ignorando che il termine stesso di “genocidio” fu coniato dal giurista ebreo – polacco Raphael Lemkin in chiaro riferimento al crimine commesso contro gli armeni da parte dell’allora governo turco. 

A meno di un anno dal centenario del genocidio armeno la Turchia sta predisponendo enormi somme di denaro per contrastare lo “tsunami” che la travolgerà. Chissà se parte di quel denaro sarà investito anche in italia? 

Noi sicuramente vigileremo.

Di seguito il testo della replica dell’Ambasciatore armeno e la risposta di Sergio Romano. Cds 08.05.2014

MASSACRI DEL POPOLO ARMENO LE RESPONSABILITÀ TURCHE OGGI

Replica dell’Ambasciatore

Nella sua rubrica del 1° maggio lei ascrive alla Armenia posizioni agli antipodi rispetto alla realtà documentata. Il mio non è un j’accuse all’onestà intellettuale dell’autore, né alla sua buona fede. D’altronde il Corriere è stato testimone eloquente del genocidio armeno. Sui protocolli armeno-turchi, la visita in Armenia del presidente turco Gul, del 6 settembre 2008 e non del 2007, fu iniziativa armena. Dopo un anno di mediazione elvetica, il 10 ottobre 2009, e non 2008, a Zurigo furono firmati due protocolli sull’istituzione di rapporti diplomatici e la normalizzazione dei rapporti bilaterali, inclusa l’apertura da parte turca del confine con l’Armenia. Presenti i ministri degli esteri francese, statunitense, russo, svizzero e l’Alto rappresentante Ue che chiesero alle parti (e tuttora chiedono alla Turchia) di ratificare i due protocolli senza precondizioni e in tempi ragionevoli. L’11 ottobre 2009, Erdogan precondizionò la ratifica dei protocolli a una soluzione pro-azera del conflitto del Nagorno- Karabach. Fu l’inizio del siluramento dei protocolli firmati il giorno prima. Contrariamente a quanto sostenuto da lei , i protocolli di Zurigo, i cui testi sono pubblici, non legavano la normalizzazione dei rapporti armeno turchi ai negoziati per il Nagorno-Karabach, ancora in corso sotto l’egida Osce. Invece, le dichiarazioni di Erdogan del 23 aprile scorso ai discendenti degli armeni sono state sorprendenti, anzi di un cinismo sorprendente. Erdogan ha parlato delle sofferenze di tutti i sudditi ottomani, mettendo sullo stesso piano vittime e carnefici. Fino a quando il premier turco definirà il genocidio armeno come un mero incidente della Prima guerra mondiale, con i bonari commenti di alcune voci della stampa internazionale, riuscirà nella sofisticazione del negazionismo di Stato turco. Io non reputo la sua dichiarazione del 23 aprile nient’altro che questo. Altri reputano le dichiarazioni di Erdogan troppo poco e troppo tardi. Bene, il 29 aprile Erdogan ha cinicamente chiesto: se ci fosse stato un genocidio, ci sarebbero ancora degli armeni in questo Paese (Turchia)? Che dire allora degli ebrei in Germania o dei tutsi in Ruanda? Dove lei ritiene non promettente la richiesta del presidente armeno alla Turchia di riconoscere il genocidio e liberarsi dal fardello della Storia, vorrei ricordare che tutti gli armeni attendono questo atto da 99 anni, ora insieme alla società civile turca e a quella parte di comunità internazionale che con atti di verità e libertà hanno riconosciuto il genocidio e invitato la Turchia a seguirli.

Sargis Ghazaryan, Ambasciatore Repubblica d’Armenia in Italia

Risposta negazionista si Sergio Romano

Caro Ambasciatore,
Il nodo della questione resta quindi, per l’Armenia, il riconoscimento del genocidio. Spero che non le spiaccia se la definizione è sempre parsa a me e a altri osservatori o studiosi (fra cui il noto storico anglo- americano Bernard Lewis) storicamente scorretta. È genocida la politica di un governo che si propone la totale eliminazione di un gruppo etnicoreligioso, come accadde per le comunità ebraiche durante il regime nazista. Ma nel caso degli armeni la situazione mi sembra diversa per almeno due ragioni.
In primo luogo la spietata repressione del 1915 colpì gli armeni della Turchia orientale, ma non fu estesa con le stesse modalità alle comunità di Istanbul e Smirne. In secondo luogo, la definizione non tiene conto del momento storico. La guerra era scoppiata da pochi mesi, l’esercito turco si era duramente scontrato con quello russo a Tabriz. Vi erano formazioni armene fra le forze zariste e gli insorti armeni, dopo essersi impadroniti della città di Van, ne avevano proclamato l’autonomia. Non è sorprendente, in tali circostanze, che gli armeni apparissero a Mosca come una pericolosa quinta colonna del nemico.
È molto probabile che al vertice del nazionalismo turco vi fosse il desiderio di cogliere l’occasione per liquidare la questione armena una volta per tutte; e i massacri durante la lunga marcia della morte verso Aleppo sono una delle pagine più sanguinose della storia ottomana. Ma non mi sembra che questo basti per definirli un genocidio e per attribuirne implicitamente la responsabilità morale dei turchi di oggi.