Gioiellieri armeni alla Roma Jewelry Week (Assadakah 15.10.25)

Letizia Leonardi (Assadakah News) – La Roma Jewelry Week 2025 parlerà anche armeno.Un gruppo di maestri orafi e designer provenienti dall’Armenia parteciperà alla sezione principale dell’evento internazionale, in programma dal 25 al 26 ottobre nelle monumentali Corsie Sistine del Complesso di Santo Spirito in Sassia, a due passi dal Vaticano.

Oltre all’aspetto artistico, la presenza armena assume anche un forte valore diplomatico-culturale. L’Armenia, da sempre ponte tra Oriente e Occidente, utilizza l’arte come strumento di dialogo internazionale. Portare le proprie creazioni nel cuore di Roma, e per di più in un luogo legato alla storia della cristianità, rappresenta un gesto di continuità storica tra due popoli accomunati da antiche radici spirituali.

Non è un caso che la tradizione orafa armena affonda le sue origini nell’epoca del Regno di Urartu e si è sviluppata nei secoli attraverso botteghe e monasteri medievali, dove i monaci-artigiani lavoravano oro e pietre incise con croci, melograni e motivi apotropaici. Una sapienza tramandata fino a oggi, reinterpretata dai designer contemporanei in chiave moderna senza perdere il forte legame simbolico con l’identità nazionale.

Due artisti armeni, Anna Margaryan e Zaven Mkhitaryan, saranno inoltre in gara al Premio Incinque Jewels, giunto alla sua sesta edizione e ospitato nello stesso complesso monumentale dal 24 al 26 ottobre.

Tutti i partecipanti sono stati chiamati a interpretare “Gaudium”, tema ispirato all’Anno Giubilare 2025, creando gioielli come veicolo di memoria, spiritualità e visione contemporanea.

L’ingresso è gratuito, con prenotazione obbligatoria scrivendo a info@romajewelryweek.com. Il programma completo è su: www.romajewelryweek.com/programma-2025

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Nagorno-Karabakh: la questione irrisolta degli sfollati e dei prigionieri di guerra dopo l’accordo di pace. (Sardegnagol 14.10.25)

Nonostante la firma dell’accordo di pace tra Armenia e Azerbaigian l’8 agosto 2025, la situazione umanitaria nella regione del Nagorno-Karabakh resta una ferita aperta. Gli sfollati armeni e i prigionieri di guerra continuano a vivere in condizioni di incertezza, mentre permangono gravi interrogativi sul rispetto dei diritti umani da parte di Baku.

La crisi umanitaria e l’accordo di pace.

Nel 2023, l’Azerbaigian aveva provocato una grave crisi umanitaria bloccando il corridoio di Lachin, unica via di collegamento tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh, in violazione di un ordine della Corte Internazionale di Giustizia. Un blocco, ma non è una novità pensando alla poca sostanzialità dei movimenti pro-pal, contro il quale nessuna protesta di piazza si è registrata (diversamente dal blocco nella Striscia di Gaza), confermando una certa solidarietà settoriale della sinistra europea.

Questioni etiche e morali a parte, nel mese di settembre del 2023, un’offensiva militare azera portò alla fuga forzata di circa 120.000 armeni dalla regione e all’arresto di diversi leader locali, processati successivamente da tribunali militari.

Nonostante il trattato di pace firmato nell’agosto 2025, il testo non prevede misure di riparazione per le vittime del conflitto, lasciando irrisolte le questioni legate ai diritti umani e alla giustizia transizionale.

La chiusura delle operazioni del Comitato Internazionale della Croce Rossa.

Il 3 settembre 2025, il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) – l’unica organizzazione autorizzata ad accedere ai prigionieri di guerra armeni – è stato costretto a sospendere le proprie attività in Azerbaigian, aggravando ulteriormente la mancanza di trasparenza sulle condizioni di detenzione e sulla sorte dei prigionieri.

L’interrogazione alla Commissione europea.

Gli eurodeputati Thijs ReutenNacho Sánchez AmorJuan Fernando López Aguilar (tutti del gruppo S&D) e Marie Toussaint (Verts/ALE) hanno presentato un’interrogazione scritta all’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di SicurezzaKaja Kallas, chiedendo chiarimenti sul ruolo dell’UE e sulla responsabilità dell’Azerbaigian.

I firmatari chiedono se Baku stia rispettando gli obblighi in materia di diritti umani previsti dall’Accordo di partenariato e cooperazione UE-Azerbaigian del 1999 e dall’articolo 21 del Trattato sull’Unione Europea, che impegna l’UE a promuovere la pace, la democrazia e il rispetto dei diritti fondamentali.

I diritti dei rifugiati e dei detenuti armeni.

La stessa Commissione (che però nel 2022 ha firmato un accordo energetico proprio con l’Azerbaigian) aveva recentemente sottolineato che “il diritto degli armeni sfollati a tornare senza intimidazioni e discriminazioni è un diritto umano fondamentale”, così come lo è la garanzia di processi equi e condizioni di detenzione dignitose per i prigionieri di guerra.

L’interrogazione chiede inoltre alla Commissione europea di esprimere o meno il proprio parere sulla condotta dell’Azerbaigian che non ha ancora adempiuto pienamente ai propri obblighi internazionali e quali strumenti l’UE possa attivare per promuovere giustizia, responsabilità e protezione dei diritti umani nella fase post-conflitto.

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Vengono dall’Armenia i testi per i sussidi della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani del 2026 (Riforma 14.10.25)

A disposizione di chiese e comunità i testi di riferimento per la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani del 2026

 

Vengono dall’Armenia i testi per i sussidi della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani del 2026. L’équipe internazionale incaricata è dal 1968 nominata congiuntamente dal Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani (Dpcu) e dalla Commissione Fede e Ordine del Consiglio Mondiale delle Chiese (Cec). La redazione dei materiali era stata affidata per il prossimo anno per l’appunto al Dipartimento per le relazioni interconfessionali della Chiesa apostolica armena. Il Dipartimento ha coordinato il gruppo ecumenico di cristiani armeni che ha preparato la prima bozza dei testi. 

Ora sono giunte, da leggere e scaricare, le traduzioni nelle varie lingue, compresa la lingua italiana

Il testo di riferimento è tratto da Efesini, capitolo 4, versetto 4: «Vi è un corpo solo e un solo Spirito, come pure siete stati chiamati a una sola speranza, quella della vostra vocazione».

Come si legge nei materiali introduttivi la Chiesa apostolica armena, riconosciuta come una delle più antiche comunità cristiane del mondo, ha svolto un ruolo fondamentale nel plasmare l’identità spirituale e storica del popolo armeno per quasi due millenni.  Fondata all’inizio del IV secolo, con radici che risalgono all’epoca apostolica, trascende l’organizzazione religiosa; incarna la resilienza nazionale, il patrimonio culturale e la forza spirituale di un popolo. Oltre a offrire una guida spirituale, la Chiesa ha salvaguardato le tradizioni, la lingua e i valori armeni, soprattutto durante i periodi di avversità e di dominazione straniera. In tempi contemporanei, soprattutto in mezzo a sfide come il conflitto nel Nagorno-Karabakh e lo sfollamento della popolazione dell’Artsakh, la Chiesa continua a servire come fonte di forza e di conforto per gli armeni. Oggi è un faro di fede, unità e continuità per gli armeni di tutto il mondo e fornisce spunti di riflessione che risuonano nella più ampia comunità cristiana globale.

Il testo redatto da Cec e Dpcu ricorda che le origini della Chiesa apostolica armena sono profondamente radicate negli insegnamenti degli apostoli Taddeo e Bartolomeo, che evangelizzarono l’Armenia già nel I secolo d.C.. Tuttavia, fu sotto la guida di San Gregorio Illuminatore, il primo Catholicos (patriarca) ufficiale dell’Armenia, che il cristianesimo iniziò a fiorire. Nel 301 d.C., l’Armenia divenne la prima nazione ad adottare il cristianesimo come religione di Stato sotto il re Tiridate III, un evento che la contraddistinse come pioniera della fede molto prima dell’abbraccio dell’Impero Romano al cristianesimo.La sede madre di Etchmiadzin, situata vicino a Yerevan, funge da centro spirituale e amministrativo della Chiesa apostolica armena.  La tradizione racconta che San Gregorio ricevette una visione divina di Cristo che scendeva dal cielo e colpiva il suolo con un martello d’oro, designando il sito per la prima cattedrale armena. Questa visione portò alla costruzione della Cattedrale di Etchmiadzin, una delle chiese più antiche del mondo, che simboleggia il legame duraturo tra la Chiesa armena e i suoi fedeli.  Nel corso dei secoli, la Sede madre è stata un centro di spiritualità e di autorità ecclesiastica, guidando i fedeli e preservando il patrimonio cristiano armeno.

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Guerra Nagorno-Karabakh, terminata 2 anni fa ma ferita ancora aperta (TV2000 13.10.25)

13 ott 2025

La guerra nel Nagorno-Karabakh, terminata due anni fa, è una ferita ancora aperta. Oltre centoventimila sfollati sono senza alcuna prospettiva di tornare alle loro case.

Una buona mancata notizia. Quell’incontro tra il Papa e il Catholicos degli Armeni. Spes contra spem (Korazym 12.10.25)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 12.10.2025 – Renato Farina] – Ammollo i piedi nel mio lago, mi dà qualche brivido la sua acqua amica ma oggi dolente, nera. Del resto lago Sevan vuol dire lago Nero, e presto – se sopravvivo – ve ne racconterò il perché. È scura come il cielo quest’acqua, e come il firmamento anch’essa è punteggiato di scintille, un milione e mezzo, forse due milioni di lucette.

Vibrano su nella volta celeste, e scendono giù ad accarezzare il lago: sono segno del milione e mezzo, due milioni (ripeto, ripeterò sempre) di martiri proclamati tali dalla Chiesa Apostolica Armena, che non ha fatto differenze tra vescovi e ignoti, i senza nome sono la grandissima maggioranza, ma Dio conosce i loro nomi, li chiama – proprio io?, sì tu –, stringe tutti a sé, i buoni figli e quelli cattivi, le ragazze pure e i ragazzi impuri, gli ubriaconi e i morigerati, i delinquenti e gli innocenti, le zitelle rancide e i chiacchieroni, persino qualche magistrato e giornalista, todos todos todos, perché assassinati in odio a Cristo, senz’altra colpa né altro merito che il marchio del battesimo di cui nell’istante totale, proprio quell’istante ne tempo, non si vergognarono, e perciò furono immolati su un altare che gronda Grazie.

Su di me, ora? Lo so, con la mente dico okay. Ma non mi dice nulla questa verità oggi, adesso, mentre i miei fratelli piagati dell’Artsakh mendicano di essere almeno citati, che si sappia di loro. Non riesco a perdonare che adesso, non nel 1915, si stia perpetrando un altro genocidio armeno, meno colossale, ma più penoso come ogni recidiva.

La pace fake

A tormentarmi è la notizia della falsa pace festeggiata universalmente come fosse vera, e che invece cementa per l’eternità l’amputazione dell’utero dal corpo dell’Armenia. E cioè l’Artsakh, nostro grembo fecondo, rubatoci dagli Azero-Turchi con il consenso della nostra autorità politica, e il plauso di tutti i Paesi, anche dell’Italia, destra e sinistra e centro, nessun dubbio, e in apparenza anche dal Vaticano…

L’ottusità della mia anima molokana oggi non recepisce il tepore di questo amore dei martiri. Tutto congiura dentro di me a chiudere i pori del cuore.  Ecco però le piccole trote argentate, principesse adolescenti, creature baciate dalla Santa Vergine Madre di Dio, non si danno pace, non accettano la mia chiusura ermetica nella disperanza, che per me è più della disperazione, perché si oppone direttamente alla speranza, la disperazione in fondo è un allungare il brodo, è un modo per cercare la rima con consolazione. Ma questa sera le trote sono allegre come se ballassero al suono della musica di Schubert a loro dedicata, Die Forelle.

  • Che buone notizie mi portate?
  • Prima parla tu, confessati Molokano.
  • Comincio.

Ci sono le fake news, poi ci sono le mezze fake news. Esse consistono nello scrivere quasi tutto. Le quasi verità sono peggio delle menzogne, perché sono insospettabili, in fondo grondano buona fede, sono depistaggi ben temperati. Se lo fai notare, la risposta è ovvia: non si può essere esaurienti, la memoria per forza è selettiva, e il 95 per cento è un’eccellente misura per passare come fenomeni di imparzialità… Tecnicamente si chiamano fake truth, false verità. Sono il lievito dei farisei, che fa marcire il pane. Il Molokano è un bastardo, quel pane rancido lo vomita. Avvelenerebbe anche voi, trotelle mie. Per questo mi sono ribellato davanti al coretto elogiativo delle due pagine fatte passare per dichiarazione di pace e firmate davanti a Trump l’8 agosto 2025 dal Presidente di Azerbajgian, Ilham Aliyev, e dal Primo Ministro di Armenia, Nikol Pashinyan [*].

Il colpo di mano di Pashinyan

Quella era una quasi pace, cioè una pace falsa. Il cui contenuto preminente era quello che non c’era, una assenza: in quel testo si prevede il Corridoio di 32 km per congiungere di fatto l’Azerbajgian alla Turchia, invadendo l’Armenia. Va be’, questo si può accettare. Ma non al prezzo di tacere sull’Artsakh, e i suoi 120mila Cristiani Armeni sbattuti via. In quelle pagine non sono mai nominati. Con ciò hanno avuto una sorte peggio della morte, perché i morti si piangono. La non-esistenza non la piange nessuno. È la certificazione della riuscita di un genocidio nella sua forma post-moderna. È toccato a me allora suonare il corno di Tempi e raggiungere magari, se Dio vuole, il grande Leone XIV perché apprendesse dell’infamia patita dagli Armeni dell’Artsakh, cacciati come cani dalla loro terra e dalle tombe dei loro cari dagli invasori Azero-Turchi, e poi anche privati non solo del diritto ma anche del loro pianto di esuli.

Riccardo Ruggeri ha annotato sul suo blog Zafferano queste parole del giornalista argentino Horacio Verbitsky, che scrisse: “Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda”.

E allora io ci provo e riprovo. In Italia nessuno aveva raccontato dell’incredibile golpe del Primo Ministro armeno Pashinyan per estromettere il Catholikos della Chiesa Apostolica Armena Karekin II (per capirci, il Papa armeno). Il popolo armeno si è stretto intorno alla Santa Sede di Echmiadzin, dove si conservano le reliquie degli apostoli Bartolomeo e Taddeo, e ha spezzato le pretese di creare l’anti-papa da parte di Pashinyan e della moglie. Sostenevano costoro, per decretarne la deposizione, che Karekin II avesse avuto una figlia. La verità è che questa diceria ha il rango di fake truth.  Come se un Teodosio avesse preteso la scomunica di Agostino, Vescovo di Ippona, perché padre di un bambino. O – mi perdoni il Santo africano-brianteo per il paragone – il rovesciamento dalla cattedra di Pietro di Alessandro VI Borgia da parte del Re di Francia Carlo VIII per analoghe ragioni. Il potere temporale non ha questo potere sacro. In realtà, era il modo per togliersi dai piedi (con il sostegno pubblico di Macron) la voce che gli ripeteva ogni giorno, ogni ora, come Giovanni Battista a Erode: che ne hai fatto dell’Artsakh e dei nostri fratelli? Davvero li hai venduti al Turcomanno come i figli di Giacobbe fecero con Giuseppe?

 

Sorpresa a Castel Gandolfo

Le trote mi sussurrano ridendo. Qualcuno lassù ha ascoltato il grido dei figli dell’Artsakh e forse anche il tuo (non montarti la testa, sciocco). Sappi che nel silenzio assoluto dei TG e dei grandi quotidiani europei, Papa Leone XIV ha ricevuto il 16 settembre a Castelgandolfo, in udienza fraterna, Karekin II, il quale lo ha ringraziato del gesto e ha pronunciato pubblicamente la parola “esuli dell’Artsakh” e ha dichiarato il loro diritto al ritorno. Spes contra spem. Da dire a tempo e controtempo. Il petto mi sobbalza, ma perché la TV di Stato e la CNN non hanno detto nulla? Quasi verità, l’omissione è peggio della menzogna.

  • Molokano di poca o nulla fede, non sei tu che salvi il mondo, in Cielo i santi martiri dicono parole all’orecchio di Cristo e del suo Vicario in terra.

Pochi giorni prima – continuano le trote – dal Vaticano era squillata un’altra tromba. Appoggiano sulla riva, tirandolo con le boccucce e salvandolo dalle acque, una pagina de L’Osservatore Romano.  Un pullman di pellegrini dall’Italia, alla ricerca dei Molokani che Vasilij Grossman e poi Tempi hanno reso famosi, si era fermato proprio oggi sui bordi del lago. Avevano lanciato pezzi di pane e, guardando le acque sorvolate dai gabbiani – c’è una specie autoctona di queste acque, il gabbiano molokano che c’è solo qui – anche un foglio appallottolato. Eccolo. Le trotelle predicano pazienza: non avere fretta, non sbrindellarlo, leggilo al mattino, alla luce dell’alba, asciutto.

Charlie Kirk contro il Sultano

Leggo. 23 agosto 2025. Il Papa: «Nessun popolo può essere costretto all’esilio forzato». «La rinnovata prospettiva del vostro ritorno nel vostro arcipelago natale è un segno incoraggiante e ha forza simbolica sulla scena internazionale: tutti i popoli, anche i più piccoli e i più deboli, devono essere rispettati dai potenti nella loro identità e nei loro diritti, in particolare il diritto di vivere nelle proprie terre; e nessuno può costringerli a un esilio forzato». Lo dice Papa Leone XIV ricevendo in udienza la Delegazione del Chagos Refugees Group di Port Louis delle Isola Mauritius.

«Credo valga anche per i Cristiani del Nagorno-Karabakh», scrivo in un telegramma a un’Eminenza mia protettrice in Vaticano, «se ritiene e può lo dica al Santo Padre. Nell’accordo di pace firmato davanti a Trump tra Aliyev e Pashinyan sono stati ignorati. Così come i prigionieri di guerra che sono a Baku come ostaggi. Il Molokano».

Il cardinale risponde. «Certamente vale anche per i Cristiani del Nagorno Karabakh, Signor Molokano. Si potrà dire appena capiterà l’occasione.  Card. …».

Un’ultima cosa, poi taccio. Hanno detto un sacco di ragioni a destra e a sinistra cercando di spiegare le ragioni per cui Charlie Kirk è stato ucciso all’Utah Valley University il 10 settembre. Nessuno, causa una universale coda di paglia, ne ha detto quella che ha ripetuto sempre negli anni. È scandaloso che non si riconosca da parte turca il genocidio armeno, e in America lo conoscano in pochissimo, e la Turchia (con gli Azeri) usi le nostre armi contro un popolo Cristiano. Erdoğan è un uomo davvero cattivo, e la Turchia va eliminata dalla NATO.

Il Molokano

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di ottobre 2025 di Tempi.

 

[*] Armenia-Azerbaigian, una pace col trucco
di Renato Farina
Il Federalista, 13 settembre 2025

Per il momento, è l’unica pace di cui Donald Trump possa intestarsi il merito. Sottoscritta l’8 agosto alla Casa Bianca dal Presidente azero Ilham Aliyev e dal Primo ministro armeno Nikol Pashinyan, l’intesa dovrebbe porre fine al conflitto che da quasi 40 anni oppone i due Paesi per il possesso del Nagorno-Karabakh. Ma Renato Farina, studioso dell’Armenia, della sua cultura e della sua drammatica storia, ha scritto in proposito: “Sembra tanto un contratto leonino: la gazzella armena bacia il leone turcomanno, davanti all’elefante Trump che vuole sì far la pace, ma deve imparare a non lasciarsi ingannare dai turchi”. Quali gli argomenti che sostanziano il pessimismo dello scrittore e giornalista italiano? Scopriamoli attraverso la sua prosa colta e briosa.

La capitolazione di Erevan

Non fidatevi di me, preferite la speranza di Leone XIV alla mia miscredenza. Ha detto il Papa rallegrandosi: «Mi congratulo con l’Armenia e l’Azerbajgian che hanno raggiunto (l’8 agosto a Washington) la firma della dichiarazione congiunta di pace». Dunque come si può non essere plaudenti, davanti a una promessa? Le mani si sono strette, la guerra trentennale è dichiarata chiusa davanti a un Trump garante del patto. Ed è un fatto. Ma poi? Il saggio Vescovo di Roma ha aggiunto una frase che nel latino di Sant’Agostino si scriverebbe “Utinam+congiuntivo”: «Che questo evento possa contribuire a una pace stabile e duratura nel Caucaso meridionale». (All’Angelus del 10 agosto 2025).

Sarò cattivo, ma lasciatemi fare la mia parte in commedia: ribellarmi. La dichiarazione di pace (non ancora un trattato, per fortuna!) somiglia alquanto a un contratto leonino: la gazzella armena si bacia con il leone turcomanno, davanti all’elefante Trump che vuole sì la pace, ma dovrebbe imparare a non lasciarsi ingannare dai Turchi.

A Famagosta, Isola di Cipro, promisero nel 1571 al generale veneziano Marcantonio Bragadin onore e salvezza in cambio della resa: fu scuoiato vivo, i suoi soldati assassinati, le donne schiavizzate, i bambini islamizzati. Ne seguì la battaglia di Lepanto, vittoriosa per le forze Cristiane radunate dal Papa San Pio V; ma oggi sarebbe la fine del mondo ripeterla. Trump cercherebbe ancora di saturare le ferite, di più non si potrebbe. Ma come si fa a cascarci ancora?

E dire che altre truffe si ripeterono. I capi e gli intellettuali Armeni cittadini dell’Impero Ottomano, dopo i pogrom al tempo del Sultano Hamid II (1894-96, duecentomila vittime Cristiane), si accordarono con il Partito rivoluzionario dei Giovani Turchi, che nel 1908 presero di fatto il potere: non mantennero le promesse di emancipazione e pluralismo, i Cristiani protestarono. Risultato?

In Anatolia, nella provincia di Adana nel 1909, una strage per dare un esempio: uomini impiccati, squartati, fucilati, donne violentate e sgozzate dopo aver visto schiacciare i loro piccini, trentamila morti.

Nel 1913 i Giovani Turchi, con i “Tre Pascià” Mehmed Talat, Ismail Enver e Ahmed Djemal, presero stavolta il potere ufficialmente con un colpo di stato. Si ripeté la pantomima. Le alte classi armene credettero ai modi raffinati ed europei del triumvirato. E fu il genocidio del 1915, un milione e mezzo di morti trascinati nel deserto a crepare.

Questo olocausto di Cristiani orientali fece scuola. Hitler si ispirò – e lo disse – a quel genocidio per attuare nel silenzio del mondo la Shoa. Ora, sinistramente, il metodo per la caduta dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) nelle mani degli Azeri il 20 settembre 2023, si ripete a Gaza.

Stephan Pechdimaldji, analista Armeno-Americano, ha dichiarato al Washington Post che c’è una continuità strategica tra quanto fatto da Aliyev per ripulire etnicamente il Nagorno-Karabakh dagli Armeni, e la tecnica di Netanyahu per strappare i Palestinesi dalla Striscia: “Entrambi i Paesi considerano il cibo uno strumento per raggiungere i propri obiettivi. Gran parte del mondo è rimasta in silenzio quando l’Azerbajgian ha fatto morire di fame gli Armeni in pieno giorno. Lo stesso vale oggi per Gaza” (Una differenza c’è. L’Armenia poteva fare ben poco per impedire l’espulsione degli Armeni. Invece, Hamas avrebbe potuto evitare il trasferimento forzato rilasciando gli ostaggi e lasciando Gaza).

Non capisco perché, ma il modo di uccidere gli Armeni eccita sempre nei persecutori nuove idee malvage, presto imitate.

L’Altissimo provvederà all’ultimo giorno a far sì che – come dice il salmo – la giustizia si accordi con la pace? Un po’ tardi, mi pare. Sto bestemmiando, lo so. Non ho la fede di Papa Leone XIV, non riesco a sperare come lui.

Che Dio salvi non solo il corpo, ma anche l’anima dell’Armenia, la memoria del suo battesimo, che Pashinyan pare voler sacrificare. Lo sa che quando si vuol soffocare l’anima di un popolo, due sono le possibili evenienze: o l’insurrezione o l’astenia mortale.

Perché sono così pessimista? L’accordo di pace è l’accettazione di una capitolazione dell’Armenia, con conseguenze devastanti per la sua sovranità, sicurezza e stabilità interna. Lungi dall’essere un passo verso la pace, questo accordo lascia Erevan in una posizione di estrema vulnerabilità geopolitica. Uno dei punti centrali dell’intesa è la creazione del corridoio di Zangezur, una giga-strada di 43 chilometri che collegherà l’Azerbajgian alla sua exclave di Nakhchivan attraverso la regione armena di Syunik. Questo corridoio taglierà in due l’Armenia, privandola di una parte cruciale del suo territorio e della sua sovranità. L’Azerbajgian ha insistito affinché il corridoio fosse extraterritoriale, privo di controllo armeno, una condizione che Erevan ha accettato sotto pressione internazionale.

Per l’Armenia, questa arteria a dominio alieno rappresenta una minaccia esistenziale. Non solo compromette la sua integrità territoriale, ma rafforza l’asse turco-azero, un progetto panturco che mira a collegare il Mar Caspio al Mediterraneo. Questo corridoio, formalmente e servilmente “Trump Path to International Peace and Prosperity”, è stato affidato a una società privata americana per 100 anni, un chiaro segnale della perdita di controllo armeno su una parte del suo territorio.

Certo, presenta alcuni vantaggi nel breve periodo. Il corridoio di Zangezur, se gestito correttamente, potrebbe favorire investimenti infrastrutturali e migliorare le connessioni regionali, rendendo l’Armenia un punto di transito strategico. Ma qual è il prezzo?

La dimenticanza dei 120mila Armeni strappati da case, memorie, luoghi sacri, tombe dei propri cari in Artsakh (Nagorno-Karabakh). Non si accenna neppure con una parola al loro assassinio spirituale, al loro sacrificio umano – nel testo sottoscritto a Washington. Il silenzio è la riaffermazione orrenda di un diritto al genocidio. Qualcuno griderà qui da noi? La Realpolitik deve avere il suo limite nella perdita della nostra umanità.

Il destino dell’Armenia. Cosa spera di ottenere Pashinyan consegnandosi a Erdoğan? di Renato Farina – Il Molokano, 7 agosto 2025.

Foto di copertina: Sua Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di Tutti gli Armeni, è stato ricevuto da Papa Leone XIV la mattina del 16 settembre 2025, a Villa Barberini, la residenza papale a Castel Gandolfo, dove il Papa si era recato dalla sera precedente. Era il primo incontro di Karekin II con Leone XIV, il quarto con un Pontefice sin dalla sua elezione avvenuta venticinque anni fa. L’udienza si è svolta in “un clima fraterno e cordiale, durante il quale sono state discusse diverse questioni ecclesiali, e Karekin II ha posto l’accento sulla sorte degli Armeni dell’Artsakh”, come ha spiegato in un colloquio telefonico con la redazione armena di Radio Vaticana-Vatican News l’Arcivescovo Khajag Barsamian, Legato patriarcale dell’Europa Occidentale e Rappresentante della Chiesa Apostolica Armena presso la Santa Sede. Il Papa e il Catholicos hanno ribadito la necessità della pace, ha spiegato Barsamian. Una pace basata sulla giustizia, come ha sottolineato Karekin II.
La prima visita di Karekin II a Roma risale al 9 e 10 novembre 2000, quando l’allora neo eletto Catholicos di Tutti gli Armeni fu ospite di San Giovanni Paolo II in occasione del Grande Giubileo dell’Anno 2000. Durante quella visita, sulla scia della dichiarazione firmata da San Paolo VI e Sua Santità Vasken I il 12 maggio 1970, fu siglata una Dichiarazione Congiunta: un passo del cammino, ancora in corso, per ristabilire la piena comunione tra le due Chiese.
In occasione dell’incontro con Papa Francesco nel settembre 2020, Karekin II presentò a Papa Francesco la situazione creatasi a seguito dell’occupazione dell’Artsakh dall’Azerbajgian e l’esodo forzato di tutta la popolazione armena Cristiana dall’Artsakh (Foto di Vatican Media).

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Tra Carrara eYerevan il gemellaggio della cultura (Assadakah 11.10.25)

Letizia Leonardi (Assadakah News) – Nel quadro delle celebrazioni per la Giornata dell’Indipendenza della Repubblica d’Armenia, che si è svolta a Roma lo scorso 6 ottobre, l’Ambasciata della Repubblica di Armenia in Italia ha tenuto un evento istituzionale nel corso del quale l’Ambasciatore Vladimir Karapetyan ha consegnato attestati di riconoscimento del Comune di Yerevan a due figure legate al rapporto culturale tra la capitale armena e la città apuana di Carrara. Si è trattato della scrittrice Marta Tongiani, autrice del volume Carrara chiama Erevan e il geografo Riccardo Canesi.

Il riconoscimento ufficiale ribadisce una realtà che dura da decenni: Yerevan e Carrara sono città gemellate. Il gemellaggio è attestato dalle fonti ufficiali della municipalità di Yerevan e ha lasciato anche testimonianze materiali in città, come il monumento omonimo “Hands (o Fountain) of Friendship”, dono del territorio apuo alle autorità di Yerevan.

La presenza del libro Carrara chiama Erevan nella rete di relazioni culturali non è episodica. Il volume è stato presentato pubblicamente a Carrara con la partecipazione (o la rappresentanza) dell’Ambasciata armena e racconta storie e iniziative collegate proprio al gemellaggio: occasioni, contatti istituzionali e scambi culturali che hanno caratterizzato il rapporto tra le due città nel tempo. La copertura locale dell’evento mostra come la pubblicazione abbia costituito un momento di rilancio delle relazioni civiche e culturali.

Riccardo Canesi è un professore di geografia originario di Carrara, docente per molti anni in istituti locali e autore di saggi sul territorio, Canesi è figura nota nell’ambito culturale e ambientale della provincia apuana e il riconoscimento di Yerevan gli è stato attribuito per il contributo al dialogo e alla diffusione della conoscenza sulla cooperazione tra le due comunità.

Per l’Ambasciata armena e per il Comune di Carrara, questi attestati hanno una doppia valenza: da un lato la riconoscenza pubblica verso chi promuove il dialogo culturale; dall’altro il segno di continuità di rapporti internazionali locali che, pur partendo da iniziative culturali e civiche, assumono valore istituzionale e simbolico. In tempi nei quali il patrimonio identitario e la diplomazia locale ritrovano rilevanza, il gesto rappresenta un’operazione di soft diplomacy che parla ai cittadini oltre che agli addetti ai lavori.

L’importanza di questo gesto risiede nel fatto che riporta all’attenzione pubblica un gemellaggio storico (Carrara–Yerevan) di natura culturale e istituzionale.

Documenta inoltre il ruolo di operatori culturali e accademici locali (come Tongiani e Canesi) nell’alimentare relazioni internazionali concrete, non solo protocollari. Segnala inoltre un’azione diplomatica visibile dell’Ambasciata armena in Italia, guidata dall’Ambasciatore Vladimir Karapetyan, che utilizza momenti simbolici (come la Giornata dell’Indipendenza) per rinsaldare legami con le comunità locali.

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L’ex-ombudsman annuncia la candidatura alla carica di Primo Ministro dell’Armenia (Notizie da Est 11.10.25)

L’ex ombudsman armeno Arman Tatoyan ha annunciato la sua candidatura al ruolo di Primo ministro, affermando che entrare in politica era diventato “inevitabile” per lui, poiché considera i processi politici attuali “non armeni”.

«Parteciperò alle elezioni parlamentari del 2026 con l’iniziativa che conduco, ‘Ali di unità’ (Wings of Unity). Se si svilupperà ulteriormente, potrebbe diventare un partito o un’altra formazione politica», ha detto Tatoyan in una conferenza stampa.

Tuttavia non ha specificato se la sua iniziativa si presenterà alle elezioni in modo indipendente o all’interno di un blocco. Ha inoltre evitato di commentare su una possibile cooperazione con la forza politica guidata dall’ex presidente Serzh Sargsyan, che gli esperti ritengono sia lo scenario più probabile. Durante la presidenza di Sargsyan, Tatoyan divenne ombudsman e continuò in questo ruolo anche dopo la “Rivoluzione di velluto”, quando la squadra di Nikol Pashinyan salì al potere.

Tatoyan ha sottolineato che non si alleerà “con chiunque”, osservando di non condividere le posizioni né del governo precedente né di quello attuale. Ha assicurato che la sua squadra rappresenta un’entità politica indipendente.

I membri del partito al potere hanno reagito in modo deciso alle ambizioni politiche dell’ex difensore dei diritti umani, definendo la partecipazione alla politica “sotto Serzh Sargsyan” come “inutile e vergognosa”.

Il Capo Ad interim dell’Ufficio del Primo Ministro, Taron Chakhoyan, ha commentato i piani di Tatoyan: «Tatoyan dice di essere una forza indipendente. Crede che le persone siano naive, oppure si sta semplicemente definendo come un asino? Potrebbe anche giurare di non avere legami con Serzh e di non unirsi a lui».

Le dichiarazioni sottolineano sia l’orientamento politico inteso di Tatoyan sia la reazione critica del partito al potere.

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Secondo Arman Tatoyan, lui e il suo team non hanno intenzione di entrare in dispute tra poteri “passati e presenti”. Il loro obiettivo è unire la società “per [motivi non specificati]”. Tatoyan ha sottolineato che tutti gli sforzi dei suoi colleghi saranno dedicati alla difesa degli interessi dello Stato e del popolo:

«Seguiremo la via della risoluzione dei problemi. Abbiamo dichiarato che per affrontare queste questioni uniremo tutta la società e dialogheremo con tutti.»

Ha evitato di specificare con quali partiti politici intendono collaborare:

«I sostenitori di tutte le forze politiche, i loro elettori — sono i nostri cittadini. Giusto? Lavoreremo con tutti i cittadini. Questa è la nostra agenda. Le divisioni tra il ‘passato-presente’, in bianco e nero — non è la nostra agenda.»

Allo stesso tempo, Tatoyan ha sottolineato che chiunque sia disposto a unirsi al loro movimento è benvenuto, indipendentemente dalle preferenze politiche.

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Alla conferenza stampa, ha criticato gli accordi di agosto con gli Stati Uniti e l’Azerbaigian, inclusa la «Trump Route», ha parlato dell’“imitazione” dell’integrazione UE da parte dell’Armenia e ha discusso i suoi piani per le elezioni del 2026.

«Ci sono problemi nelle relazioni con la Russia»
Secondo l’ex difensore dei diritti umani, la politica estera dell’Armenia dovrebbe essere basata sui principi di indipendenza, sovranità, sicurezza e sviluppo stabile:

«La strategia di politica estera dovrebbe servire da guida per definire il ruolo dell’Armenia nella regione e nel mondo. Una politica estera prevedibile e responsabile — sia per la nostra gente sia per la comunità internazionale. Dovrebbe basarsi sul confronto e allineamento degli interessi comuni, non sull’accomodamento. E deve rimanere fedele agli interessi nazionali.»

Parlando delle relazioni con la Russia, Tatoyan ha osservato che ci sono problemi evidenti. Ha delineato le questioni che vede con la Russia:

lo sfollamento etnico operato dall’Azerbaigian nel Nagorno-Karabakh in presenza delle forze di peacekeeping russe,
la mancanza di supporto adeguato durante la guerra dei 44 giorni nel 2020,
la mancanza di supporto durante l’incursione militare azera nel territorio armeno nel 2022.
Tatoyan ha sottolineato che queste domande richiedono chiarimenti. È necessario comprendere perché i partner russi non siano riusciti a mantenere i loro obblighi alleati come previsto dagli accordi ufficiali.

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L’analista politico Lilit Dallakyan commenta sui rischi della cosiddetta “ politica bilanciata” e se l’integrazione europea e la regionalizzazione, entrambe incluse nella strategia di politica estera dell’Armenia, possano davvero essere compatibili

 

Tatoyan su l’agenda per la pace, il ritorno degli Armeni del Karabakh e le rinunce alle cause legali
I giornalisti hanno chiesto all’ex ombudsman le sue opinioni sull’annunciata agenda di pace dell’Armenia. Tatoyan ha detto che la pace è “un valore assoluto”, ma anche il risultato di molti processi. A suo avviso, per stabilire la pace è necessario:

un sistema di sicurezza solido,
l’unità piuttosto che le contraddizioni,
la risoluzione logica dei problemi.
Parlando dei 120.000 armeni del Karabakh costretti a lasciare la loro terra, ha affermato:

«Hanno il diritto di tornare a casa. Non è una mia invenzione; è un principio internazionale. In particolare, la Corte internazionale di giustizia ha chiaramente affermato il diritto dei residenti di Artsakh al ritorno nel novembre 2023. Ma non ci lasceremo ingannare dall’illusione del ritorno di Artsakh. Non avremo tali discussioni e non lo consideriamo parte della nostra agenda.»

Tatoyan ha aggiunto che se il suo team arrivasse al potere, non abbandoneranno le cause tra stati contro l’Azerbaigian:

«Questo è pericoloso per il futuro dell’Armenia. Ritirare le cause serve solo gli interessi di Baku. Comprendono perfettamente che queste cause potrebbero creare seri problemi nell’attuazione della loro politica aggressiva nei confronti dell’Armenia.»

Il trattato di pace firmato dall’Armenia e dall’Azerbaigian include una disposizione sul ritiro di tutte le cause tra stati presentate davanti ai tribunali internazionali. Si stabilisce che entro un mese dalla firma, dalla ratifica e dall’entrata in vigore dell’accordo, le parti ritireranno, annulleranno o risolveranno in altro modo tutte le rivendicazioni tra stati, reclami, appelli, obiezioni e controversie relative a questioni esistenti prima della firma dell’accordo.problemi relativi all’attuazione di una politica di aggressione nei confronti dell’Armenia

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Commenti
Rappresentanti del partito al potere sono stati rapidi nel commentare il cambio di Tatoyan dal lavoro per i diritti umani alla politica, mentre altri partiti sono rimasti in silenzio.

Vaagn Aleksanyan, deputato del partito al potere, ha detto:
«Non ha già detto l’Arman Tatoyan di Sargsyan che la stampa di ex presidenti Serzh Sargsyan e Robert Kocharyan lo dipinge come un nuovo Prometeo — non per farlo burattino di Serzh, ma semplicemente perché ha belle occhi?»

Araik Arutyunyan, Capo dell’Ufficio del Primo Ministro, ha aggiunto:
«Consiglio ai nostri cittadini di continuare la loro vita usuale, sia negli enti pubblici sia nel settore privato, di investire in imprese e nell’educazione dei loro figli, e di prendersi cura del loro riposo. Ma, ovviamente, di rimanere cauti di fronte a questo circo ambulante, per non diventare vittime di una operazione ‘Vardanik’».

Queste erano elezioni comunali lampo svoltesi il 30 marzo a Gyumri. Nessuna forza ha superato la soglia del 50%+1. Il partito di governo, Civil Contract, ha ottenuto la maggior parte dei voti, ma nessuna delle forze di opposizione ha accettato di formare una coalizione con esso. Tre delle quattro forze di opposizione che hanno superato la soglia elettorale hanno sostenuto il candidato del Partito Comunista Armeno, Vardan Ghukasyan. La squadra al potere resta ora cauta rispetto a una simile “operazione” nelle elezioni parlamentari del 2026.

Arpi Davoyan, membro del consiglio del partito al potere e parlamentare, ha detto:
«Circa 100–150 anni fa in Russia esisteva il concetto di “attori del teatro bruciato”. Attori ambulanti si spostavano di paese in paese, dichiarando che il loro teatro fosse andato in fumo e che quindi dovevano vagare e esibirsi. La gente li lasciava far ridere e guadagnarsi da vivere.

Voglio dire che il campo politico armeno è ora pieno di attori ambulanti e rapinatori di voti. La campagna pre-elettorale in vista delle elezioni parlamentari di giugno 2026 sta guadagnando slancio ogni giorno.

Ogni giorno, un nuovo frammento si stacca dall’infamato Homelands Salvation Movement (HSM), la punta dell’opposizione collettiva, emettendo dichiarazioni politiche che mostrano che il loro piccolo gruppo di sostenitori — una volta più o meno unito — continua a frammentarsi.

In passato, quando l’HSM collettivo si riuniva per una sorta di raduno, tutti gridavano all’unisono: «Gatto ladro, cane calvo» [personaggi di una famosa storia di Hovhannes Tumanyan, in cui un gatto astuto inganna un cane ingenuo]. Ora, con il teatro bruciato, nuove ali emergono dall’HSM frammentato, ciascuna in competizione per la propria ribalta dell’opposizione.

Naturalmente, capiamo bene che sono un’unica entità. In qualsiasi momento conveniente si uniranno e combatteranno non per la Repubblica di Armenia, ma contro di essa. E tutto ciò avviene con la benedizione del patriarca [Catholicos Karekin II].»

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L’analista politico Ruben Mehrabyan è convinto che l’opposizione stia usando Gyumri come “passe-partout per il cambio di regime e il ritorno di un sistema criminale e corrotto.”

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Turismo d’avventura, l’Armenia è la nuova regina fra voli in mongolfiera, arrampicate e rafting (Haffigntonpost 10.10.25)

Eletta “destinazione dell’anno per il turismo d’avventura”, l’Armenia, magnifico paese, grande poco più della nostra Sicilia, a cavallo tra Asia ed Europa, è una destinazione ancora poco nota eppure da vedere assolutamente. Non a caso, Lonely Planet ha incluso la “piccola” Armenia tra le “grandi” e migliori destinazioni del 2025, oltre al suddetto premio ricevuto in occasione dei Patwa international travel award 2025 a Berlino (la Pacific area travel writers association che dal 1999 premia le destinazioni, le organizzazioni e le aziende che si distinguono per l’eccellenza nel turismo e nelle iniziative di viaggio sostenibile).

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Niente turismo di massa, folle, lunghe attese, l’Armenia, situata nel Caucaso meridionale, confinante con Georgia, Azerbaigian, Iran e Turchia, è un paese che invita a viaggiare “slow & easy” ed anche la nazione cristiana più antica del mondo e, solitamente, infatti, i viaggi in questo paese sono incentrati sui suoi straordinari monasteri tutelati dall’Unesco. Ma a due anni dalla fine del conflitto che ha visto l’Armenia perdere la regione del Nagorno Karabakh da parte dell’Azerbaigian, il “popolo dell’Ararat” (il monte sacro alto 5.137 metri, simbolo d’Armenia e ben visibile, se pur sia in territorio turco) sta facendo un pregevole lavoro di apertura e promozione turistica svelando molte altre attrazioni, fra natura, cultura e buongusto.

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A comiciare dal cielo: da oggi, infatti, 10 ottobre fino al 15 sarà più facile ammirare il tramonto sull’amato monte Ararat che sovrasta la capitale Yerevan e i dintorni in occasione di Skyball, Festival internazionale delle Mongolfiere, organizzato da 7 edizioni con il supporto del Comitato per il turismo del Ministero dell’economia della Repubblica di Armenia, con l’obiettivo di far conoscere le nuove esperienze del turismo d’avventura che il paese offre, radunando coloratissimi “ballons” provenienti da tutto il mondo in piazza della Repubblica (fra le location più eleganti e vivaci della capitale) e in altre località del paese, offrendo l’occasione di vivere un’esperienza di volo indimenticabile. E per chi vuole spingersi oltre, può osare volando in parapendio nella regione di Tavush, sul lago Sevan e sul bacino artificiale di Azat su prospettive vertiginose fra i contrasti cromatici della stagione. Partecipano 20 mongolfiere provenienti da Emirati Arabi Uniti, Inghilterra, Brasile, Bulgaria, Georgia, Italia, Russia, Giappone e Armenia, naturalmente. Durante il festival, i voli in mongolfiera si svolgono nello spazio aereo di Yerevan, Garni e Aparan. Ogni volo ha una fase sportiva, durante la quale ai piloti viene assegnato un compito speciale in base al quale saranno determinati i vincitori. Sono previsti in totale 9 voli, in base alle condizioni meteorologiche.

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Dal cielo alla terra per scoprire e percorrerere itinerari stupefacenti, come il nuovo Sentiero nazionale dell’Armenia, inaugurato nel 2024, un percorso di 1.000 chilometri che attraversa montagne, valli poco abitate e incantevoli villaggi, dove tra soste colte e naturali si può gustare il khorovats alla brace (una sorta di spiedini di maiale o agnello) e trovare accoglienti soste per campeggiare. Un’alternativa per esplorare le 10 regioni è noleggiare un’auto e avventurarsi fuori dalle rotte turistiche più battute su strade per lo più ben tenute. A sud della capitale si snodano antichi percorsi della Via della Seta, con caravanserragli e terre selvagge fino al passo di Meghri, vicino al confine iraniano.

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Un’altra opzione è visitare le città che si affacciano sul gigantesco canyon di Debed, dove le donne del posto insegnano a preparare la gata, dolce tradizionale ripieno. Nutriente e delizioso. Ancora adrenalina e natura scegliendo di “volare” sul canyon del fiume Vorotan a bordo della funivia più lunga del mondo, la Wings of Tatev (5,7 km) che sembra sfidare la gravità, oppure sopra il lago Sevan, il più grande del paese, “la perla blu” dell’Armenia per il colore turchese acceso della sua acqua. Per gli amanti delle emozioni forti, le zipline di Byurakan e Kapan offrono panorami spettacolari su vette e valli, mentre gli appassionati di sport acquatici possono spingersi con il rafting nel canyon di Debed. I paesaggi armeni offrono un caleidoscopio di luci cangianti anche a chi rimane con i piedi per terra: per esempio, al Parco Nazionale di Dilijan, ci sono sentieri incantevoli immersi nei boschi dai mille colori, con viste mozzafiato sui laghi di Parz e Gosh. La regione di Lori è un’altra zona popolare per chi ama immergersi in boschi rigogliosi colorati di rosso, giallo, arancione sfumature struggenti in questa stagione che precede l’inverno; il Dendropark di Stepanavan ospita oltre 500 specie vegetali che durante la stagione autunnale meritano particolarmente di essere viste. Gli itinerari on the road verso Jermuk, la località termale più importante dell’Armenia, svelano cascate, valli e angoli incontaminati. Volendo si possono fare anche cure termali con le loro acque minerali preziose e terapeutiche.

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Per gli amanti dell’arrampicata, il canyon di Noravank è il luogo migliore per cimentarsi ammirando panorami straordinari. I ciclisti invece possono divertirsi al Boo Mountain Bike Park, a Vanadzor, a nord della capitale.  Dallo sport al gusto il passo è breve. O meglio, meritato. Dopo tanta attività fisica ci si può ricaricare con piatti e bevande di ottima qualità, a cominciare dal Lavash, il pane cotto nelle pareti del forno interrato (tonir), sottile e profumato, straordinario da entrare a far parte del Patrimonio immateriale dell’Unesco. Da gustare riempiendolo di formaggi, erbe spontanee e carne ad ogni giorno del giorno.  Girovagando per la capitale, Yerevan, si incontranto enoteche, bar e ristoranti ottimi per degustare piatti tradizionali ed eccellenti succhi di rosa canina, melograno, pesche e albicocche di cui l’Armenia è fertile produttrice.

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Ma anche tisane benefiche con piante officinali raccolte in montagna, dal tiglio al timo selvatico da addolcire, volendo, con il miele locale. Non sono da meno i vini che stanno crescendo molto, conquistando attenzioni internazionali sulla scena enologica. Da approfondire, avendo qualche giorno in più, andando a visitare una delle cantine fuori città, dove apprezzare una bottiglia (o anche due), un tagliere di formaggi, musica live davanti ai vigneti al tramonto. Da far invidia al Chianti o alla Borgogna. Fra queste da segnalare la cantina Old Bridge, nella zona di coltivazione dell’Areni, il vitigno simbolo del vino armeno, che oltre a produrre rosso, bianco e un rosato da meditazione, offrono una cucina di casa (firmata dalla mamma) che vale la sosta. Accanto a 4 camere-boutique. Tra i piatti tipici spicca il ghapama, una zucca cucinata in forno, ripiena di riso, frutta secca, miele e burro, tipica delle festività autunnali. Le cantine più piccole, durante il periodo della vendemmia, spesso cercano aiuto: ed è anche possibile partecipare alla raccolta dell’uva per entrare nello spirito più autentico e gioioso dell’autunno del “popolo dell’Ararat”.

 

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L’importanza del ‘Corridoio di Trump’ per l’Asia centrale (Asianews 10.10.25)

I contestati 40 chilometri tra i confini azerbaigiani e l’enclave di Nakhičevan attraverso il territorio armeno hanno unìimportanza fondamentale per tutta la regione. Il Corridoio non si limiterà a riunire i territori azerbaigiani attraverso l’Armenia, ma permetterà di abbreviare significativamente tutto l’itinerario eurasiatico e del Corridoio Transcaspico, indispensabile per i trasporti che devono evitare le sanzioni contro la Russia.

Baku (AsiaNews) – Lo scorso 8 agosto i leader di Armenia e Azerbaigian, Nikol Pašinyan e Ilham Aliev, hanno firmato a Washington un documento per la “parafinazzione”, intendendo il perfezionamento dell’accordo di pace tra i due Paesi, che ancora deve essere firmato. Il contenuto principale riguarda in realtà l’apertura del “Corridoio di Zangezur”, un termine indigesto per gli armeni essendo di origine azera, per indicare il transito tra i confini azerbaigiani e l’enclave di Nakhičevan attraverso il territorio armeno. Pašinyan preferisce chiamarlo “Corridoio per la Pace e lo Sviluppo” (Tripp), e per intendersi è stato ormai definito come il “Corridoio di Trump”, la cui riattivazione dovrebbe essere coordinata da imprenditori americani.

Un tratto di strada di poco più di 40 chilometri potrebbe quindi cambiare definitivamente il quadro delle relazioni non solo tra i due Paesi in conflitto secolare ai confini dell’Europa, e dei rapporti tra cristiani e musulmani, ma anche di tutti i territori del Caucaso e dell’Asia centrale, fino alle rotte verso il Medio Oriente e il Mediterraneo, meritandosi un’ulteriore definizione come “Corridoio dell’Eurasia”, come affermano gli esperti interpellati da Azattyk Asia. Gli autisti dei trasporti commerciali del Kirghizistan, impazienti di poter attraversare la tratta che congiunge alle destinazioni necessarie, raccontano di aver imparato alcune parole cinesi per comunicare attraverso tutte le latitudini da oriente a occidente.

L’autostrada in costruzione intorno al paese kirghiso di Koš-Dobo attraverserà infatti il Kirghizistan e l’Uzbekistan per dirigersi verso il Turkmenistan, in parallelo a quella già aperta in Kazakistan, e a dirigere i lavori sono gli ingegneri della Cina. Attraverso il mar Caspio, i carichi giungeranno in Azerbaigian sulle navi, e quindi dovranno essere indirizzati verso Turchia ed Europa attraverso il Corridoio di Trump. Lo stesso presidente dell’Uzbekistan, Šavkat Mirziyoyev, ha dichiarato a New York, durante l’incontro con il presidente americano, che la fine del conflitto tra Armenia e Azerbaigian con la mediazione degli Usa ha “un’importanza cruciale per tutta l’Asia centrale”, una regione che non ha accesso al mare.

Le infrastrutture del Corridoio, terminale del più grandioso “Corridoio di Mezzo” tra l’Asia e l’Europa e del progetto cinese della Belt & Road Initiative, prevedono una tratta ferroviaria per grandi trasporti, condutture per il gas e il petrolio e linee in fibra ottica. L’Armenia ha accettato di concedere agli americani il diritto esclusivo per lo sviluppo del Corridoio per i prossimi 99 anni, compresi gli appalti per la posa delle comunicazioni. Il Tripp non si limiterà a riunire i territori azerbaigiani attraverso l’Armenia, ma permetterà di abbreviare significativamente tutto l’itinerario eurasiatico e del Corridoio Transcaspico, indispensabile per i trasporti che devono evitare le sanzioni contro la Russia.

Come spiega Nicola P. Contessi, specialista di affari internazionali all’Asia Pacific Foundation of Canada, “il potenziale influsso del Tripp dal punto di vista geopolitico può davvero essere colossale”, con gli Usa che di fatto emarginano la Russia come principale agente nel Caucaso, diventando garanti della stabilità politica e ottenendo un avamposto fondamentale verso il mar Caspio, chiave del commercio di gas e petrolio, e vigilando direttamente sui confini dell’Iran. Con la realizzazione del Corridoio di Trump, la pressione su Teheran diventerà sempre più forte, sottoponendo ogni sua iniziativa ad una capillare verifica.

Secondo Contessi, “il grande vincitore sarà comunque la Turchia, agendo da dietro le quinte”, unendo in una stretta alleanza politico-economica Ankara con Baku, e acquistando un ruolo ancora più significativo nell’ambito della Nato, come anello di congiunzione tra regioni e continenti, mettendo a frutto la sua limitata “bi-continentalità”, finora appannaggio esclusivo della Russia. Invece dei 250 chilometri attraverso l’Azerbaigian e la Georgia, il Corridoio si immette direttamente sul territorio turco, abbreviando di 12-15 ore i tempi dei trasporti, avvicinando sempre di più le sponde dell’Oriente e dell’Occidente in una nuova prospettiva di Eurasia meridionale, il vero “grande Sud” rispetto al Nord delle aggressioni della Russia.

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Armenia. L’ex presidente Robert Kocharyan ritorna in politica (Notiziegeopolitiche 10.10.25)

Il 6 ottobre Robert Kocharyan, presidente armeno dal 1998 al 2008, ha annunciato l’intenzione di partecipare alle prossime elezioni parlamentari, il cui svolgimento è previsto per giugno 2026. Al momento, l’ex presidente della Repubblica si trova alla guida di Alleanza Armena, un blocco politico d’opposizione fondato nel 2021 attraverso l’accorpamento di tre partiti, ovvero la Federazione Rivoluzionaria Armena (ARF), Armenia Rinata e Unica Armenia. Stando alle parole di Kocharyan, l’attuale primo ministro Nikol Pashinyan e il suo partito Contratto Civile non avrebbero alcuna possibilità di vincere le prossime tornate elettorali, in quanto sgraditi dall’opinione pubblica domestica.
L’ex capo di Stato è particolarmente critico nei confronti della linea filoccidentale che caratterizza l’attuale governo in carica, deciso ad abbandonare l’alleanza con il Cremlino in favore dell’integrazione euroatlantica. Secondo Kocharyan infatti Erevan non avrebbe alcuna speranza di entrare nell’Unione Europea, dalla quale difficilmente potrebbe ottenere benefici. Pertanto il leader di Alleanza Armena propone il miglioramento dei rapporti con Mosca, la quale è stata garante della sicurezza armena fino a pochi anni or sono. Inoltre, l’opposizione accusa Pashinyan di pusillanimità, interpretando le concessioni fatte all’Azerbaigian come una scellerata politica di appeasement.
Kocharyan intende quindi cavalcare il patriottismo armeno, stimolato dalla tragica perdita del Nagorno Karabakh, proponendo una politica estera russofila e più attenta alla sicurezza nazionale. Tuttavia, un eventuale ritorno al potere non sarà affatto facile: in effetti, la sua presidenza si distinse per l’autoritarismo e la corruzione dilagante, che rendono inviso tale politico agli occhi di molti concittadini.

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