Il Primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha dichiarato domenica (28 gennaio) di aver proposto all’Azerbaigian la firma di un patto di non aggressione, in attesa di un trattato di pace definitivo tra i due Paesi del Caucaso.
Erevan e Baku hanno combattuto due guerre – nel 2020 e negli anni ’90 – per la regione contesa del Nagorno-Karabakh, che l’Azerbaigian ha riconquistato con un’offensiva lampo lo scorso anno.
“Abbiamo presentato all’Azerbaigian una proposta per un meccanismo di controllo reciproco degli armamenti e la sottoscrizione di un patto di non aggressione qualora la firma di un trattato di pace dovesse subire ritardi”, ha dichiarato Pashinyan in un discorso tenuto durante un evento di celebrazione della Giornata dell’esercito armeno.
Ha inoltre affermato che l’Armenia – un alleato di lunga data della Russia che ha espresso il timore di mosse militari azere contro il suo territorio – deve rivedere i suoi sistemi di sicurezza.
Il presidente Ilham Aliyev, vittorioso, ha dichiarato di aver realizzato un “sogno azero” lungo decenni, riconquistando il Nagorno-Karabakh dai separatisti di etnia armena. Ieri, domenica 15 ottobre, ha issato la bandiera del suo Paese nella città principale della regione.
Vestito …
“Dobbiamo riconsiderare il nostro pensiero strategico nella sfera della sicurezza e diversificare le nostre relazioni (internazionali) in questo ambito”, ha detto Pashinyan.
“Siamo pronti ad acquistare armi nuove e moderne e negli ultimi anni il governo ha firmato contratti per la fornitura di armi per miliardi di dollari”, ha aggiunto.
L’Azerbaigian ha negato di avere rivendicazioni territoriali nei confronti dell’Armenia e ha escluso un nuovo conflitto con l’ex repubblica sovietica.
In precedenza, Pashinyan e il Presidente azero Ilham Aliyev avevano dichiarato che un accordo di pace avrebbe potuto essere firmato entro la fine dello scorso anno.
Ma i colloqui di pace condotti con la mediazione internazionale non hanno finora prodotto passi avanti.
Colloqui di pace in stallo
Il mese scorso, Armenia e Azerbaigian si sono scambiati i prigionieri di guerra, un primo passo verso la normalizzazione delle relazioni.
L’Unione Europea, gli Stati Uniti e le potenze regionali Turchia e Russia hanno salutato la mossa come una “svolta”.
Lo scambio di prigionieri ha alimentato le speranze di una ripresa dei colloqui faccia a faccia tra Pashinyan e Aliyev.
I due si sono incontrati più volte per colloqui di normalizzazione mediati dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel.
L’Iran ha ospitato lunedì (23 ottobre) l’incontro tra i ministri degli Esteri di Azerbaigian, Armenia, Turchia, Russia per discutere la situazione nella regione meridionale del Caucaso dopo la guerra lampo condotto da Baku nella regione del Nagorno-Karabakh che ha riportato …
Il tradizionale mediatore regionale, la Russia, impantanata nell’offensiva che sta trascinando in Ucraina, ha visto diminuire la sua influenza nel Caucaso.
Aliyev ha inviato truppe in Karabakh il 19 settembre 2023 e, dopo un solo giorno di combattimenti, i separatisti armeni – che controllavano la regione da tre decenni – si sono arresi e hanno accettato di reintegrarsi con Baku.
A dicembre, però, il leader separatista Samvel Shahramanyan ha dichiarato a Erevan che il suo precedente decreto che ordinava lo scioglimento delle istituzioni separatiste non era valido.
Quasi tutta la popolazione di etnia armena – più di 100.000 persone – è fuggita dal Karabakh verso l’Armenia dopo la presa di potere di Baku, scatenando una crisi di rifugiati.
La vittoria dell’Azerbaigian a settembre ha segnato la fine della disputa territoriale, a lungo considerata irrisolvibile.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-29 17:47:492024-01-30 17:49:42Patto di non aggressione tra Armenia e Azerbaigian, la proposta del premier armeno (Euroactiv 29.01.24)
Come abbiamo riferito (Dura condanna dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa per l’Azerbajgian[QUI]), l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) ha deciso lo scorso 24 gennaio di non ratificare le credenziali della delegazione dell’Azerbajgian. Nel contempo abbiamo osservato che si trattava di una questione tra l’Azerbajgian e il Consiglio d’Europa, con cui non c’entra l’Armenia. Significativo era, che nessuno dei parlamentari Armeni sia intervenuto nel dibattito e che peraltro l’Armenia non viene neanche menzionata, quando si parla dei “promotori”.
Questo, ovviamente, non ha impedito all’organo di propaganda statale dell’Azerbajgian, Azertac, il giorno seguente affermare, che «le recenti iniziative ostili dell’Armenia contro l’Azerbajgian nell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) hanno dimostrato ancora una volta che questo Paese non è interessato alla pace e al dialogo». Azertac aggiungeva ad abundantiam alla sua fake news la calunnia, che la delegazione dell’Armenia «guidava gli sforzi per bloccare l’approvazione delle credenziali della delegazione dell’Azerbajgian presso l’APCE», mentre i parlamentari armeni non sono neanche intervenuti nel dibattito il 24 gennaio. Poi Azertac sottolineava che la delegazione dell’Armenia era «guidata da Ruben Rubinyan, Vicepresidente del Parlamento armeno e figura chiave nel processo di normalizzazione dell’Armenia-Turchia». Questo, per poter rafforzare la calunnia con la menzogna: «Nonostante il discorso pubblico di Rubinyan a favore della pace e del dialogo, il suo recente coinvolgimento in questa campagna brutta e insidiosa rivela che i suoi appelli alla pace e al dialogo nella regione mancano di sincerità».
In sostegno della nostra osservazione, affermando l’estraneità dell’Armenia in riferimento al conflitto APCE-Azerbajgian, riferiamo che in un’intervista con Radar Armenia, alla domanda se ciò non è «forse un altro vicolo cieco dal punto di vista della continuazione dei negoziati armeno-azerbajgiani sulle piattaforme occidentali», lo studioso Shahan Gantaharyan ha risposto: «La decisione dell’APCE e le decisioni che verranno ancora dall’Europa non sono necessariamente dovute ai negoziati Armenia-Azerbajgian. Quanto più si approfondirà la cooperazione Baku-Mosca, tanto più forti saranno le dichiarazioni e le risoluzioni dell’Europa».
Questo certamente non vuol dire che l’Azerbajgian non continua a minacciare l’esistenza stessa dell’Armenia. Anzi, il rafforzamento della cooperazione Baku-Mosca, insieme a quella Baku-Teheran e Baku-Tel Aviv, la aggrava e quindi obbliga Yerevan a «seguire la strada dell’acquisizione di armi e attrezzature nuove e moderne», come ha affermato il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, partecipando ieri 28 gennaio 2024 all’evento festivo dedicato al 32° anniversario della formazione dell’Esercito della Repubblica di Armenia presso il complesso di concerti sportivi Karen Demirchyan a Yerevan.
Erano presenti anche il Presidente della Repubblica, Vahagn Khachaturyan, il Presidente dell’Assemblea Nazionale, Alen Simonyan, rappresentanti del potere legislativo, esecutivo, giudiziario e delle autonomie locali, le più alte cariche della Repubblica di Armenia, il Ministro della Difesa, i Vice Ministri, generali, ufficiali e militari, e gli Ambasciatori accreditati a Yerevan. All’inizio dell’evento è stato suonato l’inno nazionale della Repubblica di Armenia, dopodiché è stato osservato un minuto di silenzio in memoria degli Armeni che hanno sacrificato la propria vita per il bene della Patria.
Il Primo Ministro Pashinyan ha tenuto un discorso (foto di copertina), iniziando con l’affermazione che il ricordo del 32° anniversario della formazione dell’Esercito della Repubblica di Armenia «è il momento di riflettere di più, di affrontare i problemi che abbiamo nel campo della costruzione e della sicurezza dell’esercito, e anche i fallimenti. Questo confronto ci costringe a constatare che non possiamo continuare ad avere un esercito basato su standard e concetti antiquati degli affari militari, perché ciò significherebbe mettere in discussione la nostra volontà di avere uno Stato».
Nel suo discorso Pashinyan ha assicurato che l’Armenia ha offerto all’Azerbajgian diversi meccanismi di garanzia della sicurezza, tra cui un ritiro speculare delle truppe dall’allora confine amministrativo tra la Repubblica Socialista Sovietica di Armenia e la Repubblica Socialista Sovietica azera nel 1991, confine alla base della reciproca integrità territoriale.
Secondo Pashinyan, il ritiro speculare delle truppe renderà possibile che tutti i territori della RSS azera siano sotto il controllo dell’Azerbajgian e tutti i territori della RSS armena sotto il controllo dell’Armenia: «Registro ancora una volta che la Repubblica di Armenia non ha alcun diritto su nessun territorio diverso dal suo territorio sovrano e nessuno dovrebbe avere alcun diritto su alcun territorio della Repubblica di Armenia. Come ho detto, siamo pronti a dare tali garanzie, garanzie durature e irreversibili, ma ci aspettiamo garanzie simili da altri».
Inoltre, Pashinyan ha ricordato che l’Armenia ha offerto all’Azerbajgian, nell’ambito della smilitarizzazione del confine, anche un meccanismo di controllo reciproco degli armamenti. Pashinyan ha annunciato anche, che l’Armenia ha offerto all’Azerbajgian di firmare un patto di non aggressione, se dovesse risultare che la firma del trattato di pace richiederà più tempo del previsto. Infine, ha ricordato ancora una volta che la Repubblica di Armenia è impegnata nell’agenda di pace e non si discosterà da tale agenda.
Pashinyan ha affermato che le idee radicate sui sistemi di sicurezza hanno giocato un gioco disastroso nelle teste, invitando a rivedere le idee strategiche e concludendo che non c’è altra opzione per la Repubblica di Armenia se non la diversificazione delle relazioni di sicurezza: «Riformare l’esercito, avere un esercito forte e pronto al combattimento è un diritto sovrano di ogni Paese e continueremo a seguire questa strada. Un esercito forte e capace è uno dei fattori più importanti che garantiscono la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza della Repubblica di Armenia, ma non è l’unico fattore. Dal punto di vista della garanzia della sicurezza, vorrei sottolineare altri due fattori chiave: le relazioni estere e la legittimità delle politiche condotte dal punto di vista del diritto internazionale. La legittimità, secondo questo, dovrebbe essere il fattore più importante per garantire la sicurezza esterna dell’Armenia. Cosa voglio dire? Che la Repubblica di Armenia si identifichi con il territorio nel quale è stata riconosciuta dalla comunità internazionale. È il territorio della RSS armena, che è identico al territorio sovrano della Repubblica di Armenia. Dobbiamo affermare in modo chiaro e inequivocabile che non abbiamo e non avremo alcuna ambizione per nessun altro territorio, e questa dovrebbe diventare la base strategica per garantire la sicurezza esterna dell’Armenia», ha chiarito Pashinyan.
Il Primo Ministro armeno ha fatto anche riferimento ad «una serie di dichiarazioni aggressive provenienti da diverse parti, e in particolare dall’Azerbajgian, relative alla riforma dell’esercito della Repubblica di Armenia e all’acquisizione di armi ed equipaggiamento»: «Ho già detto che avere un esercito forte e pronto al combattimento è un diritto sovrano di ogni Paese e nessuno può mettere in discussione il nostro diritto. Se qualcuno mette in dubbio questo nostro diritto, mette in dubbio il nostro diritto di esistere. In questo caso, non avremo altra scelta che difendere la nostra statualità, la nostra indipendenza, la nostra integrità territoriale con tutti i mezzi possibili e impossibili», ha sottolineato.
Onore ai Senatori francesi
Partecipando all’evento dedicato alla formazione dell’Esercito della Repubblica di Armenia, l’Ambasciatore della Francia in Armenia, Olivier Decotigny, ha dichiarato: «L’Armenia deve essere in grado di proteggere la sua sovranità e la sua popolazione. La Francia riprende le sue relazioni di difesa con l’Armenia e sviluppa una vicinanza strategica tra i nostri due Paesi».
Con questa sua dichiarazione, l’Ambasciatore francese ha fatto eco ai Senatori del suo Paese, che con una risoluzione adottata all’unanimità (336 voti contro 1) ha invitato il Governo ad adottare sanzioni contro l’Azerbajgian per la condotta anti-umanitaria tenuta con la guerra contro l’Armenia e in disprezzo del popolo dell’Artsakh, mentre l’Italia sta con l’Azerbalgian, osserva Bruno Scapini in un articolo Nagorno Karabakh. Una risoluzione del Senato francese tutta da imitare, pubblicato lo scorso 27 gennaio su Tempi.it[QUI].
Bruno Scapini, ex Ambasciatore dell’Italia in Armenia, riconosce il «merito ai Senatori francesi per questa loro coraggiosa posizione assunta a difesa del popolo armeno. Non sempre, infatti, si può barattare il diritto con l’interesse economico e l’etica col proprio tornaconto; e in questa prospettiva sarebbe proprio auspicabile che si potesse vedere un comportamento simile da parte dei senatori italiani ormai assuefattisi alla subalternità verso chi detta loro le regole per come comportarsi. Ma i Francesi sanno fare le rivoluzioni, lo sappiamo, e quando le fanno, le fanno in nome dei diritti!».
Invece, osserva Bruno Scapini: «Non c’è dubbio. In Italia esiste una certa vasta area della politica conformista che stenta a riconoscere e ad accettare i dettami dell’etica. Il che, tradotto in termini comportamentali, vuol dire che questi suoi esponenti pensano e agiscono in ossequio ai propri interessi e in disprezzo di ogni senso di moralità. La prova di tale deprecabile costume la rinveniamo d’altronde nella quotidianità della vita politica, nei fatti più effimeri, come in quelli che richiederebbero un esercizio di valutazione etica. Un esempio? Il voltafaccia che autorevoli esponenti del mondo politico italiano hanno adottato nei confronti dell’Armenia e del suo popolo vittima, e non lo dimentichiamo, del primo genocidio del XX secolo. Un genocidio che purtroppo perdura tuttora per mano azera anche se sotto forme diverse e con modalità differenti».
Bruno Scapini sottolinea inoltre, che «non appena la classe politica dell’ultima ora (che sia di destra o di sinistra è del tutto ininfluente) ha scoperto – sotto l’influsso delle varie emergenze e crisi energetiche – che il Paese dell’Arca di Noè non aveva nulla da offrire in cambio di questa amicizia (non disponendo di combustibili fossili), contrariamente, invece, al suo vicino di casa, l’Azerbagijan, scopertosi un giorno a galleggiare su ricchi giacimenti di petrolio e di gas», «tutto è cambiato da parte italiana», «è intervenuto il radicale cambiamento nei rapporti bilaterali» e «Italia non più equidistante»: «Se prima Roma adottava una prudenziale linea di equidistanza rispetto a Yerevan e a Baku – sollecitata peraltro dall’interesse a garantire un sostanziale equilibrio all’area caucasica, anche nell’ottica di mitigare le tensioni più che trentennali tra i due Paesi – oggi la nostra Capitale non fa mistero della propria simpatia per Baku, e anzi se ne compiace rinnegando, con proditoria inversione di tendenza, perfino verità storiche innegabili. Così Roma si ritrova oggi improvvisamente schierata dalla parte dell’Azerbaigian, ne esalta il diritto alla integrità territoriale e ne riconosce addirittura la democraticità delle istituzioni. Per contro, da parte di queste stesse forze politiche non si ammettono le gravissime violazioni dei diritti umani, le torture e gli eccidi commessi dagli azeri ai danni degli armeni, né il diritto del popolo del Karabagh, peraltro consacrato da fondamentali normative internazionali, ad aspirare ad una indipendenza peraltro resa legittima dalla legge n. 13 del Soviet Supremo del 1990 sulla secessione delle Repubbliche sovietiche e delle loro entità sub-statuali (leggi nel caso: Nagorno-Karabagh)».
La condotta anti-giuridica di Baku, deplorata dai Senatori francesi all’unanimità, è stata condannata, come abbiamo appena ricordato, anche dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa nel sospendere le credenziali della delegazione dell’Azerbajgian sulla base delle medesime sostanziali motivazioni: la violazione dei diritti umani e la mancanza di rispetto dello Stato di diritto da parte dell’Azerbajgian.
Bruno Scapini conclude, che la «difesa ad oltranza, e contro ogni evidenza, della riprovevole condotta di Baku svolta da alcuni circoli politici della Capitale – che porrebbe il nostro Paese fuori dal circolo delle Nazioni a più alto indice di civiltà giuridica – non potrebbe trovare altra giustificazione se non nell’abitudine di certe comparse della politica nostrana ad esaltare cinicamente il “mercimonio” come strumento dell’azione, relegando invece a mera scelta opzionale il ricorso a condotte informate all’etica, alla morale e al rispetto di quel nucleo di superiori norme universali che conosciamo come Jus Gentium. In aggiunta, è anche da sottolineare sul tema, come la stessa Corte di Giustizia Internazionale abbia ritenuto di riconoscere con ordinanza del 17 novembre scorso la responsabilità di Baku per la negazione al popolo armeno del Karabagh di diritti fondamentali. Al di là del principio di integrità territoriale – seppure citato dalla Corte in riferimento a zone occupate ma di cui era prevista da parte armena la restituzione in sede di negoziato – i giudici dell’Aja hanno condannato apertamente l’atteggiamento persecutorio di Baku richiamando la sua dirigenza al rispetto del Diritto umanitario».
Non è stata girata l’ultima pagina dell’Artsakh armeno
Contrariamente a quello che si pensa – ed alcuni sperano – l’ultima pagina dell’Artsakh armeno non è stata girata con l’attacco terroristico dell’Azerbajgian del 19-20 settembre 2023 e il successivo sfollamento forzato di tutta la sua popolazione.
In un messaggio in occasione della 32ª Giornata dell’Esercito dell’Armenia, il Primate della Diocesi dell’Artsakh della Chiesa Apostolica Armena, il Vescovo Vrtanes Abrahamyan, ha affermato, che «a causa della nostra debolezza collettiva, oggi il nostro Esercito è ferito ed è in fase di recupero»: «Ancora una volta celebriamo insieme la festa dell’esercito armeno, anche se non in un clima di festa e con piena gioia. Gli ultimi anni sono stati piuttosto difficili per l’esercito armeno e nel 2023 ha perso il suo figlio maggiore, l’Esercito di difesa dell’Artsakh. Quando guardiamo al nostro passato e cerchiamo di rivalutare la nostra rotta, sarebbe sciocco attribuire le nostre perdite e gli ultimi fallimenti della lotta nazionale solo ai nostri difensori nativi, perché l’esercito è lo specchio del popolo e mostra visibilmente la salute livello del nostro paese e della nostra statualità.
Durante le ultime guerre dell’Artsakh, abbiamo assistito a molte imprese straordinarie di soldati e ufficiali dell’esercito armeno. Ciò significherà che il potenziale del nostro esercito e la capacità di combattere coraggiosamente non sono andati perduti, ma a causa della nostra debolezza collettiva, oggi il nostro esercito è ferito ed è in fase di recupero. Pertanto, carissimi, oggi più che mai l’esercito armeno ha bisogno del nostro amore e delle nostre cure sincere.
Credendo in un futuro dignitoso e vittorioso del nostro glorioso Esercito, ci congratuliamo ancora una volta con tutti noi in occasione di questa importante festività e preghiamo affinché Dio Onnipotente rafforzi il braccio dell’esercito armeno e mantenga saldo il nostro Paese armeno».
Il 27 e 28 gennaio, su iniziativa della piattaforma Europei per l’Artsakh, si sono svolti diversi eventi in 55 città europee, tra cui una manifestazione davanti all’ufficio di rappresentanza dell’Unione Europea a Tbilisi, per iniziativa dell’Unione degli Armeni della Georgia. I partecipanti alla manifestazione hanno presentato le loro rivendicazioni, che sono state indicate sui manifesti, che sono state inviate anche sotto forma di lettera alla rappresentanza dell’Unione Europea. È stato letto anche il messaggio delle fazioni dell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Artsakh ai partecipanti all’evento, che è la prova che l’ultima pagina della Repubblica di Artsakh non è stata chiusa e che la lotta per l’Artsakh libero e indipendente continua.
Nella Sala Montelupo di Domagnano, l’incontro “Armenia e Artsakh”, proposto dal Coordinamento delle Aggregazioni Laicali di San Marino. “Dopo aver vissuto tremila anni in questa terra – spiega Teresa Mykhtaryan dell’associazione “Germoglio” -, gli Armeni sono stati cacciati via dai Turchi, da Turchia e Azerbajgian”. Lo scopo della serata è accendere i riflettori sulla situazione in Nagorno-Karabakh, terra che 120mila Armeni sono stati costretti a lasciare. Una serata di ascolto e testimonianza con il giornalista Renato Farina, esperto della materia, e Teresa Mykhtaryan, responsabile Armena dell’associazione “Germoglio”. “Ci sono centinaia di monasteri e chiese che rischiano di essere distrutti dai Turchi”, aggiunge Mykhtaryan. Da San Marino, da sempre attenta alle difficoltà degli altri popoli, partono progetti per aiutare gli Armeni dell’Artsakh: a portarli avanti l’associazione “Germoglio”. “Cercheremo di aiutare famiglia per famiglia – conclude Mykhtaryan – per farli sentire meno soli. Vorrei che la gente giusta e i Cristiani del mondo aiutassero gli Armeni a tornare nella loro terra, l’Artsakh”.
L’intenzione dell’Azerbajgian di ritirarsi dal Consiglio d’Europa ricorda il ritiro nazista dalla Società delle Nazioni
L’Unione Pan-Armena Gardman-Shirvan-Nakhichevan, un’organizzazione composta da rappresentanti degli Armeni delle storiche regioni armene Gardman, Shirvan e Nakhichevan, ha invitato le organizzazioni internazionali a contrastare la crescita del “fascismo azerbajgiano” per prevenire tragedie future.
L’organizzazione ha rilasciato la dichiarazione in risposta all’intenzione dell’Azerbaigian di ritirarsi dal Consiglio d’Europa dopo la sospensione della sua delegazione all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE).
«Gli ultimi sviluppi nell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, la sospensione della delegazione azera sulla base di numerose violazioni e inadempimento degli obblighi fondamentali derivanti dalla sua appartenenza all’organizzazione, nonché il continuo disprezzo delle decisioni del Consiglio d’Europa, hanno causato profondo malcontento in Azerbajgian», ha dichiarato in un comunicato l’Unione Pan-Armena Gardman-Shirvan-Nakhijevan.
«Non volendo affrontare i crimini del regime azero, i circoli pro-regime azeri interpretano questa decisione dell’APCE con false accuse di islamofobia, azerbajgianofobia e altre interpretazioni ipocrite simili. Inoltre, come alternativa alla soluzione della questione, invece di impegnarsi per una giusta eliminazione delle conseguenze dei crimini perpetrati, l’Azerbajgian sta discutendo il suo ritiro non solo dall’APCE, ma anche dal Consiglio d’Europa. Inoltre, l’Azerbajgian potrebbe rifiutarsi di riconoscere la giurisdizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Tale condotta da parte dell’Azerbajgian non è altro che un sistematico disprezzo e negligenza per le relazioni politiche, le norme accettate e convenzionali delle relazioni internazionali che si sono sviluppate nel corso di molti decenni. Più di una volta l’Azerbajgian ha affermato ad alto livello che il diritto internazionale è un “residuo del passato” su cui possono fare affidamento solo gli Stati deboli. Il ritiro dalle organizzazioni internazionali, e persino il rifiuto di riconoscere la giurisdizione dei tribunali internazionali, confermano l’ideologia e la politica perseguita dalla dittatura azera, che mira a evitare di assumersi la responsabilità dei crimini contro l’umanità da essa perpetrati e anche a garantire la continuità della impunità per le sue future azioni espansionistiche. È interessante notare che tali misure furono adottate dai regimi nazista e fascista nel secolo scorso, in particolare, si ritirarono dall’allora Lega delle Nazioni per evitare anche qualsiasi fattore formale che limitasse le loro azioni criminali. L’Unione Pan-Armena Gardman-Shirvan-Nakhijevan chiede alle organizzazioni internazionali di non consentire la diffusione del fascismo azerbajgiano e di prevenire tragedie future tenendone conto nella pratica, ricordando l’esperienza del passato».
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-29 17:44:042024-01-30 17:47:14L'Armenia ha il diritto di difendersi dalle aggressioni dell’Azerbajgian. Non è stata girata l’ultima pagina dell’Artsakh armeno (Korazym 29.01.24)
L’ attrice ha presentato il volume, che parla della sua famiglia, al Polo Bibliotecario di Potenza. La Regione Basilicata nel 2016 ha riconosciuto lo sterminio del popolo armeno come genocidio. Il nonno di Laura era riuscito a fuggire
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-29 17:42:102024-01-30 17:43:59Le radici armene di Laura Ephrikian in un libro (Rainews 29.01.24)
A partire dalla Stagione 2024-2025, la Sinfonica designa come suo Direttore Musicale uno dei più grandi talenti di una nuova generazione di direttori d’orchestra, il viennese Emmanuel Tjeknavorian, classe 1995.
Una scelta coraggiosa, ma non avventata quella di questa importante Orchestra milanese. Credere nei giovani significa infatti darsi l’opportunità di crescere, avanzare. E dare alla città un’ulteriore possibilità di sviluppare turismo culturale internazionale.
In conferenza stampa Emmanuel Tjeknavorian appare subito come un giovane brillante, appassionato, preparato, aperto. Ha radici armene e viennesi.
Se il sangue è armeno, quindi focoso e appassionato, molto vicino al temperamento italico, come musicista si sente viennese poiché Vienna e la musica sono indissociabili ci dice. Basti pensare a Gluck, Mozart, Haydn, Beethoven, Schubert, Brahms, Bruckner, Mahler, Schoenberg e tanti altri, viennesi di nascita o adozione.
Ha iniziato come violinista, per poi avvicinarsi alla carriera di direttore d’orchestra, come suo padre, il suo primo maestro.
Risponde alle domande dei giornalisti in italiano, lingua che sta studiando, in inglese, lingua che padroneggia, tedesco madrelingua, ed anche in armeno a chi, dalla comunità armena, gli augura il benvenuto a Milano, città in cui lui si sente a suo agio.
A chi gli domanda se fare musica nella città della Scala non lo intimorisca, risponde sereno: non dobbiamo avere competitori musicisti, solo colleghi e talvolta amici. Ha infatti il desiderio di creare una grande comunità di giovani e non, amanti della musica.
La musica infatti, come l’amore non ha età. Per questo considera importanti tutti i media, anche i social o le affissioni che fanno conoscere eventi musicali.
Lui stesso è comunicatore musicale. Conduce infatti dal 2017 il suo programma radiofonico mensile “Der Klassik-Tjek” su Radio Klassik Stephansdom, in cui parla con personaggi noti della loro passione condivisa per la musica classica.
Lo vedremo presto sul palco dell’Auditorium di Milano con un programma costituito dalla Faust-Ouvertüre e Prelude und Liebestod da Tristan und Isolde di Richard Wagner e la Suite dal Rosenkavalier e Till Eulenspiegels lustige Streiche di Richard Strauss, venerdì 16 (ore 20) e domenica 18 febbraio 2024 (ore 16), con l’Orchestra Sinfonica di Milano, per l’appuntamento della Stagione Sinfonica intitolato “Amore in musica”. Sabato 17 febbraio invece proporrà un programma boemo dedicato a Bedřich Smetana (Vltava da Má Vlast) e Antonin Dvořàk (Sinfonia n. 8 in Sol maggiore), insieme all’Orchestra Sinfonica Giovanile di Milano.
I suoi debutti nelle principali orchestre internazionali
Nella scorsa stagione Emmanuel Tjeknavorian ha debuttato come direttore con la Filarmonica della Scala, la Radio-Sinfonieorchester di Berlino, l’Orchestra Sinfonica della Radio di Francoforte, la Gürzenich Orchester di Colonia, la Royal Stockholm Philharmonic, l’Orchestra Sinfonica di Milano, l’Orchestre de Chambre de Paris e l’Orquesta Sinfónica de RTVE di Madrid. Inoltre, ha diretto una celebre produzione semi-scenica di Die Fledermaus al Musikverein di Graz con l’Orchestra Sinfonica della Radio ORF di Vienna, così come la Messa in Do maggiore di Beethoven con la Wiener Kammerorchester e la Wiener Singakademie nella prestigiosa Konzerthaus di Vienna.
La stagione in corso invece ha visto il suo debutto come direttore con l’Orchestra Sinfonica Nazionale Danese, la Dresdner Philharmonie, l’Orchestre National d’Île-de-France, l’Orchestra della Toscana, l’Orchestre Symphonique de Mulhouse e la Sinfonieorchester Liechtenstein. E il suo ritorno con i Wiener Symphoniker dopo il suo debutto di grande successo nella stagione 2022/23, con la Württembergisches Kammerorchester Heilbronn, i Grazer Philharmoniker, la Philharmonie Zuidnederland e, ovviamente, l’Orchestra Sinfonica di Milano.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-29 17:38:002024-01-30 17:39:10Chi è Emmanuel Tjeknavorian, il nuovo Direttore Musicale dell’Orchestra Sinfonica di Milano (2duerighe 29.01.24)
Dall’11 febbraio al 3 marzo 2024, Villa Pomini a Castellanza (VA) ospita tre mostre dedicate al fotoreportage che anticipano la 12esima edizione del Festival Fotografico Europeo, a cura di Claudio Argentiero, in scena dal 16 marzo al 25 aprile.
Le esposizioni – con le immagini di Roberto Travan, Giovanni Mereghetti, Reza Khatir e Ugo Panella – sono organizzate dall’Archivio Fotografico Italiano con il patrocinio del Comune di Castellanza, nell’ambito di Filosofarti – Festival di Filosofia. Le tematiche affrontate, dunque, anticipano e incontrano quelle del Festival Fotografico Europeo, la cui finalità è di “affondare lo sguardo oltre le apparenze per dare evidenza all’invisibile – dal punto di vista ecosistemico, sociale, culturale, etico e teologico, attraverso diverse forma di analisi e di espressione artistica – per costruire a livello comunitario forme di vita, di relazioni generative e antropiche”.
A Castellanza tre mostre dedicate al fotoreportage
Cosa significa vivere in un Paese da trent’anni in guerra? Quale futuro è possibile immaginare quando la pace è costantemente appesa a un filo? Quali possono essere i sogni, le speranze, i diritti di una comunità intimamente legata alla sua terra, alla sua cultura, a una storia millenaria?
Sono queste le domande a cui prova a dare risposta Roberto Travan attraverso il progetto intrapreso nel 2016 in Nagorno Karabakh, nel Caucaso meridionale. Provincia armena inglobata all’Azerbaijan da Stalin, all’uscita dell’Azerbaijan dall’URSS nel 1992 il Nagorno Karabakh proclama l’indipendenza. Inizia così un lungo conflitto che, tra scontri sanguinosi e fasi di quiescenza, ha provocato cinquantamila morti, più di un milione di sfollati e immense distruzioni. Fino al tragico epilogo, il 26 settembre 2023, quando l’Azerbaijan occupa ciò che resta del Karabakh costringendo oltre 100.000 persone a fuggire in Armenia.
Una situazione pressoché ignorata dalla comunità internazionale e dai media, che Roberto Travan ha voluto portare all’attenzione di tutti.
Tra le mostre dedicate al fotoreportage allestite a Villa Pomini c’è anche Iran, oltre il velo di Giovanni Mereghetti e Reza Khatir. Fra tradizioni religiose, imposizioni dall’alto, consuetudini millenarie, i due autori indagano l’uso del velo tra le donne iraniane, provando a scoprire quello che c’è dietro. Scrive infatti Giovanni Mereghetti: “Se gli occhi, come sostengono in molti, sono lo specchio dell’anima, attraverso la sottile fessura del niqab ci viene offerta un’opportunità. Quella di imparare a leggerli”.
Infine, in Ucraina, dalla parte dei bambini, Ugo Panella dà testimonianza delle condizioni in cui versa l’Ospedale Nazionale del Cancro di Kiev e della difficile quotidianità dei bambini affetti da patologie tumorali qui ricoverati. Una quotidianità aggravata dalla guerra. Mancano infatti gli antidolorifici, la sala operatoria non ha sempre a disposizione la tecnologia necessaria per affrontare operazioni complicate e i medici devono combattere con la paura delle bombe e dei missili che cadono molto vicino terrorizzando i bambini. Mentre la speranza di arrivare alla pace diventa sempre più flebile.
Info
Villa Pomini
Via Don Luigi Testori 14, Castellanza (VA)
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-29 17:34:222024-01-30 17:37:50Tre mostre dedicate al fotoreportage a Castellanza (VA) (Il Fotografo 29.01.24)
Erevan (AsiaNews) – Come ha affermato il noto politologo armeno Sergej Melkonyan, in un’intervista a Kommersant, l’idea di una nuova costituzione in Armenia, avanzata in questi giorni dal premier Nikol Pašinyan, dipende dalle pressioni dell’Azerbaigian, che insiste per “il rifiuto del revanscismo” da parte degli armeni. Gli azeri vedono infatti un ostacolo insormontabile nella Dichiarazione di indipendenza dell’Armenia, nel cui preambolo richiamato dalla costituzione si parla della “riunione tra l’Armenia e l’Artsakh”.
Secondo Melkonyan, la dirigenza di Erevan sarebbe disponibile a fare delle concessioni su questo punto, e l’esempio sarebbe proprio la modifica alla legge fondamentale, che Pašinyan presenta come necessaria per “costruire un nuovo Paese democratico”. In realtà, non ci sarebbero ragioni così evidenti per cambiare il testo, se non per le preoccupazioni di Baku, che vuole eliminare ogni appiglio per la riapertura del conflitto in Nagorno Karabakh.
Il problema, secondo il politologo e molti altri osservatori, è che l’accordo di pace tra i due Paesi caucasici è decisamente poco credibile, rimanendo ancora una forte tensione, che difficilmente potrà essere placata dalla firma di qualche carta. Come afferma Melkonyan, “ad Aliev l’accordo non serve, lui ha già ottenuto tutto quello che voleva, il Karabakh, il corridoio e le vie di comunicazione, Baku ormai ha il pieno controllo”.
La posizione di forza degli azeri è confermata in questi giorni anche da un episodio denunciato dall’ex-garante per i diritti umani dell’Armenia, Arman Tatoyan, che ha accusato l’Azerbaigian di volersi impadronire di un altro monumento della cultura armena. L’antica chiesa armena di Aričavank nella regione di Širakh, risalente al V secolo, è stata presentata da un canale tv di Baku come un monastero “turco-cristiano” di proprietà dell’Azerbaigian, che in realtà “non esisteva a quei tempi, tanto meno può avanzare diritti su chiese e monasteri”.
Secondo la versione di Baku, quella zona dell’Armenia è da considerare parte del cosiddetto “Azerbaigian occidentale”, in cui vengono inserite diverse zone di altri popoli, dagli armeni ai turchi e ai persiani. Secondo Tatoyan “il vero scopo di queste affermazioni è la totale occupazione dell’Armenia, all’interno della politica non solo anti-armena, ma anche anti-cristiana dell’Azerbaigian”. A queste condizioni, tutte le dichiarazioni sugli accordi di pace appaiono soltanto elementi di controllo sulla situazione generale della regione.
Il complesso monastico di Aričavank fu edificato a partire dal VII secolo fino al XIII, e viene considerato un gioiello dell’architettura medievale armena, con grande ricchezza di decorazioni e bassorilievi. La guerra tra Armenia e Azerbaigian continua a vari livelli, compreso quello dell’appropriazione dell’eredità culturale.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-29 17:22:472024-01-30 17:34:00La nuova costituzione armena e le tensioni con l’Azerbaigian (Asianews 29.01.24)
nella chiesa italiana di Santa Maria ad Istanbul una grande bandiera turca copre l’ingresso, all’interno qualcuno ha depositato dei fiori per terra nel punto in cui è caduto Tuncer Cihan, un cittadino turco di fede alevita che frequentava la parrocchia diretta da padre Anton che appartiene all’ordine dei Frati Minori Conventuali. Dalla porticina nera che dà sul giardino è un via vai di persone che vengono a portare una lacrima, un sorriso, una stretta di mano. Non sono solo cattolici ma anche alevi, curdi, atei. Di prima mattina è arrivato anche l’imam della moschea vicina, a dimostrazione che questa è una comunità molto aperta e variegata. «Queste cose non dovrebbero succedere qui, è un posto tranquillo, lo è sempre stato — dice Afsin Hatipoglu, avvocato della chiesa cattolica qui in Turchia -, questi terroristi non dovrebbero essere lasciati entrare nel Paese, siamo circondati da Paesi pericolosi, bisogna aumentare i controlli». Il riferimento è ai tanti combattenti islamici che varcano il confine per combattere la loro guerra di religione. I due che hanno colpito la chiesa di Santa Maria venivano dal Tagikistan e dalla Cecenia. «Sono venuti qui per spargere sangue ma grazie a Dio soltanto una persona è morta» dice Hatipoglu. Accanto a lui padre Anton è chiaramente provato. Arrivato un anno fa qui nel quartiere di Buyükdere, dopo aver passato un quarto di secolo nella più famosa chiesa di Sant’Antonio a Beyoglu, il parroco è amato da tutti. «Non appena c’è un battesimo o un matrimonio la chiesa si riempie e dopo la messa ci si sposta in giardino a bere il caffé o il thé. Mercoledì alla preghiera per l’unità dei cristiani c’erano 130 persone» racconta Giovanna Nipote, 90 anni, nonni e padre italiani che è nata e cresciuta proprio qui. Lei domenica, all’ultimo momento, non è andata a messa. «Mi sarei seduta proprio negli ultimi banchi — dice —, dove quei due terroristi hanno sparato».
Sarebbe potuta essere una strage. «Dopo il secondo colpo – ha raccontato Şükrü Genç il sindaco del distretto di Sariyer – la pistola non ha più funzionato e gli aggressori sono fuggiti. In quel momento c’erano una quarantina di persone nella chiesa». Per terra sono stati trovati sei bossoli, tre vuoti e tre pieni. «È stata la madonna che ci ha protetto – dice sicura Giovanna -, d’altra parte non si chiama chiesa di Santa Maria?». L’idea di un miracolo, della protezione divina arrivata sui fedeli corre di bocca in bocca.
Negli anni ‘30 Buyükdere era un quartiere cristiano, abitato da italiani, greci e armeni. Poi si è trasformato ed è diventato più multiculturale ma è rimasto un posto tranquillo dove in poche centinaia di metri convivono una moschea e quattro chiese, di cui una ortodossa e una armena. Sulla riva del Bosforo le barche dei pescatori giacciono tranquille mentre nel mercato accanto si vende il pesce appena pescato. «Qui siamo tutti amici – dice Hasan, 63 anni, intento a giocare a carte in una sala da té -, non c’è razzismo, non c’è intolleranza, è la prima volta che succede una cosa del genere».
Per ora la chiesa di Santa Maria ha sospeso le attività che riprenderanno giovedì sera, il primo febbraio, con una preghiera collettiva cui parteciperanno membri dell’ambasciata vaticana, i fondatori della chiesa armena e tantissimi abitanti del quartiere che vogliono sentir risuonare la campana che chiama alla messa ancora una volta.
Ma resta la paura per quanto accaduto. La comunità cattolica «è terrorizzata, sconvolta – dice monsignor Massimiliano Palinuro, vicario apostolico di Istanbul — per questo attacco che pone anche degli interrogativi sul futuro della presenza cristiana in questo Paese. Ultimamente si stava respirando un clima di maggiore serenità, speriamo solo che questo evento possa essere isolato».
Ma non sono solo le minoranze ad essere in allarme. Con l’aggressione di ieri è salito a 305 il bilancio dei morti in azioni criminali firmate da cellule dello Stato Islamico: 15 diversi attacchi che, con l’eccezione di quello di ieri, erano stati tutti sferrati in un arco di tempo che va dal giugno 2015 al 31 dicembre 2016. Prima di ieri l’ultimo episodio risaliva infatti alla notte del 31 dicembre 2016, quando un terrorista armato di kalashnikov uccise 39 persone nella discoteca Reyna di Istanbul. La metropoli sul Bosforo appena sei mesi prima era stata teatro di un altro sanguinoso attentato, questa volta all’aeroporto Ataturk. I morti furono 48, ma il sistema di sicurezza non permise ai terroristi di fare irruzione all’interno evitando conseguenze peggiori. Istanbul era anche stata colpita da due attacchi kamikaze che nel centro della città avevano ucciso 13 turisti a gennaio a altre 4 persone nel marzo 2016.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-29 16:01:212024-02-01 16:02:42Istanbul, la paura dei cattolici: «Perché lasciano entrare i terroristi?» (Corriere della Sera
Il parlamento transalpino ha invitato il Governo ad adottare sanzioni avverso l’Azerbaigian per via della condotta anti-umanitaria tenuta nella guerra con l’Armenia. E l’Italia? Sta con l’Azebaigian
Non c’è dubbio. In Italia esiste una certa vasta area della politica conformista che stenta a riconoscere e ad accettare i dettami dell’etica. Il che, tradotto in termini comportamentali, vuol dire che questi suoi esponenti pensano e agiscono in ossequio ai propri interessi e in disprezzo di ogni senso di moralità. La prova di tale deprecabile costume la rinveniamo d’altronde nella quotidianità della vita politica, nei fatti più effimeri, come in quelli che richiederebbero un esercizio di valutazione etica. Un esempio? Il voltafaccia che autorevoli esponenti del mondo politico italiano hanno adottato nei confronti dell’Armenia e del suo popolo vittima, e non lo dimentichiamo, del primo genocidio del XX secolo. Un genocidio che purtroppo perdura tuttora per mano azera anche se sotto forme diverse e con modalità differenti. Vediamo perché.
Che l’Armenia sia stato un Paese con il quale l’Italia ha mantenuto fin dalla sua indipendenza dall’Urss un rapporto privilegiato di amicizia è fuori discussione. La comune fede cristiana adottata fin dal 301 d.C., la condivisione di una identica base culturale, una sostanziale solidarietà di visioni e un riconoscimento dello stesso sistema valoriale sono stati da sempre elementi costitutivi di un collegamento tra i due Paesi che ha trovato la sua essenza in indiscutibili affinità elettive.
Ma tutto è cambiato da parte italiana non appena la classe politica dell’ultima ora (che sia di destra o di sinistra è del tutto ininfluente) ha scoperto – sotto l’influsso delle varie emergenze e crisi energetiche – che il Paese dell’Arca di Noè non aveva nulla da offrire in cambio di questa amicizia (non disponendo di combustibili fossili), contrariamente, invece, al suo vicino di casa, l’Azerbaigian, scopertosi un giorno a galleggiare su ricchi giacimenti di petrolio e di gas. Circostanza che ha comprensibilmente sollecitato l’appetito di quanti fossero interessati al loro sfruttamento o acquisto. Ecco allora che è intervenuto il radicale cambiamento nei rapporti bilaterali.
Italia non più equidistante
Se prima Roma adottava una prudenziale linea di equidistanza rispetto a Yerevan e a Baku – sollecitata peraltro dall’interesse a garantire un sostanziale equilibrio all’area caucasica, anche nell’ottica di mitigare le tensioni più che trentennali tra i due Paesi – oggi la nostra Capitale non fa mistero della propria simpatia per Baku, e anzi se ne compiace rinnegando, con proditoria inversione di tendenza, perfino verità storiche innegabili. Così Roma si ritrova oggi improvvisamente schierata dalla parte dell’Azerbaigian, ne esalta il diritto alla integrità territoriale e ne riconosce addirittura la democraticità delle istituzioni. Per contro, da parte di queste stesse forze politiche non si ammettono le gravissime violazioni dei diritti umani, le torture e gli eccidi commessi dagli azeri ai danni degli armeni, né il diritto del popolo del Karabagh, peraltro consacrato da fondamentali normative internazionali, ad aspirare ad una indipendenza peraltro resa legittima dalla legge n. 13 del Soviet Supremo del 1990 sulla secessione delle Repubbliche sovietiche e delle loro entità sub-statuali (leggi nel caso: Nagorno Karabagh).
Ebbene, di questo profondo cambiamento di rotta è oggi testimonianza il biasimo espresso dal redattore dell’articolo pubblicato su “Formiche” (“Perché la mossa francese sull’Azerbaigian è un autogol”), a riguardo della risoluzione recentemente adottata all’unanimità dal Senato francese (336 voti contro 1), volta ad invitare il Governo ad adottare sanzioni avverso l’Azerbaigian per via della condotta anti-umanitaria tenuta nella guerra con l’Armenia in disprezzo del popolo del Karabagh. Se, tuttavia, nel caso della Francia si potrebbe eccepire una certa faziosità nel proteggere l’amica Armenia, giungerebbe peraltro quanto mai opportuna – a conferma della condotta anti-giuridica di Baku deplorata dal Senato francese – la notizia del rifiuto opposto dal Consiglio d’Europa ad accettare le credenziali della delegazione azera sulla base delle medesime sostanziali motivazioni: violazione dei diritti umani da parte dell’Azerbaigian e mancanza di rispetto dello stato di diritto.
Merito ai senatori francesi
Questa difesa ad oltranza, e contro ogni evidenza, della riprovevole condotta di Baku svolta da alcuni circoli politici della Capitale – che porrebbe il nostro Paese fuori dal circolo delle Nazioni a più alto indice di civiltà giuridica – non potrebbe trovare altra giustificazione se non nell’abitudine di certe comparse della politica nostrana ad esaltare cinicamente il “mercimonio” come strumento dell’azione, relegando invece a mera scelta opzionale il ricorso a condotte informate all’etica, alla morale e al rispetto di quel nucleo di superiori norme universali che conosciamo come Jus Gentium. In aggiunta, è anche da sottolineare sul tema, come la stessa Corte di Giustizia Internazionale abbia ritenuto di riconoscere con ordinanza del 17 novembre scorso la responsabilità di Baku per la negazione al popolo armeno del Karabagh di diritti fondamentali. Al di là del principio di integrità territoriale – seppure citato dalla Corte in riferimento a zone occupate ma di cui era prevista da parte armena la restituzione in sede di negoziato – i giudici dell’Aja hanno condannato apertamente l’atteggiamento persecutorio di Baku richiamando la sua dirigenza al rispetto del Diritto umanitario.
Diamo, dunque, merito ai senatori francesi per questa loro coraggiosa posizione assunta a difesa del popolo armeno. Non sempre, infatti, si può barattare il diritto con l’interesse economico e l’etica col proprio tornaconto; e in questa prospettiva sarebbe proprio auspicabile che si potesse vedere un comportamento simile da parte dei senatori italiani ormai assuefattisi alla subalternità verso chi detta loro le regole per come comportarsi. Ma i francesi sanno fare le rivoluzioni, lo sappiamo, e quando le fanno, le fanno in nome dei diritti!
Bruno Scapini già Ambasciatore d’Italia Presidente Onorario e Consulente Generale Ass.ne Italo-armena per il Commercio e l’Industria
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-27 19:45:562024-01-27 19:45:56Nagorno Karabakh. Una risoluzione del Senato francese tutta da imitare (Tamoi.it 27.01.24)
Oggi 27 gennaio è la Giornata della Memoria, un giorno particolare in cui si commemorano le vittime della Shoah.
Il tragico evento, ricordato anche come Olocausto, ha avuto un giorno a lui dedicato proprio dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 2005.
Si stabilì quella data poiché nel 1945 l’Armata Rossa liberò il campo di concentramento di Auschwitz e tutti i suoi prigionieri.
In tale luogo i nazisti compirono gesti inimmaginabili e, una volta arrivati, i russi si trovarono davanti le testimonianze di una delle più grandi tragedie del secolo scorso.
Sappiamo, però, che questo non fu l’unico evento drammatico avvenuto, e che tentativi di sterminio non solo ci sono stati ma continuano ad accadere.
Secondo l’ONU il genocidio è ogni tipo di “atto commesso con l’intenzione di distruggere, in tutto in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.
Ovviamente si tratta di un reato gravissimo, pari al terrorismo e fa parte dei crimini internazionali.
Come abbiamo già scritto, la Shoah non è l’unico genocidio che si ricorda.
Massacro degli armeni
Durante la prima Guerra Mondiale, il popolo armeno fu massacrato dai turchi che deportarono gran parte della popolazione con l’intento di sterminarla.
L’idea era sempre la stessa, creare uno stato monoetnico sia linguisticamente e culturalmente e gli armeni, molto più vicini all’Occidente, erano un ostacolo da dover abbattere.
Nel 1915 si diede avvio a questo terribile piano, prima con la parte della popolazione armena più ricca, poi con tutto il resto. La maggior parte di loro morì e i beni vennero confiscati.
Genocidio dei Balcani
Altro evento da tenere a mente e il genocidio dei Balcani, durante la guerra tra i paesi dell’ex Jugoslavia: Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia- Erzegovina, Montenegro e Macedonia.
Cosa successe? In Serbia, partire dal 1937, si tentò di “ripulire” il territorio dagli stranieri, che in questo caso era la popolazione del Kosovo.
La Serbia, già molto provata da un grande massacro in Croazia, con la disgregazione dell’ex Jugoslavia decise di attuare un progetto per costruire la Grande Serbia.
Ovviamente in questa idea non erano ammessi stranieri.
Nel 1992 ci si sposta in Bosnia, un paese con una popolazione mista e maggioranza dei musulmani. Qui si snodano due eventi: il primo è l’assedio di Sarajevo, durato ben quattro anni, mentre il secondo è il genocidio di Srebrenica.
Durante questo triste evento morirono circa 8000 uomini musulmani, uccisi da serbi. L’accordo fu trovato solo nel 1995, ma il massacro era stato compiuto.
Oggi si può parlare di genocidio?
Questi sono solo alcuni dei genocidi peggiori della storia, ma c’è la possibilità che l’ennesimo si compia, proprio davanti ai nostri occhi. Sto parlando della guerra tra Israele e Palestina, un evento che, in realtà, è iniziato diversi anni fa.
Sebbene non sia ufficialmente definito tale, ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza è assolutamente disumano.
Rinchiudere una popolazione in un territorio circoscritto, privarla di elettricità, acqua e cibo, attaccandola continuamente, sembrano dei presupposti più che validi.
L’11 gennaio 2024è iniziato il processo per genocidio contro Israele accusato dal Sudafrica proprio alla Corte Penale Internazionale dell’Aia. Si sosterrebbe, infatti, che Netanyahu stia violando la Convenzione del 1948, compiendo uccisioni tra civili.
Israele ha smentito immediatamente le accuse, ma ci vorranno diversi anni per stabilire la verità.
Intanto, il bilancio dei morti palestinesi si aggira, secondo i numeri proclamati da Hamas, intorno ai 25.000. Numeri considerevoli.
Insomma, il genocidio è un reato gravissimo, una delle forme di disumanità più grandi. Cercare di eliminare una popolazione perché ritenuta inferiore o di ostacolo è qualcosa di inimmaginabile.
La Giornata della Memoria è stata istituita per ricordare non solo i 6 milioni di ebrei che persero la vita durante l’Olocausto, ma per far sì che una cosa del genere non accada mai più.
Ma siamo sicuri di aver imparato?
Aprire le menti e gli occhi davanti agli eventi che stanno accadendo è fondamentale per poter apportare un vero cambiamento.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-27 19:41:512024-01-27 19:41:51Giornata della Memoria: i genocidi non finiscono mai (Latestamagazine 27.01.24)
Una giornata di riflessione tra approfondimenti, documentari e testimonianze di chi tramanda una verità ancora difficile da raccontare. Sabato 27 gennaio la Rai dedica una programmazione speciale al “Giorno della Memoria” sulla Shoah.
A partire dagli approfondimenti su Rai 1 con “Uno mattina in famiglia” (in onda alle 8.30), Rai 2 con “TG2 Dossier” (ore 23.20) e Rai 3 con “Agora’ Weekend” (ore 8.00), “Tv Talk” (ore 15.00), “Chesarà” (ore 20.15). In tutti i Tg nazionali, nelle edizioni del Giornale Radio e in quelle regionali della Tgr saranno garantiti servizi, dirette e speciali.
Un’attenzione particolare è dedicata alla produzione cinematografica e documentaristica: Rai 2 in prima serata manderà in onda il film “Un sacchetto di biglie” di Christian Duguay, la storia di due fratelli, Joseph e Maurice, e del lungo viaggio per salvarsi dall’occupazione nazista di Parigi.
Nella notte di Rai 3, “Fuori Orario cose (mai) viste” (ore 01.45) presenta in prima tv due film di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi: “Ritorno a Khodorciur – Diario armeno” e il corto “Io ricordo”. Entrambi hanno come protagonista Raphael Gianikian, padre del regista Yervant e unico testimone vivente, ai tempi delle riprese, del genocidio armeno del 1915, nella Turchia Orientale.
Anche Rai Cultura dedica alla Memoria della Shoah un’ampia programmazione su Rai Storia (in onda da dopo il tramonto e per tutta la notte), su Rai 5 e sul Web.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-01-27 14:17:132024-01-28 14:19:04La programmazione Rai per il Giorno della Memoria (Rai.it 27.01.24)
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