Storie di convivenza pacifica in tempi di guerra (Globalvoices 17.11.23)

Questo video reportage è stato pubblicato per la prima volta [az] su Abzas Media. Riportiamo qui una versione editata nell’ambito di una partnership editoriale.

In Georgia, nella provincia di Marneuli, le popolazioni azere ed armene — entrambe abitanti della Georgia — vivono fianco a fianco in molti villaggi [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione], insieme ai georgiani. Col passare degli anni, questa regione popolata da diverse etnie è diventata quindi un ottimo esempio di coesistenza pacifica.

I giornalisti di Abzas Media si sono recati nella città di Marneuli per intervistare i residenti georgiani, azeri ed armeni, i quali hanno condiviso le proprie esperienze di convivenza pacifica. Secondo gli abitanti, ciò che conta è il rispetto reciproco ed un linguaggio basato sulla comprensione, preferibilmente seduti a tavola e gustando le prelibatezze locali.

Durante la visita, i residenti hanno raccontato ad Abzas Media che qui nessuno ti chiede mai da dove vieni.

“Andiamo insieme sia ai matrimoni che ai funerali. Beviamo e mangiamo insieme,” spiega il residente georgiano Razhden Jujunashvili intervistato da Abzas Media.

Rezo Kupatazde, un altro residente georgiano che parla anche la lingua azera, racconta ad Abzas Media che le tre comunità vivono bene insieme e si rispettano a vicenda.

Questo è un fatto insolito per una regione che assiste da decenni a conflitti interculturali ed etnici.

I territori del Nagorno-Karabakh furono occupati dalla popolazione di etnia armena nei primi anni novanta come stato autoproclamato al termine di una guerra conclusasi nel 1994 con un accordo di cessate il fuoco e la vittoria militare armena. All’indomani di questa prima guerra venne creata di fatto la nuova Repubblica del Nagorno-Karabakh, ma non ottenne alcun riconoscimento sul piano internazionale. Le forze armene occuparono sette distretti adiacenti l’autoproclamata repubblica.

Le tensioni sono andate avanti per decenni. Nel 2020, l’Armenia e l’Azerbaigian si sono scontrate in un secondo conflitto che è durato 44 giorni ed ha cambiato nuovamente l’assetto della regione. L’Azerbaigian ha riconquistato gran parte delle sette regioni precedentemente occupate dall’esercito armeno ed un terzo del Karabakh stesso.

Tuttavia, questo secondo conflitto non ha messo fine alle tensioni e alle ostilità. Nei tre anni successivi, le due parti si sono accusate continuamente a vicenda di aver violato il cessate il fuoco. A ciò si è aggiunta anche una retorica reciprocamente ostile, sia a livello governativo che locale, contribuendo a far diminuire le prospettive di pace.

Il 19 settembre 2023, l’Azerbaigian ha lanciato un’offensiva militare nella regione precedentemente contesa del Nagorno-Karabakh. L’offensiva durata 24 ore si è conclusa con la resa della capitale dello stato di fatto Stepanakert/Khankendi, il quale ha accettato l’accordo di tregua proposto dall’Azerbaigian e dalla Russia il 20 settembre. Il 28 settembre, il governo del Nagorno-Karabakh ha annunciato la sua dissoluzione entro il 2024. Dal 20 settembre in poi, più di 100.000 abitanti di etnia armena hanno lasciato la regione. Nel frattempo, il 5 ottobre il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione per condannare “questo attacco militare ingiustificato”, sottolineando che si tratta di “una violazione del diritto internazionale e dei diritti umani.”

“È stata la forza, non la diplomazia, a decidere il corso di questo conflitto sin dalle sue origini,” scrive Tom de Waal, senior fellow di Carnegie Europe, osservatore della regione di lunga data ed autore del libro “The Black Garden: Armenia and Azerbaijan through Peace and War”, nella sua analisi delle recenti ostilità.

Luoghi come Marneuli dimostrano però che esiste una narrativa di pace al di fuori delle aree di conflitto.

Nel suo villaggio, Misha Aslikyan, di etnia armena ed originario di Marneuli, parla dell’importanza di trovare un linguaggio comune. Parla benissimo l’azero, il russo e il georgiano.

In un’intervista con Abzas Media, Misha ricorda un episodio avvenuto durante la seconda guerra del Karabakh, quando offrì un passaggio a tre uomini di etnia azera provenienti da Bolnisi, un’altra città della Georgia. “Era tarda notte e non c’erano macchine in giro, quindi decisi di dar loro un passaggio. Iniziammo a parlare e mi raccontarono della [seconda] guerra del Karabakh. Dicevano che [gli azeri] avevano un rapporto migliore con i georgiani [pensando che Misha fosse georgiano]. Poi, mentre scendevano dall’auto, dissi loro che ero armeno. Il mio telefono squillò ed io risposi in armeno: rimasero scioccati. Alla fine, mentre scendevano dall’auto, mi chiesero scusa.”

Misha vorrebbe vedere la stessa comprensione tra l’Armenia e l’Azerbaigian:

Nessun centimetro di terra, nessuna dichiarazione politica, nessuna ideologia vale quanto una vita umana, ma sfortunatamente la nostra società considera l’essere umano come una materia prima a buon mercato. Io sono sempre stato a favore della pace e credo che qualsiasi problema si può risolvere a tavola.

Per adesso, i sogni di Misha sono lontani dall’avverarsi. Il 4 ottobre, il Presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, ha annullato la sua visita al vertice della Comunità Politica europea (CPE) che si è tenuto a Granada, dove avrebbe incontrato il suo omologo, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan. Rivolgendosi ai delegati della nazione presenti al vertice, il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha inivitato i due leader ad incontrarsi invece a Bruxelles entro la fine di ottobre del 2023. Un’altra alternativa è giunta separatamente dal primo ministro georgiano Irakli Garibashvili, il quale si è offerto di ospitare i due leader a Tbilisi. Resta quindi da vedere se la Georgia, nazione in cui gli azeri e gli armeni hanno convissuto pacificamente per decenni, sarà in grado di influenzare anche il linguaggio di comprensione reciproca tra i leader dei due paesi.

Armenia, esplosione all’Università statale di Erevan: un morto e tre feriti (AgenziaNova 17.11.23)

Un’esplosione è avvenuta nella sede dell’Università statale di Erevan e ha provocato la morte di una persona. E’ quanto riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress”. Un’esplosione si è verificata nell’edificio della facoltà di chimica dell’Università statale di Erevan.

Tre persone sono state trasportate in ospedale con ustioni, mentre il corpo di un uomo oramai defunto è stato trovato sul posto. Un agente di polizia è stato intossicato dal fumo provocato dall’incendio divampato in seguito all’esplosione.

© Agenzia Nova – Riproduzione riservata

Mosca accusa l’Occidente per il rifiuto dell’Armenia di prendere parte al vertice sulla difesa a guida russa (Euroactiv 16.11.23)

Mercoledì 15 novembre, la Russia ha dichiarato che la decisione del primo ministro armeno Nikol Pashinyan di non partecipare a un vertice dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) guidata da Mosca è l’ultima mossa anti-russa dell’Armenia orchestrata dall’Occidente.

Le relazioni tra Russia e Armenia, formalmente alleate, si sono inasprite negli ultimi mesi, con Erevan che ha messo pubblicamente in dubbio il valore della sua partnership con la Russia e ha cercato di approfondire i rapporti con l’Occidente.

La causa scatenante è stata la riconquista della regione separatista del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian a settembre, che ha spinto quasi tutti i 120.000 armeni del territorio a fuggire nonostante la presenza di forze di pace russe.

Alcuni armeni hanno incolpato la Russia di non aver fermato quella che Baku ha definito un’operazione antiterroristica, un’accusa che Mosca ha respinto.

L’Armenia ratifica lo statuto della Corte Penale Internazionale suscitando lo scontento di Mosca

Il parlamento ameno ha ratificato lo statuto fondante della Corte penale internazionale ieri, martedì 3 ottobre, sottoponendosi alla giurisdizione della corte dell’Aia. La decisione ha irritato la Russia, il cui presidente è oggetto di un mandato d’arresto emesso dalla CPI.
Il …

 

 

La portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha dichiarato ai giornalisti che la Russia considera il rifiuto di Pashinyan di partecipare al vertice CSTO come l’ultimo di una “catena” di eventi.

“È evidente che dietro c’è l’Occidente. L’Occidente, i cui piani in Ucraina sono falliti, ora sta attanagliando l’Armenia, cercando di strapparla alla Russia”, ha dichiarato.

Mercoledì scorso, l’agenzia di stampa statale armena Armenpress ha citato Pashinyan che ha dichiarato al Parlamento del Paese che la CSTO ha ripetutamente fallito nel proteggere gli interessi dell’Armenia.

Pashinyan ha inoltre aggiunto che l’Armenia sta cercando di diversificare i propri accordi di sicurezza, ma che non ha ancora deciso se lasciare o meno la CSTO.

Leggi qui l’articolo originale

Forti dubbi che in Armenia c’è ancora fiducia nella Russia per la propria sicurezza (Korazym 16.11.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.11.2023 – Vik van Brantegem] – Poiché tra dicembre 2020 e settembre 2023 la Russia è stata colta di sorpresa dall’esodo del 99,99 % degli Armeni dall’Artsakh e cerca di rimpatriarne alcuni senza diritti, per mantenere la propria presenza militare nel Caucaso meridionale, visto che non ottiene il “Corridoio di Zangezur” con la propria presenza, Maria Zakharova, Portavoce del Ministero degli Esteri russo dichiara: «La Russia farà tutto il possibile per facilitare il processo di ritorno degli Armeni nel Nagorno-Karabakh e ritiene che ciò sia di fondamentale importanza per la riconciliazione di Yerevan e Baku».

Qualcuno ha voglia/sogna di tornare? Certamente. Ma ritornerebbe adesso, con l’assicurazione di sicurezza da parte delle cosiddette forze di mantenimento della pace russe? Dubitiamo fortemente che c’è ancora fiducia nella Russia tra il popolo dell’Artsakh. Nonostante gli accordi firmati con l’Armenia, la Russia ha permesso che si realizzasse ogni aggressione, non ha rispettato le proprie promesse e garanzie, negoziate il 9 novembre 2020, non ha consegnato le forniture militari già pagati dall’Armenia, è rimasto inattivo di fronte all’occupazione dei territori sovrani dell’Armenia e all’occupazione dell’Artsakh.

Gli Armeni non possono fidarsi di Putin/Russia [+ Erdogan/Turchia-Aliev/Azerbajgian]. Gli Azeri/Turchi hanno cercato e effettuato la pulizia etnica dell’intera popolazione armena dell’Artsakh e girata l’ultima pagina del libro dell’Armenia, adesso guardano alla copertina: l’Armenia stessa. Qualsiasi accordo deve essere supportato da conseguenze per la parte che viola o non adempie agli accordi.

I ricordi di Lenin e di Atatürk devono giocare un ruolo importante nel processo decisionale armeno. Non ci si può fidare della Russia e del tandem Turchia-Azerbajgian rispetta il destino dell’Armenia. Gli Stati Uniti sono potenti e agiranno per preservare la sovranità armena. Si faranno progressi solo quando Baku dichiarerà la resa e smobilizza.

Se Nikol Pashinyan riuscisse a farcela – come spiega Robert Ananyan nell’analisi che segue – ed essere completamente allineati con l’Occidente e ad ottenere questo risultato, allora potremmo chiamarlo a pieno titolo Nikol Machiavellico: perdere la battaglia per vincere la guerra.

Intanto, questa è l’atmosfera sui social media azeri, con due esempi:

  • «L’integrità territoriale dell’Azerbajgian è un importante semaforo rosso. L’Azerbajgian vede i pregiudizi e dice forte e chiaro che non accetteremo sottomissioni. Se gli Stati Uniti o l’Europa non sono contenti che l’Azerbajgian abbia liberato il suo territorio dall’Armenia, questo è un loro problema. L’Azerbajgian non accetterà pregiudizi» (Segue appassionatamente la geopolitica del Medio Oriente, del Corno d’Africa e del Caucaso).
  • «A nessuno frega un c**zo. I territori appartengono all’Azerbajgian. 30 anni trascorsi a Minsk a scherzare, viaggiare e fare cene d’affari. Non gliene è mai fregato un c**zo. Ora abbiamo liberato i nostri territori. E non ce ne frega niente di quelle affermazioni di merda e di doppio standard» (Mantienilo semplice).
Il Centro di monitoraggio congiunto russo-turco per il Nagorno-Karabakh vicino al villaggio di Marzili. Fu in questo villaggio che il comandante dell’esercito di difesa dell’Artsakh, Monte Melkonian, fu ucciso dalle forze armate azere. Dopo il 1994 è stato incorporato nella Repubblica dell’Artsakh come parte della sua provincia di Martuni, dove era rimasto un villaggio fantasma. Mərzili è stato conseganto all’Azerbajgian il 20 novembre 2020 come parte dell’accordo di cessate il fuoco tripartita del 9 novembre 2020. Oggi fa parte del distretti di Aghdam dell’Azerbajgian.

Il mandato del contingente militare turco in Azerbajgian è prorogato di un anno. Il contingente comprende il gruppo di lavoro turco per l’Azerbajgian e il personale dispiegato presso il centro di monitoraggio congiunto russo-turco, formato dopo la guerra dei 44 giorni del 2020 in Artsakh.
Nel memorandum firmato dal Presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, si afferma:
«Le attività previste nella Dichiarazione tripartita firmata da Azerbajgian, Armenia e Russia il 9 novembre 2020, a seguito del successo dell’Azerbajgian nella lotta per liberare i territori occupati e la nuova situazione sul campo, continuano. A seguito dell’operazione antiterrorismo condotta dall’Azerbajgian il 19 e 20 settembre 2023, la formazione separatista illegale e gli elementi armati affiliati nel Karabakh erano stati aboliti e l’occupazione vera e propria era stata completamente interrotta».
Nel memorandum si sottolinea che «un accordo di pace era stato raggiunto. non è ancora stato raggiunto tra l’Azerbajgian e l’Armenia».
Il memorandum afferma che «la Turchia, che ha fornito un forte sostegno all’Azerbajgian fin dall’inizio del processo affinché possa difendere tutti i suoi diritti, compresa la sua integrità territoriale, sulla base del diritto internazionale e dei legittimi diritti sovrani, continua a dare un contributo significativo al mantenimento e il rafforzamento della pace e della stabilità nella regione e la costruzione e il rilancio delle infrastrutture economiche per facilitare tutto ciò».
Nel memorandum si afferma che «il Centro congiunto istituito da Turchia e Russia, dove opera il personale delle forze armate turche (TAF), continua le sue attività con successo e che la Turchia contribuisce alla sicurezza della regione e alla creazione di fiducia tra le parti attraverso il Centro Comune».
Nel memorandum si sottolinea che «la continuazione del personale delle forze armate turche nelle loro funzioni presso il Centro congiunto è un requisito del ruolo attivo e costruttivo della Turchia nella regione e dei suoi interessi nazionali, e si osservava quanto segue: “Per adempiere ai nostri impegni derivanti dalle disposizioni dell’”Accordo di partenariato strategico e di mutua assistenza tra la Repubblica di Turchia e la Repubblica di Azerbajgian” firmato il 16 agosto 2010, per proteggere e tutelare efficacemente gli alti interessi della Turchia al fine di osservare il cessate il fuoco, prevenire le violazioni e garantire la pace e la stabilità nella regione”. L’invio delle forze armate turche all’estero per agire nell’adempimento dei compiti del Centro Congiunte, i cui confini, estensione, quantità e durata saranno determinati dal Presidente, e adottando ogni tipo di misura per eliminare rischi e minacce utilizzando queste forze in conformità con i principi che saranno determinati dal Presidente, e per consentire loro di farlo. L’articolo 92 della Costituzione richiede che la durata del mandato permesso, concesso con decisione della Grande Assemblea Nazionale turca del 17 novembre 2020 e numero 1272, al fine di adottare i regolamenti secondo i principi che saranno determinati dal Presidente, e infine prorogato con la decisione della Grande Assemblea Nazionale turca L’Assemblea Nazionale datata 1° novembre 2022 e numerata 1348, sarà prorogata di un anno a partire dal 17 novembre 2023. La presento per vostra conoscenza ai sensi dell’articolo».

Il Comando del contingente di mantenimento della pace russo del Nagorno-Karabakh, oggi totalmente occupato dalle forze armate dell’Azerbajgian, continua con le dichiarazioni ufficiali tra le notizie di un ritiro almeno parziale dal territorio (non viene specificato il numero di militari e postazioni russi che sono rimasti) e del proseguimento delle attività per «garantire la sicurezza e il rispetto del diritto umanitario nei confronti della popolazione civile» (sfollata con la forza per il 99,99 %):
«Bollettino informativo del Ministero della Difesa della Federazione Russa sull’attività del contingente di mantenimento della pace russo nell’area della regione economica del Karabakh della Repubblica di Azerbajgian (dal 15 novembre 2023). Il contingente di mantenimento della pace russo continua a svolgere compiti nella regione economica del Karabakh della Repubblica di Azerbajgian. Vengono mantenuti continui scambi con Baku, volti a garantire la sicurezza e il rispetto del diritto umanitario nei confronti della popolazione civile. Non sono state registrate violazioni del cessate il fuoco nell’area di responsabilità del contingente di mantenimento della pace russo. In totale, dal 19 settembre [2023] sono stati smantellati 11 avamposti di osservazione (permanenti) e 16 avamposti di osservazione temporanei».

Mehriban Aliyeva – la moglie dell’autocrate Ilham Aliyev ed lui nominata Vice Presidente dell’Azerbajgian – ha tenuto un discorso appassionato sulla sofferenza dei civili a Gaza e ha ringraziato la moglie di Erdoğan per i suoi sforzi. Nel frattempo, l’Azerbajgian continua a inviare petrolio a Israele attraverso la Turchia e Israele ha appena consegnato all’Azerbajgian 1,2 miliardi di dollari in sistemi di difesa missilistica.

Il Ministero della Difesa e il Comandante dell’Aeronautica Militare dell’Azerbajgian hanno incontrato le compagnie d’armi italiane ed emiratine al Dubai Airshow 2023, rispettivamente Leonardo e EDGE, discutendo un interesse per possibili futuri accordi sulle armi. Queste due società sono state particolarmente menzionate nel comunicato sul sito del Ministero della Difesa dell’Azerbajgian. Baku ha già firmato diversi anni fa accordi con Leonardo Systems per l’acquisto di aerei militari. Altri acquisti di armi potrebbero essere in arrivo.
Il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian comunica: «Il gruppo dirigente del Ministero della Difesa ha conosciuto i prodotti dell’azienda “Leonardo”. La delegazione guidata dal Ministro della Difesa della Repubblica dell’Azerbajgian, il Colonnello Generale Zakir Hasanov, in visita negli Emirati Arabi Uniti (EAU), ha conosciuto le armi, le attrezzature e l’equipaggiamento militare prodotti dall’azienda italiana “Leonardo”, esposto alla fiera internazionale “Dubai Airshow 2023”. Nell’incontro con il capo dell’azienda è stata sottolineata in particolare l’importanza dello sviluppo della cooperazione tecnico-militare e sono state discusse una serie di questioni di reciproco interesse».

Come abbiamo riferito, la settimana scorsa il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, Artur Harutyunyan, ha dichiarato che tutti gli organi costituzionali dell’Artsakh, insieme ai loro leader, continuano a mantenere le loro posizioni su base volontaria. In riferimento alla conservazione delle istituzioni statali dell’Artsakh, oggi il Presidente dell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Amenia, Alen Simonyan, ha dichiarato durante un briefing con i giornalisti: «Preservare le istituzioni statali dell’Artsakh rappresenta una minaccia diretta alla sicurezza dell’Armenia». Inoltre, ha sottolineato che «i problemi esistenti degli Armeni nel Nagorno-Karabakh dovrebbero essere risolti dalla leadership armena». Come l’hanno fatto in passato è sotto i nostri occhi. È proprio vero quello che mi dicono degli amici Armeni: il più grande nemico dell’Armenia sono gli Armeni.

«Sembra che gli USA stiano presentando un ultimatum all’Azerbajgian affinché avvii rapidamente i negoziati con l’Armenia. Nel frattempo, Baku propone a Yerevan di concludere un accordo attraverso discussioni bilaterali. La posizione dell’Armenia, che favorisce il formato occidentale, diventa cruciale. Anche gli Stati Uniti indicano che nel prossimo futuro si attendono settimane cruciali.
Ieri è stato rivelato che gli Stati Uniti hanno preso provvedimenti contro l’Azerbajgian. James O’Brien, Vicesegretario di Stato americano per gli affari europei ed eurasiatici, ha dichiarato che le relazioni tra gli Stati Uniti e l’Azerbajgian non si normalizzeranno finché non si faranno progressi nei negoziati di pace con l’Armenia.
Gli Stati Uniti hanno interrotto l’assistenza militare e di altro tipo all’Azerbajgian e hanno annullato numerose visite ad alto livello. Di conseguenza, gli Stati Uniti segnalano a Baku che le relazioni bilaterali non saranno normalizzate finché non ci saranno progressi nei negoziati con l’Armenia.
Il governo americano ritiene che il raggiungimento di un accordo pacifico tra Armenia e Azerbajgian dipenda ora da Baku. James O’Brien ha dichiarato: “Sembra che lui [Nikol Pashinyan] sia disposto a correre dei rischi per il bene della pace. La domanda è se Ilham Aliyev, il Presidente dell’Azerbajgian, è disposto a fare lo stesso. Abbiamo chiarito che in seguito agli eventi del 19 settembre, non ci saranno relazioni normali con l’Azerbajgian finché non vedremo progressi verso una soluzione pacifica”.
Ha inoltre affermato che gli Stati Uniti hanno ripetutamente affermato che l’uso della forza contro l’Armenia è inaccettabile. Ha aggiunto: “Il governo di Baku ci ha assicurato che non ha tali intenzioni. E stiamo monitorando attentamente i movimenti delle truppe e ogni indicazione che possano avere altri piani”.
Christina Kvien, ambasciatrice degli Stati Uniti in Armenia, ha visitato ieri la sezione di Tavush del confine tra Armenia e Azerbajgian e, accompagnata da osservatori dell’Unione Europea, ha osservato il territorio dell’Azerbajgian (foto di copertina). Sebbene questo sia un gesto simbolico, invia un forte messaggio all’Azerbajgian che gli Stati Uniti non tollereranno un attacco militare al territorio armeno. È evidente che il boicottaggio dei formati negoziali occidentali non ha prodotto risultati positivi per l’Azerbajgian; al contrario, ha inasprito la posizione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea nei confronti di Baku.
Matthew Miller, Portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, ha dichiarato durante un briefing che la popolazione armena sfollata con la forza dal Nagorno-Karabakh ha il diritto di tornare a casa e questo diritto deve essere rispettato. Ciò implica che Washington ha aspettative nei confronti dell’Azerbajgian riguardo alla questione del Nagorno-Karabakh e non la considera chiusa. Secondo le mie informazioni, l’Azerbajgian chiederà agli Stati Uniti il riconoscimento pubblico del Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbajgian in cambio dell’accordo di incontrarsi a Washington.
In seguito all’attacco militare del 19 settembre al Nagorno-Karabakh, l’Azerbajgian ha boicottato i negoziati ad alto livello Armeno-Azerbajgian previsti a Granada e a Brussel, dove l’Occidente fungeva da mediatore. Il calcolo dell’Azerbajgian era che boicottare i formati occidentali lo avrebbe protetto dalla possibilità di firmare un accordo di pace con la mediazione dell’Occidente.
Baku si oppone al coinvolgimento degli Stati Uniti e dell’Unione Europea nei negoziati. Il Presidente dell’Azerbajgian ha già espresso la volontà di incontrarsi a Mosca o aTbilisi, ma ovviamente l’Armenia non parteciperà a incontri di questo tipo, perché ciò implicherebbe che l’Armenia stia partecipando all’allontanamento degli Stati Uniti e dell’Unione Europea dalla regione, il che è contrario agli interessi di Yerevan. Oltre all’inasprimento della retorica nei confronti dell’Azerbajgian, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Francia stanno annunciando progetti in corso e pianificati per fornire un sostegno significativo all’Armenia.
Nello specifico, Stati Uniti e Francia sono pronti a sostenere le riforme delle forze armate armene. La Francia sta già fornendo all’Armenia armi ed equipaggiamento militare. E l’Unione Europea intende fornire assistenza militare all’Armenia. Questi sono i messaggi dell’Occidente diretti all’Azerbajgian, che esorta Aliyev ad abbandonare i piani di attacchi militari contro l’Armenia e ad impegnarsi in negoziati costruttivi. In effetti, gli Stati Uniti hanno attualmente interrotto i legami e i contatti con l’Azerbajgian. Questo è un segnale per l’Azerbajgian che se i negoziati non riprendono nei formati di Brussel o Washington, l’Occidente deteriorerà ulteriormente le relazioni con Baku. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea sono in grado di imporre sanzioni all’Azerbajgian. Se Aliyev continua a ignorare l’Occidente, questo potrebbe essere il passo successivo.
Rifiutando l’invito a negoziare in Occidente, l’Azerbajgian ha espresso avantieri la sua insoddisfazione.
Nonostante le dichiarazioni pubbliche dell’Armenia sulla disponibilità a firmare un accordo di pace entro la fine dell’anno, Erevan ha ritardato di oltre due mesi la presentazione della sua versione del documento.
Hikmet Hajiyev, l’Assistente per gli Affari Esteri del Presidente dell’Azerbajgian, ha riferito che Baku ha inoltrato l’11 settembre la quinta versione rivista del trattato di pace e le note esplicative, aspettandosi una risposta presto. “La parte azera ha ripetutamente affermato che questa è un’opportunità storica e che non ci sono ostacoli alla firma di un trattato di pace, soprattutto dopo il ripristino della sovranità dell’Azerbajgian. Per quanto riguarda in quale misura sia pronta l’Armenia, ora sorgono seri interrogativi”, ha detto Hajiyev, sottolineando che ora la palla è nel campo di Yerevan.
Credo che l’Armenia non stia portando avanti negoziati bilaterali con l’Azerbajgian per mantenere il processo all’interno dei quadri occidentali. Armen Grigoryan, Segretario del Consiglio di Sicurezza armeno, ha dichiarato sul Primo Canale che Yerevan vede un’opportunità per continuare i negoziati sul trattato di pace con Baku a Washington.
E perché non negoziano a Mosca? “Andiamo dove riteniamo importante”, ha detto Armen Grigoryan. Ha dichiarato che l’organizzazione dell’incontro era uno degli obiettivi della recente visita del co-Presidente americano del Gruppo di Minsk, Luis Bono. “L’Armenia è pronta e speriamo che tale incontro abbia luogo”, ha osservato Grigoryan.
Mosca ha proposto di organizzare un incontro tra i leader e i Ministri degli Esteri, ma non c’è stata alcuna risposta da Yerevan sullo sfondo delle relazioni apertamente tese tra Armenia e Russia negli ultimi tempi. Armen Grigoryan ha insistito di non essere a conoscenza delle proposte russe.
Nel mese di ottobre, il Ministero degli Esteri russo ha riferito che la Russia non aveva più idee nuove riguardo al trattato di pace dalla fine di giugno di quest’anno. “Vogliamo soprattutto avviare i negoziati per i quali abbiamo raggiunto degli accordi”, ha sottolineato Grigoryan.
Il Segretario del Consiglio di Sicurezza armeno ritiene di primaria importanza la piattaforma europea. Ha ribadito che Yerevan è pronta a continuare i negoziati e a firmare l’accordo di pace in questa forma.
Il mese scorso i leader europei a Granada hanno adottato una dichiarazione secondo cui l’accordo Armenia-Azerbajgian dovrebbe basarsi sull’inviolabilità dei confini e sul riconoscimento dell’integrità territoriale reciproca, la demarcazione dovrebbe essere effettuata secondo le ultime mappe dello Stato Maggiore dell’URSS e le comunicazioni dovrebbero essere aperti nel rispetto della sovranità dei Paesi. Yerevan sostiene questi principi nel percorso verso la firma del trattato di pace. Nel frattempo, Baku sta tentando di continuare il processo a livello bilaterale, che attualmente ha impedito a Yerevan di inviare offerte reciproche all’Azerbajgian.
La situazione tra Armenia e Azerbajgian è stata discussa anche nel Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea a Brussel. Il Ministro degli Esteri dell’Unione Europea Borrell ha dichiarato: “Dobbiamo essere molto vigili nel caso di qualsiasi tentativo di destabilizzare l’Armenia sia dall’esterno che dall’interno. Il nostro messaggio all’Azerbajgian è stato molto chiaro: qualsiasi violazione dell’integrità territoriale dell’Armenia è inaccettabile e avrà conseguenze molto gravi sulla qualità delle nostre relazioni. Chiediamo all’Armenia e all’Azerbajgian di impegnarsi nei negoziati. L’accordo di pace deve essere concluso e noi ci impegniamo a svolgere il nostro ruolo di mediatori”.
L’Azerbajgian gode del sostegno di Russia e Turchia nel boicottare i formati negoziali occidentali. Ieri, il Ministero degli Esteri russo ha accusato l’Armenia di “recentemente aver adottato misure che non sono coerenti con gli accordi precedentemente raggiunti con Mosca”. “Risponderemo allo stesso modo”, ha detto Zakharova, senza specificare i passaggi specifici in questione. Lo spopolamento del Nagorno-Karabakh è stato una conseguenza del mancato adempimento delle proprie responsabilità da parte della Russia; la parte armena non necessita di ulteriori prove per suffragare questa affermazione.
Tuttavia, secondo il Portavoce del Ministero degli Esteri russo, Russia e Armenia mantengono intensi contatti sulle relazioni bilaterali. Il rappresentante di Mosca ha anche affermato che gli “amici” occidentali della leadership armena stanno minando ogni sviluppo positivo che si sarebbe potuto ottenere nel processo di risoluzione Armenia-Azerbajgian. “A nostro avviso, l’Armenia, agendo su consiglio degli Stati Uniti e dell’Unione Europea e al di fuori del quadro degli accordi tripartiti, corre il rischio di essere esclusa dalla futura configurazione dei collegamenti regionali. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno servito come garanti in numerose occasioni”, ha detto Maria Zakharova.
Credo che la Russia sia stata permanentemente esclusa dal processo negoziale tra Armenia e Azerbajgian. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea devono intensificare la pressione sull’Azerbajgian per costringerlo a ritornare su un percorso costruttivo. La soluzione più efficace in questa materia è rafforzare le capacità militari e la posizione di sicurezza dell’Armenia. Fino a quando l’Azerbajgian non sarà convinto di non poter risolvere la questione per quanto riguarda i suoi problemi con l’Armenia attraverso la guerra, continuerà a boicottare i formati occidentali. Il costo dell’aggressione militare contro l’Armenia per l’Azerbajgian deve essere aumentato a un livello così alto che questo errore minacci Aliyev di bancarotta. Ciò risveglierà la capacità costruttiva di Aliyev.
Gli USA e l’Unione Europea stanno lavorando ad un piano di riavvicinamento tra l’Armenia e i suoi alleati transatlantici. L’informazione è stata condivisa da James O’Brien, Sottosegretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici, partecipando alla discussione sul conflitto del Nagorno-Karabakh al Congresso degli Stati Uniti.
L’alto diplomatico americano ha osservato di aver discusso il tema del riavvicinamento con l’Occidente con il Primo Ministro armeno: “Il Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato pubblicamente che intende organizzare un incontro tra noi e l’Armenia per avvicinare Yerevan alla nostra comunità. Ne ho parlato qualche giorno fa con il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan. Stiamo discutendo come potrebbe essere”, ha detto O’Brien.
Il 7 ottobre, il Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato all’Università Europea di Bordeaux che l’Unione Europea avrebbe organizzato un incontro congiunto con gli Stati Uniti per sostenere l’Armenia: “Questo è il primo passo per rafforzare le nostre relazioni bilaterali con l’Armenia. L’Europa e l’Armenia hanno una lunga e ricca storia condivisa, ed è giunto il momento di aprire un nuovo capitolo in quella storia condivisa”.
Alexander Sokolovsky, Rappresentante dell’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale/USAID, ha dichiarato al Congresso: “Nel caso dell’Armenia, per rafforzare la resistenza e diminuire la dipendenza dalla Russia (…), Washington è attivamente impegnata in vari campi, che vanno dalla energia all’agricoltura: gli Stati Uniti mirano a creare alternative ai monopoli russi, tra cui il commercio, l’energia, le infrastrutture vitali, i sistemi di informazione e persino l’agricoltura.
Stiamo collaborando con i colleghi del Dipartimento di Stato per avviare discussioni con il governo armeno sulle possibili misure da adottare, come ad esempio ridurre la dipendenza dal grano e dalla farina russi”, ha detto il diplomatico ai deputati.
L’Armenia riceve già sostegno in termini di sicurezza, militare, diplomatico e politico dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Tuttavia, non c’è stato ancora alcun riavvicinamento istituzionale tra Armenia e Occidente.
Presto aumenteranno gli osservatori dell’Unione Europea in Armenia. I Ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno inoltre approvato il sostegno militare all’Armenia attraverso il Fondo Europeo per la Pace e l’accelerazione della discussione sulla liberalizzazione dei visti.
L’Alto Rappresentante per la Sicurezza e la Politica estera dell’Unione Europea, Josep Borrell, ha affermato che l’Unione Europea sostiene anche “le autorità armene democraticamente elette, la resistenza armena, la sicurezza e il proseguimento delle riforme”. Francia e Stati Uniti hanno espresso la loro disponibilità a sostenere le riforme delle forze armate armene.
Il Capo di Stato Maggiore delle forze armate armene, Edward Asryan, ha recentemente visitato il quartier generale del comando europeo degli Stati Uniti in Germania, dove ha incontrato il Vicecomandante del Comando europeo degli Stati Uniti, Stephen Basham. Hanno discusso questioni relative allo sviluppo della cooperazione militare armeno-americana. Asryan ha espresso le aspettative dell’Armenia per il sostegno degli Stati Uniti.
L’ufficiale militare americano ha espresso la disponibilità degli Stati Uniti a proseguire gli attuali programmi di cooperazione e ad avviare nuove direzioni di cooperazione nei seguenti settori: professionalizzazione delle forze armate, rafforzamento del corpo dei sergenti professionisti, modernizzazione del sistema di comando, mantenimento della pace, medicina militare, educazione militare e addestramento al combattimento, esercitazioni e così via.
Si tratta di un sostegno concreto e pratico da parte degli Stati Uniti per affrontare le preoccupazioni relative alla sicurezza dell’Armenia.
Oltre agli Usa, anche la Francia è pronta a sostenere le riforme dell’esercito armeno. La Francia sosterrà inoltre la trasformazione dell’esercito armeno e rafforzerà la difesa terra-aria dell’Armenia addestrando unità di addestramento operativo, soprattutto nei settori del combattimento in montagna e del tiro ad alta precisione.
Lo ha annunciato il Ministro delle Forze armate francese, Sébastien Lecornu, che ha anche suggerito che Suren Papikyan abbia un consigliere. Ci sono già notizie di forniture di armi inviate all’Armenia dalla Francia. Alcuni Paesi europei stanno anche valutando la possibilità di fornire armi all’Armenia. L’Occidente sta adottando queste misure per prevenire un possibile attacco militare dell’Azerbajgian contro l’Armenia.
L’Azerbajgian non si accontenta dell’annessione del Nagorno-Karabakh e continua a avanzare rivendicazioni territoriali contro l’Armenia attraverso il “Corridoio di Zangezur”, gli “otto villaggi azeri”, la dichiarazione del territorio armeno come “Azerbajgian occidentale” e altre dichiarazioni. Tuttavia, l’Occidente fornisce garanzie di sicurezza all’Armenia.
L’agenzia di stampa azera Turan ha riferito che O’Brien annuncerà davanti al Congresso che gli Stati Uniti intendono sostenere il governo armeno nella diversificazione del commercio nel settore agricolo e tecnologico e nell’espansione dei legami commerciali con l’Europa e gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti contribuiranno a costruire la sicurezza e la stabilità economica dell’Armenia.
Mentre queste misure possono essere importanti per garantire la resistenza e la sicurezza dell’Armenia, ritengo che il riavvicinamento dell’Armenia all’Occidente debba avvenire anche a livello istituzionale. L’Occidente dovrebbe fornire all’Armenia una prospettiva chiara e realistica di adesione all’Unione Europea nel breve termine. In altre parole, non si dovrebbe costringere l’Armenia ad aspettare decenni prima di candidarsi all’adesione all’Unione Europea.
Entro il 2026 dovrà essere attuato l’accordo di partenariato globale e rafforzato con l’Unione Europea. Sebbene questo accordo non contenga una clausola di libero scambio, ritengo che sarà necessario passare all’accordo di associazione, se non in senso giuridico, almeno in termini sostanziali.
Gli standard di prodotti armeni devono essere allineati a quelli dell’Unione Europea e dei mercati statunitensi ed essere competitivi in quei mercati. In caso di sanzioni russe, i produttori e gli esportatori Armeni non dovrebbero avere difficoltà a dirottare i loro prodotti verso i mercati occidentali.
Successivamente, l’Armenia dovrebbe ufficialmente presentare domanda di adesione all’Unione Europea e diventare membro poco dopo. Prima di ciò, ovviamente, la questione della liberalizzazione dei visti per l’Armenia dovrebbe essere risolta rapidamente.
Nella sfera militare, l’Armenia e i singoli Paesi occidentali possono approfondire la loro cooperazione militare, non solo sostenendo le riforme dell’esercito ma anche fornendo maggiori volumi di attrezzature e armi militari.
Il riavvicinamento dell’Armenia agli Stati Uniti e all’Unione Europea non può essere veramente forte senza sostanziali investimenti di capitali occidentali nell’economia armena. I capitali e le imprese russe dovrebbero essere gradualmente eliminati dall’economia armena e sostituiti da investimenti occidentali.
Le istituzioni strategiche dell’Armenia dovrebbero essere sottratte alla Russia e consegnate a società con capitale armeno o occidentale per la proprietà e la gestione: la rete ferroviaria, la centrale nucleare, altri settori energetici e grandi progetti imprenditoriali.
L’afflusso di capitali occidentali renderà l’economia armena più resiliente e di migliore qualità, e le minacce della Russia avranno un impatto minore. Credo che ridurre l’influenza della Russia potrebbe essere un passo di transizione, con l’Armenia che inizialmente diventerà uno Stato non allineato, che aderirà all’UE e lascerà prima la CSTO e l’EEU, e, a lungo termine, l’Armenia potrebbe diventare un alleato degli Stati Uniti al di fuori di NATO.
Mosca ritiene che non sia l’Armenia a voler voltare le spalle, ma che sia costretta a farlo dall’apparato politico e da coloro che difendono gli interessi del popolo armeno. Zakharova ha affermato che i piani dell’Occidente sono falliti in Ucraina, e ora l’Occidente si aggrappa come una bestia all’Armenia per strapparla alla Russia. Secondo lei, Mosca vede gli ultimi passi della leadership armena come anelli di una stessa catena di schiavitù. Zakharova ha chiarito che ciò si riferisce al rifiuto del Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, di partecipare alla sessione del Consiglio di Sicurezza Collettivo della CSTO a Minsk, alle rivelazioni del Segretario del Consiglio di Sicurezza armeno, Armen Grigoryan, riguardo alla cosiddetta integrazione europea, all’espansione delle forniture di armi occidentali alla repubblica, e “l’improvvisa amicizia” di Erevan con il regime di Kiev.
Naturalmente sarebbe ingenuo aspettarsi una risposta diversa dalla Russia: nessuno vuole perdere un vassallo. Dobbiamo attendere il previsto incontro Unione Europea-USA-Armenia. Speriamo di vedere risultati concreti» (Robert Ananyan – Nostra traduzione italiana dall’inglese).

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Turchia, torna libero l’assassino del giornalista Hrant Dink. Mai individuati i mandanti (Articolo21 16.11.23)

Hrant Dink, intellettuale di spicco del movimento per i diritti civili in Turchia, era un giornalista con la schiena dritta e il cuore palpitante di coraggio. Caporedattore di Agos (‘il solco’), settimanale bilingue di cui negli anni ‘90 fu tra i fondatori, dalle pagine del giornale provava ad aprire nuovi canali di dialogo tra la comunità armena e la popolazione della Turchia. Per il suo impegno contro il nazionalismo turco fu assassinato il 19 gennaio del 2007.
Ieri il suo carnefice, 
Ogün Samast, è stato rilasciato senza aver scontato tutta la pena che gli era stata inflitta per il suo omicidio. L’ennesima beffa della giustizia in Turchia che oltre a lasciare libero Samas, reo confesso allora 17enne, non ha mai individuato è punito i mandanti dell’assassinio, annidati nei circoli ultra nazionalisti.
La maggior parte dell’opinione turca è apparsa sconcertata e indignata perché non sapeva che la sua libertà vigilata stava per scadere e che presto sarebbe stato del tutto scarcerato.
C’è quindi un certo elemento di sorpresa, ma se si guardano i fatti del caso e l’attualità del paese – politici, giornalisti tenuti in prigione con accuse inventate e ai quali viene negata la libertà condizionale per ragioni del tutto arbitrarie – l’indignazione e il sentimento di grave ingiustizia sono giustificati.
Un elemento chiave è che a Samast non è stata comminata un’ulteriore pena detentiva per appartenenza a un gruppo terroristico, anche se, cosa importante, l’ultimo nuovo processo, che tra l’altro è ancora in corso, era interamente basato sulla premessa che l’omicidio di Dink fosse un crimine pianificato. e perpetrato da FETO. un’organizzazione ritenuta eversiva. In qualche modo la persona che ha effettivamente commesso l’omicidio non è stata considerata parte di un’attività terroristica e quindi gli è stata comminata una condanna più leggera di quella che avrebbe dovuto ricevere in primo luogo. Tutto ciò accade mentre altri cittadini turchi possono essere facilmente condannati per appartenenza a gruppi terroristici, semplicemente per aver partecipato a proteste o per aver pubblicato tweet.
Il fatto che si sia “comportato così bene” da essere ritenuto degno di libertà condizionale, anche se era stato condannato a più di cinque anni di prigione per aver aggredito e ferito le guardie carcerarie con un coltello alcuni anni fa, non sembra molto convincente.
Ma, cosa ancora più importante e grave, il suo rilascio manda il messaggio forte e chiaro: l’omicidio di Hrant Dink non verrà adeguatamente indagato e i responsabili non saranno chiamati a risponderne.
Dink era un uomo di dialogo e di pace, si è battuto fino all’ultimo giorno della sua vita per la riconciliazione turco-armena, ma non ha sempre denunciato con determinazione gli abusi e i crimini di uno Stato che vessava le minoranze.
Questa è stata la sua condanna: Dink è stato assassinato a Istanbul davanti alla redazione di Agos, dopo una lunga campagna denigratoria e di linciaggio mediatico.

Il giornalista iceveva continue minacce dagli ultranazionalisti turchi ed era stato condannato a sei mesi di reclusione in base all’articolo 301 del codice penale, che sanziona “l’insulto alla Turchità”.

Il processo, durato oltre di dieci anni, è stato caratterizzato da depistaggi e insabbiamenti, e si è concluso con la condanna di alcuni degli imputati, ma i mandanti non sono mai stati identificati.

Hrant Dink è diventato così il simbolo della sete di giustizia in un paese costellato fin dalla sua nascita da una lunga scia di omicidii ispirati dall’odio razziale, dal fanatismo nazionalista fomentato da elementi appartenenti a reti politico-religiose che in quegli anni operavano all’interno dell’amministrazione dello stato.

A rilevare la mancanza di volontà di fare giustizia sull’assassinio di Dink fu l’ex capo dei servizi segreti  turchi Ali Fuat Yılmazer.

In una udienza del 2016 aveva dichiarato che le autorità di sicurezza di Istanbul e di Trabzon sapevano dell’esistenza di un piano per uccidere il direttore di Agos e che volutamente non erano intervenuti per sventare quel crimine.

“Questo omicidio è stato voluto”, disse Yılmazer. “La polizia è colpevole di omissione di atti di ufficio. Lo Stato non ha svolto il suo dovere. I servizi segreti all’interno dello Stato sapevano e non si sono mossi per proteggere Dink” il suo atto di accusa.

Quel pomeriggio del 19 gennaio del 2007, Hrant Dink usciva come tutti i giorni dalla sede del suo quotidiano Agos  nel quartier di Sisli. Fu freddato da tre colpi di pistola esplosi da distanza ravvicinata. Il suo killer, Ogün Samast, fu denunciato alla polizia da suo padre dopo che un filmato delle telecamere di sicurezza della zona ne avevano mostrato il volto fu diffuso dai media.

Samast, allora diciassettenne, aveva abbandonato le scuole superiori ed era disoccupato. Fu catturato dalla gendarmeria in borghese alla stazione degli autobus di Samsun, una città del Mar Nero.

Samast condannato a 23 anni e 10 mesi di carcere nel 2011, è stato in carcere per 16 anni  e oggi è libeto per la sua “buona condotta durante un periodo di prova in libertà vigilata dall’amministrazione penitenziaria”.

Samast è stato l’unico a pagare per l’uccisione di Dink, ma lui era solo il braccio armato

delle frange del nazionalismo estremo che volevano il giornalista morto.

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GLI STUDENTI DEL LICEO SCIENTIFICO VITRUVIO ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO “ALFABETI DI PICCOLI ARMENI” DI SONYA ORFALIAN (Il FAro .it )

di Matteo Cofini Emanuele Doschi redazione del giornale di istituto YAWP

Un incontro molto speciale è stato quello che si è tenuto lo scorso 8 novembre al Castello Orsini tra gli studenti del Liceo Scientifico Vitruvio e altri istituti di Avezzano con la scrittrice armena Sonya Orfalian. I ragazzi hanno avuto la possibilità di approfondire una storia di cui si sa ancora troppo poco, una storia ricca di spunti di riflessione. La conferenza si è concentrata sul libro scritto dalla Orfalian “Alfabeto dei piccoli armeni”, dunque sul drammatico genocidio che ha subito il popolo armeno durante la Prima Guerra Mondiale in Turchia. Un ruolo fondamentale per la conferenza è stato svolto dall’associazione “Chandra stella luminosa” fondata dal dott. Massimo Sciarretta che in ricordo della professoressa Lidia Cilli, agisce con iniziative a favore della memoria. “Noi ragazzi” afferma uno studente “abbiamo avuto la possibilità non solo grazie all’evento, ma anche grazie al percorso svolto in classe, di entrare in contatto con la tragedia che ha colpito gli Armeni e di renderci conto di come molteplici massacri e stragi siano ancora nascosti ai nostri occhi e non vengano riconosciuti dagli autori dei genocidi stessi. Noi stessi studenti abbiamo trovato che quanto è accaduto al popolo armeno è molto vicino alla Shoah degli Ebrei nella Seconda Guerra Mondiale”. L’autrice Sonya Orfalian si è mostrata inizialmente riservata, per poi aprirsi con un dialogo schietto e diretto con la platea sul libro e non solo. L’azione turca nei confronti degli Armeni viene descritta dalla bocca di coloro che hanno subito le violenze, attraverso racconti i cui protagonisti sono bambini, 36 bambini come 36 sono le lettere dell’alfabeto armeno, i quali, oltre alla funzione di promuovere la memoria hanno l’intento di dare voce a chi invece non poteva più parlare. L’esigenza di scrivere e di testimoniare nasce per l’autrice come un grido di giustizia, oltre che per dimostrare il forte senso di appartenenza al popolo armeno. Ciò che ha più colpito noi giovani è stata la consapevolezza che troppo pochi sono a conoscenza di una situazione ancora oggi così spregevole, chiedendosi come possano diverse grandi potenze non parlare dell’argomento, solo per paura di ripercussioni sul piano economico e geopolitico.

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Aliyev annuncia l’invio della quinta revisione del trattato di pace all’Armenia. Perché non accetta il progetto “Crocevie di Pace”? E falla finita! (Korazym 15.11.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 15.11.2023 – Vik van Brantegem] – Con tutta la veemenza di cui si sa capace, il regime capeggiato dall’autocrate di Baku, Ilham Aliyev (foto di copertina), ha annunciato che l’Azerbajgian ha trasmesso all’Armenia una quinta revisione del trattato di pace.

Il Ministro degli Esteri della Repubblica di Armenia, Ararat Mirzoyan, mostra il progetto “Crocevie di Pace”.

Quindi, Aliyev insiste a mandare le sue “revisioni”. E allora? L’Armenia ha formulato il progetto “Crocevie di Pace” [QUI], che è l’espressione – anche visiva – delle posizioni, delle discussioni e degli accordi degli ultimi tre anni tra Azerbajgian e Armenia Cosa attende Aliyev per accettarlo? Lo sblocco dei collegamenti regionali con “Crocevie di Pace” e la delimitazione dei confini sono le fondamenta per la pace nel Caucaso meridionale.

Il significato politico e operativo più importante del progetto “Crocevie di Pace” è che l’Armenia mostra visivamente i suoi parametri relativi all’apertura dei collegamenti regionali, ha detto il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, durante una sessione di domande e risposte con i membri del governo all’Assemblea Nazionale, rispondendo alla domanda di Tsovinar Vardanyan, deputato della fazione Accordo civile, se il progetto “Crocevie di Pace” è economico, di sicurezza o di civilizzazione, quali sono le sue componenti e cosa può dare ai Paesi della regione e al di fuori della regione.

«Sapete che uno dei temi più discussi negli ultimi tre anni è l’apertura di collegamenti regionali, e in Armenia e fuori dall’Armenia, al governo della Repubblica di Armenia sono state attribuite ogni tipo di promesse, ogni tipo di disponibilità , cospirazioni e così via. Il significato politico e operativo più importante del progetto “Crocevie di Pace” è mostrare visivamente ciò che vogliamo, quale disponibilità abbiamo espresso e così via. Sapete che in quel periodo c’erano tutti i tipi di conversazioni di corridoio e c’erano tutti i tipi di interpretazioni legate a quella parola. Abbiamo fissato i nostri parametri, oltre i quali non c’è stata conversazione. In altre parole, non si tratta di qualcosa di nuovo, ma dell’espressione delle nostre posizioni, delle nostre discussioni e degli accordi degli ultimi tre anni», ha sottolineato Pashinyan.

Nel discorso che ha tenuto alla 15ª Assemblea annuale del Forum della Società Civile del Partenariato Orientale a Brussel, il Ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan,  ha sottolineato espressamente che il governo armeno ha la volontà politica di regolare le relazioni con l’Azerbajgian e di essere pronta ad andare avanti sulla base dei principi adottati dal Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, dal Presidente del Consiglio europeo Michel, dal Presidente francese Macron e dal Cancelliere tedesco Scholz a Granada. Inoltre, ha menzionato il progetto “Crocevie di Pace” segno dell’impegno dell’Armenia per la pace e la cooperazione nella regione e oltre.

Di seguito riportiamo il discorso del Ministro Mirzoyan nella nostra traduzione italiana:
«Sono sicuro che oggi con partner che la pensano allo stesso modo potremo avere una discussione aperta e valutare criticamente gli sviluppi sia nei Paesi partner orientali che a livello regionale ed europeo. Quindi, per stimolare un’ulteriore discussione, vorrei sollevare due domande che potrebbero essere utili per la riflessione di oggi.
Cos’era e in cosa consiste il partenariato orientale?
Qual è il ruolo della società civile nel cambiare il mondo e in particolare il Partenariato Orientale?
Già nel 2009, quando è stato lanciato, il partenariato orientale mirava a rafforzare i legami dei partner con l’Unione Europea e gli Stati membri sulla base di valori condivisi, nonché ad approfondire la cooperazione economica e politica e a sostenere l’agenda di riforma.
Posso affermare con orgoglio che il mio Paese continua ad aderire alla democrazia e ai valori democratici. Nonostante tutte le sfide che abbiamo affrontato negli ultimi anni, la pandemia di COVID-19, la guerra del 2020, gli attacchi militari e le aggressioni contro il territorio sovrano dell’Armenia, il flusso di oltre 100.000 profughi dal Nagorno-Karabakh a seguito della pulizia etnica, il processo di democratizzazione e l’attuazione dell’ambiziosa agenda di riforme in Armenia non si sono fermati per un momento. Il governo armeno resta impegnato nelle aspirazioni della Rivoluzione di velluto democratica e non violenta del 2018.
È molto difficile. È difficile mantenere la democrazia se non esiste un ambiente favorevole. Il crollo dell’architettura di sicurezza europea, la crescita dell’autoritarismo nel mondo, da un lato, le massicce violazioni della Carta delle Nazioni Unite, e, dall’altro, le massicce violazioni dei valori democratici, ci costringono a riconsiderare seriamente il modo in cui l’Unione Europea dovrebbe posizionarsi. E ciò richiede che l’Unione Europea non solo rafforzi i suoi legami con i partner orientali, ma anche incoraggi la cooperazione tra i partner orientali.
In questo contesto, vorrei accogliere con favore la decisione della Commissione Europea di proporre al Consiglio Europeo di avviare i negoziati di adesione con Moldavia e Ucraina e di concedere alla Georgia lo status di candidato. Questa decisione è accolta con favore non solo dal governo armeno, ma anche dal popolo armeno, che ha anch’egli aspirazioni europee. Negli ultimi anni abbiamo acquisito un’impressionante esperienza di lavoro congiunto finalizzato al riavvicinamento dell’Armenia e dell’Unione Europea. Collaboriamo nell’ambito dell’attuazione dell’agenda di riforma, dell’attuazione di iniziative faro del valore di 2,6 miliardi di euro e in molti altri settori. Abbiamo recentemente annunciato l’avvio del dialogo politico e di sicurezza ad alto livello tra Armenia e Unione Europea, la cui seconda fase si svolge oggi a Brussel. Accolgo con favore anche la decisione dell’Unione Europea di inviare una missione di monitoraggio lungo il confine di Stato tra Armenia e Azerbajgian. Inoltre, l’Unione Europea è un partner importante per l’Armenia, poiché sostiene i nostri sforzi volti a stabilire la pace e la stabilità nel Caucaso meridionale. Il governo armeno ha la volontà politica di regolare le relazioni con l’Azerbajgian, altro partner orientale, e siamo pronti ad andare avanti in questa direzione, sulla base dei principi adottati dal Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, dal Presidente del Consiglio europeo Michel, dal Presidente francese Macron e dal Cancelliere tedesco Scholz a Granada.
Inoltre, poiché crediamo che la pace e la stabilità nel vicinato orientale dipendano fortemente dalla cooperazione economica tra i partner, l’Armenia ha recentemente introdotto il progetto “Crocevie di Pace” come segno del nostro impegno per la pace e la cooperazione nella regione e oltre. Anche l’Armenia è interessata a partecipare al progetto del cavo elettrico del Mar Nero e speriamo che l’Unione europea sostenga questo sforzo utilizzando i suoi strumenti.
Passando alla mia seconda domanda sul ruolo delle società civili, devo ammettere che nessun governo al mondo è in grado di attuare l’agenda di sviluppo e di affrontare le sfide da solo senza di voi. I tempi in cui viviamo non sono affatto facili e so sicuramente che le questioni di cui parlavo non verranno affrontate senza la vostra partecipazione, critica, ma anche sostegno.
Grazie.
E non si tratta solo del tradizionale “grazie” che siamo soliti dire alla fine dei nostri interventi; Voglio davvero ringraziarvi per l’enorme lavoro che state svolgendo per la causa comune del partenariato orientale, per i nostri valori, la democrazia e la pace».

L’Azerbajgian si auto-promuove come Paese multiculturale, multireligioso e tollerante, ma la prima cosa che ha fatto occupando la Repubblica di Artsakh è stato rimuovere le croci dalle chiese apostoliche armene, tra cui dalla cattedrale della Santa Madre di Dio a Stepanakert (nella foto sopra).

L’Azerbajgian sta spazzando via sistematicamente i siti del patrimonio culturale e religioso armeno nell’Artsakh occupato. Ciò contraddice le promesse da parte di funzionari governativi di alto rango dell’Azerbajgian di proteggere i diritti culturali e religiosi degli Armeni nella “regione economica di Karabagh dell’Azerbajgian (cioè, la Repubblica di Artsakh), sostenendo che gli Armeni non avevano bisogno di lasciare le loro case.

Ironicamente, questa rimozione delle croci avviene mentre l’Azerbajgian è stato eletto Vicepresidente dell’UNESCO, l’organizzazione focalizzata sulla salvaguardia del patrimonio culturale e della diversità.

La Cattedrale apostolica armena della Santa Madre di Dio, consacrata il 7 aprile 2019, è stata costruita in 12 anni. Durante la guerra dei 44 giorni del 2020 ha fornito rifugio ai civili in cerca di protezione dagli incessanti attacchi dell’Azerbajgian a Stepanakert. L’ultima funzione religiosa presso la cattedrale ha avuto luogo il 1° ottobre 2023, in seguito allo sfollamento forzato dell’intera popolazione a causa dell’aggressione terroristica dell’Azerbajgian per rimuovere gli Arrmeni dall’Artsakh, completando la pulizia etnica.

Durante le udienze su “Il futuro del Nagorno-Karabakh” tenutesi presso la Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati degli Stati Uniti, il Vicecapo dell’Ufficio Eurasia ed Europa dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID), Alexander Sokolovsky, ha affermato che molti degli sfollati dal Nagorno-Karabakh hanno contratto malattie dovute alla chiusura del Corridoio di Berdzor (Lachin) da parte dell’Azerbajgian.
Gli Stati Uniti hanno chiarito all’Azerbajgian che le relazioni non saranno normali dopo l’attacco militare del 19-20 settembre 2023 contro il Nagorno-Karabakh, ha affermato O’Brien.

Questo mese, il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha visitato gli Armeni dell’Artsakh rapiti e detenuti dall’Azerbaigian dopo aver intrapreso la guerra contro l’Artsakh il 19 e 20 settembre 2023. Tuttavia, il CICR non ha specificato le persone che ha incontrato. Il CICR ha solo dichiarato di aver visitato coloro i cui nomi erano stati confermati dalle autorità.
Il 30 ottobre 2023, Rafayel Vardanyan, il Capo del Dipartimento investigativo di casi particolarmente importanti nel Dipartimento investigativo militare generale del Comitato investigativo della Repubblica di Armenia., ha riferito che dal 19 settembre 2023, l’Azerbajgian aveva rapito e detenuto 16 Armeni dell’Artsakh, inclusi 8 ex e attuali funzionari del Governo della Repubblica di Artsakh. Questi si aggiungono ai 30 prigionieri dell’Artsakh confermati della guerra dei 44 giorni del 2020.

La British Petroleum si trova ad affrontare molta pressione in questo momento. L’ultima questione riguarda il caso di Gubad Ibadoglu. BP il 13 novembre 2023 ha risposto ad una domanda della ONG Crude Accountability: «Grazie per aver trasmesso la lettera di Crude Accountability, indirizzata al nostro Presidente, Helge Lund. In risposta alla sua lettera, riportiamo di seguito una dichiarazione di BP. In genere non commentiamo i processi legali/giudiziari nei Paesi in che operiamo se non in relazione alle nostre attività. Per quanto riguarda il Dott. Ibadoglu, siamo molto dispiaciuti per le sue condizioni mediche e speriamo che la situazione si risolva rapidamente, in conformità con le norme internazionali sui diritti umani e le legislazioni nazionali. Grazie ancora per la sua comunicazione; BP continuerà a impegnarsi in modo costruttivo nella discussione con il Business & Human Rights Resource Centre».

Quando abbiamo iniziato a scrivere che l’Azerbajgian stava riciclando il gas russo verso l’Europa a un prezzo più alto, gli Europei fingevano di non sentirlo e oggi continuano a “non sapere”

Adesso Zhala Bayramova, Avvocato per i diritti umani con sede in Azerbaigian, la figlia di Gubad Ibadoglu, prigioniero politico in Azerbajgian, ribadisce il concetto: «Mio padre è stato arrestato 2 giorni dopo aver pubblicato un’indagine che denunciava il ruolo dell’Azerbajgian nell’acquisto di petrolio/gas russo, aiutando potenzialmente la Russia a eludere le sanzioni. Ora rischia la punizione e non ha alcuna assistenza medica. Con l’allontanamento di mio padre, l’Azerbajgian e la Russia sperano di nascondere questa realtà».

Una valutazione del potenziale della cooperazione energetica Unione Europea-Azerbaigian e il suo impatto sulla dipendenza dal gas dell’Unione Europea sulla Russia
di Gubad Ibadoghlu, Senior Visiting Fellow presso la London School of Economics and Political Science, e Ibad Bayramov, Analista presso Morgan Stanley
Riassunto:
 Secondo il Memorandum of Understanding (MoU) su un partenariato strategico nel campo dell’energia tra la Commissione Europea e Azerbajgian, quest’ultimo raddoppierà la sua attuale fornitura di gas naturale all’Europa entro il 2027. Detto questo, l’Azerbajgian ha la capacità di produrre e trasportare questo aumento di volume – e la cooperazione con l’Azerbajgian contribuirà a ridurre la dipendenza dell’Unione Europea dal gas della Russia? In questo articolo, gli autori esplorano la produzione energetica del Paese e la capacità di trasporto, valutandone il potenziale e definendo le sfide future.
Testo integrale [QUI]

Si spera che il Regno Unito faccia scelte di politica estera adeguate nel Caucaso meridionale, in linea con i valori euro-atlantici piuttosto che con una geopolitica arida. In Armenia, il Regno Unito è stato tradizionalmente considerato un sostenitore dell’Azerbajgian a causa degli accordi controversi sugli idrocarburi della British Petroleum.

«Perché l’Armenia ha bisogno di importare gas iraniano quando l’Azerbaigian è accanto? La decisione di importare gas iraniano è una decisione geopolitica nata dalla sicurezza e dai legami militari dell’Armenia con l’Iran. Questa decisione è realtà, mentre l’integrazione europea dell’Armenia è una finzione» (Taras Kuzio). Questo personaggio ha seri problemi con la logica o meglio, con la sua assenza di logica. Non è in assetto.

I diplomatici dell’Azerbajgian ripetano che gli Azeri sono felici di vivere in un Paese ricco. Invece…
«Questa foto [sopra] è stata scattata in Azerbajgian, il Paese del petrolio e del gas. i pensionati cercano di vivere con la pensione di 130 dollari al mese che ricevono. È il giorno in cui le persone ricevono 130 dollari sul loro conto. Mi vergogno di essere Azero a causa di questa scena vergognosa. Il mio Paese è governato dalla famiglia Aliyev, un bandito ladro. Coloro che governano il paese rubano miliardi dal petrolio e dal gas e li portano all’estero, mentre i poveri cercano di vivere con 130 dollari. Il terrorista Presidente dell’Azerbajgian si fa bella figura facendo guerre e spargendo sangue. Nel suo Paese la gente vive come mendicanti.» (Manaf Jalilzade).

Le autorità georgiane hanno confermato che la Francia ha spedito i veicoli corazzate ACMAT Bastion in Armenia attraverso il porto di Poti. APM Terminals Poti ha confermato la notizia al servizio georgiano di Radio Free Europe/Radio Liberty. Le autorità armene non hanno commentato le notizie dei media riguardanti l’acquisto di APC Bastion dalla Francia. Secondo il quotidiano regionale francese Ouest France, i mezzi di trasporto truppe Bastion da 12,5 tonnellate erano inizialmente destinate all’Ucraina. Tuttavia, Kiev li considerava “troppo leggermente protetti contro il fuoco dell’artiglieria e i missili anticarro”. Il giornale riporta inoltre che la Francia potrebbe presto fornire all’Armenia circa cinquanta VAB MK3. Inizialmente, le riprese dei veicoli corazzati trasportati attraverso la Georgia in Armenia erano state condivise sui canali Telegram georgiani e azeri il 12 novembre 2023, ma nessuna delle parti aveva confermato la notizia.

La Georgia ha risposto alla protesta dell’Azerbajgian sul transito di armi in Armenia. Il Ministro degli Esteri georgiano, Ilya Darchiashvili, ha commentato le spedizioni di armi dalla Francia all’Armenia attraverso il territorio georgiano, affermando che ogni Paese ha il diritto di possedere i mezzi di difesa consentiti dagli accordi internazionali. Ha sottolineato la posizione della Georgia di fornire pari opportunità di transito ad entrambi i Paesi.

Due dittatori, stesso metodo

Il regime di Putin

  • “Loro (“l’Occidente”) consegneranno gli F-16. Questo cambierà qualcosa? Non credo. Prolungherà solo il conflitto” (Vladimir Putin, 12 settembre 2023).
  • “Abbiamo ripetutamente affermato che tali forniture non cambieranno sostanzialmente nulla, ma aggiungeranno problemi all’Ucraina e al popolo ucraino” (Dmitry Peskov, 20 gennaio 2023).
  • “Kiev perseguiva” una linea distruttiva “e aveva” scommesso sull’intensificazione delle ostilità con il sostegno degli sponsor occidentali, che stanno aumentando le forniture di armi e attrezzature militari”, ha affermato Vladimir Putin in una telefonata con il suo omologo turco Recep Tayyip Erdoğan il 16 gennaio 2023.
  • Putin mette in guardia gli Stati Uniti dal fornire all’Ucraina missili a lungo raggio. “Colpiremo quegli obiettivi che non abbiamo ancora raggiunto. Questa non è una novità. In sostanza non cambia nulla” (Vladimir Putin, 5 giugno 2022).

Il regime di Aliyev

  • “La fornitura di armi da parte della Francia all’Armenia è stata un approccio che non è al servizio della pace, ma mira a gonfiare un nuovo conflitto” (Ilham Aliyev a Charles Michel, 8 ottobre 2023).
  • “La Francia sarà responsabile di qualsiasi nuovo conflitto con l’Armenia” (Ilham Aliyev a Charles Michel, 8 ottobre 2023).
  • Il Consigliere presidenziale per la politica estera dell’Azerbajgian, Hikmet Hajiyev ha dichiarato che il governo azerbajgiano segue da vicino ed è sempre più preoccupato per l’”approfondimento” della cooperazione militare tra Armenia e India, 26 luglio 2023.
  • Il Consigliere presidenziale per la politica estera dell’Azerbajgian, Hikmet Hajiyev, ha esortato l’India a rivedere la sua decisione di fornire armi all’Armenia, poiché la fornitura di armi letali mentre Yerevan e Baku stanno discutendo del trattato di pace “apre la strada alla militarizzazione dell’Armenia” e “impedisce l’instaurazione di pace e sicurezza durature”. nel Caucaso meridionale”, 26 luglio 2023.

Il Presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan: «Dopo anni trascorsi a inseguire sogni sulle terre del nostro Paese, l’Armenia ha imparato la lezione con la guerra del Karabakh ed è sistemata. Anche Israele finirà per rimanere deluso. Finché noi, 85 milioni, saremo uniti, nessuno potrà abbatterci. Un esercito forte e moderno è una necessità. Auguro successo a tutti, in particolare alle nostre forze di sicurezza, che lavorano per la sopravvivenza del nostro Paese».
«Questa è una falsa propaganda da parte della Turchia. Nessuna delle autorità armene dal ripristino della nostra indipendenza nel 1993 ha avanzato alcuna rivendicazione territoriale alla Turchia. Mio nonno sognava la casa perduta a Musa Dagh quando era vecchio e malato con febbre. Vale come rivendicazione territoriale?» (Sossi Tatikyan).

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Nagorno Karabakh: storia e fine dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh (Osservatoriodiritti 15.11.23)

Ogni Stato ha un giorno che ne celebra l’indipendenza. C’è però un popolo che, invece, conserva il ricordo del giorno della scomparsa della sua nazione, della fine della sua esistenza: il popolo armeno della Repubblica dell’Artsakh, nome con il quale era stato battezzato lo Stato mai riconosciuto da alcun Paese al mondo del Nagorno Karabakh, che ha cessato di esistere il 19 settembre, dopo che le truppe dell’Azerbaijan hanno sferrato un violento attacco con aviazione, artiglieria e droni che ha provocato centinaia di vittime.

A seguito dell’aggressione di Baku e della resa totale da parte dell’amministrazione della Repubblica del Nagorno Karabakh, oltre centomila cittadini armeni hanno abbandonato per sempre la loro terra e per giorni macchine, autobus, trattori e carri colmi di valige, macerie di esistenze e lacrime senza soluzione di continuità hanno attraversato il ponte di Hakari verso la vicina Armeniatrasportando un intero popolo divenuto orfano di una terra.

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Forze armene in Nagorno Karabakh (1994) – Foto: Armdesant (via Wikimedia Commons)

Nagorno Karabakh: la storia

Per capire come si è arrivati all’esodo della popolazione armena dalla sua terra d’origine occorre ripercorrere gli eventi più recenti della storia del territorio conteso del Caucaso meridionale. Il Nagorno Karabakh, terra storicamente armena e popolata per il 95% da cittadini armeni, nel 1921 venne ceduta da Stalin all’Azerbaijan. Una manovra, quella del dittatore georgiano, fatta per compiacere la Turchia di Ataturk e rafforzare il neonato stato azero, ricco di giacimenti di idrocarburi.

Alla fine degli anni ’80, con le prime avvisaglie dell’imminente collasso dell’impero sovietico, i cittadini armeni dell’Oblast Autonomo del Nagorno Karabakh avanzarono richieste di indipendenza dall’Azerbaijan e annessione con la madrepatria. Le rivendicazioni della maggioranza armena vennero però respinte e la convivenza tra le due comunità si fece sempre più difficile, tanto che incominciarono a registrarsi scontri e massacri da ambo le parti che portarono alla guerra, che dal ’92 al ’94 causò la morte di oltre 30 mila persone.

Solo un flebile cessate il fuoco fermò la guerra, che si concluse con la vittoria finale degli armeni, che presero controllo dell’intera regione e proclamarono la nascita della Repubblica dell’Artsakh.

Formalmente, però, in base agli accordi e alle risoluzioni internazionali, il Nagorno Karabakh è rimasto parte dell’Azerbaijan ed è per questo motivo che Baku ne ha sempre rivendicato l’appartenenza.

L’Artsakh, invece, negli anni ha invocato il riconoscimento internazionale appellandosi al diritto dell’autodeterminazione dei popoli ed è stato questo impasse giuridico a impedire la fine delle ostilità.

Il 27 settembre del 2020 l’Azerbaijan infatti ha attaccato nuovamente il territorio armeno arrivando, dopo 44 giorni di scontri, a occupare gran parte della regione.

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Nagorno Karabakh – Foto: Adam Jones (via Flickr)

La guerra in Nagorno Karabakh: il blocco del corridoio di Lachin

Dal 12 dicembre 2022 il governo azero, in contrasto con gli accordi di cessate il fuoco del 9 novembre del 2020, che prevedevano che i peacekeepers russi monitorassero il corridoio di Lachin, ha bloccato la sola arteria che metteva in comunicazione l’Armenia con l’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh e che, prima del blocco stradale, vedeva il transito quotidiano di 400 tonnellate di beni di prima necessità destinati agli armeni del territorio dell’Artsakh.

Per oltre 9 mesi più di 120.000 persone, uomini, donne e bambini armeni hanno vissuto completamente accerchiati e in ostaggio delle forze di Baku e, a partire dal 15 giugno, è stato negato l’accesso al territorio conteso anche agli aiuti umanitari e ai mezzi della Croce rossa internazionale, accusati di trasportare merci di contrabbando.

Da allora le condizioni dei civili del Nagorno Karabakh sono precipitate, aggravando una crisi umanitaria che non si è arrestata durante tutti i mesi di isolamento, nonostante gli appelli dell’Europa, degli Stati Uniti, di Amnesty International, di Human Rights Watch e anche del Tribunale dell’Aja, che hanno chiesto la riapertura della strada.

I racconti degli esuli armeni

«Quando il blocco del corridoio di Lachin è incominciato con un presidio di sedicenti eco-attivisti non avevamo la percezione di ciò che stesse accadendo. Pensavamo che si trattasse di una manovra di pressione politica e che sarebbe terminata presto, anche perché era compito del contingente di peacekeeping russo permettere la libera circolazione di uomini e mezzi dall’Armenia al Karabakh. Quando però le merci hanno iniziato a scarseggiare, il cibo ha iniziato ad essere razionatoi soldati russi non intervenivano e gli azeri hanno sostituito la manifestazione degli attivisti con un check-point permanente, in quel momento abbiamo capito che la situazione stava degenerando e stava divenendo drammatica».

Pochi giorni prima dell’ultima aggressione condotta dall’Azerbaijan contro il territorio armeno del Nagorno Karabakh, Jasmine, una studentessa di 18 anni, trasferitasi da poco in Armenia per motivi di studio, raccontava in questi termini il periodo trascorso isolata  dal resto del mondo.

«Mi ricordo le sveglie all’alba di mia mamma che si metteva in fila dalle prime luci del giorno per ricevere un pezzo di pane, mi ricordo l’attesa di vivere senza sapere cosa sarebbe stato di noi all’indomani e lo sconforto nel non vedere alcuna reazione da parte del resto del mondo. E poi mi ricordo il giorno che me ne sono andata di casa».

Durante la chiusura della sola strada che univa l’Armenia all’Artsakh, l’uscita dalla regione contesa era concessa ai cittadini armeni solo per motivi di salute o di studio. «Io, per poter aver un futuro, mi sono trovata a scegliere tra la mia famiglia e lo studio. E quando ho deciso di venire a Yerevan a studiare e ho salutato la mia famiglia, solo in quel momento, mi sono resa conto che forse non l’avrei vista mai più».

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Monumento a Stepanakert, capitale del Nagorno Karabakh – Foto: Martin Cígler (via Wikimedia Commons)

L’attacco al Nagorno Karabakh e l’esodo umanitario

Il 19 settembre, adducendo a casus belli la morte di alcuni cittadini azeri a causa di alcune mine collocate nel territorio del Karabakh, il governo di Baku ha avviato un attacco su vasta scala bombardando per quasi un’intera giornata la ex capitale dell’Artsakh, Stepanakert.

I bombardamenti hanno provocato decine di morti anche tra la popolazione civile, bambini compresi. Inoltre si sono registrate violazioni di diritti umani in tutto il territorio aggredito.

A poche ore dall’inizio dell’azione militare, il governo autonomo della Repubblica dell’Artsakh, che non ha ricevuto alcun supporto militare dall’esecutivo armeno di Pashinyan, ha accettato le condizioni di resa e da quel momento la storia è nota: gli oltre 120 mila armeni del Nagorno Karabakh, tra il panico e la disperazione, hanno caricato coperte, vestiti e i pochi ricordi che sono riusciti a salvare su vecchi furgoni Uaz e su Lada Niva e Lada Zhiguli e hanno abbandonato per sempre una terra che, per la prima volta nella storia, è orfana della presenza di cittadini armeni.

Una fuga, quella della popolazione armena del Nagorno Karabakh, a seguito di un attacco militare, che è stata definita da una risoluzione del Parlamento europeo un’operazione di pulizia etnica da parte dell’Azerbaijan ai danni della comunità armena del Nagorno Karabakh.

E mentre i cittadini armeni lasciavano il “Giardino Nero” del Caucaso meridionale, i principali leader politici dell’Artsakh – tra i quali Ruben Vardanyan, ex ministro di Stato, David Babayan, ex ministro degli esteri dell’Artsakh, Bako Sahakyan, ex presidente della Repubblica dell’Artsakh e l’ex primo ministro Arayik Harutyunyan – sono stati arrestati e trasferiti nelle carceri di Baku.

Nagorno Karabakh oggi: il destino dei cittadini armeni

Dopo tre decadi la storia della Repubblica dell’Artsakh è terminata e il 1° gennaio 2024 cesserà formalmente di esistere ogni istituzione che richiami, o ricordi, lo Stato mai riconosciuto del Nagorno Karabakh. I suoi abitanti, i suoi uomini, le sue donne e i suoi bambini vivono ora in alloggi di fortuna, in palestre adibite a centri di accoglienza e in case sfitte messe a disposizione dai cittadini armeni, all’interno del territorio dell’Armenia.

Sono uomini e donne senza più un lavoro né un’esistenza e che, oltre al dramma di aver perso tutto, oggi devono fronteggiare le difficoltà di ricominciare a vivere e trovare un’occupazione in un Paese di poco più di 2 milioni di abitanti, con una situazione economica aggravatasi dopo lo scoppio della pandemia e della guerra tra Russia e Ucraina, e che ora fatica ad aiutare e inserire nella società degli oltre 120.000 sfollati dell’Artsakh.

«Quello che vede davanti a me è tutto ciò che mi rimane della mia vita» , racconta a Osservatorio Diritti Nvard, 53 anni, originaria di Stepanakert, che ora trascorre le sue giornate in una piccola stanza d’albergo di Goris, l’ultima città armena prima di quello che era l’ingresso nel territorio dell’Artsakh.

Davanti a lei alcune foto in bianco e nero sparigliate sul tavolo e intanto, sul display del cellulare, scorrono alcuni video dei compleanni dei nipoti festeggiati solo pochi anni prima in Artsakh. La donna non smette di guardare le foto e i video, nonostante lacrime silenziose, di cui non si cura.

«Non esiste più nulla di tutto questo. Solo ricordi che con il tempo diventeranno opachi anche loro, come queste foto in bianco e nero. Tutta la mia vita non esiste più. Non c’è più nulla, nemmeno la misericordia di poter portare un fiore sulla tomba di mia madre. Niente. Ho solo quest’anonima stanza di albergo in cui dormire e un dolore, che non auguro a nessuno, a riempire il vuoto che ho dentro. Io, per tutta la mia vita, ho avuto un sogno: venire in Italia e vedere Venezia. Oggi, invece, ho  un altro sogno: rivedere ancora, almeno per una volta nella mia vita, la mia terra. Ma so che è solo una chimera e che morirò un giorno senza aver più avuto modo di tornare, anche solo per un istante, nel mio Artsakh».

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Romania: le comunità religiose tendono la mano ai rifugiati del Nagorno-Karabakh. Caritas Romania: colletta nazionale il 10 dicembre (Agensir 15.11.23)

La cultura e la spiritualità armena, ma soprattutto la crisi umanitaria dei cristiani che si sono rifugiati dal Nagorno-Karabakh in Armenia sono stati al centro di un’incontro dei rappresentanti dei culti della Romania, avvenuto a Bucarest ieri sera. All’incontro, ospitato dalla Chiesa armena in Romania e organizzato con il sostegno del Segretariato dei culti del Governo romeno, hanno preso parte rappresentanti di sei chiese cristiane della Romania, il vescovo armeno di Artsakh, Vrtanes Aprahamyan, e il segretario dei culti romeno Ciprian Olinici. La Chiesa cattolica è stata rappresentata da mons. Aurel Perca, arcivescovo romano-cattolico di Bucarest, e mons. Mihai Fratila, vescovo greco-cattolico di Bucarest. Il vescovo Vrtanes ha presentato la situazione drammatica che sta attraversando la sua chiesa e ha informato che tutto il suo clero è impegnato nell’assistenza umanitaria e psicologica dei rifugiati, soprattutto delle donne e dei bambini. Il vescovo Varlaam, delegato del Patriarca Daniel, ha confermato il sostegno della Chiesa ortodossa romena: “Quello che sta succedendo in Artsakh sconvolge tutti i cristiani, perché non è un fenomeno isolato”, ha detto, come riferisce l’agenzia Basilica del Patriarcato ortodosso romeno. Parlando dell’aiuto concreto offerto ai rifugiati, l’arcivescovo Perca ha comunicato che domenica 10 dicembre la Confederazione Caritas Romania organizzerà in tutte le chiese cattoliche della Romania una colletta per i cristiani fuggiti da Artsakh.

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Pasinyan esalta la crescita economica di Erevan e insiste sulla pace con Baku (Asianews 15.11.23)

Prevista una crescita del Pil del 7% grazie alla “stabilità” mantenuta nonostante i conflitti. Il premier punta ancora a un accordo di pace definitivo con l’Azerbaigian dopo il passo indietro sul Nagorno Karabakh: “Passaggi complicati, ma siamo spinti con convinzione dalla difesa degli interessi del nostro Paese”. La situazione ancora estremamente precaria dei 100mila profughi fuggiti dall’enclave.

Erevan (AsiaNews) – All’Assemblea nazionale, il parlamento di Erevan, è cominciata la discussione sulla prossima legge finanziaria, e il primo ministro Nikol Pasinyan ha cercato di trasmettere sensazioni di ottimismo nella sua relazione iniziale. Il governo dell’Armenia prevede per il 2023 di raggiungere una crescita del Pil di almeno il 7%, con un tasso di inflazione mediamente stabile. Sarebbe il risultato della fine dei conflitti con l’Azerbaigian e l’apertura alle relazioni commerciali verso la Turchia, l’Iran e l’Europa, mantenendo comunque rapporti stabili con il partner storico della Russia, con la quale ultimamente non mancano le tensioni.

Come ha sottolineato il premier, “uno dei nostri maggiori risultati è la nostra stabilità macroeconomica, in un contesto molto pieno di minacce e sfide alla sicurezza, ma che siamo riusciti a mantenere anche di fronte ai conflitti e all’instabilità politica interna del Paese, per non parlare degli anni della pandemia”. L’Armenia conferma per il secondo anno consecutivo il trend di crescita economica, e si spera in ulteriori progressi. Nei primi 9 mesi dell’anno l’inflazione è rimasta sempre sotto il 3%.

Nei piani illustrati da Pasinyan si insiste soprattutto sulla possibilità concreta di sottoscrivere un accordo di pace definitivo con l’Azerbaigian, e di una definizione complessiva anche dei rapporti con la Turchia, i due avversari storici del popolo armeno. Il governo “è consapevole che si tratta di passaggi complicati”, ha riconosciuto, ma “siamo spinti con convinzione dalla difesa degli interessi del nostro Paese”.

Con Baku sono già stati fissati in diverse trattative “i tre principi fondamentali” della sicurezza, della riapertura delle vie di comunicazione e soprattutto del riconoscimento dell’integrità territoriale, che concede agli azeri la sovranità sul Karabakh, ma pretende la definizione di tutte le aree di confine, per ristabilire le dimensioni degli “86.600 kmq dell’Azerbaigian e i 29.800 dell’Armenia”. Pasinyan ritiene che “se rimarremo entrambi fedeli ai principi che abbiamo riconosciuto, la regolazione delle questioni aperte sarà possibile in breve tempo”.

Allo stesso tempo, dopo la visita della rappresentante del Consiglio europeo per i migranti e i profughi Leyla Kayacik, è pronto un pacchetto di misure europee di sostegno ai circa 100 mila profughi del Nagorno Karabakh in Armenia (tra cui 30 mila bambini), che continuano a vivere in condizioni molto precarie. Insieme anche alle organizzazioni non governative, saranno riorganizzati i campi profughi con un piano triennale nel 2023-2026.

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