Azerbaigian: Comunità armena condanna falsificazioni storiche su fede cristiana (Agenzianova 07.02.22)

Roma, 07 feb 10:23 – (Agenzia Nova) – Lo Stato dell’Azerbaigian è nato solo nel 1918 e la sua popolazione di etnia turca migrò dalle steppe centrali dell’Asia a partire dall’undicesimo secolo: sembra quindi abbastanza difficile che questi avessero potuto abbracciare la fede cristiana nel 313, ancora prima del loro arrivo nella regione. È quanto si legge in una nota della Comunità armena, secondo cui i legami fra la chiesa cristiana e l’Azerbaigian rappresentano sono una rappresentazione distorta della realtà storica, priva di fondamenti scientifici e rivolge accuse assurde contro la chiesa Gregoriana armena. Secondo quanto si legge nella nota, è in corso un tentativo di confondere l’opinione pubblica e deviare l’attenzione dai misfatti del governo di Baku.
(Res)

Amalfi, l’opera umanitaria di Mons. Angelo Maria Dolci e Mons. Andrea Cesarano al tempo del genocidio degli armeni in Turchia (Positanonews 07.02.22)

Riportiamo l’interessante racconto del giornalista amalfitano Sigismondo Nastri sulla figura di due rappresentanti della chiesa amalfitana in Turchia nell’opera umanitaria di Mons. Angelo Maria Dolci e e Mons. Andrea Cesarano al tempo del genocidio degli armeni: «Si sa che i nostri antenati si stabilirono fin dal VII secolo a Costantinopoli, rafforzando poi i loro insediamenti, per ovvie ragioni commerciali, a partire dal X secolo. Costruendo chiese, ospedali, istituendo ordini religiosi e cavallereschi. Ma non è questo che m’incuriosisce. Il mio interesse si rivolge a due personaggi: monsignor Angelo Maria Dolci (Civitella di Agliano, 12.7.1867 – 13.9. 1939), arcivescovo di Amalfi dal 1911 al 1914, quando si dimise per assumere l’incarico di delegato apostolico della Santa Sede in Costantinopoli, e monsignor Andrea Cesarano (del quale pure ho scritto), all’epoca canonico della cattedrale amalfitana, che lo accompagnò nella delicata missione in qualità di segretario.
Louis Pelâtre, vicario apostolico di Istanbul, in un articolo pubblicato nel 2006 sull’Osservatore Romano in occasione del viaggio apostolico di Benedetto XVI in Turchia, racconta la vicenda storica di quel vicariato, fino ai nostri giorni. Quanto a mons. Dolci e mons. Cesarano, bisogna dire che essi vi giunsero in un momento estremamente delicato. Si stava avviando allo sfaldamento l’impero ottomano, ma si stava anche consumando il feroce genocidio degli Armeni. “Nel 1914 la situazione armena peggiora irrimediabilmente. In quell’anno infatti il governo turco decide di entrare in guerra a fianco degli imperi centrali e subito si lancia alla conquista dei territori azeri “irredenti”. La Terza Armata turca, impreparata, male equipaggiata, mandata allo sbaraglio in condizioni climatiche ostili, viene presto sbaragliata a Sarikamish nel gennaio 1915 dalle forze sovietiche. L’esercito turco indica i responsabili della disfatta negli armeni che, allo scoppio della guerra avevano comunque assicurato il proprio sostegno all’impresa turca. Il clima si fa sempre più teso e, tra il dicembre del ’14 ed il febbraio del ’15, il Comitato Centrale del partito Unione e Progresso, diretto dai medici Nazim e Behaeddine Chakir, decide la soppressione totale degli armeni. Vengono creati speciali battaglioni irregolari, detti tchété, in cui militano molti detenuti comuni appositamente liberati; essi hanno addirittura autorità sui governi ed i prefetti locali e quindi godono di un potere pressoché assoluto. L’eliminazione sistematica prende l’avvio nel 1915, quando i battaglioni regolari armeni vengono disarmati, riuniti in gruppi di lavoro ed eliminati di nascosto. Il piano turco, pensato e diretto dal Ministro dell’Interno Talaat, prosegue poi con la soppressione della comunità di Costantinopoli ed in particolare della ricca ed operosa borghesia armena: tra il 24, che resta a segnare la data commemorativa del genocidio, ed il 25 aprile, 2345 notabili armeni sono arrestati mentre tra il maggio ed il luglio del 1915 gli armeni delle province orientali di Erzerum, Bitlis, Van, Diyarbakir, Trebisonda, Sivas e Kharput vengono sterminati. Solo i residenti della provincia di Van riescono a riparare in Russia grazie ad una provvidenziale avanzata dell’esercito sovietico. Nelle città viene diffuso un bando che intima alla popolazione armena di prepararsi per essere deportata; si formano così grandi colonne nelle quali gli uomini validi vengono raggruppati, portati al di fuori delle città e qui sterminati. Il resto della popolazione viene indirizzato verso Aleppo ma la città verrà raggiunta solo da pochi superstiti: i nomadi curdi, l’ostilità della popolazione turca, i tchété e le inumane condizioni a cui sono sottoposti fanno sì che i deportati periscano in gran numero lungo il cammino. Dopo la conclusione delle operazioni neppure un armeno era rimasto in vita in queste province.
La seconda parte del piano prevedeva il genocidio della popolazione armena restante, sparsa su tutto il resto del territorio. Tra l’agosto del 1915 ed il luglio del 1916 gli armeni catturati vengono riuniti in carovane e, malgrado le condizioni inumane cui vengono costretti, riescono a raggiungere quasi integre Aleppo mentre un’altra parte di deportati viene diretta verso Deir es-Zor, in Mesopotamia. Lungo il cammino, i prigionieri, lasciati senza cibo, acqua e scorta, muoiono a migliaia. Per i pochi sopravvissuti la sorte non sarà migliore: periranno di stenti nel deserto o bruciati vivi rinchiusi in caverne.
A queste atrocità scamperanno solo gli armeni di Costantinopoli, vicini alle ambasciate europee, quelli di Smirne, protetti dal generale tedesco Liman Von Sanders, gli armeni del Libano e quelli palestinesi.
Il consuntivo numerico di questo piano criminale risulta alla fine:
– da 1.000.000 a1.500.000 di armeni vengono eliminati nelle maniere più atroci. In pratica i due terzi della popolazione armena residente nell’Impero Ottomano è stata soppressa e, regioni per millenni abitate da armeni, non vedranno più, in futuro, nemmeno uno di essi.
– circa 100.000 bambini vengono prelevati da famiglie turche o curde e da esse allevati smarrendo così la propria fede e la propria lingua.
– considerando tutti gli armeni scampati al massacro il loro numero non supera le 600.000″.
Monsignor Dolci, il 5 giugno 1916, lanciò questo appello al ministro degli esteri ottomano. “Tutta la stampa europea e americana, dopo aver dato grande spazio all’annientamento della razza armena, si leva con indignazione contro la Santa Sede e contro l’augusta persona di Sua Santità il Papa che, dall’inizio di questa persecuzione contro i cristiani di Siria e soprattutto del Libano, non ha protestato, attraverso un atto pubblico ufficiale, di fronte al mondo civilizzato.
La stampa stessa espone nelle colonne dei giornali i tristi dettagli dei massacri di tanti cristiani, di numerosi preti e di una quarantina di vescovi armeni, di cui cinque cattolici; si indigna anche contro il rifiuto delle autorità di mandare un prete ai sopravvissuti per il servizio religioso, rifiutato anche ai moribondi, e si lamenta amaramente delle procedure del governo ottomano contro i suoi soggetti cristiani di Siria e Libano. […] Ho delle istruzioni dei miei superiori da sottoporre all’alta intelligenza di sua eccellenza il ministro degli Esteri e al suo spirito illuminato di uomo di Stato, la situazione dolorosa e penosa che questa persecuzione contro i cristiani di Siria e Libano creerebbe alla Santa Sede davanti all’opinione pubblica che non cessa di reclamare energicamente una protesta ufficiale di fronte al mondo civilizzato, arrivando fino ad accusarlo di mancare ai suoi sacri doveri, non difendendo la vita e gli interessi della cristianità.
Sua eccellenza mi permetta di far notare rispettosamente che queste procedure delle autorità del vilayet della Siria e soprattutto del governatore del Libano (di costringere i cristiani alla conversione all’Islam), cercando di spegnare il culto cattolico, sollevano grida di indignazione nel mondo intero, e che allo stesso tempo sono contrari ai reali interessi dell’Impero ottomano che, soprattutto in questa guerra e dopo l’abrogazione delle capitolazioni, deve affrettarsi a testimoniare al mondo che il culto cristiano non ha bisogno della protezione delle Potenze straniere, che il suo protettore naturale è il governo ottomano” [Archivio segreto vaticano, Delegazione Apost. di Turchia, Mgr Angelo Maria Dolci, fasc. “Persecuzione e massacri contro gli armeni”, vol. II, 93, s.p. In: Raymond Kévorkian (a cura di), Revue d’Histoire arménienne contemporaine (tome II), numero monografico sui campi di raccolta in Siria-Mesopotamia (pubblicazione della Bibliothèque Noubar, Paris 1998]. “La guerra non era ancora finita – scrive Rinaldo Marmara, storico ufficiale del vicariato apostolico di Istanbul, in un altro articolo, pure uscito sull’Osservatore Romano – che già Monsignor Dolci, Delegato Apostolico della Santa Sede in Costantinopoli, aveva preso l’iniziativa, in segno di riconoscenza, di erigere un monumento al ‘Papa della Pace’ Benedetto XV”. Per l’opera da lui svolta a favore della nazione ottomana: intervento presso il governo francese per i prigionieri turchi, ospedale per i feriti turchi, doni ai soldati per la festa religiosa del Bayram, visita dei prigionieri turchi arrivati dalla Russia. Mons. Dolci fece conoscere il suo progetto attraverso una lettera circolare, che tendeva anche a raccogliere i finanziamenti necessari. Ci riuscì. Manara riporta una serie di notizie interessanti trovate nel Chronicon della Delegazione Apostolica di Costantinopoli: «Monsignor Dolci avendo durante la guerra e l’armistizio lavorato tanto per aiutare tutte le miserie, seguite necessarie della guerra, coll’aiuto di armeni, greci, ebrei, musulmani e altri venne in aiuto con un’opera detta ‘Lacrime nascoste’ a famiglie intiere rovinate dalla catastrofe della guerra. Onde fece fare teatri, lotterie, kermesse, a favore della sua opera e il sacerdote Mussulu Giovanni Natale di Smirne fu incaricato spesso in queste opere. Sempre agendo come rappresentante del Papa benedetto XV volle ancora immortalare la memoria benefica di questo gran Papa che da vero Pastore et Padre ebbe l’intuizione dei bisogni di tutti senza distinzione di religione e di razza e a cui provvide quanto glielo permisero le facoltà e le circostanze. A questo scopo fece erigere la statua che si trova attualmente nel cortile della Cattedrale. A questa opera in segno di riconoscenza vi contribuirono greci, armeni, turchi, protestanti ed ebrei: Monumento di riconoscenza degli eterodossi al Papato Cattedra di Pace e di Bontà, come lo dicono le quattro lastre sullo zoccolo della statua, in francese e in italiano. Le due lastre laterali le fece mettere Monsignor Cesarano dopo la partenza di Monsignor Dolci. Prima statua in Turchia, presieduta dal figlio del sultano Abdul Hamid». Quando il 13 marzo 1933 mons. Dolci fu fatto cardinale da Pio XI, mons. Cesarano svolse le funzioni di segretario della Delegazione apostolica. La sua opera – nota Matteo Di Turi nel suo sito “Sacro e profano” – “fu considerevole, delicata e meritoria, poiché non trascurò mai gli aspetti umanitari che la Santa Sede intendeva innanzitutto perseguirvi. Don Andrea Cesarano salvò da sicura strage moltissimi Armeni: un popolo sterminato in passato da Ottomani e da Curdi, e ancora perseguitato dai Giovani Turchi di Kemal Atatürk, nel 1922. Da diplomatico, egli mostrò un cospicuo talento, affinatosi nel tempo in un crescendo inarrestabile con l’esperienza acquisita; e da sacerdote mai trascurò di esercitarvi la necessaria carità. Non poche conversioni lo ripagarono per tutto questo. Un giorno gli giunse il premio per le meritate benemerenze acquisite. Ad Istanbul, il 15 agosto 1931, nella cattedrale di Santo Spirito, con la nomina conferitagli da Pio XI di arcivescovo di Manfredonia, monsignor Cesarano venne consacrato dagli arcivescovi: Margotti, delegato apostolico in Turchia; Roncalli, visitatore apostolico di Bulgaria; e Filippucci, della Chiesa latina d’Atene, presenti numerose autorità dei diversi paesi accreditati in Turchia”.
Nella foto, del 1957: Mons. Cesarano e Sigismondo Nastri

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La campagna azera contro le chiese armene in Artsakh. In Occidente tutti troppo preoccupati a richiedere il gas azero. L’Unione Europa stanzia 2 miliardi di Euro di assistenza all’Azerbajgian (Korazym 07.02.22)

L’Unione Europea ha stanziato un pacchetto di 2 miliardi di Euro di assistenza all’Azerbajgian per investimenti economici, ha detto il Commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato, l’Ungherese Olivér Várhely. Un regalo al dittatore Aliyev dopo la guerra in Artsakh e l’attacco all’Armenia. Comprerà altre armi… Nel contempo l’Azerbajgian ha dato avvio ad una vergognosa campagna di pulizia etnica artistica e religiosa nell’indifferenza dell’Europa (interessata solo al gas…). La riflessione dell’Iniziativa italiana per l’Artsakh.

Le prime avvisaglie si erano avute già all’indomani della fine della guerra del 2020 allorché lo splendido monastero armeno di Dadivank (foto di copertina) – rimasto sia pure per una manciata di chilometri nel territorio controllato dai militari dell’Azerbajgian – era finito nelle mire della propaganda del Ministero della Cultura [QUI].

Subito ribattezzato con il nome di Khudavang, da Baku erano giunti proclami sulla identità azerbajgiana del sito e il 4 dicembre 2020 un rappresentante della minuscola comunità Udi vi aveva officiato una liturgia accompagnato. da uno stuolo di funzionari governativi e militari azeri.
Fu subito chiaro che l’indirizzo politico di Baku dopo il conflitto era quello di “dearmenizzare” le chiese armene e ricondurre le stesse all’origine albana. Le chiese erano viste, giustamente, come un simbolo dell’armenità della regione e pertanto doveva essere attuata una doppia strategia: quello che non era stato distrutto durante o subito dopo il conflitto andava adeguatamente “restaurato” eliminando ogni traccia di armenità alle stesse.

Azerbajgian ha rasato al suolo storiche chiese armene a Sushi e a Mekhakavan nell’Artsakh occupato con la guerra di aggressione del 2020 – 28 marzo 2021

Un esempio lampante di questa politica è dato dalla cattedrale del Santissimo Salvatore/Ghazanchetsots di Shushi, intenzionalmente colpita dai missili azeri durante la guerra, oggetto di vandalismi a fine conflitto e poi ingabbiata in lavori di manutenzione. Basta soffermarsi su quanto riporta il sito del Ministero della Cultura azero per capire le finalità di questo restauro: «Come tutti gli altri monumenti storici e culturali dell’Azerbajgian, la Chiesa di Gazanchy sarà restaurata sulla base di documenti storici e materiali d’archivio, nel rispetto del suo aspetto artistico ed estetico originario; è un’attività scientifico-pratica-di ricerca e comprende un’analisi completa del monumento e lo studio delle caratteristiche architettoniche e storiche. Il progetto di restauro consentirà di riportare il monumento all’aspetto originario, come era nell’Ottocento» [L’Armenia deplora i cosiddetti “lavori di restauro” alla cattedrale Ghazanchetsots di Sushi nell’Artsakh occupato dall’Azerbajgian – 4 maggio 2021].

In parole semplici, verranno eliminati tutti gli elementi che in qualche modo possano riportare all’identità armena della chiesa, a cominciare dalla cupola (subito rimossa) e qualsiasi altra iscrizione. Naturalmente i “documenti storici” custoditi a Baku avranno un grado di attendibilità elevatissimo…

Dopo aver visitato una chiesa del XVII secolo nell’Hadrut occupata, il Presidente dell’Azerbajgian Ilham Aliyev ha ordinato la rimozione delle iscrizioni armene medievali dalle chiese armene finite sotto il controllo azero, definendole “false”. In un incidente separato, le forze azere che attualmente occupano Shushi hanno distrutto la piccola chiesa di Surb Hovhannes Mkrtich (San Giovanni Battista) comunemente nota come Kanach Zham, rasandola al suolo. Aliyev ha emesso l’ordine al suo entourage in visita ad Hadrut con sua moglie e primo Vicepresidente dell’Azerbaigian Mehriban Aliyeva nella seconda settimana di marzo 2021, facendo arrabbiare Stepanakert e Yerevan, che hanno condannato il leader azero per aver promosso il “terrorismo culturale” contro gli Armeni. “Tali visite ufficiali non sono altro che una manifestazione della politica anti-armena e militarista dell’Azerbaigian e una visione dei suoi futuri piani aggressivi”, ha detto il Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh in una dichiarazione del 18 marzo 2021.

A marzo 2021 era stato poi il Presidente Aliyev a dichiarare pubblicamente, nel corso di un suo tour ad Hadrut, che da ogni monumento civile o religioso nei territori ora sotto controllo azero andava rimossa qualsiasi iscrizione o riferimento armeno. Un’operazione di pulizia etnica culturale, con arroganza annunciata pubblicamente senza che né l’UNESCO né qualsiasi altra istituzione culturale o politica internazionale sentisse il dovere di criticarlo.

Ora, pochi giorni fa, il 3 febbraio 2022, è partita ufficialmente la campagna di “dearmenizzazione”: il Ministro della Cultura, Anar Karimov, ha affermato che sarà istituito un gruppo di lavoro per identificare ciò che ha definito “falsificazione armena” nelle chiese, mettendo in pratica una teoria pseudoscientifica che nega l’origine armena delle chiese. Di fatto, il governo dell’Azerbajgian annuncia ufficialmente che intende cancellare le iscrizioni armene sui siti religiosi nel territorio che ha rivendicato nella guerra del 2020 con l’Armenia; anzi, rimuovere «le tracce fittizie scritte dagli Armeni sui templi religiosi albanesi».

La giustificazione di tale condotta si basa sulla teoria (sviluppata per la prima volta negli anni ’50 dallo storico Azerbajgiano Ziya Buniyatov) che le chiese armene in realtà erano originariamente l’eredità dell’Albania caucasica, un antico regno un tempo situato in quello che oggi è l’Azerbajgian. La teoria, che non è supportata dagli storici tradizionali, è stata a lungo propagata dagli storici nazionalisti azerbajgiani ed è stata accolta dall’attuale governo di Baku.

Ora, tale vergognoso oltraggio all’arte, all’architettura e alla religione, oltre a meritare una decisa presa di posizione internazionale (ma son tutti troppo preoccupati a richiedere il gas azero per far fronte alla crisi ucraina…) ci induce ad alcune considerazioni:
Come può rivendicare un’eredità culturale e religiosa uno Stato che esiste dal 1918?

Se le chiese e i manufatti armeni altro non erano che sovrapposizioni di chiese e manufatti “albani”, perché per decenni gli Azeri li hanno distrutti? Perché si sono accaniti sulle migliaia di croci di pietra medioevali (katchkar) di Julfa o hanno distrutto centinaia di chiese nel Nakchivan?

Se gli azeri si dichiarano “eredi” degli Albani caucasici cristiani, perché hanno mandato in guerra contro gli Armeni migliaia di miliziani jihadisti che hanno compiuto atti di sacrilegio nei siti religiosi cristiani e hanno sgozzato come “infedeli” numerosi soldati e civili armeni?

Purtroppo, per le note congiunture economiche ed energetiche, difficilmente potrà arrivare una qualche solidarietà dalla politica europea e italiana in particolare.

La cui attiva lobby – qualche politico che “lancia appelli”, qualche giornalista di terza fascia, qualche ex professorino a pagamento – si è già attivata con interventi sui media nazionali per fare da cassa di risonanza e provare a fornire un qualche supporto storico all’ennesima porcata del dittatore Aliyev [Armenia-Azerbajgian, il rischio che la storia del genocidio armeno si ripeta – 31 gennaio 2022].

Naturalmente l’unico supporto che hanno è quello dei soldi…

La nuova minaccia di pulizia etnica azera-turca contro gli armeni cristiani nel Caucaso meridionale e le sue implicazioni geopolitiche – 21 novembre 2020

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Azerbaijan libera 8 detenuti armeni, mediazione Francia-UE (31mag.nl 07.02.22)

Otto detenuti armeni sono stati rilasciati dall’Azerbaijan, hanno annunciato lunedì il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. La Francia ha inviato un aereo per rimpatriarli a Yerevan, dice France 24.

“Otto detenuti armeni sono stati rilasciati dall’Azerbaigian e trasferiti da Baku a Yerevan”, ha detto lunedì 7 febbraio sul suo account Twitter il capo di stato francese.

Questi detenuti armeni sono stati rilasciati dall’Azerbaijian nell’ambito dei negoziati guidati dalla Francia e dall’Unione Europea, dice il portale francese.

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Armeni Cristiani in fuga da una guerra dimenticata. Aiuto alla Chiesa che Soffre aiuta 150 famiglie armene cristiane rifugiate nella città di Goris (Korazym 07.02.22)

Goris si trova nella Repubblica di Armenia, vicino ai confini della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh ed è qui che Aiuto alla Chiesa che Soffre vuole aiutare per 15 mesi 150 famiglie armene cristiane rifugiate. Il sostegno dei benefattori di ACS garantirà loro cibo e alloggio.

Il piano faciliterà anche l’incontro tra offerta e domanda di lavoro per rendere queste famiglie il prima possibile autosufficienti. Così facendo ACS contribuirà alle attività della Chiesa armena la quale sopperisce alla carenza di aiuti da parte delle autorità civili, assicurando alle migliaia di rifugiati Armeni Cristiani, non solo assistenza spirituale e psicologica, ma anche il sostegno materiale.

In Armenia ACS vuole aiutare anche chi studia per diventare sacerdote

Oltre ad aiutare i rifugiati Armeni Cristiani, ACS intende sostenere la formazione dei seminaristi. Come ha affermato Papa Francesco nel suo viaggio apostolico in Armenia «oggi, in particolare i cristiani, come e forse più che al tempo dei primi martiri, sono in alcuni luoghi discriminati e perseguitati per il solo fatto di professare la loro fede. Il popolo armeno ha sperimentato queste situazioni in prima persona; conosce la sofferenza e il dolore, conosce la persecuzione». È questo popolo che i futuri sacerdoti, con il sostegno dei benefattori di ACS, dovranno servire.

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Armenia-Azerbaigian: Macron, grazie a diplomatici e militari per liberazione di 8 armeni(Agenzia Nova 07.02.22)

Parigi, 07 feb 11:48 – (Agenzia Nova) – Il presidente francese Emmanuel Macron ha ringraziato i diplomatici e i militari impegnati nella liberazione di otto detenuti armeni da parte dell’Azerbaigian. “Ritrovano le loro famiglie da cui erano stati separati da diversi mesi”, ha scritto su Twitter Macron. “La Francia ha dispiegato un aereo che permette il loro ritorno in Armenia oggi”, ha fatto sapere l’Eliseo. “Questa liberazione di prigionieri si inserisce in un insieme di misure umanitarie e di ritorno alla fiducia tra Armenia e Azerbaigian per una stabilizzazione nel Caucaso del sud”, ha aggiunto la presidenza francese. “La Francia – ha continuato l’Eliseo – è pienamente mobilitata affinché il dialogo tra Armenia e Azerbaigian continui su tutti i temi nello spirito costruttivo che ha segnato al riunione quadripartita tenutasi il 4 febbraio”. La Francia “continuerà ad agire con i suoi partner dell’Unione europea e della co-presidenza del gruppo di Minsk con determinazione in favore della pace e della stabilità”, ha fatto sapere Parigi

REGGIO – Leonida Edizioni: incontro dell’editore reggino Domenico Polito (L.E.) con l’ambasciatrice armena (Veritasnews 04.02.22)

La Leonida Edizioni e l’ambasciata armena avviano un nuovo percorso editoriale

Si è svolto lunedì 31 gennaio a Roma presso la sede dell’ambasciata armena l’incontro tra l’editore della Leonida Edizioni dott. Domenico Pòlito e l’Ambasciatrice Straordinaria e Plenipotenziaria della Repubblica d’Armenia presso la Repubblica Italiana S.E. Tsovinar Hambardzumyan. L’occasione è stata utile – in continuità con la politica editoriale avviata dalla casa editrice reggina – a delineare un percorso volto a favorire i legami sociali e culturali tra Italia e Armenia. L’impegno vuole tradursi in un programma di alto profilo che prevede la pubblicazione in lingua italiana delle opere dello scrittore armeno Elise Ciarenz e la realizzazione di altri due progetti editoriali. Una rappresentanza istituzionale armena sarà presente in occasione della VII edizione di Xenia Book Fair (5/6/7 agosto 2022) per presentare l’iniziativa.

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>>La Leonida Edizioni e l’ambasciata armena avviano un nuovo percorso editoriale

Macron tenta mediazione anche tra Azerbaigian e Armenia (Tvsvizzera 04.02.22)

Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha parlato oggi con il primo ministro armeno, Nikol Pachinian e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliev, in un nuovo tentativo di mediazione per pacificare le relazioni tra i due Paesi del Caucaso.

La videoconferenza di oggi, a cui partecipava anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, “si iscrive nell’iniziativa di mediazione del presidente della Repubblica, in coordinamento con il presidente del Consiglio europeo, per incoraggiare il dialogo e consentire l’attuazione congiunta di misure umanitarie e di ripristino della fiducia”, spiegano all’Eliseo.

L’iniziativa arriva in parallelo con gli attuali sforzi di Macron per tentare di svolgere un ruolo da mediatore nel conflitto tra Russia e Ucraina. Il leader francese e attuale presidente di turno dell’Ue ha già incontrato i leader di Armenia e Azerbaigian il 15 dicembre scorso a Bruxelles, a margine del summit sul partenariato orientale. Lunedì e martedì è inoltre atteso in Russia e Ucraina per tentare di ottenere una de-escalation anche nei rapporti tra Mosca e Kiev.

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Armenia-Azerbaigian: Michel e Macron, impegno a riduzione tensioni

Bruxelles, 04 feb 18:43 – (Agenzia Nova) – Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, il presidente francese Emmanuel Macron, il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev e il premier armeno Nikol Pashinyan hanno avuto oggi una videoconferenza. Lo si apprende dal Consiglio dell’Ue, che ha spiegato che Michel e Macron hanno riaffermato il loro pieno impegno a sostenere gli sforzi volti a ridurre le tensioni e creare fiducia nella regione. Hanno fatto il punto sui progressi compiuti dopo le riunioni tenutesi a margine del vertice del partenariato orientale, in particolare i recenti rilasci di detenuti, gli sforzi congiunti in corso per la ricerca di persone scomparse, nonché l’imminente ripristino dei binari ferroviari. I capi di Stato e di governo hanno convenuto che questo incontro ha offerto una preziosa opportunità per discutere un’ampia gamma di questioni. “L’Ue e la Francia continuano a impegnarsi a collaborare con altri partner, compresa l’Osce, per costruire un Caucaso meridionale prospero, sicuro e stabile”, si legge nella dichiarazione rilasciata dopo la videoconferenza da Michel e Macron. (Beb)

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Oggi 3 febbraio, San Biagio: salva la vita di un bambino che stava soffocando (Lalucedimaria 03.02.22)

Santo martire e Vescovo il cui culto si è diffuso prima in Oriente, visto che la tradizione ci dice che è originario dell’Armenia, e poi in Occidente. Il suo miracolo di guarigione di un bambino, gli ha dato la gloria di essere il “Santo protettore dai mali di gola”.

Nel giorno della sua festa liturgica, sono molte le parrocchie che attuano la “benedizione della gola” per intercessione del Santo.

san biagio
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3 febbraio: Biagio, il santo “della gola”

In questo terzo giorno del mese di febbraio, la chiesa venera San Biagio. Vissuto tra il III e il IV secolo a Sebaste in Armenia (Asia Minore), è, anche, un medico e viene nominato vescovo della sua città. A causa della sua fede viene imprigionato dai Romani.

Durante il processo rifiuta di rinnegare la fede cristiana. Per punizione, viene torturato con i pettini di ferro, come quelli che si usano per cardare la lana.

San Biagio muore martire tre anni dopo la concessione della libertà di culto nell’Impero Romano, morendo decapitato. Una motivazione plausibile sul suo martirio può essere trovata nel dissidio tra Costantino I e Licinio, i due imperatori-cognati, che porta a persecuzioni locali, con distruzione di chiese, condanne ai lavori forzati per i cristiani e condanne a morte per i vescovi.

L’arrivo del corpo a Maratea

Il corpo di san Biagio viene sepolto nella cattedrale di Sebaste. Nel 732 una parte dei suoi resti mortali, deposti in un’urna di marmo, sono stati imbarcati, per esser portati a Roma. Una tempesta ferma la navigazione sulla costa di Maratea, dove i fedeli accolgono l’urna contenente le reliquie – il “sacro torace” e altre parti del corpo – e la conservano nella Basilica di Maratea, sul monte San Biagio.

Fra i miracoli con i quali Biagio è venerato, il più noto è quello di aver salvato un bambino che stava soffocando con una spina di pesce incastrata nella gola. La più antica citazione scritta sul santo è contenuta nei “Medicinales” di Aezio di Amida, vissuto nel VI secolo:

La citazione del miracolo in un libro medico

Se la spina o l’osso non volesse uscire fuori, volgiti all’ammalato e digli «Esci fuori, osso, se pure sei osso, o checché sii: esci come Lazzaro alla voce di Cristo uscì dal sepolcro, e Giona dal ventre della balena”. Ovvero fatto sull’ammalato il segno della croce, puoi proferire le parole che Biagio martire e servo di Cristo usava dire in simili casi: “O ascendi o discendi“.

LEGGI ANCHE: San Biagio: a cui dobbiamo la tradizione di non “finire mai il panettone”

Preghiera a San Biagio

O Glorioso San Biagio, che, con una breve preghiera,

restituisce la perfetta sanità ad un bambino

che per una spina di pesce attraversata nella gola

stava per mandare l’ultimo anelito,

ottenete a noi tutti la grazia di sperimentare

l’efficacia del vostro patrocinio in tutti i mal di gola,

ma più di tutto, di mortificare colla fede pratica dei precetti di Santa Chiesa,

questo senso tanto pericoloso,

e di impiegare sempre la nostra lingua

a difendere le verità della fede

tanto combattute e denigrate ai giorni nostri.

Così sia

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San Biagio protettore della gola Curiosità e leggende (Mediterranews)

Armenia-Turchia: prossimo incontro rappresentanti speciali il 24 febbraio a Vienna (Agenzianova 03.02.22)

Erevan, 03 feb 18:00 – (Agenzia Nova) – Il prossimo incontro dei rappresentanti speciali di Armenia e Turchia sulla normalizzazione delle relazioni bilaterali si svolgerà il 24 febbraio a Vienna. Lo comunica l’addetto stampa del ministero degli Esteri armeno, Vahan Hunanyan. Il 14 gennaio Mosca ha ospitato il primo faccia a faccia tra i rappresentanti speciali di Erevan ed Ankara, ovvero il vicepresidente del parlamento armeno Ruben Rubinyan e l’ex ambasciatore turco negli Stati Uniti Serdar Kilych. Come riportato dal ministero degli Esteri russo, le parti durante i colloqui hanno mostrato la loro disponibilità a condurre un dialogo in modo costruttivo e non politicizzato. (Rum)