Armenia: ministro Industria Khachatryan candidato del governo per la presidenza (Agenzia Nova 30.01.22)

Erevan, 30 gen 18:35 – (Agenzia Nova) – Il ministro dell’Industria tecnologica armena, Vahagn Khachatryan, sarà nominato candidato alla presidenza dell’Armenia dal partito al governo Contatto civile. È quanto riporta il quotidiano “Haykakan Zhamanak”, secondo cui il partito guidato dall’attuale primo ministro Nikol Pashinyan avrebbe individuato in Khachatryan la figura adatta a sostituire Armen Sarkissian. Il capo dello Stato attualmente in carica, infatti, ha annunciato le sue dimissioni il 23 gennaio scorso, evidenziando come i poteri del capo dello Stato non gli consentano di influenzare i processi fondamentali della politica estera e interna del Paese. “Dopo la dichiarazione di Sarkissian, sulla stampa e sui social network sono stati nominati vari nomi come candidati alla presidenza”, si legge sul quotidiano armeno che, successivamente, indica Vahagn Khachatryan come scelta definitiva del Contratto civile. All’inizio degli anni Novanta, Khachatryan fu sindaco di Erevan e per anni è stato un membro del Parlamento. Dallo scorso agosto è ministro dell’Industria tecnologica. (Rum)

Armenia-Azerbaijan: il rischio che la storia si ripeta (Gente e Territorio 29.01.22)

Egregio Direttore, spiace e sorprende un po’ che parlando a Tizio risponda Caio. Tuttavia, vorrei ribattere alle dotte argomentazioni del professor Daniel Pommier Vincelli (https://www.genteeterritorio.it/armenia-azerbaig…a-una-parte-sola/).

Diversamente da altri, io non posso demandare risposte a noti studiosi: il disclaimer del professore concernente la mia precedente lettera aperta, suona molto come una excusatio non petita. Già il fatto che il professore parli di una futura ed eventuale “difesa” da parte della senatrice Papatheu, mette la questione in un’ottica errata. Non vi è bisogno di nessuna difesa perché non c’è alcun attacco, ma solo una mia implicita richiesta alla senatrice Papatheu di correggere parole che, fors’anche in buona fede, la nostra parlamentare ha pronunciato sulla base di informazioni che io ritengo distorte.

Ringrazio sentitamente il professore il quale, con il suo interessante scritto, mi offre un ulteriore arricchimento personale. Nella vita c’è sempre da scoprire e, pur avendo passato i settanta, ho la fortuna di poter dire che ogni giorno imparo nuove cose.

Tuttavia, se è vero che la storia non si guarda da una parte sola, vi sono anche due altre verità:

  • La storia spesso si ripete. Quante volte abbiamo dovuto constatarlo? Per esempio: possiamo dire, mutatis mutandis, che l’antisemitismo è morto e sepolto? Basta guardare alle cronache della tranquilla Québec City del 29 gennaio 2017, oppure di Livorno del 25 gennaio 2022 (pochi giorni fa!), per capire che non è così. Sono solo due episodi, ma tutti sappiamo che se ne potrebbero elencare a migliaia. Primo Levi ha scritto: «Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre.»
  • La storia la scrivono i vincitori, i quali non sempre sono i migliori o coloro che stanno dalla parte della ragione oppure che sono l’incarnazione del bene. Anzi, a me pare che sovente i vincitori siano i più prepotenti, i più accaniti, o i meglio armati, mentre ai sopraffatti non resta che comprare il libro di “storia” redatto altrove.

È il caso degli Armeni, che da oltre cento anni – dunque tuttora – sono oggetto di vessazioni da parte di popoli con arsenali e truppe soverchianti. E poiché il professore, in relazione all’attuale questione del Nagorno-Karabakh, dice di non capire il motivo della mia disquisizione su “eventi così lontani nel tempo” (genocidio armeno), lo spiego in poche parole: «Se il mio vicino del lato Ovest entra nel mio terreno, si prende tutto il giardino, l’orto e oltre metà della mia dimora, e poi – più avanti nel tempo – il vicino che sta al confine Est comincia a dire che l’angolo della casa con l’appartamento in cui vive mio figlio, seppur autonomo, gli appartiene… beh, avrò motivo di essere preoccupato che la storia possa ripetersi?»

Nella fattispecie l’appartamento è la zona del Nagorno-Karabakh occupata dalle truppe dell’Azerbaijan ove è morto il soldato a cui faceva accenno la senatrice.

La questione del Nagorno-Karabakh, in chiave attuale e futura, è figlia diretta di quello che successe agli Armeni prima, durante e dopo la Prima guerra mondiale. Comprendo perfettamente che chi fa parte di un gruppo interparlamentare di amicizia con l’Azerbaigian, o che sia stato (o forse ancora è) “Visiting professor at the Baku State University” abbia una simpatia più pronunciata per una delle parti. È normale. Ma chi è in grado di garantire che il duo Turchia-Azerbaijan recederà dai propositi di annientamento dell’Armenia? Se la questione è fallace o meno lo deciderà ancora una volta il futuro, quando sarà stato consegnato alla storia. Ma, magari, a quel punto sarà troppo tardi. E se succederà… coloro i quali, direttamente o indirettamente, scientemente o inconsapevolmente, avranno in qualche modo contribuito a legittimarne le premesse, cosa diranno ad altri milioni di profughi? Il rischio che la storia si ripeta, per l’Armenia, esiste.

Lo avevo scritto e il professore lo conferma: la storia del Caucaso è antica, complessa, articolata in un mare di intrecci, un vero vespaio di cui è oltremodo difficile disquisire. Evidentemente, in questo caso, i titoli accademici per farlo li ha soltanto il professor Pommier Vincelli. Eppure, è proprio nelle sue parole che si trovano i mattoni di questo muro:

  • I confini determinati dall’URSS nelle zone dell’ex impero sovietico non differiscono, in termini di cieca arbitrarietà, da quella usata dalle potenze vincitrici della Prima guerra mondiale per ridurre l’Armenia a un minuscolo territorio, così come per tracciare “insensati” confini in Medio Oriente senza presupposti storici, politici o etnici.
  • Popoli di diverse etnie, lingue e religioni, hanno convissuto bene per secoli (anche nel Nagorno-Karabakh come attesta il professore stesso), in Anatolia come in Palestina, in Mesopotamia come nel Dakota, in Cina come nel Sud della penisola arabica e altrove, finché forze esterne e “conquistatrici” si sono inserite per tracciare confini, separare, rinchiudere, organizzare e creare il divide et impera. È lo “Stato-etnico-religioso”, deciso in sede politica, che porta morte e dolore.
  • Nel suo libro intitolato “Storia internazionale dell’Azerbaijan” (edizioni Carocci), il professor Pommier Vincelli illustra come l’Azerbaijan abbia proclamato la propria repubblica democratica nel 1918. Perfetto, giustissimo. Per contro, non si capisce perché allora egli affermi che l’auto-proclamazione dell’Artsakh del 1982 sia frutto di “atti illegali e contrari al diritto internazionale” (parole esatte del professore). Ritengo che l’autodeterminazione dei popoli sia un diritto sacrosanto; parafrasando George Orwell: “forse tutti i popoli sono uguali, salvo alcuni che sono più uguali degli altri”?
  • Le risoluzioni ONU a cui il professore si riferisce (Nr. 822, 853, 874 e 884 del 1993, alle quali rinvio) sono una bella raccolta di “politichese”: tutti conosciamo il peso dell’URSS in seno al Consiglio ONU e, quindi, che il riconoscimento dell’Artsakh non sia avvenuto per motivi di convenienza politica di Mosca non deve meravigliare. Discutiamone pure, ma è una verità risaputa.
  • Affermare che gli Armeni abbiano “subito sofferenze” mi pare talmente riduttivo da causare in me sincero stupore e sgomento.
  • Nessuno discute, e tantomeno io, di genocidi perpetrati da una parte sola. Quello dei Circassi (1867) è altrettanto orrendo. Non esistono genocidi di prima o di seconda classe. Esistono solo crimini chiamati “genocidio”: da chiunque siano eseguiti e in nome di qualunque fede religiosa.
  • Dismettere gli intenti distruttivi turchi come “argomentazione vecchia” mi ricorda mia figlia di 18 mesi la quale, mettendosi le mani davanti agli occhi, pensava di sparire rendendosi invisibile. Le intenzioni dei due paesi che circondano l’Armenia sono note: inutile serrare le palpebre.

Tornando alla questione Nagorno-Karabakh: il voler determinare a tavolino (in questo caso Stalin) quale territorio appartiene a quale etnia, e viceversa, è argomento fallace di per sé. Mi riferisco ai paragrafi 1 e 2 del documento del professore e al mio punto (ii) qui sopra. Genti di diverse etnie e lingue convivono perché “si accettano” vicendevolmente più di quanto le separino “artefatte frontiere disegnate a tavolino”.

È tristemente inevitabile che allorché si soffia sull’odio etnico, fomentando condanne delle culture altrui, poi ci siano risentimenti, scaramucce, provocazioni, attacchi, guerre e massacri (anche dalla parte vessata). Il “Parco dei Trofei” di Baku è un luccicante esempio di tale spinta “armenofoba”. Lo stesso episodio citato dal professore (il massacro di Khojali, 1992) presenta diversi lati oscuri che si prestano a facili strumentalizzazioni politiche. Di quei fatti esistono due distinte versioni, agli antipodi una dall’altra. È proprio vero che la storia non guarda da una parte sola…

Purtroppo, là ove non c’è vera democrazia, ma bensì dinastie e dittature (più o meno mascherate), la distorsione dei fatti viene politicamente creata a monte per poi poter accusare la parte avversa. L’attuale crisi Crimea/Ucraina ne è fulgido esempio. Di fatti simili la storia è piena, anche in Nord America, con l’annientamento degli Amerindiani da parte di Stati Uniti e Canada. Non discuto gli argomenti portati al tavolo dal professore in taluni dei suoi paragrafi. Ed è tanto scontato quanto inutile allargare il campo a discorsi etico-filosofici su quanto orribile sia il concetto di conquista di terre altrui, di guerra, sopraffazione e distruzioni, o di pulizie etniche che soltanto “l’animale uomo” perpetra nei confronti della sua stessa specie. Non esiste altro fenomeno simile in Natura.

Mi pare, tuttavia, che la vicenda sia uscita dal seminato iniziale, visto che il casus belli è nato dalle due parole “provocazioni armene” usate dalla senatrice Papatheu che, a mio parere, non trovano alcuna giustificazione. Parole che rischiano di contribuire ad esaltare le mire azere e contemporaneamente ad affossare l’antica popolazione armena, vessata senza requie, verso la quale noi Europei e USA abbiamo un debito storico incommensurabile. La cosa meno accettabile è che tali parole recano un’informazione distorta a cittadini ed elettori. Quando parole di persone di alto profilo istituzionale di un paese democratico rischiano di legittimare, davanti all’opinione pubblica, azioni di un paese terzo solo apparentemente democratico, magari perché ricco di risorse a cui tutti attingiamo, beh… allora, in tutta coscienza, personalmente tali parole risuonano sinistre e tristemente inaccettabili. Non oso pensare a motivazioni opportunistiche: preferisco credere a un errore di valutazione.

Vorrei terminare con due annotazioni:

  • Non ho detto che gli Armeni fossero l’unico popolo cristiano dell’Anatolia. Ho detto che furono il “primo” popolo cristiano (cosa che nessuna università può smentire) e ho scritto che mai fecero alcuna guerra di “sopruso per la conquista di territori”. Non presero le armi fino a quando non vi furono costretti “per difesa”. Come attualmente in Artsakh (a larga maggioranza armena, seppur non riconosciuto dalle UN come spiegato più sopra). È tanto facile quanto ingiusto accusare di atti ostili chi ha subito soprusi nel momento in cui la vittima reagisce…
  • Nemmeno ho scritto che il trattato di Sèvres fosse buono e quello di Losanna malvagio. Ma i fatti sono fatti e le promesse sono debiti. Allorché si vanifica una promessa si getta al vento l’unico attivo del nostro bilancio personale che solo noi come individui possiamo alienare: la nostra parola. Peggio ancora se la promessa la si fa stando seduti su scranni politici, poiché con le parole si possono creare i presupposti per altre guerre e ulteriori carneficine.

La lista è assai lunga, ma citerò solo tre esempi:

  • il primo trattato di Fort Laramie (1851), ripetutamente violato dagli USA con progressivi tagli di territori già dati, ulteriori confinamenti in riserve e crescenti massacri dei Sioux;
  • le promesse fatte a re Faisal I, che furono in seguito dismesse senza ritegno, aggravando il tutto con il tirare righe inesistenti nel deserto arabo, in tal modo creando i presupposti di quel che viviamo con il Medio Oriente da oltre sei decenni;
  • infine, le già menzionate promesse di Sèvres ad Armeni e Kurdi, gli uni confinati in un territorio minuscolo, gli altri abbandonati al loro destino.

Le tragedie di allora, come quelle di oggi – nessuna esclusa – le portiamo tutti sulle nostre coscienze. A volte, quando si è in alto nella scala socio-politica, e magari anche accademica, forse non ci si rende conto che pronunciare certe parole, o usarle male e/o a sproposito, oppure utilizzarle in supporto di chi ha intenti bellici o xenofobi, può contribuire a creare danni incalcolabili per altre genti lontane.

Ecco qui il punto: come semplice cittadino, senza interessi in Armenia né in Azerbaijan e nemmeno con persone di quei Paesi, auspicherei una pubblica correzione della dichiarazione da parte della senatrice Papatheu e, in secondo luogo, penso che nessun rappresentante politico italiano dovrebbe prendere posizioni ufficiali e dannose nei confronti di una situazione che ha portato, e tuttora porta, immense tragedie al popolo armeno.

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L’Associazione Amici Lecco Vanadzor raccoglie oltre 11 mila euro per l’Armenia (Lecconotizie 29.01.22)

“E’ un risultato significativo che fa onore alla cittadinanza del nostro territorio”

Nelle scuole di ogni grado del territorio una mostra itinerante che fissa l’esperienza dell’associazione

L’Associazione Amici Lecco Vanadzor – Italia Armenia comunicare alla cittadinanza lecchese che, con il coinvolgimento della Fondazione Comunitaria del Lecchese, è stata raggiunta la somma di 11.036  che verrà devoluta alla scuola N° 19 di Vanadzor.

“E’ un risultato significativo che fa onore alla cittadinanza del nostro territorio, che ha voluto rinnovare il ricordo e l’amicizia con il popolo Armeno gravemente colpito con il tragico terremoto del 7 Dicembre 1988, con la costruzione di un plesso scolastico, ed oggi dall’aggressione militare subita dall’esercito Azero del 27 Settembre 2021. E’ stata una nostra scelta quella di proporre una raccolta fondi, in quanto riteniamo che l’amicizia e la vicinanza si debba manifestare nei momenti più difficili, il nostro impegno tuttavia continuerà nel tempo. In particolare nelle scuole di ogni grado del nostro territorio grazie ad una ‘mostra itinerante’ che fissa la nostra esperienza solidale e di vicinanza alla storia ed alla cultura Armena.

Con la Fondazione Comunitaria del Lecchese è stato concordato di mantenere aperto il canale di raccolta fondi, pertanto ogni cittadino, Associazione, Azienda o altri soggetti potranno continuare a versare il loro contributo sul c/c Codice IBAN: IT 28Z0306909606100000003286 casuale “Solidarietà Armenia”

“La nostra iniziativa e disponibilità è rivolta pure alle Amministrazioni Comunali che vorranno favorire la conoscenza della storia di questo popolo molto affine alla nostra in particolare dal punto di vista religioso, in effetti fu il primo Stato a riconoscersi nella religione cristiana dal 301 d.C. Un popolo che malgrado le invasioni ed il dominio subito dagli imperi romano persiano, ottomano e zarista, sino a subire il genocidio del 1915, continua a rivendicare il proprio diritto all’esistenza e di vivere in pace, in questo troverà in noi dei veri e autentici amici”.

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Solidarietà: raccolti oltre 11mila euro per una scuola armena (Leccotoday)

Sarkis Shahinian: “Il Governo azero liberi i reclusi armeni” intervista di Liliane Tami (Ticinolive 29.01.22)

Il Segretario Generale del Gruppo parlamentare Svizzera-Armenia parla di detenuti in spregio al diritto ONU e dei segreti di guerra in Artsakh

Sarkis Shahinian, Segretario Generale del Gruppo parlamentare Svizzera-Armenia, a Ginevra in occasione dell’incontro Biden-Putin

La guerra del Nagorno Karabakh è vicina a noi: ha avuto luogo tra il 27 settembre e il 10 novembre 2020 e il Caucaso, geograficamente e culturalmente, non è poi così distante dalla Svizzera. Lo scontro bellico tra armeni ed azeri, che in realtà non si può ancora dire completamente concluso, ha lasciato dietro di sé ufficialmente più di settemila morti da entrambe le parti, alcuni dei quali, com’è visibile in certi video, sono stati letteralmente spazzati via da parte azera con le ruspe.
Attualmente, vi sono ancora oltre 30 prigionieri di guerra armeni trattenuti illegalmente in Azerbaigian. La Croce Rossa Internazionale è a conoscenza di questo fatto contrario al diritto umanitario internazionale, ma l’Azerbaigian si rifiuta di liberarli finché gli armeni non cederanno porzioni di territorio rivendicate da ambo le parti.

La Repubblica dell’Artsakh (nome armeno dato a questa regione fin dall’antichità), cuscinetto tra l’Armenia e l’Azerbaigian, è una Nazione che, faticosamente, dopo secoli di dominazioni, tirannie e persecuzioni etniche è finalmente riuscita, nel 1991, a formarsi e ad affermarsi come Stato, ma la sua legittimità a livello internazionale è stata riconosciuta soltanto da tre Paesi (peraltro non appartenenti all’ONU).
Quindi, nonostante la storia millenaria degli armeni viventi in questa regione, testimoniata dalle decine e decine di siti archeologici, chiese, edifici e persino incisioni rupestri, la Repubblica dell’Artsakh non è ancora legittimata a livello internazionale.

Di conseguenza, parlare della guerra dell’Artsakh, non riconosciuto dall’ONU (le Nazioni Unite non ne “certificano” l’indipendenza, ma riconoscono l’esistenza di un’entità autoctona armena all’interno di questo territorio, che riconosce tuttavia come parte integrante dell’Azerbaigian, come fa d’altronde anche la Svizzera), è difficile per chi non conosce direttamente la situazione e non ha familiarità con la popolazione armena.
Svariate regioni del mondo hanno, negli ultimi anni, acquisito sensibilità verso questo popolo che faticosamente ha cercato, ed è riuscito, ad affermarsi come Stato. A partire dal 2012 sono cominciati ad arrivare alcuni riconoscimenti ufficiali da parte di stati federati ed entità territoriali minori come, ad esempio, la Regione Lombardia, che nel novembre 2020 ha riconosciuto la Repubblica dell’Artsakh come Stato indipendente. La Svizzera, in virtù della propria neutralità, potrebbe osare e fare da apripista nel riconoscere a livello internazionale questa piccola Nazione sovrana che, da secoli, lotta per la propria autonomia, così come lo aveva fatto nel caso del Kosovo.

Il conflitto tra azeri e armeni è, soprattutto, una questione etnica e non può essere banalizzato parlando di uno scontro tra cristiani (armeni) e musulmani (azeri) in quanto la religione è stata degradata a mero pretesto bellico.
In questa intervista a Sarkis Shahinian, Segretario Generale del gruppo parlamentare Svizzera-Armenia, cerchiamo di contestualizzare il conflitto, capirne le conseguenze locali e, infine, denunciare il fatto che in un Paese facente parte del Consiglio d’Europa vi siano ancora, attualmente, dei prigionieri di guerra armeni detenuti in Azerbaigian, violando l’accordo tripartito sancito il 9 novembre 2020 e offendendo il diritto umanitario internazionale.

Innanzitutto cerchiamo di capire il movente del conflitto, ancora in atto, tra lo Stato del Karabakh (abitato da armeni autoctoni) che vuole essere indipendente e riconosciuto, e l’Azerbaigian, che vorrebbe prendersi quei territori. È una questione religiosa, di confini o relativa al petrolio?
“Il movente della guerra è molto difficile da riassumere, in quanto tocca più tematiche e, soprattutto, è fortemente incentrato sulla questione etnica ancor più che su quella religiosa. Il controllo del territorio armeno è, per la Turchia come per l’Azerbaigian, un’importante questione strategica. Per questo la Turchia si è prodigata tanto ad aiutare gli azeri. Sicuramente la ricerca di materie prime ha una valenza non indifferente: il territorio del Karabakh, infatti, è ricco, ad esempio, di miniere d’oro, oltre che di acqua e di legname. Il fulcro del conflitto è però da ricercarsi più in ambito politico che economico: è da secoli che l’Impero Ottomano, prima, e la Turchia moderna, poi, hanno mire panturche (il panturchismo è l’ideologia che mira alla riunificazione territoriale di tutti i popoli di ceppo turco, da Costantinopoli fino all’Altaï, creando un’unica entità politica, militare e, in parte, religiosa, ndr) e il fatto che vi siano aree di resistenza al loro progetto, in questo caso gli armeni, li infastidisce. Inoltre, vi è anche il piano etnico che, tra le persone, ha grande rilevanza ed è quello, tra i civili, più sentito. Il discorso del petrolio è sicuramente di grande attualità: la SOCAR, società produttrice di petrolio e gas naturale di proprietà statale dell’Azerbaigian con circa 100.000 dipendenti, crea il 75 per cento del suo fatturato in Svizzera, finanziando in tal modo la guerra degli azeri contro gli armeni. È per via dei legami economici relativi al petrolio con l’Azerbaijan che la Svizzera parla poco volentieri di questo conflitto”.

Secondo alcune fonti d’intelligence alla guerra contro l’Armenia hanno preso parte anche alcuni miliziani dell’ISIS. È vero?
“Questa notizia ormai non è più segreta: anche il Presidente francese, Emmanuel Macro, ha dichiarato che nella guerra del Karabach del 2020 alcuni terribili attacchi contro la popolazione civile sono stati perpetrati da miliziani dell’ISIS. Circa 2 mila fondamentalisti islamici siriani, tracciati tramite GPS dai servizi francesi, sono andati in Karabakh a combattere gli infedeli postando su Instagram i video di terribili esecuzioni sommarie e di torture (In un video si vede un prigioniero armeno inginocchiato che chiede pietà: ha le cavità oculari prive degli occhi, ndr). In questi casi è però importante sottolineare che la questione religiosa è soltanto un pretesto con cui fomentare la guerra. La religione è strumentale, come durante il genocidio del 1915. La religione era soltanto un mezzo con cui aizzare la popolazione dell’Azerbaigian contro agli armeni, alimentando odio religioso e razziale”.

Amnesty International ha documentato l’uso di fosforo bianco, che corrode le persone e annienta foreste, nonché di bombe a grappolo. Ce ne parli…
“L’Azerbaigian ha usato moltissime armi di distruzione di massa durante la guerra. È stato un vero massacro. Va detto che entrambi gli schieramenti hanno adoperato tali armi. Tuttavia, le bombe al fosforo azere hanno arrecato danni impressionanti alle persone e alle foreste. Chilometri e chilometri quadrati di foreste armene sono state devastate, oltre agli attacchi mirati contro le popolazioni civili, gli ospedali (la maternità di Stepanakert, capitale dell’Artsakh, e di Mardunì) e ai luoghi di rilevanza storica, come le chiese. In questa guerra hanno perso la vita tantissimi civili giovanissimi (purtroppo, le vestigia armene, come siti archeologici, necropoli, khatchkar, cioè steli di croce in pietra, chiese, monasteri non sono sotto protezione dell’UNESCO; c’è tuttavia una nuance importante, poiché la stessa UNESCO, alcuni anni or sono, ha incluso i khatchkar armeni nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità senza specificare la loro collocazione, tenuto conto del fatto che ve ne sono sparsi in tutto il territorio dell’Armenia storica, ndr)”.

Chi ha fornito armamenti e sostegno all’esercito azero?
“La Turchia si è impossessata di tutta l’organizzazione dell’esercito dell’Azerbaijan. I turchi, prima dell’attacco del 27 settembre, hanno trasferito una quantità impressionante di armamenti, specialmente aerei e droni, nonché di formatori nella regione di Ghianja. Israele ha fornito droni ad alta tecnologia agli Azeri. L’intento è di rinsaldare un’alleanza con Baku e ha contribuito, dopo la fine della guerra, alla costruzione dell’aeroporto di Fisulì per controllare l’Iran. Inoltre, questa guerra è stata sostenuta anche con l’intervento diretto dell’esercito del Pakistan. Il Pakistan è una potenza nucleare, ed è ancora l’unico Paese a non aver riconosciuto l’indipendenza dell’Armenia”.

Che cosa si può dire di questo conflitto, sconosciuto ai più?
“La guerra dell’autunno 2020 non è stata lanciata ufficialmente contro l’Armenia, ma contro gli armeni del Karabakh. Gli attacchi su territorio armeno, per esempio l’abbattimento di un velivolo militare armeno nei cieli di Vardenis da parte di un F-16 turco alzatosi in volo dalla base militare di Gyandza, nonché l’attacco di alcuni basi militari in Armenia con droni israeliani, aveva unicamente valenza strategica. Tuttavia, dopo la firma della dichiarazione congiunta di armistizio del 9 novembre 2020, l’Azerbaigian ha attaccato a più riprese la frontiera armena, soprattutto a partire dal 12 maggio 2021: lì sì per ridurre l’entità territoriale armena, questione attualmente al vaglio di una commissione tripartita (Armenia, Azerbaigian e Russia) incaricata di definire la delimitazione e la demarcazione tra i due Stati”.

Come mai è dovuto intervenire Vladimir Putin per fermare la guerra il 10 novembre 2020?
“La guerra tra azeri ed armeni non è finita: basti pensare che ci sono ancora diverse decine di prigionieri di guerra armeni detenuti illegalmente in Azerbaigian che aspettano di essere liberati. Gli azeri li utilizzano come merce di scambio per barattarli con il consenso da parte armena di creare un corridoio di transito a statuto speciale, non controllato dall’Armenia, che colleghi il Nakhitchevan (l’enclave azera fra Turchia, Armenia e Iran) e il resto dell’Azerbaigian, punto che Baku ha introdotto successivamente alla firma dell’armistizio del 9 novembre 2020, in cui si parlava soltanto di aprire le vie di comunicazione tra i due Paesi, senza parlare di corridoi a statuto speciale. Inoltre gli azeri, come è stato documentato, hanno recentemente eseguito diverse incursioni sul territorio armeno: il 12 maggio hanno occupato ampi tratti dell’autostrada che collega la città di Goris con quella di Gapan, il 13 luglio 2021 hanno sparato coi droni nei pressi della miniera d’oro armena di Sotk, eccetera. Per tornare alla vostra domanda, durante la guerra gli accordi di ‘cessate il fuoco’ sono stati tre, e violati immediatamente nei primi due casi da parte dell’Azerbaigian per acquisire il più velocemente possibile dividendi territoriali e utilizzando l’arma del terrore, continuando a massacrare i civili. Di conseguenza il presidente Putin è intervenuto prima che la situazione degenerasse completamente, ma solo quando gli armeni non hanno più avuto alcuna possibilità di difendere l’integrità territoriale dell’Artsakh. Hadrut e Shushì erano già cadute in mano azera”.

Che cosa è il parco dei trofei di guerra?
“Il parco dei trofei di guerra è una sorta di tetro museo delle cere e un luogo di esposizione di materiale da guerra confiscato agli armeni durante il conflitto, in cui gli azeri celebrano il loro odio etnico verso agli armeni. Vi sono, ad esempio, esposti ed appesi gli elmi di armeni morti in guerra: è un luogo che fa venire i brividi, e grazie all’intervento di alcuni enti umanitari, ma soprattutto alla vigilia della decisione della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, le esposizioni peggiori e più svilenti nei confronti del genere umano sono state rimosse. Vi sono manichini di cera che emulano soldati armeni morenti, contro cui i bambini azeri sono invitati a inveire e urlare insulti. Questo parco dei trofei di guerra è l’espressione della più limpida volontà di estendere e divulgare l’odio razziale nei confronti del popolo armeno, finalizzato al suo totale annientamento”.

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Erdogan conferma: in arrivo nuovi regolamenti e nuove elezioni per le Fondazioni delle comunità non musulmane (Fides 27.01.22)

Ankara (Agenzia Fides) – L’iter per la pubblicazione delle nuove regole sul funzionamento delle Fondazioni turche legate alle comunità non musulmane è quasi terminato, e ciò consentirà presto a tali organismi di rinnovare i propri organi direttivi, dopo un periodo di stallo istituzionale durato 8 anni. La “ripartenza” delle Fondazioni è stata preannunciata dallo stesso Presidente turco Recep Tayyip Erdogan durante il suo incontro di martedì 25 gennaio con Bedros Şirinoğlu. Presidente della Yedikule Surp Pırgic Hospital Foundation e dell’Associazione delle Fondazioni armene.
Erdogan ha ricevuto Şirinoğlu ad Ankara, presso il Palazzo Çankaya. Nell’incontro, durato 45 minuti, il Presidente turco ha fornito rassicurazioni sulla imminente pubblicazione dei nuovi statuti per le Fondazioni, che definiranno anche le procedure per il rinnovo dei rispettivi Consigli di amministrazione. Şirinoğlu, in alcune dichiarazioni rilasciate ai media turchi, si è spinto a pronosticare che serviranno al massimo 3-4 mesi di ulteriore attesa prima di vedere la pubblicazione dei nuovi regolamenti e poter così avviare le procedure elettorali per il rinnovo delle cariche direttive. “Durante l’incontro” ha aggiunto il Presidente delle Fondazioni armene intervistato dal giornale armeno-turco Agos “ho dichiarato che c’è bisogno di una regolamentazione diversificata per ogni comunità minoritaria, e il Presidente Erdogan ha risposto che si lavorerà su questo tema”.
In Turchia la gestione delle Fondazioni delle minoranze tocca da vicino la vita delle comunità cristiane locali, a partire da quella armena. A tali organismi è di fatto affidata la gestione di luoghi di culto, beni immobiliari e istituzioni pubbliche collegate alle diverse comunità non musulmane, ebrei compresi.
Già all’inizio di dicembre 2021, Burhan Ersoy, Direttore generale delle Fondazioni, aveva confermato che il processo per la stesura di un nuovo regolamento riguardante soprattutto le elezioni per l’assegnazione delle cariche all’interno delle Fondazioni era arrivato a buon punto, ribadendo che la bozza del testo era stata stesa tenendo conto di richieste e proposte giunte dalle diverse comunità minoritarie.
Il precedente regolamento elettorale per i vertici delle Fondazioni, come già riferito da Fides (vedi Fides 7/12/2021), era stato sospeso nel 2013, dopo che il governo aveva preso l’impegno di stabilire nuove procedure e aveva giustificato la misura con l’intento dichiarato di voler rendere più funzionale e trasparente la gestione dei beni immobiliari affidati a tali organismi.
Lo status giuridico delle Fondazioni si fonda ancora sul Trattato di pace di Losanna, sottoscritto nel 1923 dalla Turchia e dalle potenze dell’Intesa (Impero britannico, Francia e Impero Russo) uscite vittoriose dalla Prima Guerra mondiale. Il Trattato garantiva alle comunità di fede non musulmane presenti in Turchia l’uguaglianza davanti alle leggi e la libertà di promuovere e gestire “istituzioni religiose e sociali”.
Negli ultimi due decenni la Turchia ha affrontato e risolto molte delle controversie relative alla gestione e destinazione di proprietà sequestrate dallo Stato su cui le Fondazioni rivendicavano i diritti garantiti dal Trattato di Losanna. Secondo dati ufficiali forniti dagli apparati turchi, alle Fondazioni collegate alle comunità non musulmane sono stati restituiti tra il 2013 e il 2018 circa 1.084 immobili, e alle stesse comunità sono stati consegnati dopo i necessari restauri 20 luoghi di culto.
In passato, a partire dal1936, disposizioni legislative avevano aperto alle Fondazioni delle comunità non musulmane la possibilità di acquisire nuove proprietà Poi, nel 1974, tale garanzia era stata annullata e lo Stato aveva iniziato a sequestrare in forma massiccia i beni acquistati dalle Fondazioni delle comunità non musulmane a partire dal 1936. Dopo il 2000, nuove disposizioni emanate in conformità con i pacchetti di armonizzazione della Turchia per l’adesione all’Unione Europea hanno favorito il ritorno alle Fondazioni di beni immobili in precedenza sequestrati dallo Stato.
In seno all’Assemblea generale delle Fondazioni turche, il rappresentante delle Fondazioni non musulmane parla a titolo della rete di 167 Fondazioni comunitarie non islamiche presenti in Turchia. 19 sono le Fondazioni “di minoranza” legate alla comunità ebraica, mentre le altre sono connesse a diverse comunità cristiane. Alla comunità greco ortodossa fanno capo 77 Fondazioni, mentre alla comunità armena fanno riferimento 54 Fondazioni.
Intanto, nella serata di mercoledì 26 gennaio, il Presidente Erdogan in persona ha annunciato in un intervento televisivo che il mese prossimo il Presidente israeliano Isaac Herzog si recherà in visita ufficiale in Turchia, aggiungendo che “Questa visita potrà aprire un nuovo capitolo nei rapporti fra Turchia e Israele”.

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Il libro di Kahale su Pietro Agagianian…di Georges Assadourian (Radiortm 26.01.22)

E’ uscito di recente in Libano, pubblicato dalla Fondazione “Naji Naaman” per la Cultura, un libro dal titolo “Il Cardinale Gregorio Pietro XV Agagianian e una breve biografia dei patriarchi armeni cattolici “. Autore dell’interessante opera è Joseph Elie Kahale, che ha elaborato e considerato con attenzione le fasi della vita di questa grande figura che una volta fu chiamato il “Papa Rosso”; Joseph Elie Kahale afferma infatti nell’introduzione al libro:

“Quest’anno coincide con il cinquantesimo anniversario della morte di uno dei più grandi Patriarchi della Chiesa armena cattolica, il Cardinale Gregorio Pietro XV Agagianian, che veniva dal Caucaso e che brillava su di lui la luce della Pentecoste, così si mise ad essere testimone del mistero dell’Incarnazione abitato”.

In questo libro, il ricercatore Kahale mostra come il Cardinale Agagianian sia stato una delle grandi figure della chiesa e abbia dato la vita al suo Signore, alla sua chiesa, al suo popolo e all’intera umanità. Quanto bisogno c’è di un buon esempio in questi giorni difficili, mentre viviamo in mezzo al deserto dei valori religiosi e alla siccità dei principi umani.
Il Cardinale Agagianian non era uno degli autoritari nell’emettere ordini a distanza, ma era il servitore fedele che vegliava sulla sua chiesa e sul suo popolo, e ne portava le preoccupazioni.
Il libro lo presenta mentre svolge un ruolo importante nel riportare la città di Kassab e i suoi villaggi vicini al dominio siriano, dopo che fu annessa alla Turchia nel 1939. Tra i suoi successi c’è anche l’istituzione del nucleo dell’arcidiocesi armena di Parigi nel 1960, come pure l’incarico e l’impegno per la difesa dei diritti nei paesi arabi, soprattutto per quanto riguarda la questione palestinese.
Con il suo stile disinvolto, Kahale ci riporta, nella seconda parte del libro, al Concilio Vaticano II e al ruolo della Chiesa armena in esso, presentandoci in maniera concisa e succinta le tappe dei lavori del Concilio dal 1962 fino al 1965.
L’autore ha diviso il ruolo della Chiesa armena nel Concilio in tre fasi: pre-congregazione; il contratto complesso e post-collettivo; le proposte e i pareri presentati dai Padri conciliari della Chiesa armena sui lavori conciliari.
Joseph Elie Kahale nel terzo capitolo ci racconta in modo accademico la storia della Chiesa armena cattolica attraverso i suoi patriarchi, a partire dal XVIII secolo fino ai giorni nostri, cioè fino all’elezione del Patriarca Raffaello Pietro il XXI Minassian.
L’autore del libro dedica buona parte della sua ricerca al racconto delle prime celebrazioni del primo centenario del genocidio armeno, celebrazioni volute dal Patriarcato armeno cattolico. All’evento , che si è svolto sul palco dell’Università di Louaize (Libano), hanno partecipato figure religiose e politiche di alto livello, e sono stati pronunciati discorsi e poesie. In questa occasione è stato pubblicato un volume molto importante dal titolo “Cento… E lo sterminio continua”, scritto dallo scrittore e ricercatore Naji Naaman, ed è stato distribuito come dono ai partecipanti alla celebrazione che ha riunito più di cinquecento persone.
Con questo volume, Joseph Elie Kahale, residente a Parigi, ha brillantemente messo in luce la personalità del cardinale Agagianian, che ha svolto un ruolo senza precedenti nella storia della Chiesa armena in particolare, e nella storia della Chiesa universale in generale; la sua raccolta di varie informazioni rappresenta sicuramente una mini enciclopedia nella storia moderna della Chiesa armena cattolica.
Va notato, infine, che Kahale è stato il primo a compilare le biografie dei patriarchi armeni cattolici e a pubblicarle in lingua araba in un libro, e che questo libro è il primo nell’ambito della serie “Seniors in Our Memory”, che tratta non solo degli uomini, del clero e dei laici armeni cattolici e delle loro realizzazioni, ma getta pure luce sulla storia e la cultura degli armeni in generale.
La serie è pubblicata sotto la supervisione di Sua Eccellenza Georges Assadourian, del ricercatore Joseph Elie Kahale e dello scrittore Naji Naaman.
L’augurio è che questo libro sia il primo nel processo di preparazione alla beatificazione del cardinale Agagianian nella Chiesa universale. Quanto, in effetti, nella nostra epoca attuale, abbiamo un disperato bisogno della spiritualità di questo patriarca e del suo esempio cristiano!.

S.E. Georges Assadourian
Vescovo a Beirut, Libano

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Nuovi elicotteri militari russi in Armenia (Avionews 26.01.22)

L’aeronautica militare dell’Armenia ha ricevuto in questi giorni nuovi elicotteri militari Mil Mi-8 di produzione russa. Si tratta di aeromobili multiruolo che verranno destinati a missioni di attacco e di trasporto, ha annunciato il ministero della difesa nazionale. I mezzi ad ala rotante sono stati presentati pubblicamente ed ispezionati dal capo di Stato maggiore delle forze armate, il tenente generale Artak Davtyan.

“In occasione della messa in servizio del nuovo equipaggiamento dell’aviazione militare, il 25 gennaio si è tenuta una cerimonia presso l’aeroporto di Erebuni. In vista dell’anniversario della costituzione dell’esercito, congratulandosi con il personale, il comando della base militare ha espresso la convinzione che i protettori delle frontiere aeree siano pronti a raggiungere i loro obiettivi e mantenere sicure le porte aeree del Paese”, ha affermato il dicastero.

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Corte di Strasburgo: premier armeno vince una causa contro l’Armenia (Osservatorio Balcani e Caucaso 25.01.22)

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan nel 2010 fece causa all’Armenia per il suo arresto e la sua condanna dopo la drammatica repressione avvenuta nel 2008 contro manifestanti antigovernativi.

In una sentenza del 18 gennaio, la CEDU ha ora stabilito che le autorità armene hanno violato i diritti di Pashinyan alla libertà di espressione, alla riunione pacifica e alla libertà e sicurezza. Pashinyan non ha chiesto alcun risarcimento materiale nel suo ricorso.

Lo stato è stato rappresentato nel caso da Yeghisheh Kirakosyan, che è stato nominato rappresentante dell’Armenia presso la CEDU proprio dal governo di Pashinyan nel 2018, dopo essere stato brevemente consigliere del primo ministro.

La sentenza è stata l’ultima di una serie di sentenze della CEDU contro l’Armenia sulla repressione del 2008 per numerose violazioni della Convenzione europea dei diritti umani.

Un giro di vite mortale contro l’opposizione

Pashinyan è stato arrestato nel luglio 2009 con l’accusa di aver tentato di “rovesciare l’ordine costituzionale”. È stato condannato a sette anni di prigione, ma è stato rilasciato nel 2011 con una grazia in occasione del 20° anniversario dell’indipendenza dell’Armenia.

È stato condannato per il suo ruolo nel sostenere le proteste contro i risultati delle elezioni presidenziali del 2008, che videro Robert Kocharyan salire al potere. All’epoca, Pashinyan era un attivista dell’opposizione e il caporedattore di Haykakan Zhamanak (Armenian Times).

Le proteste vennero promosse a fine di febbraio dal primo presidente dell’Armenia, Levon Ter-Petrosyan, che perse contro Kocharyan in quelle che l’opposizione sostenne essere elezioni truccate.

Almeno dieci persone risultarono uccise, tra cui due agenti di polizia, quando le autorità dispersero con la forza le proteste il primo marzo 2008. Dopo essere salito al potere nel 2018, Pashinyan è tornato ad affrontare gli eventi del primo marzo. Nel luglio 2018, le autorità armene hanno presentato accuse contro Kocharyan e i suoi alleati sotto lo stesso articolo usato per arrestare Pashinyan nel 2009: tentativo di rovesciare l’ordine costituzionale.

Le accuse contro Kocharyan, che ora guida il più grande partito di opposizione, sono state respinte nel marzo 2021 dalla Corte costituzionale dell’Armenia.

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“Hurriyet”: Ankara vuole aprire voli ed espandere i rapporti commerciali con l’Armenia (NovaNews 25.01.22)

La Turchia intende aprire delle tratte di collegamento aereo verso varie regioni dell’Armenia ed espandere le relazioni commerciali con Erevan. È quanto riporta il quotidiano “Hurriyet”, citando dei colloqui interni all’amministrazione presidenziale turca. Come primo passo, le autorità turche hanno deciso di avviare le comunicazioni aeree con l’Armenia e poi la questione dei voli verso altre regioni verrà posta all’ordine del giorno, riferisce il quotidiano. In particolare, secondo “Hurriyet”, la città di Van potrebbe diventare una meta turistica per gli armeni. Si prevede anche il restauro di alcuni siti storici, come il ponte e gli edifici vicino a Kars, cui gli armeni attribuiscono grande importanza a livello culturale. L’obiettivo successivo della presidenza turca, infine, sarebbe quello di ampliare anche le relazioni commerciali.

Il 14 gennaio si è svolto a Mosca il primo incontro fra i rappresentanti di Armenia e Turchia per i negoziati volti a normalizzare i rapporti bilaterali. Secondo quanto riferito da una nota del ministero degli Esteri russo, Erevan e Ankara hanno mostrato disponibilità a condurre un dialogo in modo costruttivo e non ideologico, con spirito aperto e mirato a risultati concreti, muovendosi a piccoli passi, passando dal semplice al complesso. Le parti erano rappresentate dal vicepresidente del parlamento armeno Ruben Rubinyan e dall’ambasciatore turco a Erevan Serdar Kilic. “È stato raggiunto un accordo per continuare a cercare un terreno comune a vantaggio dei popoli dei due Paesi, a beneficio della stabilità regionale e della prosperità economica”, si legge ancora nella nota.

Fra i primi passi adottati per tentare di favorire una normalizzazione dei rapporti bilaterali, lo scorso 30 dicembre l’Armenia ha deciso di non estendere il divieto di importazione delle merci turche, imposto il 20 ottobre del 2020 e successivamente prorogato fino al 31 dicembre 2021. Lo comunica il ministero dell’Economia armeno, sostenendo che la misura abbia avuto conseguenze economiche sia positive che negative. “Le conseguenze positive riguardano una serie di produzioni di nuova costituzione o ampliate nell’industria leggera, nei materiali da costruzione, nella produzione di mobili e nell’agricoltura”, ha spiegato il dicastero, aggiungendo che il principale effetto negativo dell’embargo è stato l’impatto significativo sull’inflazione, che si è abbattuto soprattutto su una serie di beni di consumo. “Rimuovendo il divieto di importazione di merci turche, il principio di reciprocità dovrebbe creare condizioni più favorevoli per l’esportazione di merci armene”, ha affermato il ministero dell’Economia armeno.

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Al via oggi la Settimana delle Memoria, incontri e concerti tra i primi appuntamenti (Ferrara24ore 25.01.22)

L’evento ideato da Moni Ovadia per una “Memoria universale”, nella prima giornata appuntamento rivolto al genocidio degli Armeni

Prende il via oggi, martedì 25 gennaio 2022, al Teatro Comunale di Ferrara la Settimana delle Memorie, il progetto di Moni Ovadia in programma dal 25 al 30 gennaio 2022, ideato per ricordare l’immane tragedia della Shoah estendendo gli orizzonti della riflessione anche ad altre stragi di massa che hanno segnato la storia recente dell’umanità, nel segno di una “memoria universale”.

Nella prima giornata, martedì 25 gennaio, l’appuntamento pomeridiano al Ridotto del Teatro (ore 17,30) è rivolto al genocidio degli Armeni, un approfondimento a cui si dedicherà lo storico Franco Cardini, curatore scientifico degli incontri della Settimana, assieme ad Aldo Ferrari, docente di Lingua e Letteratura Armena e Storia del Caucaso all’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Serata in musica con il concerto del trio di Gevorg Dabaghyan, in Teatro alle 20.30: interprete internazionale della tradizione musicale armena, Dabaghyan è il massimo specialista vivente del duduk, antichissimo strumento popolare dalla sonorità fortemente evocativa, che accompagna i canti e le danze di tutte le regioni dell’Armenia. Nel vastissimo repertorio di Dabaghyan ha grande rilievo anche la musica liturgica, parte fondamentale di una tradizione plurimillenaria caratterizzata dalle sue forti radici culturali cristiane.

Il programma prosegue mercoledì 26 gennaio con gli approfondimenti sul genocidio del popolo curdo, inteso non solo come etnia perseguitata ma anche come “identità negata”. All’incontro del pomeriggio, sempre al Ridotto del Teatro alle 17.30, con Franco Cardini ne parleranno Yilmaz Orkan, responsabile UIKI-ONLUS – Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia e il sindaco del comune di Berceto Luigi Lucchi.

Voce dell’espressione artistica di questo popolo sarà la cantante e musicista Aynur Doğan, in un concerto che si terrà in Teatro alle 20.30: icona culturale dei curdi in Turchia, Aynur si è imposta sulla scena internazionale grazie a uno stile vocale e una produzione musicale elogiati dai media turchi e di tutto il mondo. La sua musica, che fonde tradizione e stili moderni e occidentali, parte dai canti popolari tradizionali curdi, alcuni molto antichi, e racconta della vita e della sofferenza del popolo curdo, in particolare delle donne.

L’ingresso è a pagamento per i concerti serali e gratuito per tutti gli incontri pomeridiani. In base all’attuale normativa anticovid, l’accesso sarà consentito solo con Green Pass rafforzato e mascherina di tipo Ffp2.

Il programma della Settimana della Memoria

  • MARTEDÌ 25 GENNAIO – ARMENI
    • ore 17.30 – Sale del Ridotto: conferenza sul genocidio armeno a cura di Franco Cardini con Aldo Ferrari.
    • ore 20.30 – Teatro: concerto di Gevorg Dabaghyan.
  • MERCOLEDÌ 26 GENNAIO – CURDI
    • ore 17.30 – Sale del Ridotto: conferenza sul genocidio curdo a cura di Franco Cardini, con Luigi Lucchi e Yilmaz Orkan.
    • ore 20.30 – Teatro: concerto della cantante curda Aynur Dogan.
  • GIOVEDÌ 27 GENNAIO – SINTI, ROM, EBREI
    • ore 10.00 – Teatro: saluti del Prefetto Rinaldo Argentieri, del Sindaco Alan Fabbri e del Rappresentante della Consulta Provinciale degli Studenti; intervento del Prof. Andrea Baravelli.
    • ore 11.00 – Teatro: spettacolo per le scuole Senza confini. Ebrei e Zingari.
    • ore 17.30 – Sale del Ridotto: conferenza a cura di Franco Cardini con Moni Ovadia, Marina Montesano e Dijana Pavlović.
    • ore 20.30 – Teatro: spettacolo Senza confini. Ebrei e Zingari.
  • VENERDÌ 28 GENNAIO – TUTSI
    • ore 17.30 – Ridotto: conferenza a cura di Franco Cardini con Yolande Mukagasana (Rwanda), autrice del libro La morte non mi ha voluta, e Patrizia Paoletti Tangheroni.
    • ore 20.30 – Ridotto: proiezione del film Accadde in aprile (Raoul Peck, 2005).
  • SABATO 29 GENNAIO – EBREI
    • ore 12.00 – Ridotto: incontro a cura di Fabio Levi (direttore del Centro Studi Internazionale “Primo Levi”) con il regista Valter Malosti, Domenico Scarpa e Carlo Boccadoro.
    • ore 18.00 – Ridotto: conferenza a cura di Franco Cardini con Moni Ovadia e Stefano Levi della Torre.
    • ore 20.30 – Teatro: Se questo è un uomo, spettacolo di e con Valter Malosti.
  • DOMENICA 30 GENNAIO – EBREI
    • ore 10.15 – Ridotto: La memoria rende liberi, a cura di Jazz Studio Dance
    • ore 11.00 – Ridotto: presentazione del libro di Piero Stefani (La parola a loro. Dialoghi e testi teatrali su razzismo, deportazioni e Shoah, Giuntina, 2021), con Moni Ovadia, letture diMagda Iazzetta e Fabio Mangolini, e la partecipazione dell’Accademia Corale Vittore Veneziani.
    • ore 16.00 – Teatro: Se questo è un uomo, spettacolo di e con Valter Malosti.

Per informazioni e biglietti, qui.