Armenia, Georgia e Moldavia proseguono l’avvicinamento alle istituzioni euro-atlantiche, dimostrando la volontà di adottare i valori dell’Occidente democratico. Erevan ha manifestato delusione per l’assenza di sostegno da parte di Mosca in occasione delle tensioni (scoppiate nel terzo conflitto del Nagorno Karabakh) con l’Azerbaigian. Il mancato supporto del Cremlino, derivante dal ridimensionamento dell’influenza russa nella regione del Caucaso, rappresenta l’ultimo tassello del percorso di distanziamento in atto tra istituzioni russe ed armene.
Democrazia fragile, l’Armenia è in un limbo diplomatico, sospesa tra l’influenza russa e la possibilità di avvicinarsi alle istituzioni euro-atlantiche, eventualità ambita quanto temuta a causa della possibilità di subire ripercussioni da parte di Mosca. Tuttavia, Washington ha manifestato la volontà di accogliere l’Armenia nel fronte occidentale al fine di limitare l’espansionismo russo nel Caucaso. La Georgia ha espresso l’intenzione di entrare in Ue e Nato da decenni, subendo la rappresaglia russa culminata con l’invasione militare del 2008 e l’occupazione tutt’ora in corso dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, due regioni del paese. Inoltre, il Cremlino finanzia partiti ed attua azioni di guerra ibrida che minano le istituzioni di Tbilisi.
Tuttavia, le eroiche proteste popolari dei mesi scorsi hanno evidenziato la volontà inamovibile dei georgiani di diventare membri dell’Unione Europea e dell’alleanza atlantica. Pur con colpevole ritardo, in Occidente sembra compreso il peso della battaglia della Georgia, a cui dovrebbe essere concesso lo status di «paese candidato ad entrare nell’Ue» ed a cui, nel recente vertice Nato di Vilnius, è stata garantita l’entrata nell’alleanza in un lasso di tempo ragionevole.
La Moldavia, piccolo paese confinante con la Romania, è un ulteriore stato europeo ad aver chiesto l’ingresso nella Nato e nell’Ue. Al suo interno è presente la striscia di terra della Transnistria, occupata illegalmente dalla Russia, in cui sono presenti migliaia di soldati di Mosca. Una minaccia esistenziale per Chisinau, considerando che il suo esercito ne conti appena 5mila e che nel paese siano presenti delle forze politiche al soldo del Cremlino (come il partito Sor, recentemente dichiarato anticostituzionale), intente a favorire l’avvento di un colpo di stato.
La presidente del paese, Maia Sandu, ha annunciato che la Moldavia difenderà la propria sovranità ed in occasione di un incontro con il presidente americano Joe Biden, tenutosi durante la sua visita in Polonia nel febbraio 2023, ha ricevuto garanzia dell’impegno Usa in favore dell’avvicinamento della Moldavia alle istituzioni euro-atlantiche. Pertanto, appare fondamentale elogiare la lungimiranza di questi paesi, pronti a compiere sacrifici per ottenere un futuro all’insegna dei nostri diritti.
Con la visita dell’allora premier britannico Boris Johnson nei paesi si attuò un protocollo con cui Londra ne avrebbe garantito la difesa in caso di attacco russo, fino all’entrata effettiva nella Nato. Il lasso di tempo che intercorre tra l’approvazione della domanda di adesione all’alleanza e la votazione positiva in tutti i parlamenti dei paesi membri rappresenta la finestra di maggiore rischio per la sicurezza, in cui il Cremlino potrebbe scegliere di compiere gesti eclatanti. Pertanto, un accordo di mutuo soccorso sul modello Uk-Finlandia-Svezia, firmato da alcuni paesi Nato con Armenia, Georgia e Moldavia alimenterebbe la tutela della sicurezza degli stati dalla minaccia russa fino al momento dell’entrata nelle istituzioni euro-atlantiche.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-11-14 19:38:052023-11-14 19:38:05Armenia, Georgia e Moldavia (Italia Oggi 14.11.23)
In Armenia, meno di due mesi fa, si è consumato un dramma umanitario: centomila residenti del Nagorno Karabakh hanno abbandonato la loro terra in seguito all’invasione del vicino Azerbaigian, che rivendica i propri diritti sulla regione. Politica e media non hanno dato il giusto peso agli sviluppi di un conflitto ultradecennale giunto forse a una svolta irreversibile, soprattutto per i centomila in fuga, che «non hanno scelto di abbandonare una terra alla quale sono legati da secoli, non hanno scelto di abbandonare le loro antichissime chiese e i loro monasteri, che saranno distrutti con i bulldozer: sono stati costretti a farlo per salvarsi la vita», sottolinea sulla Stampa Lucetta Scaraffia.
L’UE, denuncia Scaraffia, «non ha mosso un dito per protestare contro gli azeri, per fermare la cacciata di un popolo antico dalla terra che occupava da millenni. Anzi, insistono con il chiamare gli armeni del Nagorno Karabakh separatisti, sposando il punto di vista azero», e probabilmente non è irrilevante il peso del gas che compriamo dall’Azerbaigian e dal suo padrino, quell’Erdogan che può contare sulla minaccia di liberare “valanghe di immigrati verso i nostri confini”.
Però, rileva ancora Scaraffia, oltre alle questioni geopolitiche ed economiche, forse c’è anche qualcosa di più, ossia «la difficoltà per noi europei secolarizzati di sentire quegli antichi cristiani, ancora appassionatamente legati alla loro tradizione religiosa, vicini a noi, simili a noi, quindi avamposto orientale di una cultura europea da difendere. Ci stiamo dimostrando indifferenti alla loro sorte… soprattutto che siano disposti a morire per non rinnegare la loro fede».
Nulla ci smuove, «sembra proprio che il dolore degli armeni infastidisca tutti, e tutti pensino che comunque non sono affari che ci riguardano come europei. Invece ci riguardano e ci riguarderanno». Mappa alla mano non sfugge che l’Armenia (insieme alla Georgia) è un cuneo cristiano in un’area islamica, e «i turchi infatti non nascondono il progetto di passare alla conquista dell’intera Armenia, considerata una inutile enclave incuneata nel mondo islamico». Se il silenzio è la nostra risposta, ci aspettano tempi difficili.
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 14.11.2023 – Vik van Brantegem] – «Israele ha appena venduto un sistema di difesa missilistica all’Azerbajgian per 1,2 miliardi di dollari, poche settimane dopo che gli Stati Uniti hanno approvato ulteriori 14 miliardi di dollari in aiuti a Israele, che ha dichiarato di dover espandere le proprie capacità di difesa missilistica“ (Lindsey Snell).
«L’Azerbajgian acquista il sistema missilistico Barak della Israel Aerospace Aerospace per 1,2 miliardi di dollari – 13 novembre 2023 – Dean Shmuel Elmas – Dopo l’annuncio da parte dell’IAl della vendita del sistema ad un Paese anonimo, rapporti da Baku confermano che il cliente è l’Azerbajgian – Quattro giorni dopo che Israel Aerospace Industries (IAI) aveva annunciato la consegna di un sistema di difesa aerea ad un Paese anonimo in un accordo del valore di 1,2 miliardi di dollari, rapporti da Baku affermano che l’Azerbajgian si è procurato il sistema Barak-MX».
«Poiché sia l’Armenia che l’Azerbajgian sembrano essere sull’orlo di uno storico accordo di pace, la decisione della Francia di fornire attrezzature militari all’Armenia ha introdotto elementi di disturbo. Sembra che la Francia stia preparando l’Armenia per un potenziale conflitto con l’Azerbajgian piuttosto che promuovere la pace con il suo vicino» (Zaur Ahmadov, Ambasciatore dell’Azerbajgian in Svezia).
No, ma questo verrà senza dubbio citato come la motivazione quando l’Azerbajgian lancerà l’ennesimo attacco non provocato all’Armenia.
L’Azerbajgian si arrabbia quando l’Armenia decide di acquistare 20 veicoli corazzati francesi Arquus Bastion dalla Francia, ma è molto felice di acquisire attrezzature militari moderne da Israele, per esempio il sistema di difesa aerea Barak-MX (nella foto di copertina il missile Barak-MX dal sito di Israel Aerospace Industries), e aerei da Italia, per esempio l’aereo da trasporto militare C-27J di Leonardo. Come funziona la logica azera?
Nell’ambito di BookCity Milano 2023, su iniziativa dell’AGBU-Armenian General Benevolent Union Milan e del Memoriale della Shoah Milano, domenica 19 novembre 2023 alle ore 15.00 presso il Memoriale della Shoah in piazza Edmond J. Sapra 1 a Milano, Antonia Arslan e Luca Steinmann dialogano su La pulizia etnica in Artsakh (Nagorno Karabakh). La tragedia infinita in una conversazione che spazia negli ultimi 100 anni di storia del popolo armeno, fino ad arrivare alle attuali vicende e persecuzioni. Modera Marco Vigevani. Antonia Arslan è scrittrice fra gli altri di La masseria delle allodole, La strada di Smirne e La bellezza sia con te. Luca Steinmann è giornalista, reporter e docente universitario.
L’esodo è durato poco più di tre giorni. Foto di Nicolò Ongaro nel reportage del 3 ottobre 2023 Tra i fuggiaschi del Nagorno Karabakh di Luca Steinmann su Rsi.ch.
L’On. Giulio Centemero, in qualità di Presidente dell’Intergruppo Parlamentare di Amicizia Italia-Armenia, promuove la mostra fotografica Alla fine del Corridoio, Il tramonto dell’ Artsakh, gli esuli Armeni del Corridoio di Lachin, realizzata da Nicolò Ongaro in collaborazione con l’Armenian General Benevolent Union Milan, che documenta i fatti relativi alla guerra del Nagorno-Karabakh e in particolare all’esodo della popolazione avvenuto circa un mese fa verso l’Armenia. L’inaugurazione avrà luogo martedì 28 novembre 2023 alle ore 17.00 presso la Sala del Cenacolo nel Complesso Vicolo della Valdina, a poche decine di metri da palazzo Montecitorio a Roma. Saranno presenti oltre al fotografo Nicola Ongaro, Gayanè Khodaveerdi, Presidente all’Associazione promotrice e S.E. Tsovinar Hambardzumyan, Ambasciatore di Armenia in Italia. Sarà inoltre l’occasione per presentare il progetto I rifugiati dimenticati dell’Associazione Manalive Onlus.
“L’unica ideologia di mobilitazione unificante nel Paese [Azerbajgian) è che gli Armeni sono il nemico. Avete mobilitato le persone e non c’è alcun segno di smobilitazione su questo punto. Quindi, c’è la tentazione di continuare ad accelerare» (Thomas de Waal).
«Questo è un modo non armeno per dire che non esiste una nazione azera. Il modo armeno consiste in riferimenti alla storia falsificata. In ogni caso, due mesi dopo 36 anni di feroce guerra non è il momento legittimo per pronunciare tali idee, a meno che non si voglia promuoverle» (Ilgar Mammadov).
«In realtà pensavo che tu, Ilgar, saresti stato una delle poche persone in Azerbajgian capace di inventare una nuova narrativa. Penso che ne abbiamo parlato anche l’ultima volta che ci siamo incontrati» (Thomas de Waal).
I traditori Russi da ieri 13 novembre 2023 hanno adottato la fraseologia di Aliyev. Confesso che all’inizio, dopo il 9 novembre 2020, ho pensato seriamente che Putin avrebbe protetto l’Artsakh come aveva promesso. Invece, presto abbiamo visto che era una menzogna e un inganno.
Il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha rifiutato di partecipare alla prossima sessione dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva guidata dalla Russia։ L’ufficio del Primo Ministro armeno ha dichiarato: «Su iniziativa della Bielorussia, il Primo Ministro Nikol Pashinyan ha avuto una conversazione telefonica con il Presidente bielorusso, Alexander Lukashenko․ Si è discusso di questioni relative all’organizzazione della sessione del Consiglio di Sicurezza Collettiva dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva che si terrà il 23 novembre prossimo a Minsk, la capitale della Bielorussia. Il Primo Ministro Pashinyan ha informato il Presidente Lukashenko che non potrà partecipare alla sessione e ha espresso la speranza che i partner dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva comprendano questa decisione».
Ciò significa che l’Armenia si esclude di fatto dall’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva e non parteciperà alle sue attività. Quindi, l’Armenia riceve sostegno in termini di sicurezza dagli USA e dalla Francia. Questi Paesi non solo sosterranno le riforme delle forze armate armene, ma la Francia venderà anche armi ed equipaggiamento militare all’Armenia.
Uno sviluppo significativo si sta verificando anche nelle relazioni Armenia-Unione Europea. Buone notizie attese da tempo. Durante la riunione del Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea, che ha affrontato anche la questione delle relazioni Armenia-Azerbajgian, i Ministri degli Esteri dei Paesi membri dell’Unione Europea hanno approvato l’espansione della Missione di osservazione dell’Unione Europea dispiegata in Armenia. Inoltre, hanno deciso di avviare discussioni con l’Armenia sulla liberalizzazione dei visti e sulla fornitura di assistenza militare all’Armenia.
Il Portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha espresso rammarico per il fatto che Pashinyan non parteciperà al prossimo vertice dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva. «Se è davvero così, allora possiamo esprimere il nostro rammarico. Comprendiamo che ogni Capo di governo o Capo di Stato possa avere i propri eventi nel proprio programma di lavoro, le proprie circostanze. Tuttavia, si può solo esprimere rammarico, perché tali incontri sono un’ottima occasione per lo scambio di opinioni», ha detto Peskov.
L’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell’Unione Europea, Josep Borrell, ha dato l’annuncio a Brussel: «Il Consiglio ha discusso le modalità per sostenere le autorità armene democraticamente elette, la resistenza armena, la sicurezza e il proseguimento delle riforme. Abbiamo deciso di espandere la nostra Missione di osservazione in Armenia per dispiegare più pattuglie e condurre più pattuglie nelle aree problematiche di confine. Discuteremo anche le possibilità di aiutare l’Armenia attraverso il meccanismo europeo di pace e anche la liberalizzazione dei visti».
In riferimento alla situazione tra Armenia e Azerbajgian, Borrell ha osservato: «Dobbiamo essere estremamente vigili di fronte a qualsiasi tentativo di destabilizzare l’Armenia, sia dall’interno che dall’esterno. Il nostro messaggio all’Azerbajgian è stato molto chiaro: qualsiasi violazione dell’integrità territoriale dell’Armenia è inaccettabile e avrà gravi ripercussioni sulle nostre relazioni. Esortiamo Armenia e Azerbajgian a impegnarsi nei negoziati. È necessario raggiungere un accordo di pace e noi ci impegniamo a svolgere il nostro ruolo di mediatori».
I Ministri degli Esteri europei hanno deciso di invitare il Ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, a Brussel per partecipare ad una futura sessione del Consiglio. Il prossimo incontro avrà probabilmente luogo a dicembre.
L’Armenia ha accolto con favore la decisione del Consiglio dei Ministri degli Esteri dell’Unione Europea di avviare i negoziati sulla liberalizzazione dei visti con il Paese, ha dichiarato il Viceministro degli Esteri armeno, Paruyr Hovhannisyan. Ha sottolineato che la liberalizzazione dei visti è una delle questioni più complesse nell’agenda Armenia-Unione Europea. «La decisione del Consiglio dei Ministri degli Affari Esteri dell’Unione Europea ha segnato l’inizio dei negoziati sulla liberalizzazione dei visti con l’Armenia. Il processo è quindi andato avanti. È significativo che nessun Paese abbia sollevato obiezioni, poiché ottenere tale consenso è complicato. Si tratta di uno sviluppo molto positivo. Continueremo a collaborare attivamente con l’Unione Europea e i suoi Stati membri per accelerare questo processo nella massima misura possibile», ha affermato Hovhannisyan.
«È evidente che parlando di “tentativo di destabilizzare l’Armenia dall’esterno” Borrell allude agli attacchi militari congiunti pianificati da Azerbajgian e Russia contro l’Armenia. Non è un caso che Borrell avverta l’Azerbajgian che qualsiasi violazione dell’integrità territoriale dell’Armenia è inaccettabile e avrà gravi conseguenze per le relazioni Unione Europa-Azerbajgian.
L’Azerbajgian ha ingannato l’Occidente già una volta, effettuando un attacco militare contro il Nagorno-Karabakh. Ora, gli Stati Uniti e l’Unione Europea devono lanciare avvertimenti più concreti all’Azerbajgian sulle gravi conseguenze dell’aggressione contro l’Armenia.
Settimane fa, gli Stati Uniti hanno messo in guardia l’Azerbajgian da gravi ripercussioni se avesse lanciato un attacco militare contro l’Armenia. Speriamo che l’Unione Europea alla fine approvi l’iniziativa di fornire assistenza militare e di sicurezza all’Armenia.
Attacchi militari periodici da parte di Azerbajgian e Russia minacciano la democrazia armena. La Missione di osservazione dell’Unione Europea svolge un ruolo cruciale nel mantenimento della stabilità lungo il confine armeno-azerbajgiano, ma il rafforzamento delle capacità dell’Armenia è il fattore principale per prevenire attacchi militari azerbajgiani.
La Russia sta anche impiegando forze filo-russe in Armenia per seminare instabilità politica interna e conflitti. Negli ultimi tre anni l’Armenia è stata oggetto di attacchi russo-azerbajgiani. Se l’Armenia non avesse ricevuto il sostegno di Stati Uniti, Francia e Unione Europea, avremmo potuto perdere la nostra sovranità.
Il rischio di essere incorporati con la forza nello Stato dell’Unione russa rimane estremamente alto. È essenziale rafforzare la resistenza dell’Armenia se l’Occidente intende davvero fornire un sostegno pratico alla sovranità e alla democrazia dell’Armenia. Un’Armenia forte può anche fungere da rappresentante dell’Occidente nella regione.
Gli Stati Uniti e la Francia hanno dichiarato il loro sostegno alle riforme all’interno delle forze armate armene. La Francia ha già iniziato a fornire attrezzature militari. A mio avviso, anche gli Stati Uniti svolgono un ruolo significativo nel facilitare la vendita di armi dall’India all’Armenia. Si spera che i Paesi occidentali sostengano profondamente la sicurezza dell’Armenia e le sue aspirazioni per un futuro democratico.
Se l’Unione Europea prendesse la decisione definitiva di liberalizzare il regime dei visti con l’Armenia, fornire assistenza militare e aumentare il numero di osservatori, l’Armenia dovrebbe fare la prossima mossa. In altre parole, Yerevan dovrebbe presentare una domanda di adesione all’Unione Europea.
Pochi giorni fa si è svolta a Brussel la conferenza “Il futuro strategico dell’Armenia”, organizzata dalla società civile e dalle forze politiche armene. Il messaggio principale della conferenza “Armenia-Europa” è stato quello di avviare il processo di adesione all’Unione Europea.
Questa questione sta già guadagnando terreno nell’opinione pubblica in Armenia. L’Unione Europea dovrebbe adottare misure concrete per sostenere l’Armenia e credo che Yerevan potrebbe presentare una domanda di adesione all’Unione Europea nel prossimo futuro.
Pochi giorni fa, il Segretario del Consiglio di Sicurezza armeno, Armen Grigoryan, è intervenuto all’evento “Il futuro strategico dell’Armenia” tenutosi a Brussel. Durante la conferenza “Armenia-Europa”, ha annunciato che l’Armenia ha chiesto all’Unione Europea di espandere la cooperazione in vari settori, compresa la sicurezza.
“La democrazia armena viene spesso presa di mira, e per proteggersi da questi attacchi, è necessario anche che l’Armenia riceva un sostegno significativo. L’Armenia dovrebbe ricevere assistenza per diversificare la propria economia e le risorse nel settore della sicurezza”, ha sottolineato Grigoryan.
Ha aggiunto che Erevan non si era mai impegnata prima in discussioni di questo livello con l’Occidente sul tema della sicurezza, citando l’esempio della Francia. Il mese scorso Erevan e Parigi hanno firmato un accordo di cooperazione militare, compresa la fornitura di armi difensive.
“Ci sono ancora Paesi esemplari, come la Francia, con i quali abbiamo compiuto progressi significativi nella sfera militare, ma abbiamo aspettative che saremo in grado di rafforzare la nostra cooperazione in materia di sicurezza sia con l’Occidente collettivo che con i singoli Paesi. E quando dico sicurezza cooperazione, non intendo solo militare; sicurezza in un contesto più ampio”, ha affermato Armen Grigoryan.
Il Meccanismo Europeo di Pace è uno strumento attraverso il quale Brussel fornisce risorse per aumentare le capacità di difesa dei Paesi non membri, prevenire i conflitti e rafforzare la pace. Ucraina, Georgia e Moldavia hanno precedentemente ricevuto e stanno attualmente ricevendo aiuti dall’Unione Europea attraverso questo meccanismo.
Nel prossimo futuro, queste decisioni dei Ministri degli Esteri dovrebbero essere portate davanti alla Commissione Europea, che dovrebbe presentare proposte per la loro attuazione. Si prevede che ciò chiarirà fino a che punto e come la Missione di osservazione di stanza in Armenia potrà essere ampliata e quale assistenza militare Erevan potrà aspettarsi da Brussel.
Le decisioni della Commissione Europea devono essere ratificate dagli Stati membri dell’Unione Europea. Lo strumento europeo per la pace è già stato utilizzato per sostenere tre paesi post-sovietici. L’Unione Europea ha fornito all’Ucraina oltre 2 miliardi di euro in assistenza militare e di sicurezza. Alla Moldova ha fornito oltre 60 milioni di euro in sostegno militare e di sicurezza. Alla Georgia ha fornito oltre 30 milioni di euro in assistenza militare e di sicurezza. In tutti e tre i casi, l’assistenza è stata fornita attraverso il meccanismo europeo di pace.
I tipi specifici di assistenza in materia di sicurezza da fornire all’Armenia attraverso lo Strumento Europeo per la Pace dipenderanno dalle esigenze e dalle priorità dell’Armenia. L’Unione Europea ha la capacità di fornire all’Armenia un quadro militare e di sicurezza completo. L’Unione Europea può collaborare con l’Armenia per individuare le tipologie specifiche di assistenza più necessarie per promuovere efficacemente la pace e la sicurezza. Aspetteremo ulteriori sviluppi» (Robert Ananyan – Nostra traduzione italiana dall’inglese).
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-11-14 19:33:242023-11-15 19:35:31’Azerbajgian acquista un sistema missilistico da Israel e si arrabbia perché l’Armenia acquista veicoli militari dalla Francia (Korazym 14.11.23)
Il gran finale del festival Spoleto Jazz riserva una bellissima sorpresa. Dopo alcuni anni di assenza dagli eventi organizzati da Visioninmusica torna a esibirsi dal vivo per l’associazione, in esclusiva per il festival di Spoleto, uno dei più grandi virtuosi del pianoforte, Tigran Hamasyan.
Venerdì 17 novembre, alle ore 21.00, il musicista di origini armene apprezzatissimo da critica e pubblico internazionali, sarà sul palcoscenico del Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti per presentare il suo ultimo album di brani originali, The call within insieme a Marc Karapetian al basso e Arthur Hnatek alla batteria.
Considerato uno dei più straordinari musicisti della sua generazione, Tigran è un virtuoso del pianoforte che si distingue per l’unione sapiente della potenza dell’improvvisazione jazz con la musica folcloristica della sua terra, l’Armenia, dando vita a un sound unico arricchito da influenze rock. Con il suo eccezionale talento e il suo sound unico Tigran ha tenuto concerti in tutto il mondo, guadagnandosi l’affetto di una fan base eterogena che comprende sia appassionati di jazz che ascoltatori di progressive rock.
La vita di Tigran è stata da subito caratterizzata dalla musica. Cresciuto con un padre amante del rock, a tre anni muove i suoi primi accordi sul pianoforte cercando di replicare la musica dei Beatles, dei Led Zeppelin o Deep Purple. A dieci anni inizia a guardare con curiosità al mondo del jazz ed è in questo momento della sua formazione musicale che entra Vahag Hayrapetyan, il maestro che gli insegnerà i fondamenti del jazz e del be-bop. A tredici anni, infine, rivaluta la musica tradizionale armena e inizia a trarne ispirazione.
Quando Tigran compie sedici anni i genitori, comprendendo le sue capacità artistiche, decidono di trasferirsi a Los Angeles per dargli maggiori opportunità. Nel frattempo, la sua carriera ha già preso il via. Nel 2003 vince il premio della critica e del pubblico al Festival di Montreux e nel 2006 ottiene il premio come “Best Jazz Piano” al Thelonious Monk Institute of Jazz e registra il suo primo album World of Passion.
Nel 2015 vince il prestigioso Paul Acket Award al North Sea Jazz Festival e l’anno successivo l’Echo Award (il Grammy tedesco) come “Best International Piano Album of the Year” con Mockroot. Nel 2017 esce An Ancient Observer, a cui ha fatto seguito The Call Within nel 2020.
I biglietti del concerto sono in vendita sul circuitoVivaticket.it.
“Il giorno che il governo azero metterà da parte il linguaggio militare, dichiarerà la sua fedeltà ai principi già concordati e vorrà sedersi al tavolo negoziale il processo di pace potrà essere realizzato”
Le recenti parole del presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, “purtroppo allontanano qualsiasi processo di pace nella regione”. Lo afferma in un’intervista all’Adnkronos l’ambasciatrice armena a Roma, Tsovinar Hambardzumyan, dopo che nei giorni scorsi Aliyev, in occasione di una parata militare a Stepanakert, ha dichiarato che “dopo la seconda guerra del Karabakh, abbiamo accelerato ulteriormente il processo di costruzione dell’esercito senza fermarci un solo giorno e senza nasconderlo”.
“Il giorno che il governo azero metterà da parte il linguaggio militare, dichiarerà la sua fedeltà ai principi già concordati e vorrà sedersi al tavolo negoziale il processo di pace potrà essere realizzato”, prosegue l’ambasciatrice, secondo cui il Caucaso meridionale “ha bisogno di pace, mancano però la volontà politica da parte della leadership azera e il rispetto degli accordi raggiunti”.
Secondo Hambardzumyan, la pace sarà possibile soltanto se l’Azerbaigian “rimane fedele ai principi fondamentali concordati durante gli incontri di Praga e Bruxelles” e che “si basano sul riconoscimento reciproco dell’integrità territoriale” e sulla Dichiarazione di Alma-Ata del 1991 per quanto riguarda i confini.
“Capisco che per l’opinione pubblica internazionale sia difficile orientarsi quando sono soprattutto le accuse reciproche ad essere evidenziate nei media. Per facilitare la comprensione della situazione c’è un metodo infallibile: seguire i fatti concreti – spiega l’ambasciatrice – L’Armenia negli ultimi 30 anni si è sempre adoperata per raggiungere una pace duratura, unicamente attraverso la via negoziale. Ma l’Azerbaigian non ha fatto altro che rifiutare ogni compromesso adottando una politica di armamenti e ricorrendo all’uso della forza e a un linguaggio guerrafondaio”.
“sfollati catastrofe umanitaria, da Baku pulizia etnica”
L’ “esodo forzato” di 100mila armeni, tra cui 30mila bambini, dal Nagorno-Karabakh dopo l’operazione militare azera è stata una “catastrofe umanitaria” e un effetto della “pulizia etnica” attuata dal governo di Baku, denuncia Hambardzumyan, sottolineando che gli armeni fuggiti dalla regione “non devono solo poter tornare nelle loro terre, ma hanno tutto il diritto di farlo. Solo che con un regime dittatoriale come c’è in Azerbaigian, la cosa sembra non fattibile”.
Gli armeni del Nagorno-Karabakh sono stati “costretti a lasciare le loro case, i loro averi e la terra dei loro antenati: come si può definire questo se non una pulizia etnica”, aggiunge l’ambasciatrice, secondo cui l’ “assedio totale” alla regione da parte dell’Azerbaigian ha preso di mira “una popolazione inerme e ormai allo stremo, dopo il blocco totale dell’unica strada che collegava la regione all’Armenia e da dove passavano tutti i beni di prima necessità”.
L’Azerbaigian “ora vuol far credere al mondo che i diritti degli armeni del Nagorno-Karabakh erano rispettati e la loro incolumità fisica non era in pericolo”, insiste Hambardzumyan, denunciando invece che le autorità azere hanno “privato” i cittadini del Nagorno-Karabakh della fornitura di gas, energia elettrica, collegamenti internet, istruzione, lavoro e medicine.
“L’Armenia praticamente in tre giorni ha dovuto accogliere tutti gli sfollati forzati, assicurando loro vitto, alloggio, assistenza materiale e psicologica – rimarca l’ambasciatrice – Se pensiamo che un Paese come l’Italia ha difficoltà a gestire 120mila arrivi non in tre giorni, ma nell’arco di un anno, possiamo immaginare cosa significa per un Paese piccolo come l’Armenia far fronte ad una catastrofe umanitaria di tale portata”.
Sulle accuse di pulizia etnica mosse da Baku a Erevan, Hambardzumyan ritiene che in realtà gli azeri abbiano “confuso i ruoli, chi è l’esecutore del genocidio e chi lo subisce”, aggiungendo che “non sorprende che l’Azerbaijan faccia ancora una volta un ridicolo tentativo di salvare la propria faccia e che voglia attribuire agli altri la propria colpa”.
“guerra Hamas-Israele? violenza non risolve i conflitti”
“L’escalation del conflitto in Medio Oriente è davvero drammatica, civili innocenti vengono uccisi. Ci uniamo agli appelli internazionali per fermare la violenza e ad adottare tutte le misure per porre fine alle ostilità quanto prima e a garantire la sicurezza della popolazione civile”, dichiara Hambardzumyan, commentando la guerra tra Israele e Hamas.
“Purtroppo, vecchi conflitti, guerre e sofferenze dei civili si stanno riaccendendo in diverse parti del mondo. Questa è una questione molto delicata per noi. Solo un mese fa abbiamo assistito agli stessi eventi nella nostra regione – evidenzia – Crediamo fermamente che la violenza non sia in alcun modo una soluzione al conflitto e che i negoziati pacifici siano l’unico modo per ripristinare la pace e la stabilità e trovare soluzioni giuste e reciprocamente accettabili ai problemi esistenti”.
“con Italia eccellenti rapporti politici e economici”
Italia e Armenia “godono di solidi rapporti interstatali, con un dialogo politico ad alto livello. Negli ultimi anni tali rapporti si sono intensificati ancora di più grazie alle visite di Stato dei presidenti dei due Paesi”, scandisce l’ambasciatrice armena a Roma, ricordando come sin dalla sua indipendenza l’Armenia abbia stabilito e sviluppato “eccellenti rapporti politici, economici e culturali con l’Italia” che si basano su “ricche e antiche tradizioni e su valori condivisi”.
“Durante la mia missione in Italia abbiamo celebrato un traguardo importante delle nostre relazioni: il 30mo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Armenia e Italia. Nei miei incontri con i vertici della politica italiana innanzitutto è stata sottolineata la storicità delle nostre relazioni e il forte interesse di entrambe le parti a guardare il futuro con l’obiettivo di rafforzare e ampliarle ancora di più”, asserisce l’ambasciatrice, precisando che “chiaramente le basi storiche e l’alto livello di dialogo politico tra Armenia e Italia creano un ambiente favorevole per il mondo imprenditoriale di entrambi i Paesi”.
“L’Italia – conclude – è il secondo partner commerciale dell’Armenia tra i Paesi dell’Unione Europea e il settimo tra i Paesi del mondo. L’anno scorso abbiamo avuto un aumento del fatturato commerciale del 20%, e nella prima metà di quest’anno abbiamo già registrato un aumento del 41%”.
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 13.11.2023 – Vik van Brantegem] – Degli account azeri di Telegram con legami con il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian riferiscono dell’arrivo di materiale militare francese in Armenia, pubblicando delle foto di veicoli corazzati francesi che affermavano di essere state scattate nel porto di Batumi, con destinazione Armenia. Foto e notizie sono state riprese dai media governativi azeri.
Secondo queste informazioni, non verificate, si tratterebbe di almeno 20 veicoli corazzati francesi Arquus Bastion inviati all’Armenia attraverso il porto georgiano di Poti. Se vere, queste informazioni confermerebbero che la Francia sta consegnando tempestivamente una parte degli armamenti concordati con l’Armenia e che la logistica non si è rivelata una sfida.
Sebbene ovviamente sconvolto dal fatto che queste consegne stiano attualmente attraversando la Georgia, l’agitprop azerbajgiano vede questa come un’opportunità per migliorare lo spettacolo offerto dal “Parco dei Trofei” di Baku con attrezzature francesi. I canali più aggressivi sostengono che si tratta di una forma di impegno guerrafondaio da parte dell’Armenia e suggeriscono che “l’Azerbajgian effettua un’operazione speciale per smilitarizzare e denazificare l’Armenia”, accompagnando i loro post con una mappa dell’Armenia imputata dalla metà, come segue.
In senso orario: Armenia – Azerbajgian – Zangezur (= regione Syunik di Armenia).
I media statali dell’Azerbajgian affermano che la comunità internazionale si è schierata con gli Armeni che “hanno scelto volontariamente” di lasciare il Nagorno-Karabakh e poi si è scagliata contro il Commissario per i Diritti Umani dell’Unione Europea, Dunja Mijatovic, che si è incontrato con la “Comunità dell’Azerbajgian occidentale” ma non ne ha sostenuto la causa (che tutta l’Armenia è Azerbajgian).
Nel frattempo all’Università statale di Nakhchivan verranno insegnate “materie speciali relative all’Azerbajgian occidentale”: Toponomastica dell’Azerbajgian occidentale, Monumenti materiali e culturali dell’Azerbajgian occidentale, Storia politica ed etnoculturale dell’Azerbaigian occidentale.
Nella cartina le regioni dell’Azerbajgian occidentale (=Armenia) con le regioni armene indicate secondo la toponomastica azera.
Oggi, il Cardinale Matteo Zuppi, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, all’Assemblea straordinaria dei vescovi italiani ha detto: «La drammatica guerra in Ucraina, però, non ha insegnato molto alla politica internazionale. Nel settembre 2023, l’enclave armena del Nagorno-Karabakh è stata occupata dalle truppe dell’Azerbajgian, la cui sovranità sul territorio è riconosciuta internazionalmente. In questa terra, la fede fu introdotta all’alba del Cristianesimo e si è tramandata per molti secoli fino ad oggi. Da poco gli Armeni hanno abbandonato la terra in un esodo tragico, in cui si rivive la memoria dei dolori del secolo passato. Un piccolo mondo Cristiano, tanto antico, finisce. Noi non siamo indifferenti e sentiamo la ferita di tanta sofferenza e della mancata soluzione negoziata».
«Il fatto che gli uomini non imparino molto dalla storia è la lezione più importante che la storia ci insegna» (Aldous Huxley, Un caso di ignoranza volontaria in Raccolta di saggi).
«La gente non si commuove per le disgrazie che non conosce. L’ignoranza e la felicità degli insensibili» (Aldous Huxley, Punto contro punto).
«La maggior parte dell’ignoranza è un’ignoranza vincibile. Non lo sappiamo perché non vogliamo saperlo. È la nostra volontà che decide come e su quali argomenti utilizzeremo la nostra intelligenza» (Aldous Huxley, Fini e mezzi).
«Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa, e insanabilmente maligno; chi potrà conoscerlo?» (Geremia 17,9).
The Guardian ha pubblicato – accompagnata da una foto del Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, che osserva una parata militare delle sue forze armate – una lettera dell’Ambasciatore dell’Azerbajgian nel Regno Unito, Elin Suleymanov, in cui sostiene che gli attacchi non provocati dell’Azerbajgian alla Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh del 19 e 20 settembre scorso erano operazioni di “autodifesa” e che non vi è alcun problema con le società britanniche che operano in Azerbajgian, vale a dire la BP, che contribuiscono a finanziare tali attacchi.
«Azerbajgian
Lettere
L’Azerbajgian agisce per legittima difesa
The Guardian, 10 novembre 2023 Uno Stato che utilizza le proprie entrate per difendere la propria integrità territoriale è, o almeno dovrebbe essere, incontrovertibile, scrive l’Ambasciatore Elin Suleymanov.
I territori che l’Azerbajgian ha riconquistato dal 2020 sono sempre stati riconosciuti all’unanimità come suo territorio sovrano, come riaffermano quattro distinte risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Qualsiasi passo intrapreso per recuperare queste terre non è “aggressione”, ma autodifesa (i progetti BP hanno contribuito a finanziare l’aggressione militare dell’Azerbajgian, dicono gli attivisti, l’8 novembre). Nel clima attuale, è importante non lasciarsi sfuggire queste distinzioni giuridiche. Uno Stato che utilizza le proprie entrate per difendere la propria integrità territoriale è, o almeno dovrebbe essere, incontrovertibile. È il primo dovere di ogni governo ed è sancito dalla Carta delle Nazioni Unite.
Inoltre, è stato rimosso uno dei principali ostacoli alla pace nel Caucaso meridionale: l’occupazione armena. Il mese scorso, sia il mio governo che quello armeno hanno dichiarato che un accordo di pace sarebbe possibile nel giro di pochi mesi.
I ricavi generati attraverso la nostra collaborazione con partner energetici internazionali hanno finanziato investimenti nella sanità, nelle infrastrutture e nell’istruzione. Ha contribuito a trasformare l’Azerbajgian in una delle nazioni più prospere della regione. Un accordo di pace con l’Armenia porterà stabilità all’intera regione e aumenterà ulteriormente le sue prospettive economiche. Elin Suleymanov».
«Distruggete le nostre chiese, ma non distruggete la nostra fede e la nostra esistenza»
L’Azerbajgian ha demolito una chiesa armena nell’Artsakh, violando così la decisione provvisoria della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite, riferisce il Caucasus Heritage Watch, della Cornell University negli USA. Per l’organizzazione sorge la domanda: come risponderà la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite alle violazioni delle sue sentenze e ai tentativi di insabbiarle?
Nell’estate del 2022, l’organizzazione ha registrato la distruzione quasi completa del villaggio di Mokhrenes (in azero Susanlıq) nella regione di Hadrut nella Repubblica di Artsakh, passata sotto controllo dell’Azerbajgian nel 2020 in seguito alla guerra dei 44 giorni. Fu distrutta anche la piccola chiesa di San Sargis del XVIII-XIX secolo, annidata su una collina, con il tetto coperto di erba. Durante l’epoca sovietica l’interno della chiesa venne intonacato e utilizzato per scopi economici. Poi, fu ripristinata come chiesa negli anni ’90 e rimasta in uso fino a quando gli Armeni non furono sfollati con la forza da Mokhrenes. La chiesa non era stata danneggiata durante la guerra del 2020. Secondo le foto pubblicate dagli Azeri nel dopoguerra, la chiesa era ancora intatta. Ma l’11 ottobre 2022, studiando le immagini satellitari pubblicate dal team del progetto Caucasus Heritage Watch, è diventato evidente che l’Azerbaigian aveva completamente distrutto la chiesa. Successivamente, l’Azerbajgian ha iniziato dei lavori di costruzione nello stesso posto.
«La distruzione della chiesa nel 2022 è stata la prima violazione documentata della misura provvisoria del dicembre 2021 della Corte Internazionale di Giustizia», ha affermato in una nota il Caucasus Heritage Watch. Quella misura provvisoria nel caso Armenia v Azerbajgian ha ordinato all’Azerbajgian di «adottare tutte le misure necessarie per prevenire e punire atti di vandalismo e profanazione che colpiscono il patrimonio culturale armeno, inclusi ma non limitati a chiese e altri luoghi di culto, monumenti, monumenti, cimiteri e manufatti». Il caso è ancora in corso e deve ancora essere deciso nel merito.
«Ma la demolizione di San Sargis non sembra essere stata l’ultima parola nell’intervento dell’Azerbajgian sul sito. Nei nostri continui sforzi di monitoraggio, abbiamo documentato le prove della successiva attività di costruzione, che rendiamo nota al pubblico qui. Le nuove prove sollevano interrogativi sulla risposta dell’Azerbajgian alle conclusioni di Caucasus Heritage Watch e sulla pressione sul governo affinché si attenga ad una decisione della Corte Internazionale di Giustizia», ha aggiunto il Caucasus Heritage Watch, chiedendo all’Azerbajgian di informare il pubblico su ciò che è accaduto a Mokhrenes.
«Lo Stato deve rispettare la sentenza del dicembre 2021, indagando sulla distruzione di San Sargis e ritenendo responsabili i colpevoli. Date le implicazioni legali della distruzione della chiesa, l’Azerbajgian deve presentare i suoi piani per San Sargis e fornire documentazione pubblica sul campo della nuova costruzione e consentire a giornalisti ed esperti di accedere al villaggio per valutare i lavori. Se si tenta di ricostruire San Sargis, l’Azerbajgian deve dimostrare che, con la guida di esperti internazionali nella conservazione del patrimonio, si sta ricostruendo fedelmente la struttura demolita come una chiesa armena storica. Un programma di restauro frettoloso e segreto non può mitigare le ricadute legali e reputazionali derivanti dalla distruzione della chiesa. Se, tuttavia, il lavoro sul sito non è un programma di restauro ma piuttosto uno sforzo per mettere in atto una nuova struttura sul sito di San Sargis, l’Azerbajgian deve cessare la costruzione fino a quando il sito non sarà completamente esaminato e valutato da indagini indipendenti sia sulla distruzione che sulla nuova attività. L’Azerbajgian è obbligato a proteggere il patrimonio culturale armeno e a prevenire qualsiasi tentativo di cancellare i secoli di vita culturale e religiosa armena a Mokhrenes», ha affermato il Caucasus Heritage Watch.
I diritti del popolo dell’Artsakh devono essere garantiti ha affermato l’Ambasciatore dell’Iran in Armenia
L’Ambasciatore della Repubblica Islamica dell’Iran presso la Repubblica di Armenia, Mehdi Sobhani, ha sottolineato l’importanza del rispetto dei diritti degli Armeni dell’Artsakh.
Il diplomatico iraniano ha affermato che l’Iran riconosce l’integrità territoriale sia dell’Armenia che dell’Azerbajgian secondo le normative internazionali. Tuttavia, ha sottolineato l’importanza di difendere i diritti del popolo del popolo del Nagorno-Karabakh, che dovrebbe essere in grado di determinare i propri diritti, di avere il diritto all’autodeterminazione.
Come di consueto, l’Azerbajgian ha definito le dichiarazioni di Sobhani come una “provocazione”, interpretandole come una sfida alla sua integrità territoriale e sovranità.
Republic Press ha ripubblicato parte dell’intervista con l’Ambasciatore dell’Iran in Armenia, Mehdi Sobhani, a Civilnet in cui ha parlato della necessità di preservare i diritti della popolazione armena dell’Artsakh. Republic Press ha tradotta l’intervista direttamente dal persiano all’inglese, osservando che la traduzione della voce fuori campo armena fornita da Civilenet conteneva diversi errori. Riportiamo di seguito la nostra traduzione italiana dall’inglese.
Qual è la posizione ufficiale della Repubblica Islamica dell’Iran riguardo all’ultima invasione dell’Azerbajgian del Nagorno-Karabakh e ai diritti del popolo del Nagorno-Karabakh?
«Vedi, la posizione ufficiale della Repubblica islamica dell’Iran nei confronti del Nagorno-Karabakh è stata annunciata in precedenza; riconosciamo l’integrità territoriale sia dell’Armenia che dell’Azerbajgian in conformità con il diritto internazionale e delle Nazioni Unite, ma ciò non significa che i diritti di quelle persone che sono lì dovrebbero essere violati. Crediamo che i diritti del popolo del Karabakh, i diritti di ciascun popolo del Karabakh dovrebbero essere garantiti, dovrebbero essere in grado di determinare i propri diritti, avere il diritto all’autodeterminazione. Questo è una realtà che nessuno, compreso l’Azerbajgian, può ignorare.
Quando si è verificata la crisi del Karabakh e gli sfollati del Nagorno-Karabakh sono entrati in Armenia, un gruppo di sfollati era a Kapan, sono andato a incontrarli e quando ho parlato con loro ho chiesto loro perché se ne fossero andati, e loro hanno risposto che non si sentivano sicuri per la propria vita. Un Paese che considera gli altri suoi cittadini deve garantire a quei cittadini e a quelle persone tali condizioni affinché si sentano sicuri e non lascino il loro territorio, o la loro terra, o le loro case. La loro richiesta era che le comunità internazionali aiutassero affinché ritornassero alle loro case e venissero garantiti i loro diritti. E sosteniamo la garanzia dei diritti legali e legittimi degli abitanti del Karabakh».
L’aereo dell’aeronautica militare turca A400 (reg. 17-0080; ICAO 4B8212), partito dall’aeroporto di Tekirdag/Corlu in Turchia, un centro di test per i droni Bayraktar, passando per la Georgia, è atterrato nella base aerea di Gala vicino a Baku. Circa 2 ore dopo è ripartito per Kayseri. Il carico è sconosciuto, ma secondo il Nagorno Karabakh Observer potrebbe essere correlato ai droni Bayraktar. Voli simili sono stati osservati durante la guerra dei 44 giorni dell’Azerbajgian in Artsakh del 2020, con sospetti carichi militari che volavano attraverso lo spazio aereo della Georgia. Quest’ultimo aveva chiuso il suo spazio aereo ai carichi militari russi, ma aveva consentiti i voli turchi e azeri.
«L’Azerbajgian ha l’opportunità di dimostrare la sua mancanza di intenzione di lanciare nuove guerre e attacchi militari contro l’Armenia.
L’Azerbajgian dovrebbe riprendere i negoziati costruttivi a Brussel o Washington e firmare un trattato di pace. È essenziale arruolare gli Stati Uniti o qualsiasi autorevole struttura legale/politica occidentale come garante dell’attuazione dell’accordo. Ciò dissuaderà l’Azerbajgian dal sottrarsi alle proprie responsabilità.
Le assicurazioni quotidiane del pPesidente dell’Azerbajgian, del Ministro degli Esteri e degli Ambasciatori di non iniziare una guerra contro l’Armenia e di concludere un trattato di pace sono all’ordine del giorno. Allo stesso tempo, però, l’Azerbajgian rifiuta di incontrarsi a Brussel ed esprime la preferenza per il formato di Mosca.
Nella seconda parte, presento un quadro di domande attraverso le quali l’Occidente può accertare le vere intenzioni dell’Azerbajgian riguardo alle tattiche dilatorie e ai potenziali preparativi di guerra contro l’Armenia.
L’Ambasciatore Elchin Amirbekov, Rappresentante speciale del Presidente dell’Azerbajgian, continua la sua serie di interviste ai media occidentali per convincere l’Occidente che non hanno intenzione di attaccare l’Armenia. Alla domanda da parte di In Terris se l’Azerbajgian intenda invadere l’Armenia nel prossimo futuro, Amirbekov ha fornito una risposta inequivocabile: “Assolutamente no. Si tratta di notizie false che circolano negli ultimi giorni, di cui non possiamo comprendere appieno l’origine. Tali notizie false si basano sul cosiddetto ‘Corridoio di Zangezur’, presumibilmente destinato a fornire la connettività terrestre tra l’Azerbajgian e la Repubblica Autonoma del Nakhichevan”.
Secondo Amirbekov, se Yerevan si oppone al termine “corridoio” si potrebbero usare termini alternativi come passaggio, strada o incrocio. Amirbekov ha affermato che il termine “corridoio” è “un concetto puramente economico e di trasporto” e se l’Armenia “non adempie ai propri obblighi” l’Azerbajgian stabilirà collegamenti ferroviari e stradali con Nakhichevan attraverso l’Iran: “L’Armenia rimarrà isolata nella regione, e questa sarà la scelta degli Armeni. L’Azerbajgian non ha rivendicazioni territoriali sull’Armenia, e questo probabilmente viene deliberatamente diffuso dall’Armenia”.
In sostanza, il rappresentante di Aliyev sta ricattando Yerevan, minacciando l’isolamento se l’Armenia non rispetterà le regole autoimposte dell’Azerbajgian riguardo al passaggio verso Nakhichevan. Questo ricatto viene utilizzato da Baku per costringere l’Armenia a concedere un corridoio.
Amirbekov manipola, affermando che “il termine corridoio è puramente un concetto economico e di trasporto” e se non è adatto per l’Armenia, si può scegliere un altro nome, come strada o incrocio. Il tentativo è quello di intimidire l’Armenia affinché accetti la richiesta di Baku per un corridoio; altrimenti stabiliranno un collegamento con Nakhichevan attraverso l’Iran, lasciando isolata l’Armenia.
Questo è un ricatto e un bluff. Sebbene il termine “corridoio” comprenda aspetti economici e di trasporto, Azerbajgian e Russia lo usano con l’intento di stabilire un “corridoio extraterritoriale”. Amirbekov nasconde due richieste critiche da parte dell’Azerbajgian e della Russia all’Armenia, richieste che trasformerebbero la strada in un corridoio extraterritoriale fuori dal controllo dell’Armenia. Baku e Mosca continuano a chiedere che il Servizio di Sicurezza Federale russo (FSB) controlli la strada dall’Azerbajgian al Nakhichevan. Il portavoce del Ministero degli Esteri russo recentemente ha richiamato la dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, chiedendo che l’Armenia conceda alla Russia il controllo sulla strada. La Russia cerca un corridoio per stabilire un collegamento via terra con la Turchia. Ciò darà a Mosca l’opportunità di importare beni soggetti alle sanzioni occidentali in Russia con il sostegno di Turchia e Azerbajgian. L’opposizione di Mosca al controllo armeno del “Corridoio di Zangezur” mira a impedire all’Armenia di interferire con il funzionamento della rete di elusione delle sanzioni russo-turco-azero.
L’Azerbajgian non ha confermato pubblicamente il suo accordo al controllo armeno della strada. Al contrario, l’Azerbajgian ha avanzato una richiesta discriminatoria nei negoziati precedenti, insistendo sul fatto che gli Azerbajgiani in viaggio verso Nakhichevan non dovessero incontrare guardie di frontiera, funzionari doganali e personale di sicurezza armeni. Il sentimento anti-armeno è così diffuso in Azerbajgian, che non sono in grado di controllare l’odio verso gli Armeni e chiedono che nessun Armeno sia presente sulla strada per Nakhichevan.
L’affermazione di Amirbekov secondo cui la discussione sulla minaccia di un attacco militare da parte dell’Azerbajgian è legata esclusivamente alla questione del “Corridoio di Zangezur” è vera solo a metà. In effetti, il Presidente e il Ministero degli Esteri dell’Azerbajgian usano abitualmente la frase “8 villaggi azeri sotto occupazione armena”. L’Azerbajgian ha la tattica di inventare pretesti per giustificare l’uso della forza prima di lanciare attacchi militari. Prima l’Azerbajgian cerca di convincere la comunità internazionale che l’esercito è necessaria la soluzione e poi fa quel passo. Attualmente, l’Azerbajgian non sta solo promuovendo la narrativa degli “8 villaggi occupati”, ma anche “Azerbajgian occidentale”, un termine usato per attaccare il territorio della moderna Armenia.
Se gli USA e l’Unione Europea non riusciranno a portare l’Azerbajgian al tavolo dei negoziati e a garantire un accordo oggi, Aliyev e la sua macchina di propaganda, entro uno o due anni, lanceranno una campagna aggressiva sostenendo la narrativa della “liberazione degli 8 villaggi occupati” e la narrativa dell’”Azerbajgian occidentale”, che culminerà in un attacco militare. Naturalmente l’Azerbajgian nega queste accuse.
Aliyev spera che le prossime elezioni negli Stati Uniti e nell’Unione Europea portino a un calo del coinvolgimento occidentale nella regione. Questo è il caso che ha portato alla guerra del 2020. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea possono rivolgere le seguenti domande all’Azerbajgian, per determinare se Aliyev si sta preparando per un’altra guerra contro l’Armenia.
Quando i funzionari azeri – il Presidente, il Ministro degli Esteri, gli Ambasciatori – parlano del loro impegno per evitare la guerra, stanno semplicemente perdendo tempo. Penso che l’Azerbajgian non sia disposto ad assumere obblighi contrattuali che potrebbero ostacolare la sua capacità di lanciare un futuro attacco militare contro l’Armenia. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea dovrebbero porre queste domande ai funzionari Azeri “amanti della pace” e chiedere risposte scritte.
Se l’Azerbajgian è sinceramente propenso alla pace, perché non riprende i negoziati né nel formato di Bruxelles né in quello di Washington?
L’Azerbajgian riconosce l’integrità territoriale dell’Armenia, che comprende un’area di 29.800 chilometri quadrati?
In caso negativo, su quale superficie l’Azerbajgian riconosce l’integrità territoriale dell’Armenia e su quale base giuridica?
È con la dichiarazione di Alma-Ata o con un altro documento?
Yerevan appare sulla mappa dell’Armenia dell’Azerbajgian?
L’Azerbajgian rivendica il territorio armeno con il concetto di “Azerbajgian occidentale”?
In caso contrario, perché l’apparato statale incoraggia l’uso del termine “Azerbajgian occidentale”?
Per attacco all’attuale territorio dell’Armenia?
La richiesta per il ritorno degli Azeri nell’”Azerbajgian occidentale” è essenzialmente una rivendicazione territoriale, poiché gli Azeri che se ne andarono negli anni ’90 ricevettero un risarcimento dall’Armenia, di cui esistono prove.
Inoltre non credo che ci sarà il divieto di visitare o viaggiare in Armenia se verrà firmato un trattato di pace. Sarebbero liberi di visitare i luoghi in cui un tempo risiedevano.
La prossima domanda che l’Occidente dovrebbe porre all’Azerbaijan “pacifico” è: quando Ilham Aliyev ha discusso con Michel della “necessità di liberare 8 villaggi azeri sotto l’occupazione armena”, intendeva raggiungere questo obiettivo con la forza militare? In caso contrario, perché Aliyev ha usato la frase “liberazione degli 8 villaggi occupati” invece del termine demarcazione?
Se la dichiarazione di Aliyev sugli “8 villaggi azeri sotto occupazione armena” non è stata fatta con l’intenzione di lanciare un attacco militare, perché l’Azerbajgian non è disposto ad affrontare la questione delle enclavi durante il processo di demarcazione dei confini, quando il problema sarà risolto da professionisti, non dalle forze armate?
Se l’Azerbaijan cerca una soluzione alla questione degli 8 villaggi prima della demarcazione, perché si oppone allo scambio di enclavi? Questo approccio preserverebbe l’attuale linea di contatto e impedirebbe sia all’Armenia che all’Azerbajgian di perdere territorio, poiché le rispettive enclavi hanno aree più o meno uguali.
Se l’Azerbajgian rifiuta questa soluzione e continua a chiedere il trasferimento degli “8 villaggi azeri”, è disposto a restituire l’enclave Artsvashen/Bashkyand, la terra arabile occupata dai quattro villaggi di Tavush, e i 150-200 chilometri quadrati occupati dai Azerbajgian nel 2021-2022 nelle regioni di Syunik e Gegharkunik dell’Armenia?
Se l’Azerbajgian rifiuta di restituire i territori armeni occupati pur mantenendo la sua richiesta per gli “8 villaggi azeri”, ciò non implica che l’Azerbajgian sta avanzando una rivendicazione territoriale unilaterale contro l’Armenia?
Un’altra questione cruciale è se l’Azerbajgian sostiene inequivocabilmente la Dichiarazione di Alma-Ata del 1991 come quadro politico per la delimitazione dei confini. L’Azerbajgian è d’accordo nel delimitare il confine armeno-Azerbajgiano utilizzando la mappa del 1975 o le ultime mappe dell’URSS?
In caso negativo, su quali basi l’Azerbajgian sostiene che ci sono “8 villaggi azeri sotto occupazione armena”? Se l’Azerbajgian rifiuta tutte le mappe, ciò non mette forse in dubbio l’integrità territoriale del moderno Azerbajgian e il suo stesso diritto ad esistere?
Su quale mappa l’Azerbajgian basa il suo riconoscimento come Stato? Quale mappa viene visualizzata nelle istituzioni governative? Se l’Azerbajgian non ha bisogno di un corridoio attraverso l’Armenia, perché non ha risposto alla proposta formale di Yerevan di collegare Nakhichevan con i territori armeni sulla base dei principi di sovranità, reciprocità, giurisdizione e uguaglianza dell’Armenia?
Se l’Azerbajgian rifiuta questi quattro principi, ciò non rivela forse che la richiesta del “Corridoio di Zangezur” è in realtà una richiesta territoriale verso l’Armenia? Su cosa l’Azerbajgian base la richiesta di un corridoio dall’Armenia quando non riconosce i diritti di Yerevan sulle strade armene?
Se la dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020 funge da base per questa richiesta, perché il Corridoio di Lachin è controllato dall’Azerbajgian invece che dalla Russia? L’Azerbaijan continua ad insistere sul controllo russo della strada per Nakhichevan?
Perché è necessario il coinvolgimento russo quando il Servizio di Sicurezza Nazionale armeno è pronto a garantire la sicurezza? Chiedendo il controllo russo sulla strada, l’Azerbajgian sta servendo gli interessi della Russia?
Questa richiesta è stata coordinata con Mosca? L’Azerbajgian accetterebbe che gli osservatori dell’Unione Europea sostituissero i Russi sulla strada Azerbajgian-Nakhichevan? L’Azerbajgian è disposto a fornire all’Armenia una rotta attraverso la regione del Nakhichevan e del Kazakhstan verso l’Iran e la Russia sia per il trasporto di passeggeri che di merci?
Brussel e Washington dovrebbero chiedere a Baku se riafferma gli accordi raggiunti durante gli incontri trilaterali Armenia-Azerbajgian-Unione Europea del 14 maggio e 15 luglio 2023.
Se l’Azerbajgian non riesce a riaffermare questi accordi, ciò non implica che Baku abbia ingannato l’Occidente e stia minando il formato negoziale occidentale?
Perché l’Azerbajgian insiste nel condurre i negoziati attraverso la Russia o la Georgia piuttosto che attraverso gli Stati Uniti o l’Unione Europea? Il tandem Russia-Turchia-Azerbajgian sta orchestrando tutto questo?» (Robert Ananyan – Nostra traduzione italiana dall’inglese).
Ogni singola persona uccisa dall’Azerbajgian durante l’attacco del 19 e 20 settembre 2023 era residente nell’Artsakh e difendeva le proprie case/famiglie. Nell’ultimo anno, l’Azerbajgian ha diffuso incessantemente la falsa affermazione secondo cui c’erano 10.000 soldati dell’Armenia lì, anche se l’Armenia aveva ritirato tutte le sue forze armate entro l’agosto del 2022.
Gevriye Ego, 92 anni, una delle principali voci contro l’accaparramento di terre assire in Turchia, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco nella sua casa nel villaggio di Anhil a Tur Abdin.
Turk Federasyon – Il programma della Presidenza della Regione Baden Württemberg-Ovest intitolato “Atatürk e la Repubblica di Turchia” è stato ospitato dalla nostra organizzazione di Freudenstadt. Vorremmo ringraziare i nostri colleghi della causa che hanno contribuito al nostro Presidente regionale, il Signor Mehmet Topçuoğlu. Possa la nostra unione durare per sempre.VITA DI ATATÜRK E DICHIARAZIONE DELLA REPUBBLICA – COORDINATORE FILIALI REGIONALI FEMMINILI/VICE PRESIDENTE REGIONALE – L’Impero Ottomano continuò il suo dominio in modo coerente fino al 1550. A causa di alcuni disagi, negli ultimi tempi ha subito pesanti sconfitte – Inoltre, le difficoltà economiche causate dall’ondata migratoria hanno completamente esaurito le sue possibilità.
La diapositiva mostrata all’evento della Turk Federasyon (Lupi Grigi Turchi dell’Unione Europea) in Germania afferma che l’Impero Ottomano si espanse costantemente a partire dal 1550 e fu sconfitto solo a causa di “fattori esterni”. Una delle funzioni principali della Turk Federasyon è quella di indottrinare i giovani, anche se questi ragazzi non sembrano impressionati.
Foto di copertina: Ilham Aliyev tiene il discorso in occasione della parata militare dell’Azerbajgian a Stepanakert l’8 novembre 2023. Il commento di Leone Grotte su Tempi.it: «Aliyev glorifica la pulizia etnica degli Armeni in Artsakh. Con un discorso infarcito di retorica nazionalista il dittatore dell’Azerbajgian ha infierito sul “nemico” armeno durante una parata militare organizzata a Stepanakert, la capitale dell’Artsakh svuotata con la forza dei suoi abitanti. È con l’arroganza di chi detiene un potere autocratico da 20 anni ed è abituato a far languire in carcere tutti coloro che lo contraddicono, è con l’aria tronfia e il ghigno di chi non si angustia di aver calpestato i diritti umani di 120 mila Armeni, è con gli occhi luccicanti davanti alla parata militare di chi è convinto che il potere politico nasce dalla canna del fucile, è con la sicumera di chi sa di avere al proprio fianco alleati altrettanto spregiudicati e di tenere sotto scacco con il suo gas un’Europa debole e confusa; è rivestito di tali e tanti atteggiamenti che Ilham Aliyev è salito l’8 novembre su un palco nella piazza centrale di Stepanakert, nell’Artsakh appena riconquistato militarmente, per presiedere una parata militare a memoria della vittoria nella guerra del 2020 contro l’Armenia, per dare in pasto a tv e fotografi la dose quotidiana di retorica nazionalista e anti-armena. Sbeffeggiando il “nemico” armeno, costretto a “inginocchiarsi davanti a noi”, dopo aver calpestato la bandiera dell’Artsakh, ha chiamato «eroi» i soldati entrati nei villaggi armeni del Nagorno-Karabakh a terrorizzare una popolazione inerme. Ha esaltato “l’operazione anti-terrorismo”, così simile alla “operazione militare speciale” di Putin in Ucraina, con cui in pochi giorni ha compiuto lo scempio della pulizia etnica in Artsakh, cacciando i civili dalle loro case e dalla loro terra. E ancora ha vaneggiato di “potenza militare” e “gloria” davanti a una Stepanakert deserta, senza più quei cittadini che per quasi un anno ha tentato di far morire di fame bloccando l’accesso ai territori armeni di cibo e medicine. Ha straparlato di “giustizia” e dato fiato alla tromba della vanagloria e della retorica nazionalista, continuando a minacciare: “La costruzione dell’esercito sarà per noi una delle questioni prioritarie”».
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-11-13 21:07:222023-11-13 21:07:22Aliyev con il “pugno di ferro” vuole dimostrare che non ha l’intenzione di lanciare nuovi attacchi militari e guerre contro l’Armenia? (Korazym 13.11.23)
Il presidente della CEI inaugura ad Assisi la 78.ma assemblea straordinaria dei vescovi italiani parlando di pace “che non può essere garantita con le armi”. Un pensiero all’Ucraina, per la quale si è speso personalmente con la missione affidatagli dal Papa, e al Nagorno Karabach, dove l’antica presenza cristiana rischia di scomparire. Dal porporato l’appello alla liberazione degli ostaggi di Hamas, allo stop delle violenze sui civili a Gaza e la denuncia dell’antisemitismo
Michele Raviart – Città del Vaticano
“La pace richiede il concorso di tutti. Ho visto come esistano fili tenui per la pace e l’esercizio dell’umanità: tenui ma reali, messi in discussione dall’assenza di dialogo che può, invece, rafforzarli. Occorre tanta insistenza e la convinzione che è la pace il destino, non la guerra o l’ingiustizia”. Ad affermarlo è il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale italiana nell’introduzione alla 78.ma Assemblea generale straordinaria dei vescovi italiani, iniziata oggi 13 novembre ad Assisi e che durerà fino a giovedì 16.
La pace è “il problema dei problemi”
Il primo pensiero del porporato, dopo aver salutato i nuovi vescovi italiani, ricordato quelli divenuti emeriti e quelli scomparsi nello scorso anno, è andato infatti alle “guerre che dominano gli scenari del mondo, con il loro tragico seguito di morti, violenze, distruzioni, barbarie e profughi”. Il rischio è che queste possano diventare quella “Terza guerra mondiale a pezzi” di cui ha sempre parlato Papa Francesco. Non si tratta di pessimismo, ha sottolineato Zuppi, “ma realismo e responsabilità”. La pace “è il problema dei problemi, perché la guerra genera ogni male e versa ovunque i suoi veleni di odio e violenza, che raggiungono tutti, pandemia di morte che minaccia il mondo”. La pace però non può esistere senza sicurezza e “questa non può essere garantita solo dalle armi”. Compito della politica deve essere perciò quello di “pensare a strumenti condivisi e sovranazionali di composizione dei conflitti”.
In Ucraina unire le parole all’azione umanitaria
Alle parole va unita l’azione, come ha fatto Papa Francesco nel caso della “martoriata” Ucraina, “quando si è detto disponibile ad agire per la pace e per scopi umanitari” e quando ha inviato lo stesso cardinale Zuppi sia a Kyiv sia a Mosca. “Ho avuto modo di parlare con i governanti, di visitare luoghi tragici come Bucha, di pregare per la pace in santuari significativi per i credenti ucraini e russi”, ha ricordato il presidente della CEI, sottolineando l’invido del Papa “a discutere del futuro del conflitto, nato dall’invasione russa, anche a Washington e Pechino”. Il pensiero di Zuppi è andato anche a quelle realtà della Chiesa, che “hanno avviato aiuti umanitari, tanto apprezzati dagli ucraini, in un periodo in cui in Europa rischia di calare la tensione nell’accoglienza dei profughi ucraini e nella solidarietà”.
In Nagorno finisce un piccolo mondo cristiano
Nel settembre 2023 poi, ha ricordato l’arcivescovo di Bologna, “l’enclave armena del Nagorno-Karabakh è stata occupata dalle truppe dell’Azerbaigian” e “gli armeni hanno abbandonato la terra in un esodo tragico, in cui si rivive la memoria dei dolori del secolo passato”. “Un piccolo mondo cristiano, tanto antico, finisce”, ha sottolineato: “Noi non siamo indifferenti e sentiamo la ferita di tanta sofferenza e della mancata soluzione negoziata”.
In Terra Santa l’odio non giustifica la violenza contro gli innocenti
Il brutale attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre scorso che “ha dolorosamente e vilmente colpito Israele con tanti morti innocenti”, ha sottolineato Zuppi ricordando anche gli ostaggi in mano ai terroristi, “sulla cui sorte trepidiamo e chiediamo siano restituiti alle loro famiglie”. L’attacco, che “ha sconvolto il popolo israeliano”, ha poi portato alla reazione militare contro Hamas sulla striscia di Gaza, che “ha causato al popolo palestinese, in gran parte profughi, migliaia di vittime innocenti, molti dei quali bambini”.“Le lacrime sono tutte uguali. Ogni uomo ucciso significa perdere il mondo intero”, ha sottolineato, ribadendo che “l’odio non deve mai giustificare la violenza contro gli innocenti”.
Ogni attacco antisemita è un attacco anche alla Chiesa
Questo vale anche per il risorgente antisemitismo. “Sappiano i nostri fratelli ebrei italiani che la Chiesa non solo è loro vicina, ma che considera ogni attacco a loro, anche verbale, come un colpo a sé stessa e un’espressione blasfema di odio”, ha affermato, ricordando che “la fine dell’antisemitismo è un impegno educativo, religioso e civile della Chiesa italiana, che non sottovaluta i rigurgiti di odio e razzismo, per chiunque”.
Salvaguardare la ricchezza di umanità del Mediterraneo
La situazione in Medio oriente ha riportato poi in primo piano il ruolo cruciale del Mediterraneo, ha detto Zuppi, che “rischia di diventare un crocevia di interessi e di tensioni geopolitiche”. “Come Chiesa”, quindi, “avvertiamo tutta la necessità di tenere viva la speranza, di non lasciare che sia travolta la ricchezza di umanità che da sempre caratterizza i popoli che si sono affacciati nel Mare nostrum”. La prospettiva è quella della nascita di una “teologia mediterranea”, di una rete delle Chiese mediterranee, sulla base di quanto discusso nell’incontro di Marsiglia lo scorso settembre.
Cop28 di Dubai possibile punto di svolta
Un pensiero speciale anche ai tanti missionari in Sudan, dove a causa della guerra sono stati costretti a fuggire sei milioni di persone e all’imminente 75 anniversario della Dichiarazione dei diritti umani, “terreno comune dell’umanità”. La prossima Cop28 sul clima di Dubai, cui parteciperà anche Papa Francesco agli inizi di dicembre, poi “può rappresentare un punto di svolta fondamentale”, perché “in gioco è il futuro dei nostri figli e dei nostri territori”. Questo vale anche per l’Italia, dove nel 2023 “si sono registrati siccità e fenomeni alluvionali così gravi da non poter essere più rubricati come eventi eccezionali. Romagna, Brianza e nord della Toscana hanno conosciuto disastri alluvionali senza precedenti”. “È tempo di avanzare proposte concrete”, ha intimato Zuppi, anche per i cristiani che hanno la responsabilità della creazione e della custodia del Creato, “perché vi siano comportamenti adeguati a questi cambiamenti climatici e non si espongano i poveri e le future generazioni a enormi tragedie”.
Allarmente aumento della povertà in Italia
A preoccupare l’arcivescovo di Bologna sono gli ultimi dati istati sulla povertà in Italia, secondo cui i poveri sono 5 milioni 700 mila persone, tra cui il 21% di tutte le famiglie con tre o più figli minori. A tal proposito è ricordato anche qui “l’impegno quotidiano di tantissimi operatori e volontari che rappresentano le mani, il cuore, la mente di un servizio che non è ad utenti, ma ai nostri fratelli più piccoli”. “Davanti a molte vite negate”, poi, “si rinnova l’impegno in difesa della vita”. A questo proposito il cardinale Zuppi esprime la sua vicinanza “alla famiglia della piccola Indi, facendoci prossimi al dolore dei genitori”.
Più attenzione alla casa e alla concessione della cittadinanza
Questione particolarmente urgente è quella riguardante la casa. “Il costo di mutui e affitti rischiano di strozzare molte famiglie che hanno lavori precari e sottopagati”, sottolinea, chiedendo una politica della casa che interpelli tutti. “Nelle città turistiche si preferisce guadagnare trasformando gli appartamenti in B&B piuttosto che affittare a prezzi calmierati alle famiglie o a studenti fuori sede”, ha aggiunto e “òa somma di egoismi fa perdere di vista il rapporto tra la proprietà e il bene comune, tra i beni privati e la destinazione universale dei beni”. In questo senso, pensando anche alla crisi della natalità, Zuppi ha chiesto più attenzione alle persone non di origine italiana che vivono nel Paese. “Nessun governo finora ha posto mano seriamente a dare la cittadinanza a chi cresce in Italia, per offrire l’orgoglio di sentirsi pienamente parte di una comunità della quale vivere diritti e doveri”.
I diritti umani dei richiedenti asilo siano rispettati
Sul progetto di creare dei centri in Albania per i richiedenti asilo, “non abbiamo ancora tutti gli elementi per comprendere come sarà realizzato”, ma “auspichiamo che i diritti umani dei richiedenti asilo siano rispettati”, riaffermando che “sui migranti serve un’azione dell’Europa corale, comune e condivisa dove l’esternalizzazione non può essere la soluzione”. L’Unione europea, infatti, “non è un accessorio, ma un modo di pensare l’Italia, pienamente sé stessa ed europea”. La stessa Europa a cui “grandi cristiani hanno lavorato dalla fine della guerra”.
Per riformare la Costituzione serve un “clima costituente”
La Chiesa in Italia, inoltre, “è al servizio della gente”. Innanzitutto “nella prospettiva della sua missione: predicare il Regno di Dio e prendersi cure delle sofferenze e delle malattie”, ma anche rafforzando i legami sociali che si allentano, cercando di riaffezionare gli italiani alla Repubblica, “casa comune” e recuperando la partecipazione dei cittadini. In questo senso, riguardo il progetto di riforma costituzionale presentato dal governo, bisognerebbe trovare un vero “clima costituente”. “Siamo ancora lontani da questo”, ha affermato ancora il porporato, perché Costituzione significa anche “statuire insieme, perché non si vive di solo presente e per costruire il futuro anche il passato, la nostra storia democratica, può offrire una lezione di sapienza”.
La Chiesa italiana e il Sinodo
L’apertura dell’Assemblea della Cei è poi l’occasione per fare il punto sul cammino sinodale della Chiesa italiana, che “si inserisce e tiene conto del più ampio Sinodo universale”. Dopo aver avviato una fase “sapienzale”, bisogna ora individuare le priorità tra le tematiche emerse nella fase “narrativa”, individuando con la fase “profetica”, ha affermato il cardinale Zuppi, “i criteri di discernimento, a partire dalla Parola di Dio e dalle caratteristiche proprie delle nostre realtà ecclesiali”. L’Assemblea Generale del Sinodo, infatti, si è svolta “in un clima di grande apertura e di arricchimento reciproco attraverso il dialogo e anche lo sforzo necessario per una comprensione reale dei problemi”. Ribadita in questo anche l’importanza dell’apporto di tutto il popolo di Dio, dei laici, delle parrocchie, dei movimenti e di ogni tipo di associazione”.
La priorità alla Tutela dei minori
Una delle preoccupazioni principali per la Chiesa rimane la tutela dei minori. “Sentiamo sempre come prioritaria l’accoglienza delle vittime”, ha detto ancora l’arcivescovo di Bologna citando le linee guida della Cei. È stata quindi potenziata la rete dei referenti diocesani, implementata la costituzione dei Centri di ascolto che coprono ora tutto il territorio nazionale e sarà poi consegnata nei prossimi giorni la “seconda Rilevazione sulle attività di tutela dei minori degli adulti vulnerabili nelle diocesi italiane, che “conferma l’impegno continuo delle nostre Chiese nel consolidare ambienti più sicuri per i minori attraverso la formazione degli operatori pastorali”.
“Il prete è l’uomo del futuro!”
Riguardo i preti, la cui formazione nei seminari è il tema specifico di questa assemblea straordinaria, Zuppi li ha ringraziati “per la generosa dedizione all’edificazione del popolo di Dio” durante il cammino sinodale. Anche se c’è stata qualche difficoltà “moltissimi si stanno invece impegnando e stanno offrendo un contributo essenziale per questo percorso”. Nel complesso, infatti, i preti italiani, “hanno mostrato una dedizione di fronte ai cambiamenti e alle nuove sfide: hanno saputo uscire dalle istituzioni, come ci ha chiesto Papa Francesco”, ha detto il presidente della Cei, “ma anche prendersene cura con i mutamenti necessari”. Anche se il numero dei preti è in diminuzione, ha affermato, il prete non è una figura del passato, ma lui e il suo ministero “sono decisivi nella Chiesa di oggi e nella Chiesa del futuro” il popolo cristiano lo sa e li cerca. “Il prete è l’uomo del futuro, ispirato dal Vangelo e dal modello di Gesù: vive per gli altri, per la sua comunità, per i poveri, ma anche per coloro che sono lontani ed estranei al suo ambiente” e la sinodalità non toglie nulla al suo ministero, anzi “lo richiede di più: qualcosa cambia, ma anche domanda di lavorare più con gli altri, meno soli e gravati di tanti compiti”, che si esprimono sommamente nella liturgia eucaristica, ma che si riverberano “in tutta la vita comunitaria con il suo valore, spirituale, sapienziale e pastorale”.
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