Al Museo civico di Bari l’incontro “Gli armeni e San Nicola” (Bariviva 17.06.23)

Oggi, sabato 17 giugno, alle ore 10, negli spazi del Museo Civico di Bari, il presidente della commissione comunale Cultura Giuseppe Cascella introdurrà la giornata culturale sul tema “Gli Armeni e San Nicola”.

L’incontro è organizzato dal Comune di Bari in collaborazione con il Museo Civico e l’associazione Armeni Apulia.

A seguire è previsto l’intervento di Aldo Luisi, già docente ordinario di lingua e letteratura latina dell’Università di Bari, che illustrerà alcuni aspetti della storia di San Nicola e della Bari bizantina, e le testimonianze di Rupen Timurian, Dario R. Timurian, Kegham J. Boloyan, Carlo Coppola, Piero Fabris, Siranush Quaranta, Angela M. Rutigliano, tutti esponenti della comunità armena di Bari.

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Gerusalemme: sputi, conferenze negate, terreni svenduti. Ombre sul futuro dei cristiani (Asianews 16.06.23)

Dietro “pressioni” della municipalità, gli organizzatori hanno dovuto spostare un convegno previsto in origine al museo della Torre di Davide. L’iniziativa era incentrata su abusi e attacchi di parte del mondo ebraico ai cristiani. La Chiesa armena nella bufera sull’utilizzo di un terreno concesso a un imprenditore ebreo-australiano. I fedeli accusano: “svendute” terre ottenute “col sangue”.

Gerusalemme (AsiaNews) – Una conferenza incentrata sugli attacchi contro i cristiani in Terra Santa, in programma ieri presso il museo della Torre di Davide, si è svolta in un luogo diverso da quello previsto in origine in seguito a “pressioni” provenienti dai vertici della municipalità. Fonti locali puntano il dito contro alcuni stretti collaboratori del sindaco Moshe Leon, che avrebbero minacciato di “cacciare” il direttore della struttura Eilat Lieber in caso di mancato annullamento dell’incontro. Accuse negate dai funzionari, per i quali “niente di tutto questo è mai successo” anche se i promotori hanno dovuto riprogrammare l’evento altrove.

La conferenza, intitolata “Why Do (Some) Jews Spit on Gentiles”, era stata promossa e organizzata dal Center for the Study of Relations Between Jews, Christians and Muslims presso la Open University of Israel. Al centro della discussione vi era proprio l’escalation di attacchi contro i cristiani nella città santa dei mesi scorsi, che avevano sollevato più di una preoccupazione – e condanna – dei vertici della Chiesa locale. Nel mirino sacerdoti, suore, fedeli, luoghi di culto e pellegrini oggetto di sputi, bestemmie, violenze fisiche e morali, atti di vandalismo da parte di ebrei ultra-ortodossi e nazionalisti.

Pur avendo ricevuto l’invito, sia i funzionari della municipalità che esponenti del ministro israeliano degli Esteri non hanno voluto partecipare a un incontro attaccato frontalmente in una lettera anche dal rabbino capo di Gerusalemme Rabbi Shlomo Amar. Il leader religioso parla di evento promosso da quanti “cercano di confondere e convertire gli ebrei innocenti” e accusa il museo di essere operativo durante lo Shabbat, per questo va boicottato. Fra i primi a rilanciare l’attacco il vice-sindaco Arieh King, che parla apertamente di conferenza dai toni “anti-semiti”. Va qui peraltro precisato che il rabbino Amar è stato il più autorevole leader ebraico a condannare in modo esplicito le violenze anti-cristiane dei mesi scorsi. Immediata la replica dell’organizzazione per bocca di Yaska Harani, secondo cui l’incontro intendeva “costruire un cambiamento, non offendere o attaccare la società ultra-ortodossa. L’obiettivo è davvero quello di liberare la città dagli sputi”.

La controversia sorta attorno alla conferenza è solo l’ultimo capitolo di una lunga serie di episodi che hanno sollevato preoccupazione per la presenza attuale e il futuro dei cristiani in Terra Santa, che spesso devono affrontare nemici esterni e insidie interne alla comunità stessa. Prova ne è quanto successo fra gli armeni, al centro di una controversia per una vendita di beni e terreni nella città vecchia a Gerusalemme che rischia di creare una enorme frattura. All’origine dello scontro “l’affitto per 99 anni” (un esproprio di fatto) di proprietà immobiliari a un imprenditore ebreo australiano dall’impero economico opaco, che ama muovere da – e restare – dietro le quinte.

Uno scontro sanguinoso che ha portato il prete protagonista della vendita a fuggire negli Stati Uniti e lo stesso primate armeno a barricarsi dentro il patriarcato, mentre più di un fedele ne chiede le dimissioni e Giordania e Palestina che ne hanno “congelato” di fatto l’autorità. La vicenda è esplosa a maggio, ma il contratto è stato firmato in gran segreto nel luglio 2021 e prevede l’affitto per quasi un secolo del terreno denominato “Giardino delle Vacche” (Goveroun Bardez). Il prete “traditore” che ha mediato e sottoscritto l’atto è Baret Yeretzian, amministratore dei beni immobili del Patriarcato armeno di Gerusalemme, oggi in “esilio” nel sud della California. Con lui hanno manovrato il patriarca armeno ortodosso Nourhan Manougian, l’arcivescovo Sevan Gharibian e l’uomo d’affari Daniel Rubenstein, che nell’area intende costruire un hotel di lusso.

Situato nei pressi del quartiere armeno, in una zona strategica della città santa, il Giardino delle Vacche è gestito dal maggio 2021 dal comune come parcheggio per quanti si recano a pregare al muro del pianto. Il contratto risale al 2020 e vale per un periodo di 10 anni, ma il suo uso da parte degli ebrei ha provocato l’ira degli armeni che dal 2012 si battono per tornare a disporre a pieno titolo dell’area in cui, scavi archeologici, hanno portato alla luce mosaici di una chiesa bizantina. Inoltre l’accordo – criticato dai palestinesi che parlano di “svendita” di terre della città santa agli israeliani – non sarebbe valido, perché manca l’approvazione mediante voto del Sinodo armeno (8 ecclesiastici) e del via libera della Fraternità di San Giacomo del Patriarcato armeno. Nel contratto sarebbero poi incluse quattro case armene, il celebre ristorante Boulghourji, attività commerciali ed edifici Tourianashen in via Jaffa, fuori dalla città vecchia.

Una vicenda intricata, e spinosa, che rischia di alimentare la tensione in Terra Santa e sulla quale, almeno per il momento, i protagonisti scelgono la via del silenzio. Nessun commento giunge infatti dall’imprenditore ebreo-australiano, oggi di stanza a Londra dove ha sede la sua attività. “Non rilascio interviste – ha dichiarato Rubenstein all’Associated Press (Ap) -. Sono un privato cittadino”. Analoga posizione del ministero israeliano degli Esteri, del patriarca rinchiuso a palazzo e bocche cucite anche fra i vertici di One&Only, la compagnia di hotel con base a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti (Eau), che secondo il progetto dovrebbe gestire l’hotel di lusso ultimata la costruzione. E qui entrano in gioco gli “Accordi di Abramo” e gli interessi comuni – e sempre più stretti – fra lo Stato ebraico e una parte dei Paesi arabi del Golfo.

Di certo, al momento, vi è solo l’amarezza e la preoccupazione della comunità armena il cui quartiere occupa il 14% circa della città santa. “I nostri terreni – afferma il 26enne Setrag Balian, armeno di Gerusalemme – sono stati acquistati centimetro per centimetro, al prezzo del nostro sangue e del nostro sudore. Con una firma, li hanno svenduti”.

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L’Azerbaigian ha completamente bloccato il corridoio Lachin (Avia pro 16.06.23)

L’Azerbaigian ha completamente bloccato il movimento di qualsiasi carico attraverso il corridoio di Lachin. Questa azione, secondo il capo del governo armeno, aggrava la già tesa situazione umanitaria nel Nagorno-Karabakh, poiché l’Azerbaigian ha bloccato le forniture di gas naturale ed elettricità alla repubblica non riconosciuta negli ultimi sei mesi.

Pashinyan ha sottolineato che, nonostante il mese scorso la parte azera “per motivi di propaganda” abbia consentito il passaggio parziale di persone e merci attraverso il corridoio, dal 15 giugno tutto questo è stato bloccato. Anche le consegne di generi alimentari di base sono state interrotte e alle persone bisognose di cure mediche di emergenza è stato vietato di viaggiare.

“Le azioni dell’Azerbaigian confermano i nostri timori riguardo alla politica di pulizia etnica in Nagorno-Karabakh”, – ha detto Pashinyan, elencando azioni come il blocco delle forniture di cibo, gas ed elettricità, esponendo le persone coinvolte nell’agricoltura a bombardamenti diretti e vietando il passaggio di persone bisognose di cure mediche di emergenza.

Tuttavia, Pashinyan ha sottolineato l’importanza del dialogo tra Stepanakert e Baku nel quadro di un meccanismo internazionale volto a garantire i diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh e ha espresso l’auspicio di compiere passi concreti in questa direzione.

A questo proposito, il ministero degli Esteri armeno all’inizio di questa settimana ha avvertito di una possibile nuova aggressione da parte dell’Azerbaigian nel Nagorno-Karabakh. Si noti che l’Azerbaigian diffonde costantemente false notizie sulle violazioni della tregua da parte dell’Esercito di difesa della repubblica non riconosciuta, mentre solo la parte azera è registrata come trasgressore nelle newsletter del contingente russo di mantenimento della pace nel Nagorno-Karabakh.

È stato anche riferito che giovedì scorso l’esercito azero ha bombardato posizioni armene vicino al villaggio di Teh e ha utilizzato un drone vicino a Kapan, il centro amministrativo della regione di Syunik, a seguito del quale un soldato armeno è rimasto gravemente ferito.

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Azerbaijan vs Armenia: soldati azeri sconfinano, guardie armene gli sparano. Con gli uomini di Baku anche militari russi ( Ilgiornaleditalia 15.06.23)

Nella mattinata di oggi, giovedì 15 giugno, un plotone di guardie di confine armene ha aperto il fuoco contro alcuni soldati dell’Azerbaijan che, dopo aver sconfinato, cercavano di piantare una bandiera azera nel territorio di Erevan. A comunicarlo sono fonti russe, che precisano anche come, insieme ai soldati di Baku ci fossero anche due militari della Federazione. L’incidente, secondo molti osservatori una vera e propria provocazione, rischia di riaccendere il conflitto tra le due nazioni che solo tre anni fa, nel 2020, è costato la vita nella regione del Nagorno Karabakh a circa 7 mila soldati e diverse centinaia di civili.

La guerra tra le due piccole repubbliche caucasiche è di primario interesse per diverse potenze regionali dell’area a causa del complicato sistema di supporto che regge i due contendenti. L’Azerbaijan è infatti sostenuto principalmente da Turchia e Israele, mentre l’Armenia trova il principale appoggio in Iran e Russia. Proprio per questo fragile equilibrio di interessi, la presenza di militari russi tra i soldati azeri sconfinanti lascia perplessi gli analisti, al momento incerti sui motivi della provocazione di oggi. Provocazione nella quale, pare, non ci sarebbero stati caduti.

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L’Italia non tradisca l’Armenia (Tempi 15.06.23)

Nel 1989 ha volato in Armenia un aereo militare italiano, il G222, carico di aiuti umanitari inviati agli armeni dopo che il loro territorio era stato devastato da un terrificante terremoto che ha causato danni per un terzo dell’Armenia e innumerevoli vittime. Gli italiani della Protezione Civile son stati accolti come fratelli salvatori. Gli italiani hanno inviato un importante contributo in denaro e hanno costruito un villaggio intero, “il Villaggio Italia”, ancora oggi abitato. L’Italia è sempre stata amica degli armeni fino dall’antichità. Paese cristiano dalle origini, l’Armenia nel 301 ha adottato il cristianesimo come religione di Stato, elemento di fondo dell’identità nazionale armena. Gli armeni e gli italiani si sono sempre ritrovati dalla stessa parte della storia, anche durante il genocidio del 1915 ad opera del governo ottomano dei Giovani Turchi. Negli ultimi anni molti trattati di collaborazione sono stati stipulati fra l’Italia e l’Armenia. Per gli italiani che si recano in Armenia non è richiesto alcun visto e numerose aziende italiane operano in Armenia.

Oggi si viene a sapere che l’Italia, tramite la sua industria di Stato Leonardo Finmeccanica, vende aerei militari Spartan C27, l’evoluzione moderna del G222, perfetti per la tormentata geografia montuosa del Caucaso, all’Azerbaigian in conflitto con l’Armenia per la questione del Nagorno-Karabagh. Finché si trattava di accordi commerciali come quelli sui gasdotti, per esempio il TAP che fa giungere in Italia energia dall’Azerbaigian, gli armeni in Patria e in diaspora potevano comprendere: si trattava di essenziale approvvigionamento energetico. Ma fornire materiale militare ad una parte belligerante mentre sono in corso trattative di pace fra l’Armenia e l’Azerbaigian, oltre ad essere internazionalmente vietato (Art.51 della Carta delle Nazioni Unite), è politicamente scorretto, e significa di fatto sostenere una delle due parti in causa.

Cosa è successo nel frattempo? Perché e come è nato questo sovvertimento di orientamenti? Come è possibile che nel giro di pochi anni sia prevalso in Italia, da sempre vicina agli armeni, una decisione che non valuta le conseguenze di questo supporto militare? Consapevoli dell’importanza strategica della sicurezza energetica di ogni paese e del profitto legato alla vendita di armi, ci si interroga se una strada diversa non sia possibile.

Il Governo Italiano e parte dell’opinione pubblica sono a conoscenza e talvolta hanno denunciato l’armenofobia, le continue minacce e l’aggressione del Governo dell’Azerbaigian contro gli armeni nella Repubblica di Armenia, nel Nagorno Karabagh e talvolta anche in diaspora. Sarebbe il momento che voci autorevoli in Italia e in Europa si levassero per favorire accordi di pace e a sostegno di un popolo che sta andando incontro ad un nuovo genocidio. I segni premonitori del male estremo sono tutti presenti e la sua prevenzione passa attraverso scelte politiche coraggiose capaci di conciliare il realismo politico e le necessità economiche, con il rispetto della vita umana, del valore del dialogo e della diplomazia per la riconciliazione tra i popoli.

Viviamo tempi in cui la verità è spesso la grande assente nel fluire della storia, tempi del “distogliere lo sguardo” dalle realtà complesse. Il compito delle democrazie liberali come l’Italia, insieme con l’Europa, è quello di non far prevalere a tutti i costi, nei rapporti con gli stati autoritari, con le “democrature”, i soli interessi strategico-economici. L’unione di intenti delle democrazie liberali dovrebbe tentare di imporre e ottenere, pur all’interno di necessari partenariati economici ed energetici, un cambiamento di prospettiva e una pacificazione, a salvaguardia dell’umano che è nell’uomo.

Pietro Kuciukian
Console onorario dell’Armenia a Venezia

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Armenia/Azerbaigian: una pace difficile (Eastwest 15.06.23)

Dopo l’incontro del 14 Maggio a Bruxelles tra i leader di Armenia e Azerbaigian mediato dall’UE, si sono tenuti a Mosca il 25 Maggio e a Chisinau l’1 Giugno altri incontri tra i leader dei due paesi del Caucaso per cercare una soluzione di pace.

Le trattative per il processo di normalizzazione tra i due paesi continuano quindi in maniera lineare, tuttavia, ancora non vi è stato un vero e proprio accordo di pace firmato.

Qualcosa nasce dalle trattative di pace

È sorta però una proposta come possibile soluzione di stabilità nel Caucaso meridionale, che è quella di far riconoscere all’Armenia il Nagorno Karabakh come parte dell’Azerbaigian.

Ora, quest’idea sviluppatasi nei colloqui tra le due repubbliche del Caucaso e gli altri attori internazionali è al momento quella più sollecitata da tutte le parti in gioco.

Anche lo stesso Pashinyan ha preso in considerazione questa via e ha già portato questa discussione a livello nazionale, dichiarando che quella di riconoscere il Nagorno Karabakh come parte dell’Azerbaigian è una possibilità valida, poiché questa opzione potrebbe condurre attualmente l’Armenia verso una situazione di pace a far terminare il conflitto tra Yerevan e Baku.

I termini per la pace

È stato tuttavia chiarito da parte del Premier Armeno come un eventuale riconoscimento dell’Oblast Karabakho come Azero verrebbe effettuato solo se sarà garantito da parte di Aliyev la piena garanzia e il pieno rispetto dei diritti umani della popolazione Armena nel Nagorno Karabakh (al momento circa 120.000 Armeni risiedono stabilmente nella regione).

Questo è stato chiarito e fissato come tema centrale dei colloqui di pace anche da parte dei rappresentanti della mediazione UE dell’1 Giugno a Chisinau (Charles Michel, Emmanuel Macron e Olaf Scholz).

Sebbene però il quadro generale dopo i tre incontri tra i leader Caucasici possa apparire migliorato e positivo, in realtà, permangono ancora molte questioni delicate che mettono in luce come l’ipotizzata via del riconoscimento di diritto possa essere un problema.

L’incontro di Mosca

Dopo il primo incontro a Bruxelles tra Aliyev, Pashinyan e Michel, i due leader si sono ritrovati poi a Mosca per una riunione del Consiglio economico supremo Eeurasiatico il 25 Maggio, riunione che era stata  già fissata da Putin per dibattere sul tema dei trasporti regionali a seguito della guerra del Karabakh del 2020.

Questo incontro trilaterale in realtà doveva essere inizialmente solo un incontro tra Russia e Armenia, poiché entrambe fanno parte dell’Unione Economica Eurasiatica, ma poi Aliyev ha presenziato come ospite (visto l’interesse nella situazione dei trasporti in Armenia) e, alla fine, il colloquio si è concluso però con un nulla di fatto.

L’unico punto emerso è stato solamente il tema dei trasporti tra Armenia e Azerbaigian (specialmente tra l’Azerbaigian e l’enclave del Nakhicevan) e Putin ha chiarito che la Russia prenderà parte alla trattative sui lavori e che i problemi attuali riguardanti la realizzazione sono solo problemi di livello tecnico che verranno risolti.

La prima questione da risolvere

Il punto è che, e così si entra nella prima grande questione, l’Armenia si è detta favorevole per il supporto e la costruzione di nuovi trasporti tra l’Azerbaigian e il Nakhicevan che attraverseranno (ovviamente) il sud del territorio Armeno.

Tuttavia, come ha dichiarato Pashinyan e il Vice Primo Ministro Mher Grigoryan “qualsiasi piano per i trasporti tra queste due regioni, ove venisse realizzato in territorio Armeno, sarà di competenza solo Armena, specialmente per quanto riguardo il tratto nel proprio territorio e questa linea di trasporto non potrà chiamarsi (come vorrebbe Aliyev) Corridoio di Zangezur (unica questione di dibattito sorta a Mosca nei 20 minuti di colloquio), bensì si dovrà intendere questa come una pura linea di trasporti per facilitare le condizioni dei due paesi senza alcuna definizione geografica-tecnica precisa”.

Il riconoscimento del Nagorno Karabakh come parte dell’Azerbaigian

L’altra questione importante è quella che ruota attorno al tema proprio del riconoscimento del Karabakh come parte dell’Azerbaigian.

Dopo l’ultimo incontro a Chisinau al principio di Giugno tra i rappresentanti di Yerevan e Baku e il cancelliere Tedesco Scholz, Macron e Michel, in Armenia e in Artsakh si è creato un malcontento popolare e molte proteste contro la “nuova idea” di rendere il Karabakh Azero sono sorte.

Tra l’altro, proprio nei giorni scorsi è stato violato nuovamente il cessate il fuoco da parte dei soldati Azeri che hanno attaccato nella linea di confine nord ovest del Nagorno Karabakh, fortunatamente senza nessun morto o ferito e questo ha ovviamente acuito ancor di più le tensioni.

Le paure dell’Armenia

Il popolo Armeno e specialmente quello dell’Artsakh (nome Armeno per la repubblica del Nagorno Karabakh) temono che con un riconoscimento di questo tipo i diritti degli Armeni continueranno a essere violati e che addirittura si possa arrivare a delle azioni di persecuzione e pulizia etnica come quelle che avvennero in passato in Nakhicevan, azioni che cancellarono di fatto definitivamente ogni traccia di “Armenità” in quell’area.

Oltre che per questi motivi, i timori possono anche essere giustificati dopo le parole rilasciate dal presidente Azero nei colloqui.

Aliyev si è offerto disponibile a garantire i diritti e il rispetto della comunità Armena in Karabakh e ha promesso che farà di tutto per garantire e rispettare i diritti umani degli Armeni, ma ha altresì dichiarato  che “una presenza internazionale in Nagorno Karabakh non sarà ammessa e tollerata, poiché questa interferirebbe con gli affari di politica internazionale di Baku”.

Le condizioni di Yerevan

Allo stesso tempo però, il ministro degli esteri Armeno Ararat Mirzoyan ha ribadito che “prima di arrivare a un eventuale riconoscimento dovrà  risultare senza condizioni una vera garanzia multilaterale sul rispetto e il mantenimento dei diritti degli Armeni in Karabakh e dovrà anche essere garantita una fine del blocco e del controllo Azero del corridio di Lachin tra Armenia e Nagorno Karabakh”.

Ha concluso poi chiarendo che quindi ancora non si può parlare di accordo sul riconoscimento Armeno e che ulteriori valutazioni e passi dovranno essere effettuati.

La ricerca di un processo di pace giusto

Dunque, nonostante i numerosi colloqui e i nuovi incontri già fissati per portare avanti le trattative di pace (il primo il 12 Giugno a Washington e il secondo a Luglio in Europa), la pace, in realtà, sembra ancora difficile e lontana.

Forse l’unica soluzione, nel caso in cui si percorresse la strada del riconoscimento, potrà essere quella di fare ciò, garantendo però una massiccia presenza internazionale per la sorveglianza sia ai confini tra Armenia e Azerbaigian, sia nel corridoio di Lachin e sia all’interno dello stesso Nagorno Karabakh e, inoltre, l’Europa dovrebbe prendere in considerazione l’opzione di rafforzare anche l’operazione EUMA (opzione che sta prendendo in considerazione in questi giorni).

Secondo Benyamin Poghosyan, presidente del Centro per gli studi strategici politici ed economici e Senior Research Fellow dell’APRI, un think tank con sede a Yerevan “l’unico modo per raggiungere la stabilità è convincere l’Azerbaigian ad accettare una presenza internazionale nel Nagorno-Karabakh”.

In effetti, anche Anders Fogh Rasmussen, ex segretario generale della NATO dal 2009 al 2014, durante una recente visita in Armenia ha dichiarato che “avremo bisogno di una sorta di meccanismo internazionale per monitorare, controllare e garantire i diritti e la sicurezza per la popolazione del Nagorno-Karabakh“.

Le trattative di pace continuano, ma la pace sembra ancora lontana e se davvero alla fine Pashinyan e l’Europa dovessero cedere a un accordo sul riconoscimento del Karabakh come parte dell’Azerbaigian solo sulla base delle promesse di Aliyev e sulla base del mero impegno internazionale di farle rispettare, potrebbe finire molto male.

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Torino, i segreti degli orafi armeni Mevlat: «Nostra la bacchetta d’oro di Von Karajan e certi anelli massonici» (Corriere 14.06.23)

«Bisogna trasmettere al gioiello quello che si sente dentro di sé con il proprio cuore, la propria mente e la propria passione».
Questo principio, che va ben al di là della sola tecnica del cesello, insegna Edmondo, orafo artigiano con il fratello Adruni, agli allievi della Fondazione Ghirardi di Torino che è la più antica scuola di settore d’Italia, nata agli albori del 1900. Per i due fratelli Mevlat, laboratorio-negozio e luogo di insegnamento sono a pochi passi, fra via Barbaroux e via San Tommaso, ma la loro storia professional-familiare ha origini assai più esotiche e levantine e inizia sul Bosforo, fra le volute del Gran Bazar di Istambul.

«Il nostro papà Berc a tredici anni era già a bottega da un grande orafo e presto si è messo in proprio e si è affermato nell’artigianato dei gioielli». Mevlatyan, si chiamava prima di nascondere il suffisso armeno del cognome, quando, nel post Atatürk, la sua comunità è ritornata ad essere una minoranza cristiana perseguitata. «Così i nostri genitori hanno abbandonato la Turchia per Torino, dove già abitava un parente prete. Era il 1963 e qui hanno trovato subito accoglienza e acquisito la cittadinanza in pochi anni».

Adruni aveva cinque anni, Edmondo è nato qui. «Avevamo casa e laboratorio in via XX Settembre e il papà riceveva i clienti in un piccolo vano che avevamo acquistato sulla strada e che era stata la nicchia di una statua della Madonna. Una Madonna che ci ha protetti e, ad attività avviata, anche noi, dopo il servizio militare, abbiamo seguito le orme e gli insegnamenti paterni». La clientela è varia e affezionata, perché i Mevlat danno la stessa attenzione a chi li cerca per realizzare sofisticata gioielleria con i preziosi e a chi chiede manufatti in ottone per un piccolo gruzzolo. Li caratterizzano ascolto del cliente per gioielli su misura e creatività artigianale che li fa esprimere pienamente nella propria arte.

Talvolta le commissioni sono singolari, come quando al padre, nel suo laboratorio torinese, venne chiesto di realizzare una bacchetta d’oro per Herbert Von Karajan. «Ci richiedono anche decorazioni massoniche», confida — mostrando un anello con triangolo e compasso — Adruni che ha anche la passione e il talento per la magia, ma non quella esoterica, bensì la prestidigitazione. Forse perché richiede anch’essa abilità manuali, attenzione per i particolari e precisione.

Bulini, pantografi, laminatoi, bilance, piccole saldatrici e lucidatrici sono sullo sfondo di vetrine dove fanno mostra di sé bracciali, pendenti, orecchini e collane dalle delicate decorazioni. A quale creazione sono più legati i fratelli dalle mani d’oro? Il maggiore al primo realizzato: una spilla ottenuta con i materiali avanzati da un lavoro del padre. Il minore a un anello richiesto da una cliente ispirandosi a un sofisticato modello di Tiffany. E poi ci mostrano una mezzaluna aurea finemente cesellata dal papà, da tempo scomparso, di fattura e motivi decorativi ancora decisamente orientali.

La prospettiva di settore pare loro buona: «Dopo anni, il lusso sta ritornando a Torino, la gente spende di più». E poi ci sarà Cartier. «Siamo stati invitati a visitare il nuovo stabilimento e siamo molto contenti che possa offrire tanti posti di lavoro nell’oro e nei gioielli — commentano — anche se noi siamo tanto affezionati all’artigianato che mai abbiamo pensato di poter lavorare per altri». Non portano gioielli i fratelli Mevlat, solo una piccola croce ricavata dalla fede nuziale della madre, ma le loro mogli sanno sempre, nelle diverse occasioni, con quali bijoux uscire.

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“Il lavoro di G.I Gurjieff”, scrittore armeno che racconta i 110 incontri avvenuti a casa sua in tempo di guerra (Ideawebtv 14.06.23)

Appuntamento letterario la sera di giovedì 15 giugno presso lo Spazio Culturale Piemontese di Saluzzo (Corso Roma, 4). Si parlerà dell’opera dello scrittore armeno Georges Ivanovic Gurdjieff dal titolo “Gruppi di Parigi”: ovvero il resoconto fedele di circa 110 incontri avvenuti nella sua casa al 6 di rue des Colonels Renard a Parigi.

Presentazione e audiovisivi a cura dell’Associazione Italiana Studi sull’Uomo G.I. Gurdieff di Torino.

All’inizio del libro, Gurdjieff pone bene in evidenza la necessità di una conoscenza aperta della realtà in essere e da costruire, contrastando adeguatamente il sistema vigente che poggia sulla sola intelligenza mercantile. Nei pressi di Parigi, egli riuscì a resistere circa una decina di anni, poi dovette fare le valigie. Il problema economico era ormai irrisolvibile. Il suo “Istituto per lo sviluppo armonico del mondo” rimase tuttavia ben presente nell’immaginazione del tempo, dando vita a vari presidi, grazie soprattutto ai suoi allievi Henri Thomasson e Jeanne dei Salzmann (quest’ultima vissuta 101 anni, mostrando sino all’ultimo grande dedizione al maestro).

Qualche nota sullo scrittore

G.I.Gurdjieff, scrittore, coreografo e filosofo armeno tramandava i suoi insegnamenti oralmente e li corredava con esibizioni musicali e danzanti permeate volutamente di misteriosofia; una sorta di tributo all’ineffabile cui questo artista molto originale ricorreva per cercare di familiarizzare con il soprannaturale. Nel 1945, dopo la guerra, Gurdjieff ridiede vita ad un intenso lavoro di proselitismo nel suo appartamento di Parigi: il proselitismo veniva spontaneo nel corso della sue lezioni. L’uomo era credibile, magnetico. Non disdegnava il ricorso ad un’ampia gamma esoterica, includendo qualcosa di alchemico: ma tutto era fatto in buona fede. Il libro citato trasuda di questa buona fede e trasmette un entusiasmo per la narrazione di fatti puntualmente mirabolanti (ma conta lo spirito, non il fatto in sé) che non è mai dozzinale. Personalità di spicco, anche italiane (Franco Battiato ad esempio), furono attratte dal suo felice magnetismo: fra esse, il grande architetto Frank Lloyd Wright, il regista teatrale Peter Brook (che dal libro cavò un film), lo sfortunato scrittore e filosofo René Daumal (morì a 36 anni per un’infezione polmonare), Katherine Mansfield, la maggiore scrittrice neozelandese.

Traduzione della versione originale pubblicata dall’Institut Gurdjieff di Parigi.

Staff Comunicazione IL MUTAMENTO

Tel. 333 430 97 09 – eventistampa@gmail.com

Settimana della Moda, la prima volta di Yerevan (Osservatorio Balcani e Caucaso 14.06.23)

C’è grande attesa a Yerevan per la prima edizione della Settimana della Moda armena che si terrà a inizio luglio. L’evento è ambizioso, ed è il primo nel suo genere nel paese

14/06/2023 –  Marilisa Lorusso Yerevan

L’Armenia non ha mai avuto una Settimana della Moda di respiro internazionale, e perché prenda forma un evento di questo tipo devono giungere a maturazione varie componenti. Ne abbiamo parlato in una soleggiata mattinata a Yerevan con uno dei due organizzatori dell’evento, Vahan Kachatryan, Presidente della Camera di Moda e Design.

Avevamo parlato con Vahan nel 2016, quando la sua carriera di stilista si stava affermando. All’epoca aveva espresso il desiderio di essere un apripista, e segnalato quanto fosse importante uscire da un certo isolamento del paese dal mondo della moda.

A distanza di sette anni nasce la prima Settimana della Moda, che porterà sulle passerelle 25 stilisti armeni o di origine armena. Oltre ai cittadini armeni sfileranno infatti tre armeni della diaspora da Francia, Libano e Federazione Russa, davanti a un pubblico internazionale: una trentina di ospiti del settore e della stampa specializzata da Inghilterra, Germania, Emirati, Libano, e – nella parte del leone – Italia assisteranno a una tre giorni di sfilate, dall’1 al 3 luglio, più tre di showroom. Ci sarà poi un programma culturale per gli ospiti, anche se i tempi sono limitati, per far conoscere ed apprezzare il paese e la sua cultura.

Foto per gentile concessione della Camera di Moda e Design armena

Foto per gentile concessione della Camera di Moda e Design armena

Abbiamo chiesto a Vahan cosa ha reso possibile in questi anni arrivare a questo progetto ambizioso, quali elementi abbiano creato la massa critica per fare un salto di qualità. “Passare da una sfilata a venticinque in un solo evento non è banale. Per cui il primo requisito è che fossimo pronti noi, gli stilisti e l’organizzazione. Ma questo è solo un ingranaggio di un meccanismo molto più complesso che rende possibile una Settimana della Moda”. Un secondo requisito importante è la soglia di interesse che si deve valicare verso un prodotto perché questo attiri a sufficienza da diventare evento. Il prodotto è la moda e il tessile armeno.

La nuova vita per il tessile armeno

Il tessile armeno ha una tradizione antica, ma è meno brandizzato delle vicine produzioni per esempio di Turchia o di Iran. Dai tappeti alle stoffe, alle stampe su stoffa, la cultura armena ha generato una realtà espressiva e prodotti di qualità che però non sono divenuti ad oggi riconoscibili e commercializzabili quanto appunto quelli di oltre confine. Ma sulla base di queste conoscenze e professionalità pregresse nell’ultima decade ha preso forma una produzione interna che man mano ha conquistato in primis l’attenzione nazionale.

“Se bisogna cercare nella sfortuna un pizzico di fortuna, un incoraggiamento a rivalutare la produzione interna è arrivato dalla guerra del 2020. Lo shock bellico ha portato molti armeni a boicottare i prodotti turchi, inclusi quelli tessili, e a prestare maggiore attenzione alla produzione locale. Nel momento in cui è successo, gli stilisti armeni erano pronti con i loro prodotti e oggi nella centralissima Sayat Nova, al civico 5, c’è 5concept  , un negozio che espone le collezioni di creazione armena dove armeni e stranieri possono scoprire e acquistare moda armena.”

L’unione dei creativi ha fatto forza non solo nel riuscire a conquistare uno spazio espositivo nel centro della città, ma anche nel creare uno strumento che potesse fungere da gruppo di pressione per chi opera nella moda. È nata così la Camera di Moda e Design  , con lo scopo di fornire una piattaforma per tutti i designer per – come recita la sua mission – “unire gli sforzi in un’organizzazione unificante per sostenere le loro esigenze e sfide, nonché rappresentarli nelle relazioni con fornitori, funzionari governativi e altri partner in Armenia e all’estero.”

Il ruolo delle istituzioni

E infatti uno dei meccanismi che si è dovuto sbloccare perché la Settimana della Moda prendesse forma è stato il supporto di agenti nazionali e internazionali che lo finanziassero. Il governo ha recentemente varato una Strategia per l’industria tessile, la prima adottata di questo tipo. È nato nel ministero dell’Economia un Dipartimento per l’industria tessile e creativa.

Insomma, il governo si è mosso nella direzione della valorizzazione del settore e ha reso disponibile una buona percentuale di finanziamenti per la Settimana della Moda. Poi c’è la fondazione tedesca GIZ  (Deutsche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit). Sono intervenuti anche sponsor privati. Molto attivi anche gli inglesi che hanno finanziato una Fashion Scout all’interno dell’evento che garantirà ai vincitori la visita alla London Fashion week e un tirocinio in un’azienda di moda di Firenze  .

Vahan ci dice: “I fondi sono limitati, è la prima edizione e si dovrà creare un buon giro perché la Settimana diventi un evento fisso. È uno sforzo per tutti, e il budget iniziale è lievitato man mano che l’evento prendeva forma. Non è stato facile perché il primo criterio per l’assegnazione dei fondi è l’assoluta trasparenza, per cui i margini di approssimazione dei capitoli di spesa erano risicatissimi, ma ce l’abbiamo fatta e siamo riusciti a mettere insieme la logistica, lo spettacolo, e team professionali”. L’organizzazione cade sulle sue spalle e su quelle della collega Helen Manukyan, che cooperano e coordinano i vari team: modelle, trucco, amministrazione, tecnici vari che si occuperanno del flow delle sfilate.

La Settimana della Moda di Yerevan arriva quindi a culminare un processo. Sono anni che il mondo della moda armena cresce, che crea contatti internazionali attraverso le altre Fashion Week, o realtà come il White Milan e Pitti Super, che si propone al pubblico nazionale e internazionale e che crea spazi per un settore che ha un suo ruolo storico nell’identità del paese, e che ora ha anche un riconoscimento istituzionale. Allo stesso tempo la Settimana della Moda si ripropone di essere il primo passo di un nuovo processo che porterà a maturazione quanto fatto finora, garantendo una nuova dimensione e visibilità.

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All’Anfiteatro Mondo ospite la storia di una famiglia armena negli scritti di Laura Ephrikian (Ilcittadirecanati 13.06.23)

PORTO RECANATI – Sabato 17 Giugno alle h. 21:30 all’ Anfiteatro Natale Mondo, Laura Ephrikian presenta il suo libro “Una famiglia armena”.

Sfogliando ad una ad una le pagine di questo libro di Laura Ephrikian, par quasi di udire la sua voce dolce e melodiosa come una poesia. Quella voce che cattura chiunque la ascolti, chiunque la incontri lungo il proprio cammino. Rapisce, incanta, Laura. L’autrice ha scelto con cura, passione e Amore le parole da scrivere per esprimere al meglio fatti, episodi e flash – del proprio adorato e “sentito” passato – che alla fine sgorgano inevitabilmente in un solo argomento a lei sempre caro: le sue origini armene.

Un passato che con il trascorrere del tempo è diventato sempre più prezioso per lei, sempre più forte da non potere passare più inosservato, dunque un passato vissuto nella notte dei tempi, ma forse non compreso appieno, riscoperto con la maturità, un passato studiato – non senza sofferenza e lacrime – nei minimi dettagli, “digerito”, riesaminato, accettato ed esploso.

Il manoscritto prende le mosse, in maniera del tutto naturale, dalle origini: la travagliata e meravigliosa storia d’amore dei nonni Akop e Laura vissuta da noi lettori tramite le poetiche lettere che si scrivevano, il rapporto di Laura con il padre e con la madre.

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