È il 21 marzo 2023 quando un gruppo di “eco-attivisti” azeri blocca nuovamente la strada nota come corridoio di Lachin – o Laçin in lingua azera –, l’unica porzione di terra che collega l’Armenia con la (de facto) Repubblica autonoma dell’Artsakh, meglio noto come Nagorno Karabakh. La motivazione ufficiale della protesta riguarda lo sfruttamento delle miniere di rame e molibdeno del sopracitato, vi sono però delle incongruenze in questa situazione.
Bisogna innanzitutto ricordare la situazione geopolitica dell’area: Armenia e Azerbaijan si contendono da circa trent’anni le zone del Nagorno Karabak – che si trova interamente in territorio azero – e periodicamente le tensioni si riaccendono. Gli scontri iniziano nel 1991 con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, potenza che fino a quel momento aveva avuto la funzione di “collante” tra i due paesi. Dopo quella data, le ostilità proseguono ininterrottamente per tre anni circa, fino ad arrivare all’inizio del 1994, quando gli armeni – che in quella fase erano in netto vantaggio sui nemici – costringono gli azeri a sedere al tavolo di pace.
Il 5 maggio Artsak e Azerbaijan firmano dunque un cessate il fuoco a Biskek, capitale del vicino Kirghizistan. Il trattato aggiungeva circa 12000 chilometri quadrati al territorio dell’Artsak, tutti a maggioranza azera. La fine della guerra diede inizio a una grande diaspora da entrambi i Paesi: centinaia di migliaia di azeri abbandonarono le loro case per fuggire in Azerbaijan. Parallelamente molti Karabaki, fuggiti in Armenia durante la guerra, tornarono alle loro case e molti Azerbaijani di origine armena affluirono nei nuovi territori dell’Artsak in fuga da un paese che non li voleva più.
La situazione si è poi raffreddata fino al 2020, quando l’Azerbaijan ha lanciato un attacco fulmineo e brutale nei confronti della piccola repubblica montana conquistando ampi territori e lasciando l’Artsakh praticamente circondato. L’unico collegamento tra la Repubblica autonoma e la madre-patria armena è per l’appunto il corridoio di Laçin, che da dopo il cessate il fuoco del 2020 è presidiato da una forza di interposizione russa.
Il prolungato blocco della strada sta portando l’Artsakh al collasso e le autorità temono una crisi umanitaria senza precedenti
La presenza di questi peacekeeper impedisce qualsivoglia azione violenta da ambo le parti ed è qui che entrano in gioco gli “eco-attivisti”. Come ho già accennato prima, la strada che si snoda lungo il corridoio di Laçin è l’unica via per far arrivare medicine, beni alimentari e qualsiasi altro tipo di materiale nel territorio autonomo e ormai i blocchi degli attivisti continuano da mesi. Già a dicembre infatti il corridoio era stato occupato da civili azeri per lo stesso motivo.
Il prolungato blocco della strada sta portando l’Artsakh al collasso e le autorità temono una crisi umanitaria senza precedenti. Secondo le autorità armene questi “eco-attivisti” non sarebbero altro che agenti sabotatori dello stato azero, che utilizzano la scusa della protezione dell’ambiente per portare avanti la guerra con mezzi più subdoli.
Le accuse armene suonano molto verosimili, da un lato perché l’Azerbaijan e il suo leader Alijev sono noti per il loro odio per il popolo armeno. Inoltre le truppe azere hanno dimostrato una certa crudeltà e uno sprezzo quasi raccapricciante per le più basilari regole del diritto internazionale. E dall’altro lato proprio perché – come riporta OC Media – gli attivisti vengono trasportati e scortati da polizia e forze speciali azere fino davanti alla zona di interdizione controllata dai peacekeeper.
La notizia è tornata a far scalpore grazie al video postato su internet da uno dei suddetti “eco-attivisti” nel quale uno dei loro proclamava che presto avrebbero aggiunto “sangue armeno ai loro kebab”. A che punto siamo giunti dunque? Il livello del conflitto non sembra diminuire e le autorità armene, così come il presidente dell’Artsakh Arayik Harutyunyan o il presidente della repubblica dell’Armenia Nicol Pashinian, accusano gli azeri di cercare il genocidio e chiedono l’intervento delle forze russe.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-20 08:54:062023-04-22 08:54:58Eco-attivisti o agenti speciali? La difficile situazione del Nagorno Karabakh (Italiachecambia 20.04.23)
Korazym.org/Blog dell’Editore, 20.04.2023 – Vik van Brantegem] – L’Azerbajgian esporta gas azero-russo in Europa, aggirando le sanzioni europee alla Russia. La Turchia applica zero sanzioni finanziarie e commerciali alla Russia, è membro della NATO e sostiene l’Azerbajgian militarmente. L’Azerbajgian sta preparando un’invasione su larga scala del territorio armeno, mentre blocca da più di 4 mesi i 120.000 Armeni autoctoni dell’Artsakh nella loro terra ancestrale. Questo è pulizia etnica. Nega al popolo dell’Artsakh il diritto all’autodeterminazione. Questo è pulizia etnica. L’Azerbajgian vuole costringere gli Armeni dell’Artsakh a conformarsi a una cittadinanza azera che non accettano. Questo è pulizia etnica. A parte di tenerli sotto assedio, nega agli Armeni dell’Artsakh riscaldamento e elettricità, interrompe con l’aggressione armate i lavori nei campi sulla linea di contatto. Questo è pulizia etnica.
«Non ci aspettavamo che accadesse di nuovo
eppure è di nuovo nero come la pece il cielo,
partorisce mostri di oscurità la notte»
(Titos Patrikios, I simulacri e le cose).
Horizon Armenian News: «Noi siamo Artsakh. Io riconosco l’indipendenza dell’Artsakh».
La Chiesa Apostolica Armena ha affrontato la questione delle dimissioni del Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan in una dichiarazione: «La richiesta di dimissioni del Primo ministro è un consiglio paterno che non ha scadenza». Oggi, Sua Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni, ha osservato durante una conversazione con i rappresentanti dei media nella Santa Sede di Etchmiadzin. «Sfortunatamente, vediamo che la situazione nel nostro Paese continua a essere preoccupante con dichiarazioni errate e inaccettabili riguardo allo status dell’Artsakh. Anche la crescente disunione e inconciliabilità tra la nostra gente è preoccupante e abbiamo molto lavoro da fare qui. Possiamo trovare soluzioni a questi problemi solo attraverso il completo consolidamento del nostro potenziale nazionale», ha aggiunto il Catholicos di tutti gli Armeni durante la conversazione (Fonte: 301).
Oggi, durante la sessione parlamentare dell’Assemblea Nazionale, Taguhi Tovmasyan, Presidente della Commissione per la protezione dei diritti umani, ha rilasciato una dichiarazione dopo il suo intervento, affermando “non permetterò alle autorità di diffondere nuovamente menzogne” e si è rifiutata di lasciare il podio dell’Assemblea Nazionale.
«Non permetterò che dal podio N. 1 del Paese vengano pronunciate menzogne, negando l’identità armena dell’Artsakh o distorcendo la storia del popolo armeno. Cari colleghi, se condividete le mie preoccupazioni, potete unirvi alla mia causa. Non posso tollerare più falsità, menzogne, intrighi e attacchi personali da questo podio elevata. Basta. Calmatevi e comprendete la vostra parte di responsabilità», ha detto Tovmasyan.
Il Presidente Alen Simonyan ha chiesto la fine della protesta, avvertendo che le guardie di sicurezza sarebbero state convocate, e poi ha annunciato una pausa. Nel frattempo, Hayk Mamijanyan e Anna Mkrtchyan, membri dell’Alleanza Ho Onore, si sono uniti a Tovmasyan. Uno dei parlamentari dell’opposizione ha gridato ad Alen Simonyan: “Se non riesci a risolvere la situazione, puoi sputare”. Alen Simonyan ha risposto: “Se necessario, sputerò”.
Tovmasyan e gli altri parlamentari dell’opposizione sono stati rimossi con la forza dall’Aula dell’Assemblea Nazionale dal servizio di sicurezza e gli è stato impedito di rientrare.
I parlamentari dell’opposizione Tagui Tovmasyan, Gegham Manukyan, Garnik Danielyan, Anna Mkrtchyan, Hayk Mamijanyan, Anna Grigoryan, Tigran Abrahamyan, Taron Margaryan, Artur Sargsyan e Andranik Tevanyan sono stati privati del diritto di partecipare alla sessione parlamentare per il resto della giornata a causa dello scontro con il servizio di sicurezza.
Secondo un corrispondente di Aysor, le forze di polizia sono state dispiegate nell’edificio dell’Assemblea Nazionale (Fonte: 301).
«Eccoci qui. Sono passati quattro mesi, ma l’Artsakh rimane bloccato dal resto del mondo. Purtroppo, non mi sorprende affatto. Non mi sorprenderebbe se questo continuasse per anni, senza che si facesse nulla. Il mondo sta aspettando che questo problema dell’Artsakh venga risolto poiché, nelle loro menti, porrebbe fine a un conflitto decennale. Tuttavia, la risoluzione non sarà favorevole all’Armenia, alla regione nel suo insieme e ai valori democratici mondiali. L’Azerbajgian ha usato la sua forza per farsi strada per ricevere tutto ciò che desiderava da quasi tre anni. È riuscita a farla franca con continui atti di aggressione, massicci espropri di terre in Armenia vera e propria, attività terroristiche contro i cittadini dell’Artsakh e un tentativo di pulizia etnica del popolo dell’Artsakh. Che tipo di precedente abbiamo concesso a un dittatore in grado di forzare la sua volontà e farla franca? Allo stesso tempo, è stata messa in atto una massiccia risposta globale contro un altro dittatore, Putin, mentre tenta di riprendersi terre che pensa appartengano alla Russia. È la stessa situazione, ma una risposta completamente diversa.
Le mie speranze non dipendono dal fatto che il mondo venga in aiuto dell’Armenia, come non è mai successo nella storia. Le mie speranze risiedono in Armenia e negli Armeni nel loro insieme. Tuttavia, quasi due anni e mezzo dopo la guerra, sembra che i passi compiuti siano stati inadeguati. Ancora più importante, questi passaggi sono stati compiuti senza che un’ideologia uniforme risiedesse tra gli Armeni. Inoltre, tutti sono diventati più divisi e le persone sembrano essere zombificate da ciò che sta accadendo intorno a loro. Sembra che ci sia un’impotenza appresa che si sta diffondendo tra gli Armeni. A causa di questa impotenza, ci siamo seduti a guardare, sentendoci come se non fossimo in grado di fare nulla. Eppure ne siamo capaci, come ci ha mostrato la Rivoluzione di Velluto cinque anni fa. Purtroppo la rivoluzione non è andata come volevamo, perché abbiamo lasciato che il popolarismo ci guidasse piuttosto che una forte forza politica. Dovremmo imparare dagli errori del passato, ma allo stesso tempo imparare dai successi del passato e lasciare che siano loro a guidarci. Lascia che ci mostrino che siamo in grado di influenzare il cambiamento. Dobbiamo unirci attorno a un’ideologia comune che sarà la luce guida per andare avanti. Credo che l’ideologia dovrebbe essere la fortificazione militare dell’Armenia. Una volta stabilita questa ideologia, ogni Armeno dovrebbe avere il ruolo designato nel garantire la sicurezza dell’Armenia» (Varak Ghazarian – Medium.com, 19 aprile 2023 – Nostra traduzione italiana dall’inglese).
«Almeno il sole e il bel tempo non sono bloccati in Artsakh» (Siranush Sargsyan, giornalista freelance a Stepanakert).
Negli ultimi 129 giorni, la popolazione dell’Artsakh ha sopportato le difficoltà di vivere sotto il blocco mentre affrontava il terrore psicologico dell’Azerbajgian e la retorica sempre più aggressiva del regime autocratico di Aliyev. Mentre la comunità internazionale continua a chiedere l’immediata apertura del Corridoio di Berdzor (Lachin), il ripristino dei collegamenti di gas e elettricità dall’Armenia all’Artsakh e l’avvio di un dialogo diretto tra Baku e Stepanakert nell’ambito dei meccanismi internazionali, nuove minacce vengono espresse dal regime. L’Azerbajgian non nasconde nemmeno che il suo obiettivo è quello di espellere dalla loro patria 120.000 Armeni autoctoni, tra cui 30.000 bambini, che da 130 giorni vivono sotto il blocco imposto dall’Azerbajgian. Nessuno ha il diritto di determinare il loro destino e, nonostante ogni tipo di dichiarazione, la questione del destino e del futuro dell’Artsakh non può essere risolta senza il popolo dell’Artsakh.
«Desiderare la pace sotto il #ArtsakhBlockade nel giorno 130. Dominando la capitale dell’Artsakh, Stepanakert, si erge un monumento iconico “Noi siamo le nostre montagne”, noto anche nell’Artsakh come “Tatik Papik”, che simboleggia la connessione intrinseca tra l’Artsakh e il suo popolo resiliente. La struttura rappresenta gli anziani dell’Artsakh in abiti tradizionali, orgogliosamente in piedi spalla a spalla. Non poggia su un piedistallo; è come se la collina fosse spaccata, e la nonna e il nonno si arrampicassero per stare con i piedi ben piantati nella loro terra natia» (Siranush Sargsyan, giornalista freelance a Stepanakert).
I media statali azeri su cosa farà l’Azerbajgian dopo che avrà occupato tutto l’Artsakh/Nagorno-Karabakh
«In un futuro molto prossimo, dopo che la questione del Karabakh [Artsakh/Nagorno-Karabakh] sarà risolta, la questione dell’Azerbajgian occidentale [Armenia] sarà realizzata e garantiremo il nostro ritorno ad essa. E presto riprenderemo i lavori di costruzione e scopriremo [i nomi azeri dei luoghi nel territorio armeno]. E non vediamo l’ora che arrivino quei giorni storici. E quei giorni sono molto vicini. Gli Azerbajgiani occidentali, i nostri compatrioti che vivevano nell’Azerbaigian occidentale, torneranno presto nelle loro terre ancestrali. A Dio piacendo, torneremo nell’Azerbajgian occidentale dopo essere tornati in Karabakh. E continueremo con altri ritorni. Sicuramente!» Sembra che l’Azerbajgian voglia davvero la pace con l’Armenia.
Pedine del regime autocratico azero posano per quella che sembra una foto di classe mentre bloccano il corridoio Lachin e intrappolano 120.000 persone.
«25 anni fa, i leader e il popolo dell’Irlanda del Nord decisero di piantare un seme nel terreno precedentemente macchiato di sangue e lacrime. Il seme della pace e delle possibilità per le nuove generazioni. Oggi a Belfast rendiamo omaggio a tutti coloro che hanno piantato quel seme (Ursula von der Leyen).
Quasi un anno fa, la Signora von der Leyen – alla canna del gas azero-russo di Aliyev – ha deciso di piantare un seme nel suolo dell’autocrazia dell’odio azera. Il seme è cresciuto e ha portato l’invasione del territorio armeno, il #ArtsakhBlockade di 120.000 Armeni, per iniziare. Questo seme della Signora von der Leyen promette sangue e lacrime per il popolo armeno.
«Il blocco è un lento strangolamento progettato per provocare un esodo di massa degli Armeni dal Nagorno-Karabakh, seguito dall’insediamento di centinaia di migliaia di Azeri al loro posto. L’Azerbajgian mira a cambiare definitivamente l’equilibrio demografico, dopodiché assorbirà finalmente la regione attraverso un referendum, il cui risultato sarà noto in anticipo» (Jean-Yves Camus, politologo e giornalista francese).
«La decisione del governo sovietico di separare West Zangezur, la nostra terra storica, dall’Azerbajgian e consegnarla all’Armenia ha portato alla separazione geografica del mondo turco | Nell’odierna Armenia – nell’Azerbajgian occidentale».
L’Azerbajgian mette in pericolo l’ordine mondiale basato sul diritto internazionale
Dichiarazione del Ministero degli Esteri dell’Armenia
«Le dichiarazioni rilasciate il 18 aprile 2023 dal Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, dimostrano ancora una volta le sue intenzioni di silurare gli sforzi della parte armena e della comunità internazionale volti a stabilire la pace nel Caucaso meridionale.
Con queste dichiarazioni Ilham Aliyev dimostra un palese disprezzo per vari partner internazionali, in presenza e mediazione dei quali l’Azerbajgian ha riconosciuto l’integrità territoriale dell’Armenia e ha assunto una serie di chiari obblighi, tra cui sia la delimitazione dei confini tra la Repubblica di Armenia e la Repubblica di Azerbaigian sulla base della Dichiarazione di Almaty e sull’istituzione di un meccanismo internazionale per affrontare i diritti e le garanzie di sicurezza per il popolo del Nagorno-Karabakh.
Inoltre, con la sua dichiarazione, il Presidente dell’Azerbajgian ammette apertamente il fatto dell’aggressione e dell’occupazione pianificate dei territori sovrani della Repubblica di Armenia e rivela anche esplicitamente le sue intenzioni di sottoporre la popolazione del Nagorno-Karabakh alla pulizia etnica.
Il Presidente dell’Azerbajgian, sotto la cui guida si stanno verificando gravi e flagranti violazioni istituzionali dei diritti umani e dei diritti di vari gruppi, esprime apertamente minacce esistenziali nei confronti della pacifica popolazione del Nagorno-Karabakh che vive nella sua patria.
L’incitamento all’odio espresso dalla massima leadership dell’Azerbajgian nei confronti del popolo armeno è chiaramente volto ad approfondire l’intolleranza e l’odio verso il popolo armeno che è stato propagato per decenni nella società azerbajgiana dalle autorità statali.
Le conseguenze di questo incitamento all’odio sono anche i crimini di guerra, le esecuzioni extragiudiziali di prigionieri di guerra e prigionieri civili, commesse dai rappresentanti delle forze armate azere sulla base dell’etnia, le registrazioni video e la loro distribuzione da parte di coloro che hanno commesso crimini come questione di orgoglio.
Le dichiarazioni della leadership politica dell’Azerbajgian incoraggiano anche azioni come quelle del soldato azero che si è infiltrato illegalmente nel territorio della Repubblica di Armenia pochi giorni fa, ha assassinato deliberatamente e brutalmente un cittadino armeno e ha cercato di informare la parte azera di questo incidente, così come sulla sua intenzione di uccidere molti altri civili armeni.
Siamo sicuri che dopo queste recenti dichiarazioni del Presidente dell’Azerbajgian, la comunità internazionale non può avere alcun dubbio sul fatto che questo, così come i suddetti crimini, siano stati organizzati a livello statale.
Invece di cercare soluzioni sostenibili e durature ai problemi che si sono accumulati nella regione per anni, l’Azerbajgian sta cercando di far avanzare le sue rivendicazioni massimaliste attraverso l’uso della forza e le minacce dell’uso della forza.
La parte armena ha ripetutamente messo in guardia sulle prospettive destabilizzanti di questa politica condotta dall’Azerbajgian e ha richiamato l’attenzione della comunità internazionale sui pericoli di tali comportamenti e azioni contro l’ordine mondiale basato sul diritto internazionale».
L’Artsakh non è un “affare interno” dell’Azerbajgian
Intervista al Ministro degli Esteri della Repubblica di Artsakh, Sergey Ghazaryan
Artsakhpress, 19 aprile 2023
(Traduzione a cura di Iniziativa italiana per l’Artsakh)
Come commenterebbe la dichiarazione fatta dal Presidente dell’Azerbajgian il 18 aprile secondo cui gli Armeni che vivono in Karabakh dovrebbero o accettare la cittadinanza azera o cercare un altro luogo di residenza? Non è la prima volta che il Presidente dell’Azerbajgian ha rilasciato dichiarazioni che rivelano le vere intenzioni dell’Azerbajgian di pulire etnicamente l’Artsakh ed espellere la sua popolazione indigena dalla loro patria storica. Il blocco imposto all’Artsakh dalla leadership autoritaria dell’Azerbajgian per più di quattro mesi è solo uno degli strumenti per l’attuazione di quei piani criminali. Attraverso la coercizione, la minaccia e l’uso della forza, l’Azerbajgian sta essenzialmente cercando di costringere il popolo dell’Artsakh ad accettare le richieste illegali dell’Azerbajgian, che contraddicono, inter alia, le norme perentorie del diritto internazionale generale.
Il fatto che la leadership dell’Azerbajgian non stia più nascondendo le proprie intenzioni criminali dimostra l’insufficienza della risposta internazionale e dell’impegno negli sforzi per porre fine al blocco in corso dell’Artsakh e prevenire le intenzioni di genocidio dell’Azerbajgian. Infatti, le autorità azere, agendo in un ambiente di assoluta impunità e permissività, stanno espandendo sempre più la portata e la geografia dei loro crimini commessi contro il popolo dell’Artsakh e dell’Armenia.
A questo proposito, vorrei sottolineare che gli Stati, sia individualmente che collettivamente, hanno l’obbligo di adottare misure efficaci e decisive per prevenire i crimini più gravi, in primo luogo il genocidio ei crimini contro l’umanità, compresa la pulizia etnica e lo sfollamento forzato. Allo stesso tempo, la responsabilità diretta di prevenire tali crimini spetta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, un organo che non solo ha il mandato appropriato, ma anche gli strumenti necessari per fermare le intenzioni criminali dell’Azerbajgian contro l’Artsakh e il suo popolo.
In questo contesto, è deplorevole che, nonostante l’impegno a prevenire crimini così gravi, i rappresentanti di alcune organizzazioni e Stati internazionali compiano sforzi politici che promuovono indirettamente la posizione illegittima dell’Azerbajgian e incoraggiano la sua politica di genocidio. Riteniamo che un simile approccio da parte degli attori internazionali, in particolare quelli coinvolti nella risoluzione del conflitto Azerbajgian-Karabakh e nella normalizzazione delle relazioni Armenia-Azerbajgian, sia non solo inaccettabile e controproducente, ma anche gravido di conseguenze imprevedibili per l’intera regione.
Come commenterebbe la dichiarazione del Presidente dell’Azerbajgian secondo cui il Karabakh è un affare interno dell’Azerbajgian? Il conflitto Azerbajgian-Karabakh non è mai stato considerato un affare interno dell’Azerbajgian, né durante l’esistenza dell’Unione Sovietica, né nel successivo periodo di formazione di stati indipendenti sul territorio dell’ex Unione Sovietica. Ciò è dimostrato dal fatto che dopo che l’Artsakh (Nagorno Karabakh), l’Armenia e l’Azerbajgian hanno ottenuto l’indipendenza, la comunità internazionale ha creato un meccanismo speciale per la risoluzione del conflitto dell’Azerbajgian-Karabakh: il processo di Minsk. La decisione di creare un formato internazionale per determinare lo status politico finale dell’Artsakh indicava che la comunità degli Stati non riconosceva l’Artsakh come parte dell’Azerbajgian indipendente. A sua volta, il consenso dell’Azerbajgian ad essere coinvolto nel Processo di Minsk è stato anche un riconoscimento del fatto che il conflitto del Nagorno-Karabakh non era una questione interna dell’Azerbajgian.
Inoltre, la parte armena ha sempre sottolineato che il conflitto Azerbajgian-Karabakh è principalmente una questione di diritti umani e libertà e, prima di tutto, il diritto del popolo dell’Artsakh all’autodeterminazione. In questo senso, secondo gli obblighi internazionali, compresi quelli assunti dallo Stato di Azerbajgian, le questioni dei diritti umani e delle libertà sono di interesse diretto e legittimo di tutti gli Stati e non sono esclusivamente una questione interna di uno Stato. Ci sono molti esempi nel mondo in cui alcuni paesi e organizzazioni internazionali sono intervenuti direttamente in situazioni di conflitto per prevenire genocidi, massacri e altre gravi violazioni dei diritti umani. In situazioni in cui i diritti umani e le libertà, compresi i diritti collettivi dei popoli, sono sistematicamente e gravemente violati, solo l’intervento della comunità internazionale e il libero esercizio del diritto dei popoli all’autodeterminazione possono garantire una risoluzione pacifica e civile di tali situazioni, senza ricorrere all’uso della forza, alla violenza, alla deportazione forzata e alla pulizia etnica.
Sullo sfondo del blocco in corso, delle massicce violazioni dei diritti individuali e collettivi del popolo dell’Artsakh e di altre azioni aggressive, gli sforzi della Baku ufficiale per presentare il conflitto dell’Azerbajgian-Karabakh come un loro affare interno sono un chiaro tentativo da parte del leadership dell’Azerbajgian per ottenere carta bianca dalla comunità internazionale per continuare la pulizia etnica dell’Artsakh ed espulsione dei suoi indigeni dalle loro terre d’origine. Consideriamo assolutamente inaccettabili le dichiarazioni di ultimatum e le minacce di Aliyev di scatenare una nuova guerra. Il popolo e le autorità dell’Artsakh rimangono impegnati nel percorso di libertà e indipendenza che hanno scelto, e nessuna minaccia o difficoltà creata dall’Azerbajgian può farci deviare da questo percorso.
Sono possibili negoziati tra Artsakh e Azerbajgian? La Repubblica di Artsakh è stata e continua ad essere impegnata nella risoluzione pacifica del conflitto tra l’Azerbajgian e il Karabakh. Crediamo che una pace duratura nella regione possa e debba essere raggiunta attraverso negoziati e sulla base di approcci reciprocamente accettabili. Le misure coercitive unilaterali possono, ovviamente, contenere il problema, ma questo sarà temporaneo, come evidenziato dai 70 anni di esistenza dell’Artsakh all’interno della RSS di Azerbajgian. Le questioni politiche della risoluzione del conflitto Azerbajgian-Karabakh dovrebbero essere discusse in un formato negoziale concordato e riconosciuto a livello internazionale, basato sulla parità di diritti delle parti e in presenza di forti garanzie internazionali per l’attuazione dei loro impegni.
Per quanto riguarda l’affrontare urgenti questioni tecniche e umanitarie, tali contatti tra le parti sono iniziati dopo il cessate il fuoco stabilito dalla Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre 2020. L’11 aprile le autorità della Repubblica di Artsakh, attraverso la missione di pace russa, hanno inviato una proposta alla parte azera di tenere un incontro nel luogo di schieramento e con la mediazione del comando delle forze di mantenimento della pace russe per discutere questioni umanitarie urgenti. Tuttavia, non vi è stata alcuna risposta dall’Azerbajgian.
L’Azerbajgian ha cercato di politicizzare questi contatti per eliminare la necessità di un meccanismo internazionale per la risoluzione del conflitto. Rifiutando il meccanismo internazionale di dialogo con lo Stepanakert ufficiale, l’Azerbajgian sta cercando di evitare l’attuazione di possibili accordi. Il coinvolgimento della comunità internazionale nel dialogo tra l’Artsakh e l’Azerbajgian è l’unico modo per garantire una soluzione globale del conflitto.
Qual è la sua posizione sull’affermazione della parte azera secondo cui, secondo la Dichiarazione di Alma-Ata del 1991, i confini tra le repubbliche federate sono considerati confini di stato e, pertanto, il Karabakh è riconosciuto come parte integrante dell’Azerbajgian? Innanzitutto, va notato che la Dichiarazione di Alma-Ata non è mai stata considerata una base politica e giuridica per la risoluzione del conflitto Azerbajgian-Karabakh o per la determinazione dello status dell’Artsakh. Ciò è indicato dal fatto che al momento dell’adozione di questa dichiarazione, i negoziati sulla risoluzione del conflitto tra l’Azerbajgian e il Karabakh erano già in corso da diversi mesi nell’ambito del processo di Zheleznovodsk, attraverso la mediazione della Federazione Russa e del Kazakistan. Dopo la firma della relativa dichiarazione, il processo di risoluzione del conflitto è proseguito con la mediazione della Russia, della CSI e della CSCE/OSCE. Come parte del processo di negoziazione, i mediatori internazionali hanno sviluppato i principi e gli elementi di base dell’accordo, secondo i quali lo status dell’Artsakh doveva essere determinato attraverso un’espressione legalmente vincolante della volontà della sua popolazione. In tal modo è stato riconosciuto il diritto del popolo dell’Artsakh all’autodeterminazione ed è stato proposto un meccanismo per la sua attuazione. Pertanto, le parti coinvolte nel conflitto e i mediatori internazionali non sono stati guidati dalla Dichiarazione di Alma-Ata nello sviluppo dei principi di base della soluzione.
Inoltre, la Dichiarazione di Alma-Ata, come qualsiasi documento internazionale, deve essere guidata dagli obiettivi e dai principi della Carta delle Nazioni Unite e da altre norme universali del diritto internazionale. Pertanto, la Dichiarazione di Alma-Ata contiene gli stessi principi e norme della Carta delle Nazioni Unite, compreso il diritto all’autodeterminazione.
A questo proposito, riteniamo necessario sottolineare che in caso di massicce e gravi violazioni dei diritti umani e di politiche discriminatorie, il diritto alla secessione basato sul principio dell’autodeterminazione dei popoli prevale sul principio dell’integrità territoriale degli Stati. Questa formula, in particolare, è descritta nella Dichiarazione sui principi del diritto internazionale concernente le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati, ed è anche sancita dalla giurisprudenza di vari Paesi.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-20 08:50:172023-04-22 08:50:54130° giorno del #ArtsakhBlockade. L’Azerbajgian vuole l’Artsakh senza gli Armeni, vuole l’Armenia e mette in pericolo l’ordine mondiale (Korazym 20.04.23)
Una ferita ancora aperta, un percorso della memoria inaugurato lo scorso anno dalla presidenza del Consiglio comunale e che questa mattina è stato celebrato in occasione della seconda Giornata del Ricordo del Genocidio del popolo Armeno.
Il Salone Capitolare della Scuola Grande San Teodoro ha ospitato la cerimonia nel corso della quale è stato ricordato il millenario legame tra Venezia e la popolazione armena presente in città fin dai tempi della Serenissima. Un’occasione per fare memoria, è stato spiegato, ma anche per fare tesoro delle tragedie del passato come monito per il presente e per il futuro.
All’intervento della presidente del Consiglio comunale Ermelinda Damiano sono seguiti quelli di Gagik Sarucanian, console onorario della Repubblica d’Armenia a Venezia e Caterina Carpinato, Prorettrice alla Terza Missione dell’Università Ca’ Foscari Venezia. Ai saluti istituzionali è seguito il dibattito al quale hanno preso parte Baykar Sivazliyan, presidente Unione Armeni d’Italia e Aldo Ferrari, professore di Lingua e Letteratura armena Università Ca’ Foscari Venezia. A moderare l’incontro è stata Germana Daneluzzi, presidente Associazione Civica Lido Pellestrina. All’incontro presente anche il consigliere comunale Emmanuele Muresu.
“Quella di oggi è una tappa importante del percorso istituzionale volto a ripercorrere la tragedia che ha colpito il popolo armeno – ha spiegato Damiano – come Amministrazione abbiamo voluto dare continuità al progetto culturale ‘per non dimenticare’ che ha fatto sì che Venezia sia davvero la città della memoria per eccellenza. Il legame profondo che lega la nostra città alla cultura e alla storia del popolo armeno ci ha spinti a intraprendere questo percorso commemorativo con un ricco programma di iniziative che, è importante sottolinearlo, coinvolgeranno i giovani e le scuole della nostra città affinché diventino testimoni di una storia che ci appartiene. L’importanza del fare memoria con i giovani è parte integrante dei nostri progetti”. “Un’occasione di incontro per spezzare il silenzio in cui queste tragedie rischiano di affondare” ha aggiunto il console Sarucanian sottolineando la vicinanza di Venezia e del Veneto al popolo armeno.
Al termine del dibattito la Cerimonia cittadina è proseguita con un reading musicale animato da canti popolari e canti sacri armeni, negli arrangiamenti del compositore Komitas, che si sono intrecciati con le poesie di Varujan, Teryan ed altri autori armeni. Alle letture, a cura dell’Associazione Voci di Carta, è seguito un intervento musicale di duduk, antico strumento tradizionale, eseguito da Narek Frangulyan.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-20 08:47:412023-04-22 08:49:46La presidente del Consiglio comunale Damiano alla celebrazione della seconda Cerimonia cittadina della Giornata del Ricordo del Genocidio del popolo Armeno (Comune Venezia 20.04.23)
Anche quest’anno, una cinquantina di cittadini veneziani, il 5 maggio prossimo, avranno la possibilità, nell’ambito degli eventi promossi dal Comune di Venezia per ricordare il Genocidio del popolo armeno, di partecipare ad una visita guidata gratuita all’Isola di San Lazzaro degli Armeni.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-20 08:44:022023-04-22 08:44:48Il podcast del Comune di Venezia: San Lazzaro degli Armeni (Comune Venezia 20.04.23)
Lunedì 24 aprile 2023 alle ore 18,30 presso la Chiesa di San Gregorio armeno in Bari Vecchia, adiacente alla Basilica di San Nicola l‘Associazione Armeni Apulia, commemorerà i martiri del Genocidio Armeno.
Al termine della Messa, insieme ai membri dell’associazione, i convenuti si trasferiranno presso il Khachkar (stele armena) posta sul lungomare Cristoforo Colombo per un momento di riflessione e letture sul tema.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-20 08:42:252023-04-22 08:43:33Commemorazione del Genocidio Armeno il 24 aprile a Bari (Corrierepl 20.04.23)
La giornata del 24 aprile di ogni anno ricorda i massacri del popolo armeno avvenuti nell’Impero Ottomano durante gli anni della Prima Guerra Mondiale. Questi terribili eventi sono ricordati in lingua armena come Medz yeghern, ovvero “il grande crimine”. Le repressioni cominciarono nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915, quando diverse centinaia di intellettuali armeni furono arrestati, torturati e uccisi per conto del movimento dei Giovani Turchi che allora governava l’impero ottomano. L’operazione continuò nei giorni successivi con numerose deportazioni verso l’interno dell’Anatolia.
Fu quello che è stato definito dalla Sottocommissione per i diritti umani dell’ONU nel 1976 e nel 1986, dal Parlamento europeo con la risoluzione del 1987, dal Parlamento italiano nel 2000, riconosciuto da Papa Francesco nel 2015 e dal Tribunale Permanente dei Popoli, “il primo genocidio del ‘900”. In questo terribile evento persero la vita circa un milione e mezzo di Armeni.
In occasione della Giornata dedicata al ricordo del genocidio armeno, il Comune di Reggio Calabria organizza, su iniziativa della Presidente dell’Ottava Commissione Consiliare Teresa Pensabene, dell’Assessora delegata alle relazioni internazionali, Lucia Nucera, e del Sindaco facente funzioni Paolo Brunetti, in collaborazione con la Comunità Armenia-Calabria, la Casa editrice Leonida e l’Associazione Anassilaos, una serie di iniziative, in solidarietà con il popolo armeno, per tenere viva la memoria di quanto accaduto affinchè Reggio Calabria e gli altri Comuni aderenti alla stessa iniziativa, siano “baluardo della libertà umana e della dignità della persona”, secondo i principi e le disposizioni della Costituzione della Repubblica.
Le attività in programma per ricordare il genocidio armeno
Si inizia con l’esposizione pubblica della bandiera della Repubblica Armena nella giornata del 24 aprile cui seguirà la diffusione dell’iniziativa affinchè l’intera cittadinanza sia partecipe del sentimento di solidarietà verso il popolo armeno; segue l’avvio dell’iter per l’approvazione di una mozione per il “Riconoscimento del Genocidio del popolo Armeno” affinchè il Comune di Reggio Calabria sia inserito nella lista dei “Giusti” insieme agli altri, Comuni, Regioni, Stati, che hanno adottato simili iniziative in passato; infine la conferenza presso la Sala dei Lampadari di Palazzo S. Giorgio “terribile evento persero la vita circa un milione e mezzo di Armeni solo genocidio. Storia e cultura del popolo armeno” a seguire Reading “In memoria del popolo armeno” con esposizione di libri di storia e cultura armena.
Tali iniziative hanno carattere civile allo scopo di consolidare ponti culturali importanti con il Popolo Armeno che, in particolare nel nostro Comune, ritrovano radici storiche risalenti ai secoli VIII e IX con testimonianze ancora oggi visibili e documentate su tutto il territorio. Esiste infatti un solidale e antico legame fra la nostra terra di Calabria e gli Armeni che nei secoli hanno trovato ospitalità presso numerosi centri calabresi, lasciando un ricco patrimonio culturale, linguistico, archeologico e monumentale.
Tutto questo manifesta che Reggio è stata e vuole essere una città aperta e solidale, in cui l’incontro tra diverse culture, l’integrazione fra i popoli e l’inclusione delle diversità sono strumento e forma di ricchezza e di sviluppo sociale, culturale e umano.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-20 08:38:282023-04-22 08:40:13Reggio ricorda il genocidio armeno: le iniziative in programma (Citinow 20.04.23)
L’eleganza dei suoi modi è la stessa che si ritrova nella sua scrittura: Laura Ephrikian ha presentato oggi a Cagliari, in via Tuveri, nell’aula Boscolo ospite del Consiglio nazionale delle ricerche, il suo libro “Una famiglia armena”, una analisi approfondita sul genocidio degli armeni nel 1915 per opera del movimento politico dei Giovani Turchi.
Ad accompagnarla in ciò, i giornalisti Carlo Figari e Maria Francesca Chiappe insieme al Professor Francesco Casula. Attrice, conduttrice, scrittrice e per tanti anni moglie di Gianni Morandi, Laura Ephrikian torna in Sardegna, isola che ha nel cuore sin da quando venne per la prima volta nel 1969, proprio con Morandi. «Furono giorni splendidi, abbiamo avuto l’opportunità di godere del mare della Sardegna quando ancora non era affollatissima».
L’emozione traspare dai suoi occhi, soprattutto quando ricorda il nonno Akop. «Riuscì a scappare prima del genocidio del 1915, raccontò a mio padre che i Giovani Turchi bruciarono la sua casa prima di riuscire a raggiungere a piedi Istanbul e ad imbarcarsi: fu un momento che lo segnò in particolare modo, essendo tra l’altro giovanissimo».
Tra i tanti progetti futuri spicca non solo l’attenzione rivolta verso l’Armenia ma anche verso l’Africa. «Parlare dell’Armenia è fondamentale, soprattutto in un periodo come questo dove troviamo un presidente della Turchia quale Erdogan. Da trent’anni, inoltre, vado in Kenya: la situazione dell’Africa è drammatica, bisogna focalizzarsi di più riguardo ciò e incentivare la cura dei bambini, perché proprio in loro stanno le speranze per il futuro».
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-19 08:52:452023-04-22 08:53:48Laura Ephrikian a Cagliari per la presentazione del libro “Una famiglia armena” (Unionesarda 19.04.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 19.04.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi è il giorno 129 dell’assedio dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. L’autocrate dell’Azerbajgian chiede che tutti gli Armeni della regione “trovino un altro posto dove vivere”, visto che non accettano la cittadinanza azera. Più che comprensibile, visto che dal 1988 l’Azerbajgian ha ucciso o espulso tutti i “suoi cittadini” armeni. Ieri [QUI], Ilham Aliyev ha ancora una volta parlato apertamente del suo obiettivo di pulizia etnica dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. È anche ironico sentire parlare di “fondamenti democratici” e “diritti umani” da questo autocrate armenofobo il cui regime è elencato nella sezione “il peggio del peggio” nell’ultimo rapporto di Freedom House.
Il #ArtsakhBlockade è pulizia etnica strisciante e il silenzio della comunità internazionale è assordante. Sembra che la concezione occidentale sia una pulizia auto-etnica non violenta, mentre il loro “partner affidabile” Ilham Aliyev preferisce l’opzione Srebrenica. “Sottomettiti o muori” non è qualcosa che dice qualcuno che vuole la pace. Aliyev è un criminale di guerra. L’Azerbajgian è uno Stato terrorista. «Aliyev ha nuovamente minacciato di pulizia etnica contro gli Armeni autoctoni dell’Artsakh. Nessuno può dettarci le sue regole dittatoriali nella nostra patria. P.S. non accettiamo la cittadinanza azera e abbiamo trovato un altro posto dove vivere: è la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh» (Artak Beglaryan, Consigliere del Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh).
«Non puoi ragionare con una tigre quando hai la tua testa nella sua bocca» (Siranush Sargsyan).
Trending sui social dei troll azeri: «Prendete il passaporto o andate via. In realtà basta andare via».
«Ho inviato una lettera a Ilham Aliyev esprimendo il mio desiderio di rinunciare alla mia cittadinanza azera. Mi vergogno profondamente di essere associato a un Paese che sta attivamente tentando di fare del male a me e alla mia famiglia, etichettandomi sulla televisione azera di continuo come traditore. Pertanto, rendo pubblica la mia lettera, come mezzo per dimostrare il mio sincero desiderio di dissociarmi dall’Azerbajgian e dalle sue azioni dannose» (MahammadMirzali).
Edmon Marukyan, Ambasciatore con Incarichi Speciali dell’Armenia, ha rivolto un appello alla comunità internazionale, esortando a proseguire gli sforzi per la creazione di un meccanismo internazionale per garantire i diritti e la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh: «Il Presidente azero Ilham Aliyev continua a insistere sul fatto che la questione del Nagorno-Karabakh è una questione interna e non ne discuteranno con nessuno. Vi ricordo ancora una volta che tre Stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU non si sono occupati di questioni interne. I co-Presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE, Russia, Stati Uniti e Francia, negoziano su questo tema da decenni. Ora anche l’Unione Europea è impegnata in questo caso. Pertanto, la questione del Nagorno-Karabakh non è una questione interna dell’Azerbajgan».
Marukyan ha ricordato che i diritti umani e le libertà fondamentali non sono stati considerati una questione interna per più di 70 anni dalla Seconda Guerra Mondiale, perché la comunità internazionale ha imparato da questo devastante avvenimento e che nessun dittatore o leader democraticamente eletto può essere autorizzato a violare diritti umani e commettere violazioni.
«Il popolo del Nagorno-Karabakh sta affrontando il pericolo della pulizia etnica. Pertanto, la comunità internazionale dovrebbe continuare a compiere sforzi per la risoluzione pacifica della questione, nonché la creazione di un meccanismo internazionale per garantire i diritti e la sicurezza degli Armeni del Nagorno-Karabakh tra i rappresentanti ufficiali dell’Azerbajgian e del Nagorno-Karabakh», ha concluso Marukyan.
Ieri 18 aprile 2023 è stata celebrata la Giornata Mondiale del Patrimonio, ricordandoci ancora una volta l’importanza di preservare e tutelare il patrimonio culturale mondiale. Sfortunatamente, oggi la maggior parte del patrimonio culturale dell’Artsakh è a rischio di distruzione totale da parte dell’Azerbajgian a seguito della guerra del 2020.
Il 23 aprile 2023, alle ore 19.15 inizierà l’annuale fiaccolata da piazza della Repubblica a Yerevan per commemorare il 108° anniversario del genocidio armeno. L’Unione Giovanile Armena della Federazione Rivoluzionaria Armena organizza dal 1999 la marcia annuale delle fiaccolate del 23 aprile, alla vigilia della Giornata della memoria del genocidio armeno. Ogni anno, centinaia di cittadini con torce marciano da piazza della Libertà o piazza della Repubblica a Tsitsernakaberd (il monumento eretto a Erevan quale memoriale del Genocidio armeno perpetrato dal governo dei Giovani Turchi dell’Impero ottomano) per onorare le vittime del genocidio armeno e chiedere le giuste riparazioni per il crimine commesso dalla Turchia. La marcia con le torce simboleggia le rivendicazioni del popolo armeno, la lotta per le giuste riparazioni, l’unità nazionale e la determinazione a continuare la lotta. Questa marcia annuale si svolge non solo a Yerevan ma anche nelle province armene e in tutto il mondo, oltre che nell’Artsakh.
È stato avviato un procedimento penale contro due militari azeri, Agshin Babirov e Husein Akhundov, che – come abbiamo riferito [QUI] – hanno attraversato illegalmente il confine da Nakhijevan nella provincia armena di Syunik il 10 aprile 2023 e sono stati arrestati. Secondo quanto riferito, i due Azeri sono stati avvistati per la prima volta nel villaggio di Bnunis, provincia di Syunik il 10 aprile. Il primo militare azero è stato trovato lo stesso giorno dai residenti del villaggio di Ashotavan di Sisian, villaggio situato a pochi chilometri da Bnunis. Il 13 aprile il secondo militare azero è stato trovato da tre residenti, a tre chilometri dal villaggio di Achanan, vicino a Kapan. Entrambi sono stati detenuti per aver attraversato illegalmente il confine armeno e aver trasportato illegalmente armi da fuoco e munizioni.
Ieri, durante l’incontro con l’Alto consigliere del Segretario di Stato Statunitense, il Ministro degli Esteri dell’Azerbajgian ha chiesto l’immediato rilascio dei due militari azeri. Bayramov ha affermato che i due militari sono stati “catturati e contro uno di loro è stata usata violenza fisica”. Ma il fatto è che non sono prigionieri di guerra, ma cittadini azeri arrestate e le forze dell’ordine armene stanno conducendo un’indagine. Nei media armeni è stato suggerito che i militari azeri dovrebbero essere restituiti all’Azerbajgian se Baku rilascerà i militari armeni imprigionati illegalmente.
Husein Akhundov, il secondo dei due militari arrestati in Armenia è stato accusato dell’omicidio di un guardiano nel posto di guardia della Zangezur Copper-Molybdenum Combine a Shgharshik, città di Kapan, regione di Syunik, Il militare è stato trovato con il telefono, le sigarette e l’accendino della guardia uccisa. Mentre era ancora in libertà, ha pubblicato un videomessaggio dal telefono del guardiano assassinato: “Abbiamo raggiunto l’Armenia, abbiamo versato il sangue, decapitato 400-500 armeni. Meno male che non siamo ancora morti․ Se moriamo, ringraziateci. Non siamo traditori della Patria”.
Gor Ohanjanyan, uno dei residenti locali che aveva fermato il militare azero, ha detto che quest’ultimo è stato trovato in uniforme militare azera, in possesso di munizioni miste, maschere e il telefono della vittima dell’omicidio. La gente del posto lo ha trattenuto fino all’arrivo della polizia. Il soldato era bagnato e sporco al momento della sua cattura.
Narek Ghahramanyan, membro del Parlamento della fazione Contratto Civile, nato a Syunik, ha riferito ieri che era stato avviato un procedimento penale, sebbene le forze dell’ordine non abbiano annunciato ufficialmente questa notizia. Ha informato che il militare azero ha ammesso di aver ucciso la guardia della miniera. “Il secondo prigioniero, che è passato da Nakhichevan all’Armenia, ha ucciso lui stesso Hayrapet Meliksetyan, la guardia della Zangezur Copper-Molybdenum Combine, con 6 colpi, se non mi sbaglio. Ho anche informazioni chiare che ha anche confessato a riguardo”, ha detto Ghahramanyan a Radio Liberty. Secondo il Deputato, le forze dell’ordine non l’avevano ancora annunciato, forse perché non è stata ancora ritrovata l’arma con cui il militare azero ha ucciso la guardia. “L’arma è nel bosco, la stanno cercando, ma ripeto, non ci sono dubbi”.
Oggi sono stati rivelati i dettagli di come il militare azero abbia ucciso il dipendente della Zangezur Copper-Molybdenum Combine nel territorio dell’Armenia.
Oggi, l’Ufficio del Procuratore Generale dell’Armenia ha confermato che Husein Akhundov è accusato di aver ucciso la guardia della Zangezur Copper-Molybdenum Combine. La Procura riferisce che è stato accertato che Akhundov ha raggiunto il posto di guardia della Zangezur Copper-Molybdenum Combine il 12 aprile, con l’obiettivo di rubare il cellulare e l’auto del cittadino armeno Hayrapet Meliksetyan. Voleva poi trasferirsi in Iran, attraversando illegalmente il confine di stato dell’Armenia. Akhundov ha sparato a Meliksetyan, lo ha ucciso, gli ha rubato il telefono, le sigarette e l’accendino. Successivamente, ha provato ad avviare il motore dell’auto ma non ci è riuscito ed è scappato. L’Ufficio del Procuratore Generale dell’Armenia riferisce che il motivo di Akhundov per uccidere l’impiegato armeno del posto di guardia era l’odio nazionale, l’intolleranza e l’intenzione di togliergli la vita illegalmente con il motivo dell’inimicizia. Akhundov ha lasciato la scena dell’omicidio e ha girato un videomessaggio utilizzando il telefono cellulare rubato e lo ha pubblicato sulla sua pagina del social network. Dopo l’omicidio, Akhundov si è spostato nel villaggio di Achanan, dove è stato trovato dai residenti il 13 aprile, che l’hanno neutralizzato e consegnato alle forze dell’ordine armene. L’Ufficio del Procuratore Generale dell’Armenia riferisce che è stato avviato un procedimento penale pubblico contro i cittadini azeri Agshin Babirov e Husein Akhundov che entrato in Armenia illegalmente e sono stati detenuti. Contro Akhundov è stato avviato un procedimento penale pubblico sulla base di diverse accuse. Secondo l’accusa, Akhundov ha attraversato illegalmente il confine di stato dell’Armenia con il previo accordo di un gruppo di persone. Ha trasportato illegalmente armi da fuoco e munizioni oltre il confine di Stato dell’Armenia, custodito e trasportato armi da fuoco. Inoltre, Akhundov è accusato di aver ucciso illegalmente un cittadino armeno con la motivazione dell’odio nazionale, dell’intolleranza e dell’inimicizia. Il corpo di Akhundov è stato esaminato durante il trasferimento al penitenziario, a seguito del quale sono state riscontrate ferite. Il comitato investigativo ha avviato un procedimento penale per scoprire le circostanze delle lesioni riscontrate sul corpo di Akhundov.
Il 18 aprile 2023 si è tenuta a Baku una sessione informativa con l’organizzazione congiunta della Comunità dell’Azerbajgian occidentale, dell’Unione pubblica “Sviluppo regionale” RİİB e dell’Unione delle organizzazioni di volontariato dell’Azerbajgian, al fine di promuovere le attività dei volontari nel “trasmettere le verità dell’Azerbajgian occidentale alla comunità mondiale”. All’evento organizzato nell’edificio amministrativo della Comunità dell’Azerbajgian occidentale a Baku hanno preso parte rappresentanti delle istituzioni statali, capi di organizzazioni di volontariato e più di 100 volontari azeri.
Con “AzerbaJgian occidentale” il regime autocratico di Baku intendo il territorio sovrano della Repubblica di Armenia e queste organizzazioni governative dell’Azerbajgian forniscono gli “eco-attivisti” che bloccano il Corridoio di Berdzor (Lachin), come abbiamo rilevato già in più occasioni [QUI]. Quindi, si tratta di qualcosa da tenere d’occhio. Questi volontari sono chiaramente destinati a essere il volto pubblico delle operazioni di pulizia etnica dell’Azerbajgian.
Il 18 aprile 2023 la volontaria della RİİB era all’incontro su come convincere il mondo che il territorio sovrano dell’Armenia è l’Azerbajgian occidentale.In precedenza questa volontaria della RİİB stava sventolando la bandiera dell’Azerbajgian sul posto di blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin).E questa è la volontaria della RİİB l’anno scorso mentre riceve un premio del Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev.
«L’Azerbajgian ha occupato parte dell’Armenia, tiene sotto assedio gli Armeni dell’Artsakh dopo aver occupato con la guerra gran parte della loro terra, ignora gli ordini della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite. Il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan si comporta con saggezza e attenzione, mentre è immaginabile quanto sia difficile la situazione che ha da affrontare, come si addice al personaggio di The Witcher[*]» (Aram Tumanyan): «Di recente, ho incontrato un numero enorme di cosiddetti “Armeni” che promuovono attivamente gli interessi della Russia in Armenia. Usando il blocco dell’Artsakh, accusano Pashinyan di inerzia o tradimento. Lasciatemi dire una cosa: Aliyev vuole una soluzione energica alla questione del Karabakh. Aliyev ha bisogno della guerra, ma non dell’Armenia. Chi ha provocato o manipolato questo blocco? I metodi del KGB sono di trovare una leva, che è il blocco dell’Artsakh, sul leader politico di un Paese sovrano e usarla per promuovere i propri interessi. Pashinyan ha scelto un percorso di sviluppo europeista e alla Russia non piace. Putin ha bisogno di costringerlo a essere più accomodante, quindi il problema del Karabakh è ricomparso. È per questo motivo che i “peacekeeper” russi guardano con calma all’aggressione dell’Azerbajgian, non impediscono l’attuazione del lento genocidio della popolazione e non adempiono ai loro obblighi. Loro ed io siamo la principale forza destabilizzante nella regione. Farò una domanda – se al posto dei “peacekeeper” russi ci fosse un contingente di mantenimento della pace delle Nazioni Unite – la Turchia, in quanto membro della NATO, o qualsiasi altro paese, potrebbe pensare all’aggressione sul territorio dell’Armenia? Quindi la retorica “Pashinyan è inattivo” è proprio la posizione russa: o costringerlo a collaborare, o provare a cambiarlo per un leader filo-russo, provocando malcontento pubblico. Spero che i miei fratelli Armeni siano abbastanza saggi da vedere questa manipolazione primitiva e trarre le conclusioni appropriate su chi è nostro amico e chi no».
[*] The Witcher è una serie di romanzi, fumetti, videogiochi, serie televisive, film e altri media ispirati alla serie di romanzi fantasy dello scrittore polacco Andrzej Sapkowski, la Saga di Geralt di Rivia, un cacciatore di mostri mutante, che viaggia verso il suo destino in un mondo turbolento in cui le persone spesso si dimostrano più perverse delle bestie.
Pashinyan: l’Armenia ha riconosciuto il Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbajgian
Il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha affermato che adottando i Principi di Madrid come base per la risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh nel 2007, l’Armenia ha riconosciuto il Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbajgian. Pashinyan ha fatto le osservazioni ieri in Parlamento in risposta a una domanda del Deputato di Hayastan, Artur Khachatryan, di chiarire perché il rapporto del 2022 sul programma del governo non menziona il diritto all’autodeterminazione del popolo del Nagorno-Karabakh quando il programma del governo 2021-2026 lo ha indicato come una delle basi per la risoluzione del conflitto.
Pashinyan ha risposto che nell’eredità negoziale che ha ricevuto nel 2018 non c’è la dicitura “popolo del Nagorno-Karabakh”, ma piuttosto la dicitura “l’intera popolazione del Nagorno-Karabakh”. “Quelle parole sono molto importanti. Sì, il popolo è un’entità costitutiva ai sensi dell’Atto di Helsinki e di tutti gli altri atti. La popolazione non è un’entità costitutiva, nel senso che non è un’entità alla sovranità. E terzo, se diciamo autodeterminazione, da chi e dove ci autodeterminiamo? Ad esempio, perché non stiamo dicendo che l’Armenia si autodetermina? Perché l’Armenia si è autodeterminata con la Dichiarazione di Alma Ata del 1991. Da chi? Dall’Unione Sovietica, perché faceva parte dell’Unione Sovietica”, ha detto Pashinyan.
Pashinyan ha spiegato che l’Armenia aveva un concetto su questo problema prima del 2007. Il concetto era il seguente: anche il Nagorno-Karabakh, come gli altri, si è autodeterminato dall’Unione Sovietica e c’era una narrazione di cui il Nagorno-Karabakh non ha mai fatto parte Azerbajgian. Nel 2007 sono emersi i Principi di Madrid, che stabiliscono che la determinazione dello status del Nagorno-Karabakh e l’intero processo debbano essere concordati con l’Azerbajgian. “Perché deve essere concordato con l’Azerbaigian se non riconosciamo il Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbajgian? Abbiamo riconosciuto il Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbaigian con i Principi di Madrid. Ho detto che è un problema quando il contenuto dei nostri negoziati e la narrazione pubblica non corrispondono. Abbiamo riconosciuto ma non l’abbiamo detto, e tutte le guerre e i combattimenti erano collegati a questo”, ha detto Pashinyan.
Pashinyan ha aggiunto che un’entità per l’autodeterminazione è quella che vuole autodeterminarsi, ma il Nagorno-Karabakh è stato escluso dal processo negoziale nel 1998. Dopo questo, il diritto all’autodeterminazione è stato semplicemente lasciato scritto nell’Atto finale di Helsinki.
Khachatryan ha sostenuto che Pashinyan equipara l’autodeterminazione all’indipendenza, mentre l’Atto finale di Helsinki definisce l’autodeterminazione come qualcosa di completamente diverso. Ad esempio, ha affermato il deputato, l’Armenia potrebbe autodeterminarsi e decidere che non ha più bisogno di una repubblica parlamentare e adottare la teocrazia. Il deputato ha sostenuto che questo è lo scopo dell’Atto finale di Helsinki.
Pashinyan ha risposto dicendo che l’Azerbajgian ha detto la stessa cosa durante l’intero processo negoziale. “Stavano anche dicendo che l’autodeterminazione non significa che debba esistere uno stato indipendente. Dicevano anche che l’entità di quell’autodeterminazione non sono solo gli Armeni del Nagorno-Karabakh, anche gli Azeri sono un’entità, dicevano che anche gli Azeri devono decidere. Ecco perché sto parlando della formulazione popolo-popolazione. Nel 2019 ho detto che il negoziatore della questione del Nagorno-Karabakh deve essere un rappresentante del popolo del Nagorno Karabakh perché il popolo del Nagorno-Karabakh non ha votato alle nostre elezioni parlamentari, quindi non ho un mandato. Ho continuamente e costantemente espresso queste posizioni”, ha detto Pashinyan.
Alla domanda sulla sua visione di uno status futuro per il Nagorno-Karabakh, Pashinyan ha detto che non si può parlare di uno status futuro fintanto che lo status che ha finora non è stabilito nella logica della narrazione espressa dal deputato.
Parlando dell’osservazione del deputato in merito alla sentenza della Corte Internazionale Giustizia sulla questione del Kosovo, Pashinyan ha affermato che la Corte ha stabilito che l’autodeterminazione non richiede il permesso delle autorità centrali. “Anche il Presidente russo ne ha parlato nel contesto degli eventi in Ucraina. Ha detto che una regione non deve fare domanda alle [autorità centrali] per l’autodeterminazione. Si è discusso molto allora, ma nessuno si è accorto che già nel 2007, con i Principi di Madrid, abbiamo accettato che dobbiamo farlo insieme a loro, non si può fare unilateralmente. Ecco perché sto dicendo che abbiamo avuto un concetto diverso prima del 2007”, ha detto Pashinyan.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-19 08:51:072023-04-22 08:52:42129° giorno del #ArtsakhBlockade. È pulizia etnica strisciante e il silenzio della comunità internazionale è assordante (Korazym 19.04.23)
C’è tensione crescente nel sud del Caucaso. Il blocco del corridoio di Lachin, ostaggio di un gruppo di sedicenti attivisti ambientali azeri, sta avendo un effetto a macchia d’olio su altri territori. La crisi umanitaria peggiora e così pure i margini di un accordo. Le armi nel frattempo non tacciono
Dal 12 dicembre continua il presidio permanente dei così detti eco-attivisti azeri che presidiano il corridoio di Lachin, all’altezza del posto di controllo n. 7 dei peacekeepers russi senza che questi ultimi abbiano ancora preso il corridoio sotto la propria tutela come da mandato. Al contrario a fine marzo il giornale armeno Hraparak ha accusato i peacekeepers di stare lucrando sulla situazione. Ogni giorno passano decine di mezzi dei peacekeepers, unici a transitare insieme alla Croce Rossa che ha già trasportato oltre 300 malati. Stando a Hraparaki peacekeepers stanno violando un accordo con il governo armeno secondo il quale 10 dei loro mezzi al giorno erano riservati ai trasporti alimentari o medici del governo armeno per i secessionisti. Li avrebbero ridotti a 8 perché con il blocco si è fatto più lucroso fare contrabbando e per questo usano più mezzi e con un prezzo rincarato dal precedente 1.000-2.000 dollari a carico agli attuali 10.000. L’ordine di sblocco emesso dalla Corte Internazionale di Giustizia rimane così disapplicato.
Scontri
Il blocco di Lachin sta avendo un effetto a macchia d’olio non solo per la crisi umanitaria, ma anche perché la logistica e la mobilità si sta modificando, coinvolgendo a catena altri territori.
La crisi insorta rispetto ai recenti avanzamenti militari azeri – legati ad una bretella che dovrebbe diventare parte della nuova viabilità – si è rivelata sempre più letale. Stando alle ricostruzioni armene , l’11 aprile un’unità militare azera si sarebbe avvicinata ai soldati armeni impegnati in attività di fortificazione del proprio presidio, sarebbe seguita una discussione e poi un effettivo combattimento. Il ministero della Difesa azero ha invece dichiarato quel giorno che unità delle forze armate armene situate in direzione dell’insediamento di Digh [Dığ] nel distretto di Gorus [Goris] hanno sparato intensamente con armi leggere contro posizioni azere in direzione di Lachin. Il bilancio è di 4 morti e 6 feriti armeni, 3 morti e 4 feriti azeri.
La zona dello scontro è quella di Tegh, recentemente interessata da un riassestamento delle posizioni e con un quadro negoziale in corso che registra un ulteriore peggioramento. La questione del mancato accordo sui confini si fa sempre più sanguinosa, e in generale si registra un nuovo peggioramento delle prospettive di soluzione pacifica dei contenziosi. Come prima della guerra dei 44 giorni del 2020, gli scontri si fanno sempre più frequenti e più sanguinosi. Pochi giorni prima di questo combattimento fra unità configgenti, un altro armeno era morto sempre lungo il confine sud orientale fra i due paesi, confine appunto non concordato, e di conseguenza né delimitato né demarcato.
Il 14 aprile alla cerimonia di apertura del Campionato europeo di sollevamento pesi ospitata dall’Armenia è stato dato fuoco alla bandiera dell’Azerbaijan , causando la reazione sdegnata della delegazione di atleti azeri che hanno abbandonato la gara e il paese. Gli atleti turchi che hanno vinto medaglie durante il weekend di gare si sono fatti fotografare con la bandiera azera in segno di solidarietà.
Un meridione nervoso
Il sud dell’Armenia, verso il nuovo confine con l’Azerbaijan e verso il Nakhchivan, è sempre più attraversato da tensioni. Il confine ancora non c’è ufficialmente e già è insanguinato. Ma è anche il sud dell’Azerbaijan ad essere area di nervosismo. Azerbaijan e Iran in vari momenti della loro storia hanno avuto motivi di scontro: l’Azerbaijan è paese a maggioranza sciita, come l’Iran, ma è laico e si è difeso con energia dai tentativi più o meno espliciti iraniani di politicizzare la religione per estendere l’influenza del proprio regime nell’area. Sono due paesi rivieraschi del Caspio, altra area la cui delimitazione e lo sfruttamento sono ostici.
L’Iran ospita una numerosa minoranza azera, contigua territorialmente con l’Azerbaijan, e le rivendicazioni irredentiste sono state in passato causa di tensioni. Recentemente Baku si è nuovamente lamentata dell’assenza di istruzione in azero in Iran per la numerosa minoranza. Ma il vero fulcro della questione ora è il così detto corridoio di Zangezur, come lo definisce Baku, che dovrebbe riunificare l’Azerbaijan con il Nakhchivan e aprire la strada anche alla Turchia verso il Caspio. Il “Corridoio” dovrebbe essere una rete di viabilità e infrastrutture, ma Teheran teme diventi una lingua di terra che la separerebbe dal suo sbocco sull’Armenia e di fatto metterebbe “i turchi” fra l’Iran e il Caucaso, terra che da secoli è contesa fra Iran e Turchia, e – da un paio di secoli – Russia. In questo quadro si è inserito anche l’aspetto dei rapporti con paesi non dell’area, in particolare i buoni rapporti di Baku con Israele, causa di invettive dal tono nettamente poco diplomatico di Teheran.
L’ultimo capitolo di questo lungo e complicato percorso fra i due paesi è la secca comunicazione del ministero degli Esteri azero che ha reso noto di aver convocato il 6 aprile l’ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Islamica dell’Iran e che durante l’incontro è stata espresso forte malcontento per le azioni provocatorie iraniane. Quattro dipendenti dell’ambasciata iraniana sono stati dichiarati persone non gradite dal governo azero a causa delle loro attività ritenute incompatibili con lo status diplomatico ed è stato chiesto loro di lasciare il territorio dell’Azerbaijan entro 48 ore.
Ciononostante i due paesi mai come oggi possono trarre beneficio dai rapporti commerciali reciproci. La chiusura a ovest della Russia infatti ha reso il corridoio nord-sud caucasico ancora più importante, e i numeri dimostrano che la crescita dell’interscambio c’è ed è poderosa. Baku poi dipende ancora dall’Iran per raggiungere il Nakhchivan, finché l’apertura delle vie commerciali concordata con il cessate il fuoco con l’Armenia nel 2020 rimane sulla carta.
Sia Baku e Ankara che Teheran sanno che se la capacità di presenza russa in Caucaso dovesse contrarsi, si aprirebbe lo spazio per ristabilire vecchie ambizioni, e relative vecchie rivalità. E in un momento di così grande incertezza, nessuno si vuol far trovare impreparato.
«Non grida, non piange, rimane pietrificata a guardare». Ha un nome poetico, Aghavnì e un cuore frantumato per via di quello che ha visto compiersi nel suo villaggio armeno dai soldati turchi. Tutti sapevano che prima o poi sarebbe accaduto il peggio, che la tragedia immane del genocidio del 1915 si stava materializzando, eppure il destino avanzava implacabile e gli armeni in fondo erano ciechi. La giovane Aghavnì ripercorre quei giorni terrificanti attraverso la penna immaginifica di Antonia Arslan, autrice del best seller «La Masseria delle allodole», il libro sulla sua famiglia armena che la ha consacrata tra i più grandi scrittori italiani contemporanei. Ora riprende quel filo interrotto e ha dato alle stampe un alta opera piena di passione, intitolata «Il destino di Aghavnì» (edizioni Ares, pagine 120, euro 15) in cui fa affiorare da un cassetto pieno di ricordi ingialliti la vita intrecciata e misteriosa di una sua parente sopravvissuta allo sterminio costato la vita a quasi due milioni di cristiani armeni che, all’epoca, vivevano sotto l’Impero Ottomano.
Dalla fotografia di questa bimbetta, sorella di suo nonno, ritrovata a casa di un cugino che oggi vive in America la Arslan ne ha tratto uno spaccato storico ricco di colpi di scena ma pieno di poesia, dove il dolore che affiora dalle pagine si mescola alla speranza, il coraggio si avvicina alla rinascita e al riscatto del cuore.
Sopravvivere non è mai facile specie se il peso della memoria si trascina nel silenzio fino a immaginare il resto degli eventi. Aghavnì aveva 23 anni quando uscì di casa con i suoi bambini e da allora nessuno seppe più nulla di lei. Eppure l’amore di chi è sopravvissuto allo sterminio ha attraversato oltre un secolo fino a farla rivivere in un immaginario presepe, nel giorno di Natale. «E fu così che il Bambino arrivò, atteso e festeggiato anche nel solitario villaggio sulla montagna». Arslan si concede un resoconto fiabesco a riprova che l’amore per la vita prevale sul buio della notte del cuore e traccia sovente disegni impensabili.
L’ultima pagina del romanzo storico è incorniciata in un fotografia nella quale appare una coppia di benestanti signori ottocenteschi. Lui ha un paio di vistosi baffoni, veste un completo austero mentre lei indossa un elegante modello di sartoria lungo fino ai piedi e chiuso al collo, secondo la moda di quel periodo. Sotto appare la scritta: Noemi e Levon Arslanian, fratello minore di Aghavnì. 1912.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-04-18 14:33:592023-04-18 14:36:35Antonia Arslan, un libro sulla sua storia famigliare di sopravvissuti al genocidio armeno (Il Messaggero 18.04.23)
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