L’accordo per una via che colleghi Azerbaigian e Turchia passando dall’Armenia può stabilizzare la regione. Su cui si giocano gli interessi di tutte le grandi potenze globali
«Hanno combattuto per trentacinque anni. Adesso sono amici, e lo resteranno a lungo». Con queste parole, l’8 agosto, il presidente statunitense DonaldTrump ha aperto a Washington la conferenza stampa di un vertice salutato come storico. Alla sua destra il presidente azero Ilham Aliyev e alla sinistra il premier armeno Nikol Pashinyan, mai così sorridenti allo stesso tavolo. Malgrado restino degli ostacoli alla firma del trattato di pace, la dichiarazione sottoscritta alla Casa Bianca segna uno spartiacque: Baku e Erevan si sono impegnate a sviluppare relazioni «basate sull’inviolabilità dei confini».
Il coinvolgimento di aziende americane nella realizzazione della “Trump Route for International Peace and Prosperity”, una strada che, attraverso l’Armenia, connetterà l’Azerbaigian all’exclave del Nakhchivan e alla Turchia, non solo risolve la questione più spinosa nei negoziati tra le due ex repubbliche sovietiche, ma ha il potenziale per incidere sulle rotte commerciali globali divenendo parte del Corridoio di mezzo: la via più breve tra la Cina e l’Europa. Eppure, non mancano le incognite.
Il collegamento terrestre primario tra il gigante asiatico e il Vecchio Continente è il Corridoio settentrionale, che passa per il Kazakistan, la Russia e la Bielorussia. Le sanzioni occidentali imposte a Mosca all’indomani dell’invasione su larga scala dell’Ucraina hanno però incentivato lo sviluppo di una rotta alternativa – la Trans-Caspian International Transport Route, o Corridoio di mezzo – una rete di ferrovie e porti che si snoda lungo l’Asia centrale, il mar Caspio e il Caucaso del Sud, per poi proseguire tramite la Turchia o il mar Nero. Il traffico lungo questo tragitto è cresciuto sensibilmente in pochi anni: il volume delle merci, circa 600mila tonnellate nel 2021, ha superato i 4 milioni alla fine del 2024 e, secondo la Banca mondiale, triplicheranno entro il 2030. Una connessione tra l’Azerbaigian, l’Armenia e la Turchia, tratta sigillata dal primo conflitto del Nagorno Karabakh, ridurrebbe i tempi di transito e migliorerebbe la resilienza della rotta: l’itinerario attraverso la Georgia non sarebbe più l’unica opzione.
L’Unione europea ha iniziato a interessarsi a un corridoio commerciale che eluda la Russia anni prima della guerra in Ucraina, ma quest’ultima ha avuto una funzione catalizzatrice. Nel 2024, Bruxelles si è impegnata a investire 10 miliardi di euro nelle infrastrutture di trasporto in Asia centrale: un’attenzione che riflette anche la crescente importanza delle materie prime essenziali per la transizione energetica e abbondanti nella regione, in particolare in Kazakistan e Uzbekistan.
Per quanto riguarda Pechino, «prima del 2022 il suo impegno nel Corridoio di mezzo era minimo, ma da allora è cresciuto drammaticamente», nota Yunis Sharifli, ricercatore del China Global-South Project, che osserva come la possibilità di accedere ai mercati internazionali attraverso una varietà di rotte sia un elemento chiave nella strategia del Dragone. L’analista cita il conflitto in Ucraina, le ricorrenti crisi nel trasporto attraverso il mar Rosso causate dagli attacchi degli Houthi, l’instabilità in Medio Oriente, quindi delle rotte che passano per l’Iran, come elementi che stanno favorendo la crescita della via transcaspica. Con un occhio non solo al processo di normalizzazione tra Armenia, Azerbaigian e Turchia, ma anche tra Kirghizistan e Tagikistan, parte del più ampio rafforzamento della cooperazione tra le nazioni centroasiatiche, questo allineamento, ritiene Sharifli, sta agevolando «l’emergere di una rotta stabile e priva di rischi legati alle sanzioni. Malgrado una partnership strategica con Mosca – prosegue l’esperto – Pechino vuole ridurre la propria dipendenza dalla rotta russa» e investendo nel Corridoio di mezzo «accresce al contempo l’influenza cinese nei paesi dell’Asia centrale e del Caucaso meridionale». È però importante sottolineare che qualsiasi discorso sulla rotta transcaspica è legato al concetto di diversificazione e non di sostituzione: una volta ultimate tutte le infrastrutture, il Corridoio di mezzo, stima Sharifli, «potrebbe ridurre la dipendenza dalla rotta russa del 40 per cento».
Seppur in competizione, le iniziative di Pechino e Bruxelles in Asia centrale e nel Caucaso meridionale presentano aree di potenziale complementarità. E il crescente impegno dell’Ue in regioni a lungo sottoposte all’egemonia di Mosca, per quanto non accolto con favore, non è percepito dal Cremlino come una grave minaccia. Una presenza statunitense in Armenia introduce invece un elemento potenzialmente destabilizzante in un quadro geopolitico delicato, dove, oltre alla Russia, è attivo un altro attore di peso: l’Iran. Tuttavia, reputa Richard Giragosian, direttore del Regional Studies Center di Erevan, sebbene Trump «abbia giocato un ruolo nel mettere in moto questa opportunità», e il suo intervento sia un deterrente all’uso della forza da parte di Baku, il progetto non è sostenuto da un forte interesse nazionale Usa, ma piuttosto «trainato dall’ego [del presidente]». La Russia si è astenuta dal criticare l’intesa: «Dubita della solidità dell’impegno statunitense», ritiene Giragosian. Mosca è inoltre consapevole che un’opposizione aperta alienerebbe sia Baku sia Erevan. «Se i russi si muoveranno con intelligenza, cercheranno di ritagliarsi un ruolo accanto alle aziende statunitensi», riflette l’analista. Inoltre, nota Sharifli, «la Russia sta investendo nel Corridoio nord-sud, che attraverso l’Azerbaijan e l’Iran giunge in India. Questa strada potrebbe integrarvisi, fornendo a Mosca un nuovo accesso alla Turchia».
Quanto all’Iran, «aveva tracciato una linea rossa: nessuna modifica al proprio confine con l’Armenia, e questa richiesta è stata soddisfatta», ricorda Giragosian. Il presidente iraniano MasoudPezeshkian si è recato in visita ufficiale a Erevan il 18 agosto, e Pashinyan ha fatto del suo meglio per rassicurarlo, affermando che, se venissero aperti i collegamenti con l’Azerbaigian, anche l’Iran potrebbe accedere al mar Nero. L’intesa raggiunta a Washington, ha sottolineato il premier armeno, «non implica una presenza di forze Usa», solo commerciale. Teheran resta preoccupata. Secondo Sharifli, né Baku né Erevan «intendono permettere che la rotta venga utilizzata come strumento geopolitico».
E così, in una singola strada nel Sud dell’Armenia si intersecano gli interessi di Washington, Bruxelles, Pechino, Mosca, Teheran e Ankara. Se mal gestita, rischia di fare del Caucaso meridionale un nuovo palcoscenico della rivalità globale. Se maneggiata con attenzione, potrebbe persino rivelarsi fedele al proprio nome.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2025-09-04 19:02:112025-09-07 19:03:34Nel Caucaso la pace passa per la strada (L'Espresso 04.05.25)
In Armenia l’autunno segna un cambio di ritmo: i boschi si tingono di rosso e oro, i vigneti si preparano alla vendemmia e l’aria diventa frizzante ma ancora piacevole. È un periodo in cui i visitatori sono meno numerosi, ma le occasioni per scoprire il Paese non mancano, tra natura, cultura e tradizioni.
Geghard Monastery Armenia
Dal cielo al foliage: la natura in primo piano
Ottobre e novembre regalano orizzonti limpidi, perfetti per ammirare il tramonto sul monte Ararat, che domina Yerevan e le vallate circostanti. Chi vuole osservare l’autunno dall’alto può partecipare al Discover Armenia from the Sky International Balloon Festival (11-15 ottobre), quando mongolfiere provenienti da diversi Paesi colorano i cieli della capitale e di altre località. Per gli amanti dell’adrenalina, il parapendio nella regione di Tavush, sul lago Sevan o sopra il bacino artificiale di Azat offre prospettive spettacolari sui paesaggi autunnali.
Trekking, parchi e paesaggi termali
Gli appassionati di camminate trovano nel Parco Nazionale di Dilijan sentieri immersi nei boschi, con viste sui laghi di Parz e Gosh. Anche la regione di Lori è una meta ideale per chi cerca il foliage: qui il Dendropark di Stepanavan ospita oltre 500 specie vegetali che, in autunno, si tingono di tonalità sempre diverse. Chi sceglie un itinerario in auto verso Jermuk, la più importante località termale armena, si imbatte in cascate, vallate e scorci naturali ancora poco conosciuti.
Appuntamenti d’autunno: dal vino alla maratona
Il 4 ottobre, nella regione vitivinicola di Areni, si svolge l’Areni Wine Festival, occasione per scoprire le eccellenze locali e visitare la cantina più antica del mondo, risalente a oltre 6.000 anni fa. Degustazioni, musica e incontri con i produttori animano il borgo per tutta la giornata. Nello stesso giorno, a Yerevan, si corre la Maratona cittadina, un evento sportivo che attraversa un centro urbano ricco di parchi e spazi verdi, fondato nel 782 a.C., ben prima di Roma.
Sapori e tradizioni della stagione
Nella capitale non mancano locali dove assaggiare piatti tipici e vini armeni, ma le esperienze più suggestive si vivono nelle cantine fuori città, soprattutto al tramonto, tra vigneti e musica dal vivo. In periodo di vendemmia alcune aziende coinvolgono i visitatori nella raccolta dell’uva. Tra le ricette della stagione spicca il ghapama, una zucca cotta al forno ripiena di riso, frutta secca, miele e burro, servita durante le festività autunnali.
Ghapama
L’Armenia, in questa stagione, si presenta come un mosaico di paesaggi, sapori e iniziative che invitano a scoprire il Paese con un ritmo più lento, accompagnati dai colori caldi dell’autunno.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2025-09-03 23:56:062025-09-07 19:07:19Armenia d’autunno: tra foliage, festival del vino e panorami sul monte Ararat (Mentelocale 03.05.25)
A Padova, martedì 9, alle h. 20.30, presso la Chiesa di S. Francesco Grande,
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2025-09-03 19:18:032025-09-07 19:19:36PADOVA - 9 settembre 2025 - Concerto di musica armena per duduk e organo.
Camminare tra montagne silenziose, villaggi accoglienti e paesaggi che cambiano a ogni passo. Attraversare l’Armenia a piedi è possibile grazie a otto itinerari di trekking che intrecciano natura , storia millenaria e incontri difficili da dimenticare. Qui la folla non arriva: ciò che troverete è il passo lento, il respiro profondo e la possibilità di sentirvi parte di una terra antica e generosa.
Negli ultimi anni l’Armenia ha investito in sentieri segnalati, eco-lodge, guesthouse e servizi pensati per chi viaggia a piedi. Una rete che rende il Paese una destinazione di trekking sostenibile e accogliente. Facilmente raggiungibile dall’Italia con voli diretti da Milano, Roma e Venezia, e con scalo dagli altri aeroporti, ecco allora qualche idea per scoprire il Paese a piedi in base alle vostre esigenze.
Per chi cerca percorsi di più giorni, l’Armenia offre due sentieri iconici. Il Transcaucasian Trail attraversa il Paese da nord a sud come parte di un grande progetto regionale, con oltre 800 chilometri che si snodano tra vallate selvagge, villaggi remoti e tracce della Via della Seta.
Ancora più vasto è l’Armenian National Trail (ANT): 950 chilometri che collegano cinque regioni e più di cento tra città e villaggi. Dal Lori al Tavush, dal lago Sevan ai vigneti del Vayots Dzor fino ai monasteri rupestri del Syunik, il tracciato è un mosaico di paesaggi e culture. Il segmento di 153 chilometri nel Lori è già percorribile, mentre quello del Tavush sarà completato entro il 2026.
A pochi chilometri da Yerevan, il Tempio di Garni è il punto di partenza per un’escursione che unisce spiritualità e geologia. Un sentiero vi porta dalle colonne greco-romane a gole basaltiche e altipiani vulcanici. Per chi desidera un’escursione breve ma intensa, l’Angel’s Canyon Loop, a un’ora dalla capitale, offre panorami spettacolari e la possibilità di avvistare la fauna della Riserva Statale Khosrov.
Nel Syunik, il Legends Trail collega villaggi tra Goris e Kapan, dove miti e tradizioni orali sono ancora vivi. Camminare qui significa entrare in contatto con una quotidianità autentica: famiglie che vi accolgono, rovine avvolte dalla nebbia e foreste che custodiscono storie tramandate da secoli.
Monasteri sospesi e cascate nascoste
Per un trekking breve e denso di significato, il nord custodisce un gioiello: il percorso che collega i monasteri di Sanahin e Haghpat, entrambi Patrimonio UNESCO. È un tratto breve, ma capace di trasportarvi in piena epoca medievale. Poco distante, il sentiero per la cascata di Trchkan, la più alta dell’Armenia, vi conduce in due ore alla scoperta di un angolo incontaminato tra Lori e Shirak, perfetto per un picnic immersi nella natura.
Chi desidera salire più in alto può puntare ai giganti armeni. Il monte Aragats, con i suoi 4.090 metri, è la vetta più alta del Paese. Il cratere del monte Azhdahak regala invece un lago incantato sospeso a 3.598 metri. Nel sud, il monte Khustup offre paesaggi selvaggi, mentre nel Vayots Dzor i versanti del monte Vayotssar si tingono di sfumature uniche. Nel Parco Nazionale di Dilijan, il monte Dimats regala creste ventose e viste infinite. Ogni cima è un incontro diretto con l’anima più autentica dell’Armenia.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2025-09-03 19:07:362025-09-07 19:09:53L’Armenia a piedi: nella natura, senza folla (Lonleypianetitalia 03.05.25)
L’accordo di pace tra Armenia, Azerbaigian e Stati Uniti minaccia la posizione strategica della Russia nel Caucaso meridionale. Mosca, però, potrebbe ancora sfruttare l’ambiguità dell’intesa e le vulnerabilità armene per riaffermare la propria rilevanza geopolitica.
L’8 agosto 2025, i leader di Armenia e Azerbaigian si sono incontrati a Washington con il presidente Donald Trump per firmare un accordo di pace, che punta a chiudere quattro decenni di conflitto sul Nagorno-Karabakh. La Russia, esclusa dai negoziati, ha reagito con apparente favore. Dietro questa facciata, però, si nasconde una realtà molto diversa.
Se implementato, l’accordo ridefinirebbe gli equilibri geopolitici del Caucaso. Già indebolita dall’isolamento seguito alla guerra in Ucraina, la Russia rischierebbe una posizione marginale, mentre gli Stati Uniti acquisirebbero un ruolo centrale nelle infrastrutture, nei commerci e nella sicurezza regionale, lasciando spazio anche alla Turchia e allo stesso Azerbaigian per acquisire una crescente rilevanza.
Rimanere ai margini del Caucaso, mentre la NATO si avvicina ai suoi confini, comporta per la Russia rischi non solo simbolici ma anche strategici. Dunque, è probabile che il Cremlino intensifichi i propri sforzi per recuperare influenza. Le debolezze ancora presenti nell’accordo di Washington, insieme all’ampia rete di legami economici, politici, culturali e internazionali che Mosca continua a coltivare nella regione, potrebbero offrire nuove opportunità per mantenere un ruolo di rilievo.
Una pace scritta a matita: cosa dice davvero la pace di Washington
Sebbene celebrato come un momento chiave nel processo di pace tra Armenia e Azerbaigian, l’accordo non introduce realmente elementi nuovi rispetto ad altre trattative precedenti. Gran parte dei contenuti discussi alla Casa Bianca era già stata affrontata in sede bilaterale da Erevan e Baku, prima a marzo 2025 e poi durante il summit di Abu Dhabi, a luglio.
Sostanzialmente, l’accordo con Washington stabilisce:
Il riconoscimento dell’inizializzazione del trattato di pace da parte dei Ministri degli Esteri armeni e azeri, e l’impegno a proseguire fino alla firma e ratifica definitiva.
L’appello congiunto all’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) per la dissoluzione del Minsk Group e le sue strutture correlate.
La riaffermazione dell’apertura delle comunicazioni e dei collegamenti infrastrutturali, inclusa la connessione non soggetta a controlli tra l’Azerbaigian e la sua exclave del Nakhchivan attraverso l’Armenia, nel rispetto della sovranità statale.
La definizione di un quadro operativo, da svilupparsi congiuntamente con gli Stati Uniti e terze parti concordate, per il progetto di connettività “Trump Route for International Peace and Prosperity” (TRIPP) nel territorio della Repubblica d’Armenia, con l’impegno a perseguire tale obiettivo in buona fede e nel modo più rapido possibile.
Il rifiuto di rivendicazioni territoriali, l’inviolabilità delle frontiere e ripudio di ogni logica di vendetta, in linea con la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione di Almaty del 1991.
La conferma del valore storico dell’accordo come base per future relazioni di buon vicinato e stabilità regionale.
Un ringraziamento esplicito al presidente Donald Trump per la mediazione e l’ospitalità, sottolineando il ruolo statunitense come garante del processo.
Più che un’intesa definitiva, il documento si presenta come una dichiarazione congiunta di natura prevalentemente politica e simbolica. In assenza di misure concrete, resta privo di efficacia vincolante e non affronta diverse questioni ancora urgenti: dalla restituzione dei prigionieri di guerra allo sfollamento forzato della popolazione armena durante l’esodo del 2023. Inoltre, il processo di pace non potrà proseguire in modo sostanziale finché l’Armenia non modificherà la propria costituzione, rinunciando formalmente a qualsiasi rivendicazione sul Nagorno-Karabakh, una condizione profondamente impopolare a Erevan, ma su cui Baku continua a insistere con fermezza.
Sembrerebbe che la creazione del corridoio TRIPP rappresenti l’unica vera novità. In realtà, si tratta di una proposta molto simile al corridoio di Zangezur, proposto da Turchia e Azerbaigian e rifiutato dall’Armenia dopo la guerra del Nagorno-Karabakh del 2020. La principale differenza è che la gestione affidata a un attore terzo, gli Stati Uniti, che si presentano come neutrali, offre all’Armenia maggiori garanzie di sicurezza e sovranità, almeno sul piano formale. Il progetto prevede la realizzazione di un corridoio di 44 chilometri attraverso la provincia armena di Syunik, destinato a collegare l’Azerbaigian con la sua exclave di Nakhchivan e, più a ovest, con la Turchia. Se implementato, l’Armenia accetterebbe di subaffittare direttamente agli Stati Uniti il tratto di territorio attraversato dal corridoio per 99 anni, autorizzando aziende statunitensi, e potenzialmente anche turche ed europee, a costruire e gestire infrastrutture ferroviarie, stradali, energetiche e di telecomunicazione.
Ambizioso? Forse. Ma in primo luogo, il progetto non dispone ancora di un calendario operativo chiaro. In secondo luogo, la sua realizzazione è lontana dall’essere imminente, ostacolata da una forte opposizione politica e sociale in Armenia, e dal rifiuto dell’Iran, un altro attore regionale chiave, contrario sia alla presenza statunitense nella regione sia al corridoio stesso.
Considerata la forte opposizione politica in Armenia, la necessità di una riforma costituzionale, il rifiuto esplicito dell’Iran e la natura non vincolante dell’accordo, l’attuazione dell’intesa di Washington appare estremamente incerta. Di fronte a questo scenario, e ai rischi geopolitici associati all’inazione, è altamente probabile che la Russia scelga di sfruttare tali vulnerabilità, ricorrendo ai diversi strumenti a sua disposizione per ritardare, ostacolare o bloccare del tutto il processo, nel tentativo di preservare la propria influenza e centralità strategica nel Caucaso meridionale.
Il rischio dell’inerzia: perché la Russia non può permettersi di perdere il Caucaso Meridionale
La reazione di Mosca all’accordo di Washington è stata ampiamente interpretata come un segnale di disimpegno dal Caucaso. In diversi contesti mediatici si è sostenuto che la Russia sia ormai troppo indebolita dalla guerra in Ucraina e troppo screditata dai suoi fallimenti come mediatore per poter mantenere una posizione di supremazia nella regione. Si tratta, però, di affermazioni non del tutto corrette. È vero che il conflitto in Ucraina ha assorbito risorse militari e diplomatiche significative, così come è vero che i suoi fallimenti nei processi di mediazione in Abkhazia, Ossezia del Sud e Nagorno-Karabakh hanno fortemente eroso la sua credibilità. Questi fattori però, non si sono tradotti in una perdita di interesse per il Caucaso meridionale.
Anzi, il Cremlino continua a considerare la regione come una componente essenziale dell’equilibrio della propria politica estera. In questo contesto, l’accordo di Washington non rappresenta soltanto una perdita d’influenza diplomatica, ma una minaccia diretta alla postura geopolitica russa nella regione. Sul piano militare, la base militare 102 a Gyumri garantisce a Mosca una presenza strategica in Armenia. L’aumento della presenza NATO nella regione, però, ne riduce progressivamente la rilevanza. Dal punto di vista economico, la rilevanza della Russia si è consolidata anche grazie al suo ruolo di attore centrale nello sviluppo del Corridoio di Trasporto Nord-Sud (INSTC). Questa infrastruttura multimodale, che connette la Russia all’Iran e all’India passando per l’Azerbaigian, rappresenta non solo un vettore logistico per ridurre tempi e costi dei flussi commerciali eurasiatici, ma anche uno strumento di proiezione geopolitica capace di diversificare le rotte rispetto ai corridoi tradizionalmente dominati dall’Occidente. L’introduzione del corridoio TRIPP minaccia di deviare le rotte di transito e di approvvigionamento energetico verso un percorso infrastrutturale se non dominato, almeno altamente influenzato dall’Occidente. Infine, il rafforzamento della partnershiptra Turchia e Azerbaigian, con il sostegno implicito di Washington e Bruxelles, rischia di ridisegnare gli equilibri geopolitici regionali, restringendo ulteriormente lo spazio di manovra di Mosca.
Il ventaglio di opzioni di Mosca: sfruttare le vulnerabilità armene
Nel quadro geopolitico del Caucaso, l’Armenia rappresenta attualmente l’elemento più importante nella strategia russa. Erevan rimane fortemente dipendente da Mosca sul piano economico e della sicurezza, e i due Paesi mantengono storici legami culturali e diplomatici. I rapporti con Baku, invece, si sono progressivamente raffreddatinegli ultimi anni.
In Armenia, l’accordo di pace di Washington è stato accolto con scetticismo. Sia la modifica costituzionale che l’apertura del corridoio TRIPP figurano tra i punti più contestati, tanto dall’opinione pubblica quanto da gran parte dell’opposizione politica. Questo contesto rischia di rallentare, se non compromettere del tutto, l’attuazione dell’accordo, soprattutto in vista delle elezioni previste nel 2026. Il Primo Ministro Nikol Pashinyan punta alla rielezione, ma nei primi mesi del 2025 il suo partito era già in difficoltà nei sondaggi. Inoltre, le recenti elezioni locali hanno registrato un rafforzamento dei candidati filo-russi, segnale di un elettorato instabile e sempre più polarizzato.
Il malcontento popolare e le tensioni politiche in Armenia costituiscono un terreno fertile per un ritorno dell’influenza russa. Mosca dispone di un ampio ventaglio di strumenti per esercitare pressione su Erevan, sia in modo diretto che indiretto. Sul piano diretto, il Cremlino può ricorrere a leve economiche o a pressioni diplomatiche formali, utilizzando i meccanismi dell’Unione Economica Eurasiatica (EAEU) o dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). In modo più indiretto, può invece alimentare narrazioni interne ostili all’accordo attraverso campagne di disinformazione, e rafforzare oligarchi, attori politici e religiosi filorussi. In tutti i casi, l’obiettivo resta quello di consolidare l’idea, a livello collettivo, che l’intesa promossa da Washington non risponda agli interessi strategici dell’Armenia.
Frizioni istituzionali
Uno dei canali più immediati attraverso cui la Russia potrebbe esercitare pressioni è il quadro istituzionale dell’EAEU, di cui l’Armenia è membro. Mosca insiste sul fatto che Erevan rimanga vincolata agli obblighi derivanti dai trattati dell’Unione e che, in caso di violazioni, la EAEU si riservi il diritto di intervenire. In questo scenario, il Cremlino potrebbe contestare il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nello sviluppo del corridoio TRIPP, richiamandosi all’articolo 9 del Codice Doganale dell’EAEU, che limita la movimentazione di merci ai soli soggetti conformi alle norme dell’Unione. Questo potrebbe tradursi in restrizioni che rallenterebbero, o ostacolerebbero, l’operatività di aziende statunitensi, turche ed europee nella regione.
Mosca ha già dimostrato di saper sfruttare le ambiguità del sistema EAEU. Un precedente risale all’aprile 2023, quando l’agenzia Rosselkhoznadzor impose un blocco totale alle importazioni di latticini armeni, citando presunte violazioni delle norme sanitarie previste dall’articolo 29 dell’EAEU, ma senza fornire prove concrete. La misura causò perdite stimate tra i 3 e i 3,8 milioni di dollari al mese. Alla luce di questo caso, il Cremlino potrebbe facilmente adottare provvedimenti simili, alimentando l’idea che l’accordo con Washington comporti costi eccessivi per l’Armenia, pur mantenendo una parvenza di legalità istituzionale.
Dipendenza energetica
Un altro canale attraverso cui la Russia può esercitare pressione, sebbene più aggressivo, è quello energetico. L’Armenia dipende ancora completamente dalla Russia per il suo approvvigionamento energetico. Quasi il 90% del gas naturale consumato in Armenia è importato dalla Russia attraverso gasdotti gestiti da Gazprom Armenia, che ha il monopolio sulla distribuzione. Inoltre, la centrale nucleare di Metsamor, una delle principali fonti di energia elettrica del paese, utilizza tecnologia e combustibile nucleare russi, rafforzando ulteriormente questa dipendenza.
La leva energetica di Mosca si manifesta in vari modi diversi. Innanzitutto, può infliggere danni economici diretti attraverso l’aumento dei prezzi del gas o mediante interruzioni nella fornitura. In secondo luogo, può anche strumentalizzare la percezione dell’insicurezza energetica. Infatti, i media filorussi già presentano l’avvicinamento dell’Armenia all’Occidente come una scommessa rischiosa, che potrebbe tradursi in rincari, blackout o instabilità. Queste narrazioni non solo amplificano l’ansia dell’opinione pubblica, ma offrono anche a Mosca una giustificazione preventiva qualora decidesse di stringere ulteriormente il controllo sull’approvvigionamento energetico.
Chiesa Apostolica Armena, oligarchi e opposizione politica
Le istituzioni religiose e le reti di oligarchi legati ad altri Stati post-sovietici costituiscono da tempo uno dei pilastri del soft power russo. In questo contesto, Mosca può fare leva sui suoi legami con la Chiesa Apostolica Armena (CAA) e con influenti oligarchi per approfondire le divisioni sociali e rafforzare l’opposizione all’accordo di Washington, soprattutto ora che l’Armenia affronta una crisi politica senza precedenti.
Alla fine di giugno 2025, due alti rappresentanti della gerarchia ecclesiastica e l’oligarca russo-armeno Samvel Karapetyan sono stati arrestati sotto accuse di aver cospirato insieme a figure filo-russe per rovesciare il governo. In risposta, la CAA ha pubblicamente denunciato il primo ministro Pashinyan come un “traditore”, irritando ulteriormente il conflitto tra istituzioni statali e autorità religiose. Karapetyan, sotto custodia, ha annunciato l’intenzione di fondare una “nuova forza politica radicalmente diversa”, proponendosi come punto di riferimento per il crescente malcontento nei confronti dell’esecutivo. La sua visibilità, combinata con le reti consolidate dal Cremlino all’interno del Partito Repubblicano e del Partito Dashnak, offre a Mosca potenziali canali di destabilizzazione politica all’interno del paese.
Rafforzando le narrazioni che dipingono il governo Pashinyan come ostile alla Chiesa e alle tradizioni, la Russia può presentarsi come custode dei valori spirituali e culturali armeni. Parallelamente, figure come Karapetyan possono aiutare il Cremlino a canalizzare il risentimento delle élite, mentre i partiti d’opposizione forniscono le infrastrutture organizzative e finanziarie necessarie a trasformare il malcontento sociale in pressione politica. Insieme, Chiesa, oligarchi e opposizione costituiscono una piattaforma multilivello attraverso cui Mosca può minare la fiducia nell’attuale governo armeno e ostacolare l’attuazione dell’accordo di pace promosso dagli Stati Uniti.
Quanto è probabile che questa strategia favorisca Mosca?
Nel breve termine, c’è una probabilità ragionevole che la Russia interrompa, o almeno ritardi, il processo di pace di Washington, e finora ha dimostrato la sua volontà di farlo. Infatti, la Russia ha già cercato di indebolire l’accordo rafforzando le narrative in Armenia che lo descrivono come pericoloso e imposto dall’estero e che ignora le realtà locali. All’avvento delle elezioni in Armenia, è probabile che l’influenza della Russia sul Primo Ministro Pashinyan aumenti, complicando l’attuazione dell’accordo e rischiando ulteriore instabilità nel Caucaso meridionale.
Questi strumenti, però, non garantiscono il successo a lungo termine. La posizione della Russia nella regione si è indebolita dalla guerra del Karabakh del 2020 e, in modo più decisivo, dopo l’esodo degli armeni dal Nagorno-Karabakh del 2023, quando Mosca non è riuscita a mantenere il proprio cessate il fuoco e a difendere Erevan. Il deterioramento dell’immagine della Russia nell’opinione pubblica armena ha già alimentato pressioni interne per un progressivo disimpegno da Mosca. Riflettendo su questo cambiamento, Erevan si è mossa per sospendere o ritirarsi dalla CSTO e per riassumere il controllo diretto su diversi punti di frontiera precedentemente gestiti dalle forze russe. Con l’Armenia sempre più orientata a ridurre la propria dipendenza da Mosca, la strategia russa di tenerla ancorata alla propria orbita è sostenibile solo se riesce a contare su una leadership favorevole e a contenere efficacemente qualsiasi opposizione interna. Il problema è che la Russia non ha mai eccelso nel conquistare il cuore dei popoli che continua a opprimere.
Oltre all’Armenia, la Russia si trova ad affrontare una sfida strutturale più ampia: non è più l’unico attore in grado di determinare gli equilibri nel Caucaso meridionale. La Turchia e l’Azerbaigian si sono avvicinati sempre di più, affermandosi di fatto come nuovi mediatori di potere emergenti. Insieme a Washington, Ankara e Baku rappresentano oggi una doppia penetrazione in quella che un tempo sembrava la supremazia incontrastata di Mosca. In questo contesto, anche se la Russia può ostacolare il processo di pace nel breve termine, è molto meno chiaro se sia ancora in grado di mantenere un ruolo dominante nel lungo periodo.
La strategia del Cremlino potrebbe riuscire a rallentare o destabilizzare l’intesa, ma difficilmente potrà invertire il riassetto geopolitico in corso. L’allontanamento progressivo di Erevan e Baku da Mosca, l’assertività crescente di Turchia e Azerbaigian, e il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti rendono improbabile che la Russia riesca ancora a imporre le proprie condizioni come un tempo. Il Cremlino può ancora agire da sabotatore, ma la sua capacità di plasmare il futuro del Caucaso meridionale non è più garantita.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2025-09-03 19:00:152025-09-07 19:01:45Pax americana nel Caucaso meridionale? La Russia non arretra (Iari 03.09.25)
Negli ultimi mesi i confini della Georgia sono teatro di drammi umani e commerciali: un centinaio di ucraini sono bloccati in condizioni disumane alla frontiera georgiano-russa, mentre quella con l’Armenia ha visto il controverso blocco delle esportazioni armene verso la Russia
Il ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha ha denunciato che, dal giugno 2025, Mosca ha intensificato la pratica di deportare ex detenuti o persone prive di documenti validi verso il confine georgiano.
Bloccati al confine
Un centinaio di ucraini sono rimasti bloccati in condizioni precarie nella zona di transito tra Georgia e Russia, al valico Dariali. Le autorità georgiane negano loro l’ingresso per “precedenti penali”, mentre Kyiv accusa Mosca di usare le deportazioni come arma.
I deportati descrivono situazioni drammatiche. Secondo Maria Belkina, a capo dei volontari di Tbilisi, i gruppi sono eterogenei: ex detenuti ucraini trasferiti in Russia, persone che hanno scontato pene in territorio russo, e civili deportati senza precedenti.
La stessa organizzazione denuncia condizioni disumane: un centinaio di persone in un locale sotterraneo con soli venti letti, due sono state ricoverate per malattie croniche non curate.
I volontari contestano la versione ufficiale che sarebbero un pericolo nazionale per la Georgia, sostenendo che tra i bloccati ci sono persone senza alcun reato alle spalle, inclusi residenti dei territori ucraini occupati dalla Russia che hanno rifiutato la cittadinanza russa, e ricordano che i cittadini non hanno scelto di arrivare al confine ma sono stati espulsi con la forza dalla Russia, in alcuni casi sotto scorta.
Quando la crisi ha raggiunto il centinaio di persone detenute, Kyiv aveva già evacuato 43 cittadini via Moldova, ma la rotta è stata sospesa perché alcuni deportati non hanno raggiunto l’Ucraina e la loro documentazione non permetteva la permanenza in Moldova. Kyiv propone che Mosca trasferisca direttamente i cittadini ucraini al confine con l’Ucraina.
Le autorità georgiane affermano di aver proposto diversi meccanismi di rientro, compresi voli e trasferimenti marittimi, ma sostengono che spetti all’Ucraina prendere decisioni. Tbilisi giustifica il diniego d’ingresso citando gravi precedenti penali, basandosi su certificati e documenti rilasciati in Russia.
Human rights defenders replicano che molti deportati sono ex prigionieri dei territori occupati. Secondo ONG ucraine, l’aumento delle deportazioni è legato a un decreto di Putin che obbliga gli abitanti delle aree occupate a regolarizzare il loro status.
Uno dei deportati si è inferto un taglio al collo in segno di protesta. L’uomo ha ricevuto cure mediche sul posto e le autorità georgiane hanno aperto un procedimento per istigazione al suicidio. Video diffusi dagli stessi deportati mostrano cittadini ucraini che chiedono alla polizia spiegazioni sulle tempistiche della loro permanenza in condizioni intollerabili, alcuni domandando di poter attraversare verso l’Armenia o partire via mare. Denunciano quasi un mese trascorso in condizioni inaccettabili e una quindicina hanno dato via a uno sciopero della fame per un periodo.
Il 31 luglio una frana si è verificata nella gola di Dariali. L’allarme del sistema di monitoraggio del ghiacciaio Devdoraki ha portato all’evacuazione temporanea di personale e viaggiatori, con traffico sospeso in entrambe le direzioni. I deportati ucraini che vi si trovavano sono stati caricati su un camion, rimanendo per ore senza cibo né acqua. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha avviato una procedura d’urgenza per garantire la tutela dei loro diritti fondamentali.
A fine agosto circa 65 deportati sono stati trasportati con un charter in Ucraina. Rimane ancora un gruppo, in attesa che questo punto di confine che pare molto più russo che georgiano, si sblocchi anche per loro.
Il confine russo, per l’Armenia
Il confine appare più russo che georgiano anche per i beni armeni, dopo che il paese sta provando ad allentare la presa russa. L’analista politico Paata Zakareishvili ha commentato : “La Russia sta facendo tutto il possibile per soggiogare l’Armenia e sta strangolando la sua economia con le mani della Georgia”.
Negli ultimi mesi l’export di brandy armeno verso la Russia attraverso la Georgia ha subito un duro colpo. Decine di camion sono stati trattenuti fino a 50 giorni al valico di Lars a causa di ispezioni obbligatorie e prolungate, con test di laboratorio giudicati sospetti dai produttori.
Secondo i dati di settore, le spedizioni sono crollate da un camion al giorno a uno al mese, causando ingenti perdite economiche. L’opposizione in Armenia, con la voce del parlamentare Garnik Danielyan, ha criticato il ministro dell’economia Gerorg Papoyan per la mancanza di spiegazioni ufficiali, sottolineando che l’87% delle esportazioni di brandy dipende dalla Russia e che la Georgia, come paese di transito, non può imporre controlli arbitrari.
Nel frattempo, l’Armenia ha temporaneamente sospeso l’invio di ulteriori lotti, parlando di misura di tutela dovuta alla congestione. La Georgia, da parte sua, ha negato qualsiasi blocco, affermando che le procedure doganali seguono regole ordinarie. Papoyan, ha denunciato i ritardi come ingiustificati e ha chiesto l’intervento di organismi internazionali quali BERS, ONU e OMC.
Tra il 1° e il 29 giugno, ha annunciato, 106 camion di brandy sono riusciti ad attraversare il confine. Un accordo con Tbilisi ha inoltre permesso il passaggio di 27 camion e ha posto le basi per il ripristino del transito.
Dopo il caso del brandy è emerso un problema simile con il gas GPL: secondo fonti armene, fino a 500 camion colmi di GPL russo sarebbero rimasti bloccati alla frontiera georgiana per 8–9 giorni, provocando un incremento dei prezzi in Armenia del 40 %, con un grave impatto sui trasporti pubblici e familiari.
I conducenti hanno testimoniato ritardi anomali e richieste di dazi (fino a quasi 1500 euro per veicolo) per ottenere il transito. La Georgia ha categoricamente negato le accuse di blocco, definendole “completamente false”, sostenendo che i checkpoint operano in “modalità attiva” per garantire un passaggio rapido, con personale pronto 24 ore su 24.
A fine agosto, quando passavano sia brandy che gas, è toccato ai prodotti agricoli, con il parlamentare dell’opposizione Garnik Danielyan che ha denunciato che “centinaia di tir” erano di ritorno verso l’Armenia, per non esser riusciti a transitare dalla Georgia alla Russia.
Il Giorno dell’Indipendenza Armena è stato segnato da diverse proteste, ma quella più interessante si è svolta attorno alla 102ª base militare russa di Gyumri, dimostrando un rinnovato vigore. Due gruppi di manifestanti si sono radunati contemporaneamente in città: il primo chiedeva il ritiro delle truppe russe dall’Armenia, il secondo esponeva manifesti con la scritta “Giù le mani dalla 102ª base militare russa”. Ma per il direttore del Centro Analisi Paesi del Caucaso Meridionale, Evgeny Mikhailov, è chiaro chi alimenta questo nervosismo.
I sostenitori del ritiro delle truppe russe sono stati mobilitati dal partito “In Nome della Repubblica”, guidato da Arman Babajanyan, ex parlamentare dell’Assemblea Nazionale armena. Nonostante le esigue dimensioni della manifestazione, circa una trentina di persone al seguito del politico, la polizia ha voluto transennare il perimetro della base.
L’ex deputato Babajanyan è conosciuto per le sue posizioni filo-turche. E a dirla tutta, il politico armeno sembra proprio un agente dell’influenza di Ankara e le sue attività ricordano quelle della cosiddetta “quinta colonna”. Il suo partito include personaggi che un tempo spingevano apertamente la Turchia ad invadere la Transcaucasia, estromettendo la Russia dalla regione. Evidentemente i ricordi del genocidio armeno sono svaniti nel nulla. E in effetti, queste contestazioni sono diventate una condizione favorevole per le attività filo-turche.
“I partner occidentali di Yerevan, con i quali è stato delineato un percorso comune, sognano di smantellare il campo militare di Gyumri. I tentativi di screditare le attività dell’esercito russo sono iniziati con l’arrivo del Primo Ministro Nikol Pashinyan, ma all’epoca andavano ancora al rilento. Oggi, invece, hanno iniziato a prendere slancio”, ha commentato Yevgeny Mikhailov in merito al fallito raduno di Babajanyan.
A sostegno dei russi il partito “Madre d’Armenia” ha organizzato una manifestazione che ha radunato all’incirca 200 persone. Si deve anche dire che finora i funzionari di Yerevan hanno ripetutamente lasciato intendere, ma talvolta anche dichiarato apertamente, che il ritiro delle truppe di Mosca non è attualmente nella loro agenda. Questa posizione politica trova riscontro nella portata delle manifestazioni dalle quali si intuisce un certo disagio in caso di chiusura del Campo. Gli armeni non hanno alcuna fretta di bruciare tutti i ponti che conducono alla Russia.
“Circa 200 persone sono scese in piazza per difendere la base militare russa di Gyumri. Ciò è dovuto al fatto che la città ne dipende fortemente. L’economia di questo territorio è strettamente legata alla caserma, dove i residenti locali, oltre a commerciare, lavorano o ne garantiscono il funzionamento. Gli armeni sanno molto bene che una loro partenza dal Caucaso non sarebbe facilmente sostituibile con rapporti di vicinato di Azerbaigian e Turchia”, ritiene l’esperto, il quale ci tiene a precisare che il vantaggio sarebbe esclusivamente per l’Occidente. In effetti, l’ingente afflusso di risorse finanziarie in Armenia, rispetto agli standard del paese, non verrebbe destinato alla beneficenza, ma utilizzato nella destabilizzazione della situazione attorno alla struttura militare. “Adesso ci sono 30 persone al raduno, domani potrebbero aumentare a 100. E se i “sorosini” dessero a tutti 500 dollari, il giorno dopo potrebbero presentarsi in 500, e questo processo continuerebbe”, ha concluso Mikhailov.
La situazione del popolo armeno è ulteriormente complicata dal fatto che Pashinyan e il suo entourage non sono figure politiche indipendenti, ma fortemente controllati da Londra e Ankara. Il presidente turco, Erdogan, sa di non poter controllare pienamente l’Armenia, per questo cerca di espandere la sua influenza sul governo di Nikol Pashinyan attraverso i suoi agenti, uno dei quali sarebbe il già citato Arman Babajanyan. Quanto i tentativi turchi di distruggere lo Stato armeno avranno successo lo sapremo solo col tempo.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2025-09-03 08:58:152025-09-07 18:59:59La Base della discordia: chi trae vantaggio dal ritiro delle truppe russe dall’Armenia? (Politicamentecorretto 03.09.25)
Pare che sia il passaporto per l’Europa. Ma quale Europa? Chiesa e popolo recalcitrano. Il premier, d’accordo col suo protettore Macron, vuole laicizzare la Repubblica, farne uno Stato anonimo
Il presidente armeno Pashinyan con il presidente turco Erdogan a Istanbul, lo scorso 20 giugno (foto Ansa)
Ci sono movimenti intorno al destino dell’Armenia. E che cosa si intende qui per Armenia?
1. Anche ma non solo: la Repubblica di 3 milioni di abitanti, con capitale Erevan, situata nel Caucaso meridionale; territorio grande come la Lombardia e dotato anch’esso di un lago bello come il Lario, che si chiama Sevan.
2. Anche ma non solo: la galassia di 10-11 milioni di persone che, dovunque abitino, hanno le radici in quell’entità spirituale-corporale, storica e metastorica, cristiana e traditrice del cristianesimo, ma inesorabilmente legata a Cristo e a Sua Madre, in modo particolarissimo, sorta di predilezione che come tutte quelle divine spande molto sangue e petali di rose.
3. Anche ma non solo: segno misterioso dell’ultimo giorno in quanto prima nazione battezzata fino alle midolla dal vino di Noè appeno sceso dall’Arca, preparata al martirio da quello degli apostoli Bartolomeo (a cui fu cavata anche la pelle) e Taddeo, qui giunti insieme con la lancia di Longino che trafisse i…
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2025-09-02 18:50:542025-09-07 18:54:09La partecipazione della Turchia al vertice dell’Organizzazione della cooperazione di Shanghai a Tianjin, Gli incontri bilaterali con Cina, Russia, Iran e Armenia. Collegamento con Mariano Giustino da Ankara (Radio Radicale
In Armenia una combinazione tra passato sovietico, innovazione tecnologica americana e imprenditorialità di successo della sua diaspora offre al paese una grande opportunità di diventare non solo il principale polo IT del Caucaso meridionale, ma anche un centro emergente per l’innovazione
Firebird, una startup con sede a San Francisco e Yerevan, e il governo armeno hanno annunciato lo sviluppo di una fabbrica di Intelligenza Artificiale (IA) da 500 milioni di dollari.
Un data center di nuova generazione, progettato appositamente per produrre modelli e soluzioni di IA su larga scala, sarà completato il prossimo anno. Firebird e Team Centre, un’altra impresa locale, finanzieranno lo sviluppo, mentre il gigante tecnologico statunitense Nvidia sarà il partner tecnologico.
Nvidia è nota soprattutto per le sue unità di elaborazione grafica (GPU). Inizialmente destinate ai videogiochi, le GPU Nvidia sono ora ricercate per scopi scientifici e di intelligenza artificiale. L’azienda ha una capitalizzazione di mercato di 4 trilioni di dollari.
Nvidia prevede di aprire altre 20 fabbriche di intelligenza artificiale in Europa nei prossimi anni, affermando che queste aumenteranno di dieci volte la capacità di calcolo dell’IA nell’Unione Europea nei prossimi dieci anni. Le fabbriche di IA sono considerate il pilastro del futuro dell’intelligenza artificiale in Europa. Nvidia inizierà a realizzare le prime “fabbriche” in Germania, Svezia, Italia, Spagna e Finlandia, oltre che nel Regno Unito, al di fuori del blocco economico, per “alimentare la prossima trasformazione industriale”.
Nvidia ha aperto un ufficio e un centro di ricerca a Yerevan nel 2022. Per coincidenza, uno dei vicepresidenti di Nvidia, Rev Lebaredian, è di etnia armena e ha avuto un ruolo determinante nel mettere in contatto l’azienda con il primo ministro armeno Nikol Pashinyan dopo la sua ascesa al potere nel 2018. È anche nipote di Gerard Lebaredian, ex consigliere per la politica estera del primo presidente dell’Armenia, Levon Ter-Petrosyan, negli anni ’90.
L’annuncio della partnership con AI Factory è arrivato alla GPU Technology Conference di Nvidia a Parigi nel giugno di quest’anno. In questa fase iniziale, l’Armenia riceverà migliaia di GPU Blackwell anziché le H20 di fascia alta.
Nvidia è il nome più importante nel settore dell’intelligenza artificiale ed è l’ultima a mostrare interesse per l’Armenia. La Carta del partenariato strategico tra Stati Uniti e Armenia, firmata all’inizio dell’anno con la precedente amministrazione Biden, include la cooperazione in materia di intelligenza artificiale e semiconduttori.
L’11 agosto, il portavoce di Nikol Pashinyan ha dichiarato ai media che due dei tre memorandum di cooperazione reciproca firmati da Armenia e Stati Uniti al recente vertice dell’otto agosto alla Casa Bianca, facilitato da Trump, riguardavano anche l’intelligenza artificiale, i semiconduttori e la sicurezza energetica. Ciò potrebbe riguardare la sostituzione del reattore nucleare armeno Metsamor, risalente all’era sovietica, entro il 2036, possibilmente con reattori modulari di piccole dimensioni (SMR) americani, e l’alimentazione del futuro dell’intelligenza artificiale del Paese.
Il consumo energetico è un fattore importante per un data center o una fabbrica di intelligenza artificiale come quello di Nvidia, che sarà scalabile fino a 100 MW e potenzialmente espandibile in futuro.
Attualmente, il governo armeno sta tentando di nazionalizzare la rete elettrica mentre il suo proprietario, l’imprenditore russo-armeno Samuel Karapetyan, è in custodia cautelare con l’accusa di tentato colpo di stato e corruzione. Il Paese, in ogni caso, vantava una tradizione di successi anche in epoca sovietica, quando veniva spesso definito la “Silicon Valley dell’URSS”. Dopo l’indipendenza, si erano già verificati tentativi di far rivivere e sviluppare questa competenza tecnologica prima ancora di Pashinyan.
Se nel 2008 il settore tecnologico aveva un fatturato di 96 milioni di dollari, nel 2017 aveva raggiunto i 765 milioni di dollari, con l’apertura di diverse importanti aziende tecnologiche statunitensi come Synopsis. L’Armenia ha anche ottenuto successi nella formazione di una nuova generazione di professionisti del settore. Il Tumo Centre for Creative Technologies, un progetto educativo per i giovani fondato dalla diaspora, è stato creato nel 2011 e si è già espanso a livello globale. Lebaridian, tra l’altro, fa anche parte del comitato consultivo di Tumo. La AI Factory di Nvidia attirerà specialisti stranieri nel paese, ma tali iniziative prepareranno anche le giovani generazioni a future opportunità di lavoro. È una delle poche storie di successo dell’assistenza della diaspora all’Armenia.
La Fondazione Afeyan per l’Armenia è un investitore e fondatore di Firebird, e l’americano-canadese Noubar Afeyan fungerà da consulente strategico e socio fondatore. Afeyan è meglio conosciuto da molti come co-fondatore di Moderna, responsabile della produzione di uno dei principali vaccini durante la pandemia di COVID-19.
“Si tratta di costruire una piattaforma di lancio per l’innovazione, dall’Armenia al mondo”, ha affermato l’egiziano-americano Razmig Hovaghimian, co-fondatore e CEO di Firebird. “Investiremo in nuovi modelli, nella robotica e nelle scienze, in partnership con le principali università di tutto il mondo, e svilupperemo la capacità di incubare la prossima generazione di innovatori in Armenia”.
Per l’Armenia, la presenza di Nvidia non rappresenta solo un semplice investimento straniero, ma anche un passo avanti verso l’integrazione in una rete di innovazione globale in un momento in cui l’intelligenza artificiale sta rimodellando interi settori industriali in tutto il mondo. Se coltivata con attenzione, la partnership potrebbe incoraggiare l’arrivo di altre aziende tecnologiche leader, accelerando ulteriormente la crescita dell’Armenia come economia digitale.
“Siamo entusiasti del potenziale delle esportazioni tecnologiche statunitensi e della leadership nell’intelligenza artificiale di promuovere una maggiore innovazione nel dinamico settore tecnologico armeno, a vantaggio degli Stati uniti e dell’Armenia”, ha affermato l’ambasciatrice statunitense in Armenia, Kristina Kvien. “Aziende come NVIDIA continuano a offrire soluzioni informatiche e di intelligenza artificiale leader a livello mondiale e siamo orgogliosi che siano i partner scelti dalle controparti armene”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2025-09-01 18:29:532025-09-07 18:30:51L'Armenia polo globale per l'intelligenza artificiale (Osservatorio Balcano e Caucaso 01.09.25)
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