LA RISPOSTA DEL DIRETTORE DON STEFANO STIMAMIGLIO ALLA LETTERA DI ILGAR MUKHTAROV (Famiglia Cristiana 01.03.23)

01/03/2023  Il direttore di Famiglia Cristiana, don Stefano Stimamiglio, risponde alla lettera che l’ambasciatore dell’Azerbaigian presso la Santa Sede, Ilgar Mukhtarov, ha scritto a proposito del reportage di Daniele Bellocchio sulla regione del Nagorno Karabakh

Egr. Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian

presso la Santa Sede S.

E. Ilgar Mukhtarov c/o

Addetto Stampa D.ssa Barbara Cassani bbcassani@gmail.com

 

Egregio Sig. Ilgar Mukhtarov, Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian presso la Santa Sede,

ho letto con estrema attenzione la sua lettera del 16 febbraio scorso, nella quale ci offriva la Sua replica al reportage di Daniele Bellocchio apparsa sul numero 7 di Famiglia Cristiana ed avente ad oggetto l’articolo dal titolo “L’Artsakh dimenticato”. In esso veniva rappresentata la drammatica situazione della popolazione, in maggioranza armena, residente nella regione storicamente chiamata del “Nagorno Karabakh”, che oggi è parte integrante della Repubblica dell’Azerbaigian, in seguito alla chiusura del c.d. “corridoio di Lachin”, che unisce tale regione all’Armenia. Ci preme sottolineare, in primo luogo, che tale blocco stradale, come risulta anche da numerose e documentate relazioni di Organizzazioni internazionali e Ong, sta creando grandi problemi alla popolazione ivi residente. Ci sembra, quindi, che l’articolo di Bellocchio, che ha intervistato telefonicamente alcune persone ivi residenti per raccoglierne la testimonianza diretta, documenta tale situazione oggettivamente innegabile.

In merito alla c.d. “Guerra del Nagorno Karabakh”, e alla strage di Khojaly da Lei citata, essa non poteva, per la specificità dell’argomento trattato e per il carattere divulgativo e non storico-scientifico della nostra rivista (e, di conseguenza, del pezzo) essere menzionata. Comunque, per onestà intellettuale e obiettività giornalistica, nemmeno è stata negata. Del resto l’approfondimento avrebbe richiesto di parlare anche dei contestuali pogrom di armeni a Baku, Sumgait e Kirovabad per mano azera, dei 724 mila azeri espulsi dal territorio del “Nagorno Karabakh” e dei 500 mila armeni espulsi dal Naxçivan e da altri territori dell’Azerbaigian, soprattutto dalla capitale Baku. Lo stesso conflitto del settembre-ottobre del 2020, che ha fatto registrare ancora una volta dolorose perdite umane, ha prolungato nel tempo l’instabilità di questa tormentata regione. Una, per inciso, delle più minate al mondo, con gravi conseguenze per tutti.

Tornando alla chiusura del corridoio di Lachin, vitale per chi vive nella zona, pare difficile credere che ragazzi di 18-20 anni possano, anche con motivate ragioni, creare e mantenere a lungo un blocco stradale in barba alle forze militari della Repubblica dell’Azerbaigian, che ha su quel territorio una sovranità internazionalmente riconosciuta, e al corpo di peacekeepers russi.

A questo proposito, e a conferma da quanto scritto da Bellocchio, Amnesty International, in un comunicato dello scorso 10 febbraio, ha (cito letteralmente) «lanciato l’allarme per la situazione di circa 120 mila abitanti del Nagorno-Karabakh di etnia armena, le cui vite sono a rischio per l’impossibilità di reperire beni essenziali, medicinali e cure mediche fondamentali per i malati cronici». La stessa Organizzazione «ha sollecitato le autorità dell’Azerbaigian e i peacekeeper della Russia a liberare il corridoio e porre fine alla crisi umanitaria», perché «il blocco sta avendo un impatto particolarmente grave su gruppi marginalizzati e discriminati come le donne, le persone anziane e le persone con disabilità. Le frequenti interruzioni nelle forniture di energia elettrica, gas e carburante stanno rendendo estremamente difficile la vita quotidiana». Sempre Amnesty sostiene che «gli aiuti umanitari forniti dal Comitato internazionale della Croce Rossa e dai peacekeeper russi non bastano: rispetto ai 1200 camion al giorno prima del blocco, ora ne passano da cinque a sei». Speriamo vivamente che da allora la situazione sia decisamente migliorata.

Ricordo anche che il Parlamento europeo, nella Risoluzione n. 2023/2504 (RSP) del 19 gennaio scorso, ha affermato che «sostenendo il blocco del corridoio di Lachin, l’Azerbaigian viola i suoi obblighi internazionali derivanti dalla dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020, in base alla quale l’Azerbaigian deve garantire la sicurezza delle persone, dei veicoli e delle merci che circolano lungo il corridoio in entrambe le direzioni» e ha deplorato «le tragiche conseguenze umanitarie provocate dal blocco del corridoio di Lachin e dal conflitto del Nagorno-Karabakh», esortando il Suo paese «a rispettare e attuare la dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020 e a riaprire immediatamente il corridoio di Lachin».

Confidiamo, infine, sinceramente, per il bene della popolazione civile, che la recente misura provvisoria (“Provisional measure”) adottata dalla Corte Internazionale di Giustizia lo scorso 22 febbraio, nell’ambito del procedimento giudiziario “Application of the International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination – Armenia vs. Azerbaijan” in corso tra la Repubblica di Armenia e la Repubblica dell’Azerbaigian, sia rapidamente messa in atto e possa così contribuire, come auspica anche Lei nella Sua lettera, e con il buon senso di entrambe le parti, a voltare pagina in questa dolorosa e lunga vicenda.

La guerra, come ci insegna il conflitto in corso tre Federazione russa e Ucraina, non lascia vincitori ma solo vittime da entrambe le parti. L’unica soluzione non può che essere, come sempre sottolinea il Santo Padre, la ricerca da parte di tutti di una pace giusta, nel rispetto della libertà della persona umana e delle sue tradizioni. Pubblicheremo il testo integrale del nostro carteggio sul nostro sito (www.famigliacristiana.it), facendone un rimando sul numero 11 di Famiglia Cristiana (in uscita il 9 marzo p.v.).

Grato della Sua disponibilità e per la comune ricerca del Bene comune, Le porgo i miei più cordiali saluti.

Don Stefano Stimamiglio

Direttore di Famiglia Cristiana

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NAGORNO KARABAKH, SENZA CIBO E GAS: L’ARTSAKH DIMENTICATO (Articolo di Daniele Bellochio)

ILGAR MUKHTAROV, AMBASCIATORE DELL’AZERBAIGIAN, E LA SUA REPLICA AL REPORTAGE DI DANIELE BELLOCCHIO

Commossi dagli armeni che aiutano i turchi Commossi dagli armeni che aiutano i turchi (Resto del Carlino 02.03.23)

La popolazione turca e quella siriana, nella notte fra il 5 e il 6 febbraio, hanno subito un devastante terremoto, a causa del quale decine di migliaia di persone sono morte sotto le macerie. Questa tragedia ha influenzato le nostre giornate e i nostri pensieri e ci ha fatto riflettere sull’accaduto, finché una notizia, di cui non si è quasi parlato sui giornali, ha colpito la nostra attenzione. Sabato 11 febbraio cinque Tir carichi di cibo, medicine, acqua e aiuti umanitari sono partiti dal suolo armeno e hanno attraversato il confine per raggiungere le zone della Turchia più colpite. Da 30 anni nessuno attraversava il confine tra Armenia e Turchia, nemiche tra loro sia a causa del genocidio armeno per mano dei Turchi, con il milione e mezzo di morti tra il 1915 e il 1923, che del sostegno che la Turchia dà ancora oggi all’Azerbaigian nel conflitto per il Nagorno-Karabakh. Di fronte alla catastrofe prodotta dal terremoto però, il popolo armeno non è rimasto a guardare e si è mosso per aiutare le vittime turche, superando antiche ostilità e conflitti in corso. Ci siamo chiesti: “Cosa spinge l’uomo a compiere questi gesti di solidarietà, nonostante l’odio e l’inimicizia?”.

E abbiamo ripensato alla poesia ‘Fratelli’ di Ungaretti, studiata pochi giorni prima in classe. In una notte di guerra il poeta, di fronte a degli sconosciuti, li riconosce come fratelli, accomunati a lui dalla stessa fragilità. Anche gli Armeni hanno riconosciuto le vittime del terremoto come persone, si sono immedesimati in loro e hanno sentito che non era giusto che soffrissero per la mancanza di riparo, cibo e coperte. Hanno scelto di superare le ostilità e aiutare i nemici riconoscendoli come fratelli. Perché questa notizia l’abbiamo subito individuata tra le altre notizie? Perché ci è sembrata corrispondere al nostro cuore? Il cuore è qualcosa di puro, sincero, che desidera la felicità fin dalla nascita e in momenti come questi, in cui ci sentiamo accomunati agli altri dalla stessa fragilità e dallo stesso destino, scopriamo che la solidarietà ci fa bene e ci rende felici. È per questo che anche noi ci siamo messi in moto per aiutare le vittime, organizzando una raccolta fondi.

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Ottantunesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Un giorno la giustizia prevarrà e arriverà la verità storica, oltre le menzogne azere (Korazym 02.03.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 02.03.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi siamo nel 81° giorno del blocco è iniziato il 12 dicembre 2022, quando un gruppo di Azeri che si definiscono “attivisti ambientalisti indipendenti” ma sostenuti dal governo dell’Azerbajgian si è accampato sull’autostrada interstatale Goris-Berdzor (Lachin)-Stepanakert, vicino a Shushi. In questo modo è stato di fatto chiuso il Corridoio di Berdzor (Lachin), la via della vita dell’Artsakh verso l’Armenia e il mondo esterno, causando gravi carenze e difficoltà nell’ottenere beni di prima necessità. Adesso arrivano solo rifornimenti limitati, esclusivamente con i veicoli del Comitato Internazionale della Croce Rossa e delle forze di mantenimento della pace russe di stanza in Artsakh. La gente del posto subisce anche frequenti interruzioni di gas ed elettricità e fa fatica a riscaldarsi in inverno. Il 22 febbraio scorso la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite ha ordinato all’Azerbajgian di garantire il movimento senza ostacoli attraverso il corridoio in ambedue le direzioni. Ma l’ordine probabilmente non avrà alcun effetto in quanto non esiste alcun meccanismo per imporre all’Azerbaigian di obbedire all’ordine legalmente vincolante di aprire il corridoio. Mentre il governo dell’Azerbajgian continua a negare che la strada sia del tutto bloccata, la protesta che ha portato al blocco procede secondo le sue condizioni, mira a raggiungere i suoi obiettivi e, cosa sempre più preoccupante, rispetta il suo agenda.

A causa della scarsità di generi alimentari, alcuni hanno allestito serre improvvisate nelle loro case per coltivare verdure e altri ortaggi (Foto di Ani Balayan, fotografo di Stepanakert [QUI]).
I ragazzi riscaldano la loro classe con la stufa a legna (Foto di Ani Balayan, fotografo di Stepanakert [QUI]).
La carenza di carburante ha quasi bloccato il traffico nelle strade della capitale del Karabakh, Stepanakert. La gente del posto dipende in gran parte dai trasporti pubblici, che operano con orari limitati (Foto di Ani Balayan, fotografo di Stepanakert [QUI]).
Agricoltori a Kolkhozashen. I residenti rurali abituati a coltivare il proprio cibo sono in una posizione migliore per adattarsi alle carenze (Foto di Ani Balayan, fotografo di Stepanakert [QUI]).

L’Azerbajgian fuori dalle terre storiche armene.
Il Nagorno-Karabakh è Artsakh, non Azerbajgian
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Lilit Shahverdyan, giornalista di Stepanakert, ha scritto in un articolo La vita in Karabakh sotto il blocco alcuni giorni fa su Eurasianet [QUI]: «È opinione diffusa che il licenziamento di Vardanyan sia stato una concessione a Baku, che da tempo chiedeva la rimozione dell’”uomo di Mosca” dalla scena, sostenendo che stesse interrompendo i colloqui di pace seguiti alla vittoria dell’Azerbajgian nella seconda guerra del Karabakh del 2020» e domanda se questo «scossone nella leadership del Nagorno-Karabakh influenzerà il blocco di Baku del territorio». Fatto è, che appena rimosso Verdanyan, sono iniziati le riunioni formali tra rappresentanti dell’Azerbajgian e dell’Artsakh. Anche se l’Azerbajgian – secondo il copione della propria narrazione fake – presenta gli incontri come “un dialogo con i propri cittadini”, la realtà è ovviamente ben diversa, come si evince dai commenti del Ministeri degli Esteri della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.

Secondo una foto riportata pubblicata sui social media azeri, l’incontro di ieri 1° marzo 2023 sembra aver avuto luogo presso il quartier generale del comando del contingente di mantenimento della pace russo di stanza in Artsakh, nello scalo aeroportuale della Repubblica di Artsakh ad Ivanyan (Khojaly in azero), 10 km a nord-est dalla capitale Stepanakert.

L’Azerbajgian riferisce all’Aeroporto di Stepanakert come “Aeroporto di Khojaly in Azerbaigian”. L’aeroporto è sotto il controllo della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh dal 1992. I voli cessarono con l’escalation della prima guerra del Nagorno-Karabakh nel 1990. Nel 2009 le autorità armene hanno avviato la ricostruzione delle strutture. Nel maggio 2012, il direttore dell’amministrazione dell’aviazione civile dell’Artsakh, Tigran Gabrielyan, ha annunciato che l’aeroporto sarebbe entrato in funzione a metà del 2012. Tuttavia l’aeroporto rimane chiuso per motivi di sicurezza, poiché l’Azerbajgian ha continuamente minacciato di abbattere gli eventuali voli.

Entro la fine del 1980 l’aeroporto serviva voli passeggeri regolari tra Yerevan e Stepanakert. Con l’escalation del conflitto del Karabakh, le autorità dell’SSR azero hanno bloccato l’SSR armeno e l’aeroporto dell’Oblast Autonomi di Nagorno-Karabakh era l’unica via di comunicazione con il mondo esterno del Karabakh. L’aeroporto è sotto il controllo della Repubblica del Nagorno-Karabakh dall’accordo di cessate il fuoco della prima guerra del Nagorno-Karabakh nel 1994.

Riportiamo il commento del Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh sul secondo incontro dei rappresentanti dell’Artsakh e dell’Azerbajgian di ieri: «Il 1° marzo si è tenuto un altro incontro tra i rappresentanti della Repubblica di Artsakh e della Repubblica di Azerbajgian con la mediazione del Comandante del Contingente di mantenimento della pace russo dislocato in Artsakh. Durante l’incontro, le parti hanno discusso questioni umanitarie nel contesto della necessità dell’immediato sblocco del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian. Tali incontri tra i rappresentanti dell’Artsakh e dell’Azerbajgian, mediati dal contingente russo di mantenimento della pace, si sono svolti ripetutamente a diversi livelli per discutere varie questioni tecniche, umanitarie e infrastrutturali. I partecipanti all’incontro non hanno discusso questioni relative allo status politico della Repubblica di Artsakh. I commenti fatti dalla parte azera sui risultati dell’incontro non corrispondono alla realtà. La Repubblica di Artsakh rimane impegnata nella scelta del suo popolo, che ha intrapreso il cammino dell’auto-determinazione e dell’indipendenza, sancito da un referendum nel 1991. Tali discussioni volte a risolvere questioni urgenti, in particolare lo sblocco dell’Artsakh, non possono sostituire i negoziati di pace a tutti gli effetti, necessari per raggiungere una soluzione globale del conflitto tra l’Azerbajgian e il Karabakh. Partiamo dalla necessità di ripristinare lo schema della mediazione internazionale come importante garanzia dell’irreversibilità del processo di pace. Ribadiamo inoltre che è invariata la posizione della Repubblica di Artsakh secondo cui i risultati dell’uso illegale o della minaccia della forza da parte dell’Azerbajgian non possono servire come punto di partenza sulla via della pace, della stabilità e della sicurezza».

Un giornalista dagli Stati Uniti: Nessun blocco sulla strada di Lachin [l’autostrada interstatale Goris-Berdzor (Lachin)-Stepanakert]. La strada di Lachin [Corridoio di Berdzor (Lachin)] non è bloccata, ha detto ai giornalisti Jake Turx corrispondente senior di Ami Magazine alla Casa Bianca, riferisce Report.az. “Non ho visto alcun blocco, ho visto i veicoli passare senza ostacoli”, ha detto. Ha aggiunto di provare persino una certa delusione perché, avendo percorso una distanza così lunga, non ha potuto vedere il “blocco” che, come afferma il mondo, sta avvenendo sulla strada di Lachin. Da 78 giorni va avanti la manifestazione di protesta sulla strada Khankandi-Lachin [l’autostrada interstatale Stepanakert-Berdzor (Lachin)-Goris] contro lo sfruttamento illegale dei giacimenti minerari nella regione economica del Karabakh in Azerbajgian [la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh] (Mirmahmud Kazimoglu, 27 febbraio 2023).
Una giornalista spagnola dice che c’è nessun blocco sulla strada Khankendi-Lachin. Non c’è blocco sulla strada Khankendi-Lachin [l’autostrada interstatale Stepanakert-Berdzor (Lachin)-Goris] dove gli eco-attivisti continuano le loro azioni di protesta e i veicoli con gli aiuti umanitari si muovono liberamente lungo la strada, ha detto un giornalista spagnolo ai giornalisti, secondo Report.az. Su questa strada, i giovani chiedono di porre fine allo sfruttamento delle risorse naturali e all’estrazione mineraria dei territori, ha affermato Dee Jimenez, aggiungendo che si tratta di un’ottima iniziativa. Ha aggiunto che questa azione è pacifica (27 febbraio 2023).
«Ho effettuato numerose visite senza preavviso al Corridoio di Lachin negli ultimi giorni e ho assistito a più convogli, inclusi camion di rifornimento e veicoli della Croce Rossa, passare con facilità. Le notizie di un blocco umanitario contro le città di etnia armena nel Karabakh appaiono infondate» (Jake K. Turx).

Turx è corrispondente senior di Ami Magazine (rivista ebraica di New York) alla Casa Bianca e di Newsmax. Collabora con BBC, CNN, Fox News, New York Times, National Public Radio, ecc

«Le false testimonianze e rozze, pagate dalla dittatura azera, dimostrano solo la volontà del tiranno Aliyev di sradicare gli Armeni. Solo l’interposizione di una forza internazionale di mantenimento della pace proteggerà le popolazioni civili armene» (Avv. François Devedjian).

Altri giornalisti stranieri in un “viaggio stampa” interamente finanziato/supervisionato dal governo azero che negano l’esistenza del blocco del Nagorno-Karabakh. Turx ha detto che era deluso, avendo viaggiato così lontano per vederlo, perché ha “visto niente”. Studiando la storia dei genocidi dovrebbe sapere meglio.

Poi, per raggiungere il luogo del blocco stradale, Turx ha dovuto attraversare le aree del Nagorno-Karabakh controllate dall’Azerbajgian, qualcosa che può essere fatto solo con il permesso ufficiale delle autorità azere, certamente non senza preavviso e non senza essere visto. Coloro che sono e non sono autorizzati a visitare il sito della “eco-protesta” rendono anche evidente che la protesta si svolge esattamente come vorrebbe Baku. Mentre i giornalisti dei media filogovernativi sono stati immancabilmente presenti alla protesta, agli attivisti e ai giornalisti indipendenti è stato impedito di partecipare. I media filogovernativi hanno affermato che ai giornalisti stranieri è stato permesso di visitare il luogo della protesta, ma ciò viene fatto solo sotto stretta supervisione dei servizi speciale dell’Azerbajgian.

Complimenti per Jimenez, che sottolinea che creare un’emergenza umanitaria per 120.000 persone, tra cui 30.000 bambini è «un’ottima iniziativa», aggiungendo che questa azione (la conduzione di una guerra e della pulizia etnica con altri mezzi), «è pacifica».

Non siamo sicuri di chi abbia bisogno di sentire questa roba, ma la presenza di veicoli della Croce Rossa che passano da un’area all’altra di continuo, generalmente significa che c’è una crisi umanitaria in atto e un disperato bisogno di aiuto.

Quale pool stampa? Ho scelto di partecipare a una conferenza a Baku, tra sopravvissuti di Khojaly e giornalisti, il 26. Sono andato a Lachin la mattina seguente e sono tornato da Lachin la sera del 1° marzo. Ora, per favore dimmi chi sta impedendo agli Armeni di lasciare Stepanakert (Jake K. Turx).
Perché gli Armeni dovrebbero lasciare Stepanakert? (@arshach).
Questo è quello che farei se ci fosse “fame di massa” e una “crisi umanitaria” nella mia città (Jake K. Turx).
Sembra un modo conveniente per migrare in massa le popolazioni, basta farle morire di fame. Immagino che la tua casa non abbia importanza per te (@arskhach).

«Pensavo che avrebbe potuto essere abbastanza intelligente da aver capito l’osservazione che stavo facendo, ma forse è davvero così inconsapevole, il che spiega l’ignoranza verso l’essere usato come strumento di propaganda» (@arshach).

Perché gli Armeni dovrebbero lasciare la loro Patria? Vuoi dire che se qualcuno ha qualche problema nel suo Paese dovrebbe andarsene invece di risolverlo? Un atteggiamento senza alcuna logica. Un esempio di un soggetto del giornalista al caviale che dimostra che lo scopo del #ArtsakhBlockade è far morire di fame gli Armeni dell’Artsakh.

Riportiamo l’articolo di Daniele Bellocchio apparso sul numero 7 di Famiglia Cristiana cartaceo del 12 febbraio 2023 (pagine 30-33), che aggiorna sulla situazione tesa nel Nagorno-Karabakh a seguito della chiusura del Corridoio di Lachin, che unisce la Repubblica di Artsakh con l’Armenia). Segue la risposta stizzita dell’Ambasciatore dell’Azerbajgian presso la Santa Sede e la risposta del Direttore di Famiglia Cristiana.

Un altro diplomatico che ha venduto la sua anima al diavolo per soldi sporchi ed avere salva la testa attaccata al collo. Diplomazia immorale con zero credibilità. Vergogna per aver raccontato bugie come megafono del regime dittatoriale di Ilham Aliyev.

Nagorno-Karabakh, senza cibo e gas: l’Artsakh dimenticato
La regione ora è isolata e i beni essenziali non arrivano più
L’appello all’Occidente: “Sollevatevi per noi come per l’Ucraina”
di Daniele Bellocchio
Famiglia Cristiana, 1° marzo 2023

Julietta ha 70 anni, è armena e vive a Stepanakert, la capitale del Nagorno-Karabakh, il territorio conteso del Caucaso meridionale storicamente abitato da genti armene ma formalmente parte dell’Azerbajgian. La sua vita è la rappresentazione della pervicace volontà di vivere di un popolo la cui esistenza nella storia è stata marchiata da persecuzioni e conflitti. Julietta ha vissuto la guerra degli anni ’90 quando, a seguito del collasso dell’Unione Sovietica, sui monti del Karabakh dilagò la violenza tra le forze armene che chiedevano l’annessione con Yerevan e quelle azerbajgiane che invece rivendicavano l’appartenenza della regione a Baku.

Il conflitto provocò la morte di oltre 30 mila persone e alla fine vide la vittoria degli Armeni che proclamarono la nascita della Repubblica di Artsakh, a oggi non riconosciuta da alcuno Stato al mondo. La donna ha sofferto la guerra dei 4 giorni nel 2016 e poi quella dei 44 giorni nel 2020, causata dall’aggressione da parte delle forze dell’Azerbajgian e che ha comportato 7 mila morti e 100 mila civili sfollati. Ora Julietta sta affrontando quello che verrà ricordato come il periodo dell’isolamento, perché dal 12 dicembre centinaia di attivisti azeri hanno bloccato il Corridoio di Lachin, l’unica arteria che mette in comunicazione il Nagorno-Karabakh con l’Armenia. Oltre 120 mila cittadini armeni che vivono nella regione del Caucaso meridionale – che prima dell’interruzione della strada importava quotidianamente 400 tonnellate di beni di prima necessità da Yerevan sono isolati dal resto del mondo: i mercati e i negozi sono vuoti, le merci mancano, le scuole sono chiuse, gli ospedali funzionano con difficoltà, i medicinali faticano ad arrivare e pure il trasferimento degli ammalati in terapia intensiva in Armenia è stato impedito: già si annovera la prima vittima a causa del blocco stradale.

«Noi Armeni dell’Artsakh abbiamo un’immunità genetica ai soprusi sviluppata nei secoli». Raggiunta telefonicamente, Julietta inizia l’intervista con ironica acutezza e prosegue raccontando: «In queste ore siamo più uniti che mai, anche se la situazione è molto difficile». La donna spiega come manchino i prodotti di prima necessità, che l’arrivo dei beni alimentari dipende soltanto dalla Croce Rossa Internazionale e dai peacekeeper (soldati delle forze di pace) russi e che la popolazione si è dimenticata ormai del gusto del caffè, dei vegetali, della frutta e che anche i farmaci iniziano a scarseggiare nelle corsie ospedaliere. Le sue parole trovano conferma nelle immagini che inondano la Rete e che mostrano centinaia di persone in fila ad attendere la propria razione di cibo, bambini impossibilitati ad andare a scuola e famiglie che si fanno forza tra loro unendosi la sera intorno a vecchie stufe a legna a causa delle continue interruzioni di gas.

Tatevik Agajanyan, ragazza di 31 anni, descrive come è mutata la sua vita dopo il 12 dicembre: «Tutto è cambiato. Dobbiamo fare la fila per ore per ricevere il cibo, molte persone non possono più lavorare, pianifichiamo le nostre attività quotidiane in base ai blackout perché abbiamo solo sei ore di elettricità al giorno. Ma questi disagi quotidiani, seppur problematici, si affrontano. Ciò che mi impensierisce è il futuro della mia terra, perché questa situazione non sembra trovare una soluzione ed è una nuova fase dell’aggressione contro gli armeni». Secondo stampa e Governo azero i cittadini azerbajgiani starebbero manifestando a difesa dell’ambiente e contro le attività estrattive nella regione, ma i difensori dei diritti umani dell’Armenia e dell’Artsakh rivelano invece che tra i manifestanti ci sono uomini delle forze di sicurezza di Baku e «attivisti appartenenti a organizzazioni finanziate dal Governo azero».

Human Rights Watch, Ong che si occupa della difesa dei diritti umani, invece si interroga sul perché una protesta di ambientalisti debba negare ai cittadini armeni il loro diritto alla libera circolazione e l’accesso ai servizi essenziali e ai beni primari. «Il mondo non deve dimenticarci», tuona Karen Ohanjanyan, cittadino di Stepanakert e fondatore della Ong Helsinki ’92. «L’Artsakh è divenuto un carcere a cielo aperto per gli armeni, le forze di interposizione russe non stanno facendo nulla per riaprire la strada e non sappiamo quanto potremo resistere in queste condizioni».

La Russia, a causa delle recenti tensioni con il Governo di Yerevan, ed essendo il principale fornitore di armi di Baku oltreché di gas che poi viene triangolato in Europa, aggirando così le sanzioni, mantiene un atteggiamento estraneo e traccheggiante. Il Parlamento Europeo invece ha lanciato appelli per scongiurare l’imminente crisi, il Segretario di Stato statunitense Antony Blinken ha chiesto al Presidente azero Ilham Aliyev l’immediata riapertura del Corridoio di Lachin e Papa Francesco ha ripetutamente espresso preoccupazione per quanto sta accadendo ai cristiani del Nagorno-Karabakh. Il Governo azero però non ha mostrato alcuna volontà di porre fine all’assedio ed eloquenti sono state le parole del leader, che il 10 gennaio, in conferenza stampa, ha definito i dimostranti «il nostro orgoglio» e ha dichiarato che gli Armeni del Nagorno-Karabakh che non vogliono vivere sotto il Governo dell’Azerbajgian (che occupa il 154° posto nel World press freedom index) sono liberi di andarsene.

«Durante la guerra degli anni ’90 ho vissuto con i miei tre figli in un rifugio sottoterra per un anno, la tomba di mia madre a Shushi è stata profanata due volte e ora, dopo che Shushi è stata occupata dagli Azeri, non so più nemmeno se esiste. Niente mi farà andare via dalla mia terra», è stata la risposta di Julietta alle parole di Aliyev. Poi la donna ha concluso dicendo: «Per il popolo dell’Artsakh i Paesi occidentali sono sempre stati simbolo di giustizia e democrazia. Abbiamo sempre cercato di costruire la nostra società ed educare i nostri figli con i valori di pace e libertà dell’Occidente. Vorrei però che oggi l’Occidente si alzasse in piedi per il Nagorno-Karabakh così come sta facendo per l’Ucraina, perché anche noi armeni siamo vittime di un’aggressione».

La replica di Ilgar Mukhtarov, il nuovo Ambasciatore dell’Azerbaigian presso la Santa Sede, al reportage di Daniele Bellocchio
Famiglia Cristiana, 1° marzo 2023

Spett.le Direttore Don Stefano Stimamiglio,
vorrei innanzi tutto cogliere questa occasione per presentarmi. Solo poche settimane fa ho avuto l’onore di consegnare al Santo Padre Francesco le Lettere con cui sono stato accreditato come nuovo ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian presso la Santa Sede. Ciò, con l’apertura di un’ambasciata residente presso la Santa Sede, apre un nuovo capitolo e un avanzamento nelle nostre relazioni bilaterali. L’Azerbaigian è noto per essere un paese multiculturale, in cui rappresentanti di tutte le religioni convivono pacificamente e in armonia. I rapporti tra la Città del Vaticano e Baku hanno festeggiato nel 2022 i loro 30 anni dall’instaurazione, e sono stati caratterizzati sempre da grande dialogo, collaborazione e comunanza di intenti. Sono stati molti i progetti che in questi anni ci hanno visto collaborare, e spero che presto avremo l’occasione per conoscerci e parlarne più diffusamente.
Sarebbe per me un gran piacere. In questa sede vorrei offrire una breve replica al lungo reportage di Daniele Bellocchio pubblicato nella settimana in corso sulla vostra stimata rivista e relativo al Karabakh, chiedendo gentile pubblicazione di questa mia riflessione. L’articolo purtroppo riporta una versione parziale di quanto stia avvenendo in questi giorni sulla strada di Lachin e parte da una considerazione errata: non esiste più la cosiddetta unità territoriale “Nagorno Karabakh” in Azerbaigian, ma esiste la regione economica del Karabakh dell’Azerbaigian. Il Karabakh è una terra storica dell’Azerbaigian ed è riconosciuto a livello internazionale da tutti i paesi del mondo come parte integrante del mio paese. Vorrei ricordare in questa occasione che l’Armenia ha tenuto sotto occupazione militare il 20% del territorio internazionalmente riconosciuto dell’Azerbaigian per quasi trenta anni, causando distruzioni, rovine e morti, e che ha raggiunto il suo apice nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 1992, quando le forze armate dell’Armenia sono state autrici di un atroce genocidio nella città di Khojaly dell’Azerbaigian, che ha causato la morte di 613 persone, tra cui 106 donne e 63 bambini. Un atto crudele che è stato riportato da media internazionali e condannato come atto di crimine contro l’umanità già da circa venti paesi nel mondo. Solo nel 2020 l’Azerbaigian è riuscito a ripristinare la sua integrità territoriale. Da allora il mio Paese è promotore di pace e di convivenza. L’Azerbaigian ha evidenziato in molte occasioni il mancato rispetto da parte dell’Armenia di quanto previsto dalla Dichiarazione firmata dai Leader di Azerbaigian, Armenia e Russia il 10 novembre 2020, in particolare il mancato ritiro delle forze armate armene dal territorio dell’Azerbaigian in violazione del paragrafo 4, l’abuso della strada di Lachin per provocazioni militari, nonché per attività economiche illegali, in violazione del comma 6, e l’ostacolo all’apertura di tutte le comunicazioni di trasporto nella regione, in violazione del comma 9. Si sottolinea che la strada di Lachin è utilizzata continuamente dall’Armenia per il trasporto di mine antiuomo, il cui posizionamento, proseguito anche all’indomani della fine della guerra, costituisce uno dei principali ostacoli alla normalizzazione della regione. Dall’agosto 2022, più di 2700 mine antiuomo prodotte in Armenia nel 2021 sono state rilevate in alcune parti dei distretti di Lachin e di Kalbajar dell’Azerbaigian. Evidentemente, tali mine sono state dispiegate nel territorio dell’Azerbaigian attraverso la strada Lachin, in palese violazione della citata Dichiarazione. Mi spiace molto che il vostro reportage non accenni a tutto questo. Per venire alle settimane in corso, come sottolineato più volte dal Ministero degli affari Esteri dell’Azerbaigian, la strada di Lachin non è stata chiusa dai manifestanti azerbaigiani: l’Azerbaigian non ha imposto alcuna restrizione al traffico, non esiste un blocco sugli armeni locali e non sussiste una cosiddetta catastrofe umanitaria. I manifestanti sono ragazzi tra i 18 e i 20 anni, giovani che protestano contro lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie dell’Azerbaigian. Aiuti umanitari, così come mezzi della Croce Rossa internazionale, transitano regolarmente. Ogni giorno si registra il passaggio di più di 50 veicoli. Le forze di pace della Federazione Russa, dislocate temporaneamente nell’area, sono incaricate dell’organizzazione del movimento dei cittadini, merci e veicoli lungo la strada, mentre i rappresentanti della società civile dell’Azerbaigian, che cercano di impedire il trasporto illegale di risorse minerarie saccheggiate, avvenuto regolarmente e già più volte denunciato, non interferiscono con le questioni relative al movimento di altri veicoli per scopi civili. Il Pontefice, nell’appello del 18 dicembre, citato nell’articolo, ha fatto riferimento alla “situazione creatasi nel corridoio di Lachin, nel Caucaso Meridionale”, manifestando preoccupazione per le condizioni umanitarie e chiedendo “a tutti coloro che sono coinvolti di impegnarsi a trovare soluzioni pacifiche per il bene delle persone”, e condividiamo le Sue parole. A tal proposito vorrei ricordare che 4000 azerbaigiani sono scomparsi dopo la prima guerra del Karabakh, e il mio paese continua a chiedere informazioni sulla loro sorte, restando per ora inascoltato.
L’Azerbaigian ha più volte esternato la sua volontà a voltare pagina, creare una nuova dimensione di pace e convivenza nella regione, garantendo a tutti i suoi cittadini, senza distinzioni, uguali diritti e possibilità. L’Armenia dovrebbe fare altrettanto, e lavorare per la pace, invece di creare nuove tensioni, rivendicazioni, e ostacoli. Falsificazioni della realtà, diffuse dai media, non aiutano il già fragile processo negoziale. Certi della Vostra comprensione, colgo l’occasione per inviare i miei più cordiali saluti,
Ilgar Mukhtarov
Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian presso la Santa Sede

La risposta del Direttore di Famiglia Cristiana, Don Stefano Stimamiglio, alla lettera che l’Ambasciatore dell’Azerbajgian presso la Santa Sede, Ilgar Mukhtarov, ha scritto a proposito del reportage di Daniele Bellocchio sulla regione del Nagorno-Karabakh
Famiglia Cristiana, 1° marzo 2023

Egr. Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian presso la Santa Sede
S.E. Ilgar Mukhtarov c/o
Addetto Stampa D.ssa Barbara Cassani bbcassani@gmail.com

Egregio Sig. Ilgar Mukhtarov, Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian presso la Santa Sede, ho letto con estrema attenzione la sua lettera del 16 febbraio scorso, nella quale ci offriva la Sua replica al reportage di Daniele Bellocchio apparsa sul numero 7 di Famiglia Cristiana ed avente ad oggetto l’articolo dal titolo “L’Artsakh dimenticato”. In esso veniva rappresentata la drammatica situazione della popolazione, in maggioranza armena, residente nella regione storicamente chiamata del “Nagorno Karabakh”, che oggi è parte integrante della Repubblica dell’Azerbaigian, in seguito alla chiusura del c.d. “corridoio di Lachin”, che unisce tale regione all’Armenia. Ci preme sottolineare, in primo luogo, che tale blocco stradale, come risulta anche da numerose e documentate relazioni di Organizzazioni internazionali e Ong, sta creando grandi problemi alla popolazione ivi residente. Ci sembra, quindi, che l’articolo di Bellocchio, che ha intervistato telefonicamente alcune persone ivi residenti per raccoglierne la testimonianza diretta, documenta tale situazione oggettivamente innegabile.
In merito alla c.d. “Guerra del Nagorno Karabakh”, e alla strage di Khojaly [1] da Lei citata, essa non poteva, per la specificità dell’argomento trattato e per il carattere divulgativo e non storico-scientifico della nostra rivista (e, di conseguenza, del pezzo) essere menzionata. Comunque, per onestà intellettuale e obiettività giornalistica, nemmeno è stata negata. Del resto l’approfondimento avrebbe richiesto di parlare anche dei contestuali pogrom di armeni a Baku, Sumgait e Kirovabad per mano azera [2], dei 724 mila azeri espulsi dal territorio del “Nagorno Karabakh” e dei 500 mila armeni espulsi dal Naxçivan e da altri territori dell’Azerbaigian, soprattutto dalla capitale Baku. Lo stesso conflitto del settembre-ottobre del 2020, che ha fatto registrare ancora una volta dolorose perdite umane, ha prolungato nel tempo l’instabilità di questa tormentata regione. Una, per inciso, delle più minate al mondo, con gravi conseguenze per tutti.
Tornando alla chiusura del corridoio di Lachin, vitale per chi vive nella zona, pare difficile credere che ragazzi di 18-20 anni possano, anche con motivate ragioni, creare e mantenere a lungo un blocco stradale in barba alle forze militari della Repubblica dell’Azerbaigian, che ha su quel territorio una sovranità internazionalmente riconosciuta, e al corpo di peacekeepers russi.
A questo proposito, e a conferma da quanto scritto da Bellocchio, Amnesty International, in un comunicato dello scorso 10 febbraio, ha (cito letteralmente) «lanciato l’allarme per la situazione di circa 120 mila abitanti del Nagorno-Karabakh di etnia armena, le cui vite sono a rischio per l’impossibilità di reperire beni essenziali, medicinali e cure mediche fondamentali per i malati cronici». La stessa Organizzazione «ha sollecitato le autorità dell’Azerbaigian e i peacekeeper della Russia a liberare il corridoio e porre fine alla crisi umanitaria», perché «il blocco sta avendo un impatto particolarmente grave su gruppi marginalizzati e discriminati come le donne, le persone anziane e le persone con disabilità. Le frequenti interruzioni nelle forniture di energia elettrica, gas e carburante stanno rendendo estremamente difficile la vita quotidiana». Sempre Amnesty sostiene che «gli aiuti umanitari forniti dal Comitato internazionale della Croce Rossa e dai peacekeeper russi non bastano: rispetto ai 1200 camion al giorno prima del blocco, ora ne passano da cinque a sei». Speriamo vivamente che da allora la situazione sia decisamente migliorata.
Ricordo anche che il Parlamento europeo, nella Risoluzione n. 2023/2504 (RSP) del 19 gennaio scorso, ha affermato che «sostenendo il blocco del corridoio di Lachin, l’Azerbaigian viola i suoi obblighi internazionali derivanti dalla dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020, in base alla quale l’Azerbaigian deve garantire la sicurezza delle persone, dei veicoli e delle merci che circolano lungo il corridoio in entrambe le direzioni» e ha deplorato «le tragiche conseguenze umanitarie provocate dal blocco del corridoio di Lachin e dal conflitto del Nagorno-Karabakh», esortando il Suo paese «a rispettare e attuare la dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020 e a riaprire immediatamente il corridoio di Lachin».
Confidiamo, infine, sinceramente, per il bene della popolazione civile, che la recente misura provvisoria (“Provisional measure”) adottata dalla Corte Internazionale di Giustizia lo scorso 22 febbraio, nell’ambito del procedimento giudiziario Application of the International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination – Armenia vs. Azerbaijan in corso tra la Repubblica di Armenia e la Repubblica dell’Azerbaigian, sia rapidamente messa in atto e possa così contribuire, come auspica anche Lei nella Sua lettera, e con il buon senso di entrambe le parti, a voltare pagina in questa dolorosa e lunga vicenda.
La guerra, come ci insegna il conflitto in corso tre Federazione russa e Ucraina, non lascia vincitori ma solo vittime da entrambe le parti. L’unica soluzione non può che essere, come sempre sottolinea il Santo Padre, la ricerca da parte di tutti di una pace giusta, nel rispetto della libertà della persona umana e delle sue tradizioni. Pubblicheremo il testo integrale del nostro carteggio sul nostro sito (www.famigliacristiana.it), facendone un rimando sul numero 11 di Famiglia Cristiana (in uscita il 9 marzo p.v.).
Grato della Sua disponibilità e per la comune ricerca del Bene comune, Le porgo i miei più cordiali saluti.
Don Stefano Stimamiglio
Direttore di Famiglia Cristiana

[1] Coloro che accusano ancora gli Armeni del massacro di Kojaly, ascoltino l’ex Presidente dell’Azerbajgian, Ayaz Mütallibov, che afferma che il principale responsabile del massacro di Kojali è il Partito del Fronte Popolare dell’Azerbajgian. “Mi hanno incastrato per rovesciarmi”, dice. Nel gennaio 1992 scoppia la guerra del Nagorno Karabakh e nel febbraio seguente avviene il massacro di Kojali, con oltre 600 vittime civili e migliaia di dispersi. Mütallibov diventa il capro espiatorio e viene accusato di poca protezione nei confronti dei cittadini di Kojali e di scarsa presa nella gestione del Paese. Poco tempo dopo presentò le sue dimissioni e dichiarò che il massacro non era mai avvenuto, anzi che si trattasse di una messa in scena orchestrata per screditarlo di fronte alla comunità internazionale. In pratica sostenne la posizione dell’esercito dell’Armenia, la quale affermava che la popolazione era stata invitata da una settimana a lasciare la cittadina e che la maggior parte dei civili cadde sotto fuoco azero giacché nel corridoio umanitario aperto per farli defluire in Azerbajgian si erano infilati molti soldati disertori.

[2] La strage dimenticata. La storia sconosciuta del pogrom di Armeni in Azerbajgian nel 1988. I massacri di Sumgait sono stati la prima campagna di pulizia etnica che gli Azeri hanno commesso come una risposta brutale alle legittime esigenze del popolo dell’Artsakh per esercitare il loro fondamentale diritto all’auto-determinazione. Il brutale pogrom di Sumgait ha alimentato l’odio sponsorizzato dallo Stato azerbajgiano nei confronti degli Armeni e ha preceduto ulteriori episodi sanguinose di pulizie etiche perpetrate dalle autorità azere a Kirovabad, Mingechaur, Baku e altrove in Azerbajgian e in Nagorno-Karabakh. Gli Armeni sopravvissuti al pogrom di Sumgait hanno raccontato i dettagli delle atrocità compiute dagli Azeri: «Ho sentito i loro slogan con le mie orecchie: ‘Uccidi gli armeni’, ‘ti massacreremo’, ‘non ti daremo il #Karabakh’, – ha detto uno dei sopravvissuti.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

#ArtsakhBlockade. #FactChecking. La narrazione azera che l’assedio dell’Artsakh abbia una motivazione ecologica è una TRUFFA (Korazym 02.03.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 02.03.2023 – Vik van Brantegem] – È chiaro – per chi vuole osservare e comprendere – che motivi e scopi del blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) non solo hanno niente a che fare con la preoccupazione per l’ambiente, ma non sono neanche solo politici (pulizie etnica degli Armeni dall’Artsakh… e poi dall’Armenia, con il sistema del salame di Aliyev) e militare (l’occupazione del resto dell’Artsakh… e poi dell’Armenia), ma hanno soprattutto una determinante componente economica (lo sfruttamento delle risorse minerarie in Artsakh, a vantaggio della dinastia Aliyev).

Da una parte è accertato e documentato, che le credenziali come attivisti ambientali degli Azeri, che bloccano il Corridoio di Berdzor (Lachin) ininterrottamente dal 12 dicembre 2022, sono tutt’altro che convincenti, mentre emergono sempre più prove che dimostrano che sono state inviate e sostenute dal regime autocratico dittatoriale dell’Azerbajgian.
Dall’altre parte è chiaro che la loro protesta per le attività minerarie in Artsakh non hanno niente a che fare con preoccupazioni ambientali, visto che Aliyev vuole sfruttare le risorse naturali dell’Artsakh a proprio vantaggio.

Tutto questo viene ancora una volta dimostrato dai due articoli che riportiamo di seguito, come abbiamo fatto già più volte in passato.

Per non lasciare alcun dubbio, la Anglo-Asian Mining PLC ha scritto sul proprio sito: «Il governo [dell’Azerbajgian] farà tutto il possibile per garantire che la Compagnia abbia accesso fisico alla regione [Artsakh] per intraprendere l’esplorazione mineraria [dei giacimenti di Drmbon e di Kashen, sul territorio ancora sotto controlla del governo della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh]».

La miniera di Drombon (oro-rame) è la principale risorsa della area di Kyzlbulag, che comprende una parte della regione di Martakert dell’Artsakh (a sud del bacino idrico di Sarsang) e una parte della regione di Askeran.

La miniera di Kashen (rame-molibdeno) si trova a Demirli, nella parte orientale della regione di Martakert dell’Artsakh.

Ieri abbiamo riferito che nella riunione trilaterale del Comandante del contingente di mantenimento della pace russo di stanza in Artsakh, con i Rappresentanti dell’Azerbajgian e dell’Artsakh, le parti hanno anche parlato delle due miniere di Drmbon e di Kashen e che, secondo i media azeri, i Rappresentanti dell’Azerbajgian (Ramin Mammadov. membro del Milli Mejlis, l’Assemblea Nazionale dell’Azerbajgian, Responsabile dei rapporti con i Rappresentanti della Repubblica di Artsakh e Masim Mammadov, Capo del gruppo di monitoraggio sullo “sfruttamento illegale delle risorse naturali”) hanno visitato la miniera di Kashen.

Ieri abbiamo anche condiviso il link al documento con i dati dettagliate di intelligence sul blocco azero dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh: i partecipanti (nome, organizzazione, messaggi dalla parte bloccata del Corridoio di Berdzor (Lachin) e video/dichiarazioni anti-armene), i partecipanti con una foto in uniforme militare (nome, affiliazione e informazioni aggiuntive) e le organizzazioni coinvolti (nome, ulteriori informazioni e altro). In questo documento si può verificare che siano coinvolte nel blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) solo persone vicine al regime dittatoriale di Ilham Aliyev: membri del partito al governo, organizzazioni finanziate dallo stato e così via [QUI].

Mentre il 21 dicembre 2022 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si riuniva per discutere della chiusura illegale da parte dell’Azerbajgian del Corridoio di Berdzor (Lachin), con il pretesto di chiudere delle miniere in Artsakh per preoccupazioni ecologiche, il partner minerario dell’Azerbajgian, Anglo-Asian Mining PLC (che di inglese ha solo la parte del nome, anche se è registrata a Londra, per il resto è azerbajgiano), il 20 dicembre 2022 ha rilasciato una dichiarazione dal titolo “Estrazione illegale di risorse minerarie in Karabakh”, pubblicata alla Borsa di Londra, notificando agli investitori di aver contattato alti funzionari delle Nazioni Unite, del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, del Ministero degli Esteri del Regno Unito e dell’Unione Europea, chiedendo “sostegno” per “accedere” alle miniere nella regione di Martakert dell’Artsakh, “attualmente sfruttate da altri”, e “per il ripristino dei suoi legittimi diritti commerciali e dell’accesso fisico sicuro per i dipendenti di Anglo Asian alle miniere di Kyzlbulag e Demirli e al territorio di esplorazione circostante in Karabakh”: «Anglo-Asian Mining PLC (“Anglo Asian” o la “Società”) ha scritto a rappresentanti di alto livello di una serie di organizzazioni e governi internazionali, tra cui le Nazioni Unite, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, il Ministero degli Esteri del Regno Unito e l’Unione Europea in merito ai diritti commerciali e minerari di Anglo-Asian su proprietà attualmente sfruttate da altri. La Società richiede il supporto di queste autorità per il ripristino dei suoi legittimi diritti commerciali e l’accesso fisico sicuro per i dipendenti di Anglo Asian alle miniere di Kizlbulag e Demirli e al territorio di esplorazione circostante nel Karabakh. In precedenza, nel 2006, Anglo-Asian ha inviato lettere simili a ciascuno di questi enti governativi per confermare formalmente il suo diritto di proprietà. Oltre ai suoi asset principali in Azerbajgian, Anglo-Asian Mining PLC ha anche la titolarità legale di due aree contrattuali in Karabakh, che ospitano la miniera di rame-oro di Kyzlbulag e la miniera di rame-molibdeno di Demirli. Queste aree contrattuali si trovano all’interno della regione controllata dalle forze di pace russe, ma la Società ritiene che attività minerarie illegali da parte di compagnie armene siano state e continuino ad essere condotte in queste aree di concessione».

Quindi, il contenzioso vero dietro il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) non si trova in una preoccupazione ambientale, ma risiede innanzitutto nel impedire lo sfruttamento delle principali risorse dell’Artsakh, il giacimento d’oro di Kizlbulagh [miniera di Drombon] e il deposito di rame-molibdeno di Demirli [miniera di Kashen], ma soprattutto nel impedire il trasporto fuori dall’Artsakh, senza il quale l’estrazione dei minerali non ha senso. Quindi, il fake dell’accusa azera che il Corridoio di Berdzor (Lachin) viene usato per rifornire armi all’Artsakh in realtà è impedire i trasporti industriali, come si nota da quanto scritto dall’agenzia di stampa statale azerbaigiana Azernews, nell’attaccare Ruben Vardanyan, l’allora Ministro di Stato (Primo Ministro) della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, perché come imprenditore «si impegna in un business illegale: l’estrazione e l’esportazione di oro azero [secondo la logica che tutto quello che si trova nel territorio di Artsakh non è proprietà della sua popolazione ma dell’Azerbajgian] attraverso il Corridoio di Lachin».

Sul ruolo della Anglo-Asian Mining ha scritto in modo più approfondito il giornalista Sossi Tatikyan nel suo articolo di fact checking Armare il blocco con l’intento di pulizia etnica su EVN Report del 20 dicembre 2022: «Obiettivi a breve termine dell’Azerbajgian. Lo sfruttamento delle miniere senza il consenso degli Armeni locali – Nel luglio 2022, l’Azerbajgian avrebbe venduto due miniere nella regione di Martakert del Nagorno-Karabakh a una società britannica chiamata Anglo-Asian Mining PLC, che afferma di essere il principale produttore di oro e rame in Azerbajgian. Pertanto, l’obiettivo tattico a breve termine della chiusura del corridoio è stabilire il controllo sulle miniere e privare gli Armeni locali della loro principale fonte di reddito, quindi di sostentamento. È importante notare che sono stati privati della maggior parte delle altre risorse naturali e fonti di sostentamento dalla guerra dell’Artsakh del 2020, come le risorse idriche e i terreni agricoli catturati dall’Azerbajgian e concessi in linea con la dichiarazione di cessate il fuoco del 9 novembre 2020. L’esame del sito web dell’azienda non indica nulla di britannico al riguardo, tranne il nome e la registrazione. Non ha alcuna attività al di fuori dell’Azerbajgian, e la maggior parte dei suoi azionisti sono Azeri, fatta eccezione per l’ex governatore americano John Sununu, che è stato anche capo dello staff di George W. Bush e suo figlio.
Il diritto internazionale non consente agli Stati di concludere accordi sull’estrazione delle risorse naturali di un territorio conteso con un conflitto irrisolto e rivendicazioni di autodeterminazione senza il consenso della popolazione locale. Nel 2016 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha revocato gli accordi Unione Europea-Marocco ratificati dal Parlamento Europeo in materia di commercio agricolo e pesca, che consentivano al Marocco di esportare merci dal territorio del conteso Sahara occidentale e dalle acque ad esso adiacenti».

In conclusione e riassumendo. Come abbiamo già riferito più volte in precedenza, dai primi giorni del blocco illegale del Corridoio di Berdzor (Lachin), non si tratta di preoccupazioni ambientale ma delle pretese della compagnia mineraria (solo formalmente inglese ma in realtà azerbaigiana e quindi di diretto interesse economico della dinastia Aliyev) Anglo Asia Mining, che sta richiedendo il sostegno di Baku per il ripristino dei suoi “legittimi diritti commerciali e l’accesso fisico sicuro per i dipendenti di Anglo Asian Mining alle miniere di Kyzlbulag (oro) e Demirli (rame-molibdeno) e al territorio di esplorazione circostante nella Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Questo è un esempio di colonialismo e saccheggio nella sua forma più pura delle risorse delle terre indigene armene (gli Armeni vivono lì da oltre 2000 anni) da parte degli aggressori azerbajgiani, con il sostegno di un altro regime coloniale, la Gran Bretagna. Un po’ di oro e di rame aiuta la Gran Bretagna a tacere su un genocidio in corso. Ecco la realtà sotto le rivendicazioni “ecologiste” delle ONG azeri che da 81 giorni tengono sotto assedio l’Artsakh (solo formalmente non governativa ma in realtà facendo parte dello Stato dell’Azerbajgian, organizzati e coordinati da governo di Baku).

Abbiamo riferito di questa retroscena dal decimo giorno del #ArtsakhBlockade [QUIQUIQUI e QUI].

La miniera di oro di Gedabek (Getabak il nome storico armeno), sfruttata dall’Azerbajgian.

L’Azerbajgian dà alla compagnia mineraria britannica tre nuovi siti come compensazione per la miniera di Sotk
di Vahe Sarukhanyan
Hetq.am, 19 dicembre 2022

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Ad un esame più attento, i cosiddetti eco-attivisti azeri che hanno chiuso l’autostrada Stepanakert-Goris, l’unico collegamento via terra che collega l’Artsakh e l’Armenia, dal 12 dicembre sono semplici ingranaggi di un gioco più ampio ideato dal Presidente azero Ilham Aliyev per raggiungere il suo obiettivo politico e ambizioni economiche.

Gli attivisti affermano di voler accedere alla miniera di Kashen ad Artsakh, sostenendo che gli Armeni sono illegalmente impegnati in operazioni minerarie lì.

Baku tiene d’occhio la miniera di rame-molibdeno, una delle principali risorse economiche dell’Artsakh, che alimenta l’attuale politica di Aliyev per creare un Artsakh senza Armeni.

Baku dà i diritti sulle miniere di Artsakh alle società britanniche

Il governo azero ha fatto il suo primo passo il 5 luglio di quest’anno. Una modifica del contratto siglato con Anglo Asian Mining PLC, società britannica operante in Azerbajgian, ha comportato la consegna di tre nuovi siti minerari (aree contrattuali).

Una delle aree, che gli Azeri e la compagnia britannica chiamano Demirli, coincide con la parte orientale della regione di Martakert dell’Artsakh, questo secondo la mappa pubblicata dalla compagnia. Demirli è il nome con cui gli azeri chiamano il villaggio Martakert di Tsaghkashen, dove si trova la miniera di Kashen.

La miniera di Kashen è gestita da Base Metals CJSC, un filiale del Vallex Group. Un tempo questa società sfruttava anche la miniera di rame-oro di Drmbon, a circa 14 km da Kashen. Base Metals iniziò quindi a costruire il complesso minerario di Kashen. La miniera di Drmbon rimane sotto il controllo dell’Artsakh. Base Metals, con circa 2.000 dipendenti, è il più grande contribuente in Artsakh.

Anglo Asian afferma di aver originariamente avuto la concessione per sei aree contrattuali in Azerbajgian ai sensi di un accordo di condivisione della produzione (“PSA”) con il governo dell’Azerbajgian del 20 agosto 1997.
In realtà, non è stata Anglo Asian a firmare l’accordo del 1997 con l’Azerbajgian, ma la RV Investment Group Services LLC con sede negli Stati Uniti , di proprietà dell’iraniano Mohammad Reza Vaziri. Fondata nel 1996, si trova nel Delaware, considerato uno stato “paradiso fiscale” aziendale.

Le aree acquisite dalla società americana sono state Gedabek (Getabak il nome storico armeno), Gosha, Ordubad, Soyudlu (Sotk), Kyzlbulag e Vejnaly. Gli ultimi tre erano controllati dalla Repubblica del Nagorno Karabakh dopo la guerra dell’Artsakh degli anni ’90.

Dopo la guerra dell’Artsakh del 2020, solo una parte della miniera di Sotk rimane sotto il controllo degli Armeni. Quella parte è nella provincia orientale di Gegharkunik dell’Armenia. Il resto si trova oltre il confine, nella storica regione armena di Karvatchar, ora controllata dall’Azerbajgian. L’area di Kyzlbulag comprende una parte della regione di Martakert dell’Artsakh (a sud del bacino idrico di Sarsang) e una parte della regione di Askeran, ma la sua principale risorsa è la miniera di Drmbon. Vejnaly si trova nella storica regione armena di Kovsakan (Zangelan).

Reza Vaziri e i suoi soci hanno iniziato a scavare in Azerbajgian nella seconda metà degli anni 2000, con Anglo Asian Mining. Quest’ultima fino a luglio 2022 “possedeva” 6 aree contrattuali, in 3 delle quali era impegnata nell’estrazione o nell’esplorazione.

Nel 2007, Anglo Asian Mining ha ricevuto i diritti per l’esplorazione e l’estrazione mineraria nell’area contrattuale di Gedabek (più di 300 chilometri quadrati) per un periodo di 25 anni. L’attività di estrazione di oro, rame e argento è iniziata nel 2008.

Gedabek è la regione principale delle operazioni della compagnia britannica in Azerbajgian. Anche l’oro, il rame e l’argento estratti dalla vicina area contrattuale di Gosha (300 kmq) vengono lavorati nel complesso di Gedabek. Gosha opera dal 2014.

I lavori esplorativi sono ancora in corso nell’area contrattuale di Ordubad (462 chilometri quadrati) situata nella Repubblica Autonoma di Nakhijevan in Azerbajgian.

Travisando il contenuto della dichiarazione di cessate il fuoco della guerra dell’Artsakh del 9 novembre 2020, la compagnia britannica afferma che, grazie a questo accordo, un corridoio dall’Azerbajgian a Nakhijevan opererà attraverso la provincia armena di Syunik e faciliterà notevolmente il progetto di estrazione delle risorse di Ordubad da parte di Anglo Asian Mining . Vediamo così che il progetto del “Corridoio di Zangezur”, tanto voluto dal tandem turco-azerbajgiano (e dai loro noti e sconosciuti sostenitori), ha non solo una componente politica e militare, ma anche una componente economica.

Anglo Asian “ha ricevuto” tre nuovi territori in sostituzione della miniera di Sotk

Anglo Asian fa notare che nel 2022, con il cambio di contratto del 5 luglio, ha rinunciato alla miniera d’oro di Sotk. La miniera divisa dal nuovo confine tra Armenia e Azerbajgian è stata un grattacapo per la compagnia britannica. Al contrario, si dovrebbe anche considerare quali piani ha Aliyev riguardo alla miniera di Sotk. Dopotutto, Sotk è uno dei più grandi giacimenti d’oro della regione. La miniera di Sotk è gestita dall’Armenia con Geopromining Gold LLC, una società con radici russe.

In ogni caso, Anglo Asian non è rimasto a mani vuote e ha ottenuto Xarghar, Garadagh e Demirli al posto di Sotk.

Xarxar e Garadagh sono vicino a Gedabek e Gosha. Xarxar è una zona mineraria di rame, Garadagh è porfido, una roccia vulcanica che funge da materiale da costruzione, sebbene alcuni tipi di porfido includano metalli non ferrosi: rame, molibdeno, oro, palladio, renio.
Gli investitori britannici sono entusiasti di questa nuova acquisizione. Il sito web dell’azienda afferma che ci sono 300.000 tonnellate di rame nella miniera di porfido di Garadagh, per un valore stimato di oltre 3 miliardi di dollari.

La terza zona presumibilmente acquisita a luglio è Dimirli, la parte orientale della regione di Martakert dell’Artsakh, con la miniera di Kashen, che era e rimane sotto il controllo armeno. È rimasto un punto dolente per il regime di Baku e per la compagnia britannica che collabora con esso. Anglo Asian, parlando delle riserve di Kashen, cita il messaggio diffuso da Base Metals nel gennaio 2016 durante l’apertura del complesso di Kashen, secondo il quale le riserve di rame a Kashen sono stimate in 275.000 tonnellate, e 3.200 tonnellate di molibdeno. La società britannica osserva che si tratta di una valutazione priva di fondamento.Secondo Anglo Asian, l’area totale delle zone minerarie di Xarxar, Garadagh e Demirli è di 882 chilometri quadrati.

Così, invece delle precedenti sei, l’azienda britannica ha ora sulla carta otto aree contrattuali, la cui superficie totale, secondo Anglo Asian, è di 2544 metri quadrati. Come affermato, tre vengono estratti o esplorati

Aree minerarie “ripristinate”

Gli altri due territori, che la società britannica descrive come “ripristinati”, sono Vejnaly e Kyzlbulag, che furono ceduti dall’Azerbaigian all’americana “RV Investment Group Services” nel 1997.

Vejnaly è un sito di estrazione dell’oro nella storica area armena di Kovsakan (Zangelan). Dopo la guerra dell’Artsakh del 2020, l’Azerbajgian ha ripreso il controllo di Kovsakan e Anglo Asian considera i suoi diritti su Vejnaly “ripristinati”. La compagnia dice che durante l’”occupazione armena” qui c’era un’attività mineraria, che è stata poi interrotta (si intende nel 2020), e ora la regione è presumibilmente protetta dal governo azero, e loro hanno accesso alla miniera.

Secondo Anglo Asian, il minerale accumulato a Vejnaly (non dichiarato, ma logicamente, estratto dagli Armeni) è stato trasportato e lavorato nel complesso di Gedabek nel dicembre 2021. “Attualmente sta conducendo uno studio tecnico per determinare se sia economico ricominciare l’estrazione dalla miniera sotterranea esistente”, afferma il sito web di Anglo Asian.

Se Vejnaly è sotto il controllo degli Azeri e i diritti di Anglo Asian su di esso sono “ripristinati”, allora l’area contrattuale chiamata Kyzlbulag è attualmente inaccessibile all’impresa britannica, come Tsaghkashen (Demirli), ed è assurdo che lo faccia essere in qualche modo “ripristinato”. Tuttavia, questa area contrattuale che copre parte delle regioni di Martakert e di Askeran dell’Artsakh è un boccone gustoso per Anglo Asian, come indicano le informazioni sul sito web di quest’ultimo.

Di conseguenza, Kyzlbulag comprende diverse miniere e ha un grande potenziale di esplorazione. Si dice che qui ci siano una miniera di rame-molibdeno e una fabbrica [intendono la miniera e la fabbrica di Drmbon]. “Ci sono indicazioni che fino a 35.000 once [circa 1 tonnellata] di oro all’anno venivano estratte dalla miniera di rame-oro di Kyzlbulag, prima che la miniera venisse chiusa diversi anni fa”, osserva Anglo Asian sul suo sito web riferendosi all’operazione della miniera e della fabbrica di Drmbon da Base Metals.

“Le forze di mantenimento della pace russe sono attualmente presenti nell’area per garantire la sicurezza della regione. Il governo [dell’Azerbajgian] farà tutto il possibile per garantire che la Compagnia abbia accesso fisico alla regione [Artsakh] per intraprendere l’esplorazione mineraria  [dei giacimenti di Drmbon e di Kashen]”.

Greenwashing di un blocco
di Bashir Kitachayev
OCMedia, 1° marzo 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Quasi tre mesi fa, il Corridoio di Lachin è stato bloccato da Azeri che affermavano di essere attivisti ambientali. Ma le loro credenziali ambientali sono tutt’altro che convincenti, e sono emerse sempre più prove che dimostrano che sono state inviate e sostenute dal governo dell’Azerbajgian.

La mattina del 12 dicembre 2022, un gruppo di Azeri che si definiscono ecoattivisti ha bloccato la strada che collega il Nagorno-Karabakh con l’Armenia.

La presunta base della loro protesta era “l’estrazione illegale” in corso nel Nagorno-Karabakh, con la loro richiesta che gli specialisti azerbajgiani potessero entrare nella miniera d’oro di Damirli (Kashen).

Hanno affermato che l’impresa stava estraendo oro illegalmente per esportarlo in Armenia, con il supporto delle forze di mantenimento della pace russe. Hanno sostenuto, tuttavia, che una preoccupazione fondamentale e motivo della protesta era il presunto impatto ambientale dell’attività mineraria.

Le autorità azere hanno affermato che i manifestanti sono attori indipendenti che usano il loro diritto alla disobbedienza civile e all’espressione pubblica e non sono collegati al governo.

Ma fin dall’inizio, c’erano chiari segni che questo era del tutto falso.

Nel corso dei mesi in cui il Nagorno-Karabakh è stato bloccato e con l’aggravarsi della crisi umanitaria, sono aumentate le prove che dimostrano chiaramente che questa “protesta” è stata interamente organizzata dal governo azero.

In primo luogo, per raggiungere il luogo della loro protesta, i manifestanti hanno dovuto attraversare le aree del Nagorno-Karabakh controllate dall’Azerbajgian; qualcosa che può essere fatto solo con il permesso ufficiale delle autorità azere.

Anche i presunti eco-attivisti sono stati ben assistiti durante tutto il blocco.

Coloro che si sono radunati all’ingresso del corridoio sono stati forniti di tende e cibo dal giorno in cui sono arrivati, e protetti dalle forze speciali e dalla polizia azera.

Agli attivisti viene anche data la possibilità di tornare a casa dopo aver fatto la loro parte: ancora oggi i manifestanti vengono regolarmente sostituiti da nuovi gruppi di persone che vengono portate all’ingresso del corridoio in autobus speciali.

Coloro che sono e non sono autorizzati a visitare il sito rendono anche evidente che la protesta si svolge esattamente come vorrebbe Baku.

Mentre i giornalisti dei media filogovernativi sono stati immancabilmente presenti alla protesta, agli attivisti e ai giornalisti indipendenti è stato impedito di partecipare.

Due giorni dopo l’inizio della protesta, tre giornalisti di Meydan TV, testata azerbajgiana indipendente, sono stati arrestati da persone non identificate in abiti civili e mascherati mentre cercavano di raggiungere il luogo della protesta, quindi costretti a tornare a Baku.

I media filogovernativi hanno affermato che ai giornalisti stranieri è stato permesso di visitare il luogo della protesta qualche tempo dopo l’inizio, ma ciò è stato fatto solo sotto stretta supervisione.

Mentre il governo dell’Azerbajgian continua a negare che la strada sia del tutto bloccata, la protesta che ha portato al blocco procede secondo le sue condizioni, mira a raggiungere i suoi obiettivi e, cosa sempre più preoccupante, rispetta il suo agenda.

“Partecipanti a uno spettacolo”

La protesta è stata nazionalista e patriottica nel suo tono dal giorno in cui è iniziata, nonostante i suoi principi ecologici dichiarati. Ciò era evidente nell’abbondanza di bandiere di Stato e negli slogan nazionalisti intonati dai manifestanti, come: “I martiri non muoiono, la madrepatria è indivisibile!”, “Il Karabakh è l’Azerbajgian!”.

Anche il loro atteggiamento nei confronti delle forze speciali azere e della polizia armata di fucili d’assalto vicino al luogo della protesta ha reso evidente il nazionalismo allineato al governo alla base delle loro azioni. Gli “eco-attivisti” hanno regolarmente iniziato ogni giornata cantando l’inno nazionale e hanno salutato il cambio della guardia con applausi e un canto di “il miglior soldato è un soldato azero!”.

Javid Gara, capo dell’organizzazione indipendente azera per la protezione ambientale, Ecofront, ha descritto la protesta come “falsa”, affermando che i manifestanti non erano altro che “partecipanti a uno spettacolo pre-orchestrato”. “Le loro richieste di fermare lo sfruttamento illegale e distruttivo delle miniere sono assolutamente giustificate, ma l’azione è chiaramente organizzata dalle autorità. Conosco diverse persone che hanno partecipato alla protesta. Nessuno di loro era eco-attivista’, mi ha detto Gara.

Tra le persone identificate che hanno partecipato alle proteste, tuttavia, figurano funzionari del Ministero dell’Ecologia, dipendenti pubblici di vari dipartimenti, membri di organizzazioni della società civile finanziate e affiliate allo Stato, ex militari, membri di associazioni sportive locali e, occasionalmente, lavoratori turchi dei cantieri vicini.

Le organizzazioni non governative i cui membri hanno partecipato alla manifestazione in corso sono tutte sostenute dai finanziamenti dell’Agenzia statale per il finanziamento delle ONG, creata con decreto presidenziale nel 2021. Le organizzazioni hanno anche pubblicato frequentemente sui social media elogi del Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, e sostegno alla guerra nel Nagorno -Karabakh.

Tra i partecipanti c’erano il capo e i membri della ONG Optimist allineata al governo e membri dell’Unione pubblica per il sostegno dei giovani, i cui dipendenti all’epoca includevano Taleh Mansurov, che in precedenza aveva ricoperto varie posizioni nel partito al governo del Nuovo Azerbaigian.

Molti dei presunti eco-manifestanti sono volontari dell’associazione pubblica per lo sviluppo regionale, creata con il sostegno della Fondazione Heydar Aliyev. Sul sito web dell’associazione, il “valore” principale dei loro volontari è elencato come “dimostrare sempre lealtà ai valori morali nazionali e alla statualità”. I social media del gruppo sono pieni di foto di giovani membri che protestano sulla strada di Lachin, insieme ai loro più “tradizionali” post pro-Aliyev.

Ma c’erano anche grandi nomi presenti.

Fariz Akbarov , un membro del Comitato statale per la famiglia, le donne e gli affari dei bambini, ha pubblicato una foto della protesta con il Viceministro dell’ecologia e delle risorse naturali dell’Azerbajgian, Firdousi Aliyev, che sembrava anche lui, almeno temporaneamente, diventato un “eco-attivista”.

Ma forse l’”attivista” più importante che ha bloccato l’ingresso del Corridoio di Lachin è stato Telman Gasimov, un capitano dell’esercito di riserva azero che ha preso parte alla seconda guerra del Nagorno-Karabakh. Le foto di Facebook mostrano Gasimov in uniforme militare durante la guerra in Nagorno-Karabakh. In una mostra in modo prominente un pezzo dell’organizzazione paramilitare turca di estrema destra, i Lupi grigi, un gruppo ultranazionalista che è stato dichiarato organizzazione terroristica da alcuni Paesi. Tra la sfilza di slogan nazionalisti e post anti-armeni sulla sua pagina, Gasimov ha anche pubblicato una foto in cui fa un gesto della mano caratteristico dei Lupi grigi, in piedi davanti a un manifesto che recita: “Il nostro obiettivo è Yerevan”.

Gasimov non era solo nelle sue inclinazioni politiche: la folla degli “eco-attivisti” è stata filmata mentre faceva lo stesso gesto il secondo giorno della protesta.

Un paio di settimane dopo, sono rimasti solo giovani membri di organizzazioni di volontariato e ONG finanziate dallo stato, molti dei quali indossavano giacche con l’emblema della Fondazione per la Gioventù dell’Azerbajgian gestita da Aliyev.

Problemi ecologici in Azerbajgian

Mentre i manifestanti si sono recati in Nagorno-Karabakh per protestare contro il presunto impatto ambientale della miniere d’oro di Demirli, l’Azerbajgian ha una serie di gravi sfide ecologiche interne, che hanno avuto molto meno successo nell’attirare l’attenzione delle autorità. Tra questi ci sono i problemi di lunga data dell’inquinamento atmosferico a Baku, l’abbattimento illegale di alberi, la caccia nelle riserve naturali e l’inquinamento del mare dovuto alla produzione di petrolio. Ecofront lavora per affrontare tutti questi problemi, afferma Javid Gara, ma le autorità sono per lo più disinteressate o ostili. Solo quando un problema attira l’attenzione del pubblico in generale, il governo intraprende un’azione. “Una volta siamo entrati in una zona di confine dove gli alberi venivano tagliati illegalmente. Siamo stati trattenuti dalle guardie di frontiera, perché abbiamo deliberatamente violato la legge e siamo entrati in un territorio proibito”, dice Gara. Gli attivisti sono stati multati e rilasciati, ma il disboscamento illegale nel distretto di Gusar si è interrotto dopo che hanno denunciato online ciò che stava accadendo.

In altre occasioni, Gara afferma che i manifestanti di Ecofront sono stati picchiati e hanno ricevuto minacce di morte dai responsabili del danno ecologico.

Ecofront non è presente alle proteste nel Corridoio d Lachin. “Non vogliamo far parte dei giochi politici”, ha detto Gara. “Inoltre, personalmente non penso sia giusto bloccare la strada e fare pressione su persone che non hanno nulla a che fare con l’estrazione illegale di risorse”.

Baku può continuare a promuovere le storie che si adattano ai suoi obiettivi, ma le crepe nelle sue narrazioni iniziano a mostrarsi.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

ANTONIA ARSLAN: VOGLIONO FAR SCOMPARIRE IL POPOLO ARMENO – 1984 (Byoblu 02.03.23)

Antonia Arslan, scrittrice italiana di origine armena racconta il dramma del suo popolo in questa intervista per 1984: piano di fuga, il talk show di Byoblu condotto da Francesco Borgonovo. “È evidente che l’obiettivo dell’Azerbaijan sia quello di ridurre completamente in suo potere il territorio dell’Artsakh e di espellere i suoi abitanti. Sono 120 mila persone che vivono lì, tra cui 30 mila bambini, che stanno soffrendo a causa della chiusura delle frontiere e della mancanza di cibo”.

La guerra infinita tra Armenia e Azerbaijan

A 1984 ci eravamo già occupati della questione armena più volte ospitando anche il vescovo armeno della diocesi di Artsakh, Vrtanes Abrahamyan per parlare di questa “guerra infinita”.

Gli armeni continuano a combattere eppure la loro battaglia non è così nota in occidente. Una storia che rimane sotto traccia. “Stringe il cuore l’idea di questi 120 mila montanari aggrappati alle loro montagne e che non vogliono andarsene – dice Arslan -. Sono già state cancellate chiese, case, croci di pietra e tutte le tracce della loro esistenza nella zona del Nakhchivan al confine con la Turchia”.

Arslan: “Hanno progettato un genocidio”

“Quello contro il Nagorno Karabakh è un progetto di genocidio perché l’obiettivo è distruggere le persone ma anche cancellare ogni traccia della loro presenza millenaria in quelle zone” prosegue la scrittrice.

L’Italia però ha da poco stretto accordi con l’Azerbaijan per il gas, visto che dobiamo rinunciare al gas dalle Russia. Ancora una volta, prevale l’interessa materiale. “Capisco che sia necessario, ma l’Azerbaijan vende il gas, non ce lo regala. Dove è finita la grande diplomazia europea? Come mai vanno ad inginocchiarsi di fronte al dittatore azzero?”.

“L’Unione Europea non ha una politica estera seria, annaspa. Proprio come quando la Mogherini andò in Iran a si mise il velo che viene imposto alle donne iraniane. Che bisogno c’era di farlo?”.

Così, nell’indifferenza europea, il conflitto tra Armenia e Azerbaijan continua.

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Chi è Paolo Kessisoglu, l’attore che parteciperà alla terza edizione di “LOL” (Trend 02.03.23)

LOL – Chi ride è fuori” si rinnova con una terza edizione e a far parte del cast di comici c’è anche l’attore Paolo Kessisoglu. Nonostante sia noto molto noto sul web e sul piccolo e grande schermo, i più giovani si stanno chiedendo: “Chi è Paolo Kessisoglu?”. Scopriamo insieme e ripercorriamo la sua carriera nel mondo dello spettacolo.

Ecco chi è Paolo Kessisoglu: carriera e incontro con Luca Bizzarri

Paolo Kessisoglu ha 53 anni ed è nato a Genova il 25 luglio 1969. L’attore ha origini armene e infatti il suo cognome in origine era Keshishian. Dopo l’occupazione dell’Armenia da parte dei turchi, il cognome è diventato Kesisoglu che italianizzato è Kessisoglu.

L’attore ligure sin da bambino ha studiato chitarra e a soli 13 anni si era già esibito in alcuni locali jazz della città di Genova. La sua carriera teatrale è iniziata nel 1991 dopo aver conosciuto l’amico e collega Luca Bizzarri. I due hanno fondato prima il gruppo comico “I cavalli marci” con il quale si sono fatti notare grazie alla trasmissione “Ciro, il figlio di Target“. Nel 1998, però, Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu decidono di uscire dal gruppo e creare il duo comico “Luca e Paolo“.

Dal 1999 Paolo Kessisoglu, insieme all’inseparabile Luca Bizzarri, lavora anche al cinema e fa il suo esordio nel film “E allora Mambo!“. Tra le altre pellicole famose in cui ha recitato Paolo Kessisoglu vi sono: “”Immaturi” (2011), “Immaturi – Il viaggio” (2012), “Colpi di fortuna” (2013) e “Il giorno più bello” (2022).

Il successo di Paolo Kessisoglu arriva però nel 2003 quando è protagonista della sitcom “Camera Café“, in cui veste i panni di Paolo Bitta. La serie è andata in onda fino al 2017.

Paolo Kessisoglu, Insieme all’amico Luca Bizzarri, ha condotto anche “Colorado“, “Scherzi a parte” e il Festival di Sanremo 2011, dove ha affiancato Belen Rodriguez ed Elisabetta Canalis.

Paolo Kessisoglu ha anche suonato la chitarra con artisti come i Negramaro, i Deep Purple e Joe Satriani durante i loro concerti in giro per l’Italia.

Il 9 marzo 2023 prenderà parte alla terza edizione di “LOL – Chi ride è fuori“, programma condotto dal rapper Fedez.

La vita privata di Paolo Kessisoglu

Della vita privata di Paolo Kessisoglu si sa molto poco dato che è una persona estremamente riservata. Nel 2003 ha conosciuto Sabrina Donadel, giornalista e conduttrice televisiva, che nello stesso anno ha sposato. La coppia ha una figlia che si chiama Lunita.

Come il suo amico e collega Luca Bizzarri, anche Paolo Kessisoglu è tifoso del Genova, passione che gli ha trasmesso la sua famiglia.

A proposito delle sue origini, Paolo Kessisoglu combatte in prima persona il negazionismo del genocidio del suo popolo. Il genocidio degli armeni è avvenuto durante la prima guerra mondiale ed è una pagina buia della storia. Lo sterminio fu eseguito dall’Impero Ottomano che però ha sempre negato di aver massacrato quasi 2 milioni di persone tra il 1915 e il 1919.

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Preziosissimo tesoro dell’età del bronzo scoperto in Armenia (Scienzenotizie.it 01.03.23)

Un team dii archeologi polacchi e armeni ha scoperto una tomba nel sito archeologico di Metsamor, contenente collane d’oro ed altri manufatti risalenti all’età del bronzo.

Il sito archeologico di Metsamor si trova vicino al villaggio di Taronik, nella provincia armena di Armavir, dove la più antica traccia di insediamento umano risale al IV millennio a.C. durante l’età del rame. Nell’Età del Bronzo e nella Prima Età del Ferro il sito divenne un importante centro religioso ed economico, sviluppandosi in una città ricca di templi e santuari, fortificata da una cittadella e da mura ciclopiche, e con un’economia avanzata basata sulla produzione metallurgica. Recenti scavi hanno portato alla luce una camera sommersa incorniciata da grandi pietre, contenente i resti di una sepoltura lignea e due scheletri morti all’età di 30-40 anni durante la tarda età del bronzo intorno al 1300-1200 a.C.

 

 

Gli archeologi hanno anche trovato oltre un centinaio di perle fatte di oro e corniola che formavano tre collane, oltre a ciondoli d’oro, una dozzina di vasi di ceramica completi e un’unica fiaschetta di maiolica importata dal confine siriano-mesopotamico. La tomba è stata trovata in una necropoli dove sono già state esaminate oltre 100 tombe, di cui solo alcune sono state saccheggiate durante l’antichità. Metsamor è un sito archeologico protetto con lo status di riserva archeologica. Gli scavi nell’area sono stati effettuati dal 1965, portando alla luce altri esempi di collane d’oro e accessori per cinture dorate con raffigurazioni di leonesse cacciatrici.

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La strage dimenticata. La storia sconosciuta del pogrom di Armeni in Azerbajgian nel 1988 (Korazym 01.03.23)

Nei giorni scorsi ci siamo fermati diverse volte per commemorare il 35° anniversario del pogrom di Sumgait in Azerbajgian tra il 27 e 29 febbraio 1988, quando gli Azeri sterminarono la minoranza armena cristiana a Sumgait per bloccare la libertà dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh [QUI]. I massacri di Sumgait sono stati la prima campagna di pulizia etnica che gli Azeri hanno commesso come una risposta brutale alle legittime esigenze del popolo dell’Artsakh per esercitare il loro fondamentale diritto all’auto-determinazione. Il brutale pogrom di Sumgait ha alimentato l’odio sponsorizzato dallo Stato azerbajgiano nei confronti degli Armeni e ha preceduto ulteriori episodi sanguinose di pulizie etiche perpetrate dalle autorità azere a Kirovabad, Mingechaur, Baku e altrove in Azerbajgian e in Nagorno-Karabakh.

Il 21 aprile 1988, il Premio Nobel Andrei Sakharov, scienziato attivista per i diritti umani, in una lettera indirizzata al leader sovietico Mikhail Gorbaciov sul pogrom di Sumgait scriveva: «Se prima degli eventi di Sumgait qualcuno poteva avere ancora dei dubbi, dopo questa tragedia non resta nessuna possibilità morale di insistere sul mantenimento dell’appartenenza territoriale del Nagorno-Karabakh all’Azerbajgian». In un’intervista al New York Times Sakharov dichiarava che «i massacri degli Armeni rappresentavano una vera minaccia per lo sterminio della minoranza armena dell’Azerbajgian e della popolazione del Nagorno-Karabakh».

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 01.03.2023 – Renato Farina] – Le tre giornate del pogrom di Sumgait non le ricorda nessuno. Tantomeno si terranno cerimonie nella città industriale sul Mar Caspio dove asce, coltelli e forbici sparsero il sangue degli Armeni che in 18mila vivevano fiduciosamente tra gli Azeri.

Be’, noi sì. Non sarà geo-politicamente e idrocarburicamente corretto, vista la nostra dipendenza energetica da chi a Baku non gradirà questo articolo, ma la memoria è importante: infila spine tra le costole, toglie l’alibi dell’ignoranza alla nostra ignavia per il destino dei nostri fratelli Armeni.

L’occasione è il 35° anniversario di un eccidio impunito, i cui autori sono stati elevati a eroi nazionali della Repubblica islamica dell’Azerbajgian. Furono sterminati ufficialmente “solo” 29 Armeni; in realtà forse 500, forse 1500 (i dati nessuno è in grado di confermarli, neanche le tombe ne parlano: molti cadaveri finirono dispersi negli obitori di Baku e di altre località).

Accadde tra il 27 e il 29 febbraio del 1988. L’Unione Sovietica in quel periodo della sua tragica storia si avviava a tirare le cuoia. I popoli percepivano la frantumazione incombente. A dispetto del lavoro di Stalin e dei suoi successori che deportavano e mescolavano i popoli per sradicarne il sentimento nazionale e fabbricare così l’homo sovieticus, moti indipendentisti percorrevano l’immenso territorio. Per i Paesi baltici la questione era semplice: tornarono ai confini precedenti l’annessione all’URSS del giugno 1940. Lituani, Lettoni ed Estoni avrebbero riavuto le rispettive lingue e capitali, mentre l’importante minoranza russa sarebbe passata da longa manus colonizzatrice a mano colpevole e maltrattata.

Nuovi confini

Nelle Repubbliche Socialiste Sovietiche situate nel Caucaso del Sud (Armenia e Azerbajgian) la situazione era complicata. Voglia di indipendenza tanta. Ma anche volontà di ridisegnare i confini, scombinati appositamente da Stalin per tenere sotto schiaffo gli Armeni, popolo inossidabile, con la testa dura come la pietra delle sue croci che coprono il territorio. Soprattutto assegnò all’Azerbajgian, del tutto innaturalmente, l’Artsakh (Nagorno-Karabakh) a grande maggioranza armena, e soprattutto cuore primigenio e pulsante della più antica nazione cristiana, così da inaridirne l’identità. Con l’atroce sfregio di destinare agli Azeri, per così dire diversamente Turchi, quei monasteri favolosi da trasformare in magazzini. Gli Azeri, come illustra plasticamente l’attuale alleanza d’acciaio tra Aliyev (Baku) ed Erdoğan (Ankara), sono dello stesso ceppo linguistico e antropologico di chi nel 1915 aveva sterminato 1,5 milioni di Cristiani Armeni, compiendo il primo genocidio del Ventesimo secolo.

L’irredentismo dell’Artsakh era puro desiderio di sopravvivenza nella facile previsione dell’onda che avrebbe sommerso qualsiasi identità non coincidente con quella azero-turca. Noi siamo abituati a considerare “pogrom” una orribile esclusiva degli Ebrei. Be’ quest’orrore shakespeariano se lo sono spartito – in modo minore ma poco raccontato – con gli Armeni. Accade improvvisamente che, per un dannato mulinello nel fiume della storia, l’odio razziale e religioso verso una comunità, specie se dotata di connotati fisici e culturali inconfondibilmente “altri” da quelli della maggioranza, da sentimento di avversione tenuto, pronto all’uso, nei cassetti della mente, esploda in violenza di massa. Una guerra, la mancanza di pane, una malattia, una diceria colpa loro! Basta una scintilla, ed ecco che folle di brave persone attraversano come legioni di demoni città e villaggi per spargere sangue di ebrei o – è il nostro caso – di Armeni.

Il più grave fu il “massacro di Shushi” nell’Artsakh (1920). Determinò la completa distruzione del quartiere armeno della città e la fuga della popolazione armena sopravvissuta al pogrom. Il numero finale delle vittime è incerto ed oscilla tra le cinquecento e le trentamila.
Questi precedenti inducevano gli Armeni residenti in Azerbajgian a ritenersi spacciati. La gran parte degli Azeri (che sono poi i famosi Tartari) viveva in pace e armonia con i 500mila Armeni, presenti con folte comunità in particolare proprio a Baku e Sumgait. Ma quando la storia corre e – come scriveva Lord Byron – “cambia cavalli”, i miti e gli inermi sono soverchiati da masnade vituperose. Andò proprio così. Davanti a chiare mosse dei capi di Baku di farla corta con la presenza degli Armeni, specie nel Nagorno-Karabakh (in armeno Artsakh), il 20 febbraio del 1988 il “Soviet Supremo del Nagorno-Karabakh” votò l’annessione della regione autonoma all’Armenia. Il tentativo era di sigillare legalmente quello che storia e diritto all’autodeterminazione dei popoli imponevano.

Non c’è solo il male

La vendetta si compì, perfettamente pianificata dalle autorità allora comuniste di Baku, scegliendo come teatro dello spettacolo di sangue la città di Sumgait (in russo) ora Sumgayit (in azero). E siamo al 35° anniversario che qui ricordiamo: il famigerato triduo del 27-28-29 febbraio 1988. Crudeltà e fuoco si riaccesero presto. La Repubblica titola il 28 novembre 1988: «Il pogrom dilaga nei villaggi». Ezio Mauro, allora corrispondente da Mosca, racconta: «A Erevan le notizie dei nuovi morti arrivano insieme con le informazioni frammentarie, confuse, allucinanti sul pogrom di Kirovabad». Quanti morti? Migliaia. Continua Mauro: «Nel pomeriggio, dalla capitale armena partono venti autobus, scortati da auto militari, per arrivare fino alla città azerbajdzana in un’operazione di recupero e salvataggio degli ultimi armeni asserragliati dalla paura nelle case o nelle chiese».

Nel gennaio 1990 altro pogrom a Baku. Di lì la guerra del Caucaso meridionale. Alla vittoria degli Armeni dei primi anni ‘90, con infiniti dolori da entrambe le parti, segue nel settembre del 2020 l’aggressione a freddo degli Azeri, coadiuvati da Turchi e mercenari jihadisti siriani: assaltano l’Artsakh, ne occupano l’80 per cento. I 120mila Armeni radunati nella porzione di terra rimastagli sono sotto assedio, sono ormai 77 giorni senza rifornimenti, nel gelo, e tra essi 30mila bambini. Essendo noi ottimi clienti dell’Azerbajgian, oltre che badare al prezzo del suo gas, forse potremmo trattare sul prezzo della libertà e della vita di questa gente.

P.S. Nota personale. Fin qui ho descritto il male, la tremenda potenza dell’odio. Se mi fermassi qui, avrei gettato un covone di verità (ne sono convinto, ci credo!) nel dibattito sulle responsabilità della guerra. Si tratta per me di salvare un popolo. Non c’è solo il male però. In tanti cercano dai fronti opposti di soccorrere e curare come possono il nemico. Il soccorso Armeno ai terremotati Turchi allarga il cuore. Così la volontà di giovani Azeri di incontrarsi come fratelli con coetanei Armeni per pregare e capirsi. Utopie? No, fiori.

Questo articolo è stato pubblicato ieri su Libero Quotidiano.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Antonia Arslan porta a Brescia il coraggio delle donne armene (Bresciaoggi.it 01.03.23)

Domani alle 18.30 nella sede della Fondazione San Benedetto a Brescia in Borgo Wührer 119 è in programma un incontro con la scrittrice di origini armene Antonia Arslan che presenterà il suo ultimo libro «Il destino dì Aghavnì» (edizioni Ares). Nota al grande pubblico per il romanzo «La masseria delle allodole» vincitore del Premio Strega nel 2004 e dal quale è stato tratto anche un film per la regia dei fratelli Taviani, da molti anni è impegnata a far conoscere il genocidio del popolo armeno togliendo il velo di oblio e di censura che circonda una delle pagine più tragiche della storia recente. E il suo nuovo racconto adesso si ricolloca ancora in quello scenario. Nella primavera del 1915, alla vigilia del genocidio degli armeni, in una Piccola Città del centro dell’Anatolia, una ragazza di 23 anni che si chiama Aghavnì esce di casa con i suoi cari, il giovane marito e i due figli, un bambino di sei anni e una bambina di due. Nessuno li vedrà mai più. Scompaiono, semplicemente, senza lasciar traccia. Sono stati uccisi? O rapiti? Ma da chi? Nonostante le intense ricerche delle due famiglie, nessuno sembra saperne qualcosa. Poi, anche il loro ricordo sbiadisce fino a scomparire, nell’imperversare dei terribili eventi che iniziano proprio in quei giorni. Da una fotografia di questa sorellina di suo nonno, ritrovata a casa di un cugino in America, Antonia Arslan trae un racconto avventuroso di dolore e di coraggio, di morte e di rinascita, che culmina in uno strano Natale, in un misterioso presepio che diventa un riscatto dei cuori. «Questa storia non è “vera”, ma è molto verosimile – spiega la scrittrice -.

Circa 4 anni fa ho conosciuto un mio cugino che vive a Manchester, New Hampshire. Mi ha mostrato carte e foto di famiglia, fra cui una foto – del 1912 – di 3 sorelle di mio nonno, sorridenti e con vestiti uguali. Due le conoscevo, della terza mi disse: “Questa è Aghavnì, la sorella scomparsa”. Non sapevo che fosse esistita! Quella foto ha lavorato dentro di me per tutto questo tempo, finché lo scorso agosto il personaggio e la sua storia – simile a tante altre storie femminili di quei terribili anni – ha preso forza e consistenza». Il coraggio e lo spirito indomito delle donne armene sono uno dei cardini su cui ruota il romanzo breve. «Però Aghavnì – sottolinea Arslan – non è in opposizione al mondo maschile, piuttosto attraverso di lei volevo illustrare, ancora una volta, la frattura nel mondo femminile armeno causata dall’improvvisa amputazione della sua controparte, quello maschile, tagliato via dal suo posto nel mondo e nella vita dall’irrevocabile amputazione di una morte violenta. Non a caso le donne armene furono chiamate “i resti della spada”. E quante di loro, ormai sole, finirono in famiglie turche (o curde, o arabe…) e non si seppe più nulla». Il libro è un’occasione anche per gettare uno sguardo sulla condizione oggi del popolo armeno. «La situazione attuale è per l’Armenia più che difficile, è terribile – conclude Arslan -. La spregiudicata politica della Turchia (non bisogna mai dimenticare la grande abilità della diplomazia turca, da 150 anni ad oggi) è vissuta dall’Unione Europea con un misto di sudditanza e timore. Non siamo mai propositivi, rispondiamo soltanto, sempre intimiditi, quando non ignoranti dell’estrema complessità dello scacchiere caucasico». L’incontro è aperto a tutti, si chiede di confermare la presenza via mail a info@fondazionesanbenedetto.it o whatsapp 351 6050806. •. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Ottantesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Artsakh è terra armena. Un luogo storico, spirituale e culturale armeno di importanza mondiale (Korazym 01.03.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 01.03.2023 – Vik van Brantegem] – «Lo sblocco del Corridoio di Lachin è una questione primaria. La libera circolazione [lungo il corridoio] deve essere ripristinata senza indugi. È un obbligo dell’Azerbajgian», ha dichiarato il Ministro degli Esteri francese, Catherine Colonna.

Alla luce della tua croce
I tuoi figli ti proteggeranno per sempre
Ti giuriamo
E armiamoci del tuo spirito
Sei la nostra benedizione
La nostra patria Shushi
(Inno di Shushi, città dell’Artsakh occupata dall’Azerbajgian)

Ramin Mammadov, membro del Milli Mejlis (Assemblea Nazionale) dell’Azerbajgian, è stato nominato Responsabile dei rapporti con i Rappresentanti della Repubblica di Artsakh.

La questione della ripresa del passaggio senza ostacoli lungo il corridoio di Lachin è stata discussa oggi 1° marzo 2023 in una riunione trilaterale del Comandante del contingente di mantenimento della pace russo di stanza in Artsakh, con i Rappresentanti dell’Azerbajgian e dell’Artsakh. Le parti hanno discusso anche la ripresa della fornitura di energia elettrica e della fornitura ininterrotta di gas all’Artsakh dall’Armenia. “Sono stati raggiunti accordi su un’ulteriore cooperazione, la riduzione delle tensioni, l’instaurazione di una vita pacifica nella regione e la ricerca di modi per risolvere il conflitto del Nagorno-Karabakh”.

È stata presa in considerazione la possibilità di un monitoraggio ambientale da parte di rappresentanti dell’Azerbajgian nei di due giacimenti di Drmbon e Kashen. Secondo i media azeri, i Rappresentanti dell’Azerbajgian Ramin Mammadov e Masim Mammadov, Capo del gruppo di monitoraggio sullo “sfruttamento illegale delle risorse naturali”, hanno visitato la miniera di Kashen.

Lusine Avanesyan, Portavoce del Presidente della Repubblica di Artsakh, ha confermato che oggi 1° marzo 2023 si è tenuto un incontro dei Rappresentanti ufficiali della Repubblica di Artsakh e della Repubblica di Azerbajgian con la mediazione e la partecipazione delle truppe di mantenimento della pace russe di stanza nell’Artsakh. “Sono state discusse questioni umanitarie e infrastrutturali, in particolare per quanto riguarda il ripristino del passaggio senza ostacoli dei veicoli attraverso il Corridoio di Lachin, il ripristino della linea elettrica che alimenta l’Artsakh dall’Armenia, la fornitura ininterrotta di gas naturale dall’Armenia, nonché il funzionamento della miniera di Kashen. Non vi erano altri argomenti all’ordine del giorno. Speriamo che i risultati non tarderanno ad arrivare”, ha detto il Portavoce del Presidente dell’Artsakh.

Nellie Baghdasaryan, Consigliere del Presidente della Repubblica di Artsakh, ha definito disinformazione la notizia diffusa dai media azeri, che hanno cercato di presentare l’incontro tra i Rappresentanti della Repubblica di Artsakh e della Repubblica di Azerbajgian come le cosiddette “discussioni preliminari sulla reintegrazione degli Armeni della regione del Karabakh”.
In una conversazione con il corrispondente di Armenpress, Nellie Baghdasaryan ha ricordato che il Portavoce del Presidente dell’Artsakh ha fornito dettagli sull’incontro tra i Rappresentanti ufficiali della Repubblica di Artsakh e della Repubblica di Azerbajgian, con la mediazione e partecipazione del comando delle truppe di mantenimento della pace russe, durante la quale sono state discusse questioni umanitarie e infrastrutturali . Dopo l’incontro, i mass media azeri hanno diffuso attivamente disinformazione, presentandola come le cosiddette “discussioni preliminari sulla reintegrazione degli armeni della regione del Karabakh”.
“Il Presidente della Repubblica di Artsakh, nel suo discorso del 23 febbraio e durante la sessione di governo del 1° marzo, ha nuovamente escluso qualsiasi processo di integrazione con l’Azerbajgian, rilevando che il dialogo politico con l’Azerbajgian ai fini della risoluzione del conflitto è possibile solo all’interno il quadro del format di mediazione internazionale”, ha sottolineato Baghdasaryan.
Parlando della ulteriore disinformazione diffusa dai mass media azeri (ricordiamo, tutti controllati dal regime dittatoriale di Aliyev), secondo cui il prossimo incontro dei Rappresentanti ufficiali delle parti “potrebbe svolgersi a Ganja o ad Aghdam”, e senza la partecipazione delle truppe di mantenimento della pace russe, Baghdasaryan ha sottolineato che anche questo non è vero. Dopo la dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, le comunicazioni e gli incontri dei Rappresentanti della Repubblica di Azerbajgian e della Repubblica di Artsakh relativi alla soluzione dei problemi umanitari e infrastrutturali della Repubblica di Artsakh sono organizzati nel luogo determinato dalle truppe di pace russe, con la loro mediazione e partecipazione.

Il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Artsakh ha commentato l’incontro tra i Rappresentanti della Repubblica di Artsakh e della Repubblica di Azerbaigian tenutosi oggi 1° marzo 2023 in Artsakh con la mediazione del Comandante delle forze di mantenimento della pace della Federazione Russa di stanza nella Repubblica di Artsakh, rilevando che discussioni simili organizzate allo scopo di risolvere questioni urgenti, in particolare la revoca del blocco dell’Artsakh, non possono sostituire i negoziati di pace completi, necessari per la risoluzione globale del conflitto Azerbaigian-Karabakh.
Nel commento del Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh si legge: “Durante l’incontro sono state discusse questioni di carattere umanitario nel contesto della necessità dell’immediata apertura del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian. Con la mediazione delle truppe di mantenimento della pace russe, tali incontri tra i Rappresentanti dell’Artsakh e dell’Azerbajgian a diversi livelli si sono svolti più volte allo scopo di discutere questioni tecniche, umanitarie e infrastrutturali.
I partecipanti all’incontro non hanno discusso questioni relative allo status politico della Repubblica di Artsakh. Secondo i risultati dell’incontro, i commenti fatti dalla parte azera non corrispondono alla realtà. La Repubblica di Artsakh rimane impegnata nella scelta della via dell’auto-determinazione e dell’indipendenza del suo popolo, fissata nel 1991. durante il referendum.
Discussioni simili organizzate allo scopo di risolvere questioni urgenti, in particolare la revoca del blocco dell’Artsakh, non possono sostituire i negoziati di pace a tutti gli effetti, necessari per la soluzione globale del conflitto Azerbajgian-Karabakh. Partiamo dalla necessità di ripristinare lo schema della mediazione internazionale come importante garanzia dell’irreversibilità del processo di pace. Sottolineiamo ancora una volta che la posizione della Repubblica di Artsakh secondo cui i risultati dell’uso illegale della forza e della minaccia della forza da parte dell’Azerbajgian non possono essere un punto di partenza per l’instaurazione di pace, stabilità e sicurezza rimane invariata».

Finalmente, sembra esserci una certa spinta verso la fine del blocco azero dell’Artsakh. Tuttavia, non è sicuro che ciò significhi che tutto andrà bene per la parte armena, poiché è certo che l’Azerbajgian chiederà che l’Artsakh faccia parte dell’Azerbajgian. Pertanto, non è chiaro dove porteranno questi negoziati per risolvere il blocco o per risolvere il conflitto dell’Artsakh con entrambe le parti che ottengono ciò che vogliono. Con ogni probabilità ne deriverà più stallo in una forma diversa. Intanto, le forze armate dell’Azerbajgian continuano con le violazioni del regime di cessate il fuoco in Artsakh.

Il Ministero degli Interni dell’Artsakh comunica che il 28 febbraio e il 1° marzo 2023 le forze armate dell’Azerbajgian, violando il regime di cessate il fuoco, hanno aperto il fuoco contro i cittadini che svolgevano lavori agricoli nella regione di Martuni della Repubblica di Artsakh. La documentazione è stata presentato alle truppe di mantenimento della pace russe.

Condividiamo il link al documento con i dati sul blocco azero dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh: i partecipanti (nome, organizzazione, messaggi dalla parte bloccata del Corridoio di Lachin e video/dichiarazioni anti-armene), i partecipanti con una foto in uniforme militare (nome, affiliazione e informazioni aggiuntive) e le organizzazioni coinvolti (nome, ulteriori informazioni e altro).

In questo documento si può verificare che siano coinvolte nel #ArtsakhBlockade solo persone vicine al regime dittatoriale di Ilham Aliyev: membri del partito al governo, organizzazioni finanziate dallo stato e così via [QUI].

Nessuno crede alla narrazione dell’Azerbajgian sulle piattaforme internazionali che il Corridoio di Lachin non sia chiuso

Durante la sessione invernale dell’Assemblea costituente dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OSCE), la delegazione armena ha sollevato la questione della chiusura del Corridoio di Lachin e dei problemi umanitari e di sicurezza che ha causato, e anche i parlamentari di Regno Unito, Francia e Svezia hanno espresso le loro preoccupazioni. Lo ha detto il capo della delegazione armena presso l’Assemblea parlamentare dell’OSCE, Sargis Khandanyan, Presidente del Comitato permanente per le relazioni estere dell’Assemblea Nazionale dell’Armenia, durante la conferenza stampa tenutasi all’Assemblea nazionale dell’Armenia, riassumendo i lavori della sessione invernale dell’Assemblea parlamentare dell’OSCE.
L’argomento all’ordine del giorno delle sessioni è stato principalmente la guerra in Ucraina e le sue conseguenze. “Tuttavia, la delegazione armena ha parlato anche della nostra regione. Abbiamo parlato delle minacce alla sicurezza dell’Armenia, delle sfide, dei problemi di sicurezza e pace nella regione, nonché della chiusura del Corridoio di Lachin e dei conseguenti problemi di sicurezza e umanitari”, ha affermato Khandanyan.
La delegazione armena che ha partecipato alla sessione plenaria, ha avuto anche incontri bilaterali. La delegazione armena ha incontrato la delegazione statunitense, ha parlato dello sviluppo delle relazioni Armenia-USA, della regione, delle sfide alla sicurezza che minacciano l’Armenia. Nell’ambito della sessione, la delegazione armena ha avuto anche incontri con la delegazione del Regno Unito, il Presidente dell’Assemblea parlamentare dell’OSCE e il Rappresentante speciale del Caucaso meridionale. Tra le altre questioni, è stata discussa anche la cooperazione nell’ambito dell’Assemblea parlamentare.
Secondo Khandanyan, la presentazione delle posizioni armene sulle piattaforme internazionali non solo cambia le opinioni, ma fa parlare anche i partner internazionali. “In particolare, durante l’Assemblea parlamentare dell’OSCE, i deputati di Regno Unito, Francia e Svezia hanno parlato della chiusura del Corridoio di Lachin. Hanno anche espresso la loro preoccupazione in conversazioni private con noi. E nessuno crede alla tesi dell’Azerbaigian espressa sulle piattaforme internazionali secondo cui il Corridoio Lachin non è chiuso, che le macchine passano, ecc., La conversazione sul Corridoio non è chiuso. È ovvio. A ciò si aggiunge la decisione del Tribunale di Den Haag, che ha confermato ancora una volta la gravità del problema”, ha detto Khandanyan.
L’Armenia ha le sue posizioni di principio nei negoziati sul trattato di pace. sia nell’ambito di questi negoziati che al di fuori di essi, è la richiesta generale dell’Armenia che l’Azerbajgian ritiri le sue truppe dai territori occupati dell’Armenia, ha detto Khandanyan, riferendosi alla questione dei negoziati. “L’Armenia ha le sue posizioni di principio. E quelle posizioni di principio sono generalmente poste sotto la protezione della sovranità e dell’indipendenza dell’Armenia, anche nel contesto del tema della non interferenza negli affari interni dell’Armenia da parte di qualsiasi parte”, ha affermato Khandanyan. Il deputato non ha detto su quali punti specifici Armenia e Azerbajgian non sono ancora in grado di riconciliare le loro posizioni, osservando che i negoziatori dovrebbero parlarne. “Tuttavia, l’Armenia è impegnata a proseguire i negoziati. E speriamo che il momento arrivi presto e avremo l’opportunità di firmare l’accordo di pace con l’Azerbajgian”, ha detto.
Affrontando la questione se esista una condizione preliminare nel senso che gli Azeri lascino il territorio sovrano dell’Armenia, Khandanyan ha detto: “Questa precondizione non è solo nel quadro dei negoziati di pace, ma è generalmente la richiesta dell’Armenia che l’Azerbaigian ritiri le sue truppe dalle parti occupate dell’Armenia”.

Ieri 28 febbraio 2023, con la visita del Ministro degli Esteri russo Lavrov a Baku, Azerbajgian e Russia hanno festeggiato il primo anno della dichiarazione di alleanza. Maria Zakharova, Portavoce del Ministero degli Esteri russo ha detto che è un documento storico. In effetti, se la Russia non avesse formato un’alleanza con l’Azerbajgian un giorno prima dell’attacco all’Ucraina, come venderebbe il suo gas sanzionato all’Unione Europea attraverso l’Azerbajgian?

L’agenzia di stampa statale dell’Azerbajgian, Azeri-Press Agency (APA) ieri ha pubblicato delle foto di veicoli del contingente di mantenimento della pace russo che attraversano il posto di blocco azero nel Nagorno-Karabakh, riportando che 62 veicoli sono stati autorizzati a passare attraverso il blocco in entrambe le direzioni, come prova che c’è libero transito nel Corridoio di Berdzor (Lachin). In realtà solo mezzi del Comitati Internazionale della Croce Rossa e del contingente di mantenimento della pace russo hanno il permesso di transitare.

Il contingente di mantenimento della pace russo in Artsakh riferisce di aver distribuito il 27 febbraio 2023 più di 700 pacchi alimentari a famiglie in difficoltà sociale durante una visita a 12 scuole nella capitale Stepanakert, insieme ai volontari del progetto multinazionale “Siamo uniti”.

«Mio cugino alleva galline a Stepanakert. In un recinto chiuso. Le nutre due volte al giorno. Aspettano tutto il giorno che mio cugino sparga il grano saraceno avanzato da mangiare. Le galline non possono andare da nessuna parte. Neanch’io tra l’altro» (Marut Vanyan, giornalista freelance a Stepanakert).

Il Ministero della Difesa della Repubblica di Armenia riferisce che il Ministro della Difesa armeno, Suren Papikyan, il 28 febbraio 2023 ha visitato delle installazioni militari nel sud-ovest del paese, lungo il confine con l’exclave del Nakhichevan dell’Azerbajgian, informando che sono in corso lavori di ristrutturazione agli avamposti di confine.
I comandanti delle unità hanno riferito al Ministro della Difesa sulla situazione nella zona di confine, presentando lo stato di avanzamento dei lavori di ingegneria su larga scala eseguiti in prima linea, la ristrutturazione delle postazioni di combattimento, l’implementazione di nuove infrastrutture. Papikyan era interessato all’addestramento al combattimento del personale, alle condizioni di alloggio, alle munizioni e alle scorte di cibo, ha ascoltato rapporti sull’osservanza delle norme di sicurezza. Durante la visita, Suren Papikyan ha anche osservato i lavori di costruzione delle strade che portano alle postazioni di combattimento. Sulla via di ritorno il Ministro della Difesa ha incontrato i residenti della comunità di Angeghakot.

Rappresentanti della US Customs and Border Patrol durante la visita ufficiale in Armenia hanno visitato il confine Armenia-Georgia e Armenia-Azerbajgian vicino all’exclave di Nakhichevan: «Durante la loro visita in Armenia per discutere le opportunità di cooperazione per la sicurezza delle frontiere, i rappresentanti del CBP si sono incontrati con i funzionari armeni e hanno osservato le operazioni di frontiera in diversi siti, tra cui Zvartnots e Bagratashen. Hanno anche visitato il confine tra Armenia e Azerbajgian vicino a Yeraskh» (Ambasciata degli USA in Armenia).

Coloro che accusano ancora gli Armeni del massacro di Kojaly, ascoltino l’ex Presidente dell’Azerbajgian, Ayaz Mütallibov, che afferma che il principale responsabile del massacro di Kojali è il Partito del Fronte Popolare dell’Azerbajgian. “Mi hanno incastrato per rovesciarmi”, dice.
Nel gennaio 1992 scoppia la guerra del Nagorno Karabakh e nel febbraio seguente avviene il massacro di Kojali, con oltre 600 vittime civili e migliaia di dispersi. Mütallibov diventa il capro espiatorio e viene accusato di poca protezione nei confronti dei cittadini di Kojali e di scarsa presa nella gestione del Paese. Poco tempo dopo presentò le sue dimissioni e dichiarò che il massacro non era mai avvenuto, anzi che si trattasse di una messa in scena orchestrata per screditarlo di fronte alla comunità internazionale.
In pratica sostenne la posizione dell’esercito dell’Armenia, la quale affermava che la popolazione era stata invitata da una settimana a lasciare la cittadina e che la maggior parte dei civili cadde sotto fuoco azero giacché nel corridoio umanitario aperto per farli defluire in Azerbajgian si erano infilati molti soldati disertori.

«Il Vangelo rosso di Gandzasar [*] afferma che l’Artsakh è un luogo storico e culturale di importanza mondiale e terra armena. Nessun Azero è stato nemmeno menzionato ed era lì. È un grande centro spirituale», ha affermato Kim Bakshi in un’intervista a cura di Hakob Srapyan pubblicata oggi 1° marzo 2023 da Armenpress.

Kim Bakshi: «Quando sono arrivato per la prima volta in Armenia cinquant’anni fa, sapevo poco del vostro Paese. Sapevo che è un paese soleggiato e qui si trova lo stato più antico del mondo, Urartu. A Mosca, abbiamo adorato il brandy armeno a tre stelle, che purtroppo non è più disponibile. Quell’anno sono venuto in Armenia ospite di Vakhtang Ananyan, che mi ha portato a Garni, Geghard, Etchmiadzin, ho incontrato Vazgen A, che mi ha regalato un orologio svizzero. A proposito, anche adesso indosso un orologio con lettere armene… È stato allora che ho incontrato Silva Kaputikyan e Sos Sargsyan. Ci siamo incontrati spesso. La loro perdita è stata molto dolorosa per me. Poi abbiamo iniziato a girare il film “Matenadaran” con il regista Hovik Hakhverdyan».

Nella lista dei cari amici del nostro popolo, scrive Srapyan, il nome di uno scrittore russo, baschiro, oratore pubblico, drammaturgo cinematografico, giornalista, intellettuale, che ha dedicato una parte significativa della sua attività professionale allo studio del passato storiografico dell’Armenia e del nostro popolo, è scritto in caratteri indelebili. Lo scrittore è associato al nostro paese biblico da circa mezzo secolo. “Eagle and Sword”, “Destiny and Stone”, “Our World is Like a Wheel”, “From the Monastery: About Love”, “Resurrection of St. Lazarus”, “Frozen Time”, “Blue Sky”, dedicato a la storia e le tradizioni dell’Armenia, nascono dalla sua penna.sotto”, “98 gradi”, “Ricchezze spirituali dell’Artsakh” libri preziosi e decine e decine di pubblicazioni filo-armene.

È vero il grande amante armeno, prosegue Srapyan, quando dice in una delle sue interviste durante la sua ultima visita in Armenia: «Ogni libro che scrivo ha la sua storia. Penso che nemmeno gli scrittori armeni abbiano scritto così tanti libri sull’Armenia. Ci sono sempre state ragioni per scrivere libri. Ad esempio, il mio primo libro, “Eagle and Sword”, era una confessione d’amore per l’Armenia. Quando ho iniziato a scrivere, non pensavo a quanti libri avrei scritto, ma quando il numero è arrivato a sei, ho pensato che ce ne sarebbe stato un settimo. Nessuno mi ha mai chiesto di scrivere un libro, tranne quest’ultimo. Ho scritto solo amando l’Armenia».

La meravigliosa serie di film in 20 parti “Matenadaran”, sua e di Hovik Hakhverdyan, che è un’enciclopedia unica sull’Armenia e sui nostri Armeni, rileva Srapyan, è stata il risultato di quel grande amore.

Kim Bakshi: «Questo film è un’enciclopedia dell’anima armena. Credo che non ci sia altra nazione al mondo che abbia una tale cultura. E perché gli armeni non dovrebbero essere orgogliosi della loro cultura?».

L’autore baschiro, che conosceva bene il tesoro della nostra biblioteca, Matenadaran, rileva Srapyan, è rimasto particolarmente colpito dal Grande Vangelo, sul quale i nuovi leader del nostro paese prestano giuramento, sottolinea Srapyan. Anche con un libro di miniature di Toros Roslin, il più grande pittore di miniature del Medioevo. Parlando di questo, Srapyan si stupisce dalla conoscenza di Kim Bakshi della cultura armena, in particolare del pittore di miniature e della sua arte.

Kim Bakshi: «Quando sono arrivato per la prima volta in Armenia, qui non c’era Roslin, e ora ce ne sono addirittura due, le opere di Roslin del primo e dell’ultimo periodo. Un tempo, uno di loro fu messo in vendita a Gerusalemme. Una grande ondata di indignazione si levò tra gli Armeni e il nostro Catholicos Vazgen vi si recò. A Gerusalemme dovevano dargli i libri di Roslin. I restanti cinque libri di Roslin sono ancora conservati a Gerusalemme. abbiamo la maggior parte dei manoscritti lì. Negli Stati Uniti, ad esempio, Ci sono due libri di Roslin. Quando sono a Gerusalemme, non mi permettono di guardare la biblioteca, perché sanno che conosco molto bene i loro manoscritti. E se qualcosa non c’è già… Forse è per questo che mi evitano e non mi fanno entrare? Mi sono ricordato di un incidente. è stato recentemente rivelato che l’uomo d’affari americano Paul Getty ha pagine del libro di Roslin. Hakob Berberyan ed io abbiamo potuto vedere e ancor di più fotografare quelle pagine. Si è scoperto che erano stati strappati dal Vangelo a Yerevan. Tuttavia, non credo che Getty li restituirà all’Armenia…».

Kim Bakshi aveva un interesse e un atteggiamento speciali nei confronti del mondo storico armeno dell’Artsakh, osserva Srapyan, è rimasto stupito dai suoi monumenti e monumenti culturali e ha presentato questi tesori secolari nel suo prossimo libro bilingue “Spiritual Treasures of Artsakh”, pieno di molte foto. Prima della creazione del libro, ha partecipato alla mostra di fotografie dedicata alla città fortezza armena di Shushi dal fotografo Hakob Berberian, ha incontrato i Presidenti del Nagorno-Karabakh Arkady Ghukasyan e Bako Sahakyan, che lo hanno incoraggiato a creare il suddetto libro.

Kim Bakshi: «La tipografia ci ha preso 30mila dollari solo per stampare il libro. Poi il governo dell’Artsakh mi ha dato i soldi per viaggiare in Europa. Ho studiato libri sull’Artsakh in Francia, Inghilterra, Stati Uniti e altri Paesi. Ad esempio, ho trovato il Vangelo Rosso di Gandzasar negli Stati Uniti e sono diventato uno dei pochi chi ha avuto modo di studiarlo. Prima di tutto, questo libro afferma che l’Artsakh è un luogo storico e culturale di importanza mondiale e terra armena. Nessun azero è stato nemmeno menzionato ed era lì. È un grande centro spirituale. Ho prodotto il libro in circa due anni…».

Più di 50 documentari sull’Armenia sono stati girati con sceneggiature scritte dallo scrittore, alcuni dei quali hanno vinto premi internazionali e regionali, racconta Srapyan.

Kim Bakshi:  «Ho amato l’Armenia e gli armeni, e quell’amore per l’Armenia mi ha spinto a scrivere libri sul tuo meraviglioso paese».

Un amore reciproco e commisurato alla sua confessione d’amore, conclude Hakob Srapyan.

[*] Il celebre “Vangelo rosso di Gandzasar” fu prodotto nel scriptorium del monastero di Gandzasar nel 1232. Conta 313 pagine di pergamena, conservato ora nella biblioteca dell’Università di Chicago. Gandzasar (che significa “montagna del tesoro”), oltre che importante centro religioso e politico, fu anche centro culturale.

Si trova nei pressi del villaggio di Vank nella regione di Martakert della Repubblica di Artsakh.

Fu la residenza del Catholicosato di Aghvank della semiautonoma Chiesa Armeno-Albana dal XIV secolo fino al 1836 quando quest’ultima venne definitivamente unita alla Chiesa Apostolica Armena. Ora è la sede del Primate Primate della Diocesi di Artsakh della Chiesa Apostolica Armena.

La costruzione di Gandzasar iniziò nel 1216, sotto il patronato del principe armeno di Khachen, Hasan Jalal-Dawla, e fu completata nel 1238 e consacrata il 22 luglio 1240.

Dopo il declino e l’abbandono del Monastero, venne riaperto al culto solo nel 1989. Nell’estate-autunno 1992, durante la guerra di liberazione del Nagorno-Karabakh, la struttura, un simbolo della vita spirituale armena, fu ripetutamente sottoposta a bombardamenti, sia aerei che di artiglieria, da parte delle forze armate azere. Ma fu proprio nei pressi di Gandzasar che nel 1992 un forte regimento azero venne circondato e distrutto dalle forze di autodifesa del Nagorno-Karabakh.

Nel 1999-2002, grazie all’intervento dell’industriale e filantropo armeno-russo Levon Hayrapetian, il complesso ha subito un completo rinnovamento. Nel novembre del 2015, nel complesso del monastero, è stata inaugurata una sezione “Artsakh” del Matenadaran, l’importante raccolta di codici e manoscritti armeni custoditi a Yerevan.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]