Berlino chiede revoca immediata del blocco nel Nagorno Karabakh (Askanews 07.02.23)

Roma, 7 feb. (askanews) – La ministra tedesca degli Esteri Annalena Baerbock chiede di revocare immediatamente il blocco di un asse di approvigionamento vitale del Nagorno Karabakh, il corridoio di Lachin, sostenendo – in conferenza stampa a Berlino con l’omologo armeno Ararat Mirzoyan – che l’Azerbaigian e la Russia hanno una “responsabilità comune” in merito.

“Mancano medicine, manca come detto anche il cibo, i componenti delle famiglie sono bloccati in Armenia e non possono raggiungere i loro cari, gli studenti congelano, perché anche il rifornimento di energia è stato interrotto”.

“Questo è il motivo per cui è così importante mettere fine immediatamente al blocco del corridoio di Lachin. L’Azerbaigian e la Russia hanno una responsabilità comune in merito”, ha aggiunto Baerbock, ricordando che assieme all’Unione europea “è stato decisa una nuova missione civile sul territorio armeno, lungo il confine internazionale”.

Il blocco è stato deciso da Baku il 12 dicembre nella regione contesa e abitata in larga parte da armeni. La Russia, a fine gennaio, ha accusato l’Ue di alimentare “lo scontro geopolitico” inviando una missione civile europea.

Da parte sua, da metà dicembre l’Azerbaigian denuncia che la violazione sarebbe da parte armena, perché in base alla Dichiarazione Tripartita del 2020, il corridoio di Lachin avrebbe dovuto essere usato solo per scopi umanitari. Baku denuncia invece che sia stato usato dall’Armenia per il trasporto di truppe e di mine antiuomo poi piazzate in territorio azerbaigiano.

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Cinquantottesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Volendo, le superpotenze mondiali possono forre fine l’assedio dell’Artsakh all’istante. Volendo… (Korazym 07.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 07.02.2023 – Vik van Brantegem] – La dittatura azera continua la sua guerra silenziosa contro la popolazione civile armena dell’Artsakh che rimane sotto assedio. Urge la riapertura senza indugio o condizione del Corridoio di Berdzor (Lachin), l’interposizione di una forza di pace del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sanzioni contro il regime guerrafondaio e genocida del dittatore Ilham Aliyev. Invece, con una mano si approva l’invio di aiuti per il terremoto in Turchia e Siria (continuando a dimenticare i terremotati nostrani), con l’altra armi per la guerra in Ucraina (non impegnandosi per in azioni seri per la pace) e con ambedue si nega l’autodeterminazione, la libertà, la pace e i diritti dell’uomo per il popolo dell’Artsakh, minacciato da un regime con cui nel contempo si conclude accordi vantaggiosi per il petrolio e il gas per riscaldarsi, per l’Artsakh viene congelato dal “partner affidabile dell’Unione Europea” Azerbajgian, con il sostegno attivo della Turchia. La follia umana di ispirazione diabolica. Televisione e media piena di immagine di guerra e di terremoto, nulla sulla guerra silenziosa nel Caucaso meridionale.

«“Siamo sull’orlo della fame”: in Nagorno-Karabakh, gli Armeni tagliati fuori dal mondo» di Pierre Sautreuil su La Croix del 5 febbraio 2023. «Da quasi due mesi il Nagorno-Karabakh è sottoposto a un blocco orchestrato dall’Azerbajgian. Per gli Armeni che vivono lì, le interruzioni di corrente, i tagli al gas e il razionamento del cibo fanno ormai parte di una routine quotidiana, che si deteriora di giorno in giorno».

Anche loro hanno anche bisogno di vestiti caldi, di gas per riscaldarsi, di cibo per sopravvivere. Qui c’è una guerra silenziosa che già da 58 giorni continua con il #ArtsakhBlockade. Non si tratta di una calamità naturale, ma riceve comunque la stessa attenzione dei terremotati di Amatrice in Italia. E ora, mentre il mondo si dimostra scosso dalle notizie del terremoto devastante in Turchia e in Siria, l’Azerbajgian sta ancora una volta approfittando della situazione per interrompere a temperature sotto zero il gas dall’Armenia all’Artsakh/Nagorno-Karabakh. La dimostrazione della crudeltà e della disumanità della dittatura di Aliyev, che risparmia mai sulla spesa militare e sul terrore fisico e psicologico contro gli Armeni.

Anche i governi dell’Armenia e dell’Artsakh hanno espresso le loro condoglianze e offerto aiuto per il terremoto in Turchia in Siria, mentre loro stessi hanno tanto bisogno di aiuto. Coloro che espongono la bandiera dell’Ucraina in solidarietà con il Paese invaso dalla Russia e oggi si dichiarano solidali con la Turchia e la Siria per il terribile terremoto, sono rimasti neutrale nel 2020 con l’Artsakh, mentre Aliyev sostenuto da Erdogan e mercenari jihadisti dalla Siria distruggevano le chiese armene e più di 4.000 vite perché “Armeni” e occupava gran parte del Paese, creando migliaia di sfollati interni; mentre Erdogan sostiene Aliyev nel #ArtsakhBlockade di 120.000 Armeni in Artsakh da 58 giorni, presi in ostaggi dal dittatore e dai suoi cosiddetto “eco-attivisti” che cantano: Siamo per prendere la vita, andiamo a uccidere. Andiamo a prendere la vita. Andiamo a spargere sangue per il sangue lasciato a terra. Andiamo a spargere sangue”. Qui non è in atto una calamità naturale, ma la distruzione pianificata di una popolazione armena per mano azero-turca.

Video-prova della Fondazione Tatoyan: gli agenti “eco-attivisti” del governo azerbaigiano mostrano le loro reali intenzioni con una canzone azerbaigiana rivolta agli Armeni.

L’11 gennaio 2023, un agente “eco-attivista” del governo azerbaigiano ha pubblicato un video nella sezione storie della sua pagina Instagram con la partecipazione di altri agenti “eco-attivisti”, dove mostrano le loro vere intenzioni di uccidere armeni con una canzone azerbaigiana rivolta agli Armeni. Queste prove dimostrano che non hanno nulla a che fare con l’ambiente.

In particolare cantano insieme una canzone, che secondo gli studi della Fondazione Tatoyan. Centro di diritto e giustizia, è diretta agli Armeni, chiede omicidi e spargimenti di sangue. Alla fine del video, l’”eco-attivista” mostra il simbolo dell’organizzazione nazionalista estremista turca “Lupi Grigi”.

La Fondazione Tatoyan ha rilevato che questa canzone è stata scritta appositamente nel luglio 2020, cioè prima della guerra dei 44 giorni, come parte della politica di propaganda azerbaigiana.

La traduzione del ritornello della canzone è la seguente:
Siamo portatori di vita, andiamo a uccidere
Andiamo a prendere la vita
Andiamo a spargere sangue per il sangue lasciato a terra
Andiamo a spargere sangue

Questa prova oggettiva proviene dal nuovo rapporto speciale della Fondazione Tatoyan, che è in fase finale, e espone gli agenti “eco-attivisti” per quello che sono realmente. Sono ispirati dalle autorità azere con queste intenzioni criminali.

Questo fatto conferma ancora una volta che l’unica strada di vita che collega Artsakh all’Armenia e al mondo esterno è stata bloccata illegalmente dal 12 dicembre 2022 da persone che si dichiaravano “eco-attivisti”, ma in realtà sono agenti del governo azerbaigiano, strumenti della politica di pulizia etnica delle autorità azere. Sono persone con odio verso gli Armeni.

Tra l’altro, questo video è stato cancellato poco dopo essere stato pubblicato.

«La compassione e l’umanità dovrebbero trascendere i confini e le ideologie politiche. Le persone non devono mai trovare gioia nella sofferenza degli altri, specialmente delle persone innocenti. La tragedia in Turchia e in Siria ci ricorda che l’umanità dovrebbe sempre venire prima di tutto. #PrayForTurkey #PrayForSiria».

Adnan Huseyn, che con i suoi video via Twitter da 58 giorni partecipa al blocco, giustificandolo e nel contempo negandolo, mostrando come prova i veicoli del Comitato Internazionale della Croce Rosso e delle forze di mantenimento della pace russe che transitano, oggi esprime nobili sentimenti, che vengano contraddetti dai suoi video giornalieri.

«Il sostegno ai separatisti, anche attraverso azioni innocenti come la diffusione della propaganda, non sarà tollerato. I separatisti non hanno posto in Azerbajgian e dovranno affrontare la deportazione secondo il diritto internazionale. Coloro che rispettano la nostra integrità territoriale e le nostre leggi sono invitati a restare».
«Qualsiasi Paese può perseguire i residenti che violano le leggi, sostengono il terrorismo e risiedono illegalmente, portando ad accuse penali e/o all’espulsione. Tuttavia, e non sorprende affatto, gli Armeni etichettano questo come “pulizia etnica”».

«Il portavoce ufficioso degli autoproclamati “eco-attivisti” azeri confessa che l’obiettivo finale della loro operazione speciale è la pulizia etnica del Nagorno-Karabakh» (Tigran Grigoryan, analista politico, capo del Centro regionale per la democrazia e la sicurezza in Armenia).

Le forze di mantenimento della pace russe in Artsakh hanno informato via loro canale Telegram che garantiscono la sicurezza dei lavori agricoli nella regione di Martuni dell’Artsakh. L’amministrazione distrettuale ha fatto appello al comando del contingente di mantenimento della pace, visto l’ubicazione dei terreni agricoli vicino alla linea di contatto con le forze armate azere e le precedenti attacchi azeri per impedire la popolazione dell’Artsakh di lavorare per vivere.

«Ancora una volta, l’Azerbajgian sta giocando con l’Artsakh mentre interrompe la fornitura di gas all’Artsakh nel periodo più freddo dell’inverno, con temperature che scendono ben al di sotto dello zero. Per fortuna, il governo dell’Artsakh ha recentemente presentato un piano in cui le famiglie sono state fornite di stufe a legna e forniture di legna. Questo è un contrasto intelligente a quello che sembra essere un problema continuo per la gente dell’Artsakh durante l’inverno. Anche se, ironia della sorte, questo probabilmente causerà una vera e propria crisi ecologica poiché gli alberi verranno costantemente abbattuti, questo è necessario affinché la gente dell’Artsakh superi il freddo inverno. Ciò consente alle persone di essere un po’ più autosufficienti e di resistere alle difficili circostanze che stanno affrontando, indipendentemente dal fatto che l’Azerbajgian decida di interrompere nuovamente la fornitura di gas. Devono essere prese misure più preventive affinché l’Artsakh perseveri in tempi così difficili. I beni di prima necessità devono essere garantiti alla popolazione dell’Artsakh dall’Artsakh stesso. Ciò significa che il calore, il cibo, l’acqua e l’assistenza sanitaria necessaria devono essere forniti attraverso mezzi interni» (Varak Ghazarian – Medium.com, 6 febbraio 2023).

Dalla “diplomazia al caviale” ai “post sui social media al caviale”.
«6° Gruppo di viaggiatori internazionali in visita in Azerbajgian e nei territori liberati dalla devastante occupazione militare dell’Armenia durata 30 anni. La bellezza della natura e la portata dei lavori di ricostruzione dell’Azerbajgian nel Karabakh e nello Zangazur orientale [*] hanno impressionato i viaggiatori internazionali» (Hikmet Hajiyev, Assistente del Presidente della Repubblica di Azerbajgian, Capo del Dipartimento per gli Affari Esteri dell’Amministrazione Presidenziale).

Lato positivo: un hotel a cinque stella a Baku gratuito e un buon pasto quotidiano per 3 volte. Non da sottovalutare la possibilità di vivere nella vita reale l’esperienza Borat (il sequel del viaggio del giornalista Kazako negli Stati Uniti del presidente tycoon all’epoca del Coronavirus, che ha fatto infuriare Trump).

Unico inconveniente: vendere i tuoi post sui social media (e il rispetto di te stesso) a un regime brutale che letteralmente decapita le persone.

Scelta difficile.

[*] La Regione Economica dello Zangezur orientale è stata istituita il 7 luglio 2021 come parte di una riforma del sistema delle regioni economiche dell’Azerbaigian, dopo la guerra dei 44 giorni del 2020. Confina con l’Iran a sud e l’Armenia a ovest, così come le Regioni Economiche del Karabakh (la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, in parte non ancora occupata dall’Azerbajgian) e del Ganja-Dashkasan. La regione è costituita dai distretti di Kalbajar (Provincia di Shahumyan dell’Artsakh occupata); Lachin (Berdzor), Qubadli (Samosar o Vorotan) e Zangilan (Kovsakan) (Provincia di Kashatagh dell’Artsakh occupata); Jabrayil (Provincia di Hadrut dell’Artsakh occupata).

Secondo il ricercatore Laurence Broers, il nuovo nome della regione – Zangezur orientale – è motivato dall’irredentismo azero: confina con la Provincia di Syunik dell’Armenia, il che implica che esiste per l’Azerbajgian uno Zangezur occidentale, cioè lo stesso Syunik. Pochi giorni dopo la creazione della Regione Economica dello Zangezur orientale, il Presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, ha annunciato in un discorso: “Lo Zangezur occidentale è la nostra terra ancestrale. Dobbiamo tornare lì e ritorneremo”.

«Blocco della Repubblica di Artsakh: il blocco sta causando gravi conseguenze per la popolazione prevalentemente di etnia armena della Repubblica di Artsakh».
«Uno dei miei marchi preferiti, Atoms, si è offerto di aiutare coloro che stanno soffrendo in Armenia donando la metà dei profitti di ogni scarpa venduta (quando usi il codice “Rosa”). Sono così grato per questo. Se hai bisogno di scarpe, o anche se non ne hai, vai a comprarne un paio e aiuta a sostenere chi ne ha bisogno».

Atoms è un marchio con sede a New York City che produce scarpe da ginnastica, mascherine, ecc.).

Rosa Linn Rosa Linn, pseudonimo di Roza Kostandyan (Vanadzor, 20 maggio 2000) è una cantante armena. Ha rappresentato l’Armenia all’Eurovision Song Contest 2022 con il brano Snap.

In un editoriale intitolato Stiamo davvero chiedendo alla Russia di “mantenere la pace” in un conflitto completamente diverso?, pubblicato domenica 5 febbraio 2023 su The Independent, il famoso esperto di diritto internazionale Geoffrey Robertson, che era capo del collegio che rappresentava l’Armenia nel famoso caso del genocidio armeno presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, sostiene che le superpotenze mondiali – Russia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia e Cina – hanno “il potere di fermare l’Azerbajgian autoritario, che ha assediato il Nagorno-Karabakh per far morire di fame 120.000 abitanti”. Ha proseguito, sottolineando che il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) è un crimine contro l’umanità e contraddice una serie di accordi internazionali.

Ricorda che il blocco ha impedito il passaggio di oltre 400 tonnellate di merci dall’Armenia all’Artsakh. “Certo – ha scritto Robertson -, sarebbe più veloce con il trasporto aereo, ma il governo dell’Azerbajgian ha minacciato di abbattere qualsiasi aereo passeggeri o cargo che tenti di atterrare a Stepanakert, la capitale del Nagorno-Karabakh”.

“Il Paese è ostaggio dell’Azerbajgian e della storia. originariamente apparteneva all’Armenia ed è sempre stato abitato principalmente da armeni, noti per le loro chiese paleocristiane e per i tappeti unici. Nel XIX secolo fu occupata dalla Russia e nel 1921 Stalin incluse arbitrariamente e erroneamente questa enclave cristiana come regione indipendente all’interno dell’Azerbaigian musulmano. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, il popolo del Nagorno-Karabakh ha chiesto l’indipendenza e ha combattuto una guerra per ottenerla”, scrive Robertson.

Robertson fornisce anche un contesto storico, sottolineando che dopo la vittoria negli anni ’90, gli Armeni hanno goduto di una relativa pace fino all’attacco dell’Azerbajgian nel 2020. Fa riferimento alla dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020 che avrebbe dovuto porre fine alle azioni militari: “La Russia si è fatta garante dell’accordo. La Russia ha assegnato 2.000 forze di mantenimento della pace per monitorare il Corridoio, ma si sono dimostrati incapaci, o forse non disposti, a disperdere gli auto-dichiarati “attivisti ambientalisti” che bloccano il Corridoio, incoraggiati dal governo azero, che generalmente vieta le manifestazioni e imprigiona i manifestanti”. Sottolinea che molti dei cosiddetti “manifestanti ambientalisti” che hanno bloccato il Corridoio di Lachin hanno tatuaggi che dimostrano che sono membri dei Lupi Grigi nazionalisti turchi. Robertson aggiunge che i “manifestanti” sono incoraggiati dal “dittatore Ilham Aliyev”.

Robertson ricorda inoltre la riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite tenutasi il 20 dicembre 2022 e la richiesta dei membri. Menziona che il Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha contattato solo tardivamente il suo omologo azero e esortato a disperdere la manifestazione. Robertson aggiunge che la Russia ha perso la sua influenza nel Caucaso dopo gli eventi in Ucraina. Sostiene che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe intervenire e porre fine all’aggressione dell’Azerbajgian.

Distretto di Berdzor (Lachin per gli Azeri) dell’Artsakh, oggi occupato dalle forze armate dell’Azerbajgian, con eccezione del Corridoio di Berdzor (Lachin) sotto controllo delle forze di mantenimento della pace russe (Foto di Varak Ghazarian).

«La Repubblica Turca di Cipro del Nord ha appena cambiato il proprio nome in Stato Turco di Cipro e ha inviato il cambio di nome alle Nazioni Unite per l’approvazione. Qual è il prossimo? Lo Stato Turco di Armenia? Sta arrivando. segna le mie parole» (Janet Grabowski).

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

PERSECUZIONIGerusalemme, profanata la chiesa della Condanna (renovatio21.com 07.02.23)

Cresce la serie di attacchi e atti di intimidazione perpetrati nelle ultime settimane contro chiese e obiettivi cristiani nella Città Vecchia di Gerusalemme.

Giovedì mattina, 2 febbraio 2023, un uomo – definito dai media israeliani un «turista americano» – ha fatto irruzione nella Cappella della Condanna all’interno del Santuario della Flagellazione sulla Via Dolorosa, nel cuore del Quartiere Cristiano della Città Vecchia, e ha vandalizzato la statua di Gesù ivi deposta, facendola cadere a terra e poi colpendola con un martello.

L’uomo è stato arrestato e consegnato alla polizia israeliana. Nei video della sua cattura si può sentire il vandalo gridare a gran voce che «non ci possono essere idoli a Gerusalemme, che è la città santa». I rapporti diffusi dalla polizia israeliana e trasmessi dai media locali collegano la profanazione ai presunti problemi di salute mentale del vandalo.

Allo stesso tempo, va ricordato che nelle ultime settimane i quartieri cristiani e armeni della Città Vecchia di Gerusalemme sono stati teatro di una serie di atti di intimidazione nei confronti di persone e luoghi di culto.

La Custodia francescana di Terra Santa, dopo l’attentato alla chiesa della Condanna, ha diffuso un comunicato, a firma del Custode Francesco Patton e del Segretario Padre Alberto Joan Pari, «per esprimere preoccupazione e deplorare questa crescente sequenza di gravi atti di odio e violenza contro la comunità cristiana in Israele».

La Custodia parla di «crimine d’odio» e aggiunge: «Non è un caso che la legittimazione della discriminazione e della violenza nell’opinione pubblica e nell’attuale scenario politico israeliano si traduca anche in atti di odio e violenza nei confronti della comunità cristiana».

Gli episodi di violenza e intimidazione contro obiettivi cristiani nella Città Vecchia di Gerusalemme hanno subito un’impennata sotto il nuovo governo israeliano, guidato da Benjamin Netanyahu e sostenuto anche da formazioni religiose ultranazionaliste.

Gran parte della recente ondata di violenza e intimidazione ha preso di mira luoghi e residenti nel quartiere armeno. L’11 gennaio sui muri degli edifici del quartiere sono apparse iscrizioni intimidatorie, tra cui gli slogan «morte agli armeni» e «morte ai cristiani».

Il 26 gennaio, circa 40 coloni ebrei hanno fatto irruzione in un ristorante armeno vicino alla Porta Nuova, gridando slogan sacrileghi contro Gesù. Nei giorni successivi sacerdoti e laici cristiani sono stati aggrediti con sputi e spray al peperoncino per le strade del quartiere armeno.

Dopo l’attacco al ristorante armeno, i vescovi cattolici di Terra Santa hanno diffuso un comunicato deplorando “questa violenza non provocata” che “ha seminato la paura tra i commercianti e gli abitanti del quartiere cristiano, così come tra i turisti”, aggiungendo che questo incidente è stato “l’ultimo di una serie di episodi di violenza religiosa che colpisce i simboli della comunità cristiana”.

Venerdì 27 gennaio, l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, ha fatto visita ai proprietari del ristorante attaccato e dei negozi circostanti in segno di solidarietà.

La cappella oggi vandalizzata fa parte del Convento francescano della Flagellazione e rappresenta una delle stazioni della pratica della «via crucis» compiuta dai pellegrini che, durante la loro visita alla città santa, ripercorrono il cammino di Gesù al Calvario nel giorno della sua crocifissione.

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Cinquantasettesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Gli Armeni dell’Artsakh sotto assedio sono resilienti. La vita continua, nonostante tutto (Korazym 06.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 06.02.2023 – Vik van Brantegem] – «Tutto il mondo è in guerra, in autodistruzione, fermiamoci!» (Papa Francesco di ritorno dal Sud Sudan). Nel bel mezzo di un futuro sconosciuto dobbiamo fare affidamento sui giovani per darci un senso di felicità e speranza per un giorno migliore. Il motivo per cui mi dedico da una vita a chi dovrà continuare dopo di noi. Molti dei miei compagni di viaggi se ne sono andati. Finché il Signore me lo permette continuerò con la forza che mi darà.

Intanto, oggi, nel 57° giorno del blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) da parte dell’Azerbajgian, mentre il mondo è preoccupato (e ha un altro motivo per “distrarsi”, come quando con il Covid, nel 2020 l’Azerbajgian scatenò la guerra dei 44 giorni contro l’Artsakh) per le vittime del terremoto in Turchia e Siria, ancora una volta gli Azeri hanno interrotto la fornitura di gas all’Artsakh/Nagorno-Karabakh) chiudendo l’unico gasdotto che viene dall’Armenia e passa in territori ora occupati dalle forze armate dell’Azerbajgian. Mentre i Paesi della regione offrono la loro assistenza alla Siria e alla Turchia, quando i governi dell’Armenia, dell’Artsakh e della Grecia esprimono solidarietà con i popoli della Turchia e della Siria, il criminale Aliyev peggiora ancora una volta la vita degli Armeni dell’Artsakh. Il partner energetico “affidabile” dell’Unione Europa – il dittatore azero Ilham Aliyev – mostra il suo vero volto con l’uso del terrore energetico contro esseri umani innocenti in pieno inverno caucasico. Oggi, il mondo ha un nuovo motivo per guardare ad un’altra parte…

«Durante il #ArtsakhBlockade le scuole sono state aperte e poi chiuse più volte a causa della fornitura di gas. Terrore psicologico e limbo: questa è la vita di un bambino in Artsakh in questo momento» (Siranush Sargsyan). 120mila abitanti Armeni dell’Artsakh sono costretti a lottare ogni giorno per il diritto di vivere dignitosamente nella loro terra ancestrale. #StopArtsakhBlockade

«La valutazione di 1 dei 30 “turisti” stranieri in visita al blocco di Lachin del governo azero, che Azerbajgian definisce una “eco-protesta” [di cui abbiamo riferito ieri [QUI]]: “Qui nessuno si preoccupa dell’ambiente, ma così puoi controllare i media e l’opinione mondiale, perché, teoricamente, l’ambiente è importante”» (Lindsey Snell).

Zvart Manucharyan.

Nonostante le difficoltò, Zvart rimane allegra

I suoi occhi sono luminosi e pieni di speranza, ma allo stesso tempo tristi. Zvart Manucharyan è stata costretta a lasciare la sua casa ancestrale a causa della guerra dei 44 giorni del Nagorno-Karabakh nel 2020. Originaria del villaggio di Aknaghbyur, distretto di Askeran, dove ha trascorso la maggior parte della sua vita. Zvart è un’economista di professione e per più di 20 anni ha lavorato come contabile nel negozio ad Aknaghbyur. Era felice della sua vita lì. Quando scoppiò la guerra, Zvart insistette per restare ad Askeran. Provava un profondo affetto per il suo luogo di nascita e non voleva lasciare lì tutti i suoi ricordi. Tuttavia, è dovuta fuggire il 23 ottobre e stabilirsi a Yerevan, in Armenia.

Questa donna brillante non ha perso la speranza. Rimanendo fedele al significato del suo nome che significa allegro in armeno, Zvart ha trovato abbastanza forza per stare in piedi da sola e creare il suo futuro a Yerevan. Dopo aver sperimentato in diversi ambienti di lavoro, Zvart alla fine ha deciso di fare la pasticcera. Si è iscritta a un corso di pasticceria fornito per lo Studio Culinario di Sedrak Mamulyan nell’ambito del progetto “REACT: Relief and Early Recovery for People Affected by Conflict in Armenia” finanziato dagli aiuti umanitari dell’Unione Europea e implementato dalle persone bisognose․

“La pasticceria è il mio sogno d’infanzia. Ho sempre sognato di farlo”, osserva Zvart. Dopo aver completato il corso, Zvart ha ricevuto un’offerta di lavoro da un noto bar-ristorante di Yerevan. Ora lavora al caffè-ristorante Ground Zero come pasticcera. Zvart è molto contenta di quello che fa e progetta di aprire presto la sua pasticceria in propria. Crede che la determinazione e la diligenza porteranno alla realizzazione dei suoi sogni.

Finora, nell’ambito del progetto REACT, 73 beneficiari hanno ricevuto una formazione culinaria e 117 hanno ricevuto una formazione in pasticceria presso lo Studio Culinario di Sedrak Mamulyan, uno dei chef più conosciuti dell’Armenia. Osserva: “La cooperazione con People in Need è nel quadro di un interesse reciproco. La nostra organizzazione – ONG per lo sviluppo e la protezione delle tradizioni culinarie armene – ha lo scopo di preservare e promuovere le ideologie nazionali, la cucina nazionale e la cultura nazionale; quindi una tale iniziativa sociale è in sintonia con i nostri obiettivi. Questo programma è ben pensato e consente ai partecipanti di lavorare nelle aree ristorazione pubbliche e diventare imprenditori privati creandone uno proprio. Inoltre, utilizziamo la nostra rete per supportare i laureati a essere assunti in base al loro stile di lavoro e alle loro competenze. Dopo il completamento del corso, continuiamo a sostenere i nostri studenti. È interessante notare che le persone che padroneggiano alcune abilità hanno potuto arricchire le loro conoscenze e diventare più esperte, hanno affrontato nuove esperienze a cui non avevano mai pensato, acquisito nuove competenze e una conoscenza approfondita degli alimenti e dei prodotti dolciari”.

Questo progetto è un modo per aiutare gli sfollati a integrarsi pienamente nella società. La trainer del progetto Ruzanna Nahapetyan afferma: “Parlando con i beneficiari, ho scoperto che tutti volevano avere una propria piccola impresa. L’attrezzatura da cucina che hanno ricevuto dopo aver completato il corso ha contribuito a questa iniziativa. Seguo le loro pagine sui social media e vedo che molti cucinano in casa e vendono i loro prodotti. Questo mi rende felice. Tutti i partecipanti sono rimasti colpiti da People in Need, poiché tutti i dipendenti sono stati attenti. Grazie a questo atteggiamento, si sono sentiti incoraggiati”.

Non è difficile – per chi vuole – sapere cosa rappresenta l’Azerbajgian per il mondo libero. Cercate “Ramil Safarov” su internet e imparate all’istante tutto quello che c’è da sapere sull’Azerbajgian.

In una scuola di lingue della NATO a Budapest, un ufficiale dell’esercito dell’Azerbajgian, acquista un’ascia, decapitando un ufficiale armeno nel sonno. Quindi è stato estradato, graziato, promosso, premiato e celebrato dal governo e dal pubblico dell’Azerbajgian. Il 12 dicembre 2017 l’agenzia di stampa Minval dell’Azerbajgian riferiva che Ramil Safarov, l’ufficiale dell’esercito azero che ha assassinato il tenente armeno di 26 anni Gurgen Margaryan durante un corso di lingua inglese del Partenariato per la pace sponsorizzato dalla NATO nel 2004, era stato promosso al grado di tenente colonnello.

Ramil Safarov viene accolto a Baku come un eroi, dopo essere stato estradato dall’Ungheria.

Ramil Safarov è un militare azero, ufficiale dell’esercito, condannato per il brutale assassinio del pari grado armeno Gurgen Margaryan, avvenuto a Budapest nel 2004. La sua estradizione ad agosto 2012 e la grazia concessagli dal Presidente azero, Ilham Aliyev, hanno suscitato un’ondata di proteste in tutto il mondo e la ferma condanna di molte cancellerie.

Safarov è nato nella città di Şükürbəyli (Cəbrayıl) il 25 agosto 1977 dove ha seguito i suoi studi. Prima ancora che scoppiasse la guerra del Nagorno Karabakh, la famiglia nel 1991 decise di lasciare la città per rifugiarsi nella capitale Baku. Dal 1992 al 1996 frequentò il liceo militare “Jamshid Nakhchivanski” e l’Alta scuola militare di Smirne e poi l’Accademia militare turca. Si diplomò nel 2000 per poi fare ritorno in Azerbajgian.

Nel gennaio 2004 partì per Budapest per partecipare a un corso di tre mesi di lingua inglese organizzato dalla NATO nell’ambito del programma denominato “Partenariato per la pace”. Il 18 febbraio, alle sette di sera, Safarov si recò presso il magazzino “Tesco” e comprò un’ascia. Nella notte del 19 febbraio uccise con quell’attrezzo l’ufficiale armeno Gurgen Margaryan, che come lui frequentava il corso, mentre dormiva nel proprio alloggio. Il fatto avvenne intorno alle cinque di mattina. Il compagno di stanza di Margaryan, l’ungherese Balàzs Kuti, ricorda che la sera del 18 febbraio aveva preso un tè ed era andato a dormire in quanto febbricitante; Margaryan invece era rimasto a studiare e poi era andato a trovare un altro soldato armeno, Hayk Makuchyan, che frequentava egli pure il corso.

Kuti non ricorda quando l’Armeno ritornò nella stanza, ma alla mattina presto si accorse che qualcuno aveva acceso la luce. Pensò si trattasse dello stesso Margaryan, ma dopo aver udito dei rumori sordi, voltò la testa e vide Safarov davanti al compagno di stanza con una lunga ascia in mano. A quel punto comprese che qualcosa di terribile era accaduto giacché c’era sangue tutto intorno; cominciò a urlare all’Azero di fermarsi ma questi lo rassicurò che non ce l’aveva con lui. L’esame autoptico concluse che Safarov aveva inferto sedici colpi d’ascia sulla faccia di Margaryan, quasi staccandogli la testa dal collo. Dopo aver brutalmente assassinato il ventiseienne Armeno, Safarov si diresse verso la stanza dove dormiva Makuchyan ma trovò la porta chiusa; incontrò lungo il corridoio un ufficiale uzbeko che cercò di convincere a unirsi a lui per compiere il secondo delitto. L’uzbeko tentò inutilmente di calmarlo. Safarov, secondo le testimonianze raccolte nel processo, chiamò a gran voce l’Armeno che semi addormentato si diresse verso la porta per aprirla. Ma il suo compagno di stanza lituano intuendo che stava accadendo qualcosa di strano, allertò un suo connazionale della stanza attigua affinché verificasse la situazione nel corridoio. Fu quindi chiamata la polizia che arrestò l’Azero.

Il processo, svoltosi presso il tribunale di Budapest, condannò Safarov all’ergastolo inibendolo dal chiedere la revisione della sentenza prima che fossero passati trenta anni. La sentenza fu emessa il 16 aprile 2006. Il 22 febbraio 2007 il caso, su richiesta dei difensori di Safarov, fu esaminato da un’altra corte che non modificò il precedente verdetto emesso dal giudice Andras Vaskuti che nella motivazione si soffermò sulla natura premeditata, sulla brutalità del crimine e sul fatto che l’imputato non aveva mostrato alcun rimorso per quanto commesso; anzi, nel corso dell’interrogatorio si era addirittura rammaricato di non aver ucciso il secondo Armeno. La difesa di Safarov cercò invano di puntare sulla provocazione, sostenendo che gli Armeni avevano insultato la bandiera dell’Azerbajgian.

Nonostante la brutalità del fatto commesso, Safarov divenne molto popolare in Azerbajgian; un partito azero (Partito Democratico dell’Azerbajgian) gli conferì il premio “Uomo dell’anno 2005” premiandolo per il fatto di aver ucciso un Armeno.

A fine agosto 2012, Ungheria e Azerbajgian hanno raggiunto un accordo per l’estradizione del condannato che, secondo quanto riferisce il governo ungherese, avrebbe dovuto continuare a espiare la condanna in patria. Ma il 31 agosto 2012, appena sceso dalla scaletta dell’aereo che lo riportava in Azerbajgian, Safarov è stato accolto come un eroe nazionale, ha ricevuto un mazzo di fiori, è stato graziato dal Presidente Ilham Aliyev, promosso di grado, dotato di una nuova casa e ricompensato con otto anni di stipendio arretrati.

Giunto a Baku, Safarov si è recato a deporre mazzi di fiori alla tomba del vecchio presidente Heydar Aliyev (padre dell’attuale presidente) e al monumento dedicato ai soldati turchi.

La grazia all’omicida ha provocato vaste e ferme proteste in tutto il mondo, mentre l’Armenia ha interrotto le relazioni diplomatiche con l’Ungheria. Budapest ha smentito le voci che erano circolate sugli stessi giornali ungheresi di un accordo economico con l’Azerbajgian che in cambio del rilascio del detenuto si sarebbe impegnato ad acquistare tre miliardi di dollari in bond ungheresi.

Critiche sono giunte, tra le altre, dall’Unione Europea, dalla Francia, dagli Stati Uniti, dalla Russia e dal Presidente del Parlamento Europeo. Il 13 settembre 2012 l’Assemblea plenaria del Parlamento Europeo ha votato una risoluzione di condanna dell’Azerbajgian sul caso Safarov.

Nel maggio 2020, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Azerbajgian per la gestione dell’estradizione di Safarov (Fonte: Wikipedia).

E tutto è continuato come prima. Il problema è che alle parole non seguono i fatti, perché l’Azerbajgian fornisce petrolio e gas a condizioni molto favorevoli.

“Vogliono cancellare l’Armenia dalla mappa e l’Europa tace”
L’assedio del Corridoio di Lachin impedisce a cibo e medicine di raggiungere i 120.000 Armeni che vivono nell’Artsakh
L’Azerbajgian cerca di eliminare la presenza armena nel Caucaso
di Ester Medina
Alfa y Omega, 5 febbraio 2023

(Nostra traduzione italiano dallo spagnolo)

Per San Giovanni Paolo II l’Armenia era il Paese della croce. Una nazione che ha subito secoli di massacri e occupazioni, in cui il primo genocidio del XX secolo per mano dei Turchi tra il 1915 e il 1923 uccise più di due milioni di Armeni. Un Paese della croce che per primo al mondo adottò il cristianesimo come religione ufficiale, nell’anno 301. E, a sua volta, un popolo sempre più invisibile. La pressione costante che l’Armenia riceve dall’Azerbajgian e dalla Turchia non fa che ricordare i secoli di genocidi e massacri che segnano l’identità di un Paese sull’orlo dell’estinzione.

Il Corridoio di Lachin è l’unica via di accesso all’enclave armena del Nagorno-Karabakh (o Artsakh), in territorio azero. Un corridoio umanitario con una situazione critica derivata dal prolungato blocco che sta subendo. L’assedio impedisce a cibo, medicine e prodotti di base di raggiungere i quasi 120.000 Armeni che vivono nella Repubblica dell’Artsakh e l’accesso è consentito solo alla Croce Rossa. Attualmente la situazione umanitaria è molto grave. Le tessere annonarie sono già state introdotte e si prevede che le riserve statali si esauriranno nel giro di pochi giorni. «Sono preoccupato per le precarie condizioni umanitarie delle popolazioni, che potrebbero peggiorare ancora di più durante la stagione invernale», ha detto domenica scorsa, 29 gennaio, Papa Francesco, dopo la preghiera dell’Angelus domenicale.

Gohar Vahanyan è un’Armena che vive in Spagna con la sua famiglia e assicura che “in questo momento la popolazione dell’Armenia sta pensando che stia arrivando una guerra”. Sanno che l’Azerbajgian, con il sostegno turco, sta diventando più forte e loro si stanno indebolendo.

Nel frattempo, la Russia agisce come sovrano e autorità. Alleato di lunga data e tradizionale dell’Armenia, alcuni dicono che ha tutte le sue forze impiegate nella guerra con l’Ucraina e non è interessato ad aprire un altro fronte tra Armenia e Azerbajgian. Secondo Tigran Yegavian, ricercatore e scrittore armeno, “la Russia a volte funge da protettore, ma anche da magnaccia quando sono in gioco i suoi interessi”.

Indubbiamente, l’obiettivo finale delle offensive azere è quello di eliminare la presenza armena nel Caucaso e ciò significa continuare la pulizia etnica che gli Armeni hanno subito per secoli, eliminando dalla carta geografica questa scomoda enclave cristiana. Non dimentichiamo che l’Armenia è il punto di congiunzione tra la cultura cristiana e quella musulmana nel Caucaso. Che si tratti di una guerra aperta o di un brutale assedio umanitario, “quello che vogliono con questo blocco è che gli Armeni che sono lì se ne vadano e alla fine prendano il controllo dell’Artsakh”, spiega Vahanyan.

In Occidente nessuno ne parla [diciamo, “quasi”]. Il silenzio mediatico e istituzionale è enorme, poiché non è interessante posizionarsi di fronte ai deboli. La scorsa estate la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, si è recata a Baku per firmare un accordo con l’Azerbajgian e raddoppiare così la fornitura di gas fino al 2027. Questa nuova alleanza consente all’Europa di non dipendere dalla Russia per le forniture di gas e, per questo, da parte delle istituzioni europee è conveniente tacere.

Il Consiglio Europeo ha recentemente deciso di creare una missione civile in Armenia dispiegando osservatori internazionali per “stabilizzare le zone di confine e garantire un ambiente favorevole agli sforzi di normalizzazione di entrambi i Paesi”. La Russia, tuttavia, ha fortemente criticato questa decisione e ha assicurato che questo passo non farà che “aggravare” la situazione nella regione. Dopotutto, la Russia non vuole perdere il controllo del territorio.

«Vogliono cancellare l’Armenia dalla mappa e l’Europa tace. Questo inizia distruggendo la nostra cultura”, continua Vahanyan. Ne sono testimonianza i fatti del Najichevan, ex territorio armeno ceduto dall’URSS all’Azerbajgian nel 1923, dove gli Azeri demolirono circa 89 chiese medievali, 5.480 khachkar (stele rettangolari con la croce armena molto caratteristica di quella cultura), e 2.700 tombe. La Turchia di Erdoğan alimenta un fervente desiderio di riprendere il pieno controllo del territorio caucasico, e ciò significa distruggere ogni traccia di cristianesimo.

Intanto la Chiesa Apostolica Armena continua a resistere. Sostenuti nella fede, sanno di essere accompagnati e trovano rifugio nella preghiera. «Noi Armeni abbiamo una nostra identità molto marcata. Di generazione in generazione si trasmette l’idea che ovunque tu sia, sei ancora un Armeno; devi conservare la lingua e la fede. È la nostra identità».

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Terremoto in Turchia e Siria: mons. Marayati (Aleppo), “già eravamo in una condizione difficile e seria, ora lo siamo ancora di più” (SIR 06.02.23)

“Già eravamo in una condizione difficile e seria, ora lo siamo ancora di più” A riferirlo è mons. Butros Marayati, arcivescovo di Aleppo degli Armeni cattolici in Siria. Mons. Marayati, alla guida dell’arcieparchia cattolica armena di Aleppo dal 1989, è una delle voci della sofferenza del popolo siriano nella tragedia della guerra. Vive ad Aleppo, dove opera coraggiosamente per rispondere ai tanti bisogni di una città pesantemente già colpita dal conflitto. “Ad Aleppo – riferisce il presule dialogando con amici italiani della Comunità Magnificat – abbiamo subito una prima grande scossa nella notte, un terremoto terribile. E ora, poco fa, una seconda scossa, ancora più forte, ha colpito la nostra terra. La gente è nelle strade, impaurita e sconvolta alla ricerca di un riparo. Inoltre fa molto freddo e come se non bastasse piove. Noi come chiesa abbiamo aperto le nostre sale sotto le parrocchie e le abbiamo adattate a rifugio per accogliere la tanta gente scappata dalle proprie case. I miei sacerdoti stanno bene così come i miei familiari. Anche le chiese stanno bene. Ci sono invece seri danni alle scuole, alle case, agli edifici pubblici. Noi cerchiamo di aiutare tutti come possiamo. Il nostro arcivescovo greco melchita è salvo per miracolo ma il sacerdote che era con lui è ancora sotto le macerie. Chiediamo la preghiera di tutti. Pregate per noi affinché questi tempi difficili passino in fretta e possiamo tornare a vivere la vita normale”.

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Terremoto in Medio Oriente, le testimonianze dalle comunità cattoliche (AciStampa 06.02.23)

Cinquantaseiesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Dalle miniere alle mine, il passaggio ortografico è breve ma il risultato è sempre lo stesso: fake (Korazym 05.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 05.02.2023 – Vik van Brantegem] – 56° giorno di #ArtsakhBlockade. Intanto la “comunità internazionale” viene portata in gita nel Corrodoio di Berdzor (Lachin). Inoltre, «l’Azerbajgian è passato dal pagare “giornalisti” casuali per produrre propaganda al pagare europei casuali per fingere di essere turisti felici a Shushi? E hanno visitato il blocco che ha intrappolato 120.000 persone nel Nagorno-Karabakh ormai da 54 giorni? Questo è disgustoso» (Lindsey Snell).

«L’Azerbajgian ha portato 30 “turisti” da Paesi stranieri tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Belgio, Germania, Francia, Danimarca, Paesi Bassi, Italia e Spagna per visitare il luogo del blocco che il governo dell’Azerbajgian sta usando per intrappolare e tormentare 120.000 persone nel Nagorno-Karabakh. Sembra che si siano divertiti» (Lindsey Snell).

Nei paesi normali c’è per i partecipanti ad eventi internazionali dei tour guidati per i luoghi d’interesse. In Azerbaigian i portano a visitare il parco dei trofei a Baku e i luoghi della pulizia etnica.

Ovviamente, il regime dittatoriale dell’Azerbajgian non ci pensa nemmeno a fare delle gite turistiche per questi stranieri – che sono a Baku per una riunione dell’Unione Europa con il dittatore Aliyev sul gas azero-russo – nei luoghi di estrazione del gas che mendicano, nella penisola di Apsheron in Azerbajgian. Qui ci sono centinaia di pozzi petroliferi abbandonati in Azerbajgian, molti dei quali sono stati sommersi dall’innalzamento del mare, uccelli acquatici e pesci che vengono uccisi. Qui migliaia di ettari di terreno non più adatti all’uso agricolo a causa dell’inquinamento da petrolio in Azerbajgian. Qui il sobborgo Sabunçu di Baku, in Azerbaigian, è invaso da rifiuti petroliferi e sta rapidamente diventando una vera e propria discarica. Qui gli “eco-attivisti” non ci sono e non ci saranno, occupati dalle autorità dell’Azerbajgian per giocano all’”eco-attivismo” bloccando il Corridoio di Berdzor (Lachin), intrattenendo con i loro fake i “turisti” stranieri.

Mine e miniere: fake azere per giustificare una pulizia etnica
Karabakh.it – Iniziativa italiana per il Karabakh, 5 febbraio 2023

Non deve essere difficile in Azerbajgian costruire fake news. Ne sanno qualcosa gli attivisti per i diritti umani, i giornalisti, gli oppositori al regime di Aliyev che vengono incarcerati con le scuse più banali: le più ricorrenti sono il “possesso di droga” o la “collusione con il nemico”.

Nessuno si è quindi sorpreso della reale natura dei “manifestanti per l’ambiente” che dal 12 dicembre hanno bloccato la strada che passa per il Corridoio di Lachin e unisce il Nagorno-Karabakh (Artsakh) all’Armenia. Due mesi di blocco, crisi umanitaria in corso e tentativo di pulizia etnica. Una “protesta” organizzata dal governo dell’Azerbajgian come peraltro ammesso anche dal suo stesso Presidente.

La scusa iniziale erano le miniere (un paio) che all’improvviso sono diventate un problema per gli Azeri: sfruttamento illegale (considerano l’Artsakh territorio loro) e inquinamento ambientale (chiudendo due occhi su quello vero sulle sponde del Caspio dove non si può protestare altrimenti si finisce in prigione).

A fine dicembre Stepanakert annuncia l’interruzione dell’attività di scavo nelle miniere. Fine della protesta? No, ovviamente, perché dalle miniere si passa alle mine (coincidenza, in inglese è la stessa parola, mine) che gli Armeni avrebbero disseminato nel territorio, di qui la necessità di ispezionare tutti i carichi in transito sulla strada.

A giustificazione delle loro rivendicazioni, ecco produrre foto di mine made in Armenia e datate 2021. La prova certa della colpevolezza armena! Peccato che quegli ordigni siano stati prelevati dagli Azeri nel corso delle loro invasioni (da maggio 2021, fino all’ultima grave aggressione del settembre 2022) nel territorio sovrano della Repubblica di Armenia. La difesa di Yerevan le aveva collocate lungo il confine con l’Azerbajgian (i territori ora occupati dagli Azeri dell’Artsakh, Kashatagh e Karvachar) nel disperato (e vano) tentativo di arginare le incursioni del nemico. Il quale, evitato l’ostacolo, ha utilizzato le mine per giustificare il blocco della strada e il suo tentativo di pulizia etnica.

Dalle miniere alle mine, il passaggio ortografico è breve ma il risultato è sempre lo stesso: fake!

«Parlando con i miei amici a Stepanakert #ArtsakhBlockade Day 56! In conclusione siamo giunti all’idea che l’Artsakh in tutta la sua storia non è mai stato così indipendente come durante questi 56 giorni!» (Irina Safaryan).

In alcune circostanze precedenti abbiamo riferito già delle “attività” strabilianti di Toivo Klaar, Rappresentante speciale dell’Unione Europea per il Caucaso meridionale e la crisi in Georgia. È istruttivo seguire la sua attività (SPORADICA… supponendo che altro non fa) su Twitter negli ultimi 3 mesi. Dal 12 dicembre 2022 (prima giorno del #ArtsakhBlockade, oggi entrato nel 56° giorno di assedio azero agli Armeni dell’Artsakh) Toivo Klaar è diventato sonnolente (non è che prima era tanto sveglio). Andiamo indietro da ieri (riportando i tweet nella nostra traduzione italiana dall’inglese), per capire che Toivo Klaar, fanboy del dittatore dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, è parte del problema, incapace a portare un contributo positivo alla soluzione. Vivendo in una sorta di realtà alternativa vede la Turchia – alleato di ferro di Aliyev e il suo primo fornitore di armamenti e sostegno militare decisivo contro l’Armenia – come mediatrice di pace tra l’Armenia e l’Azerbajgian.

Ossessivo-compulsivo la sua fissazione con “entrambe le parti”, mentre l’aggressore è l’Azerbajgian e le vittime sono l’Armenia e l’Artsakh. Una missione dell’Unione Europea in Armenia di due mesi, che “ha concluso le sue attività”, senza che l’Azerbajgian si è ritirato dal territorio sovrano dell’Armenia. Poi l’Unione Europea ha ripreso ad “osservare” con una nuova missione, che da parte di Aliyev provoca solo una risata. Infine, le sanzioni non vengono considerate “in questo caso” ha affermato l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza e Vicepresidente della Commissione Europea, Josep Borrell. Due-pesi-e-due-misurismo.

Sarebbe opportuno di smetterla con l’entrambismo (mettendo le vittime Armenia e Artsakh – che non riescono nemmeno a pronunciare – sullo stesso piano dell’aggressore Azerbajgian) e di parlare di “accordi di pace”. Invece occorre iniziare a parlare di ciò che è veramente necessario: il riconoscimento della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh e l’adozione di sanzioni contro l’Azerbajgian e la famiglia Aliyev e la sua corrotto cricca, incluso i politici e giornalisti nostrani sul libro paga della diplomazia al caviale azera.

La capitale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Stepanakert, prima e dopo il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin).

Mai una volta Toivo Klaar ha chiesto all’Azerbajgian di terminare l’assedio della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh (figuriamoci di pensare ad azioni concreti), che non menziona nemmeno e che non visita (quindi, lo facciamo vedere la foto di Stepanakert di notte, dove non è così piacevole andarci, come invece a Tbilisi).

4 febbraio 2023 (con la foto qui sopra): « È passato un po’ di tempo, Tbilisi». Che bella vita! A spesa dei contribuenti europei, cioè noi.

31 gennaio 2023 (con la foto del Comunicato Stampa qui sopra, che riportiamo nella nostra traduzione italiana dall’inglese): «Abbiamo dovuto posticipare il prossimo incontro GID [1] ma siamo pronti a impegnarci ».
Dichiarazione stampa dei Co-Presidenti dei Geneva International Discussions – 31.01.2023 – I Co-Presidenti dei Colloqui Internazionali di Ginevra (GID) [Colloqui Internazionali di Ginevra], il Rappresentante delle Nazioni Unite ai Colloqui Internazionali di Ginevra Gihan Sultanoğlu [2], il Rappresentante Speciale del Presidente dell’OSCE in carica per il Caucaso meridionale Viorel Moșanu e il Rappresentante speciale dell’Unione europea per il Caucaso meridionale e la crisi in Georgia Toivo Klaar ribadiscono il pieno impegno delle rispettive organizzazioni nei confronti del processo GID. Il prossimo ciclo di discussioni, che avrebbe dovuto tenersi alla fine di febbraio 2023, è stato rinviato all’inizio di aprile 2023 a causa di problemi di tempistica. Tuttavia, i copresidenti ribadiscono la loro disponibilità a impegnarsi in consultazioni di persona con tutti i partecipanti, sia sul processo in generale che sulla prossima riunione in particolare».

22 gennaio 2023: «Di nuovo a Yerevan per una giornata di incontri. La situazione attorno al Corridoio di Lachin è grave e occorre trovare urgentemente delle soluzioni. Non vedo l’ora di discutere per esplorare le strade da percorrere. L’obiettivo dell’Unione Europea rimane un accordo globale armeno-azerbajgiano».

Tempo sprecato: lo sappevamo da 43 giorni – mentre lui aveva dormito per 39 giorni – che la situazione per l’Artsakh è grave (che pudore, parla di “situazione attorno al Corridoio di Lachin” e la parola “blocco” non riesce a pronunciare; di Nagorno-Karabakh e di Artsakh neanche da pensare, neanche Karabakh si trova nel suo vocabolario “di amicizia con Aliyev”). Invece di dire a Yerevan che “occorre trovare urgentemente delle soluzioni”, che vada a dire a Baku che il blocco deve terminare all’istante.

16 dicembre 2022: «Circola un video su una pattuglia dell’EUMCAP [EU Monitoring Capacity to Armenia] che osserva la strada che conduce al Corridoio di Lachin. La pattuglia si trovava quindi a un posto di blocco a circa 1,2 km dal confine Armenia-Azerbajgian [in realtà il confine Armenia-Artsakh all’inizio del Corridoio di Berdzor (Lachin)]. L’EUMCAP, in linea con il suo mandato, opera esclusivamente sul territorio armeno e non è entrata nel Corridoio».

Toivo Klaar si è materializzato alle ore 19.10 del 16 dicembre 2022 con un tweet per rassicurare il suo compagno di merende Ilham Aliyev a Baku, che il il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) in atto da 4 giorni, non era un problema per lui e che non avevo niente da obiettare, anzi non voleva neanche entrarci. Secondo quanto hanno riferito i media azeri (tutti sotto controllo statale), suo tweet era la denuncia di una “fake news” dell’Armenia (per loro tutto quello che dice l’Armenia e dicono gli Armeni sono “menzogne”). Nel frattempo neanche una parola per invitare l’Azerbajgian a togliere il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin).

10 dicembre 2022: «Grazie al TRT World Forum 22 [3] per l’invito. Ho gradito la possibilità di brevi scambi con il Ministro Mevlüt Çavuşoğlu [Ministro degli Esteri della Turchia] e altri funzionari. Credo che la Turchia abbia molto da offrire per sostenere una soluzione globale tra l’Armenia e l’Azerbajgian».

9 dicembre 2022: «Breve visita, ma sostanziali incontri ieri a Yerevan con il Primo Ministro Nikol Pashinyan, il Vice Primo Ministro Mher Grigoryan e il Ministro degli Esteri Ararat Mirzoyan. Ora via per Istanbul».

Così può bastare, importante è andare dall’amico sultano sul Bosforo.

8 dicembre 2022: «Buongiorno! Oggi provo il volo diretto Vienna-Yerevan. In attesa di incontri sostanziali nel pomeriggio».

“Buongiorno!”, appena svegliato si è ricordato di volare a Yerevan, per andare a provare il volo diritto da Vienna. “Sostanziale”, aggettivo che significa relativo alla sostanza in senso filosofico, termine usata dalla diplomatizia per coprire il nulla.

28 novembre 2022: «Alcune riflessioni a seguito della visita in Azerbajgian alla fine della scorsa settimana: 1) Impegno importante del Presidente dell’Azerbajgian per il formato agevolato dell’Unione Europea. 2) Rimangono molte sfide; Saranno necessarie moderazione e forte politica da parte dell’Azerbajgian e dell’Armenia per ridurre le tensioni e raggiungere una soluzione globale» [4].

24 novembre 2022: «È stato bello poter presentare il GID al Consiglio permanente dell’OSCE insieme ai copresidenti del GID. Incontri utili con il DHoM russo [Deputy Head of Program Office] e l’ambasciatore georgiano Tsikhelashvilik. Ora lascia la piovosa Vienna per importanti incontri a Baku».

8 novembre 2022: «Importante incontro ieri a Washington tra i Ministri degli Esteri armeno e azero. È incoraggiante che Ararat Mirzoyan e Jehun Bayramov siano impegnati in un sostanziale processo di negoziati per un trattato di pace bilaterale».

[1] La 57ª riunione dei Colloqui internazionali di Ginevra (GID) – il forum multilaterale per affrontare le conseguenze umanitarie e sulla sicurezza della guerra russo-georgiana dell’agosto 2008 – si terrà nell’aprile 2023 invece che nel 21-22 febbraio. “Posso confermare a nome del Rappresentante speciale dell’Unione Europea Toivo Klaar che i copresidenti hanno annunciato ai partecipanti al GID che il prossimo ciclo, inizialmente previsto per febbraio 2023, avrebbe dovuto essere posticipato all’inizio di aprile 2023 a causa di problemi di tempistica”, ha dichiarato Henri Duquenne, Portavoce del Rappresentante speciale dell’Unione Europea per il Caucaso meridionale e la crisi in Georgia.
Duquenne ha affermato che “i copresidenti erano e sono ancora pronti a intraprendere consultazioni con tutti i partecipanti sia sull’argomento della prossima riunione, sia sul processo GID in generale. Pertanto, è ovviamente deludente che i partecipanti abkhazi non abbiano ritenuto utili tali consultazioni in questo momento”.
Il Ministro degli esteri dell’Abkhazia, Inal Ardzinba, ha rilasciato una dichiarazione il 31 gennaio, affermando che il 57° GID è stato annullato “unilateralmente” dall’UE, dall’ONU e dall’OSCE. Ha detto che la decisione è “di natura di parte” e “crea ulteriori minacce alla stabilità e alla sicurezza”. Rilevando che tali cancellazioni “senza ragioni oggettive e senza accordo con i partecipanti” sono avvenute prima che Ardzinba si sia espresso, “la parte abkhazia ha deciso di rifiutare l’ingresso nel territorio della Repubblica di Abkhazia della delegazione dei Co-Presidenti del GID, che ha programmato di venire l’8-9 febbraio per incontrare i funzionari”.
La Portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova ha osservato che questa è la seconda volta consecutiva che i Co-Presidenti rinviano una riunione, poiché una riunione prevista per dicembre dello scorso anno era stata spostata a febbraio 2023. La parte russa osserva che prendendo questo in considerazione, il rinvio della riunione di febbraio appare “assolutamente artificioso” e valuta questa decisione, “presa senza consultazioni preliminari con tutte le delegazioni come la continuazione del percorso distruttivo degli occidentali volto a bloccare l’operato del Gid”. Zacharova prosegue affermando che, tenuto conto di quanto sopra, la parte russa ha ritenuto inaccettabile tenere un incontro con i Co-Presidenti previsto per il 3 febbraio. Rileva inoltre che i “viaggi degli occidentali” non possono e non sostituiranno il vero e proprio funzionamento del formato di Ginevra. «Gli alleati dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale concordano pienamente con le valutazioni russe», ha concluso la Zacharova.

[2] Ayşe Cihan Sultanoğlu è stata dal 2012 fino alla sua nomina nel 2018 Assistente del Segretario Generale delle Nazioni Unite.

[3] Il TRT [Turkish Radio and Television] World Forum, che “riunisce diversi leader, esperti, accademici e nomi famosi di tutto il mondo per discutere sui problemi globali e offrire delle soluzioni”, si è tenuto per la sesta volta in Istanbul il 9 e 10 dicembre 2022 sul tema “Modellare il futuro: Incertezza, Realità e Opportunità” alla presenza del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, con la partecipazione di circa 100 relatori provenienti da 34 paesi. Secondo la dichiarazione della Turkish Radio and Television Corporation (TRT), nel forum sono discussi diversi temi dall’energia alla crisi migratoria globale, dalla sicurezza alimentare all’islamofobia con sessioni aperte e tavole rotonde.

[4] “È importante che l’Unione Europea svolga un ruolo anche ai margini dell’Europa”, ha affermato Henri Duquenne, Portavoce del Rappresentante Speciale dell’Unione Europea per il Caucaso meridionale e la crisi in Georgia. “Diversi Stati membri hanno interessi diversi, ma nel complesso questa è una regione prioritaria per noi”. Il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha espresso valutazione negazione sugli “sforzi” dell’Unione Europea, mentre prometto ai suoi rappresentanti il suo gas azero-russo.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Voci di chi fugge dalla guerra, in Russia (IlManifesto 04.02.23)

Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, dalla Russia è iniziata la più grande ondata migratoria dal crollo dell’Unione Sovietica. Molteplici le ragioni: persecuzione di attivisti e giornalisti, disaccordi con le autorità, timore di essere chiamati a combattere. In centinaia di migliaia hanno cercato di attraversare i valichi di frontiera per evitare di essere trascinati nella guerra di Vladimir Putin in Ucraina. Con la chiusura quasi totale dello spazio aereo europeo a tutti i voli in entrata e in uscita dalla Russia, rimanevano poche vie di uscita. I confini con la Georgia, la Finlandia e altre aree si sono trasformati in code infinite di persone che vogliono lasciare il paese, mentre le autorità russe cercano di fermare e arruolare chi fugge. Un esodo che in Europa e nei paesi confinanti solleva la questione dei rifugiati russi, vittime anch’esse della guerra: accogliere i renitenti alla leva o respingerli nella speranza di creare ulteriori disordini sociali in Russia? Alcuni russi ci raccontano la loro fuga per evitare la guerra e il regime di Mosca.

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Arshak Makichyan, attivista
«Sono nato nel 1994 in Armenia poco dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Dopo la guerra del Karabakh, a causa del blocco de facto dell’Armenia, la mia famiglia si è trasferita in Russia.
Al quinto anno di Conservatorio sono andato alla mia prima manifestazione, si trattava di una marcia in memoria di Nemtsov (Boris Nemtsov era un politico dell’opposizione russa ucciso nel 2015, nel cuore di Mosca). Poi mi sono interessato alle tematiche ambientali e ho iniziato ad andare ogni venerdì in centro a Mosca per fare i picchetti. Ha cambiato molto la mia vita.

A poco a poco ho iniziato a ricevere sostegno da tutta la Russia, a ricevere attenzione dai media e a organizzare manifestazioni di massa. Ho ricevuto più volte minacce di morte e la polizia ha minacciato di mettermi in prigione. Dopo aver partecipato a un picchetto contro la non eleggibilità dei candidati alle elezioni della Duma di Mosca, sono stato arrestato per la prima volta. In pandemia anche i picchetti individuali sono stati proibiti e molti sono stati arrestati. Poi è iniziata la guerra.

Il 24 febbraio io e la mia ragazza dovevamo sposarci. Quando quella mattina ci siamo svegliati, all’inizio abbiamo pensato di far saltare il matrimonio, ma poi abbiamo deciso di farlo comunque. Mia moglie aveva un vestito blu e io una camicia bianca con la scritta «No war». Abbiamo scattato alcune foto e poi siamo andati a protestare. Ho pubblicato le foto sui social media e poi ogni giorno mi venivano chieste interviste da rilasciare a diversi media quali il Guardian, Fox News e altri giornali stranieri.

I primi giorni di protesta sono stati di massa, ma il settimo giorno abbiamo trovato solo molti poliziotti. Era evidente che tali proteste erano inefficaci e che qualcosa doveva cambiare.
Il 19 marzo siamo scappati in Germania, mi sarebbe piaciuto rimanere in Russia ma ora è impossibile. All’inizio pensavamo di andare via solo per riflettere e poi tornare. Ma ora tornare indietro è impossibile per me.

A un certo punto ho ricevuto l’avviso che era stata avviata una causa civile contro di me per privarmi, assieme alla mia famiglia, della cittadinanza russa. Il pretesto era che la casa in cui eravamo registrati si trovava in cattive condizioni.
In questo modo cercano di intimidire tutti gli attivisti e le minoranze.

Aanonimo, musicista
«Nel marzo 2022 volevo aprire il mio studio musicale a Kiev, ma è iniziata la guerra.
Per me è stata una sensazione innaturale, come se fossi coperto di fango perché mi trovavo in Crimea, un territorio che era occupato ma apparteneva ancora all’Ucraina, e da cui partivano aerei per bombardare l’Ucraina stessa che considero il mio Paese. Ho sentito decollare gli aerei da combattimento, poco dopo una mia conoscente di Odessa mi ha informato di un raid aereo in corso. Non capivo come fosse possibile rimanere sotto il governo di un regime che di fatto attaccava il mio Paese.

Il 25 febbraio mi sono recato al valico di frontiera russo-georgiano di Verchniy Lars. Volevo attraversare il confine, ma sono stato fermato dagli agenti dell’FSB che mi hanno interrogato sui miei legami con l’Ucraina, mi hanno accusato di aver attraversato illegalmente il confine e mi hanno minacciato di portarmi in galera. Alla fine sono ritornato in Crimea.

Ho capito che l’obiettivo dell’esercito era quello di spaventarmi e, compiuto 27 anni a marzo, ho deciso di lasciare a tutti i costi la Russia. Ho comprato un biglietto aereo da Mineralnye Vody (dopo il 24 febbraio l’aeroporto di Simferopol è stato chiuso a causa della guerra – ndr) per l’Armenia e da lì ho raggiunto la Georgia dove mi trovo da 10 mesi. All’inizio ho partecipato a varie iniziative di beneficenza e ho aiutato i bambini ucraini rifugiati.
A gennaio volevo ritornare a Kiev perché non posso e non voglio essere altrove se non in Ucraina. La guerra e la paura che mi possa accadere qualcosa non mi impediscono di essere lì».

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Parla il premier dell’Artsakh assediato. “Non potete ignorarci” (Lanuovabq 04.03.23)

Da due mesi prosegue la nuova crisi del Nagorno Karabakh (Artsakh), la regione a maggioranza armena incastonata nel mezzo dell’Azerbaigian e in lotta per l’indipendenza. L’Azerbaigian sta bloccando il corridoio di Lachin. Dopo la guerra del 2020, è rimasta l’unica strada che collega il Nagorno Karabakh con l’Armenia. La Bussola ha intervistato il Ministro di Stato Ruben Vardanyan. “Possiamo sopravvivere? Sì, ma non è più una vita normale. Tutto è in crisi, perché l’intera economia è chiusa, c’è carenza di ogni cosa, dal carburante alle medicine e al cibo, la catena di approvvigionamento non funziona più”. “Una delle ragioni di questi blocchi è che abbiamo detto che dovete negoziare con noi, non potete ignorarci”.

 

Ruben Vardanyan

Da due mesi prosegue la nuova crisi del Nagorno Karabakh, la regione a maggioranza armena incastonata nel mezzo dell’Azerbaigian e in lotta per l’indipendenza. L’Azerbaigian sta bloccando il corridoio di Lachin. Dopo la guerra del 2020, è rimasta l’unica strada che collega il Nagorno Karabakh con l’Armenia, da cui dipende per ogni bene di prima necessità. La crisi è umanitaria.

Dal punto di vista politico, le ragioni dell’Azerbaigian sono ancora senza una spiegazione, se non quella di indurre gli armeni della regione indipendentista a piegarsi. La stampa azera (e di conseguenza anche quella parte di media europei che ne seguono la narrazione) attribuisce molte delle colpe al nuovo Ministro di Stato nominato a novembre dal presidente: Ruben Vardanyan. Cinquantaquattrenne, nipote di un sopravvissuto del genocidio armeno del 1915, nato a Erevan (Armenia), ma divenuto uomo d’affari di grande successo a Mosca, è per questo considerato dalla stampa avversaria come “emissario del Cremlino”. È però un fatto che dal 2021 sia diventato cittadino armeno e l’anno dopo, rinunciando alla cittadinanza russa, abbia accettato di supervisionare il governo della Repubblica di Artsakh, il nome politico armeno del Nagorno Karabakh. Era uno degli imprenditori, banchieri, filantropi più ricchi e corteggiati, vincitore di numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali, ma ora ha scelto di guidare il governo di una repubblica con 120mila abitanti, che non è riconosciuta internazionalmente ed è uno dei più pericolosi luoghi del mondo. E giusto per iniziare il suo mandato, l’Azerbaigian gli impone un blocco totale, un vero assedio. La Nuova Bussola Quotidiana lo ha incontrato (virtualmente) nel suo studio a Stepanakert.

Signor Ministro di Stato, come mai, da miliardario ha scelto l’Artsakh?
Con mia moglie abbiamo preso questa decisione nel 2008, quando ho guadagnato per la prima volta molto denaro, e ne abbiamo discusso con mio figlio. Ci siamo detti che il mondo stava subendo una grande trasformazione, con molte crisi e sfide, e che volevamo lasciare ai nostri figli non tanto i soldi, quanto un mondo migliore; per questo abbiamo deciso che era meglio spendere la nostra ricchezza per la filantropia. La seconda ragione è la guerra del 2020. Ero molto legato all’Artsakh, il luogo di cui mi sono innamorato a prima vista, l’ho visitato molte volte, mio figlio vi ha fatto il servizio militare, mia figlia ci ha vissuto per anni, mia nonna era originaria di qui, e sentivo un legame molto stretto con questa terra e la sua gente. È orribile quello che è successo nel 2020. Ho tenuto discorsi pubblici che sono stati seguiti da milioni di persone ed ho ricevuto una reazione piuttosto emotiva. L’esperienza della guerra è stata come passare una linea rossa: «È ora che tutti capiscano cosa è possibile fare per l’Artsakh». E poi nel 2022, quando ho visto quello che stava accadendo in Artsakh di nuovo, quando gli azeri stavano lentamente entrando nei villaggi e iniziando a prendere il controllo del nostro Paese, mi sono detto: questo è il momento di fare una scelta, o continui a fare filantropia ed essere una persona generosa ma solo emotivamente legata alla causa, oppure diventare responsabile ed iniziare ad agire in prima persona. È per questo che mi piace la frase di Amedeo Modigliani, uno dei miei artisti preferiti: “La vita è un dono: dai pochi ai molti: di coloro che sanno o che hanno a coloro che non sanno o che non hanno”. Ci sono vari modi di fare filantropia e per me è importante restituire alla mia nazione quel che mi ha dato.

Quanto è grave la situazione nell’Artsakh dopo più di un mese di blocco del corridoio di Lachin?
Siamo in difficoltà da ben 54 giorni. Non stiamo vivendo una situazione catastrofica, come Haiti dopo il terremoto. E nemmeno un assedio in cui la popolazione muore di fame perché è completamente privata del rifornimento di cibo, come era a Leningrado (nel corso dell’assedio tedesco del 1941-44, ndr). Direi che stiamo subendo una forte pressione da parte dell’Azerbaigian. Non abbiamo più normali consegne di cibo. Nessuno può lasciare l’Artsakh o entrare. Possiamo sopravvivere? Sì, ma non è più una vita normale. Tutto è in crisi, perché l’intera economia è chiusa, c’è carenza di ogni cosa, dal carburante alle medicine e al cibo, la catena di approvvigionamento non funziona più. Possiamo continuare a prendere qualcosa grazie a quel che ci viene fornito dalle truppe di pace russe e può passare la Croce Rossa. Il fatto di non poter uscire ha condizionato la psiche della gente. Non credono più nel futuro. Come nel lockdown durante la pandemia.

Le forze di pace russe non stanno intervenendo per tenere aperto il corridoio di Lachin. Perché?
Il loro mandato di peacekeeping è molto delicato, non possono usare armi, non hanno molti soldati in zona, vogliono evitare combattimenti. E non dimentichiamo che a bloccare il corridoio di Lachin sono civili, non militari. Ufficialmente non è lo Stato, non è l’esercito, ma sono manifestanti che fermano il traffico sulla strada. Quindi è ancora più difficile usare la forza militare contro di loro.

Cosa pensa degli ambientalisti azeri che stanno bloccando la strada, considerando che ufficialmente si tratta di una manifestazione ambientalista?
Quante manifestazioni libere ci saranno mai state in Azerbaigian nell’ultimo trentennio, dall’indipendenza ad oggi? Tutte le manifestazioni sono state represse. Nessuno crede che questa protesta sul corridoio di Lachin sia reale. È una manipolazione: è il governo azero che usa studenti e Ong. Noi abbiamo mandato lettere all’Azerbaigian e alle organizzazioni internazionali, chiedendo di mandare esperti per verificare di persona l’origine della protesta ambientalista (cioè la riapertura delle miniere, ndr). Ma l’Azerbaigian non accetta nessuno che non siano i loro esperti.

La nuova Comunità Politica Europea, riunita a Praga, aveva combinato un incontro fra Azerbaigian e Armenia. Ed eravamo tutti convinti che si potesse raggiungere un compromesso. Cosa è andato storto?
Una cosa è la tensione fra Armenia e Azerbaigian, tutt’altra è la questione dell’Artsakh. Noi vogliamo l’indipendenza dall’Azerbaigian sin dai tempi in cui eravamo tutti nell’Urss, dal 1988. La pace potenziale fra Armenia e Azerbaigian non cambia la nostra situazione. Il gruppo di Minsk, cioè Stati Uniti, Francia e Russia, cerca di risolvere il problema, ma l’Azerbaigian non accetta alcun consiglio perché ci considera come un problema interno. Una delle ragioni di questi blocchi è che abbiamo detto che dovete negoziare con noi, non potete ignorarci, se volete trovare una soluzione, dobbiamo aprire i negoziati su questo punto.

Gli Usa ospitano una grande popolazione armena. Lei pensa che gli Stati Uniti possano intervenire in futuro?
Sì e no. Gli Stati Uniti sono lontani e pensano soprattutto a Stati più grandi: alla Russia, all’Iran, alla Turchia, l’Armenia è troppo piccola per loro. Ma comunque hanno già giocato un ruolo importante, assieme alla Russia, per fermare la guerra del 2020, facendo forti pressioni sull’Azerbaigian. Ritengono inaccettabili le operazioni di pulizia etnica e altre violazioni dei diritti e degli standard umanitari. Ci potrebbero fornire un grande aiuto con un ponte aereo, perché l’Azerbaigian non fermerebbe voli dagli Stati Uniti. Potrebbero fornirci assistenza alimentare e umanitaria e, potenzialmente, imporre anche sanzioni allo Stato azero, per la sua politica inaccettabile.

Il Parlamento Europeo ha condannato il blocco con una risoluzione del 19 gennaio, su basi umanitarie. Cosa pensa dell’azione dell’Ue?
Il problema, per l’Unione Europea, è che alle parole non seguono i fatti. Probabilmente perché l’Azerbaigian le fornisce petrolio e gas, con contratti molto vantaggiosi. Lanciare bei proclami è sempre un bene. Ma non abbastanza.

Cosa pensa del silenzio, relativo, dei media europei?
Quando vivi in un periodo con così tante crisi assieme, pandemia, guerre, shock economici… è difficile che la gente voglia leggere notizie di qualche altra tragedia. Secondo: anche i problemi interni all’Europa sono tanti e gravi. Terzo, e ancor più importante si dovrebbe pensare alla solidarietà per tante altre parti del mondo e non solo per la nostra regione. Noi non forniamo abbastanza informazioni, forse non stiamo facendo un buon lavoro. Ma siamo troppo lontani, la gente non riesce ad interessarsi.

Conta il fatto che siete alleati della Russia?
Probabile, ma in Europa c’è sempre stato un grande rispetto per la democrazia. E l’Artsakh è una democrazia. Si sono alternati quattro capi di governo di Stato, abbiamo le elezioni, abbiamo un’opposizione vera e una società aperta. L’Azerbaigian, al contrario, è una tipica autocrazia, dove una sola famiglia comanda e non c’è alcuna libertà, nessuna democrazia, nessun rispetto per i diritti umani.

*Intervista effettuata via Zoom, consulenza per la traduzione di Patricia Gooding-Williams

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Cinquantacinquesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Il Ministro degli Esteri dell’Artsakh chiede misure efficaci con maggiore pressione e sanzioni contro l’Azerbajgian (Korazym 04.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 04.02.2023 – Vik van Brantegem] – Il Ministro degli Esteri della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Sergey Ghazaryan, ha inviato lettere agli Ambasciatori di un certo numero di paesi accreditati in Armenia, ha dichiarato il servizio stampa del Ministero degli Esteri dell’Artsakh. Nella sua lettera, Ghazaryan ha presentato i problemi umanitari nell’Artsakh causati dalla chiusura del Corridoio di Berdzor (Lachin) da parte dell’Azerbaigian, nonché l’impatto negativo delle interruzioni della fornitura di gas naturale ed elettricità sulla vita quotidiana delle persone e sull’economia della Repubblica. Ha sottolineato che il blocco non è il primo tentativo dell’Azerbajgian di pulire etnicamente l’Artsakh, ma una continuazione diretta dell’aggressione scatenata dall’Azerbajgian nel 2020, a seguito della quale è stata occupata una parte significativa del territorio dell’Artsakh e 38.000 cittadini sono diventate rifugiati e sfollati interni.

Ghazaryan ha osservato che il rifiuto dell’Azerbajgian dell’offerta del governo dell’Artsakh di condurre un monitoraggio internazionale indipendente della miniera di Kashen è stata un’altra prova che la “protesta” guidata dai servizi speciali azeri perseguiva un obiettivo completamente diverso, in particolare, prendere il pieno controllo del Corridoio di Berdzor (Lachin) in violazione della Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre 2020.

Il Ministro Ghazaryan ha sottolineato che le false affermazioni dell’Azerbajgian secondo cui la strada era aperta sono state confutate dal fatto che dal 12 dicembre 2022 fino ad oggi nessun veicolo appartenente ai residenti dell’Artsakh è passato attraverso il Corridoio di Lachin. Infatti, solo i veicoli del Comitato Internazionale della Croce Rossa e delle forze di mantenimento della pace russo possono transitare sulla strada bloccata. Inoltre, non riuscendo a convincere la comunità internazionale della presunta natura ecologica della “protesta”, le autorità azere affermano che gli eventi che si stanno svolgendo nel Corridoio di Berdzor (Lachin) sono loro affari interni, che non devono discutere con nessun Paese. Nel frattempo, è ovvio che tutte le suddette azioni dell’Azerbajgian perseguono un unico obiettivo: la pulizia etnica dell’Artsakh.

Nella sua lettera, il Ministro degli Esteri dell’Artzakh, Sergey Ghazaryan, ha esortato gli Ambasciatori stranieri accreditati in Armenia a presentare ai rispettivi Governi il quadro reale di quanto accade sul campo. In particolare, Ghazaryan scrive: «Vi esortiamo a trasmettere al vostro governo il nostro appello affinché adotti misure efficaci, inclusa l’imposizione di sanzioni o l’utilizzo di altri strumenti di pressione, volte a revocare il blocco dell’Artsakh e prevenire le intenzioni criminali dell’Azerbaigian».

Il dittatore dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, sta rapidamente perdendo amici e guadagnando nemici. Lo sa, tuttavia non ha altra scelta che mantenere viva la fiamma della guerra. Questo è l’unico modo in cui il suo governo può sopravvivere.

«Gli Armeni non vogliono sentire quello che abbiamo da dire, resistono ad accettare la verità, chiedono agli altri di ignorarla e non vogliono parlare di problemi reali. Continuano a chiedere solo per se stessi e non si preoccupano delle nostre richieste. Saremo qui finché la nostra richiesta non sarà ascoltata e soddisfatta».
«Prima abbiamo visto un grande convoglio delle forze di pace russe consegnare rifornimenti al Karabakh, ora vediamo il CICR consegnare più rifornimenti. Questo è ciò a cui assistiamo quotidianamente: dozzine di camion carichi. Gli Armeni etnici che vivono a Khankendi [intende ovviamente Stepanakert] ricevono tutto ciò di cui hanno bisogno e in grandi quantità».
«Nessun singolo tentativo di parlare di un problema reale per cercare di risolvere la situazione affrontando l’argomento da parte degli Armeni per 54 giorni. Solo accuse, insulti, bugie e richieste di andarcene senza dare nulla in cambio. Le cose non funzionano in questo modo. Non potete mantenere la vostra attività criminale».

Con i giorni che passano il video-propagandista Adnan Huseyn diventa più aggressivo e sconnessa dalla realtà (per quanto possibile con il livello che manteneva già da prima, quando non aveva postato nemmeno nulla relativo all’ecologia o all’ambiente al di fuori di UN tweet che faceva parte di una più ampia narrativa di propaganda di Stato azera. Il suo improvviso attivismo “ecologista” è iniziato il 12 dicembre 2022 con l’inizio del #ArtsakhBlockade. E da allora è il megafono della narrativa di Aliyev, dimostrando giorno dopo giorno in modo geniale che l’Artsakh è tenuto sotto assedio, mostrando che solo veicoli del Comitato Internazionale della Croce Rossa e delle forze di mantenimento della pace russo vengono fatte passare attraverso il blocco.

Per Huseyn e i suoi simili tutto è regolare lungo l’autostrada interstatale Goris-Berdzor (Lachin)-Stepanakert: il Comitato Internazionale della Croce Rossa e le forze di mantenimento della pace russo stanno facendo quello che fanno regolarmente, proprio come Uber o FedEx, BRT e UPS. Hanno semplicemente preso in mano il trasporto. E i negozi a Stepanakert sono strapieni. Patetico.

Sabato 11 febbraio 2023 alle ore 18.30 si terrà l’inaugurаzione della mostra fotografica di Antonio Ferrari Armenian Revolution presso l’Anda Venice Hostel in via Ortigara 10 a Mestre-Venezia. Ospiti: Prof. Aldo Ferrari, docente di Armenistica e Sona Haroutyunian ricercatrice di Armenistica dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

«La giornalista freelance a Stepanakert, Siranush Sargsyan, ha twittato oggi [3 febbraio 2023] evidenziando un matrimonio che ha avuto luogo a Stepanakert. Ha twittato: “L’amore non può essere bloccato. La giovane coppia Tigran e Christine ha deciso di mantenere il proprio impegno matrimoniale, ma senza alcun tipo di festeggiamento, solo una cerimonia in chiesa per ufficializzarlo e poi tornare a casa con le proprie famiglie. Oggi, sotto assedio hanno messo su famiglia”. Un momento di bellezza catturato nel caos. Un momento di speranza per le persone coinvolte nel matrimonio. Un momento per guardare insieme al loro futuro. Un momento d’amore che supererà tutte le difficoltà che hanno dovuto affrontare. L’amore supererà sempre l’odio indipendentemente dalla situazione. La caratteristica chiave dell’essere umano è essere amati e diffondere amore agli altri. Questo è un buon promemoria di ciò per il mondo che anche durante i tempi bui, freddi e affamati che Artsakh ha e dovrà affrontare, continueranno ad amare e creare bellezza» (Varak Ghazarian – Medium, 4 febbraio 2023 – Nostra traduzione italiana dall’inglese).

«L’amore in una città sotto assedio Giorno 54 #ArtsakhUnderSiege» (Siranush Sargsyan, 3 febbraio 2023).

«L’amore non può essere bloccato. La giovane coppia Tigran e Christine ha deciso di mantenere il proprio impegno matrimoniale, ma senza alcun tipo di festeggiamento, solo una cerimonia in chiesa per ufficializzarlo e poi tornare a casa con le proprie famiglie. Oggi, sotto assedio hanno messo su famiglia» (Siranush Sargsyan, 3 febbraio 2023).

«I mercati di carne di maiale e pollame sono stati colpiti, dato che questi animali sono alimentati con cereali, che in precedenza venivano importati dall’Armenia. Se il blocco continua, ci saranno anche carenze di mangimi concentrati e granulari, che avranno un impatto sulla produzione di tutto il bestiame» (Siranush Sargsyan 3 febbraio 2023).

«Una giornata intensa in Azerbajgian sta volgendo al termine. Si è parlato molto della nostra cooperazione nel settore del gas, ma allo stesso tempo anche l’energia rinnovabile deve ricevere una giusta quota di attenzione, poiché l’Azerbajgian ha un forte potenziale rinnovabile non sfruttato» (Kadri Simson, 3 febbraio 2023).

L’Unione Europea compra non solo il gas dall’Azerbajgian, ma indirettamente anche il gas russo, raggirando le sanzioni. Comprando il gas da questi due Paesi si permette il #ArtsakhBlockade. La Signora Simson, insieme al suo capo la Signore von der Leyen sta incoraggiando il dittatore Aliyev a commettere un genocidio.

L’Azerbajgian non si preoccupa della natura, non si preoccupa delle energie rinnovabili e non si preoccupa di Simson né di von der Leyen. Il suo dittatore Aliyev si preoccupa solo del proprio profitto.

Tutta quella corruzione, la diplomazia al caviale, l’oligarchia petrolifera e la violenza contro le minoranze etniche in Azerbajgian è davvero luccicante… così luccicante che ha accecato la Signora Simson dai suoi obblighi come rappresentante Unione Europea e di essere un essere umano decente.

Il rilancio delle forniture di gas russo all’Azerbajgian solleva interrogativi sull’accordo Baku-Brussel
Le rinnovate vendite di gas russo all’Azerbajgian stanno rendendo molto più difficile il compito di impedire le esportazioni di gas di Mosca
IntelliNews, 22 novembre 2022

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

La russa Gazprom ha annunciato il 18 novembre che consegnerà fino a 1 miliardo di metri cubi di gas naturale all’Azerbajgian entro marzo, in base a un nuovo contratto con la compagnia petrolifera statale Socar.

Gazprom è stato un fornitore di gas all’Azerbajgian tra il 2000 e il 2006, ma poi il Paese ha rapidamente ampliato la propria produzione di gas nel giacimento di Shah Deniz gestito da BP, consentendogli non solo di coprire il proprio fabbisogno di gas, ma anche di esportare forniture in Georgia e Turchia. Con gran parte del suo gas appaltato ad acquirenti stranieri, l’Azerbajgian è poi tornato alle forniture russe nel 2017-2018, solo per cessare nuovamente gli acquisti dopo che la seconda fase dello sviluppo di Shah Deniz ha fatto fluire il suo primo gas nel 2019.

L’Azerbajgian ha da tempo dato la priorità alla vendita del proprio gas all’estero rispetto al fabbisogno interno, al fine di massimizzare i ricavi delle esportazioni, e questo lo ha portato ad una compressione del gas interno. L’accordo con Gazprom arriva mentre l’Azerbajgian si prepara al picco della domanda di metà inverno. Tuttavia, la ripresa delle importazioni di gas russo ora solleva anche ulteriori interrogativi, considerando che l’Azerbajgian si è recentemente impegnato a pompare più gas in Europa, al fine di compensare la perdita della fornitura russa.

In una dichiarazione all’agenzia di stampa azera APA, Socar ha affermato di avere una lunga storia di cooperazione con Gazprom e che le due società “stanno cercando di ottimizzare la loro infrastruttura organizzando lo scambio reciproco di flussi di gas”.

Le forniture di gas azero all’Europa attraverso il Corridoio Meridionale del Gas erano state impostate per raggiungere quest’anno i 10 miliardi di metri cubi all’anno concordati contrattualmente. E in base a un memorandum d’intesa firmato tra Baku e Brussel a luglio, la parte azera si è impegnata ad aumentare le esportazioni a 12 miliardi di metri cubi nel 2022.

Sia Brussel che Baku hanno elogiato il nuovo accordo come un’espansione delle relazioni energetiche tra l’Unione Europea e l’Azerbajgian. La Commissione Europea ha pubblicizzato l’accordo come una vittoria nei suoi sforzi per diversificare l’approvvigionamento di gas dell’Unione Europea. Ma non è mai stato specificato se la fornitura extra sarebbe stata acquistata.

Secondo Eurasianet, citando una fonte vicina al consorzio Shah Deniz, responsabile di tutte le esportazioni di gas azero, non sono stati concordati ulteriori accordi di esportazione per vendere il gas dal giacimento, oltre i 10 miliardi di metri cubi all’anno già concordati contrattualmente. Ciò solleva la questione se il gas russo sarà rivenduto per adempiere all’accordo con l’Unione Europea.

La ripresa della fornitura di gas russo all’Azerbajgian potrebbe semplicemente indicare che Baku è ancora una volta preoccupata per la stretta dell’offerta interna. E infatti, l’accordo Azerbajgian-Unione Europea è solo un memorandum, e quindi non vincolante. Ma la tempistica desta sospetti e suggerisce che Brussel continui a sostenere lo sforzo bellico russo in Ucraina, anche se indirettamente, poiché l’Azerbajgian potrebbe essere in grado di utilizzare il gas russo per coprire la propria fornitura interna al fine di liberare volumi per l’esportazione in Europa.

L’Azerbajgian è, ovviamente, libero di importare tutto il gas che desidera. Ma se utilizza il gas russo per inviare maggiori forniture all’Europa, ciò minerebbe ovviamente lo spirito dell’accordo Baku-Brussel. Servirebbe anche come un altro esempio di quanto sia difficile per l’Europa assicurarsi alternative al gas russo nel breve termine.

Prospettive a lungo termine

In base all’accordo di luglio, l’Unione Europea sta cercando di espandere gli acquisti di gas azero a 20 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2027. A lungo termine, l’Azerbajgian potrebbe avere il potenziale per raggiungere questo obiettivo, senza dover ricorrere a quantità significative di gas russo. Il Paese ha una serie di riserve non sviluppate che potrebbero essere assegnate al bisogno.

Tra le riserve non sviluppati nel Caspio azero, sono provati i campi di Absheron, Umid e Garabagh. La fase 3 di Shah Deniz, che comprende le riserve di gas situate al di sotto di quelle già in produzione, non è provata, né lo sono gli strati di gas più profondi nel progetto petrolifero Azeri-Chirag-Guneshli (ACG). Né le risorse sono state dimostrate alla prospettiva Babek.

Karabagh, che è stato sviluppato dalla Socar dell’Azerbajgian e dalla norvegese Equinor nell’ambito di un accordo di servizio di rischio, potrebbe fornire 2 miliardi di metri cubi all’anno al plateau, sulla base delle sue riserve e delle dichiarazioni del governo azero. Tuttavia, questo volume extra sarebbe pronto solo entro il 2025-26.

Absheron, sviluppato da una joint venture tra la Socar e la francese TotalEnergies, potrebbe fornire 5 miliardi di metri cubi all’anno, ma non fino a dopo il 2027. L’attuale giacimento di Umid sta attualmente producendo 1,7 miliardi di metri cubi all’anno e questo potrebbe aumentare fino a 3 miliardi di metri cubi. Nel frattempo Babek, situato adiacente al campo, potrebbe produrre 3-4 miliardi di metri cubi all’anno, secondo le stime dello Stato azero, ma allo stesso modo non per qualche altro anno.

A Shah Deniz Stage 3 e ACG Deep Gas, la perforazione di nuovi pozzi dovrebbe iniziare quest’anno e i risultati dei sondaggi contribuiranno a definire i volumi delle risorse e il potenziale di produzione. Ma in ogni caso, sembrerebbe che l’Azerbajgian abbia il potenziale per fornire all’Europa il gas che vuole. Tuttavia, in tutti questi progetti, saranno necessari investimenti stranieri, tecnologia e know-how per condurre lo sviluppo. Ciò è particolarmente vero a Umid e Babek, che sono entrambi campi geologicamente complessi che attualmente mancano di qualsiasi partecipazione occidentale.

Gli investimenti potrebbero anche essere più difficili da garantire, poiché molte major occidentali hanno annunciato piani per ridurre la spesa in conto capitale in petrolio e gas nei prossimi anni a favore delle energie rinnovabili e di altre tecnologie a basse emissioni di carbonio. Ciò include BP, il più grande investitore nel settore petrolifero dell’Azerbajgian, la cui strategia attuale prevede un taglio del 40% nella produzione di petrolio e gas nel prossimo decennio.

I finanzieri occidentali, allo stesso modo, si sono impegnati a eliminare gradualmente alcuni o tutti i loro investimenti in combustibili fossili, inclusa la Banca Europea per gli Investimenti, che ha svolto un ruolo fondamentale nell’avvio del progetto del Corridoio Meridionale del Gas che collega l’Azerbajgian al mercato europeo del gas.

D’altra parte, il Corridoio Meridionale del Gas ha avuto successo in un momento in cui i prezzi spot del gas in Europa erano generalmente bassi. Grazie al sostegno politico dell’Unione Europea e degli Stati nazionali che ricevono il gas azero, sono stati concordati contratti a lungo termine anche se i prezzi in base a essi non sempre competono con la fornitura russa o con i carichi spot di GNL.

Ora la situazione è molto diversa. I prezzi spot sono ora eccezionalmente alti e l’offerta russa è ora inaffidabile e dovrebbe essere comunque eliminata secondo i piani dell’Unione Europea nei prossimi anni. Ciò conferisce al gas azero extra, prezzato in base a contratti a lungo termine, un vantaggio competitivo. Anche se c’è meno sostegno politico da parte di Brussel per i nuovi progetti sui combustibili fossili, è possibile che le condizioni di mercato spingano a sostenere un aumento dell’offerta.

Intervista in esclusiva con Ruben Vardanyan
Parla il Premier dell’Artsakh assediato. “Non potete ignorarci”
di Stefano Magni
La Nuova Bussola Quotidiana, 4 febbraio 2023

Intervista effettuata via Zoom, consulenza per la traduzione di Patricia Gooding-Williams

Da due mesi prosegue la nuova crisi del Nagorno Karabakh (Artsakh), la regione a maggioranza armena incastonata nel mezzo dell’Azerbaigian e in lotta per l’indipendenza. L’Azerbaigian sta bloccando il Corridoio di Lachin. Dopo la guerra del 2020, è rimasta l’unica strada che collega il Nagorno Karabakh con l’Armenia. La Bussola ha intervistato il Ministro di Stato Ruben Vardanyan. “Possiamo sopravvivere? Sì, ma non è più una vita normale. Tutto è in crisi, perché l’intera economia è chiusa, c’è carenza di ogni cosa, dal carburante alle medicine e al cibo, la catena di approvvigionamento non funziona più”. “Una delle ragioni di questi blocchi è che abbiamo detto che dovete negoziare con noi, non potete ignorarci”.

Dal punto di vista politico, le ragioni dell’Azerbaigian sono ancora senza una spiegazione, se non quella di indurre gli armeni della regione indipendentista a piegarsi. La stampa azera (e di conseguenza anche quella parte di media europei che ne seguono la narrazione) attribuisce molte delle colpe al nuovo Ministro di Stato nominato a novembre dal presidente: Ruben Vardanyan. Cinquantaquattrenne, nipote di un sopravvissuto del genocidio armeno del 1915, nato a Erevan (Armenia), ma divenuto uomo d’affari di grande successo a Mosca, è per questo considerato dalla stampa avversaria come “emissario del Cremlino”. È però un fatto che dal 2021 sia diventato cittadino armeno e l’anno dopo, rinunciando alla cittadinanza russa, abbia accettato di supervisionare il governo della Repubblica di Artsakh, il nome politico armeno del Nagorno Karabakh. Era uno degli imprenditori, banchieri, filantropi più ricchi e corteggiati, vincitore di numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali, ma ora ha scelto di guidare il governo di una repubblica con 120mila abitanti, che non è riconosciuta internazionalmente ed è uno dei più pericolosi luoghi del mondo. E giusto per iniziare il suo mandato, l’Azerbaigian gli impone un blocco totale, un vero assedio. La Nuova Bussola Quotidiana lo ha incontrato (virtualmente) nel suo studio a Stepanakert.

Signor Ministro di Stato, come mai, da miliardario ha scelto l’Artsakh?
Con mia moglie abbiamo preso questa decisione nel 2008, quando ho guadagnato per la prima volta molto denaro, e ne abbiamo discusso con mio figlio. Ci siamo detti che il mondo stava subendo una grande trasformazione, con molte crisi e sfide, e che volevamo lasciare ai nostri figli non tanto i soldi, quanto un mondo migliore; per questo abbiamo deciso che era meglio spendere la nostra ricchezza per la filantropia. La seconda ragione è la guerra del 2020. Ero molto legato all’Artsakh, il luogo di cui mi sono innamorato a prima vista, l’ho visitato molte volte, mio figlio vi ha fatto il servizio militare, mia figlia ci ha vissuto per anni, mia nonna era originaria di qui, e sentivo un legame molto stretto con questa terra e la sua gente. È orribile quello che è successo nel 2020. Ho tenuto discorsi pubblici che sono stati seguiti da milioni di persone ed ho ricevuto una reazione piuttosto emotiva. L’esperienza della guerra è stata come passare una linea rossa: «È ora che tutti capiscano cosa è possibile fare per l’Artsakh». E poi nel 2022, quando ho visto quello che stava accadendo in Artsakh di nuovo, quando gli azeri stavano lentamente entrando nei villaggi e iniziando a prendere il controllo del nostro Paese, mi sono detto: questo è il momento di fare una scelta, o continui a fare filantropia ed essere una persona generosa ma solo emotivamente legata alla causa, oppure diventare responsabile ed iniziare ad agire in prima persona. È per questo che mi piace la frase di Amedeo Modigliani, uno dei miei artisti preferiti: “La vita è un dono: dai pochi ai molti: di coloro che sanno o che hanno a coloro che non sanno o che non hanno”. Ci sono vari modi di fare filantropia e per me è importante restituire alla mia nazione quel che mi ha dato.

Quanto è grave la situazione nell’Artsakh dopo più di un mese di blocco del Corridoio di Lachin?
Siamo in difficoltà da ben 54 giorni. Non stiamo vivendo una situazione catastrofica, come Haiti dopo il terremoto. E nemmeno un assedio in cui la popolazione muore di fame perché è completamente privata del rifornimento di cibo, come era a Leningrado (nel corso dell’assedio tedesco del 1941-44, ndr). Direi che stiamo subendo una forte pressione da parte dell’Azerbaigian. Non abbiamo più normali consegne di cibo. Nessuno può lasciare l’Artsakh o entrare. Possiamo sopravvivere? Sì, ma non è più una vita normale. Tutto è in crisi, perché l’intera economia è chiusa, c’è carenza di ogni cosa, dal carburante alle medicine e al cibo, la catena di approvvigionamento non funziona più. Possiamo continuare a prendere qualcosa grazie a quel che ci viene fornito dalle truppe di pace russe e può passare la Croce Rossa. Il fatto di non poter uscire ha condizionato la psiche della gente. Non credono più nel futuro. Come nel lockdown durante la pandemia.

Le forze di pace russe non stanno intervenendo per tenere aperto il corridoio di Lachin. Perché?
Il loro mandato di peacekeeping è molto delicato, non possono usare armi, non hanno molti soldati in zona, vogliono evitare combattimenti. E non dimentichiamo che a bloccare il Corridoio di Lachin sono civili, non militari. Ufficialmente non è lo Stato, non è l’esercito, ma sono manifestanti che fermano il traffico sulla strada. Quindi è ancora più difficile usare la forza militare contro di loro.

Cosa pensa degli ambientalisti azeri che stanno bloccando la strada, considerando che ufficialmente si tratta di una manifestazione ambientalista?
Quante manifestazioni libere ci saranno mai state in Azerbaigian nell’ultimo trentennio, dall’indipendenza ad oggi? Tutte le manifestazioni sono state represse. Nessuno crede che questa protesta sul Corridoio di Lachin sia reale. È una manipolazione: è il governo azero che usa studenti e Ong. Noi abbiamo mandato lettere all’Azerbaigian e alle organizzazioni internazionali, chiedendo di mandare esperti per verificare di persona l’origine della protesta ambientalista (cioè la riapertura delle miniere, ndr). Ma l’Azerbaigian non accetta nessuno che non siano i loro esperti.

La nuova Comunità Politica Europea, riunita a Praga, aveva combinato un incontro fra Azerbaigian e Armenia. Ed eravamo tutti convinti che si potesse raggiungere un compromesso. Cosa è andato storto?
Una cosa è la tensione fra Armenia e Azerbaigian, tutt’altra è la questione dell’Artsakh. Noi vogliamo l’indipendenza dall’Azerbaigian sin dai tempi in cui eravamo tutti nell’Urss, dal 1988. La pace potenziale fra Armenia e Azerbaigian non cambia la nostra situazione. Il gruppo di Minsk, cioè Stati Uniti, Francia e Russia, cerca di risolvere il problema, ma l’Azerbaigian non accetta alcun consiglio perché ci considera come un problema interno. Una delle ragioni di questi blocchi è che abbiamo detto che dovete negoziare con noi, non potete ignorarci, se volete trovare una soluzione, dobbiamo aprire i negoziati su questo punto.

Gli Usa ospitano una grande popolazione armena. Lei pensa che gli Stati Uniti possano intervenire in futuro?
Sì e no. Gli Stati Uniti sono lontani e pensano soprattutto a Stati più grandi: alla Russia, all’Iran, alla Turchia, l’Armenia è troppo piccola per loro. Ma comunque hanno già giocato un ruolo importante, assieme alla Russia, per fermare la guerra del 2020, facendo forti pressioni sull’Azerbaigian. Ritengono inaccettabili le operazioni di pulizia etnica e altre violazioni dei diritti e degli standard umanitari. Ci potrebbero fornire un grande aiuto con un ponte aereo, perché l’Azerbaigian non fermerebbe voli dagli Stati Uniti. Potrebbero fornirci assistenza alimentare e umanitaria e, potenzialmente, imporre anche sanzioni allo Stato azero, per la sua politica inaccettabile.

Il Parlamento Europeo ha condannato il blocco con una risoluzione del 19 gennaio, su basi umanitarie. Cosa pensa dell’azione dell’Ue?
Il problema, per l’Unione Europea, è che alle parole non seguono i fatti. Probabilmente perché l’Azerbaigian le fornisce petrolio e gas, con contratti molto vantaggiosi. Lanciare bei proclami è sempre un bene. Ma non abbastanza.

Cosa pensa del silenzio, relativo, dei media europei?
Quando vivi in un periodo con così tante crisi assieme, pandemia, guerre, shock economici… è difficile che la gente voglia leggere notizie di qualche altra tragedia. Secondo: anche i problemi interni all’Europa sono tanti e gravi. Terzo, e ancor più importante si dovrebbe pensare alla solidarietà per tante altre parti del mondo e non solo per la nostra regione. Noi non forniamo abbastanza informazioni, forse non stiamo facendo un buon lavoro. Ma siamo troppo lontani, la gente non riesce ad interessarsi.

Conta il fatto che siete alleati della Russia?
Probabile, ma in Europa c’è sempre stato un grande rispetto per la democrazia. E l’Artsakh è una democrazia. Si sono alternati quattro capi di governo di Stato, abbiamo le elezioni, abbiamo un’opposizione vera e una società aperta. L’Azerbaigian, al contrario, è una tipica autocrazia, dove una sola famiglia comanda e non c’è alcuna libertà, nessuna democrazia, nessun rispetto per i diritti umani.

Nagorno-Karabakh/“Armeni isolati, l’Azerbaijan vuole la pulizia etnica”
Gli armeni del Nagorno-Karabakh sono isolati dal Blocco del corridoio di Lachin voluto dall’Azerbaijan. E ormai sono ridotti alla fame. Neppure la Russia interviene
Intervista a Pietro Kuciukian
di Paolo Rossetti
Il Sussidiario, 4 febbraio 2023

Il Corridoio di Lachin, per arrivare nel Nagorno-Karabakh, continua a rimanere chiuso. E gli armeni intrappolati nell’area tra l’Armenia e l’Azerbaijan sono protagonisti, loro malgrado, di una vera e propria crisi umanitaria, che la guerra in Ucraina ha fatto passare in secondo piano.

“Rischiano di morire di fame” dice Pietro Kuciukian, attivista e saggista italiano di origine armena, console onorario dell’Armenia in Italia, figlio di un sopravvissuto del genocidio armeno, commentando il blocco dell’area voluto dagli azeri. Una situazione sempre più drammatica per la quale l’Occidente si sta muovendo, anche se, finora, non ha ottenuto gran che: “A parole si muovono tutti – continua Kuciukian – ma non succede nulla”.

Perché prosegue il blocco del corridoio e dei rifornimenti agli abitanti della regione?
Praticamente sono due mesi che questo passaggio vitale per 120mila armeni del Nagorno-Karabakh è bloccato, malgrado ci siano i mantenitori di pace russi, che però non sgombrano il passaggio. Mancano elettricità, gas, petrolio, medicine, cibo: i banchi dei supermercati sono vuoti. Hanno messo le tessere per il razionamento: un disastro. Io paragono la situazione a quella del ghetto di Varsavia: un blocco totale attorno ai confini con un’unica porta dalla quale non si passa.

Gli azeri dicono di esercitare il blocco per tutelare l’ambiente, un evidente pretesto. Qual è la richiesta di facciata che copre i veri motivi dell’intervento?
Dicono che vogliono andare a vedere la situazione di una miniera a Nord, per vedere se lì l’attività si svolge in modo corretto. Siccome non gliela fanno vedere, bloccano il corridoio. Evidentemente non c’entra nulla con le vere ragioni e cioè che si vuole depauperare la zona dagli armeni.

Quali sono gli scenari possibili, quali opzioni hanno di fronte agli armeni del Nagorno Karabakh per reagire a questa situazione?
Hanno tre opzioni. La prima è di diventare cittadini azeri. Si sono dichiarati indipendenti, ma gli azeri dicono che è un territorio loro. Oltretutto è stato stabilito che il territorio fa parte dell’Azerbaijan, anche se è sempre stato indipendente, da sempre, in epoca ottomana come persiana, ma anche zarista e sovietica. Gli azeri vogliono togliere questa autonomia. La questione per gli armeni è anche culturale. Se anche volessero diventare azeri bisogna ricordare che quando la regione, pur autonoma, è stata sotto l’Azerbaijan, non è mai stata sviluppata, è stata lasciata senza industria, senza trasporti, non si poteva insegnare l’armeno a scuola: se dovessero tornare azeri sarebbero vessati come in passato. Adesso, tra l’altro, c’è un’armenofobia montante, nelle scuole si insegna l’odio.

Questa opzione, insomma, non possono prenderla in considerazione. Quali altre scelte possono avere?
Potrebbero emigrare, andare via, in Armenia, in Russia, dove vogliono:  sarebbe una pulizia etnica e culturale. C’era un analogo territorio, il Nachicevan, autonomo, assegnato all’Azerbaijan, abitato da armeni: lì non c’è più neanche un armeno. Non solo, c’erano 250 monasteri che sono stati rasi al suolo. Un intero cimitero di 10mila croci di pietra è stato completamente distrutto. Gli emissari dell’Onu che volevano andare a visitare questo luogo non hanno potuto farlo. Ultimamente hanno utilizzato sistemi satellitari per vedere se erano rimaste le fondamenta dei monasteri: non ci sono più. Se se ne vanno tutto ciò che c’è di armeno viene cancellato. E gli armeni sono lì da duemila anni, con le loro città, monasteri, chiese; c’è la più antica scuola armena fondata nel 400. Gli armeni cercano sempre di conservare la loro cultura: sono sparsi in tutto il mondo, ma in ogni dove, compreso ad esempio a Milano, mantengono le loro tradizioni, hanno la loro chiesa.

C’è anche la possibilità di rimanere e di cercare di resistere?
La terza opzione è di resistere. Gli abitanti della regione sono dei montanari abbastanza duri, potrebbe anche succedere che riescano ad opporsi a questa situazione. A questo punto, però, potrebbe verificarsi un genocidio: gli azeri potrebbero entrare e uccidere tutti, donne, vecchi e bambini.

Qual è il ruolo dei Paesi dell’area, della Russia, ad esempio?
L’Armenia rientra in un trattato di mutua difesa e assistenza fra le ex repubbliche sovietiche (Csto, nda), comprese Russia, Kazakhistan, Kirgizistan, Bielorussia e altre. Nel caso ci sia un’aggressione questo trattato deve entrare in funzione. C’è stata un’aggressione nell’ottobre 2020 (degli azeri a cui risposero Armenia e Nagorno Karabakh, nda) ma nessuno è intervenuto. La Russia, al di là della questione ucraina, ha interesse a sostenere gli azeri perché petrolio e gas russi passano attraverso le pipeline dell’Azerbaijan, arrivando fino in Italia con il Tap. Vuole mantenere buoni rapporti con gli azeri a costo di inimicarsi l’Armenia.

L’Unione Europea ha fatto qualcosa?
L’Europa ha chiesto di inviare degli osservatori, ma la Russia ha detto no. Gli armeni degli Stati Uniti, che a Los Angeles sono più di un milione, hanno chiesto a Biden di creare un ponte aereo per portare cibo e materiale in Karabakh. L’Azerbaijan ha risposto che qualsiasi aereo passerà sul suo territorio verrà abbattuto.

E la Turchia, invece, quale ruolo sta giocando?
La Turchia è alleata strettissima dell’Azerbaijan, il suo obiettivo risale ancora a cento anni fa: vuole ricongiungersi con i Paesi turcofoni e adesso è interessata moltissimo ad avere un pezzo di territorio armeno.

Quindi è a rischio anche l’Armenia?
Certo, già tre o quattro territori sono stati conquistati. La Turchia vuole un passaggio, l’Armenia sarebbe disposta a concederlo sotto il controllo della dogana. Ma i turchi vogliono proprio una parte di territorio a Sud.

Si sta muovendo qualcosa per risolvere la situazione?
Biden ha mandato un suo emissario, l’Europa vorrebbe mandare osservatori, sono tutte cose in fieri, nel frattempo la gente muore di fame. Nessuno sa come andrà a finire.

C’entrano anche la Georgia e l’Iran?
È stata convocata una conferenza dei Paesi asiatici, la Georgia insieme alla Russia e alla Turchia ha escluso l’Armenia. L’Iran è vicino all’Armenia, non vuole che venga scippato del territorio a Sud perché è un punto di passaggio per le sue merci. Ultimamente si sono ulteriormente deteriorati i rapporti tra Iran e Azerbaijan perché in quest’ultimo Paese c’è una base militare degli israeliani. Pare che siano partiti da lì i droni che hanno attaccato la fabbrica di Isfahan.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

NAGORNO KARABAKH/ “Armeni isolati, l’Azerbaijan vuole la pulizia etnica” (Il Sussidiario 04.02.23)

Il corridoio di Lachin, per arrivare nel Nagorno Karabakh, continua a rimanere chiuso. E gli armeni intrappolati nell’area tra l’Armenia e l’Azerbaijan sono protagonisti, loro malgrado, di una vera e propria crisi umanitaria, che la guerra in Ucraina ha fatto passare in secondo piano.

“Rischiano di morire di fame” dice Pietro Kuciukianattivista e saggista italiano di origine armenaconsole onorario dell’Armenia in Italia, figlio di un sopravvissuto del genocidio armeno, commentando il blocco dell’area voluto dagli azeri. Una situazione sempre più drammatica per la quale l’Occidente si sta muovendo, anche se, finora, non ha ottenuto gran che: “A parole si muovono tutti – continua Kuciukian – ma non succede nulla”.

Perché prosegue il blocco del corridoio e dei rifornimenti agli abitanti della regione?

Praticamente sono due mesi che questo passaggio vitale per 120mila armeni del Nagorno Karabakh è bloccato, malgrado ci siano i mantenitori di pace russi, che però non sgombrano il passaggio. Mancano elettricità, gas, petrolio, medicine, cibo: i banchi dei supermercati sono vuoti. Hanno messo le tessere per il razionamento: un disastro. Io paragono la situazione a quella del ghetto di Varsavia: un blocco totale attorno ai confini con un’unica porta dalla quale non si passa.

Gli azeri dicono di esercitare il blocco per tutelare l’ambiente, un evidente pretesto. Qual è la richiesta di facciata che copre i veri motivi dell’intervento?

Dicono che vogliono andare a vedere la situazione di una miniera a Nord, per vedere se lì l’attività si svolge in modo corretto. Siccome non gliela fanno vedere, bloccano il corridoio. Evidentemente non c’entra nulla con le vere ragioni e cioè che si vuole depauperare la zona dagli armeni.

Quali sono gli scenari possibili, quali opzioni hanno di fronte agli armeni del Nagorno Karabakh per reagire a questa situazione?

Hanno tre opzioni. La prima è di diventare cittadini azeri. Si sono dichiarati indipendenti, ma gli azeri dicono che è un territorio loro. Oltretutto è stato stabilito che il territorio fa parte dell’Azerbaijan, anche se è sempre stato indipendente, da sempre, in epoca ottomana come persiana, ma anche zarista e sovietica. Gli azeri vogliono togliere questa autonomia. La questione per gli armeni è anche culturale. Se anche volessero diventare azeri bisogna ricordare che quando la regione, pur autonoma, è stata sotto l’Azerbaijan, non è mai stata sviluppata, è stata lasciata senza industria, senza trasporti, non si poteva insegnare l’armeno a scuola: se dovessero tornare azeri sarebbero vessati come in passato. Adesso, tra l’altro, c’è un’armenofobia montante, nelle scuole si insegna l’odio.

Questa opzione, insomma, non possono prenderla in considerazione. Quali altre scelte possono avere?

Potrebbero emigrare, andare via, in Armenia, in Russia, dove vogliono:  sarebbe una pulizia etnica e culturale. C’era un analogo territorio, il Nachicevan, autonomo, assegnato all’Azerbaijan, abitato da armeni: lì non c’è più neanche un armeno. Non solo, c’erano 250 monasteri che sono stati rasi al suolo. Un intero cimitero di 10mila croci di pietra è stato completamente distrutto. Gli emissari dell’Onu che volevano andare a visitare questo luogo non hanno potuto farlo. Ultimamente hanno utilizzato sistemi satellitari per vedere se erano rimaste le fondamenta dei monasteri: non ci sono più. Se se ne vanno tutto ciò che c’è di armeno viene cancellato. E gli armeni sono lì da duemila anni, con le loro città, monasteri, chiese; c’è la più antica scuola armena fondata nel 400. Gli armeni cercano sempre di conservare la loro cultura: sono sparsi in tutto il mondo, ma in ogni dove, compreso ad esempio a Milano, mantengono le loro tradizioni, hanno la loro chiesa.

C’è anche la possibilità di rimanere e di cercare di resistere?

La terza opzione è di resistere. Gli abitanti della regione sono dei montanari abbastanza duri, potrebbe anche succedere che riescano ad opporsi a questa situazione. A questo punto, però, potrebbe verificarsi un genocidio: gli azeri potrebbero entrare e uccidere tutti, donne, vecchi e bambini.

Qual è il ruolo dei Paesi dell’area, della Russia, ad esempio?

L’Armenia rientra in un trattato di mutua difesa e assistenza fra le ex repubbliche sovietiche (Csto, nda), comprese Russia, Kazakhistan, Kirgizistan, Bielorussia e altre. Nel caso ci sia un’aggressione questo trattato deve entrare in funzione. C’è stata un’aggressione nell’ottobre 2020 (degli azeri a cui risposero Armenia e Nagorno Karabakh, nda) ma nessuno è intervenuto. La Russia, al di là della questione ucraina, ha interesse a sostenere gli azeri perché petrolio e gas russi passano attraverso le pipeline dell’Azerbaijan, arrivando fino in Italia con il Tap. Vuole mantenere buoni rapporti con gli azeri a costo di inimicarsi l’Armenia.

L’Unione Europea ha fatto qualcosa?

L’Europa ha chiesto di inviare degli osservatori, ma la Russia ha detto no. Gli armeni degli Stati Uniti, che a Los Angeles sono più di un milione, hanno chiesto a Biden di creare un ponte aereo per portare cibo e materiale in Karabakh. L’Azerbaijan ha risposto che qualsiasi aereo passerà sul suo territorio verrà abbattuto.

E la Turchia, invece, quale ruolo sta giocando?

La Turchia è alleata strettissima dell’Azerbaijan, il suo obiettivo risale ancora a cento anni fa: vuole ricongiungersi con i Paesi turcofoni e adesso è interessata moltissimo ad avere un pezzo di territorio armeno.

Quindi è a rischio anche l’Armenia?

Certo, già tre o quattro territori sono stati conquistati. La Turchia vuole un passaggio, l’Armenia sarebbe disposta a concederlo sotto il controllo della dogana. Ma i turchi vogliono proprio una parte di territorio a Sud.

Si sta muovendo qualcosa per risolvere la situazione?

Biden ha mandato un suo emissario, l’Europa vorrebbe mandare osservatori, sono tutte cose in fieri, nel frattempo la gente muore di fame. Nessuno sa come andrà a finire.

C’entrano anche la Georgia e l’Iran?

È stata convocata una conferenza dei Paesi asiatici, la Georgia insieme alla Russia e alla Turchia ha escluso l’Armenia. L’Iran è vicino all’Armenia, non vuole che venga scippato del territorio a Sud perché è un punto di passaggio per le sue merci. Ultimamente si sono ulteriormente deteriorati i rapporti tra Iran e Azerbaijan perché in quest’ultimo Paese c’è una base militare degli israeliani. Pare che siano partiti da lì i droni che hanno attaccato la fabbrica di Isfahan.

(Paolo Rossetti)

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