TERREMOTO ARMENIA, scossa di magnitudo 5.1 a Gavarr, tutti i dettagli (3bmeteo 05.02.21)

Una scossa di terremoto di magnitudo 5.1, si è verificata alle ore 19:36 (ore 16:36 in Italia) con epicentro nei pressi di Gavarr, Armenia. La profondità stimata è stata di circa 10 Km. Potete monitorare tutte le scosse in Italia e le principali nel mondo nella nostra apposita sezione terremoti.

I dati sui terremoti sono aggiornati costantemente grazie al Centro Comune di Ricerca, Commissione Europea: GDACS

Comuni Arco e Riva del Garda (TN)* Nagorno Karabakh: “La riconoscenza dell’Ambasciatore per il sostegno alla causa del riconoscimento della repubblica dell’Artsakh” (Agenziagionalisticaopinione.it 04.02.21)

COMUNI ARCO E RIVA DEL GARDA (TN) * NAGORNO KARABAKH: « LA RICONOSCENZA DELL’AMBASCIATORE PER IL SOSTEGNO ALLA CAUSA DEL RICONOSCIMENTO DELLA REPUBBLICA DELL’ARTSAKH »

La lettera, firmata da Tsovinar Hambardzumyan, ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica d’Armenia presso la Repubblica italiana, è indirizzata ai consiglieri Simone Fontanella (Riva del Garda) e Stefano Miori (Arco), proponenti la mozione approvata tra novembre e dicembre del 2020 dai rispettivi Consigli comunali (a Riva del Garda con l’astensione delle opposizioni, ad Arco all’unanimità), che hanno impegnato i sindaci Cristina Santi e Alessandro Betta a inviare al ministro degli esteri, al presidente del Consiglio dei ministri e al presidente della Repubblica la richiesta ufficiale dei due Comuni di riconoscimento da parte della Repubblica Italiana. Richiesta poi puntualmente inviata da entrambi i sindaci.

L’ambasciatore nella sua lettera estende l’espressione della sua riconoscenza ai due sindaci e a tutti i consiglieri comunali che hanno preso parte alla discussione e all’approvazione della mozione.

Uno dei promotori è Massimiliano Floriani, arcense di nascita, già assessore ad Arco, e armeno adottivo, in quanto si è trasferito in Armenia da anni, dove è stato diretto testimone della breve ma cruenta guerra dei mesi scorsi. Un altro promotore della mozione è il console onorario d’Armenia a Milano, Pietro Kuciukian, figura nota nell’Alto Garda in quanto arcense di nascita, premiato dal Comune di Arco per i suoi instancabili contributi nel far riconoscere i meriti dei Giusti che nel corso della storia si sono opposti ai genocidi.

I consiglieri Simone Fontanella e Stefano Miori, proponendo la mozione ai rispettivi Consigli comunali, hanno voluto mandare un segnale di solidarietà alle popolazioni armene che stanno soffrendo a causa degli attacchi da parte dell’alleanza turco-azerbaijana.

La montagna dove si fermò l’Arca di Noè è stata riaperta agli alpinisti (AGI 04.02.21)

AGI – Il monte Ararat, con la sua cima alta 5.137 metri su cui la leggenda vuole si sia fermata l’Arca di Noè dopo il diluvio, è stata riaperta all’alpinismo dalle autorità turche.
La cima più alta della Turchia, con la cima gemella del ‘piccolo Ararat”, alto 3.925 metri, e’ situata nell’estremo est della Turchia, ai confini di Iran e Armenia.

Considerata sacra dagli armeni, finì sotto controllo di Ankara nel 1921 in seguito al trattato di Kars. Una concessione di Stalin alla nuova Turchia di Mustafa Kemal Ataturk, con il leader sovietico interessato piu’ al controllo di Georgia, Armenia e Azerbaigian.

Da allora una ferita aperta per gli armeni, ma anche una zona in passato non facile da controllare per Ankara. L’ascensione è stata vietata a partire dal 1984 a causa del conflitto tra la Turchia e  la guerriglia separatista curda del Pkk.

Tra il 2004 e il 2015 vi si poteva salire solo con un permesso militare, accompagnati da guide della federazione turca. Poi un divieto totale che ha iniziato ad avere delle eccezioni nell’ultimo anno, fino alla riapertura di questi giorni.

Una buona notizia per gli alpinisti di tutto il mondo, ma soprattutto per la popolazione locale, di etnia curda, che potrà contare su una importante risorsa per il turismo, nell’organizzazione di una ascensione non difficile tecnicamente , ma che per scarsità di acqua e rarefazione dell’ossigeno richiede almeno 4 giorni e l’allestimento di 2 campi.

“Il Pkk ha smesso di arruolare gente nei villaggi ormai da anni, ma la povertà prima spingeva verso la guerra, ora spinge i giovani ad emigrare. Questa riapertura per noi rappresenta l’opportunità’ di chiudere con il passato. Se c’è lavoro nessuno si arruola con il Pkk e i giovani smetteranno di andare via”, afferma Mehmet, uno dei portatori impegnati nell’organizzazione di spedizioni sulla cima.

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La Turchia riapre agli alpinisti il Monte Ararat (dove arrivò l’Arca di Noè) (Mountlive)

Il monte Ararat (5.137 mt), su cui la leggenda vuole si sia fermata l’Arca di Noè dopo il diluvio, è stata riaperta all’alpinismo dalle autorità turche. È la cima più alta della Turchia, è situata nell’estremo est del Paese, ai confini di Iran e Armenia.

Considerata sacra dagli armeni, finì sotto controllo di Ankara nel 1921 in seguito al trattato di Kars. Una concessione di Stalin alla nuova Turchia di Mustafa Kemal Ataturk.

Da allora una ferita aperta per gli armeni, ma anche una zona in passato non facile da controllare per Ankara.

Il divieto

L’ascensione è stata vietata a partire dal 1984 a causa del conflitto tra la Turchia e la guerriglia separatista curda del Pkk.

Tra il 2004 e il 2015 vi si poteva salire solo con un permesso militare, accompagnati da guide della federazione turca.

Poi un divieto totale che ha iniziato ad avere delle eccezioni nell’ultimo anno, fino alla riapertura di questi giorni.

Una buona notizia per gli alpinisti di tutto il mondo, ma soprattutto per la popolazione locale, di etnia curda, che potrà contare su una importante risorsa per il turismo, nell’organizzazione di una ascensione non difficile tecnicamente, ma che per scarsità di acqua e rarefazione dell’ossigeno richiede almeno 4 giorni e l’allestimento di 2 campi.

Ascensioni

Un missionario del tredicesimo secolo, William di Rubruck, scrisse che «Molti hanno provato a scalarlo [l’Ararat], ma nessuno è stato in grado».

La Chiesa apostolica armena era storicamente contraria alle ascensioni di Ararat per motivi religiosi. Thomas Stackhouse, un teologo inglese del XVIII secolo, ha osservato che «Tutti gli armeni sono fermamente persuasi che l’arca di Noè esista fino ai giorni nostri sulla cima del Monte Ararat, e che per preservarla, a nessuno è permesso avvicinarsi». In risposta alla sua prima ascensione da parte di Parrot e Abovian, un sacerdote della Chiesa Apostolica Armena di alto rango ha commentato che scalare la montagna sacra era «legare il ventre della madre di tutta l’umanità in una modalità dragante». Al contrario, nel XXI secolo scalare l’Ararat divenne «l’obiettivo più apprezzato di alcuni dei pellegrinaggi patriottici organizzati in numero crescente dall’Armenia e dalla diaspora armena».

La prima ascensione certa della montagna nei tempi moderni ebbe luogo il 9 ottobre 1829. Il naturalista baltico tedesco Friedrich Parrot dell’Università di Dorpat arrivò a Etchmiadzin a metà settembre del 1829, quasi due anni dopo la cattura russa di Erivan, per il solo scopo di esplorare i pendii dell’Ararat. Il famoso scrittore armeno Khachatur Abovian, allora diacono e traduttore ad Etchmiadzin, gli fu assegnato dal Catholicos Yeprem, il capo della Chiesa armena, come interprete e guida.

Parrot e Abovian attraversarono il fiume Aras nel distretto di Surmali e si diressero verso il villaggio armeno di Akhuri situato sul versante settentrionale di Ararat, a 1.220 metri (4.000 piedi) sul livello del mare. Allestirono un campo base nel monastero armeno di Sant’Hakob, a un’altitudine di 1.943 metri (6.375 piedi). Dopo due tentativi falliti, raggiunsero la vetta al loro terzo tentativo alle 15:15. il 9 ottobre 1829. Il gruppo comprendeva Parrot, Abovian, due soldati russi (Aleksei Zdorovenko e Matvei Chalpanov) e due paesani armeni (Akhuri-Hovhannes Aivazian e Murad Poghosian). Parrot, in quest’occasione, misurò e fissò l’elevazione della montagna a 5.250 metri (17.220 piedi) usando un barometro a mercurio.

Questa non fu solo la prima ascensione di Ararat, ma anche la seconda ascensione più alta scalata dall’uomo fino a quella data fuori dal Monte Licancabur nelle Ande cilene. Abovian scavò un buco nel ghiaccio ed eresse una croce di legno rivolta a nord; raccolse, inoltre, anche un pezzo di ghiaccio dalla cima e lo portò con sé in una bottiglia, considerando l’acqua dotata di santità. L’8 novembre 1829, Parrot e Abovian, insieme al cacciatore di Akhuri, il fratello di Sahak, Hako, mentre faceva da guida ascesero sul piccolo Ararat.

Tra gli altri primi scalatori illustri dell’Ararat figurano il climatologo e meteorologo russo Kozma Spassky-Avtonomov (agosto 1834), Karl Behrens (1835), il mineralogista e geologo tedesco Otto Wilhelm Hermann von Abich (29 luglio 1845), e il politico britannico Henry Danby Seymour (1848). Più tardi, nel XIX secolo, due politici e studiosi britannici – James Bryce (1876) e H.F. B. Lynch (1893) – anche raggiunsero la cima della montagna. La prima ascensione invernale è stata compiuta da Bozkurt Ergör, l’ex presidente della Federazione turca di alpinismo, che ha scalato la vetta il 21 febbraio 1970.

Papa Francesco inserisce San Gregorio di Narek, l’eroe della cultura armena, nel calendario liturgico (Il Messaggero 03.02.21)

Città del Vaticano – Papa Francesco ha inserito nel calendario liturgico San Gregorio di Narek, dottore della Chiesa, figura centrale per la cultura armena che considera alla stregua di una sorta di Dante Alighieri. La decisione è stata presa con un atto formale della Congregazione del Culto. La festa liturgica è stata fissata per il 27 febbraio.

Alcuni anni fa, una statua bronzea di San Gregorio di Narek Papa Francesco la ha voluta anche nei Giardini Vaticani, collocandola in modo che fosse ben visibile da Santa Marta, durante una cerimonia alla quale hanno partecipato i vertici della Chiesa armena.

L’opera bronzea di David Erevantsi era stata prodotta in due copie, una per i giardini vaticani e l’altra destinata ai giardini del Catolicossato di Etchmiadzin, in Armenia. Gregorio di Narek è stato un poeta, un monaco, un teologo, un filosofo, un mistico e un santo (951- 1010).

E’ considerato una figura centrale, quasi eroica, della storia dell’Armenia per avere modellato il pensiero orientale cristiano. Per certi versi, dal punto di vista intellettuale, può essere paragonato ad un Dante Alighieri e per questo dagli studiosi è considerato un ponte eccezionale tra Oriente e Occidente. Papa Francesco lo ha elevato alla dignità di Dottore della Chiesa Universale il 12 aprile 2015. Il 36esimo Dottore della Chiesa accanto a San Leone Magno, Tommaso d’Aquino, Caterina da Siena, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Ildegarda da Bingen.

La proclamazione era stata data, tramite lettera apostolica, lo stesso giorno in cui il Papa aveva celebrato la grande messa a san Pietro per ricordare il centenario del genocidio del popolo armeno, costato la vita a un milione e mezzo di persone sterminate dai turchi, sotto il governo ottomano (1915-1919), con il preciso piano di eliminare la influente e ricca minoranza cristiana.

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A Palombara Sabina è il giorno di San Biagio (tiburno.tv 03.02.21)

A Palombara Sabina e non solo oggi si festeggia San Biagio. Il santo, nato in Armenia dove imperversa la persecuzione scatenata da Diocleziano e proseguita dal preside Agricola, viene cercato con ossessione per il per il suo zelo religioso. Biagio, però, abilmente si nasconde all’interno di una     caverna del monte Argeo vivendo di preghiere e di quello che trova. L’incessante caccia porta alla cattura del religioso per, poi, condurlo dal preside. Il tragitto dal monte alla città è un trionfo, il popolo lo saluta festante e fra la folla trova spazio una povera donna che tiene il suo bambino moribondo sulle sue braccia e scongiura con molte lacrime il Santo a chiedere a Dio la guarigione. Una spina di pesce è nella gola del piccolo. Biagio, mosso da una forte compassione per quel bimbo, solleva gli occhi al cielo e compie sul sofferente il segno della croce. La persecuzione si concretizza con una serie di torture per il Devoto, fino a raggiungere la decapitazione. Nei secoli successivi trova spazio una leggenda popolare. Una donna, poco prima di Natale, si reca da un Frate di nome Desiderio per fare benedire il panettone che ha preparato per la sua famiglia. Il frate, avendo poco tempo a disposizione, le chiede di lasciare il dolce per tornare dopo qualche giorno. Solo dopo Natale, però, il prelato si accorge di avere ancora il panettone, del quale si era completamente dimenticato e lo mangia. Il 3 febbraio la donna, però, si presenta dal frate per avere indietro il suo panettone benedetto. Frate Desiderio, dispiaciuto per averlo già mangiato, si reca comunque a prendere il recipiente vuoto da restituire alla donna. E qui la meravigliosa scoperta: c’è un panettone grande per due volte quello che gli era stato lasciato a Natale. Un miracolo avvenuto proprio nel giorno di San Biagio, protettore della gola.

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Nagorno Karabak, due libri tra storia e attualità (La Voce del Patriota 03.02.21)

Tradizioni e radici. Questi, in estrema sintesi, i pilastri su cui si fonda la storia di un Paese forse sconosciuto ai più, che però negli ultimi mesi è stato al centro dell’ennesima fase di una guerra che non ha mai smesso purtroppo di tormentarne la popolazione. Parliamo dell’Armenia. E più precisamente della regione contesa dell’Artsak (o Nagorno Karabak). Una regione a maggioranza armena che, tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992 ha indetto e svolto un referendum popolare il cui esito, a stragrande maggioranza, ha sancito il distacco dall’Azerbaigian e la costituzione di una autoproclamata repubblica indipendente. Da allora, nell’area, la situazione è sempre stata tesa, con alti e bassi che hanno visto l’esplosione di diverse e più o meno sanguinose scaramucce di confine.

Nell’autunno 2020, però, la tensione è sfociata in una vera e propria guerra durante la quale l’esercito azero, appoggiato dalla Turchia e dai gruppi di fondamentalisti islamici ad essa legati, ha rotto gli indugi e ha invaso l’Artsak. Con conseguenze drammatiche per la popolazione fiera ma sfiancata di questa lontana regione del Caucaso.

Del conflitto in questione in Occidente si è parlato poco e spesso non esattamente a proposito e con cognizione di causa. C’è però per fortuna stato comunque qualcuno che ha deciso di approfondire e raccontare pagine di storia strappata che meritano decisamente di essere riprese e diffuse.

In questo senso valgono moltissimo i lavori del direttore della rivista Il Guastatore Clemente Ultimo, autore di “Il grande gioco del Caucaso. Nagorno Karabakh, il Paese fantasma nella partita geopolitica tra Russia, Usa e Turchia” (Passaggio al Bosco, 2020) e di Daniele Dell’Orco, giornalista ed editore, che con Idrovolante Edizioni ha pubblicato “Armenia cristiana e fiera” (2020).

Il volume di Ultimo, arricchito dalla prefazione di Marco Valle e dall’appendice di Bledar Hasko, oltre ad una accurata ricostruzione della storia della regione, si concentra giornalisticamente sugli “aspetti che conferiscono tanta importanza geopolitica al Caucaso”, con particolare riferimento allo sfruttamento e alla distribuzione di gas e petrolio (risorse energetiche di cui il Nagorno Karanbak risulta particolarmente ricco). E non trascura di evidenziare il ruolo in tutto questo ricoperto anche da Paesi come Turchia, Russia e Iran, che mantengono sul Nagorno Karabak vecchie e nuove ambizioni, a dimostrazione che “dietro la nascita della Repubblica di Artsakh ed il tentativo azero di riconquistare quei territori, si muovono interessi ben più grandi rispetto a quelli degli attori locali”.  Non manca infine, come spiega l’autore, il riferimento al “dramma impossibile da dimenticare degli armeni dell’Artsakh, esposti alla minaccia di una nuova pulizia etnica da parte degli azeri spalleggiati dalla Turchia neo-ottomana di Erdogan, che utilizza il jihadismo come testa d’ariete. Impegnati nella strenua difesa della loro terra e della propria identità nazionale e religiosa, gli armeni del Karabakh sono stati nuovamente abbandonati da un’Europa che, guardando agli ‘affari’, si finge distratta”.

Quanto al lavoro di Daniele Dell’Orco, si tratta di un diario, completo di un notevole apparato fotografico. Una sorta, in sostanza, di reportage di scatti e parole del viaggio che l’autore ha compiuto personalmente in Nagorno Karabak appena poche settimane prima dello scoppio dell’ultima fase del conflitto. Come spiega Dell’Orco (che, vale la pena ricordarlo, ha destinato i proventi della vendita del suo libro alla popolazione dell’Artsak), il suo è “un percorso lungo la Terra Santa del Caucaso meridionale”, ovvero l’Armenia, che “ha resistito a qualsiasi tipo di dominazione, invasione e conquista grazie alla fierezza del suo popolo scolpita nella roccia, ma anche grazie alla fede, quella stessa fede che l’ha resa il primo Stato cristiano nella storia dell’umanità”. Nelle parole dell’autore e dalle sue pagine emerge una anche emotivamente partecipata narrazione di storie e luoghi misteriosi, simbolici e bellissimi. Storie e luoghi di una terra che “non conosce pace. Come il suo popolo”. O meglio “cerca, tra le rovine, di vivere in pace.  Così si scopre che una culla di civiltà come l’Armenia è in grado di urlare a chi ascolta un sacro messaggio d’amore: sii ciò che sei, accetta la tua croce, portala con orgoglio, non permettere a niente e nessuno di farti rinunciare al tuo spirito. Vivi, lotta, muori se necessario, essendo sempre martire delle tue idee”.

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Turchia: Nuovo assalto all’Unione Europea (Opinione 01.02.21)

Indubbiamente tra l’Impero Ottomano prima, la Turchia poi e le nazioni europee, c’è stato sempre un rapporto difficile, come tra il Cristianesimo e l’Islam. Nel 1923 Mustafà Kemal Atatürk, diventò primo presidente della Repubblica di Turchia e grazie alle sue riforme laiche gettò le basi per dare alla popolazione ex ottomana una omogeneità comportamentale e culturale in generale, che potesse rendere somigliante la “percezione della vita” con i cittadini del “vicino Occidente”. L’avvento di Recep Tayyip Erdogan, che iniziò la sua carriera politica con l’elezione a sindaco di Istanbul nel 1994, cominciò a produrre una lenta ma inesorabile contrazione dei principi laici che da tempo avevano attecchito nella popolazione.

Le idee nazionaliste, già radicali, di Erdogan si avvilupparono intorno all’Adalet ve Kalkınma Partisi, ovvero Partito per la giustizia e lo sviluppoAkp, da lui fondato nel 2001; i consensi lo condussero ad ottenere la maggioranza nella Grande assemblea nazionale nel 2002, lanciandolo verso un potere con tendenze assolutiste dal 2014 data della sua elezione a presidente. Erdogan ha sempre manifestato il desiderio di entrare nell’Unione europea, ovviamente non per assonanza con le ideologie dei Padri fondatori. E fino a che i residui della laicità erano presenti e le leggi illiberali non proclamate, le nazioni europee davano una certa considerazione all’ingresso della Turchia musulmana nell’Unione. Il tutto si è congelato con le scelte dell’aspirante sultano riguardo alla politica verso i territori dell’ex Impero ottomano; atteggiamenti manifestati con l’oppressione esercitata verso i curdi, con la scarsa considerazione dei diritti umani, con l’oppressione della stampa non allineata, con la persecuzione di ogni posizione politica dissidente, ma soprattutto con l’ambiguo rapporto con il jihadismo.

Da diverse settimane la diplomazia turca sta aumentando le richieste di dialogo, interrotto dal 2016, con gli europei, al fine di trovare una mediazione sulle questioni di massima tensione, che, oltre alla disputa marittima greco-turca, riguardano in particolare il ruolo della Turchia nei conflitti in Siria, in Libia e recentemente la pesante presenza a fianco dell’Azerbaigian nella guerra contro gli armeni per il controllo del Nagorno Karabakh. Lunedì 25 gennaio i ministri degli Esteri dell’Unione europea si sono incontrati per discutere la questione dei difficili rapporti con Ankara; precedentemente il 21 e 22 gennaio il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavusoglu e il suo vice Faruk Kaymakci, hanno avuto una serie di colloqui con i principali leader dell’Ue e della Nato, la Turchia ha aderito ambiguamente alla Nato nel 1952. Al momento, a Bruxelles si moltiplicano i vertici con delegati turchi; tali incontri hanno dato l’impressione di una “offensiva di fascino” turca verso gli osservatori di Bruxelles, i quali dovrebbero giudicare gli sforzi turchi finalizzati ad equilibrare il potere del Governo di Ankara con le libertà dei cittadini. O, quantomeno, rimettere in carreggiata il rapporto danneggiato tra i Ventisette e la Turchia che è ancora, sulla carta, candidata all’adesione.

Il pellegrinaggio turco a Bruxelles è finalizzato al più decisivo vertice europeo di metà marzo, durante il quale i capi di Stato e di governo dovrebbero tracciare l’ennesima “road map” per le future relazioni con la Turchia. È previsto che l’Alto rappresentante Josep Borrell presenterà alla delegazione turca una relazione, nella quale saranno proposte diverse opzioni per un percorso di avvicinamento ed anche sanzioni conseguenti alle contestate attività di perforazione turche nelle acque cipriote e greche, alle violazioni da parte di Ankara dell’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite in Libia e all’attivismo militare in Nagorno Karabakh. I dubbi che sorgono sulla “offensiva di fascino” della Turchia verso l’Unione Europea si basano sulle perplessità che la svolta non sia dettata da onestà politica, ma sia l’ennesimo tentativo di fare un gioco di prestigio, tipo Cavallo di Troia.

Solo per restare al 2020, la Turchia ha segnato questo anno con numerose provocazioni, e quindi gli interlocutori europei hanno un approccio cauto con le avance di Erdogan. Come pronunciato dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, occorrono “risultati tangibili”, ad oggi inesistenti. L’anno 2021 si preannuncia rischioso per il presidente turco Erdogan; nonostante il suo nuovo look da stratega e audace leader militare che lo ha visto ottenere notevoli successi con i suoi droni in SiriaLibia e Nagorno-Karabakh, oggi si trova in un vicolo cieco; deve affrontare internamente il suo consolidato declino politico ed il suo isolamento sull’arena internazionale. Cosa farà per trovare la formula magica per affascinare nuovamente un elettorato ormai disincantato? Potrà riconquistare la fiducia perduta dei suoi alleati tradizionali? A Washington come a Bruxelles, l’indulgenza non è più d’obbligo. Infatti, a dicembre anche il Congresso Usa ha imposto sanzioni alla Turchia, come rappresaglia per l’acquisto del sistema missilistico antiaereo S-400 dalla Russia, notoriamente maldisposta verso la Nato. Inoltre, l’Unione europea si è detta pronta ad agire nel caso in cui le provocazioni turche continuassero nel Mediterraneo orientale.

Tuttavia, sembra che Erdogan voglia migliorare le relazioni più che con l’Unione europea, con la Francia. Infatti, una regolarizzazione dei rapporti con Bruxelles sarebbe solo lo strumento per salvare il legame con Parigi, danneggiato anche dalla frase di Erdogan che aveva consigliato al presidente francese Emmanuel Macron di “farsi curare la salute mentaleA conferma, ma non c’era bisogno, che gli interessi turchi per l’Ue sono agli antipodi dei principi di Unità europea dei Padri fondatori, ma purtroppo questi si sono persi anche all’interno dei Ventisette membri.

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Autorità sanitarie dell’Armenia autorizzano il vaccino russo anti-Covid “Sputnik V” (Sputniknews 01.02.21)

Il ministero della Salute armeno ha autorizzato l’uso del vaccino russo “Sputnik V” contro il coronavirus, ha affermato in una nota il Fondo Russo per gli Investimenti Diretti (RDIF).

“Il Fondo Russo per gli Investimenti Diretti (RDIF, fondo sovrano della Russia – ndr) annuncia che il vaccino Sputnik V è stato approvato dal ministero della Salute della Repubblica di Armenia”, si legge nel comunicato.

La decisione è stata presa sulla base dei dati degli studi clinici di fase III in Russia senza ulteriori studi in Armenia, ha osservato l’RDIF.

Il vaccino Sputnik V è attualmente registrato in Russia, BielorussiaArgentinaBoliviaSerbiaAlgeriaAutorità PalestineseVenezuelaParaguay, Turkmenistan, UngheriaEmirati ArabiIranRepubblica di Guinea e Tunisia.

Vaccino russo anti-Covid “Sputnik V”

L’11 agosto scorso la Russia ha registrato il suo primo vaccino contro il Covid-19, chiamato Sputnik V e sviluppato dagli scienziati del Centro di Epidemiologia e Microbiologia “Gamaleya”. Il farmaco è commercializzato dal Fondo Russo per gli Investimenti Diretti, responsabile della conduzione delle trattative sull’esportazione e produzione all’estero di questo farmaco.

Il vaccino è costituito da due componenti e il vettore utilizzato per indurre la risposta immunitaria dell’organismo si basa su un adenovirus umano. Il vaccino viene somministrato due volte, in un intervallo di 21 giorni. Negli studi clinici ha mostrato un’efficacia del 100% contro i casi gravi di Covid-19, ovvero nessuno dei soggetti vaccinati nei test ha contratto sintomi gravi della malattia se infettato dal coronavirus.

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Nagorno Karabakh. Avviato ad Aghdam il Centro Russo Turco. (Notiziegeopolitiche 31.01.21)

Russia e Turchia hanno avviato oggi nella regione azera di Aghdam il centro congiunto per il controllo del cessate-il-fuoco, parte dell’accordo di tregua stipulato tra l’Azerbaijan e l’Armenia a seguito della sconfitta di quest’ultima nella guerra per il controllo del Nagorno Karabakh.
I sanguinosi scontri tra miliziani dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno Karabakh, sostenuti dagli armeni, e gli azeri hanno preso il via il 27 settembre 2020 e si sono conclusi in novembre, dopo che ile forze di Baku hanno preso il controllo di Shusha, un altipiano fortificato che controlla la capitale della regione Stepanakert.
L’Armenia si è vista costretta alla fine degli scontri anche perché non ha avuto dalla sua quell’aiuto militare e politico che si aspettava da Mosca, dove il capo del Cremlino ha preferito vincere nella qualità di pacere che immischiarsi nel conflitto di una regione remota rompendo i già delicati equilibri geopolitici ad esempio con la Turchia. Paese questo che invece ha sostenuto con decisione l’Azerbaijan: già nel 2014 l’allora ministro turco per gli Affari Europei Mevlut Cavusoglu (oggi agli Esteri) aveva affermato che “Favoriremo sempre una soluzione pacifica ma l’Azerbaigian ha il diritto a riprendersi ciò che gli appartiene”.
I termini dell’accordo prevedono l’invio di una forza di pace russa composta da 2mila uomini, 90 mezzi corazzati e 360 veicoli, di cui una prima parte già giunta sul posto, mentre per il centro congiunto di Aghdam sono previsti 120 uomini, metà turchi e metà russi.

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NAGORNO KARABAKH. L’Artsakh si appella a Mosca per proteggere le opere d’arte (Agcnews.eu 31.01.21)

La Repubblica di Artsakh, cioè la Repubblica del Nagorno-Karabakh, ha fatto appello alla Russia per salvaguardare circa 1.500 oggetti d’arte nella città di Shusha, Shushi per gli armeni. Dopo che l’esercito dell’Azerbaigian ha preso il controllo della città nel novembre 2020, i ministri dell’Artsakh hanno chiesto al governo azero di consegnare i dipinti, le sculture e le pietre preziose, ma Baku ha rifiutato, riporta The Art Newspaper.

Il museo Statale di Geologia di Shushi intitolato al professor G. A. Gabrielyants è uno dei quattro musei statali della città, gli altri tre sono il Museo delle Belle Arti, il Museo della Storia di Shushi e la Galleria di Shushi. Le opere grafiche degli artisti franco-armeni Jean Carzou, Jean Jansem e Edgar Chahine, così come l’artista ucraino David Burliuk, fanno parte della collezione e per i secessionisti armeni «c’è una “alta probabilità” che una parte delle collezioni d’arte sia stata danneggiata da quando Baku ha preso il controllo della città.

«Durante la recente aggressione, Shushi è stata deliberatamente presa di mira e poi occupata dalle forze armate azere, che hanno devastato siti culturali e religiosi», ha detto un portavoce del ministero degli Esteri armeno. «Per di più, durante una recente visita a Shushi, il presidente dell’Azerbaigian ha fatto alcune dichiarazioni anti-armene… tutti questi fatti sono deplorevoli. In 100 anni, gli armeni sono stati espulsi tre volte da Shushi… la violazione dei diritti del popolo armeno non contribuisce alla pace regionale».

Tuttavia, l’Azerbaigian risponde, prosegue il giornale, affermando che «la conservazione e la protezione del patrimonio culturale è una delle principali politiche del nostro stato. Shusha è un simbolo della storia dell’Azerbaigian ed è la capitale culturale del paese (…) durante l’occupazione illegale di 30 anni da parte delle forze armene, un totale di 927 biblioteche, 44 templi, nove moschee, 473 monumenti storici, 22 musei, e più di 100.000 reperti museali dell’Azerbaigian sono stati distrutti».

Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha recentemente detto che lo status di Artsakh non era in cima alle priorità di Mosca sulla scia della guerra di Artsakh del 2020, mentre il presidente azero Ilham Aliyev ha dichiarato la città “capitale culturale dell’Azerbaigian”.

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