La voce degli armeni nel Karabakh: “Le forze russe garanzia di pace” (Sputniknews 10.01.21)

Grigory Martirosyan, ministro della autoproclamata Repubblica del Nagorno Karabakh (RNK), ha spiegato a Sputnik quanto tempo servirà per la ricostruzione dopo il recente conflitto, da chi le autorità intendono ottenere i finanziamenti necessari e in che modo possono essere d’aiuto i peacekeeper russi.

Martirosyan si è altresì espresso in merito alla possibilità di considerare il conflitto in Karabakh come un evento concluso e ha spiegato qual è stato l’oggetto dell’istanza che il suo governo ha presentato alla Federazione russa.

— Dopo il recente scontro armato tra Azerbaigian e Armenia la RNK ha dovuto affrontare una gravissima crisi le cui conseguenze si ritroverà a sopportare probabilmente per molti anni. In cosa consiste la vostra strategia di uscita dalla crisi? Quali sono le vostre priorità?

— In primo luogo, si noti che la Repubblica Artsakh (denominazione armena della RNK) e la sua popolazione si sono effettivamente trovati sull’orlo di una crisi umanitaria. I danni causati in esito alle operazioni militari hanno colpito anzitutto la popolazione civile e gli edifici civili: infrastrutture, immobili dei civili e altri immobili che garantivano la normale quotidianità della popolazione.

I danni causati dal nemico sono enormi. Al momento stiamo lavorando per valutare i danni in termini monetari ma possiamo già dire che tali danni sono paragonabili a diversi anni del PIL della Repubblica. I danni riguardano anzitutto settori come l’agricoltura e l’energia.Poiché buona parte dei territori in esito al conflitto sono passati al nemico o sono stati conquistati, la nostra economia è stata privata di buona parte delle terre agricole e dei siti di produzione dell’energia. Per non parlare poi degli immobili dei civili che sono stati distrutti o che non sono più in nostro controllo.

Dunque, la ripresa economica nella Repubblica richiederà ancora molto tempo. Negli ultimi anni siamo riusciti a conseguire buoni parametri economici. Ad esempio, nel 2019 il nuovo PIL pro capite era pari a 4.800$, il che è più della media dei Paesi vicini della regione. Ora chiaramente siamo costretti a ripartire dal basso. A mio avviso, ci servirà molto tempo, per non dire anni, per ripristinare i parametri che avevamo raggiunto. Ma sono sicuro che ce la faremo.

— Da quali fondi intendete attirare finanziamenti da impiegare per la ripresa economica?

— Fondi statali, fondi di beneficienza, aiuti dai membri della diaspora, ecc.

— La Russia potrebbe forse fornire un aiuto significativo in questo senso?

— Assolutamente sì. La Russia già oggi ci sta aiutando. Vorrei menzionare a tal proposito alcuni ambiti. Come dicevo, dopo la guerra tutte le principali infrastrutture della Repubblica sono state danneggiate. Siamo anche rimasti per un certo periodo senza collegamenti, gas o altra fonte di energia. Per il ripristino delle principali direttrici di approvvigionamento energetico ci sta dando un prezioso aiuto la missione russa di peacekeeping basata nell’Artsakh.

Poiché parte di queste direttrici passava nel territorio prossimo alla frontiera o in quello che al momento si trova fuori dal nostro controllo, i peacekeeper ci hanno dato un aiuto davvero prezioso nel garantire la stabilità dell’approvvigionamento e nel ripristinare operativamente i collegamenti. Ad oggi i collegamenti sono stati ripristinati in maniera totale e siamo già riusciti a garantire approvvigionamento di acqua e collegamenti esterni stabile ai cittadini.In verità, le reti interne non sono ancora completamente ripristinate, ma ci stiamo lavorando. E per farlo avremo bisogno dell’aiuto dei nostri colleghi russi.

— Quanto tempo, a Suo avviso, servirà per riportare la RNK al suo stato prebellico?

— Come dicevo i danni sono ingenti e fatico a definire delle tempistiche concrete. Il nostro potenziale è stato spazzato via per il momento. Dovremo profondere sforzi estremo per riuscire a ripristinare il nostro tessuto economico.

Dall’altro lato, alla luce delle perdite che abbiamo subito di fronte a noi si stende un foglio bianco da cui partire per sviluppare quei settori che ci consentiranno di conseguire i migliori risultati nel più breve tempo possibile. In primo luogo, lo sviluppo dell’agricoltura intensiva, di nuove fonti di energia e di alcuni settori delle tecnologie dell’informazione.

Abbiamo la possibilità di sviluppare settori altamente tecnologici che non richiedono grandi risorse naturali di partenza. Siamo costretti in un certo senso a seguire questa strada perché oggi buona parte delle risorse della Repubblica è andata perduta.

— Considerati tutti questi ambiziosi piani, potremmo affermare in maniera univoca che il conflitto del Nagorno Karabakh è un ricordo del passato?

— È una questione complesso. Vorrei che fosse così. Possiamo affermare senza ombra di dubbio che senza garanzie di stabilità la popolazione del Nagorno Karabakh non potrà costruirsi un futuro qui. In  44 giorni di guerra abbiamo perso tutto. Sono morte migliaia di persone. Ci sono stati feriti. E queste ferite le sentiremo nell’anima per molto tempo.

Pertanto, dobbiamo anzitutto capire che soltanto se saremo sicuri che non vi saranno ulteriori aggressioni i nostri cittadini potranno condurre una vita pacifica nella loro patria. In tal senso, chiaramente, ruolo primario lo svolgono le missioni di peacekeeping presenti in Artsakh.A Suo avviso, il numero di peacekeeper russi attualmente presenti nella RNK è sufficiente per garantire la sicurezza nella regione?

Ahimè, fatico a rispondere a questa domanda. Penso che dipenda dalla misura in cui il contingente stesso di peacekeeping stimi le proprie capacità.

— Mi permetta di riformulare la domanda. A Suo avviso, un’estensione del contingente russo di peacekeeping potrebbe essere in linea con gli interessi della ricostruzione postbellica?

— Io mi occupo di economia e, se dovessi rispondere alla Sua domanda in termini economici, potrei affermare che, a mio avviso, noi e i nostri colleghi peacekeeper stiamo facendo già tutto quello che possiamo per garantire la sicurezza e la ricostruzione postbellica.

La nostra collaborazione con i peacekeeper è a un ottimo livello e, come si può vedere, stiamo già facendo tutto il possibile.

— Dopo il recente inasprimento del conflitto in Nagorno Karabakh molte persone hanno perso la loro casa e persino ora, un mese dopo la fine della guerra, non sanno che le autorità le aiuteranno a tornare alla vita di prima. Oggi in Artsakh ci sono abbastanza alloggi per gli sfollati?

— In esito alle operazioni militari circa 35-45.000 nostri cittadini non hanno una casa. Da noi viene chi ha perso la propria casa per gli attacchi armati o perché è passata sotto il controllo azero. Buona parte di queste persone oggi si trova in Armenia.

Chiaramente, per rimpatriarli, dobbiamo essere in grado di garantire loro le minime condizioni di vita, questo è l’obiettivo prioritario del governo. A coloro che stanno tornando forniremo nel più breve tempo possibile un alloggio temporaneo. Utilizzeremo anche un fondo secondario per sovvenzionare le operazioni, useremo hotel e edifici pubblici. A tendere per risolvere la criticità dovremo costruire nuove case e appartamenti. Il nostro obiettivo è garantire un alloggio a tutte le persone che hanno manifestato il desiderio di tornare.Capiamo che per fare questo serve tempo. Probabilmente la risoluzione di questa criticità si articolerà in due fasi: la prima è la ricollocazione in alloggi di rapida edificazione, la seconda la costruzione di alloggi permanenti. Cercheremo di sfruttare tutte le possibilità a nostra disposizione.

Abbiamo chiesto aiuto anche al governo russo. Al momento stiamo discutendo la questione. Parte degli aiuti è già stata fornita: materiali edili, beni di prima necessità, coperte, ecc.

— Un’altra domanda che riguarda direttamente la ricostruzione postbellica della RNK. Nelle ultime settimane si è discusso della possibilità di aprire le comunicazioni aeree. A che punto è la situazione in questo senso?

— Questo sarebbe di grande aiuto per ripristinare la vita civile in quanto oggi c’è solamente una strada che collega l’Artsakh con il mondo esterno e si trova su un percorso piuttosto complesso. Pertanto, la comunicazione aerea svolgerebbe un ruolo significativo nel garantire la stabilità in futuro per gli abitanti della Repubblica.

Al momento non è ancora chiaro se siano disponibili finanziamenti per questo progetto. Speriamo di sì. Le speranze dei cittadini sono legate anzitutto al fatto che i peacekeeper russi riescano a instaurare una connessione aerea stabile con il mondo esterno. Tuttavia, non sono in grado di definire delle tempistiche concrete in questo senso.

— Quanto è seria ad oggi nella RNK la situazione legata alla diffusione del coronavirus? Non disponete di piani per la vaccinazione della popolazione? Il vaccino russo Sputnik V costituisce un interesse per voi?

— Oggi si ammalano di coronavirus alcune decine di persone che vengono curate in ospedale. Prima della guerra la situazione epidemiologica era sotto controllo: nessun caso letale registrato. Durante la guerra la lotta al coronavirus è passata in secondo piano.

Dopo che buona parte della popolazione ha abbandonato la Repubblica e vi è poi ritornata, qui non sono state osservate misure di contenimento. Naturalmente questo ha portato a un aumento dell’incidenza e dei casi letali.

Le risorse del nostro sistema sanitario sono limitate per garantire trattamenti all’attuale numero di malati. La questione delle vaccinazioni ancora non è stata affrontata. A mio avviso, la dovremo affrontare dopo aver constatato dall’esempio di altri Paesi che il vaccino russo è efficace. Infatti, da quello che so, in Russia la vaccinazione è cominciata da poco. Se i risultati saranno positivi, non vedo perché non potremmo valutare anche noi questa soluzione.

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Nagorno-Karabakh: domani a Mosca vertice trilaterale fra leader di Russia, Azerbaigian e Armenia (Agenzianova 10.01.21)

Mosca, 10 gen 12:02 – (Agenzia Nova) – Il presidente russo Vladimir Putin ospiterà domani a Mosca dei negoziati trilaterali con l’omologo azerbaigiano Ilham Aliyev e il premier armeno Nikol Pashinyan. Lo ha reso noto oggi il Cremlino. Gli incontri si terranno su iniziativa della presidenza russa e saranno centrati sulla questione del Nagorno-Karabakh e la pacificazione dell’area. “In programma vi è una discussione sui progressi nell’attuazione della dichiarazione dei leader di Azerbaigian, Armenia e Russia sul Nagorno-Karabakh del 9 novembre e i prossimi passi per risolvere le dispute nella regione”, ha reso noto il Cremlino. (Rum)

Fermo Forte: presentata in Consiglio Comunale una mozione per il riconoscimento della Repubblica dell’Artsakh (Viverefermo.it 09.01.21)

La repubblica dell’Artsakh, nome armeno dell’enclave del Nagorno Karabakh, si trova nel sud-est della regione del Caucaso, ove si è concluso nel 20 novembre 2020 un conflitto tra la stragrande maggioranza etnica armena sostenuta dalla Repubblica Armena, e la Repubblica dell’Azerbaigian.

Il conflitto si è risolto a favore di quest’ultimi, sostenuti dalla Turchia con annesso invio di foreign fighters islamici “siriani”. In questa guerra durata 45 giorni, le forze azere hanno bombardato con strumenti di alta precisione (droni) le postazioni di confine degli armeni, che hanno contato migliaia di vittime, con alta percentuale di giovani militari classe 2000 e oltre.
Questo conflitto che, a prima vista, potrebbe non interessare le vicende italiane e ancor più fermane, invece ci tocca molto da vicino, perché ciò che è avvenuto in quei territori rappresenta l’attacco ad una popolazione, legittimamente stanziata in quell’area da millenni, e ad alla cristianità residua del Caucaso.
Nell’ultimo consiglio comunale del 22 dicembre 2020, il gruppo Fermo Forte ha presentato una mozione a firma dei consiglieri Lucci Nicola e Alessandro Bargoni, nella quale si è richiesto alla Giunta comunale di Fermo di chiedere alle nostre autorità nazionali il riconoscimento della Repubblica dell’Artsakh. “Ringrazio il sindaco Calcinaro e i consiglieri che hanno votato favorevolmente – dichiara Nicola Lucci – il riconoscimento di codesta repubblica è l’unica via d’uscita democratica per poter affermare il diritto del popolo del Nagorno Karabakh alla sua autodeterminazione e tentare di portare la pace in quei territori, visto che esiste già un governo democraticamente eletto con una propria struttura statale e governativa. In questo modo potremo ostacolare la possibilità di ulteriori conflitti e bloccare sul nascere qualsiasi velleità espansionista dei paesi confinanti sulla Repubblica dell’Artsakh.” Questo ultimo conflitto ha riportato alla memoria il genocidio degli Armeni (1915-1918), sul quale la Turchia non ha mai chiarito la sua posizione, ma certamente la guerra appena conclusasi getta dubbi e incertezze sul futuro del popolo armeno. Anche il presidente dell’Unione degli Armeni d’Italia, il prof. Baykar Sivazliyan, ringrazia il Comune di Fermo per questa presa di posizione “che risulta essere l’unica ed urgente soluzione che permetterebbe la sopravvivenza ad una popolazione, che seppur piccola numericamente, potrà continuare a vivere nei territori in cui ha sempre vissuto e proseguire a dare la propria testimonianza Cristiana nell’area del Medio Oriente.”

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Lezioni dal Nagorno Karabakh: Londra guarda ai droni “spendibili” turchi (09.01.21)

Londra guarda alle lezioni apprese dal conflitto combattuto tra settembre e novembre 2020 nel Nagorno-Karabakh (vedi in proposito il rapporto del Center for Strategic and International Studies – CSIS) e valuta di dotare le sue forze armate di droni a basso costo, “spendibili” in operazioni d’attacco come quelle che hanno consentito agli azeri di imporsi sulle forze armene.

I funzionari della Difesa britannica, secondo quanto riferito dal quotidiano londinese The Guardian, valutano che l’uso da parte dell’Azerbaigian di droni turchi a costo contenuto sia stato cruciale per sconfiggere gli armeni e costringerli a cedere il controllo di parte del territorio nella regione del Caucaso contesa.

Una valutazione peraltro condivisa da molti analisti internazionali che oltre all’impatto dei droni turchi sul conflitto valutano anche quelle delle cosiddette “loitering munition” (noti anche come “droni kamikaze) che si schiantano sull’obiettivo esplodendo dopo aver sorvolato il campo di battaglia grazie ad una buona autonomia. E’ il caso, nel conflitto del Nagorno-Karabakh, degli IAI Harop (nella foto sopra), Orbiter e SkyStriker di costruzione israeliana in dotazione alle forze dell’Azerbaigian e lanciabili da autocarri(nella foto sotto un Harop in fase di lancio)

Fonti del ministero della Difesa hanno aggiunto che il Regno Unito valutava già di dotarsi di droni “economici” nell’ambito della revisione quinquennale della difesa che dovrebbe attesa nelle prossime settimane

All’inizio di questo mese Ben Wallace, il segretario alla difesa del Regno Unito, ha affermato che i droni Bayraktar TB2 turchi sono un esempio di come altri paesi stiano “aprendo la strada”.

I droni, ha aggiunto, “sono stati responsabili della distruzione di centinaia di veicoli corazzati e persino di sistemi di difesa aerea”, sebbene ci siano prove video che suggeriscono che abbiano ucciso anche molte persone nella guerra del Nagorno-Karabakh.

Prodotti da Baykar Makina, i droni TB2 costano circa due milioni di dollari a esemplare considerando anche le armi, il supporto logistico e la stazione di controllo contro i 20 milioni di dollari circa di uno dei 16 General Atomics Protector ordinati dalla RAF per rimpiazzare gli MQ9 Reaper in servizio.

Le due macchine non sono paragonabili e l’interesse di Londra nei confronti di velivoli senza pilota (UAV) spendibili e di costo contenuto apre all’acquisizione di ulteriori UAV e non è certo alternativa ai Protector.

I TB2 turchi si erano già del resto distinti nelle operazioni contro le milizie curde in Siria e, l’estate scorsa, nelle operazioni condotte dai turchi in Tripolitania contro l’esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar.

Anche in quella campagna che ha portato a liberare Tripoli dall’assedio di Haftar, i droni turchi hanno subito severe perdite, come del resto è accaduto anche in Nagorno-Karabakh ad opera della difesa aerea armena, ma gli obiettivi che hanno distrutto erano certamente paganti rispetto al costo degli UAV perduti.

L’Azerbaigian ha acquisito prima del conflitto almeno 24 TB2, gestiti durante le operazioni belliche da consiglieri militari e tecnici turchi. “L’uso azero dei droni è stato decisivo”, ha commentato il professor Michael Clarke, del think-tank britannico Royal United Services Institute (RUSI)

A margine delle valutazioni in atto in Gran Bretagna sarebbe interessante sapere se analisi e lezioni apprese dal recente conflitto caucasico vengano prese in esame anche in Italia dopo che il capo di stato maggiore Difesa, generale Enzo Vecciarelli, aveva evidenziato in un’audizione alle Commissioni Difesa l’inadeguatezza dello strumento militare italiano a far fronte, sotto molto aspetti, a un conflitto come quello combattuto da armeni e azeri.

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Guerra Nagorno Karabakh: popolo distrutto da scontro Armenia-Azerbaijan (08.01.21)

Tra il 27 settembre e il 10 novembre 2020 si è combattuta alle porte dell’Europa la guerra dell’Artsakh (o seconda guerra del Nagorno Karabakh), che ha visto contrapporsi la Repubblica d’Armenia e l’auto-proclamata Repubblica di Artsakh, da una parte, e la Repubblica dell’Azerbaijan, dall’altra.

Questo conflitto caucasico è quasi inesistente per le classi politiche e l’opinione pubblica europee, nonostante che i due paesi siano membri del Consiglio d’Europa, ma ha portato ad alcune migliaia di morti e feriti e decine di migliaia di sfollati o vittime di violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario.

Guerra del Nagorno Karabakh: gas naturale tra i motivi del silenzio europeo
I combustibili fossili non figurano tra le ragioni dirette di questo conflitto, ma potrebbero comparire tra quelle del silenzio che lo ha circondato in Europa. Il Nagorno Karabakh, così come l’Ossezia del Sud o il Kurdistan turco, è infatti una delle aree instabili che dovrebbero essere attraversate dal “corridoio meridionale” per il trasporto del gas naturale da Azerbaigian, Iran, Turkmenistan e Iraq verso gli stati europei.

Il corridoio, rallentato dal protrarsi di queste situazioni critiche, mira a creare un asset geopolitico tra i paesi europei, gli Stati Uniti e i paesi orientali, riducendo così la dipendenza energetica dalla Russia.

Molti paesi europei hanno quindi sorvolato sull’eliminazione rapida, per quanto sanguinosa e costellata di violazioni del diritto internazionale, di questo punto di “rallentamento” dei lavori, così come la Turchia, tra i vincitori di questa guerra, non ha esitato ad appoggiare l’Azerbaigian per assicurarsene il sostegno energetico.

L’accordo Armenia-Azerbaijan-Russia sul Nagorno Karabakh
Il 10 novembre è stato siglato un accordo tra Armenia, Azerbaijgian e Russia, che ha visto come grandi sconfitti gli armeni. La mattina della firma, infatti, non sono mancate grandi proteste nel paese e addirittura incursioni negli uffici del primo ministro armeno, colpevole di averlo sottoscritto.

A poco sono servite le rassicurazioni offerte dal presidente russo, Vladimir Putin, sul ruolo di protezione dei 2000 peace-keepers russi dispiegati: la perdita dei territori a maggioranza armena si è immediatamente trasformata in una crisi umanitaria per gli oltre 100mila profughi dalle zone del Nagorno Karabakh fuggiti in Armenia.

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Proteste a Yerevan contro l’accordo di cessate il fuoco in Nagorno Karabakh (18 novembre 2020) – Foto: Garik Avakian (via Wikimedia Commons)
Violazioni dei diritti nella guerra in Nagorno Karabakh
In questo conflitto i principali diritti umani violati sono stati il diritto alla vita, all’autodeterminazione, alla salute, alla casa, all’educazione, all’ambiente, i divieti di tortura e discriminazione.

Tra le violazioni del diritto umanitario internazionale figurano invece gli attacchi indiscriminati e ingiustificati contro la popolazione civile, l’attacco di obiettivi civili, l’attacco di edifici religiosi e del patrimonio culturale, l’attacco di strutture sanitarie, il maltrattamento, la tortura e l’uccisione di prigionieri, l’utilizzo di armi proibite.

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Inidizi di “genocidio” nella guerra del 2020
Numerosi sono gli indizi che conducono a presumere la presenza di operazioni di pulizia etnica o genocidio. È ben nota la storia delle persecuzioni subite dal popolo armeno nel secolo scorso ad opera della Turchia, spalleggiata in questa sua azione anche dagli azeri, ostili agli armeni non solo per etnia e religione, ma anche per posizionamento geografico: le terre abitate dagli armeni si frappongono al ricongiungimento dell’Azerbaijan con la patria culturale turca.

Negli ultimi mesi i discorsi pubblici di rappresentanti politici azeri e dello stesso presidente turco Recep Tayyip Erdogan hanno evocato i cosiddetti “avanzi della spada”, termine con il quale si fa riferimento alle popolazioni cristiane, come greci, assiri e soprattutto armeni, presenti all’interno degli stati a maggioranza turca.

Durante il conflitto appena concluso, la distruzione di simboli e luoghi culturali e religiosi cari al popolo armeno è stata motivata in modo tutto ingiustificato da ragioni di opportunità o tattica militari. Il bombardamento di aree residenziali e le incursioni di milizie irregolari provenienti dalla Siria, dove si erano già distinte per operazioni di pulizia etnica a danno dei curdi, mostra il desiderio di colpire la popolazione civile in larga maggioranza armena. Quest’ultima ha abbandonato le abitazioni, per il timore di rappresaglie e violente discriminazioni.

L’organizzazione Genocide Watch ha condotto un’analisi della situazione e ha concluso che, allo stato attuale, da parte dell’Armenia c’è stata una persecuzione della popolazione azera, ma non ci sono segni dell’intenzione di commettere un genocidio.

Più preoccupante è invece l’atteggiamento dell’Azerbaijan che, allo scopo di indurre alla migrazione forzata la popolazione armena del Nagorno Karabakh, sembra essere animato dall’intenzione di commettere azioni che rientrano nella definizione di genocidio.

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Ilham Aliyev, presidente Azerbaijan – Foto: President of Azerbaijan (via Wikimedia)
Attacchi indiscriminati contro i civili in Nagorno Karabakh
In base ai rapporti e alle documentazioni di numerosi giornalisti, nonostante la precisione delle armi utilizzate e dei droni a guida laser forniti da Turchia e Israele, i bombardamenti indiscriminati contro aree residenziali di Stepanakert e villaggi minori del Nagorno Karabakh, nonché contro le città azere di Tartar e Barda, hanno causato la morte e il ferimento di centinaia di civili.

Sistematica è stata anche la distruzione di edifici civili di uso non strategico militare, scuole, asili, chiese e ospedali con conseguente impossibilità di garantire il diritto alla salute, alla libertà di culto e all’educazione.

L’Alto commissario delle Nazioni per i diritti umani, Michelle Bachelet, in un comunicato ufficiale del 2 novembre 2020 ha espresso la sua preoccupazione per tali operazioni che violano i principi di distinzione e proporzionalità stabiliti dal diritto internazionale umanitario e si configurano quindi come crimini di guerra: sia l’Azerbaijan sia l’Armenia hanno ratificato le quattro Convenzioni di Ginevra.

Secondo fonti dell’autoproclamato governo dell’Artsakh, il 50% di Stepanakert sarebbe stato colpito (compresi i due ospedali principali), così come numerosi villaggi e circa 60 tra scuole e asili.

Esecuzione sommaria dei prigionieri di guerra
Vari video e documenti audio testimonierebbero la tortura e l’esecuzione sommaria di prigionieri armeni da parte di combattenti filo-azeri. Nel comunicato del 2 novembre Michelle Bachelet ha denunciato in particolare il caso, ben documentato, di due soldati armeni, Benik Hakobyan (73 anni) e Yuri Adamyan (25), catturati e successivamente giustiziati sommariamente a Stepanakert. Anche il Consiglio d’Europa ha dichiarato che indagherà sull’episodio.

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Tombe di soldati azeri della guerra del Karabakh (2006) – Foto: Neftchi (via Wikimedia Commons)
Bombe a grappolo: la denuncia di Amnesty e Human Rights Watch
Amnesty International e l’ong Human Rights Watch hanno confermato l’uso di numerose bombe a grappolo di fabbricazione israeliana in aree residenziali, sia da parte dell’Azerbaijan sia dell’Armenia, che hanno causato vittime prevalentemente civili. Si tratta di ordigni proibiti dalle convenzioni internazionali in quanto, oltre ai devastanti effetti immediati creano un pericolo a lungo termine per la popolazione civile, in quanto spesso le “submunizioni” non esplodono al momento dell’impatto, ma si depositano al suolo per poi agire come mine antiuomo.

Sebbene nessuno dei due paesi abbia sottoscritto la Convenzione internazionale sulle bombe a grappolo del 2009, essi sono comunque vincolati dal principio di distinzione tra combattenti e non combattenti presente nelle Convenzioni di Ginevra e nel diritto internazionale consuetudinario.

Armi proibite: le munizioni al fosforo nella guerra in Nagorno Karabakh
Da più fonti è emerso che l’esercito dell’Azerbaijan avrebbe utilizzato armi chimiche, per la precisione munizioni al fosforo, proibite dal diritto internazionale, per bersagliare le foreste del Nagorno Karabakh. Le particelle incandescenti di fosforo bianco, oltre a incendiare la vegetazione, provocano gravi ustioni chimiche che penetrano nelle vittime consumandone i tessuti; inoltre, fissandosi sugli abiti, ustionano successivamente anche i soccorritori.

Durante il conflitto molti civili avevano abbandonato le loro case per rifugiarsi nelle foreste, in prossimità di insediamenti civili: questi ulteriori bombardamenti, non solo costituiscono un attacco illegittimo verso i combattenti, ma mostrano la volontà di colpire la popolazione civile e provocare disastri ambientali nelle aree del conflitto, incendiando boschi e inquinando i corsi d’acqua per anni.

Circa 2.000 ettari di foresta sarebbero stati interessati, in questa regione la cui economia è in parte legata alle foreste e che presenta un tasso di flora e fauna endemica tra i più elevati del pianeta.

Nagorno Karabakh oggi: il dopoguerra
Secondo i report del Comitato internazionale della Croce Rossa (Icrc), migliaia di persone sono tuttora colpite dalle conseguenze immediate del conflitto e la situazione è peggiorata con l’arrivo dell’inverno. Le bombe e le mine inesplose minacciano gli abitanti, mentre le condizioni climatiche rendono le operazioni di recupero delle vittime nelle zone del conflitto assai difficili.

L’Icrc si sta occupando, come da proprio mandato, sia dei prigionieri e dei civili imprigionati durante il conflitto, per far sapere ai familiari la loro condizione e lo stato di salute, sia delle persone “scomparse”, sulla cui sorte cerca di far luce.

Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), le priorità al momento sono il supporto alle famiglie che non sono più in grado di far ritorno alle proprie case e la fornitura di beni di prima necessità ai rifugiati, per la maggior parte armeni che rimarranno in Armenia, almeno per tutta la durata dell’inverno.

Continuano infatti ad arrivare spontaneamente sfollati dai territori del Nagorno Karabakh conquistati dall’Azerbaigian, i quali chiedono il riconoscimento di protezione e diritti dall’Armenia. In questo contesto, inoltre, mancano misure di sicurezza e di contenimento del nuovo coronavirus, i cui casi sono in aumento tra la popolazione sfollata.

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NewsDigest: due mesi dopo la tregua in Nagorno Karabakh (Interris 07.01.21)

Già da quasi due mesi, dopo la conclusione temporanea della guerra in Artsakh, a seguito della dichiarazione congiunta del presidente russo, presidente azero e premier armeno, decine di aerei IL, elicotteri Mi-8 e Mi-24 della Russia hanno volato sopra Yerevan verso l’Artsakh per portarci il contingente di pace russa.

Gli Armeni di tutto il mondo rimangono feriti dal fatto di una cessazione della guerra che appoggia unilateralmente gli interessi delle dittature di Erdogan e Aliyev. Oggi assistiamo a delle politiche completamente di parte, perseguite da alcune strutture, organizzazioni e comuni, che purtroppo vedono ancora l’Armenia come ‘aggressore’ nei confronti del tandem Turchia-Azerbaijan-mercenari dell’ISIS – una posizione che rivela una scarsa conoscenza dell’argomento (o frutti della diplomazia del caviale?).

La dichiarazione risulta come una violazione del mandato del gruppo di Minsk, in quanto la Francia e gli Stati Uniti sono stati lasciati fuori dal processo della conclusione di un accordo che prevedesse il trasferimento nell’arco di un giorno, del contingente di pace soltanto di un paese co-presidente del Gruppo di Minsk (la Russia). Non è stato discusso anche alcun punto che riguardasse il coinvolgimento della Turchia.

Festeggiando l’occupazione delle terre dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) le quali non avevano mai fatto parte della Repubblica [indipendente] dell’Azerbaijan, e gongolando per la mancanza di alcun punto sullo status dell’Artsakh nel documento della dichiarazione trilaterale, con la boccaccia compiaciuta, Aliyev annuncia davanti agli armeni e davanti al mondo che finché egli resterà sul trono, non ci sarà nessuno “status” per l’Artsakh. Questa è la sua completa negazione del diritto dei popoli all’autodeterminazione, ma anche un gesto cinico, di presa in giro del Gruppo di Minsk.

Lo ha fatto anche il 12 dicembre a Baku, ricevendo la delegazione del Gruppo di Minsk dell’OSCE: messaggio centrale – “il gruppo di Minsk non è stato utile e noi abbiamo risolto il nostro problema manu militari” – pari ad un’azione di sputare nella faccia dell’Europa, dell’Occidente.

Invece due giorni prima, il 10 dicembre, nella parata militare avrebbe dichiarato i nuovi obbiettivi e traguardi – già tutti nel territorio della Repubblica d’Armenia: la regione di Zangezur, il Lago di Sevan e la capitale dell’Armenia Yerevan sono stati dichiarati “territori storici dell’Azerbaijan”, invece Erdogan ha praticamente dedicato la vittoria contro gli Armeni ad uno degli organizzatori e perpetratori del Genocidio degli Armeni – Enver Pasha, ucciso a suo tempo da Hakob Melkumyan, un Armeno, originario proprio di Artsakh.

Allora nonostante il fatto che con la dichiarazione si sia concordato che “La Repubblica dell’Azerbaigian e la Repubblica d’Armenia si fermano sulle rispettive posizioni.”il tandem turco-azero già procede a contestare anche i territori della Repubblica d’Armenia.

Dopo la dichiarazione trilaterale sulla cessazione delle ostilità, gli azeri hanno lanciato un nuovo attacco nel sud di Artsakh, nella direzione dei villaggi Hin Tagher e Khtsaberd, occupando anche questi territori, in violazione della dichiarazione congiunta.

Nei distretti adiacenti, le zone limitrofe dell’Artsakh, è in atto una pulizia etnica, nonché un vero e proprio genocidio culturale. Gli abitanti dei villaggi armeni di Artsakh e lungo il confine armeno-azero, vengono terrorizzati dalle forze turco-azere aiutate dai mercenari jihadisti (molti di quest’ultimi, comunque, sono stati uccisi nella guerra contro gli armeni). Secondo diverse fonti, decine di civili e più di 100 soldati armeni sarebbero ancora in ostaggio.

Chiese, complessi monastici e monumenti armeni plurisecolari (tra cui anche la Cattedrale di Ghazanchetsots e la Kanach Zham di Shushi, numerosi khachkar, sculture e opere d’arte) vengono sistematicamente dissacrati e vandalizzati dagli occupanti azeri (le scene richiamano il genocidio culturale [documentato] del Nakhichevan tra 1998-2008, invece la pulizia etnica avviene nella stessa vena come quella degli anni 1988-1990 di Sumgayit e Baku.

Questi atti vengono commessi, in barba alla stessa dichiarazione trilaterale, come testimonianze di un genocidio culturale in corso, iniziato, ironicamente, subito dopo la conversazione telefonica del 14 novembre 2020, tra Putin e Aliyev, durante la quale quest’ultimo aveva promesso di procurarsi della sicurezza e conservazione dei monumenti culturali e religiosi nelle zone passate all’Azerbaijan e di garantire l’accesso libero per eventuali visitatori.

Ancora una volta, allora, le forze turco-azere-jihadiste si adoperano per distruggere ogni monumento più vecchio dello stato azero, ogni traccia di civiltà armena che potrebbe attestare la presenza di Armeni cristiani nell’Artsakh fin dai tempi quando la Turchia e l’Azerbaijan non si trovavano ancora sulla mappa del mondo.

Insomma, cosa abbiamo visto nel caos degli ultimi due mesi? Azeri, turchi e mercenari siriani che

a) abbattono le croci delle chiese armene nei territori riconquistati gridando “Allahu akbar”, b) derubano le case degli Armeni facendosi beffe delle realtà e degli artefatti della cultura armena

dei simboli di Cristianità ,

c) distruggono i cimiteri degli Armeni ,

d) giustiziano i prigionieri di querra e i civili di nazionalità armena, senza distinzione di sesso o età.

Per immaginare la portata del problema, notiamo solo che le scene descritte sopra si registrano oggi nei 121 comuni armeni persi ai terroristi. Come risultato, sono in pericolo decine e decine di siti religiosi e architettonici i quali fanno parte del patrimonio mondiale della cultura cristiana. Per molti di questi, purtroppo, si sta scrivendo una nuova storia dai storiografi ad-hoc del regime dittatoriale di Aliyev.

Dunque, ci sono due processi concorrenti – pulizia etnica e genocidio culturale contro gli armeni, entrambi organizzati e messi in atto dal tandem turco-azero.

Mentre in Europa si continua a trascurare il dolore dell’Armenia e dell’Artsakh e a proteggere i diritti dell’ Islam, stigmatizzando chi vorrebbe esprimersi contro, con il marchio di “islamofobo”, sul confine est dell’Europa i cecchini terroristi e mercenari dell’Azerbaijan prendono in ostaggio 11 civili armeni dell’Artsakh, cacciano gli ultimi preti dai monasteri armeni dei territori conquistati dal tandem turco-azero, per poi dissacrarle e vandalizzarli come hanno fatto con migliaia di monumenti storici armeni del Nakhichevan

Le iniziative di richiamare i barbari a responsabilità sono marginalizzati, per nominare solo un esempio, notiamo le Sanzioni contro Ilham e moglie da parte del governi di singoli paesi (come, ad esempio, i Paesi Bassi contro l’Azerbaijan e la Turchia, per le violenze ei crimini di guerra contro il Nagorno Karabakh).

Comunque, i grandi media aggirano questi dettagli, se non tacciono completamente sul dolore degli armeni. Si parla, invece, della messa in funzione della TAP…. “Domenica 15 novembre ha cominciato l’attività commerciale con le consegne di metano in Italia il gasdotto Tap, che comincia nell’Azerbaigian appena uscito da una guerra convulsa e brevissima con l’Armenia”. E in quel contesto, si parla, ironicamente, di aiutare gli aggressori turco-azeri, “affinchè il ritorno all’Azerbaijan del controllo di alcune aree del Nagorno-Karabakh sia solo il primo tassello di una ripartenza all’insegna di nuove, reciproche, prospettive strategiche”.

Insomma, una pagina cupa per il popolo armeno e non meno vergognosa per l’Europa, nella maggior parte inerme, la quale praticamente ha sacrificato una giovane democrazia – quella dell’Artsakh – e allo stesso tempo, la propria sicurezza a lungo termine, dato il fatto che nelle realtà parallele di questo annus horribilis abbiamo ugualmente assistito alle decapitazioni dei soldati armeni in Artsakh e, dall’altro lato, alle decapitazioni dei cittadini dell’Ue, sulla base della stessa ideologia islamista-estremista.

Qui andrebbe sottolineato il fatto che nell’arco degli ultimi 30 anni il regime dittatoriale degli Aliyev ha coltivato una generazione armenofoba, iniziando dall’asilo nido e fino al livello di scuole e università dove si impara pure la lingua armena come la lingua del “nemico aggressore”; i seguaci/vittime di questa politica antiarmena poi vengono usati nella propaganda anti-armena e pubblicano “ricerche” falsificando i fatti storici e presentando tutta l’Armenia come parte di un “storico Azerbaijan”, nome che nemmeno si trovava sulla mappa del mondo prima del 1918.

I soldati armeni presi in ostaggio vivono orrori senza fine, vedendo la tortura e la decapitazione dei compatrioti. L’Armenia, l’Artsakh e le organizzazioni internazionali come la Human Rights Watch hanno denunciato le violenza, la tortura e il maltrattamento degli ostaggi armeni e prigioneri di guerra , reati commessi sul suolo etnico e religioso dai militari di una generazione azera che sogna ancora un massacro contro il popolo armenoAl contrario, gli armeni in molti casi documentati, hanno aiutato i feriti dell’esercito azero.

Il paradosso sta nel fatto che l’Europa, già sotto il peso di un modello “ultra-democratico” che ha fatto fiorire, tra l’altro, l’estrema destra ultranazionalista, xenofoba, panturchista e islamista, sta cercando di prevenire i cruenti attacchi contro i civili dei paesi europei (ricordiamoci del caso dei Lupi grigi)ma allo stesso tempo, continua, in modo indiretto, a fomentare fascismo e terrorismo nel Caucaso del sud, in nome dei grossi interessi energetici.

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Riva si unisce all’appello per il riconoscere la Repubblica dell’Artsakh (Gardapost.it 07.01.21)

Questo dando seguito a quanto deciso dal Consiglio comunale di Riva del Garda, che nella seduta del 28 dicembre all’unanimità ha approvato una mozione sul tema, proposta dal consigliere comunale con delega alla pace Simone Fontanella. La lettera è indirizzata al ministro degli esteri Luigi Di Maio e, per conoscenza, al presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte e al presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella.

«On. sig. ministro -scrive il sindaco- i drammatici eventi bellici che hanno interessato la regione di Nagorno Karabakh (chiamata in armeno Artsakh) tra settembre e novembre 2020, di cui siamo venuti a conoscenza soprattutto grazie ai nostri concittadini più vicini alla comunità armena in Italia, hanno molto colpito la popolazione e gli amministratori del Comune di Riva del Garda, di cui sono sindaco. Il Consiglio comunale di Riva del Garda, facendosi interprete di questa sensibilità, ha approvato unanimemente l’accorata mozione che Le invio in allegato, con la quale chiediamo a Lei e al Governo italiano di:

  • riconoscere tempestivamente e formalmente lo Stato di Artsakh (Nagorno Karabakh) perché diventi direttamente un interlocutore autorevole del nostro Paese; questo atto non solo avvicinerà il ripristino della verità storica e attuale, ma contribuirà significativamente a prevenire future conflittualità in vista della firma di una pace duratura;
  • farsi parte attiva per aiutare le popolazioni funestate da questo conflitto, attraverso i corridoi umanitari attualmente garantiti dalla comunità internazionale.

Siamo infatti convinti che l’azione diplomatica internazionale, in situazioni di tensione tali da portare fino all’estrema conseguenza di un’aggressione militare, sia un dovere da parte del nostro Paese, che fin dalla Costituzione “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Il riconoscimento dello Stato di Nagorno Karabakh (Artsakh) è un atto di civiltà che può portare all’attuazione di una azione giusta, ma anche e soprattutto la fine di un silenzio che nei decenni sta diventando un atto di complicità con le ingiustizie e con i crimini perpetrati da un secolo a questa parte contro quelle popolazioni».

 

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Presidente Azerbaigian alza la voce con l’Armenia su visite ufficiali in Karabakh (Sputniknews 07.01.21)

Il conflitto congelato tra Azerbaigian e Armenia per la regione contesa del Nagorno-Karabakh è esploso in una guerra aperta tra settembre e novembre 2020. L’Azerbaigian ha ripreso il controllo dei territori persi nella guerra del 1992-1994. I combattimenti sono terminati con la firma di un cessate il fuoco mediato dalla Russia.

Il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev ha espresso irritazione per le visite dei funzionari armeni in Nagorno-Karabakh, avvertendo Yerevan che rischia una risposta militare se le visite continueranno.

“Sono stato informato che il ministro degli Esteri armeno si è recato in visita a Khankendi (Stepanakert). Che sta facendo li? L’Armenia non dovrebbe dimenticare la guerra. Ricordate che il pugno di ferro rimane al suo posto. Queste visite devono finire. Vi avvertiamo che se tali misure provocatorie verranno prese di nuovo, l’Armenia se ne pentirà ancora di più”, ha detto Aliyev, parlando in una riunione focalizzata sui principali eventi del 2020.

Secondo il presidente azerbaigiano, tutte le future visite in Nagorno-Karabakh di qualsiasi cittadino straniero devono essere approvate da Baku.

“Il mondo intero riconosce questo territorio come parte integrante dell’Azerbaigian. Nessun cittadino straniero può entrare in questa zona senza il nostro permesso. Nessuna organizzazione internazionale può viaggiare lì ad eccezione della Croce Rossa. Li abbiamo avvertiti prima tramite il ministero degli esteri. Dopo, l’avvertimento arriverà n un altro modo”, ha detto Aliyev, senza elaborare.

Il conflitto in Nagorno-Karabakh

Sebbene l’Armenia fornisca sostegno economico e militare al Nagorno-Karabakh, la regione senza sbocco sul mare a maggioranza etnica popolata da armeni è formalmente governata dalla Repubblica dell’Artsakh, una repubblica separatista non riconosciuta fondata come enclave all’interno dell’Azerbaigian.

La regione fu contesa dagli azeri e dagli armeni dopo la caduta dell’Impero russo, ma il conflitto fu congelato dalle autorità sovietiche all’inizio degli anni ’20, con Mosca che trasformò il Nagorno-Karabakh in una regione autonoma all’interno della Repubblica Sovietica dell’Azerbaigian. Alla fine degli anni ’80, i sentimenti nazionalisti scatenati dalla perestrojka riaccesero le tensioni sopite, con gli armeni del Karabakh che accusavano Baku di discriminazione organizzando un voto per staccarsi dall’Azerbaigian sovietico per unirsi alla Repubblica socialista sovietica armena vera e propria. Baku ha cercato di impedire che ciò accadesse e alla fine del 1991 il suo parlamento ha abolito formalmente lo status di autonomia del Karabakh.

Tra il 1992 e il 1994, l’Azerbaigian e l’Armenia hanno intrapreso una sanguinosa guerra per il controllo della regione, con il conflitto che ha ucciso oltre 40.000 persone e provocato oltre 1,1 milioni di sfollati, sia all’interno della regione separatista che in entrambe le repubbliche. I nuovi scontri nel 2020 ha portato alla morte di migliaia di militari e oltre 160 civili da entrambe le parti.

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La storia dell’Armenia, tra tragedie ed eroismo (ilgiornaleoff.it 05.01.21)

Quella del conflitto nel Nagorno-Karabakh, regione ufficialmente parte dell’Azerbaijan ma in realtà abitata perlopiù da armeni che ne rivendicano l’autonomia, è una storia che per un occidentale è difficile da capire se non si conosce la storia del popolo armeno. Ha provato a raccontarla il giornalista ed editore Daniele Dell’Orco nel libro Armenia cristiana e fiera (Idrovolante, 2020, 175 pagine, 20 euro), scritto dopo un viaggio compiuto in quelle terre giusto poco prima della ripresa delle ostilità, il 27 settembre 2020.

La prima parte del libro è di fatto un reportage dai luoghi più significativi dell’Armenia, tanto che al termine di molti capitoli compaiono delle foto a colori scattate sul posto dall’autore. In particolare, Dell’Orco dimostra un forte interesse per tutti quei luoghi che simboleggiano la storia del cristianesimo armeno, anche perché questo popolo è stato il primo ad adottarlo come religione di stato, prima ancora dei romani. I luoghi visitati vengono contestualizzati raccontando in breve la storia dell’Armenia dall’antichità ai giorni nostri.

La seconda parte del libro è più legata all’attualità, e racconta l’origine delle vicissitudini legate al Nagorno Karabakh, o Artsakh come lo chiama la gente del posto; raccontando il conflitto dall’inizio negli anni ’90, quando armeni e azeri si resero indipendenti dall’URSS, fino ai fatti più recenti, puntando il dito contro quei paesi occidentali che, in nome della “realpolitik”, hanno di fatto abbandonato gli armeni per non irritare l’Azerbaijan e la Turchia.

Ad essere particolare è anche lo stile di scrittura dell’autore: paragrafi molto brevi, a volte da meno di una riga, con frasi che posso essere lunghe l’intero paragrafo oppure brevissime ma essenziali, che vanno dritte al punto.

Quella di Dell’Orco è una testimonianza forte, che dimostra un amore sincero per il popolo armeno. Infatti, il ricavato delle copie vendute verrà devoluto alla popolazione in difficoltà dell’Artsakh.

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Covid, positivo il presidente dell’Armenia Armen Sarkissian. E’ stato contagiato a Londra (Corrieredellimbria.it 05.01.21)

Il presidente dell’Armenia positivo al coronavirus. Armen Sarkissian ha contratto il coronavirus mentre era a Londra dove ha trascorso le vacanze di Capodanno con la sua famiglia e i nipoti. A ufficializzare la notizia è stata l’agenzia di stampa statale Armenpress. Il presidente è reduce da un’intervento chirurgico alla gamba che è stato portato a termine con successo il 3 gennaio. “Tuttavia dopo aver mostrato i sintomi dell’infezione da coronavirus il presidente è risultato positivo al Covid-19”, riferiscono fonti governative

Il presidente continuerà temporaneamente a svolgere le sue funzioni a distanza. Le sue condizioni al momento non sono gravi e non destano preoccupazione.