Nell’ambito della Rassegna Altri Natali, organizzata dal Comune di Napoli, nella sezione Stelle di Pace è stato presentato ieri, in anteprima nazionale, nella Sala del Capitolo del Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore, Il destino di Aghavnì, il nuovo libro di Antonia Arslan (Ed. Ares, pag.118).
Durante l’incontro, condotto da Donatella Trotta, ci sono state letture del testo a cura di Salvatore Guadagnuolo e Giuseppe Coppola di Agita Teatro, accompagnati dalla fisarmonica di Mari Zingarina.
Il libro della nota scrittrice di origine armena, racconta una struggente storia natalizia ambientata nell’Anatolia del 1915 , pochi giorni prima dell’inizio del genocidio degli armeni.
Aghavnì, una ragazza di appena 23 anni esce di casa con il marito Alfred e i due figlioletti per non farvi mai più ritorno. Sono fuggiti? Sono stati rapiti o uccisi? E da chi? Nonostante le intense ricerche nessuno sembra saperne qualcosa. Passano gli anni e il loro ricordo cade nell’oblio fino a quando l’autrice non ritrova per caso una vecchia foto di famiglia custodita da un suo lontano cugino che abita in America.
Con le sue doti da grande affabulatrice Antonia Arslan ci regala una nuova storia dal sapore antico, un racconto avventuroso di dolore e di coraggio, pervaso dalla speranza della rinascita.
Donatella Trotta , prima di presentare il libro, si è soffermata sulla vita di Antonia Arslan che, per i pochi che non ne fossero a conoscenza, è nata a Padova dove ha insegnato per molti anni Letteratura italiana moderna e contemporanea. Autrice di saggi sulla scrittura al femminile, si è riappropriata delle sue origini armene con un lento ma costante cammino culminato nel suo primo romanzo La masseria delle allodole del 2004 , diventato un film dei Fratelli Paolo e Vittorio Taviani nel 2009 e seguito da altre pubblicazioni di ottimo livello: La strada di Smirne, Il cortile dei girasoli parlanti, Il rumore delle perle di legno, Il libro di Mush, Lettera a una ragazza in Turchia, e l’antologia di scrittori armeni Benedici questa croce di spighe.
La nota giornalista de Il Mattino ha inoltre evidenziato come Antonia Arslan è da anni impegnata in conferenze, incontri, dibattiti, manifestazioni culturali per promuovere la conoscenza del popolo armeno e della sua storia nonché il Metz Yeghèrn ovvero Il grande Male, l’Olocausto degli armeni.
Antonia Arslan tra i tanti riconoscimenti, ha vinto nel 2017 il Premio Matilde Serao.
Come è nato questo libro?
«Prima di rispondere a questa domanda devo dire che torno a Napoli sempre molto volentieri. Studiavo ancora all’Università di Padova quando sono venuta la prima volta, avrò avuto meno di vent’anni e sono ritornata spesso, soprattutto quando un esame mi andava bene. Ho la sensazione di essere a casa e trovo Napoli una delle città più vicine a quelle dell’Oriente.
Questo libro nasce dal ritrovamento di una vecchia ed ingiallita foto di famiglia custodita da mio cugino che vive negli Stati Uniti. Lui aveva letto La masseria delle allodole e mi chiese di fargli visita nel 2012. La foto ritraeva tre giovani donne, le sorelle di mio nonno Yerwant, vestite in modo simile con degli abiti a quadrettoni tranne che per alcuni particolari : una aveva il colletto del vestito a punta, l’altra rotondo e l’altra ancora portava in vita una cintura.
Aghavnì, il cui nome significa Colombella, sorella minore di mio nonno, da quel momento non mi ha più lasciata. Credo che questo romanzo breve sia la continuazione, come lo fu La strada di Smirne per La masseria delle allodole, de Il libro di Mush dal momento che compare di nuovo il personaggio dell’Angelo Muto che veglia su queste creature martoriate, una presenza spirituale dispensatrice di serenità. In questo libro parlavo di come alcune donne scoprirono un libro miniato del 1202 tra le rovine fumanti di un vecchio monastero e decisero di salvarlo per tramandare ai posteri la cultura armena. Infatti oggi esso è visibile nella grande biblioteca-museo del Matenadaran a Erevan, in Armenia.
Attraverso una rigorosa indagine storica ho cercato di ricostruire la storia di Aghavnì ,lavorando poi di fantasia sull’ipotesi più realistica: il rapimento. Sappiamo che gli uomini venivano uccisi e le donne spesso venivano deportate nel deserto siriano nei pressi della città di Aleppo e nelle zone circostanti. Il progetto era di farle morire di stenti insieme ai loro figli. Ma il destino ha in serbo un finale diverso per Aghavnì».
Lei si è sempre preoccupata di parlare della banalità del Male dando risalto al Metz Yeghèrn . Come spiega Il Grane Male?
«Vede, le persone non sono cattive di per sé ma il Grande Male attecchisce perché si è spinti a demonizzare un gruppo etnico attraverso una propaganda continua e sistematica. Quello che è accaduto al popolo armeno, precede l’Olocausto degli ebrei che non si accorsero che il primo fu una sorta di prova generale contro il loro popolo. Lo intuì inascoltato già nel 1922 Rafhael Lemkin ,un giurista polacco di origine ebraica, che per primo coniò il termine genocidio.
A farne le spese sono stati soprattutto le donne, gli anziani, i bambini e tutte le persone fragili. Pare che anche Hitler avesse intuito di avere gioco facile con lo sterminio degli ebrei dal momento che nessuno si era accorto di quello armeno che è stato il primo genocidio della Storia. Non dimentichiamo che i tedeschi allora erano alleati dell’esercito ottomano. Ci fu anche un ufficiale tedesco che scattò oltre 150 foto per una documentazione visiva del Grande Male . Oggi ne restano 120 e rappresentano una delle prove inconfutabili degli orrori perpetrati nei confronti del popolo armeno».
I suoi libri rappresentano un monito per il presente.
«Certo, i libri ci parlano e possono trasformarci. È importante educare alla lettura fin dalla più tenera età. E soprattutto leggere ad alta voce. Leggere tutte le sere un capitolo di un libro a voce alta fa sì che si comprendano anche al meglio le sfumature del testo.
Ritornando al libro penso che il Natale e la magia del presepe possono essere colti anche da chi non è credente. Il presepe ha in sé qualcosa di misterioso e di molto caldo e voi napoletani avete una lunga tradizione presepiale che deve essere mantenuta e trasmessa alle nuove generazioni».
L’incontro si è concluso con la lettura di alcuni capitoli del libro e con una sorta di gioco tra i partecipanti che hanno dovuto mimare alcune frasi del testo in modo da rendere vera la riflessione di Federico Garcia Lorca: “Il teatro è poesia che esce da un libro per farsi umana”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-28 18:41:032022-12-30 18:42:28Il destino di Aghavnì, il nuovo libro di Antonia Arslan (Mydreams 28.12.22)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 28.12.2022 – Vik van Brantegem] – Nel diciassettesimo giorno del #ArtsakhBlockade il regime autoritario dell’Azerbajgian continua con l’impiego di sedicenti ecoattivisti azeri ad interrompere l’autostrada Stepanakert-Goris, la #StradaDellaVita della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. La comunità internazionale ha permesso che il blocco deliberato di 120.000 persone in Artsakh entrasse nella sua terza settimana. Se a una dittatura è consentito di operare in questo modo liberamente senza impunità, cosa ci dice sul futuro dei valori democratici nel mondo?
Il governo della Repubblica di Artsakh ha richiesto un esame ecologico internazionale dell’operazione minerario “Base Metals”, si legge in una nota del governo: «Il governo della Repubblica di Artsakh ribadisce ancora una volta che l’industria mineraria nell’Artsakh si svolge secondo i più alti standard internazionali, ai quali si allineano anche le normative definite dalla legislazione di settore. Considerando però l’ambiente malsano creato dagli “eco-attivisti” del paese vicino e i tentativi di trarre in inganno la comunità internazionale, si è deciso di rivolgersi alle organizzazioni internazionali per condurre un esame ecologico internazionale relativo alle attività della società “Base Metals”. Insieme alla direzione dell’azienda, è stata presa la decisione di interrompere temporaneamente l’attività della miniera dell’azienda fino al completamento dell’esame. Il governo della Repubblica di Artsakh ha fatto appello alle strutture competenti delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni professionali internazionali per organizzare l’attuazione dell’esame in un breve periodo di tempo. Il governo della Repubblica di Artsakh è sempre stato favorevole al mantenimento dei migliori standard internazionali nel campo minerario ed è convinto che gli standard ambientali internazionali debbano essere applicati alle compagnie minerarie dell’intera regione».
Questa mattina, secondo il Nagorno Karabakh Observer @NKobserver su Twitter, il Comandante del contingento di mantenimento della pace russo in Artsakh, Andrei Volkov, è entrato all’edificio del governo di Artsakh a Stepanakert, possibilmente per parlare con il Ministro di Stato, Ruben Vardanyan. Nella foto sopra, un gruppo di cittadini di Artsakh in attesa fuori per fare ulteriori domande sulla chiusura della strada.
Dichiarazione di UNICEF: «Più a lungo persiste la situazione, più i bambini sperimenteranno la mancanza di prodotti alimentari di base, mentre l’accesso a molti dei servizi essenziali di cui hanno bisogno per la loro sopravvivenza, crescita sana e benessere diventerà più difficile».
1. L’Azerbajgian uccide i propri cittadini armeni in risposta al movimento per la libertà dell’Artsakh (1988-1990).
2. L’Azerbajgian spara e bombarda da 32 anni gli Armeni dell’Artsakh mentre lottano per vivere liberi dalla tirannia.
3. L’Azerbajgian ora affama “i cittadini armeni del Karabakh che hanno gli stessi diritti dei cittadini azeri in Azerbajgian”.
4. Cosa farà l’Azerbajgian con il controllo completo? Tornare a 1 per avere la risposta.
«Emmanuel Macron deve fare tutto il possibile per garantire la sicurezza degli Armeni del Nagorno-Karabakh e della Repubblica di Armenia». Al di là delle loro divergenze, undici parlamentari e leader politici di schieramenti diversi, tra cui Eric Ciotti, Olivier Faure e Fabien Roussel, in una Tribuna su Le Monde di ieri, 27 dicembre 2022 [QUI], sollecitano il Presidente francese, Emmanuel Macron, a intervenire per “prevenire l’irreparabile” e garantire la sicurezza degli Armeni del Nagorno-Karabakh. «Il blocco del Corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’esterno della popolazione armena di Artsakh/Nagorno-Karabakh – si legge nell’appello -, ponendo la minaccia di una grande catastrofe umanitaria. Circa 120.000 persone, tra cui 30.000 bambini, sono infatti prive di risorse, compresi cibo e forniture mediche. Per tre giorni l’Azerbajgian ha anche tagliato il gas, e quindi il riscaldamento, esponendo la popolazione al gelo. Questo evento segna un’ulteriore escalation nelle aggressioni perpetrate dal settembre 2020 dall’Azerbajgian contro Ali armeni, siano essi cittadini del Nagorno-Karabakh o della Repubblica d’Armenia, in totale violazione del diritto internazionale, delle convenzioni di Ginevra e dei negoziati nell’ambito dell’accordo del Gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), che prevedono una soluzione pacifica della questione del Nagorno-Karabakh. Tutto fa pensare che l’Azerbajgian non si fermerà qui e sfrutterà la minima occasione per continuare le sue manovre di destabilizzazione e vessazioni nei confronti delle popolazioni armene del Nagorno-Karabakh e della Repubblica di Armenia con l’obiettivo dichiarato della pulizia etnica. Crimini di guerra attestati, promozione dell’odio etnico, distruzione del patrimonio culturale armeno, attacco all’Armenia nel settembre 2022 e occupazione illegale di parte del suo territorio sovrano, ripetuti abusi contro le popolazioni civili: sono inammissibili le azioni dell’Azerbajgian, che porterebbero la Francia intervenire ovunque e in ogni circostanza. È anche una minaccia che grava su un popolo amico, “l’Armenia, nostro piccolo alleato valoroso”, come diceva Georges Clemenceau (1841-1929)».
Manifestazione a Parigi a sostegno del popolo dell’Artsakh (e colgono l’occasione per ricordare le basi della questione).
Questo è assolutamente vergognoso. Non puoi affermare di lottare per la democrazia e i diritti umani quando lecchi gli stivali di un altro dittatore. Ed ecco un po’ di chiarezza per coloro che affermano che il sanguinario dittatore che fa agli Armeni esattamente ciò che Putin fa agli Ucraini, è un “alleato” dell’Ucraina. È ancora più vergognoso quando Aliyev vende il gas di Putin all’Europa, contribuendo direttamente alle stragi in Ucraina.
L’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (UNHCR) ieri con un post su Twitter ha invitato l’Armenia e l’Azerbajgian a risolvere la questione del Corridoio di Lachin attraverso il dialogo. Leggendo queste parole sorge una domanda: ma secondo l’UNHCR, chi sta bloccando l’autostrada Goris-Stepanakert? L’Armenia? «Lachin corridor [Armenia/Azerbaijan]: We call on the sides to resolve pending issues through a dialogue, urgently enable free & safe movement, protect human rights & avoid adverse humanitarian impact on civilians» (UN Human Rights @UNHumanRights 3:00 PM Dec 27, 2022) [Corridoio di Lachin [Armenia/Azerbajgian]: facciamo appello alle parti di risolvere le questioni in sospeso attraverso un dialogo, consentire urgentemente movimenti liberi e sicuri, proteggere i diritti umani ed evitare impatti umanitari negativi sui civili].
Questo post dell’UNHCR è semplicemente una barzelletta. Non c’è niente degno di nota qui, ad eccezione che “entrambe le parti” vengono messo sullo stesso piano, evitando accuratamente di stabilire la responsabilità del dittatore petrolifero azero per una crisi umanitaria in cui 120.000 armeni sono tenuti in ostaggio già per più di due settimane. Con questo tipo di dichiarazioni non si fa nient’altro che incoraggiare l’aggressore azero a continuare e raddoppiare le sue minacce di irredentismo contro gli Armeni e violare la sovranità dell’Armenia e dell’Artsakh. Si tratta di un lasciapassare per Aliyev a proseguire incensurato con le sue azioni criminali, mirate allo spopolamento dei nativi Armeni dall’Artsakh o con il loro sterminio.
«Il #ArtsakhBlockade da parte dell’Azerbajgian ha causato un forte calo della fiducia nelle forze di mantenimento della pace russe in Artsakh e nella Russia in generale. La situazione continua a degenerare ogni giorno che passa. La pazienza è limitata. La gente dell’Artsakh vuole qualcosa di semplice: il rispetto dei propri diritti» (Maro Kochinyan).
Intanto, le forze di mantenimento della pace russe in Artsakh – come l’UNHCR – continuano a dimostrarsi “neutrali”, non facendo nulla per riconsentire il transito di persone, veicoli e merci tra l’Armenia e l’Artsakh, rendendo la situazione umanitaria sempre più drammatica. Molti analisti suppongono che dietro l’atteggiamento di inamovibile estraneità del contingente russo in Artsakh via sia Putin, visto che i suoi rapporti con il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, si sono fatti sempre più tesi negli ultimi mesi, come dimostra lo scontro tra i due avvenuto a fine novembre in occasione del summit dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva. E inoltre, gli analisti suppongono anche che Putin tema uno scontro frontale con Baku poiché rischierebbe così di deteriorare i rapporti con Ankara, storico alleato dell’Azerbajgian, e di spingere Aliyev ad avvicinarsi ancora di più al blocco occidentale di cui già ora è uno dei principali fornitori di gas.
I cervelloni che accusano l’Armenia e l’Artsakh di essere gli amichetti di Putin, dovrebbero sapere che i dittatori preferiscono la compagnia di altri dittatori. Putin e la Russia non si preoccupano dell’Armenia e meno ancora degli Armeni dell’Artsakh. Stanno guardando dall’altra parte mentre il macellaio di Baku impone l’#ArtsakhBlockade.
Manifestanti dell’Artsakh ieri hanno marciato verso l’unico aeroporto della Repubblica, tenuto chiuso da 30 anni perché l’Azerbajgian minaccia di abbattere qualsiasi aereo civile che tentasse di atterrare o di decollare. Le forze di pace russe sono di stanza lì.
“Le nostre vite sono in pericolo”, affermano i manifestanti dell’Artsakh che hanno trascorso la notte all’aeroporto di Stepanakert, base delle forze di mantenimento della pace russe, chiedendo l’apertura dell’unica strada che collega l’Artsakh al mondo esterno e la messa in sicurezza del Corridoio Lachin, responsabilità della Federazione Russa secondo l’Accordo Trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020.
«”Kamo, perché sei qui?” “Soffro di epilessia. Ho paura che finiscano le mie medicine e la strada sia ancora chiusa”» (Siranush Sargsyan).
«Perché le Nazioni Unite non stanno trasportando via aereo rifornimenti salvavita nell’Artsakh?» (Comitato Nazionale Armeno di America -ANCA).
«Since February, European Union has shipped over 77,000 tonnes of in-kind assistance to Ucraine. This includes life-saving supplies such as medicine, food, shelter items. As well as fire-fighting vehicles and mobile hospitals. Europe’s solidarity with Ukraine is only growing stronger» (Ursula von der Leyen @vonderleyen – Twitter, 27 dicembre 2022) [Da febbraio, l’Unione Europea ha spedito oltre 77.000 tonnellate di assistenza in natura all’Ucraina. Ciò include forniture salvavita come medicine, cibo, oggetti per rifugi. Oltre a veicoli antincendio e ospedali mobili. La solidarietà dell’Europa con l’Ucraina sta solo diventando più forte].
Von der Leyen non ha mostrato nemmeno un briciolo di solidarietà per i 120.000 Armeni che vivono nell’Artsakh sotto il blocco del suo fidato alleato Azerbajgian della dinastia Aliyev, a cui dal 12 dicembre scorso mancano 6.800 tonnellate di “assistenza in natura”, incluso “forniture salvavita” come medicine, cibo, carburante (e se Aliyev dovesse riprendere impunitamente i bombardamenti, anche “oggetti per rifugi”).
Dichiarazione della Fondazione “Museo-Istituto del Genocidio Armeno” di Tsitsernakaberd del 27 dicembre 2022: «Dal 12 dicembre 2022 l’Azerbajgian ha bloccato l’unica strada che collega la Repubblica di Artsakh al mondo. Nonostante le varie pretese avanzate dall’Azerbajgian, l’obiettivo strategico è costringere la popolazione della Repubblica di Artsakh a lasciare la sua patria storica. Qui l’Azerbajgian è guidato dallo stesso piano, ovvero trasformare gradualmente l’Artsakh in Nakhichevan: non ci sono Armeni, non ci sono problemi. Allo stesso tempo, ovviamente, l’Azerbajgian non sarà soddisfatto dello spopolamento dell’Artsakh. Dopo la seconda guerra dell’Artsakh nel 2020, le dichiarazioni pubbliche rilasciate dalla leadership militare e politica dell’Azerbajgian testimoniano chiaramente le sue ambizioni territoriali nei confronti della Repubblica di Armenia, compresa la capitale Yerevan. La leadership politico-militare dell’Azerbaigian è entusiasta della crescente importanza del ruolo dell’Azerbajgian a causa degli ultimi sviluppi geopolitici, comprese le crescenti opportunità di esportare gas turkmeno verso i mercati internazionali attraverso il territorio dell’Azerbajgian. Forse a Baku credono che gli interessi geopolitici e geoeconomici faranno chiudere un occhio al mondo sull’attuazione di azioni genocide contro gli Armeni dell’Artsakh e sullo scatenamento di una nuova aggressione contro la Repubblica di Armenia. Tuttavia, gli ultimi cento anni hanno definitivamente dimostrato che gli autori di genocidi e atti di genocidio non sono rimasti impuniti. Siamo sicuri che anche la leadership politico-militare dell’Azerbajgian dovrà affrontare la punizione per i crimini commessi e anche quelli pianificati contro la nazione armena, e gli Armeni della Repubblica di Artsakh continueranno a vivere e lavorare nella loro patria storica, nonostante le attuali ineffabili difficoltà che subiscono».
Il tandem turco-azero, per bocca di Aliyev, non solo minaccia l’integrità territoriale dell’Armenia, ma ha anche creato un esercito turco-azero contro i Paesi della regione. Ne è convinta l’esperta militare Karen Hovhannisyan, che intendo portare le ambizioni di Aliyev nei confronti di Yerevan e Syunik all’attenzione della comunità internazionale e renderle comprensibili.
La Turchia, che ha commesso il genocidio di 1,5 milioni di Armeni e ha occupato l’Armenia occidentale, sta parlando sempre più audacemente attraverso il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, delle sue nuove ambizioni territoriali nei confronti della Repubblica di Armenia. Hovhannisyan ha chiarito a Radiolur che dopo la guerra dei 44 giorni del 2020, Aliyev sta alzando sempre di più l’asticella, sta diffondendo più audacemente la menzogna che Yerevan, la capitale dell’Armenia, e la regione Syunik, secondo le sue affermazioni, sono “territori azeri” e che le autorità sovietiche li avrebbero “regalati” agli Armeni. “Sta cercando di raggiungere il risultato desiderato con l’asticella più alta. In altre parole, sta parlando di Yerevan, del lago di Sevan, della valle dell’Ararat. Sta cercando di raggiungere il famigerato Corridoio di Zangezur. Con le sue dichiarazioni sta cercando di insegnare alle orecchie della comunità internazionale che la Repubblica di Armenia di oggi esiste sui cosiddetti territori storici dell’Azerbajgian. Sfortunatamente, da noi non arriva una sola nota di protesta alla comunità internazionale”, ha detto Hovhannisyan.
L’esperto osserva che le forze armate congiunte turco-azere, o il cosiddetto “esercito turanico” [*] di fatto esiste e il suo scopo è agire non solo contro l’Armenia, ma anche contro i Paesi dell’intera regione. Viene creato per l’alleanza militare degli stati di lingua turca.
“L’esercito unito, ovvero turanico, di cui si è cominciato a parlare dal 2019, di fatto esiste già. Nel 2021, l’Azerbajgian non ha tenuto una sola esercitazione militare senza l’esercito turco. Forse ci sarà un malinteso sul fatto che sia diretto contro l’Armenia, ma posso affermare che è diretto contro la regione, ed è diretto contro gli stati che tradizionalmente giocano qui: Russia e Iran”.
Le alleanze politico-militari della CSTO e della NATO comprendono anche i piani del tandem turco-azero, in particolare per quanto riguarda la creazione di un’alleanza militare di stati di lingua turca. Di conseguenza, la NATO ha ripetutamente rilasciato dichiarazioni dure e Mosca, comprendendo la situazione, non sta cercando di respingere il tandem turco-azerbaigiano, ma, secondo il politologo, sta cercando di farlo con se stessa. Avendo compreso la situazione, l’Armenia non dovrebbe prepararsi alla pace ma alla guerra, afferma Hovhannisyan.
Anche l’analista politico Armen Baghdasaryan ritiene che le minacce e le ambizioni di Aliyev siano contro l’Armenia. “Ovviamente, queste non sono conversazioni vuote. In effetti, Aliyev ha ambizioni territoriali nei confronti dell’Armenia, si sta preparando intensamente e più si avvicina allo stato di preparazione, più obiettiva e aggressiva diventa la sua retorica. D’altra parte, è un’ulteriore pressione sulla parte armena per ottenere il Corridoio che avevano immaginato attraverso Syunik”.
Mosca, non avendo abbastanza opportunità per affrontare una situazione del genere, sta cercando di trarre profitto dalla situazione. La comunità internazionale risponderà solo ai problemi umanitari, è convinto l’analista. In questa situazione, secondo l’analista, non c’è alternativa alla trattativa. Il problema principale è mantenere Artsakh e garantire la sicurezza della Repubblica di Armenia.
A proposito, uno dei media autorevoli internazionali, la BBC, ha affrontato le pericolose manifestazioni della propaganda dell’odio armeno in Azerbajgian. La redazione russa ha scritto che nelle scuole dell’Azerbajgian i bambini vengono educati con gli slogan “odia il tuo nemico”. Baku continua a crescere la generazione futura con un patriottismo forzato, il che implica che i popoli vicini sono ancora lontani dalla riconciliazione.
In Azerbajgian, la parola “pro-armeno” è in realtà un insulto e i filo-armeni sono degli zimbelli, ad esempio il Presidente francese Emmanuel Macron. Un editorialista della BBC osserva che molti educatori azeri ammettono che sotto le sembianze del patriottismo si nascondono discorsi di odio e aggressioni imposti dallo Stato.
[*] Tūrān è l’antico nome iranico dell’Asia Centrale. Letteralmente significa “la terra dei Tur”. Originariamente le popolazioni del Tūrān erano di etnia iranica, anche se nel corso della storia la regione fu invasa a più riprese da popolazioni turcofone, che oggi ne costituiscono la principale componente etnica.
Il turanismo è un’ideologia nata nel XIX secolo tra Turchia, Ungheria e Germania ad opera di intellettuali ottomani, per promuovere l’unione e il “rinascimento” di tutti i popoli turanici, ovvero ugro-finnici (ugrici in particolare), turchici e mongolici. Il termine si basa sul nome geografico del bassopiano turanico, posto tra gli attuali stati dell’Asia Centrale di Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakistan, area da cui un tempo si credeva derivassero alcune lingue uralo-altaiche (in particolare le ugriche, le mongole, e in alcune interpretazioni anche quelle coreane e giapponesi). Geograficamente il bassopiano turanico costituisce, assieme all’altopiano iranico, la regione della Grande Persia.
Il turanismo è ritenuto tra i maggiori capisaldi della dottrina di politica estera del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, assieme al panturchismo e al richiamo al passato storico dell’Impero ottomano.
Nel corso della Prima guerra mondiale si compie, nei territori dell’Impero ottomano, il genocidio del popolo armeno. Il governo ultranazionalista dei Giovani Turchi, emanazione del partito “Unione e Progresso”, sceglie di turchizzare l’area anatolica e decide di deportare e sterminare l’etnia armena presente nel territorio fin dal 7° secolo a.C, integrata ma non assimilabile. Il genocidio degli Armeni viene oggi considerato il prototipo dei genocidi successivi.
Il movente fondamentale che ispirò l’azione di governo dei Giovani Turchi fu l’ideologia panturchista, il sogno di un immenso territorio dal Mediterraneo all’altopiano turanico e la determinazione a riformare lo Stato su una base monoetnica, linguisticamente e culturalmente omogenea. Armeni, Greci, Assiri, Ebrei: l’Impero ottomano era costituito di fatto da un mosaico di etnie e religioni. La popolazione armena, la più numerosa, di religione cristiana, che aveva assorbito gli ideali dello stato di diritto di stampo occidentale, con le sue richieste di uguaglianza, costituiva un ostacolo al progetto di omogeneizzazione del regime. L’obiettivo degli ottomani era la cancellazione della comunità armena come soggetto storico, culturale e soprattutto politico. Non secondaria fu la rapina dei beni e delle terre degli Armeni che servì da base economica alla futura repubblica kemalista.
Un milione e mezzo, i due terzi degli Armeni dell‘Impero ottomano. Molti furono i bambini islamizzati e le donne inviate negli harem.
La storiografia ufficiale turca nega che ci sia stato un piano intenzionale e specifico di sterminio e considera i massacri una dolorosa conseguenza della guerra che ha colpito sia la popolazione armena sia la popolazione turca. Parlare di genocidio in Turchia può costare il carcere e anche il riconoscimento del genocidio da parte di un Paese terzo suscita le proteste di Ankara.
In realtà la Grande Guerra fu un’utile circostanza per risolvere una volta per tutte il problema armeno e anche per mascherare l’intenzionalità del progetto di sterminio.
La montagna sacra, l’Ararat, che oggi appartiene alla Turchia ma che gli Armeni della piccola Repubblica indipendente sorta nel 1992 dalla dissoluzione dell’Impero sovietico possono contemplare oltre la frontiera turca, alimenta quotidianamente un sentimento di perdita. Sulla Collina delle Rondini (Dzidzernagapert), nella capitale Yerevan, il Memoriale del Metz Yeghern, il Grande Male, racchiude ed esprime l’imponenza della tragedia.
Foto di copertina: le forze speciali dell’Azerbajgian schierati dietro la rete lunga la strada Stepanakert-Goris nel Corridoio di Gerdzor (Lachin) vicino a Sushi, la città della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh occupata dall’8 novembre 2020 dalle forze armate azere, dove i manifestanti azeri organizzati dallo Stato azero sono accampati dal 12 dicembre, bloccando collegamento dell’Artsakh con l’Armenia e il resto del mondo.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-28 18:13:032022-12-30 18:13:57Diciassettesimo giorno del #ArtsakhBlockade. La tragedia umanitaria è imminente (Korazym 28.12.22)
Da quasi due settimane di fila attivisti ecologisti azerbaigiani stanno bloccando la strada da Khankendi (gli armeni la chiamano Stepanakert, dal nome sovietico dato nel 1923) a Lachin, chiedendo l’accesso ai giacimenti minerari sfruttati illegalmente dagli armeni locali nella regione del Karabakh dell’Azerbaigian, sotto il controllo temporaneo delle forze russe di peace keeping, schierate lì dopo la seconda guerra del Karabakh del novembre 2020, in conformità con la Dichiarazione Trilaterale.
Molti responsabili politici e osservatori internazionali si sono precipitati a sostenere gli armeni, ripetendo la narrativa sull’imminente “disastro umanitario” e accusando il governo dell’Azerbaigian di organizzare la protesta sulla strada, che dovrebbe essere utilizzata per il collegamento tra gli armeni del Karabakh con la Repubblica di Armenia. Gli esperti, che desiderano dedicare un po’ di tempo al problema, potrebbero scoprire che l’enigma intorno alla strada di Lachin ha implicazioni più profonde e più ampie, nonché un contesto storico.
Lachin è stata la prima regione al di fuori dell’ex regione autonoma del Nagorno-Karabakh ad essere occupata dagli armeni il 18 maggio 1992 nel corso del sanguinoso conflitto con l’Azerbaigian. I nazionalisti armeni, che hanno lanciato il progetto irredentista di unire il Karabakh dell’Azerbaigian con l’Armenia sotto lo slogan dell’unificazione – “Miatsum” nel 1987-1988, consideravano la creazione di un collegamento stradale come obiettivo strategico vitale. Così, Lachin divenne la “strada del Miatsum”, che consentiva l’approvvigionamento militare. Nell’aprile 1993, l’Armenia attaccò da entrambe le direzioni: dall’Armenia vera e propria e da Kelbajar, un’altra regione del Karabakh dell’Azerbaigian, situata tra l’ex autonomia e l’Armenia.
Dall’inizio del conflitto alla fine degli anni ’80, la principale narrativa armena si è evoluta attorno all’imminente genocidio e alla pulizia etnica. La strada di Lachin è stata anche presentata come un collegamento umanitario chiave. Sul campo, con la violenza in corso da entrambe le parti del conflitto, il risultato finale è stata la completa pulizia etnica degli azerbaigiani dall’Armenia e dal Karabakh. L’Armenia ha promosso insediamenti illegali a Lachin, cercando di rendere la situazione un fatto compiuto nel contesto dei negoziati con l’Azerbaigian sull’accordo per la risoluzione del conflitto.
Durante gli anni dell’occupazione armena, la parte azerbaigiana ha sollevato in numerose occasioni la questione del danno ecologico e dello sfruttamento delle risorse naturali da parte armena. Diverse società internazionali, solitamente guidate da armeni etnici, come la Switzerland Base Metals, erano coinvolte nell’estrazione di minerali e oro dal Karabakh al mercato internazionale.
In effetti, uno dei principali momenti trainanti nei primi giorni del conflitto fu la questione ecologica: il 17 novembre 1988 iniziò una protesta di massa a Baku a causa della minaccia a una foresta vicino a Shusha da parte delle autorità locali armene. Quello che era iniziato come movimento Topkhana (nome della foresta) si è trasformato in movimento di liberazione nazionale. Diverse missioni conoscitive inviate nei territori occupati dall’OSCE hanno trovato una situazione disastrosa. Nel lasciare la regione di Lachin nell’agosto 2022, in conformità con la Dichiarazione Trilaterale, i coloni armeni hanno bruciato case e tagliato alberi – quindi, per gli azerbaigiani, la questione del danno materiale ed ecologico ha una profonda connotazione negativa.
Nelle circostanze attuali sembra però che il problema principale sul corridoio di Lachin non sia solo l’estrazione illegale di risorse o il danno ambientale, ma anche l’uso (o l’uso improprio) per scopi non umanitari, in violazione della Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre 2020. La parte azerbaigiana ha accusato l’Armenia di trasferimento illegale di mine antiuomo, personale militare e munizioni. Per questo motivo, i nazionalisti armeni sono seriamente preoccupati che finalmente Lachin sarà sotto il pieno controllo dell’Azerbaigian. Pertanto, l’Armenia promuove la narrativa sul disastro umanitario, per costringere l’Azerbaigian, attraverso la pressione internazionale, a mantenere Lachin sotto il controllo dell’Armenia e utilizzarlo per forniture militari e guadagni materiali dalla vendita di risorse. Tali risorse naturali, estratte illegalmente e inviate attraverso la strada di Lachin, alimentano obiettivi militari e il separatismo in Karabakh. Lachin è un elemento chiave di sicurezza per l’Azerbaigian, per prevenire la pulizia etnica e la distruzione provocate dall’occupazione armena.
La Dichiarazione Trilaterale ha riconfermato ancora una volta il corridoio di Lachin come territorio dell’Azerbaigian internazionalmente riconosciuto, e ha conferito ad esso garanzie di sicurezza. L’Azerbaigian è obbligato a garantire la sicurezza a tutta la sua popolazione sia azerbaigiana sia, in questo caso specifico, armena, nella regione del Karabakh dell’Azerbaigian. Se l’uso della strada comporta una minaccia per la sua sicurezza nazionale, nessun obbligo legale può essere imposto all’Azerbaigian. Lo scetticismo di alcuni osservatori internazionali sugli attivisti civili a Lachin non considera la forza dell’opinione pubblica azerbaigiana, che il 14 luglio 2020 ha chiesto al governo di porre fine all’occupazione armena. Gli appelli pubblici a controllare Lachin sono ampiamente sostenuti da tutti gli strati della società, inclusa l’opposizione.
Ultimamente la situazione in Karabakh è stata aggravata dall’arrivo dell’oligarca russo di origine armena Ruben Vardanyan, che, divenuto “ministro di Stato”, ha fatto deragliare l’inizio del dialogo tra gli armeni locali e le autorità centrali di Baku. Vardanyan, sanzionato dagli Stati Uniti per riciclaggio di denaro, oltre al sostegno russo, sembra aver stretto amicizia con molti liberali occidentali, come David Ignatius, direttore del Washington Post, e il defunto Vartan Gregorian, presidente della Carnegie Corporation.
L’enigma della strada di Lachin ha tre elementi: come causa immediata, i problemi ecologici e lo sfruttamento illegale delle risorse naturali dell’Azerbaigian; poi, l’uso del corridoio di Lachin per mezzi militari contrari alla Dichiarazione Trilaterale del 9.11.20; infine, l’obbligo di aprire collegamenti di trasporto secondo la stessa Dichiarazione Trilaterale.
L’Azerbaigian fornisce il passaggio attraverso la strada di Lachin. Inoltre, camion armeni e stranieri, ad esempio iraniani, utilizzano altre strade attraverso il territorio dell’Azerbaigian come la rotta Goris-Kafan. Tuttavia, l’Armenia, con diversi pretesti, rifiuta di creare un passaggio dall’Azerbaigian vero e proprio attraverso il suo territorio a Nakhichevan, in conformità con l’articolo 9 della Dichiarazione Trilaterale.
Nel complesso, la questione sulla via di Lachin indica problemi più rilevanti: mancanza di un trattato di pace e stallo nei negoziati tra Armenia e Azerbaigian; le prestazioni delle forze di pace russe; la presenza di elementi radicali tra gli armeni del Karabakh e l’arrivo dell’oligarca russo di origine armena Ruben Vardanyan; attori geopolitici come Francia e Russia.
La soluzione risiede nella pace duratura tra Armenia e Azerbaigian, basata sul mutuo riconoscimento dell’integrità territoriale. Sfortunatamente, il principale approccio armeno alla pace rimane il seguente: l’Azerbaigian deve riconoscere incondizionatamente l’integrità territoriale dell’Armenia, mentre l’Armenia continuerà a considerare il “Nagorno-Karabakh” come un’entità “indipendente” e a lottare per essa attraverso attori e organizzazioni internazionali.
*Farid Shafiyev, Chairman of the Baku-based Center of Analysis of International Relations
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-28 18:12:492022-12-30 18:14:20L’enigma della strada di Lachin: dal Miatsum all’ecologia (Il Giornale 28.12. 2022)
Nel repertorio che comprende i francobolli ricamati, forse, mancava quello che evoca il tappeto. La possibile lacuna è stata coperta dall’Armenia, tra i più noti produttori di questi articoli d’arredo.
L’emissione, intitolata appunto “Tappeti armeni”, è avvenuta il 19 dicembre; comprende un esemplare e costa 3.000 dram. Risulta autoadesiva, mentre il bordo frastagliato evoca la perforazione del dentello. Come altre proposte simili, è stata realizzata dall’austriaca Hämmerle & Vogel.
Raffigura -viene precisato- una parte del motivo denominato “Khndzoresk”. Appartiene a un sottogruppo specifico; si caratterizza per l’ornamento che simboleggia l’eternità (svastica, stella…) attorniato da otto immagini stilizzate di drago. È tipico dei centri dell’Artsakh (cioè del Nagorno-Karabach) e del Syunik.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-27 18:42:472022-12-30 18:44:01Il francobollo ricamato giunge dall’Armenia contro 3.000 dram; si sofferma sul tipo denominato “Khndzoresk” (Vaccarinews 27.12.22)
Radio Onda d’Urto torna nella Repubblica autoproclamatasi indipendente dell’Artsakh, enclave armena nel territorio del Nagorno Karabakh, occupato dall’Azerbaijian dopo la guerra di fine 2020, vinta contro l’Armenia anche grazie all’ampio sostegno fornito dalla Turchia. Dal 12 dicembre l’unica strada che collega Artsakh e Armenia è stata occupata dagli azeri, che – nonostante la presenza di truppe russe a controllo del corridoio – impediscono il transito dei beni di prima necessità: cibo, riscaldamento e anche farmaci.
A Natale 60mila persone – la metà della popolazione totale dell’Artsakh – è scesa in piazza nella capitale dell’Artsakh, Stepanakert, chiedendo la fine del blocco armeno e un intervento della comunità internazionale, fino a ora decisamente latitante.
L’intervista di martedì 27 dicembre 2022 a Simone Zoppellaro, giornalista freelance che da anni segue il Caucaso, autore del libro “Armenia Oggi” (ed. Guerini e Associati)e attento osservatore di quanto accade tra Artsakh, Armenia, Azerbaijian e Nagorno-Karabakh.Ascolta o scarica
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-27 18:37:462022-12-30 18:39:13CAUCASO: 60MILA PERSONE IN PIAZZA IN ARTSAKH CONTRO IL BLOCCO AZERO DEL CORRIDOIO VERSO L’ARMENIA (Radiondadurto 27.12.22)
Dal 12 dicembre, la repubblica armena del Nagorno Karabakh-Artsakh è isolata dal resto del mondo a causa del blocco del corridoio di Lachin, ovvero l’unica strada di collegamento con l’Armenia. A segnalare l’ultimo episodio della crisi nel Causaso tra Armenia e Azerbaigian è stato il Consiglio per la comunità armena di Roma secondo il quale circa 120mila persone starebbero andando incontro a una crisi umanitaria senza precedenti.
“Cominciano a scarseggiare alimenti, medicine e carburanti, i bancomat sono fuori uso per mancanza di contante. In questi giorni circa 4000 tonnellate di viveri e materiali non sono potuti entrare nel territorio rimasto agli armeni dopo l’ultima guerra scatenata dal regime autocratico del presidente dell’Azerbaigian Aliyev”.
LEGGI ANCHE:Macedonia del Nord: l’Alto rappresentante conclude la visita diplomatica: “Intensificare cooperazione in materia di sicurezza informatica e lotta alla disinformazione”.
Da qui la critica all’azione della rappresentanza diplomatica dell’Azerbaigian in Italia: “Apprendiamo che mentre questa popolazione sta affrontando tali asperità, un noto teatro romano ospita un evento artistico organizzato dalla rappresentanza diplomatica dell’Azerbaigian per celebrare la vittoria nell’ultima guerra costata circa ottomila morti in 44 giorni. A tale evento immaginiamo saranno stati invitati anche autorevoli esponenti della società italiana: a loro il Consiglio per la comunità armena di Roma rivolge un appello affinché siano ben consapevoli della natura del regime azero e non avallino una politica guerrafondaia e crudele di un regime che le classifiche internazionali sulla libertà di informazione e pensiero collocano agli ultimi posti nel mondo”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-27 18:34:522022-12-30 18:37:35Caucaso, Comunità Armena: “Suoni e balli mentre si muore”. (Sardegnagol 27.12.22)
Korazym.org/Blog dell’Editore, 27.12.2022 – Vik van Brantegem] – Nel sedicesimo giorno del #ArtsakhBlockade, il regime autoritario dell’Azerbajgian continua con l’impiego di sedicenti ecoattivisti azeri ad interrompere l’autostrada Stepanakert-Goris, la #StradaDellaVita della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.
Le forze di mantenimento della pace russe sono in Artsakh per garantire la sicurezza dell’Artsakh. Però, con il Corridoio di Berdzor (Lachin) bloccato dall’Azerbajgian, l’Artsakh non è al sicuro. Il Vicecomandante delle forze di pace russe nei giorni scorsi ha informato cinque rappresentanti di un gruppo di Armeni che non era possibile garantire il loro passaggio sicuro per l’Artsakh, poiché gli Azeri che hanno bloccato il Corridoio potrebbero organizzare provocazioni e minacciare la loro vita.
Non sono nemmeno Armeno, ma sono comunque scioccato. Sono sempre più scioccato dall’apparente incapacità del mondo di ascoltare quando gli Armeni chiedono aiuto, sono schifato dalla cappa di silenzio giornalistica. Quando l’Azerbajgian, con l’aiuto della Turchia e dei terroristi mercenari jihadisti ha lanciato la sua orrenda guerra contro l’Artsakh e l’Armenia nel 2020, non è apparsa la bandiera dell’Artsakh sui foto profilo e sui balconi. I leader mondiali e le organizzazioni internazionali come Human Rights Watch, Amnesty International e i professionisti della protesta sono rimasti in silenzio. Quel silenzio ha incoraggiato Ilham Aliyev a bloccare oggi 120.000 persone nella più grande prigione all’aria aperta del mondo.
Ogni giorno che passa – da quando ho iniziato ad occuparmi di Arsakh e di Armenia, dal primo giorno della guerra dei 44 giorni dell’Azerbajgian contro l’Artsakh il 27 settembre 2020 – mi sento sempre più Armeno.
Pensando al popolo armeno-cristiano dell’Artsakh, mi viene in mente il moto Il n’est pas besoin d’espérer pour entreprendre ni de réussir pour persévérer (Non c’è bisogno di sperare per intraprendere o di riuscire per perseverare) del nostro Principe Willem I di Oranje-Nassau, detto il Taciturno (1533 – 1584), che fu il capo della rivolta dei Paesi Bassi spagnoli contro il Re di Spagna, Filippo II. Questa rivolta, spesso chiamata Guerra degli Ottant’anni, portò all’indipendenza delle Province Unite dei Paesi Bassi. È stato una delle figure chiave nella creazione della nazione dei Paesi Bassi. L’inno nazionale “Het Wilhelmus” è stato scritto in suo onore.
Come 500 anni fa nei Paesi Bassi, questa dell’Artsakh è una lotta tra la volontà umana e la dittatura. Questa è una lotta tra le persone che difendono i propri diritti e il tiranno che li viola sfacciatamente. Questa è una lotta per l’autodeterminazione.
Questa è la dinastia Aliyev che festeggia il compleanno del leader maximus. Mentre il popolo armeno-cristiano dell’Artsakh affronta una crisi umanitaria per il blocco azera del Corridoio di Berdzor (Lachin), la consorte di tiranno azero e Primo Vicepresidente dell’Azerbajgian posta su Twitter la foto, con la didascalia in azero e in russo: «24.12.2022. Buon compleanno, signor Presidente! Possa Dio Onnipotente proteggere te e il popolo dell’Azerbajgian!» (Mehriban Aliyeva @1Vicepresidente – 23 dicembre 2022 Ore 21.02).
Le forze di pace russe sono in grado di fermare gli Armeni che tentano di entrare da entrambi i lati nel Corridoio di Berdzor (Lachin), da Goris e da Stepanakert, incontrandoli con filo spinato e veicoli militari, ma non gli è venuto in mente di farlo quando hanno visto gli autobus degli Azeri fermarsi e scaricarli nel Corridoio. È più probabile che dietro l’intero circo di #ArtsakhBlockade ci sia la Russia. Difficile dire quale sia il loro programma. Forse stanno usando l’Azerbajgian per ricattare l’Armenia a concedere concessioni politiche. Proprio come Baku fa con i prigionieri di guerra, ora tengono in ostaggio l’intera popolazione dell’Artsakh, con gli “eco-attivisti”, giovani Azeri che cantano e ballano mentre bloccano cibo e medicine a 30.000 bambini Armeni, separando centinaia di bambini dai loro genitori già da più di due settimane. I “ballerini di strada” stanno portando il concetto di genocidio a nuovi livelli, sostenuto da Aliyev, che dovrà affrontare accuse penali da parte della Corte Europea dei Diritti Umani, dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti e di altre organizzazioni internazionali per aver causato l’#ArtsakhBlockade. La comunità internazionale sta osservando molto da vicino i loro “passi di danza”. Vediamo come va a finire.
Nel frattempo, il produttore turco di droni Baykar registra ufficialmente una filiale in Azerbajgian per la produzione di UAV (Unmanned Aerial Vehicle, velivolo senza pilota) direttamente lì, con un investimento iniziale di 1 milione di dollari in capitale e come rappresentante legale della nuova azienda a Baku il colonnello turco in pensione, Hüseyin Topuz.
E ora nel Corridoio di Berdzor (Lachin) c’è pressione aperta per ottenere un corridoio extraterritoriale sul territorio sovrano dell’Armenia, tra le altre cose, ha detto in un’intervista alla TV pubblica dell’Armenia il Segretario del Consiglio di Sicurezza dell’Armenia, Armen Grigoryan.
Inoltre, gli “studenti” pakistani in Azerbajgian hanno espresso la volontà di unirsi agli “eco-attivisti” azeri che bloccano il Corridoio, secondo una dichiarazione del Consiglio dell’Associazione degli studenti pakistani dell’Azerbaigian.
Tutto questo non promette niente di buono.
Il Natale in Artsakh sotto il blocco
di Siranush Sargsyan [*] Armenian Weekly, 25 dicembre 2022
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Vi siete mai chiesti come sia il Natale mentre vivete sotto assedio? Ad Artsakh, 120.000 persone, tra cui 30.000 bambini, vivono sotto un blocco, tagliati fuori dall’unica strada che li collega al mondo. I bambini temono che Babbo Natale non venga a causa della chiusura illegale della strada. Come si fa a costruire ed elevare uno spirito festoso quando le ferite di questi giovani devono ancora guarire dalla tragica guerra dell’Artsakh del 2020?
I bambini del villaggio di Herher dopo la recita di Natale.
Nina Shahverdyan è un’insegnante di inglese nel villaggio di Herher nella regione di Martuni. Ha messo in scena A Christmas Carol di Charles Dickens con i suoi alunni. La storia presenta temi di compassione, redenzione, generosità e amicizia. Mentre le persone in diverse parti del mondo si stanno preparando per il Natale e il nuovo anno, migliaia di famiglie in Artsakh sono preoccupate di sopravvivere alla stagione invernale sotto il blocco.
Il Natale è un momento di condivisione. Dopo due settimane di blocco in Artsakh, l’atto di condivisione è inteso nel senso più letterale. Di fronte alla carenza di cibo, medicine, carburante e altri beni vitali, le persone hanno condiviso le proprie risorse e barattato tra loro.
La signora Nina, che lavora nel mercato di Stepanakert, racconta che le mamme vengono a chiedere l’elemosina per un chilogrammo di patate e carote per fare la zuppa o il purè per i bambini. È impossibile trovare omogenizzati nelle farmacie. Alla domanda sulla celebrazione del Capodanno e del Natale, la Signora Nina dice: “Non abbiamo il coraggio di festeggiare il Capodanno e il Natale sotto il blocco, quando non sappiamo nemmeno se sopravviveremo”.
Angela, il cui marito è morto durante la prima guerra, è madre di due figli. Ricorda di aver privato suo figlio di un biscotto durante la prima guerra; ora la crisi attuale ha privato i suoi nipoti del cibo essenziale. “Vivo per creare un’atmosfera natalizia per i miei nipoti, ma loro [gli Azeri] sono venuti e hanno distrutto tutto. Hanno anche tolto quel piccolo piacere. Con quale spirito dobbiamo accogliere il Natale? Con quali aspettative?”
Si dice che il Natale sia un momento in cui le famiglie si uniscono. Al momento, ci sono più di mille cittadini dell’Artsakh in Armenia che vogliono tornare a casa dalle loro famiglie, ma non possono. Tra loro ci sono bambini che sono andati a partecipare a eventi culturali e sportivi, pazienti che hanno ricevuto cure e centinaia di studenti.
Ani dopo aver completato il suo esame semestrale raffigurante l’arredamento d’interni di un ristorante presso l’Accademia Statale di Belle Arti dell’Armenia. Siranush Sargsyan ha scritto in un post su Twitter: «Mia nipote Ani e centinaia di studenti che hanno terminato il periodo degli esami a Yerevan, non possono tornare a casa in Artsakh per festeggiare il Natale con le loro famiglie, a causa del #ArtsakhBlockade».
Ani studiava a Shushi. Quando Shushi venne occupata dopo la guerra dei 44 giorni, dovette trasferirsi a Yerevan per continuare i suoi studi all’Accademia Statale di Belle Arti dell’Armenia. Ha perso il padre durante la guerra, e per questo sente più forte la propensione a trascorrere il Natale con la madre, i fratelli e la nonna. Ani è una delle centinaia di studenti che hanno superato gli esami intermedi e vogliono tornare a casa, ma non possono, perché l’unica strada che collega l’Artsakh all’Armenia è chiusa. La madre di Ani, Susanna, cerca di confortarla e le dice che almeno un membro della famiglia è in un posto più sicuro e non esposto alla scarsità di cibo. Dice che è meglio che sua figlia rimanga a Yerevan.
I bambini ricevono tradizionalmente regali a Natale. Il governo dell’Artsakh prepara ogni anno un piccolo regalo per i bambini. Questi regali sono ordinati in anticipo da Yerevan. Anche un certo numero di organizzazioni e persone inviano e fanno regali, ma anche questi regali non arriveranno a causa della chiusura della strada [**].
Più di 100 bambini sfollati da Hadrut e che attualmente vivono a Stepanakert praticano le loro lezioni d’arte nella scuola di musica. Il direttore della scuola d’arte Tatevik Mkrtchan dice che anche sotto il blocco organizzeranno l’evento natalizio per i bambini: un po’ di luce in questa oscurità, a meno che, Dio non voglia, ci bombardino, dice. I bambini sfollati di Shushi e Hadrut, che vivono in un ostello di Stepanakert credono che Babbo Natale “romperà” il blocco e porterà loro dei regali.
Il 23 dicembre si è svolta una cerimonia di accensione dell’albero di Natale a Stepanakert presso il parco Shahumyan Ring. Babbo Natale e Snow Maiden hanno portato gioia a migliaia di bambini. Tutti in Artsakh desiderano la sopravvivenza e la pace, così come la riapertura della strada per Madre Armenia e il ritorno sicuro dei loro parenti.
È stato organizzato un evento festivo con Babbo Natale e la Fanciulla di nevi per decine di bambini sfollati di Hadrut e Shushi che vivono in uno degli ostelli di Stepanakert.
In A Christmas Carol, il personaggio principale Scrooge alla fine ha deciso di cambiare i suoi modi. Si sveglia la mattina di Natale vedendo il mondo nuovo e sceglie di essere gentile, generoso e compassionevole da quel giorno in poi. Il mondo sarà più gentile e compassionevole verso i 30.000 bambini e le loro famiglie sotto assedio in Artsakh in questo piccolo angolo del mondo?
[*] Siranush Sargsyan è una storica, politologa e giornalista del Armenian Weekly – un giornale armeno in lingua inglese di proprietà della Federazione Rivoluzionaria Armena (ARF), un partito politico socialista nazionalista e democratico fondato nel 1890, che oltre al suo ruolo politico, detiene anche un alto livello di standard giornalistico e riporta notizie di rilevanza per la diaspora armena globale. Sargsyan si è laureata presso l’Università Statale di Artsakh e l’Accademia della pubblica amministrazione della Repubblica di Armenia. La sua tesi di laurea si è concentrata sulle questioni relative allo sviluppo del sistema dei partiti nel Nagorno-Karabakh. Ha insegnato storia in un villaggio di Martuni ed è stata capo specialista dell’Assemblea nazionale della Repubblica dell’Artsakh nel Comitato permanente per la scienza, l’istruzione, la cultura, la gioventù e lo sport.
[**] Un gruppo di Armeni trasportava sulla strada Goris-Stepanakert regali di Natale per i bambini assediati in Artsakh. Le forze di mantenimento della pace russe li hanno fermato all’inizio del Corridoio di Berdzor (Lachin). È arrivato il Vicecomandante delle forze di mantenimento della pace russe che gli ha detto che non potevano passare, perché gli pseudo-ambientalisti azerbajgiani che mantengono il blocco, potrebbero minacciare le loro vite.
Il punto di vista di un esperto su un evento in corso
L’Occidente deve agire per scongiurare la guerra in Nagorno-Karabakh
Senza un arbitro dalla mano forte, l’Azerbajgian si è sempre più mosso per risolvere i suoi problemi con la forza
di Lara Setrakian Foreign Policy, 26 dicembre 2022 (Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Una donna in mezzo a una folla di manifestanti stringeva in mano una colomba senza vita, con la testa che ondeggiava avanti e indietro mentre agitava il braccio in aria. Apparentemente la colomba era stata schiacciata a morte mentre la donna parlava in un megafono, pronunciando un appassionato discorso in onore della vittoria dell’Azerbajgian sull’Armenia nella guerra del 2020 per il Nagorno-Karabakh.
Con macabro umorismo, la colomba strangolata è arrivata a incarnare il processo di pace infranto nel Caucaso meridionale. L’uccello e la sua strangolatrice facevano parte di una dimostrazione di forza politica da parte dell’Azerbajgian nel Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega gli Armeni nell’enclave del Nagorno-Karabakh al mondo esterno. Dal 12 dicembre, i manifestanti azeri hanno bloccato la strada con folle di persone e accampamenti di tende, interrompendo il normale movimento di persone e merci dentro o fuori l’enclave. Le proteste sono iniziate con denunce specifiche sull’estrazione di risorse naturali in aree detenute da Armeni etnici. Sono cresciuti in una più ampia lamentela nazionalista, sfidando il ruolo delle forze di pace russe e premendo per maggiori controlli sul Nagorno-Karabakh.
La conseguente mischia ha bloccato la merce in arrivo, tagliando cibo, carburante e forniture mediche per 120.000 Armeni etnici, secondo i dati sulla popolazione dei leader locali. Il Dipartimento di Stato americano ha invitato l’Azerbajgian ad aprire la strada e ha rilasciato una dichiarazione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite chiedendo lo stesso. Samantha Power, l’Amministratore dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, ha avvertito che la chiusura potrebbe “causare una significativa crisi umanitaria”. Le forniture di gas alle aree popolate da Armeni sono state interrotte per tre giorni, lasciando le persone senza riscaldamento in inverno.
Il Nagorno-Karabakh è popolato da Armeni etnici che hanno perseguito l’indipendenza dagli anni ’80, quando l’Azerbajgian e l’Armenia facevano parte dell’Unione Sovietica. Dal 1991, questi Armeni hanno costruito un’autoproclamata Repubblica di Artsakh, con un governo eletto e una serie di istituzioni pubbliche. Ufficialmente, però, il Nagorno-Karabakh fa parte dell’Azerbajgian, il cui governo ha trascorso 30 anni cercando di riaffermare il controllo federale sulla regione e sui suoi abitanti.
Nel 2020, lo status quo si è spostato a favore dell’Azerbajgian. Una guerra di 44 giorni stabilì il controllo azero su gran parte dell’area contesa. Tuttavia, parte di essa rimase abitata e autogovernata dalla popolazione armena. Le forze di pace russe sono state dispiegate per garantire protezione alle aree controllate dagli Armeni, nonché il libero passaggio attraverso il Corridoio di Lachin, la strada che i manifestanti azeri stanno ora bloccando.
Da febbraio, la guerra in Ucraina ha lasciato la Russia indebolita e la sua capacità ridotta. Senza un arbitro dalla mano forte, Baku si è sempre più mossa per risolvere i suoi problemi con la forza, anche se quegli stessi problemi sono sul tavolo dei negoziati.
Due percorsi di pace paralleli – uno facilitato dall’Unione Europea, l’altro condotto da Mosca – hanno mirato a sgonfiare la situazione e risolvere le questioni controverse, incluso lo status del Nagorno-Karabakh. Ma la potenza militare superiore e la ricchezza delle risorse naturali dell’Azerbajgian gli hanno permesso di guidare le dinamiche sul campo. Il 12 settembre ha lanciato un attacco punitivo sul territorio armeno, due settimane dopo che si erano svolti a Brussel i colloqui di pace tra il Presidente azero, Ilham Aliyev, e il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan.
“La pace così come la immagina Baku è una pace interamente stabilita alle sue condizioni”, ha detto Eldar Mamedov, analista di politica estera con sede a Brussel. “Aliyev sta cercando di esercitare pressioni sulla parte armena per reintegrare la regione del Karabakh nell’Azerbajgian vero e proprio”.
Gli Armeni del Karabakh vedono la piena integrazione in Azerbajgian senza garanzie di sicurezza come un preludio alla pulizia etnica, sia attraverso la violenza diretta che attraverso forti pressioni per lasciare le loro case. L’Azerbajgian ha promesso di trattare gli Armeni del Nagorno-Karabakh alla pari dei propri cittadini, il che offre poco conforto data la scarsa situazione dei diritti umani di Baku. Inoltre, una serie di raccapriccianti incidenti da parte dei soldati azeri, tra cui l’esecuzione di prigionieri di guerra armeni, la violenza sessuale contro le donne soldato e la mutilazione e la decapitazione di civili armeni hanno accresciuto i loro timori.
“Il destino degli Armeni del Karabakh è una questione fondamentale per porre fine all’ostilità tra i due Paesi. Nessuno ha stabilito qual è il modo migliore”, ha affermato Zaur Shiriyev dell’International Crisis Group.
All’inizio di quest’anno, il patrimonio culturale armeno in Karabakh è stato preso di mira per la cancellazione da un comitato statale a Baku, facendo eco alla distruzione di massa di manufatti culturali armeni nell’exclave azerbaigiana di Nakhchivan. Tutto ciò ha minato la fiducia che gli Armeni abbiano un posto sicuro nella società azera.
In questo clima tossico, i rischi di escalation non sono solo chiari, ma sono esplicite tattiche di pressione. L’Azerbajgian ha minacciato una nuova guerra su larga scala se le sue richieste sul Nagorno-Karabakh non saranno soddisfatte. Tali richieste sono aumentate dalla guerra del 2020 con l’aumento della leva finanziaria dell’Azerbajgian; principalmente, si concentrano sulla piena integrazione del territorio del Karabakh senza uno status protetto per gli Armeni.
La cosa più controversa è che Aliyev ha minacciato di prendere con la forza una striscia di terra attraverso l’Armenia centrale come corridoio extraterritoriale [il cosiddetto “Corridoio di Zangezur”] che collega l’Azerbajgian proprio all’enclave azera di Nakhchivan, così come alla Turchia. La sezione armena verrebbe probabilmente amministrata dalla Russia, dando a Mosca un punto d’appoggio permanente attraverso il territorio armeno e seminando il potenziale per cronici riacutizzazioni della sicurezza lungo il percorso. Potrebbe anche isolare Yerevan, la capitale dell’Armenia, dalle regioni meridionali dell’Armenia, creando scompiglio economico, amministrativo e umanitario.
Le condizioni per la stabilità nel Caucaso meridionale sono crollate e continueranno a peggiorare se vengono lasciate a se stesso. I poteri responsabili devono riconfigurare le dinamiche in modo da garantire pace e prosperità per tutti, senza che nessun Paese mangi il suo vicino a pranzo. La visione della Russia per la regione potrebbe essere quella di un conflitto in corso tra Armenia e Azerbajgian, semplicemente per giustificare la sua presenza di mantenimento della pace e darle un posto più permanente nel punto di congiunzione tra Armenia, Iran e Azerbajgian. Ma a parte questo vantaggio strategico per Mosca, il conflitto costante tra Armenia e Azerbajgian fa male a quasi tutti. Incoraggia il comportamento aggressivo della parte più forte, provoca la perdita di vite umane da entrambe le parti ed erode l’influenza occidentale e la capacità di negoziare un accordo duraturo.
Questo è il momento per l’Occidente di utilizzare le sue significative riserve di capitale non speso, attraverso leve di hard e soft power, per riportare l’Armenia e l’Azerbajgian al tavolo dei negoziati. “Ci sono considerazioni di Aliyev che potrebbero evitare una guerra su vasta scala, ma non è scontato”, ha detto Mamedov. “Ciò che lo fermerebbe è se la comunità occidentale, gli Stati Uniti e l’Unione Europea, inviassero un messaggio molto chiaro che l’Azerbajgian pagherà un prezzo diplomatico ed economico”.
“Bisogna avere un mediatore che sia in grado di costringere o incentivare uno Stato a fare un passo avanti. Non c’è altro modo per farlo”, ha detto Kamal Makili-Aliyev (nessun legame con il Presidente Aliyev), professore associato all’Università di Göteborg che ha scritto un libro che analizza il conflitto Armenia-Azerbajgian. Senza un forte mediatore guida, il risultato sarà un “conflitto senza fine nel Caucaso”.
La pericolosa scivolata verso il conflitto è quella che l’Occidente potrebbe abilmente risolvere. Mentre l’Unione Europea ha facilitato i recenti colloqui di pace, sono ancora gli Stati Uniti a sostenere il peso della posizione occidentale. Washington deve agire come il “supervisore” che mantiene gli sforzi diplomatici sulla buona strada, ha affermato Michael Rubin dell’American Enterprise Institute. Ciò significa maneggiare strumenti che includono la sospensione dell’assistenza militare statunitense a Baku. Gli Stati Uniti hanno fornito 164 milioni di dollari in sostegno alla sicurezza all’Azerbajgian dal 2002 al 2020, senza un controllo sufficiente delle condizioni chiave, come garantire che non fosse utilizzato dall’Azerbajgian per scopi offensivi contro l’Armenia.
Washington dovrebbe anche prendere in considerazione varie sanzioni economiche sul Paese fino a quando Baku non scelga sistematicamente la diplomazia rispetto ai risultati imposti con la forza. “Più di un’opzione nucleare sarebbero le sanzioni Magnitsky globali contro i comandanti militari [azeri], se non contro lo stesso Aliyev e la sua famiglia”, ha detto Rubin. Il Global Magnitsky Human Rights Accountability Act, che il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha autorizzato nuovamente in aprile, consente agli Stati Uniti di prendere di mira individui stranieri coinvolti in violazioni dei diritti umani, congelare i loro beni con sede negli Stati Uniti, limitare l’accesso ai visti statunitensi e bloccare le transazioni commerciali.
La Svizzera potrebbe diventare un custode e garante più esplicito delle Convenzioni di Ginevra, che vengono violate sul campo. L’Unione Europea potrebbe imporre sanzioni mirate, coerenti con il suo impegno per i diritti umani. Abbinando la responsabilità agli incentivi, l’Unione Europea e gli Stati Uniti possono offrire migliori relazioni commerciali se i problemi tra Armenia e Azerbajgian saranno risolti. Baku può essere un partner più responsabile e produttivo per i suoi alleati se frena i comportamenti aggressivi.
Per ottenere un accordo di pace globale nel Caucaso meridionale, i poteri responsabili devono sfruttare gli edulcoranti e le conseguenze per mettere gli Stati su un percorso pacifico. L’Armenia può anche essere spinta ad adottare misure che ha a lungo rinviato, compreso un processo di giustizia di transizione che tenga conto degli abusi e delle violazioni da entrambe le parti in oltre 30 anni di conflitto. Ci vorrà un importante investimento diplomatico, ma c’è un precedente di successo con un tale approccio, anche nei conflitti interstatali di lunga durata. L’investimento ripagherà nel ripristino della sicurezza, rischi radicali evitati e valore sostenibile creato nella regione.
Alla fine, Makili-Aliyev ha detto: “Favorirà tutti i soggetti coinvolti”.
[*] Lara Setrakian è una giornalista e Presidente dell’Applied Policy Research Institute con sede a Yerevan, Armenia.
Il mal di testa dell’Azerbajgian
di Manvel Sargsyan [1] Analyticon [2], dicembre 2022
(Nostra traduzione italiana dal russo)
L’Azerbajgian, per bocca dell’Assistente del Presidente di questo Paese, ha ribadito di non voler discutere con nessuno i problemi degli Armeni che vivono in Nagorno-Karabakh, in primis con l’Armenia. Tale dichiarazione è stata fatta dopo la Dichiarazione del Ministro degli Esteri della Federazione Russa, Sergey Lavrov, secondo cui la stessa Armenia ha riconosciuto il Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbajgian e questo facilita il lavoro nel processo di negoziazione. Dopo tale dichiarazione, è stata immediatamente lanciata una campagna per bloccare la strada Stepanakert-Goris, che è l’unico collegamento tra l’Artsakh e l’Armenia. Questa volta è stata annunciata una nuova ragione per tali azioni dell’Azerbajgian: i problemi ambientali. Tuttavia, gli osservatori non hanno dubbi sul fatto che questa azione sia una continuazione dell’attuazione di intenzioni politiche non mascherate per isolare l’Artsakh ed eliminarlo come focolare armeno.
Queste intenzioni si sono chiaramente manifestate durante l’intensificazione politico-militare di agosto in Artsakh, quando l’Azerbaigian ha emesso un ultimatum alla leadership di Artsakh per riorientare immediatamente il traffico automobilistico verso la nuova strada da esso costruita, aggirando la città di Lachin e liberando gli insediamenti nel Corridoio di Lachin. L’inverosimile “azione di ritorsione” militare che accompagnava questo ultimatum aveva lo scopo di trasmettere alla parte armena la serietà delle sue intenzioni di completare la politica di isolamento e liquidazione dell’Artsakh armeno e l’annessione definitiva di questo territorio. Quindi l’Azerbajgian ha raggiunto i suoi obiettivi con il tacito consenso del contingente di mantenimento della pace russo.
Poiché le azioni dell’Azerbajgian non cambiano affatto il loro carattere e rappresentano una minaccia esistenziale per la sicurezza dei residenti dell’Artsakh, l’analisi delle intenzioni politiche dell’Azerbajgian e la strategia formata dalla sua leadership per raggiungere queste intenzioni rimane un tema caldo. Ha senso comprendere a fondo le origini dei principi di questa politica, le sue risorse e le difficoltà oggettive della sua attuazione.
In questo senso, è necessario sottolineare immediatamente che l’intera politica dell’Azerbajgian si basa sulla negazione dei diritti dell’Armenia sul Nagorno-Karabakh e sull’usurpazione dei diritti degli Armeni, proprietari dei territori contesi. Di conseguenza, il punto centrale delle azioni dell’Azerbajgian si riduce all’isolamento dell’Artsakh dall’Armenia, sia nella sfera della diplomazia mondiale che “sul campo”.
Gli attuali problemi dell’Azerbajgian derivano dal fatto che, nonostante il fatto che dal crollo dell’URSS e dall’internazionalizzazione del problema del Karabakh, l’Azerbajgian abbia sempre cercato di presentare l’essenza del conflitto nell’”occupazione delle terre azere da parte dell’Armenia”, nel campo della diplomazia internazionale, all’Armenia è stato riconosciuto un numero significativo di diritti nel caso che determina il destino del Nagorno-Karabakh. Al popolo dell’ex Oblast Autonoma del Nagorno Karabakh [creata il 7 luglio 1923 all’interno della Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian] è stato riconosciuto il diritto all’autodeterminazione sotto forma di plebiscito con riconoscimento obbligatorio dei suoi risultati da parte di tutti. L’Armenia è stata riconosciuta come parte del conflitto e partecipante alla pari ai negoziati. L’Armenia, in quanto membro dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OCSE) e uno degli 11 membri del Gruppo di Minsk, ha dovuto preparare una conferenza internazionale su base paritaria con tutti gli altri per determinare lo status del Nagorno-Karabakh.
Accettando le proposte del Gruppo di Minsk come base per i negoziati, l’Azerbajgian ha riconosciuto involontariamente tutti i diritti dell’Armenia. La partecipazione al processo di negoziazione per l’Azerbajgian è stato un metodo per scongiurare la potenziale minaccia del riconoscimento internazionale dell’indipendenza del Nagorno-Karabakh. In effetti, l’Azerbajgian si stava preparando per il modo militare di prendere il Nagorno-Karabakh. Negli ultimi decenni, la diplomazia azera si è impegnata a preservare il diritto del suo Paese sul Nagorno-Karabakh. Il successo di tale diplomazia è stata facilitata dalla politica dell’Armenia nei primi giorni dell’indipendenza, quando nel 1991 sono stati riconosciuti l’indipendenza, la sovranità e i confini esistenti dell’Azerbajgian e l’indipendenza del Nagorno-Karabakh non è stata riconosciuta.
Avendo ricevuto il riconoscimento internazionale della propria indipendenza a condizione di accettare l’obbligo di risolvere il conflitto con mezzi pacifici, nel 1992 l’Azerbajgian ha violato tale obbligo e ha usato la forza contro il Nagorno-Karabakh. Tuttavia, le sue azioni aggressive si sono concluse con la sconfitta nella guerra e la completa perdita del Nagorno-Karabakh e di sette regioni adiacenti. Lo status quo allora stabilito, in cui il territorio era sotto il controllo dell’Armenia, e tutti i diritti su questo territorio rimanevano all’Azerbajgian, consentiva a quest’ultimo di presentare la situazione di conflitto a seguito dell’occupazione dei suoi territori da parte dell’Armenia. Tuttavia, quattro risoluzioni delle Nazioni Unite del 1993 richiedevano il ritiro delle truppe armene esclusivamente dai territori adiacenti all’Nagorno-Karabakh, previa cessazione delle ostilità. Sulla base delle disposizioni di tali risoluzioni, il Gruppo di Minsk ha periodicamente presentato progetti di transazione:
A. Consenso dell’Azerbajgian alla conservazione del Corridoio che collega il Nagorno-Karabakh con l’Armenia attraverso il territorio della regione di Lachin.
B. Consenso all’ingresso di un contingente internazionale di truppe di mantenimento della pace nel Nagorno-Karabakh.
C. Riconoscimento dello status temporaneo del Nagorno-Karabakh e organizzazione di un plebiscito sul suo status.
Questa era l’idea della soluzione di compromesso proposta. Ma l’accettazione di tali condizioni ha significato il consenso dell’Azerbajgian alla perdita del Nagorno-Karabakh in modo legale. L’Azerbajgian non ha mai mostrato alcuna intenzione di accettare tali condizioni. L’Armenia non ha compiuto alcuno sforzo per cambiare la situazione attuale e privare l’Azerbajgian dei diritti esclusivi sul Nagorno-Karabakh. In particolare, non è stata riconosciuta l’indipendenza della Repubblica di Nagorno-Karabakh. L’intero complesso dei diritti è rimasto all’Azerbajgian. Di conseguenza, nessuno ha messo in dubbio il diritto di usare la forza militare per ripristinare l’integrità territoriale.
Dal 2010, l’Azerbajgian ha perseguito una politica di formazione di relazioni alleate con la Turchia e una politica di cooperazione tecnico-militare con la Russia. Lo scopo era modernizzare l’esercito azero e coinvolgere questi Paesi nei programmi futuri dell’Azerbajgian per la soluzione militare del conflitto. Nel 2016 è stato testato uno scenario militare. A seguito dei suoi risultati, l’Azerbajgian ha rafforzato la sua posizione e ha rifiutato le richieste del Gruppo di Minsk, prima di tutto, di accettare lo status temporaneo del Nagorno-Karabakh. Pertanto, è stato mostrato il rifiuto delle proposte e di ulteriori “servizi” del Gruppo di Minsk dell’OSCE.
L’Azerbaigian si è rivolta alla Russia e alla Turchia e ha coinvolto questi Paesi nel suo programma di soluzione militare del problema del Nagorno-Karabakh. Nel 2020 è stata condotta un’operazione militare congiunta per distruggere l’esercito di difesa del Nagorno-Karabakh e dividere il territorio della Repubblica di Nagorno-Karabakh in due parti controllate da Russia e Azerbajgian. Le truppe armene furono completamente estromesse dal territorio del Nagorno-Karabakh nei due anni successivi. Tuttavia, l’Armenia ha mantenuto i suoi diritti derivanti dalla dichiarazione congiunta tripartita dei capi di Armenia, Azerbajgian e Russia del 9 novembre 2020. In particolare, sono preservati il diritto di chiedere il ritiro delle truppe russe dal Nagorno-Karabakh, nonché i requisiti per l’Azerbajgian di rispettare gli obblighi previsti dalla dichiarazione congiunta.
Dopo aver ottenuto la maggior parte del territorio del Nagorno-Karabakh, l’Azerbajgian si è reso conto che il problema per loro era presentato dai diritti da loro riconosciuti negli ultimi decenni all’Armenia per risolvere il problema del Nagorno-Karabakh. Questa circostanza ha plasmato la strategia della politica azera al momento. In accordo con questa strategia, l’Azerbajgian ha intrapreso le seguenti azioni:
avanzare l’idea che il conflitto del Karabakh sia risolto e che il problema della protezione dei diritti e della sicurezza degli Armeni del Karabakh sia una questione interna dell’Azerbajgian;
tentare di abbandonare qualsiasi negoziato con l’Armenia sul problema del Nagorno-Karabakh;
tentare di abbandonare del Gruppo di Minsk, dove sussistono i problemi di diritti dell’Armenia e dello status del Nagorno-Karabakh;
rifiutare di firmare il mandato delle forze di pace, che anche l’Armenia deve firmare;
collegare la questione del Corridoio di Lachin con il Corridoio di Zangezur;
strisciante espansione militare e politica nel territorio del Nagorno-Karabakh;
ultimatum alla Russia per il disarmo dell’esercito di difesa dell’Artsakh;
pubblicizzare l’intenzione di rivolgersi alla Corte Internazionale di Giustizia con accuse contro l’Armenia di “uccisioni di massa di Azeri” nella Prima Guerra del Karabakh, nonché con una richiesta di risarcimento danni a seguito dell’”occupazione” del territorio azero;
formazione di meccanismi per il ricatto e la corruzione di rappresentanti dell’élite al potere dell’Artsakh.
Scopo: sconfessare tutti i meccanismi internazionali di influenza sulla politica di isolamento ed eliminazione della popolazione armena del Nagorno-Karabakh e l’annessione definitiva di questo territorio. L’obiettivo intermedio è stabilire il controllo su Stepanakert e costringere la popolazione ad accettare la cittadinanza azera o a lasciare il Paese. A tal fine, l’idea di “criminali di guerra” il cui destino può essere deciso dal sistema giudiziario dell’Azerbajgian è già stata lanciata nella circolazione delle informazioni.
La principale risorsa per portare avanti questa politica è la collusione con la Russia e il sostegno della Turchia. Ulteriori risorse si vedono nelle possibilità di influenzare le posizioni dei Paesi europei attraverso i programmi per la fornitura di risorse energetiche.
Il principale ostacolo all’attuazione della politica dell’Azerbajgian è il fattore Armenia. Non la politica dell’Armenia stessa, ma il fatto dell’esistenza dell’Armenia nell’interesse dei Paesi della regione e delle potenze mondiali. Troppi problemi regionali sono legati all’Armenia e gli interessi delle autorità interessate nel Caucaso meridionale sono troppo contraddittori. Molti ostacoli sono contenuti anche nelle contraddizioni di molte posizioni dell’Azerbaigian con gli Stati Uniti e la Francia, nonché con i suoi vicini, Russia e Iran. Nel caso dell’Iran, si stanno attualmente manifestando tendenze che possono cambiare radicalmente gli equilibri di potere nella regione e attualizzare problemi completamente nuovi per l’Azerbajgian. Le tendenze emergenti di riavvicinamento dell’Iran alla Russia potrebbero anche cambiare la politica di quest’ultima nei confronti dell’Azerbajgian. Apparentemente, questo è ciò che fa precipitare l’Azerbajgian nella questione della soppressione finale del fattore Artsakh.
La trappola “ecologica” dell’Azerbajgian
di Styopa Safaryan [3] Analyticon [2], dicembre 2022
(Nostra traduzione italiana dal russo)
Gli sviluppi che si stanno svolgendo dal 3 dicembre nel Corridoio di Lachin che collega l’Artsakh con l’Armenia sono solo uno strato visibile di processi estremamente complessi e profondi che si svolgono nella regione, o, come si suol dire, la punta dell’iceberg. L’unica strada che collega la non riconosciuta Repubblica di Artsakh attraverso l’Armenia con il mondo esterno è bloccata a causa della “preoccupazione della società civile ambientale” dell’Azerbajgian e della “pacifica azione di protesta”, a seguito della quale circa 120.000 armeni si sono trovati bloccati. In effetti, i gruppi che hanno bloccato il Corridoio di Lachin sulla tratta Shushi-Stepanakert sono solo attori di una messa in scena teatrale, nelle cui file ci sono militari in abiti civili, dipendenti del Ministero dell’Ecologia dell’Azerbajgian e delle forze dell’ordine e rappresentanti di ONG paragovernative, centri di ricerca, al servizio esclusivamente del corso politico di Ilham Aliyev, nonché dei rappresentanti dell’ala giovanile del Partito del Nuovo Azerbajgian. Tuttavia, la profondità dei processi e la portata degli obiettivi di Aliyev per la comunità internazionale sono tutt’altro che limitati a questo. Gli obiettivi sono di portata molto più ampia, fino alla cattura della restante parte armena dell’Artsakh, attraverso la de-armenizzazione e l’”integrazione”, oltre a costringere l’Armenia ad aprire un “corridoio” extraterritoriale verso il Nakhichevan. Il motivo per cui è stato scelto il percorso “ecologico” è uno sfondo davvero notevole.
In risposta alle aspirazioni di coinvolgere l’Unione Europea e le imprese europee nei piani di ricostruzione postbellica dei territori “rioccupati” e nelle iniziative di trasporto e infrastrutture, Ilham Aliyev ha ascoltato personalmente una delle proposte-domanda europee, che è stata annunciato il 18 luglio 2021 a Baku dal Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Quest’ultimo, previo assenso di principio, ha affermato in particolare: “Il partenariato fondato sulla volontà di assumere impegni comuni di dialogo sull’innovazione tecnologica e sui temi economici dovrebbe scaturire dal punto di vista dello sviluppo economico da due proposte dell’Unione Europea – cambiamenti climatici e la rivoluzione digitale, che dovrebbe essere la base dei progetti”.
Questo spiega perché il Presidente dell’Azerbajgian stia cercando di costruire un ambiente “eco-friendly” e costruire villaggi “intelligenti” nei territori bonificati, senza fare lo stesso in altre regioni dell’Azerbajgian. Il segreto sta nel fatto che le aziende occidentali ed europee, di norma, non hanno fretta di investire in territori in cui non è stata stabilita una sicurezza definitiva e a lungo termine e che continuano ad essere “zone di conflitto” o “intorno al conflitto”, non importa come Aliyev affermi che il conflitto è risolto. Inoltre, i Paesi co-Presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE e molti altri Paesi occidentali non hanno riconosciuto la vittoria dell’Azerbajgian, non si sono congratulati con lui, i loro Ambasciatori a Baku si sono rifiutati di partecipare ai “viaggi turistici” organizzati dall’amministrazione Aliyev nei territori occupati.
E così, Ilham Aliyev, cercando di alleviare le circostanze che impediscono il coinvolgimento dell’Unione Europea, si è lanciato in Artsakh e ha iniziato a pubblicizzare ampiamente progetti “verdi”. In particolare, ha iniziato a costruire un “villaggio intelligente” a Zangelan/Kovsakan, vi ha persino reinsediato diverse famiglie, ha aperto il “Centro internazionale di educazione forestale” turco-azerbaigiano, i progetti complessi “Seedling intelligenti” e “Foresta dell’amicizia” nella Regione di Jrakan/Jabrayil. Prima dell’”attacco ecologico” all’Artsakh e al Corridoio di Lachin, il 19 ottobre Aliyev e sua moglie, il Vicepresidente Mehriban, hanno liberato 18 gazzelle nel complesso “Foresta dell’amicizia” a Jrakan/Jabrayil, sottolineando il loro “impegno” per ecologia.
E il 7 dicembre il suo Assistente per le questioni di politica estera e sicurezza, Hikmet Hajiyev, ha organizzato per 150 rappresentanti del corpo diplomatico accreditato a Baku, compreso il Capo della delegazione dell’Unione Europea in Azerbajgian, un tour nella regione di Zangelan, dove ha presentato un progetto per la ricostruzione delle aree di conflitto, le ha scortate in un eco-villaggio “intelligente”, e poi vicino al fiume Voghji ha mostrato le infrastrutture energetiche restaurate, le centrali idroelettriche, lamentando che gli Armeni nell’Artsakh stavano deturpando l’ambiente e i fiumi con l’industria mineraria e i suoi rifiuti. Apparentemente, questo è stato un preludio alla messa in scena delle “proteste ambientaliste” di Lachin per far sembrare tutto “naturale”.
Già la mattina del 3 dicembre, all’incrocio Shushi-Karin della strada Goris-Stepanakert – l’unica autostrada che collega l’Artsakh con l’Armenia, un gruppo di Azeri in abiti civili, con pretesti ambientali, ha prima bloccato l’autostrada Goris-Stepanakert, poi rappresentanti dei Ministeri dell’Ecologia e delle Risorse Naturali dell’Azerbajgian e della società per azioni AzerGold si sono appellati al Comandante del contingente di mantenimento della pace russo, il Generale Volkov, chiedendo che fossero ammessi alla miniera di Kashenskoye per il monitoraggio. A seguito di trattative durate 3 ore a Stepanakert, è stato ripreso il traffico lungo l’autostrada in entrambe le direzioni, il giorno successivo sul territorio della miniera sono finiti “osservatori” azeri accompagnati da caschi blu russi, ma residenti locali e dipendenti della miniera non li hanno fatto entrare.
Quindi, il Generale Volkov ha affermato che per ripristinare il trasporto merci lungo il corridoio Lachin – nessuno era preoccupato per il trasporto passeggeri – durante i negoziati con le parti armena e azera era stato raggiunto un accordo per istituire una mini dogana nel Corridoio di Lachin. In risposta, i funzionari di Stepanakert hanno dichiarato che non esisteva un tale accordo e che non è stato possibile stabilire il checkpoint. A seguito di tutto ciò, nel Corridoio di Lachin è iniziato un nuovo attacco della “società civile ambientale” sotto l’alto patrocinio del Presidente dell’Azerbajgian, la strada è stata bloccata e la fornitura di gas è stata interrotta. Sotto la pressione della comunità internazionale, la fornitura di gas è stata ripristinata e il Corridoio è ancora chiuso.
A quanto pare, Baku non si aspettava una domanda internazionale chiara e mirata per sbloccare il Corridoio. In risposta, Baku ha iniziato ad affermare che non sono stati loro a bloccare il Corridoio, ma le forze di pace russe, e la preoccupazione degli “ambientalisti” è legittima e degna di rispetto. Tuttavia, di conseguenza, al momento, solo le forze di pace russe sono autorizzate a trasportare determinati carichi e di volta in volta aprono loro la strada.
Quanto sopra non solo indica gli obiettivi di vasta portata della strategia di Baku, ma rivela anche tutta la profondità del vuoto di sicurezza nell’Artsakh e la crisi di mantenimento della pace che peggiora di giorno in giorno in condizioni in cui Baku, da un lato, chiede che Mosca “ritorni” il Corridoio Lachin, se non in grado di fare pressione su Yerevan concedere il “Corridoio di Zangezur”, presentandolo come un’intenzione di affrontare le forze di pace russe e sbarazzarsene con le preoccupazioni “ambientali”. D’altra parte, la Baku ufficiale sta cercando di ridurre il processo all’installazione di dogane nel Corridoio di Lachin e alla condivisione del controllo sul trasporto merci con i Russi, oltre a ottenere il diritto a “ispezioni” nell’Artsakh dalla Russia e dall’Occidente.
La reazione internazionale in questa situazione dovrebbe essere estremamente equilibrata, poiché Aliyev ha già dimostrato di non essere assolutamente interessato a soluzioni negoziate, e una reazione consolidata è il modo per prevenire una nuova guerra – non dopo la catastrofe, come in Ucraina, ma prima di essa. A giudicare da tutto, è giunto il momento di applicare sanzioni contro il Presidente dell’Azerbajgian e l’élite di questo Paese, mentre non è ancora troppo tardi.
[1] Manvel Sargsyan è un politologo indipendente di Yerevan. [2] La rivista mensile Analyticon è pubblicata dall’ONG Public Agenda di Yerevan, in collaborazione con lo Stepanakert Press Club, con il sostegno del National Endowment for Democracy (NED). È diretta da Gegham Baghdasaryan. [3] Styopa Safaryan è il Direttore-Fondatore dell’Istituto armeno per gli affari internazionali e le questioni di sicurezza di Yerevan, ex Parlamentare.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-27 18:33:452022-12-30 18:34:40Sedicesimo giorno del #ArtsakhBlockade – Prima parte. L’apparente incapacità del mondo di ascoltare la richiesta di aiuto degli Armeni, porterà a nuove conseguenze atroci. Per loro e per noi tutti (Korazym 27.12.22)
Da un lato, l’escalation di tensioni tra Serbia e Kosovo. Dall’altro, le minacciose esercitazioni militari della Cina nello Stretto di Taiwan. La fine dell’anno sembra voler ricordare al mondo che l’Ucraina potrebbe non essere l’unico campo di battaglia che potrebbe funestare il 2023. Il conflitto tra l’Occidente e la Russia sta già innescando effetti geopolitici a catena, che potrebbero portare a nuove crisi o a rinfocolare quelle in corso da tempo in Asia come nel Medio Oriente e in Africa. Per usare le parole del recente rapporto del Csis, Centro di studi internazionali e strategici con sede a Washington, “il mondo non si sta muovendo verso la pace”.
Serbia-Kosovo
Come dicevamo all’inizio, tra Serbia e Kosovo le tensioni continuano a crescere di giorno in giorno. Gli Stati Uniti e la maggior parte dei Paesi dell’Ue hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo a partire dal 2008, mentre la Serbia ha fatto affidamento su Russia e Cina nel suo tentativo di mantenere la rivendicazione sulla sua ex provincia. La guerra in Ucraina ha ridato slancio alla controversia mai sopita tra i due Paesi dell’ex Jugoslavia. A ottobre, a rinfocolare le tensioni era bastata la minaccia delle autorità di Pristina di non riconoscere le targhe delle auto dei cittadini kosovari di etnia serba, rilasciate da Belgrado. Più di recente, ad accendere gli animi è stato l’arresto di un ex poliziotto sospettato di coinvolgimento in aggressioni in Kosovo contro poliziotti di etnia albanese, che rappresenta la maggioranza della popolazione kosovara.
Dopo questo episodio, si sono registrare diverse sparatorie, l’ultima delle quali avvenuta domenica. Da qui, la decisione del governo di Belgrado, che ha eleveto lo stato di allerta delle forze armate al massimo livello. Come ha detto la premier serba Ana Brnabic, la situazione è sull’orlo di un conflitto armato: il capo dello Stato Aleksandar Vucic avrebbe ordinato un potenziamento delle forze armate speciali, portandone il numero da 1.500 a 5mila.
La crisi nel Nagorno-Karaback
Tra gli effetti indiretti della guerra in Ucraina, c’è anche la nuova crisi del Nagorno-Karaback, la regione contesa da Azerbaigian e Armenia. Già in estate, le tensioni tra Baku e Erevan avevano raggiunto un nuovo picco, con degli attacchi dell’esercito azero in pieno territorio armeno. Con la stretta sulle importazioni attraverso i gasdotti russi, l’Ue ha aumentato quelle provenienti dall’Azerbaigian, Paese che gode anche del sostegno della Turchia. L’Armenia, invece, ha fatto finora affidamento sul supporto di Mosca, chiaramente indebolito dallo sforzo bellico contro Kiev. Per questo, Erevan teme che Baku voglia sfruttare il momento positivo per sferrare un attacco nel Nagorno-Karaback e prenderne pieno controllo. L’eventuale azione militare potrebbe arrivare in primavera: un indizio sarebbero i blocchi stradali dei soldati azeri denunciati dall’Armenia in questi giorni, che starebbero impedendo i rifornimenti di Erevan alla comunità armena nel Nagorno-Karaback.
Taiwan
Il confronto tra Occidente e Russia sull’Ucraina è stato fin da subito allargato alle tensioni tra Usa e Cina intorno a Taiwan. Il presidente Joe Biden ha avvertito gli alleati europei della Nato che prima o poi gli Stati Uniti potrebbero concentrare i loro sforzi sul Pacifico, lasciando all’Ue il compito di fare i conti con le turbolenze sul fronte orientale del Vecchio Continente. La domanda per gli esperti non è tanto “se” questo scenario si realizzerà mai, ma piuttosto “quando” avverrà. Secondo l’Atlantic council, ci sono molti indizi perché nel 2023 si possa verificare una grave crisi sullo Stretto di Taiwan. Una “possibile scintilla” potrebbe essere il nuovo slancio anti-Pechino del Congresso Usa, a maggiore trazione repubblicana.
In questo caso, scrive l’Atlantic council, “la reazione della Cina andrebbe probabilmente ben oltre ciò che ha fatto dopo la visita di Pelosi”, che includeva, tra l’altro, il lancio di missili balistici vicino a Taiwan e lo svolgimento di esercitazioni militari nelle acque intorno all’isola. Ma difficilmente si arriverà a un’aggressione vera e propria dell’esercito di Pechino, e dunque a un conflitto vero e proprio: “Qualunque sia la risposta dei leader cinesi, il risultato sarà una nuova – e più conflittuale – normalità”, prevedono gli esperti del think tank. Secondo l’Economist, questa “nuova normalità” potrebbe avere ricadute sul Giappone: “È più probabile che la Cina provochi una crisi attorno alle contese isole Senkaku del Giappone (chiamate isole Diaoyu dalla Cina) che attorno alla stessa Taiwan”, scrive l’Economist. A ogni modo, gli esperti concordano che le tensioni sull’asse Washington-¨Pechino saliranno di livello. E l’Europa dovrà trovare una strada per non finire stritolata da una sorta di “guerra fredda” a colpi di protezionismo commerciale tra i due giganti.
Asia (e Iran)
Restando in Asia e in tema di guerre fredde, come non citare le tensioni tra le due Coree, con il dittatore Kim Jong Un che, nel 2023, potrebbe sfruttare l’asse con Cina e Russia per rilanciare le sue minacce nucleari. C’è poi il confine conteso nell’Himalaya tra Cina e India, che secondo l’Economist potrebbe tornare a essere foriero, se non di scontri, almeno di scaramucce tra due leader, Xi Jinping e Narendra Modi, i cui “rapporti personali un tempo cordiali (..) sono diventati gelidi”.
Altra area calda è senza dubbio l’Iran: qui, le proteste della popolazione contro il governo durano da oltre 100 giorni. Scoppiate dopo la morte di Mahsa Amini, ragazza di 22 anni che sarebbe stata uccisa in carcere dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente il velo, le manifestazioni sono state represse nel sangue da Teheran. Una situazione che ha portato l’Occidente a rinnovare le sanzioni contro il regime iraniano proprio quando alcuni esperti indicavano la possibilità di un ritorno ai colloqui sul nucleare. Il risultato indiretto è che, secondo l’Atlantic council, “nel 2023 è molto probabile che l’Iran superi il punto di non ritorno e diventi de facto uno Stato dotato di armi nucleari. Esperti esterni stimano che il tempo di corsa dell’Iran (il tempo necessario per produrre uranio per uso militare pari a una bomba) si sia ridotto a poche settimane. Mentre l’Iran continua a intensificare il suo programma nucleare, questa tempistica si ridurrà presto a zero”. Cosa faranno gli Stati Uniti? Difficile dirlo: diversi leader di Washington, tra cui l’attuale Joe Biden, non hanno escluso un eventuale intervento militare per fermare la corsa al nucleare dell’Iran. Pare però improbabile che gli Usa ricorrano a questa opzione nel 2023, dicono sempre gli esperti dell’Atlantic council.
Medio Oriente e Africa
Se c’è un continente del globo lacerato da conflitti (latenti e non) di lunga durata, quello è senza dubbio l’Africa. Secondo il rapporto del Csis, i centri di maggiore instabilità del 2023 potrebbero essere la Libia e l’Algeria. C’è poi la situazione nel Congo, che desta sempre più preoccupazione. Ma anche la possibile formazione di una sorta di “ponte del terrorismo” tra il mar Rosso e l’Atlantico: secondo Rama Yade dell’Africa center, i movimenti jihadisti stanno sfruttando l’instabilità di diversi Paesi dell’Africa occidentale, in particolare in Burkina Faso e in Mali, e allargando il raggio d’azione, come dimostrerebbero i recenti attacchi in Benin, Costa d’Avorio e Togo. “Questi jihadisti, legati ad al-Qaeda e allo Stato islamico, cercano di controllare un’estensione di territorio che si estende dal mar Rosso alla costa atlantica dell’Africa. Ciò garantirebbe loro l’accesso alle rotte del traffico di droga dal Sud America, che fornirebbe una fonte sostanziale di entrate per le loro guerre”, scrive Yade. Una situazione che diversi esperti ritengono possa comportare il rischio di una “africanizzazione del jihadismo” già nel prossimo anno, che a sua volta alimenterebbe guerre civili nuove o già in corso.
In Medio Oriente, invece, la guerra civile in Yemen potrebbe incancrenirsi, e portare a un nuovo conflitto, avverte l’International rescue committee. Senza dimenticare le mosse della Turchia nelle aree curde in Siria e Iraq: anche in questo caso, Ankara potrebbe sfruttare il peso geopolitico assunto nell’ambito del conflitto in Ucraina per lanciare un assalto in queste regioni e infliggere un colpo a gruppi definiti “terroristici” dalle autorità turche. Per Recep Erdogan potrebbe essere un modo per riprendere quota nei sondaggi in vista delle elezioni presidenziali del giugno 2023, l’appuntamento elettorale forse più importante dell’anno che verrà.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-27 18:31:482022-12-30 18:33:21Non solo Ucraina: le guerre che potrebbero funestare il mondo nel 2023 (Today 27.12.22)
Pashinyan ha informato Putin della perdita di controllo da parte delle forze di pace russe sul corridoio Lachin.
Nell’ambito dell’incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, quest’ultimo ha annunciato che le forze di pace russe non controllano più il corridoio di Lachin. Secondo Pashinyan, il controllo sul corridoio Lachin è stato perso 20 giorni fa.
“Questa è la zona di responsabilità delle forze di pace russe nel Nagorno-Karabakh. E voglio ricordarvi che, secondo la dichiarazione tripartita dei presidenti di Russia, Azerbaigian e Primo Ministro dell’Armenia, il corridoio di Lachin dovrebbe essere sotto il controllo delle forze di pace russe. La Repubblica dell’Azerbaigian ha garantito il passaggio senza ostacoli di passeggeri e merci lungo il corridoio Lachin. E ora si scopre che il corridoio di Lachin non è sotto il controllo delle forze di pace russe”.- ha affermato il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan.
Al momento, la situazione nel corridoio di Lachin è davvero estremamente difficile, poiché l’unica strada per il Karabakh è completamente bloccata: solo i veicoli della Croce Rossa Internazionale la attraversano.
A sua volta, va notato che la situazione nella regione si sta surriscaldando a causa delle provocazioni dell’Armenia, il che non fa che aggravare la situazione con il blocco dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-27 18:30:242022-12-30 18:31:18Pashinyan: le forze di pace russe non controllano più il corridoio di Lachin (Avio.pro 27.12.22)
«Il Figlio dell’Altissimo sostenga l’impegno della comunità internazionale e dei Paesi coinvolti a proseguire il cessate-il-fuoco nel Nagorno-Karabakh, come pure nelle regioni orientali dell’Ucraina, e a favorire il dialogo quale unica via che conduce alla pace e alla riconciliazione». Lo ha ricordato papa Francesco nella Benedizione natalizia urbi et orbi. Alla sua voce si aggiunge quella di circa 200, fra artisti, giornalisti ed intellettuali francesi, in una petizione pubblicata su Le Figaro il 23 dicembre. Hanno firmato, fra gli altri, Sylvain Tesson, Carole Bouquet, Philippe Katerine, Michel Onfray e Alexandre Del Valle, ricordando appunto la grave situazione umanitaria nella Repubblica dell’Artsakh, dove, dal 12 dicembre scorso, gli azeri per presunte “ragioni ambientali” hanno bloccato la porzione di terra di circa nove chilometri di larghezza che rappresenta l’unico collegamento tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh. Pubblichiamo di seguito una nostra traduzione di lavoro della petizione promossa dagli intellettuali francesi. Perché non si dimentichi nessuna guerra. (L.B.)
«In questo periodo natalizio in cui ci uniremo ai nostri cari, in cui gioiremo nel celebrare la famiglia oltre ogni confine religioso, in cui molti di noi avranno forse un pensiero per chi è solo o soffre, ricordiamoci come gli Armeni del Nagorno-Karabakh, sono stati tagliati fuori dal resto del mondo da quasi due settimane dall’Azerbaigian.
In un momento in cui i nostri figli scopriranno i loro doni, i genitori dei 30.000 bambini del Nagorno-Karabakh aspireranno a una sola cosa: preservare la loro vita, il loro futuro in queste alte montagne dove sono nati i loro antenati più di duemila anni fa, e salvarli dalla lenta asfissia.
Dopo la guerra, dopo le bombe al fosforo, le torture, che hanno frantumato tante vite nel 2020, questa è proprio l’ultima perversione concepita dalla dittatura azera: bloccare il corridoio di Lachin, unica via di accesso per gli armeni dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh verso l’esterno. Conseguenza: famiglie separate, carenze che peggiorano di giorno in giorno, assenza di assistenza medica che è già costata una vita e minaccia diversi pazienti in terapia intensiva, compresi i bambini.
I nostri desideri che gli abomini del XX secolo non si ripetessero mai più nel nostro non erano altro che desideri pii e irenici.
Mirabile il coraggio di queste persone piene di dignità che non si lasciano prendere dal panico e si organizzano, perché resistono e resisteranno fino alla fine. Ma contano su di noi e non possiamo sfuggire alla loro chiamata. Strano Natale 2022. Celebriamo la nascita nella paglia di un re della povertà che è venuto a portare agli uomini il calore della sua luce. È questa data che è stata scelta da un dittatore del petrolio che per qualche punto di crescita di produzione sceglie deliberatamente di far precipitare una popolazione nella notte e nel freddo.
Quale futuro offriremo ai nostri figli, se diamo ragione alla dittatura, alla barbarie, contro una delle nostre civiltà più antiche, contro un popolo fraterno, legato a noi da secoli, contro un popolo ponte che ha sempre contribuito al dialogo tra le culture?
Cosa penseranno i nostri figli, su quali valori sapranno costruirsi, se lasciamo che accada di nuovo l’impensabile? Sì, ripeterà. L’indifferenza, le proteste platoniche, autorizzano gli aggressori di oggi a dichiararsi spudoratamente i carnefici del 1915, loro sinistra eredità, a usare gli stessi metodi per porre fine a coloro che detestano, perché si assomigliano.
Così i nostri auspici che mai gli abomini del XX secolo si ripetano nel nostro erano solo auspici pii e irenici . Quindi in questo mondo i malvagi trionfano sempre finché hanno cose da vendere e fornire ai loro vicini.
L’anima degli armeni abita infatti i nostri capolavori dell’arte romanica, l’influenza della nostra cultura fino ai confini dell’Oriente, il pensiero dei nostri filosofi dell’Illuminismo, la poesia romantica, le nostre lotte per la giustizia, le nostre melodie di fisarmonica, il mazzo di tulipani che potresti offrire sabato sera.
Ricordiamoci infine che se sappiamo del Natale, gli armeni c’entrano senza dubbio, loro che dal V secolo ci mandarono i loro pellegrini, loro che ci regalarono il pan di zenzero che guarnirà le nostre tavole e il nome del Magi.
Ricordiamoci e, soprattutto, mobilitiamoci. Dalle nostre coscienze unite, dalle nostre voci unite, da tutti i modi in cui ciascuno di noi si opporrà al dramma che si sta svolgendo, potremo preservare la vita dei 120.000 armeni del Nagorno-Karabakh».
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-27 18:29:012022-12-30 18:30:04«Bisogna salvare i 120.000 armeni dell’Artsakh!». Petizione dalla Francia (Il Timone 27.12.22)
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