L’appello alla comunità internazionale: «Senza gas, cibo e medicine: siamo isolati, il mondo intervenga»
Testo e foto di Roberto Travan
Si aggrava la situazione dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, nel Caucaso meridionale. L’intera popolazione – 120.000 abitanti di cui un terzo sono bambini – dal 12 dicembre non può più uscire dal Paese perché l’Azerbajian ha chiuso l’unica via di accesso. Il collegamento con l’Armenia da oltre dieci giorni è infatti bloccato da sedicenti ambientalisti azeri che hanno occupato il corridoio di Lachin. Tra essi, come hanno documentato fonti indipendenti, appartenenti alle forze speciali azere e membri dei Lupi Grigi, formazione terroristica radicata in Turchia, Paese che due anni fa aveva sostenuto militarmente l’offensiva azera contro l’Artsakh; anche noti personaggi riconducibili a fondazioni finanziate dalla famiglia del presidente Aliyev.
Il contingente russo – che dovrebbe vigilare l’intera linea di contatto tra Artsakh e Azerbajian in base agli accordi di cessate il fuoco firmati il 9 novembre 2020 – finora non è riuscito a liberare l’unica strada attraverso la quale giungevano quotidianamente rifornimenti di cibo, medicine e carburante. La situazione è gravissima perché gli azeri negli scorsi giorni hanno anche sospeso le forniture del gas dopo aver da tempo ridotto significativamente quelle dell’acqua potabile. Il Paese è insomma isolato, allo stremo, e difficilmente riuscirà a superare indenne l’inverno se nei prossimi giorni non saranno ripristinati i collegamenti.
Dopo gli appelli alla comunità internazionale da parte dei ministri degli Esteri di Armenia e Artsakh e quello dei rispettivi Difensori dei diritti umani, ora a lanciare l’allarme è Ruben Vardanyan, ministro della piccola Repubblica: “Siamo sull’orlo di una catastrofe umanitaria, abbiamo bisogno del vostro aiuto: l’Azerbajian vuole che gli armeni cedano alle sue richieste e sta cercando ogni scusa per violare ulteriormente i diritti del mio popolo”.
Vardanyan non ha dubbi: “Il comportamento di Baku prova che non è interessato ad offrire alcuna sicurezza e protezione alla nostra popolazione”.
I blocchi in corso, secondo molti osservatori, potrebbero essere l’ultimo passo per la totale occupazione dell’Artsakh, iniziata nel 2020 con la sanguinosa Guerra dei 44 giorni che aveva causato oltre 7000 morti e più di 100.000 sfollati. Ora, chiudendo l’unica via di accesso alla capitale Stepanakert, l’enclave armena verrebbe definitivamente costretta alla capitolazione e i suoi abitanti costretti alla fuga. Il ministro degli Affari Esteri dell’Artsakh, Davit Babayan, ha nuovamente ammonito “che l’assenza di una reazione adeguata da parte della comunità internazionale potrebbe essere la causa di nuovi tragici sviluppi”. Purtroppo gli appelli al Consiglio di Sicurezza dell’Onu e al Gruppo di Minsk dell’Osce fino a questo momento non hanno sortito reazioni. Nel frattempo l’Azerbajian continua impunemente a soffocare e a minacciare l’Artsakh: le scorte di cibo sono agli sgoccioli, decine di malati gravi non possono essere curati perché le medicine scarseggiano ed è impossibile trasferirli negli ospedali armeni, chiuse tutte le scuole, a secco le scorte di carburante. Il resto lo farà il rigido inverno del Caucaso.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-22 21:00:512022-12-23 21:03:36Caucaso, Repubblica dell’Artsakh allo stremo, l’Azerbajian potrebbe lanciare l’ultima offensiva (La Stampa 22.12.22)
’Armenia (e l’Artsakh), essendo un Paese che è legato da sempre all’Unione Sovietica prima e alla Federazione Russa poi, ha pagato carissimo ogni suo tentativo di occidentalizzazione, considerando che la sicurezza dei suoi confini è in qualche modo garantita solo dai russi. L’intervento di Antonia Arslan e Vittorio Robiati Bendaud
Hanukkah è tempo di resistenza e di coraggio. E questi sono i giorni santi di Hanukkah.
Rachel Margolis, la bibliotecaria del ghetto di Vilnius durante l’imperversare della persecuzione nazista, racconta che nel ghetto c’era la lista d’attesa per poter leggere I Quaranta giorni del Musa Dagh di Franz Werfel, l’opera che narra la persecuzione e il genocidio degli armeni nell’Impero ottomano tra il 1915 e il 1922. Gli ebrei, perseguitati e segregati, leggevano questo romanzo perché “descriveva sorti simili alle nostre in quel tempo”, nel disinteresse e nel silenzio del mondo libero.
Hershel Rosenthal nell’organizzare la resistenza, a ogni costo, del ghetto di Bialistok, disse: “L’unica opzione che ci è rimasta è fare di questo ghetto il nostro Musa Dagh, aggiungendo un ultimo onorevole capitolo alla storia della Bialistok ebraica e al nostro movimento, la Shomer HaTzaìr”. Mordechai Tenenbaum scriveva, il 23 marzo 1943, che lo spirito dei resistenti armeni del Musa Dagh animava lui e i suoi compagni nel resistere alle vessazioni naziste.
L’Armenia soffre da anni, specie nella regione dell’Artsakh, territorio conteso nelle montagne e abitato da armeni, le continue aggressioni turche e azere, congiuntamente. Dalla pandemia a oggi, strategicamente, è stata colta ogni occasione per attaccarli, nel silenzio assordante del mondo libero.
In queste ore la situazione è precipitata ulteriormente ed è stato chiuso il Corridoio di Laçhin, l’unica strada che collega tale regione autonoma con l’Armenia. Questi armeni di montagna sono stretti in una morsa mortale, isolati senza transito di beni e servizi, con l’immediata possibilità di una catastrofe umanitaria. L’Armenia (e l’Artsakh), essendo un Paese che è legato da sempre all’Unione Sovietica prima e alla Federazione Russa poi, ha pagato carissimo ogni suo tentativo di occidentalizzazione, considerando che la sicurezza dei suoi confini è in qualche modo garantita solo dai russi.
Stante l’odierna situazione internazionale, e la guerra russo-ucraina, il rischio reale è il totale disinteresse delle democrazie occidentali al riguardo, dato che ciò espone tutti a un ginepraio immenso. Un popolo, quello armeno, che soffre, ignorato per calcolo e comodità, esposto al costante rischio di essere fatto scomparire (dopo aver patito un genocidio!) in un assordante e ubiquo silenzio. L’indifferenza strumentale e colpevole dell’Occidente, unita alle ciniche strategie caucasiche di Putin.
Erdogan lo sa benissimo, eccezionale e attendista stratega qual è, erede di secoli di diplomazia ottomana -differentemente dagli improvvisati e sgangherati occidentali-, specie ora che si è ritagliato un ruolo geopolitico straordinario, concessogli dall’Occidente. E lo sanno beni gli azeri, che ci possono ricattare con il gas, e noi tutti soffriamo molto il freddo, ‘sicuri nelle nostre tiepide case’. In primo luogo, il freddo gelido dell’assenza di idee decenti che animino la vita individuale e di società libere e democratiche.
Per gli armeni c’è una nuova possibilità di sconfitta; o la necessità di chinare il capo dinanzi agli eredi di coloro che ne fecero già carne da macello, mai condannati e mai rinnegati; o, ancora, la possibilità, molto concreta, di un’ulteriore pulizia etnica.
Dobbiamo intervenire, e subito, a favore degli armeni. Scuotiamo le nostre coscienze e reagiamo! Non è tollerabile che questo piccolo e antico popolo nuovamente debba patire umiliazione, terrore e morte e non è possibile che, ancora una volta, i loro aguzzini, eredi dei loro trisavoli, la facciano franca e imperversino, giostrando con abilità e ricatti le diplomazie occidentali, purtroppo tutt’altro che innocenti.
Oggi bisogna difendere, a ogni costo, questi armeni di montagna, questo contemporaneo Musa Dagh, il che significa, a ben vedere, difendere anche noi stessi e la libertà.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-21 21:14:022022-12-23 21:14:51Appello per gli armeni, isolati e nuovamente vittime (Formiche 21.12.22)
BERLINO – L’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh con l’Armenia è stata bloccata dal 12 dicembre 2022, interrompendo l’accesso a beni e servizi essenziali per decine di migliaia di armeni etnici che vivono lì. La notizia è stata diffusa oggi da Human Rights Watch (Hrw). La strada bloccata impedisce anche ai residenti del Nagorno-Karabakh di lasciare la regione. Oltre un migliaio di persone sono bloccate da una parte o dall’altra, non sono in grado di raggiungere le loro case. Tra loro ci sono decine di bambini che si erano recati nella capitale dell’Armenia, Yerevan, in gita scolastica, e ora non possono tornare ai loro genitori e alle loro case.
Il rischio di serie conseguenze umanitarie. “Il blocco prolungato dell’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh al mondo esterno – ha detto Hugh Williamson, direttore per l’Europa e l’Asia centrale di Human Rights Watch – potrebbe portare a terribili conseguenze umanitarie. Indipendentemente da chi sta bloccando la strada, le autorità dell’Azerbaigian e la forza di pace russa dispiegata lì dovrebbero garantire che l’accesso rimanga aperto, per consentire la libertà di movimento e garantire alle persone l’accesso a beni e servizi essenziali. Più lunga è l’interruzione di beni e servizi essenziali, maggiore è il rischio per i civili”.
Le proteste degli azeri. Dalla mattina del 12 dicembre, diverse decine di azeri hanno manifestato sulla strada di Lachin, chiedendo l’accesso ai siti minerari nelle aree sotto il controllo delle autorità de facto nel Nagorno-Karabakh, l’enclave separatista popolata da armeni in Azerbaigian. Sostengono che le autorità de facto stanno sfruttando illegalmente i giacimenti di oro e rame molibdeno e utilizzando la strada Lachin per trasportare quei minerali in Armenia. I manifestanti hanno eretto tende lungo la strada e hanno continuato le loro azioni tutto il giorno. Nel corso della scorsa settimana, hanno espresso altre lamentele, tra cui richieste di istituire posti di blocco doganali ufficiali dell’Azerbaigian lungo il corridoio di Lachin.
Il ruolo delle forze di pace russe. Le forze di pace russe, che hanno sorvegliato la strada dalla fine della guerra del 2020 tra Armenia e Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh, hanno anche barricato la strada per prevenire un’ulteriore escalation della situazione se le persone radunate dovessero avanzare verso le miniere nelle aree controllate dal Nagorno-Karabakh. L’Azerbaigian nega di essere responsabile della chiusura della strada. Secondo Gegham Stepanyan, il difensore civico della regione che importa circa 400 tonnellate di beni essenziali al giorno dall’Armenia, come cibo, prodotti per l’igiene, farmaci, articoli per la casa e altri articoli che sono vitali per i bisogni umanitari dei civili. La strada è anche utilizzata per importare carburante, diesel e benzina.
“Lasciare libero passaggio ai beni umanitari”. Mentre la strada rimane chiusa per il pubblico in generale e il trasporto di merci, secondo alcuni resoconti dei media, diversi camion russi per il mantenimento della pace che presumibilmente contenevano beni umanitari sono stati autorizzati a passare, anche se non è chiaro a chi siano destinati i beni. Stepanyan ha detto a Human Rights Watch che i beni non erano destinati al pubblico nel Nagorn-Karabakh. Almeno un paziente gravemente malato è stato trasferito a Yerevan con la mediazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Coloro che hanno il controllo della strada e dell’area circostante – cioè le autorità dell’Azerbaigian e la forza di pace russa – dovrebbero garantire che i veicoli con beni umanitari possano passare e che la libertà di movimento non venga fermata, ha detto Human Rights Watch.
L’interruzione del gas del Nagorno-Karabach. Sia che i manifestanti abbiano reali preoccupazioni ambientali o altre rimostranze, l’Azerbaigian dovrebbe facilitare il diritto alla protesta pacifica interagendo con i manifestanti in modo da garantire che la strada rimanga aperta e che la protesta non neghi ai residenti del Nagorno-Karabakh i loro diritti di accesso a servizi e beni essenziali e alla libertà di movimento. La situazione umanitaria è stata ulteriormente aggravata da un’interruzione del gas naturale che viene fornito al Nagorno-Karabakh attraverso un gasdotto che va dall’Armenia attraverso le aree controllate dall’Azerbaigian. L’interruzione, iniziata il 13 dicembre, ha spinto le autorità de facto ad annunciare la chiusura delle scuole a causa delle condizioni meteorologiche invernali. La compagnia statale del gas azera ha dichiarato che l’Azerbaigian non ha alcuna responsabilità per l’interruzione. La fornitura di gas è stata ripristinata il 16 dicembre.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-21 21:05:342022-12-23 21:06:35Azerbaigian, chiusa l'unica strada che collega il Nagorno-Karabakh con l'Armenia: bloccati beni e servizi essenziali per decine di migliaia di persone (Repubblica 21.12.22)
“I timori armeni di un nuovo genocidio contro di loro non possono essere ignorati considerando il contesto determinato dal blocco dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh”. Così si legge nella lettera che la Conferenza delle Chiese europee (Kek) e il Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc) hanno congiuntamente inviato all’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, denunciando il blocco da parte dell’Azerbaigian della regione di etnia armena dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. Si parla di “violazione dell’accordo tripartito che ha posto fine alla guerra delle sei settimane del 2020, del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani e dei più fondamentali principi morali”.
Il corridoio umanitario di Lachin
Ostruendo il corridoio umanitario di Lachin e tagliando le forniture di gas alla regione proprio all’inizio dell’inverno, l’Azerbaigian – si legge nella lettera, diffusa alla stampa dai due organismi e riportata dal Sir – “sta deliberatamente creando un’emergenza umanitaria per i 120 mila residenti di etnia armena”. La lettera è firmata dal segretario generale della Kek, Jørgen Skov Sørensen e dal Segretario generale ad interim del Wcc Rev. Ioan Sauca. Secondo la Kek e il Wcc, quanto accade “segue un chiaro modello di comportamento dell’Azerbaigian che contraddice qualsiasi pretesa di buona volontà e responsabilità umanitaria”. La lettera rileva anche prove crescenti di gravi violazioni dei diritti umani contro gli armeni da parte delle forze militari e di sicurezza dell’Azerbaigian. “In queste circostanze, i timori di un nuovo genocidio sono notevolmente e comprensibilmente esacerbati”.
Le conseguenze del blocco
Il blocco impedisce il transito di merci e persone; alcuni malati gravi ricoverati all’ospedale repubblicano di Stepanakert e in procinto di essere trasferiti ai nosocomi di Yerevan non possono essere spostati con gravi conseguenze per la loro salute. La lettera esorta l’UE a perseguire tutte le possibili iniziative diplomatiche per garantire che l’Azerbaigian riapra il corridoio di Lachin e fornisca poi adeguate garanzie perché rimanga aperto. “Inoltre, vi chiediamo di fare tutto ciò che è in vostro potere per garantire l’estensione del mandato dell’attuale missione di monitoraggio dell’UE al confine tra Armenia e Azerbaigian includendo il corridoio di Lachin, al fine di fornire un monitoraggio civile indipendente della situazione lungo il corridoio”.
La preoccupazione di Papa Francesco
Domenica scorsa all’Angelus, Papa Francesco ha espresso forte preoccupazione per la situazione creatasi nel Corridoio di Lachin, nel Caucaso meridionale. “In particolare – ha detto – sono preoccupato per le precarie condizioni umanitarie delle popolazioni che rischiano ulteriormente di deteriorarsi nel corso della stagione invernale”.
La voce del Catholicos della Chiesa armena, Aram I
Sulla vicenda è intervenuto nei giorni scorsi anche Sua Santità Aram I, Catholicos della Chiesa armena che in una nota ha denunciato: “L’Azerbaigian ha tagliato la fornitura di gas dall’Armenia all’Artsakh, lasciando questa popolazione isolata con scorte in diminuzione, che lottano per sopravvivere – senza riscaldamento – in condizioni invernali sotto lo zero. Ospedali, scuole e servizi sociali non sono in grado di funzionare correttamente; la prospettiva diventa minacciosamente cupa. Si sta verificando una terribile catastrofe umanitaria, specificamente progettata per eliminare la popolazione armena dell’Artsakh”. “Stiamo assistendo – scrive Aram I – a passi deliberati e concreti verso la pulizia etnica e il genocidio della popolazione armena dell’Artsakh”.Da qui l’appello ai “governi mondiali”, ai leader spirituali, a politici e attivisti per i diritti umani a “non rimanere indifferenti al destino del popolo armeno, ancora una volta sull’orlo del genocidio”.
In campo sono scese anche l’Œuvre d’Orient (associazione cattolica francese nata a sostegno delle comunità cristiane del vicino e medio Oriente) e la Comunità armena di Roma. Quest’ultima si è rivolta alle “istituzioni italiane” chiedendo che “i diritti degli armeni dell’Artsakh (alla libertà di movimento, all’autodeterminazione, alla vita, alla libertà) siano rispettati come previsto dalle convenzioni internazionali”. Il Nagorno-Karabakh è una regione nel sud del Caucaso tra Armenia e Azerbaigian che si sono scontrati militarmente tra il gennaio 1992 e il maggio 1994. Da allora, tra diverse vicende, le zone di confine tra il Nagorno-Karabakh e l’Azerbaigian rimangono di fatto militarizzate in un regime di “cessate il fuoco” spesso violato.
Fronteggiando il contingente russo di pace, sedicenti ambientalisti azeri stanno provocando da dieci giorni il blocco dell’unica strada che dal Nagorno-Karabakh conduce in Armenia. Erevan denuncia: «È in corso una crisi umanitaria».
Dalla mattina del 12 dicembre centinaia di cittadini azeri, presentatisi come militanti ecologisti in protesta contro presunte attività illegali di estrazione mineraria nel territorio del Nagorno-Karabakh, hanno reso inagibile il solo collegamento esistente tra la regione a maggioranza armena, situata all’interno dell’Azerbaigian, e l’Armenia.
Le autorità azere, con una notevole acrobazia dialettica, negano che il blocco sia esercitato dai manifestanti, ma piuttosto dai soldati di Mosca, schierati nell’area come stabilito dall’accordo di cessate il fuoco che ha messo fine alla guerra del 2020. Sta di fatto che gli attivisti hanno montato delle tende e rifiutano di andare via fino a quando i militari russi non permetteranno loro di entrare nelle terre abitate dagli armeni per poter ispezionare i giacimenti al centro della contestazione. In particolare, le miniere di oro e rame di Gyzylbulag, Drmbon per gli armeni, e Demirli/Kashen. Secondo quanto sostiene Baku, le risorse estratte in spregio alle normative ambientali in quello che è riconosciuto internazionalmente come un territorio dell’Azerbaigian sarebbero trasportate indebitamente in Armenia.
Cionondimeno, l’indipendente e autorevole sito Eurasianet, tra gli altri, ha riportato come gli slogan ecologisti abbiano presto lasciato il posto a canti nazionalisti. Alcuni «ambientalisti» sono stati ripresi mentre si esibivano nel saluto del movimento estremista turco dei Lupi grigi. Un’inchiesta del servizio armeno di Radio Free Europe(RFE/RL) ha rivelato come quasi nessun manifestante possa vantare esperienze precedenti nell’eco-attivismo, ma molti di loro abbiano pronunciate simpatie governative, avvalorando le accuse di Erevan, secondo cui si tratterebbe di una messa in scena pretestuosa. Da parte armena, c’è timore che queste «azioni provocatorie» si inseriscano in un disegno più ampio volto a indurre una ripresa delle ostilità.
I sedicenti ambientalisti domandano inoltre l’istituzione di checkpoint azeri lungo la strada che porta in Armenia. Una richiesta inaccettabile per le autorità dell’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh, anche conosciuta come Artsakh.
La crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh
«Da otto giorni», ha scritto lunedì su Twitter il premier armeno Nikol Pashinyan «il corridoio di Lachin è stato chiuso dall’Azerbaigian, la gente del Nagorno Karabakh è bloccata per strada al freddo, famiglie si trovano su lati diversi dello sbarramento e cittadini con gravi problemi di salute sono privati dei medicinali e dell’assistenza sanitaria». Tra il 13 e il 16 dicembre è stata interrotta anche l’erogazione del gas. L’Artsakh dipende da Erevan per la fornitura di farmaci, cibo, benzina e altri beni di prima necessità, che ora stanno iniziando a scarseggiare.
La sospensione del collegamento tra Stepanakert, capitale dell’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh, e la città armena di Goris viola l’accordo di tregua firmato il 9 novembre del 2020 dai due belligeranti più Mosca, secondo cui l’Azerbaigian è tenuto a «garantire la circolazione sicura di cittadini, veicoli e merci in entrambe le direzioni del corridoio», la cui protezione è affidata alle forze di pace della Federazione russa.
La diplomazia coercitiva di Baku
Il corridoio di Lachin era stato già bloccato lo scorso 3 dicembre con analoghe motivazioni, ma era stato riaperto dopo poche ore. Incontri tra esponenti del governo azero e del contingente di mantenimento della pace si sono svolti nel comando dei peacekeeper a Khojali/Ivanyan, nelle terre popolate dagli armeni: non accadeva da decenni che membri delle istituzioni azere entrassero nelle aree controllate dall’Artsakh. Secondo l’agenzia azera APA, in quell’occasione «è stata avviata la stesura di una tabella di marcia per lo svolgimento di lavori con la partecipazione del ministero dell’Ambiente» nelle zone dove sono situati i giacimenti. Ma il 10 dicembre, quando i rappresentanti di Baku, scortati dai soldati di Mosca, hanno cercato di accedere a uno dei siti minerari, hanno trovato i civili armeni a sbarrargli la strada.
Gli abitanti del Nagorno-Karabakh avvertono con angoscia crescente la precarietà della loro condizione. Non considerano più i militari russi capaci di assicurare la sicurezza sul territorio e temono che l’Azerbaigian voglia imporre la propria sovranità sulla regione senza che Erevan sia in grado di negoziare nemmeno le più elementari garanzie di autonomia. L’avvio delle operazioni militari di Mosca in Ucraina ha convinto Baku a diventare più intraprendente e a testare continuamente le linee rosse del Cremlino. La vulnerabilità dell’Artsakh è sotto gli occhi di tutti. Sullo sfondo dei negoziati di pace, la diplomazia coercitiva dell’Azerbaigian mette l’Armenia con le spalle al muro. Baku è intenzionata a far valere la sua posizione di forza affinché Erevan sottoscriva rapidamente un accordo in cui riconosca l’integrità territoriale dell’Azerbaigian, rinunciando a qualsiasi rivendicazione. Inoltre, spinge per la realizzazione di un corridoio che, attraverso l’Armenia, colleghi il paese all’exclave del Nakhchivan.
La guerra dei 44 giorni del 2020
Se il sanguinoso conflitto degli anni Novanta era stato nettamente vinto dall’Armenia, che oltre al Nagorno-Karabakh aveva ottenuto il controllo di estese zone adiacenti, spingendo alla fuga centinaia di migliaia di azeri, la guerra del 2020 ha reso manifesto il capovolgimento degli equilibri tra i due paesi del Caucaso meridionale. L’Azerbaigian, uscito più malconcio dal crollo dell’URSS, si è trasformato in tre decenni in una potenza energetica dalla politica estera sapientemente bilanciata. E mentre i tentativi del gruppo di Minsk, guidato da Francia, Russia e Stati Uniti, di favorire una soluzione diplomatica al conflitto congelato andavano incontro al fallimento, Baku modernizzava il suo esercito.
Potendo contare sull’assistenza militare della Turchia, tradizionale alleata, all’Azerbaigian sono servite solo sei settimane per riconquistare una buona parte dei territori occupati dagli armeni (i rimanenti li ha ottenuti con la firma dell’accordo di cessate il fuoco) e pressappoco un terzo dell’Artsakh, compresa la storica Shushi/Shusha. Le drammatiche vicende avvenute nell’ultimo secolo in questa città possono essere assunte a paradigma del profondo solco che divide i due popoli.
La fragile collocazione armena nel gioco delle alleanze
L’intervento russo, in cui l’Armenia sperava come ancora di salvezza, non si è concretizzato. L’insofferenza di Mosca nei confronti dell’intransigenza dell’alleato armeno durante i decennali negoziati, che fino all’ultimo ha cercato di mantenere lo status quo (il controllo del Nagorno-Karabakh e dei sette distretti azeri) sebbene i rapporti di forza fossero sensibilmente mutati, è emersa con chiarezza. Sicuramente hanno giocato un ruolo anche le tensioni con il premier armeno, eletto nel 2018 a seguito di proteste antigovernative che agli occhi del Cremlino sono apparse come una disprezzabile rivoluzione colorata.
Nella guerra del 2020 la Federazione Russa, i cui rapporti con Baku – a cui ha venduto ingenti quantità di armi – sono più che cordiali, ha mantenuto una posizione neutrale, chiarendo che gli obblighi dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), l’alleanza militare di sei ex repubbliche sovietiche a guida di Mosca, «non si estendono al Nagorno-Karabakh», ma sono limitati ai confini internazionalmente riconosciuti dell’Armenia. Un’argomentazione che si è rivelata poco convincente per Erevan, in particolare dopo le incursioni azere dello scorso settembre, che hanno colpito obiettivi, anche civili, all’interno del suo territorio. Pashinyan si era nuovamente rivolto alla CSTO, senza successo.
Tuttavia, al momento è impossibile per l’Armenia trovare un alleato che possa rimpiazzare la Russia. Gli USA e l’Unione europea si mostrano sempre più attivi negli sforzi di mediazione, ma la posizione di Bruxelles è a dir poco delicata: alla ricerca di partner energetici che possano sostituire Mosca, ha trovato una sponda in Baku. L’Azerbaigian si è impegnato ad aumentare le sue esportazioni di gas verso l’UE del 30 per cento quest’anno e di raddoppiarle entro il 2027. Erevan non appare avere altra scelta che quella di continuare ad affidarsi, suo malgrado, allo storico partner, diventandone ogni giorno un po’ più dipendente.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-21 20:54:172022-12-23 20:55:28NAGORNO-KARABAKH: Prova di forza di Baku. Bloccato il corridoio di Lachin, 120.000 persone isolate (East Journal 21.12.22)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 21.12.2022 – Vik van Brantegem] – Nel decimo giorno del blocco dell’Artsakh da parte di sedicenti eco-attivisti azeri, è stato provato un’altra volta che la menzogna e la girata di frittata accusatoria è la grande specialità degli azero-turchi, poiché stanno negando il loro crimine di genocidio per oltre 100 anni. Incapace di cambiare la storia e la verità della sua aggressione, la dittatura dell’Azerbaigian cerca di cambiare i nomi delle realtà.
Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’Ambasciatore dell’Azerbaigian in un intervento di 1 minuto e 45 secondi [QUI] ha speso un minuto e 30 secondo a lamentarsi del fatto che nella riunione si riferiva al “Nagorno-Karabakh” come “Nagorno-Karabakh”, invece di Regione del Karabakh. Poi in 15 secondi ha negato che l’Azerbajgian ha bloccato il Corridoio di Berdzor (Lachin), che secondo la linea officiale della dittatura azera chiama la “strade di Lachin”. Diversi Paesi si sono dichiarati non d’accordo e hanno intimato l’Azerbajgian a riaprire il Corridoio, liberando il passaggio sull’autostrada Stepanakert-Goris. Baku si sente onnipotente. Le dittature vanno fermate al più presto: la storia ce lo ha tristemente dimostrato.
Ecco la trascrizione dell’intervento dell’Ambasciatore dell’Azerbajgian nella nostra traduzione italiano dall’inglese: «Voglio iniziare con alcune importanti precisazioni per quanto riguarda la terminologia e il suo uso corretto. È essenziale per garantire il giusto rispetto dei diritti sovrani e delle responsabilità degli Stati ai sensi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale.
In primo luogo, è innegabile che solo i nomi geografici stabiliti dalle autorità nazionali legittime e competenti in relazione al loro territorio sovrano debbano essere riconosciuti e utilizzati nelle Nazioni Unite. Pertanto è opportuno ricordare che quello che l’Armenia e alcuni membri del Consiglio hanno erroneamente chiamato Nagorno-Karabakh è il territorio sovrano internazionalmente riconosciuto dell’Azerbajgian che è stato sotto illegale occupazione armena per quasi 30 anni, e sottolineo per quasi 30 anni di occupazione armena. Ciò è stato costantemente confermato nelle risoluzioni del Consiglio di sicurezza. Il titolo legale di questo territorio dell’Azerbajgian è ora la Regione Economica del Karabakh o, in breve, la Regione del Karabakh.
In secondo luogo, per quanto riguarda la situazione intorno alla strada di Lachin, l’Azerbajgian respinge risolutamente tutte le affermazioni armene come assolutamente falso e nullo».
Al riguardo, il Portavoce del Ministero degli Esteri dell’Armenia ha dichiarato: «Durante la riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stato chiarito ancora una volta che le affermazioni dell’Azerbajgian di non aver imposto alcuna restrizione al Corridoio di Lachin sono assolutamente false e riflettono le loro continue tattiche di incolpazione delle vittime per negare la loro colpevolezza per gravi violazioni degli obblighi internazionali».
Il Difensore dei Diritti Umani dell’Azerbajgian, Gegham Stepanyan ha postato su Twitter un video [QUI], in cui si vede un militare del contingente di mantenimento della pace russo che si rivolge ai cosiddetti “ambientalisti” azero, chiedendo loro di aprire la strada del Corridoio di Berdzor (Lachin) per far passare un convoglio delle forze di pace russe. Gli “eco-attivisti” azeri non si muovono dalla strada per far passare il convoglio delle forze di pace russe attraverso il Corridoio. Due azeri ordinano addirittura agli “eco-attivisti” di andare in mezzo alla strada e bloccare più strettamente il corridoio, gridando espressioni del genere: “Hamı içəri, hamı ortaya! [Tutti al centro, tutti dentro (la strada)]”. Dopo il rifiuto, il militare russo ordina al convoglio di girare e andare via. Un’altra prova della narrativa menzognera dell’Azerbajgian, secondo la quale il Corridoio non sarebbe bloccato.
Invece, la realtà è che dalle ore 10.30 del 12 dicembre scorso, il collegamento dell’Artsakh con l’Armenia e il resto del mondo, l’autostrada Stepanakert-Goris attraverso il Corridoio di Berdzor (Lachin), è stata completamente chiusa. Centinaia di cittadini dell’Azerbajgian, presentandosi come attivisti ambientalisti, hanno bloccato la strada. Di conseguenza, 120.000 residenti Armeni di Artsakh, inclusi 30.000 bambini, sono assediati. 1100 cittadini, di cui 270 minorenni, sono stati privati della possibilità di rientrare a casa. Nelle istituzioni mediche gli interventi chirurgici pianificati sono stati rimandati. L’intera popolazione dell’Artsakh è in crisi umanitaria, priva di rifornimento cibo, medicine e carburante.
Un gruppo di artisti armeni e russi crea graffiti e adesivi raffiguranti il monumento simbolo dell’Artsakh “Noi siamo le nostre montagne” con lo slogan #FreeArtsakh (Artsakh libero). Lo scopo dell’azione è attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sul blocco dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian, che dura da più di una settimana, e sulla necessità di aprire un corridoio aereo umanitario. Yerevan, Dilijan, Vanadzor, Krasnodar e altre città armene hanno aderito all’iniziativa. Gli artisti invitano la comunità culturale del mondo a non tacere e condividono lo slogan #FreeArtsakh per cambiare la situazione e porre fine al blocco dell’Artsakh.
L’Ufficio del Rappresentante armeno per gli affari legali internazionali ha presentato il 15, 16, 20 e 21 dicembre 2022 istanza di provvedimento cautelare e di ulteriori misure alla Corte Europea, chiedendo l’applicazione di un provvedimento cautelare nei confronti dell’Azerbajgian al fine di eliminare le violazioni dei diritti della popolazione civile conseguenti del blocco della strada passante per il Corridoio di Lachin denunciato dall’Ufficio. La CEDU aveva concesso all’Azerbajgian fino al 19 dicembre per rispondere alla richiesta. Oggi, il 21 dicembre 2022 la CEDU ha esaminato la richiesta del governo dell’Armenia di applicare misure provvisorie contro l’Azerbajgian. “Preso atto che al momento la questione del controllo dell’Azerbajgian sul Corridoio di Lachin è controversa, nonché tenuto conto degli obblighi assunti dall’Azerbajgian ai sensi del punto 6 della dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, in particolare, “di garantire la circolazione delle persone che transitano lungo il Corridoio di Lachin in senso bidirezionale, la sicurezza dei veicoli e delle merci”, e richiamando gli obblighi assunti dalla Convenzione Europea, la Corte Europea ha deciso, sulla base dell’articolo 39 del Regolamento della Corte, di obbligare l’Azerbajgian che adotti tutte le misure necessarie e sufficienti per fornire alle persone gravemente malate che necessitano di cure mediche in Armenia di attraversare il Corridoio di Lachin, nonché il movimento sicuro delle persone rimaste fuori casa sulla strada o bisognose di mezzi di sussistenza. Allo stesso tempo, la Corte europea ha deciso di dare priorità al reclamo N. 4 presentato dall’Armenia, ai sensi dell’articolo 41 del Regolamento della Corte.
Siamo entrati nel decimo giorno del blocco dell’Azerbaigian contro i 120.000 Armeni che vivono nella Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, provocando una crisi umanitaria. Ieri, il giornalista residente in Germania, Simone Zoppellaro – giornalista freelance che da anni segue il Caucaso, autore, tra gli altri, del libroArmenia Oggi e attento osservatore di quanto accade tra Artsakh, Armenia e Azerbajgian – in un’intervista ai microfoni di Radio Onda d’Urto [QUI] ha parlato della nuova crisi umanitaria in Artsakh/Nagorno-Karabakh, dove 120.000 civili Armeni sono intrappolati da più di nove giorni, perché l’Azerbajgian blocca l’unico collegamento tra l’Armenia e l’Artsakh. Scarseggiano medicine, carburante e generi alimentari, e i malati non possono essere trasferiti in ospedale per ricevere cure.
Il Consigliere del Ministro di Stato dell’Artsakh, Artak Beglaryan – che lui stesso non può tornare in Nagorno-Karabakh a cause del blocco, e da otto giorni tiene un sit-in davanti alla sede armena delle Nazioni Unite a Yerevan -, parlando della crisi umanitaria nell’Artsakh a seguito del blocco dell’Azerbajgian, ha affermato che l’Artsakh ha ancora riserve, ma sempre di meno e vari articoli scarseggiano. Durante una sua trasmissione in diretta su Facebook, Beglaryan ha detto che in questi giorni lui e i suoi sostenitori siano riusciti a raggiungere l’obiettivo minimo. Queste azioni sono state condotte da un gruppo di diverse organizzazioni e persone, il cui obiettivo principale è aiutare l’Artsakh. In questi giorni è stato svolto molto lavoro di comunicazione ed è molto importante che le questioni relative all’Artsakh abbiano la priorità nel campo dell’informazione. “Considererei la discussione delle idee, le discussioni pubbliche un altro risultato importante”, ha affermato. Ha definito un grande risultato la discussione sul blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) da parte dell’Azerbajgian durante la sessione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, osservando che anche le azioni in corso da giorni davanti all’ufficio armeno delle Nazioni Unite hanno avuto un ruolo nell’attirare l’attenzione sul problema. Ha affrontato le critiche sul motivo per cui non tiene un sit-in davanti all’Ambasciata russa in Armenia o la sede del governo della Repubblica di Armenia, e ha scelto l’ufficio armeno delle Nazioni Unite. Beglaryan ritiene la Russia è uno dei principali responsabili di questo problema in quanto membro a pieno titolo della comunità internazionale, membro delle Nazioni Unite, co-Presidente del gruppo di Minsk dell’OSCE e ha chiari obblighi internazionali, come altri Paesi. Tuttavia, se organizzassero un sit-in davanti all’Ambasciata russa, manderebbero un messaggio secondo cui solo la Russia è responsabile. Invece, l’Ufficio delle Nazioni Unite per l’Armenia è stato scelto come struttura che rappresenta tutti i Paesi e l’attore principale. Per quanto riguarda le critiche per non aver tenuto azioni davanti alla sede del governo armena, Beglaryan ha detto: “Sì, la Repubblica di Armenia è uno dei principali responsabili, ma le proteste davanti alla sede del governo potrebbero anche essere unilaterali, non è solo questione di responsabilità del governo armeno.
Oggi, il 21 dicembre 2022 il Ministro della Salute armeno, Anahit Avanesyan, ha discusso con il Capo della Delegazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), Thierry Ribaut, delle possibilità di prevenire i pericoli di una crisi sanitaria nell’Artsakh a causa del blocco dei movimenti nel Corridoio di Berdzor (Lachin) dall’Azerbaigian che perdura dal 12 dicembre 2022. Avanesyan ha osservato che con il sostegno del CICR, un paziente è stato trasferito da Artsakh a Yerevan, ma al momento viene mantenuta la necessità di un trasferimento immediato di pazienti in condizioni estremamente gravi.
Il Ministero della Salute armeno ha comunicato che è stato completato con successo un bypass aortocoronarico di un paziente con patologia cardiaca trasferito da Artsakh a Yerevan con l’assistenza del CICR. Il paziente è stato ricoverato in terapia intensiva e le sue condizioni di salute sono valutate come stabili dagli specialisti.
Durante l’incontro con il CICR è stata discussa la possibilità di trasportare altri pazienti dall’Artsakh, e di consegnare medicine e alimenti per bambini in collaborazione con il CICR. Ribault ha osservato che il CICR ha un ufficio a Stepanakert, attraverso il quale continua a svolgere una missione umanitaria ed è pronto a mediare sull’organizzazione dell’assistenza medica e della fornitura di farmaci. Il Ministro Avanesyan ha anche sottolineato l’importanza di fornire supporto psicologico specializzato alla popolazione dell’Artsakh.
Dalle ore 10.30 del 12 dicembre scorso, un gruppo di azeri ha chiuso il tratto Shushi-Karin dell’autostrada Stepanakert-Goris per sedicenti motivi ambientali, provocando una crisi umanitaria per la popolazione armena della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Come abbiamo già riferito in precedenza, non si tratta di preoccupazioni ambientale ma delle pretese di Anglo Asia Mining, che sta richiedendo il sostegno di Baku per il ripristino dei suoi “legittimi diritti commerciali e l’accesso fisico sicuro per i dipendenti di Anglo Asian Mining alle miniere di Gizilbulag (oro) e Damirli (rame-molibdeno) e al territorio di esplorazione circostante nella Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Questo è un esempio di colonialismo e saccheggio nella sua forma più pura delle risorse delle terre indigene armene (gli Armeni vivono lì da oltre 2000 anni) da parte degli aggressori azerbajgiani, con il sostegno di un altro regime coloniale, la Gran Bretagna. Un po’ di oro e di rame aiuta la Gran Bretagna a tacere su un genocidio in corso. Ecco la realtà sotto le rivendicazioni “ecologiste” delle ONG azeri (coordinati da Baku ufficiale) che bloccano il Corridoio.
Oggi, il 21 dicembre 2022 il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) è stato discusso durante la riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a porte chiuse.
Durante la riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, i rappresentanti di quasi tutti i Paesi nei loro discorsi hanno sottolineato che il Corridoio di Berdzor (Lachin) dovrebbe essere sbloccato immediatamente. La discussione nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite indica chiaramente un consenso internazionale forte e inequivocabile sull’apertura immediata e incondizionata del Corridoio bloccato dall’Azerbajgian, ha scritto in un post su Twitter il Ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan: “Il collegamento sicuro e protetto tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh deve essere ripristinato”, ha scritto Mirzoyan. Ha aggiunto che l’Armenia apprezza la posizione di principio ed equa dei membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
I membri influenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno chiesto l’immediata apertura del Corridoio di Berdzor (Lachin), ha detto il Vicepresidente dell’Assemblea Nazionale dell’Armenia, Hakob Arshakyan, in un briefing con i giornalisti. “È molto importante ed è anche il risultato di un lungo lavoro svolto. Faremo di tutto affinché i nostri fratelli e sorelle possano attraversare quel corridoio il prima possibile e il diritto al trasporto merci sarà ripristinato”, ha sottolineato Arshakyan. Alla domanda se il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, oltre a fare una dichiarazione, dispone di meccanismi efficaci per costringere l’Azerbajgian ad aprire il corridoio, Arshakyan ha risposto che il Consiglio di Sicurezza può adottare una risoluzione e applicare anche diversi tipi di meccanismi politici. “Dobbiamo fare di tutto affinché questo set di meccanismi sia utilizzato per intero”, ha aggiunto Arshakyan.
L’Azerbaigian non risponderà a nessun appello, fino a quando non sarà fermato e non sarà aumentato il prezzo reale delle sue azioni o inazione, ha detto in un briefing con i giornalisti il Consigliere del Ministro di Stato dell’Artsakh, Artak Beglaryan. “Quel prezzo può essere finanziario, politico o politico-militare. Le sanzioni possono essere applicate allo stesso Ilham Aliyev o ai suoi parenti, ma dobbiamo aumentare il prezzo, non abbiamo altra scelta. E quel prezzo dovrebbe essere alzato dalla comunità internazionale, e qui la Repubblica di Armenia ha un ruolo molto importante da svolgere”, ha affermato Beglaryan. Secondo il Consigliere del Ministro di Stato dell’Artsakh, le azioni dell’Armenia e dell’Artsakh non dovrebbero mirare a ridurre la reputazione e le vittorie morali dell’Azerbajgian, ma a colpire i suoi interessi pratici.
“È un peccato che in questo contesto, quando le sanzioni sono necessarie, il 17 dicembre a Bucarest venga firmato un accordo di fornitura energetica con Aliyev, che è un programma molto importante. Il presidente della Commissione europea era presente e, sullo sfondo di Dopo il blocco, ha firmato l’accordo con Aliyev e ha dato il benvenuto ad Aliyev, questo è già deplorevole”, ha detto Beglaryan.
“Senza sanzioni imposte contro l’Azerbajgian, il regime di Aliyev non tornerà alla ragione e questa impunità porterà sempre a nuovi crimini”, ha affermato Beglaryan. Ha descritto la reazione internazionale al blocco azero come parzialmente o interamente positiva, ma ha valutato l’esito e l’efficacia come negativi. “Indipendentemente da quanto detto, è ovvio che ciò non influisce sul comportamento dell’Azerbajgian. Ed è già l’ottavo giorno che l’Azerbajgian continua il blocco totale, la prigionia collettiva del popolo dell’Artsakh. Da questo punto di vista, considero negative le azioni della comunità internazionale”, ha detto Beglaryan ai giornalisti.
Beglaryan ha affermato che è chiaro che l’Azerbajgian ha dei motivi per non aprire la strada Stepanakert-Goris, altrimenti sarebbe stata aperta già da tempo. “Stanno aspettando, chiedendo qualcosa, ecco perché lo tengono chiuso. Hanno obiettivi profondi, sia esplicitamente che segretamente. La parte russa sta lavorando in questa direzione, sta mediando, c’è un certo processo di negoziazione”, ha detto Beglaryan. Anche l’Artsakh/Nagorno-Karabakh è coinvolta nei colloqui. Ogni dialogo avviene con sforzi di mediazione da parte russa. Beglaryan si è detto sicuro che il principale obiettivo profondo dell’Azerbajgian fosse l’esodo degli Armeni dall’Artsakh, il genocidio, la pulizia etnica. Mentre l’obiettivo strategico della parte armena dovrebbe essere l’opposto: il mantenimento dell’Artsakh come patria armena, la stabilizzazione della situazione e, a lungo termine, il rafforzamento e lo sviluppo dell’Artsakh insieme all’Armenia, il che consentirebbe di cercare un soluzione duratura, giusta e definitiva del conflitto con il sostegno della comunità internazionale.
La dichiarazione del Rappresentante della Federazione Russa durante la sessione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non rifletteva assolutamente la reale situazione creatasi attorno al Corridoio di Berdzor (Lachin), ha detto Beglaryan. “Per usare un eufemismo, non era un’affermazione preferita. Cioè, naturalmente, dato il mio status, mostro moderazione in alcune valutazioni, ma mi è chiaro il fatto che la dichiarazione del Rappresentante della Federazione Russo non riflettesse la realtà. Posso solo fare ipotesi sui motivi. [I Russi] hanno preso in considerazione diversi interessi, connessioni, possibili rischi, ma dovrebbero interpretarli da soli, perché hanno fatto tali affermazioni”, ha detto Beglaryan.
Anche il Presidente dell’Assemblea Nazionale dell’Armenia, Alen Simonyan, rispondendo in un briefing con i giornalisti alla domanda su come ha valutato il discorso del Rappresentante della Federazione Russo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha valutato negativamente l’intervento, osservando che l’alleato avrebbe potuto lanciare un appello più mirato. Invece, “questo è stato fatto da Paesi che non hanno stretti rapporti con l’Armenia. Penso che la Russia o non può, o non vuole, o non vuole e non può allo stesso tempo”, ha detto Simonyan. Ha aggiunto che si era aspettato una simile reazione dalla Russia: “Comunque, non sono sorpreso. Queste recenti azioni, questi recenti incidenti hanno mostrato che era possibile aspettarsi una tale reazione, una tale valutazione da Mosca”. Secondo il Presidente dell’Assemblea Nazionale armena, una tale reazione potrebbe essere dovuta al fatto, che visto questa è l’area di responsabilità della forza di pace russa, in questo modo i Russi vogliono ridurre la loro responsabilità.
Rispondendo alla domanda, quali processi sono previsti “sul campo” dopo la sessione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti, Simonyan ha affermato: “Continueremo ad affrontare il problema nel Corridoio di Lachin con tutti i mezzi possibili e non ci limiteremo a questo. È chiaro che il Corridoio di Lachin deve essere aperto perché provocherà un disastro umanitario, e ci aspettiamo che abbia la sua espressione ‘sul campo’. “Onestamente, ho l’impressione che, a seguito delle azioni odierne, l’Azerbajgian si sia trovato anche in un vicolo cieco perché, immagino, non si aspettava una simile reazione”, ha concluso Simonyan.
Il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Ruben Vardanyan, ha sottolineato il fatto che la questione dell’Artsakh è stata discussa e sottolineata durante la sessione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: “Era molto importante che la questione del Nagorno Karabakh tornasse nell’agenda di discussione della massima organizzazione. Siamo sotto assedio da più di 200 ore e la reazione di tutti alla sessione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stata tagliente. Quello che sta accadendo è inaccettabile, la strada va aperta senza precondizioni”. Vardanyan ha ringraziato tutti, compreso il governo della Repubblica di Armenia, per aver sostenuto questi sforzi.
Gli “eco-attivisti” azeri nell’Artsakh/Nagorno-Karabakhsull’autostrada Stepanakert-Goris, di fronte alle forze di pace russe, portando alla chiusura del Corridoio di Berdzor (Lachin) dal 12 dicembre 2022 (Foto di Resul Rehimov/Anadolu Agency via Getty).
Azerbajgian: bloccata la strada della vita del Nagorno-Karabakh
Garantire l’accesso a beni e servizi essenziali Human Rights Watch, 21 dicembre 2022
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
L’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh con l’Armenia è stata bloccata dal 12 dicembre 2022, interrompendo l’accesso a beni e servizi essenziali per decine di migliaia di Armeni che vi risiedono, ha dichiarato ieri, 21 dicembre 2022, Human Rights Watch. Il blocco della strada impedisce ai residenti del Nagorno-Karabakh di lasciare la regione; sono oltre un migliaio di persone che hanno riferito di essere bloccate da una parte o dall’altra non sono in grado di raggiungere le loro case. Tra loro ci sono dozzine di bambini che si erano recati nella capitale dell’Armenia, Yerevan, in gita, e ora non possono tornare dai genitori e dalle loro case.
“Il blocco prolungato dell’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh al mondo esterno potrebbe portare a terribili conseguenze umanitarie”, ha affermato Hugh Williamson, il Direttore per l’Europa e l’Asia centrale di Human Rights Watch. “Indipendentemente da chi sta bloccando la strada, le autorità dell’Azerbajgian e la forza di pace russa dispiegata lì dovrebbero garantire che l’accesso rimanga aperto, per consentire la libertà di movimento e garantire alle persone l’accesso a beni e servizi essenziali. Più lunga è l’interruzione di beni e servizi essenziali, maggiore è il rischio per i civili”.
Dalla mattina del 12 dicembre, diverse decine di Azeri stanno manifestando sulla strada di Lachin, chiedendo l’accesso ai siti minerari nelle aree sotto il controllo delle autorità de facto nel Nagorno-Karabakh, l’enclave separatista di etnia armena in Azerbajgian. Sostengono che le autorità de facto stiano sfruttando illegalmente depositi di oro e rame molibdeno e utilizzando la strada di Lachin per trasportare quei minerali in Armenia.
I manifestanti hanno eretto tende lungo la strada e stanno continuando le loro azioni tutto il giorno. Durante la scorsa settimana, hanno espresso altre lamentele, comprese le richieste per l’istituzione di posti di blocco doganali dell’Azerbajgian lungo il Corridoio di Lachin.
Le forze di pace russe, che sorvegliano la strada dalla fine della guerra del 2020 tra Armenia e Azerbajgian per il Nagorno-Karabakh, hanno anche sbarrato la strada per impedire un’ulteriore escalation della situazione se le persone radunate dovessero avanzare verso le miniere del Nagorno-Karabakh. L’Azerbajgian nega di essere responsabile della chiusura della strada.
Secondo Gegham Stepanyan, il Difensore dei Diritti Umani de facto della regione, la regione importa circa 400 tonnellate di beni essenziali ogni giorno dall’Armenia, come cibo, prodotti per l’igiene, medicinali, articoli per la casa e altri articoli vitali per i bisogni umanitari dei civili. La strada è utilizzata anche per importare carburante, gasolio e benzina. Mentre la strada rimane chiusa al pubblico e al trasporto di merci, secondo alcuni resoconti dei media, è stato consentito il passaggio a diversi camion di pace russi che presumibilmente contenevano beni umanitari, sebbene non sia chiaro a chi siano destinati i beni. Stepanyan ha detto a Human Rights Watch che la merce non era destinata al pubblico nel Nagorno-Karabakh. Almeno un malato critico è stato trasferito a Yerevan con la mediazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa.
Coloro che hanno il controllo della strada e dell’area circostante, ovvero le autorità dell’Azerbajgian e la forza di pace russa, dovrebbero garantire che i veicoli con merci umanitarie possano passare e che la libertà di movimento non sia interrotta, ha affermato Human Rights Watch. Indipendentemente dal fatto che i manifestanti abbiano autentiche preoccupazioni ambientali o altre lamentele, l’Azerbajgian dovrebbe facilitare il diritto alla protesta pacifica interagendo con i manifestanti in modo da garantire che la strada rimanga aperta e la protesta non neghi ai residenti del Nagorno-Karabakh i loro diritti di accesso ai servizi essenziali e merci, e alla libertà di circolazione.
La situazione umanitaria è stata ulteriormente aggravata da un’interruzione della fornitura di gas naturale al Nagorno-Karabakh tramite un gasdotto che va dall’Armenia attraverso le aree controllate dall’Azerbajgian. L’interruzione, iniziata il 13 dicembre, ha spinto le autorità di fatto ad annunciare la chiusura delle scuole a causa delle condizioni meteorologiche invernali. La compagnia statale del gas azera ha dichiarato che l’Azerbajgian non ha alcuna responsabilità per l’interruzione. La fornitura di gas è stata ripristinata il 16 dicembre.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-21 20:53:212022-12-23 20:53:58Decimo giorno del #ArtsakhBlockade. Senza sanzioni, il regime di Aliyev non tornerà alla ragione e questa impunità porterà a sempre nuovi crimini (Korazym 21.12.22)
Si comincia con il dimenticatissimo primo genocidio, quello armeno, ancora meno riconosciuto di quello successivo ucraino. A lungo rimosso dalla cronaca e dalla storia generali, anche per mera ignoranza delle località coinvolte e delle minoranze presenti nell’impero ottomano, il già malato d’oriente, che dopo le sconfitte subite con l’Italia, con i nuovi paesi balcanici e nella prima guerra mondiale, si fece dimenticare, nella nuova veste repubblicana, con la neutralità durante la seconda guerra mondiale. L’olocausto armeno (Medz Yeghern, Grande Male in armeno) fu, tra il ’15 ed il ’16 (ma i massacri finirono nel ‘23) l’eliminazione da parte dell’esercito ottomano di più di 1,5 milioni di persone, attraverso le marce della morte, le deportazioni, le crocifissioni e le fucilazioni, decise sia per impedire l’alleanza tra gli armeni ed i nemici russi, entrambi cristiani, sia in nome della guerra santa, la jihad, lanciata nel ‘14. Il genocidio era stato anticipato sul finire dell’800 e nel ‘09 da precedenti massacri in Cilicia ed altri luoghi. Ne seguì una diaspora armena internazionale che oggi segna milioni di presenze in America e Russia, e diverse centinaia di migliaia in Francia, Germania e Sudamerica. Sono però solo 30 i paesi che riconoscono ilgenocidio armeno, peraltro certificato ufficialmente solo nel 2019 negli Usa ed in Italia. La Turchia per la quale questo genocidio si ridurrebbe ad un alto numero di morti si oppone fortemente al suo riconoscimento storico in forte contrasto con l’Unione Europea. Teme il rischio di infinite vertenze risarcitorie da parte degli eredi di quella che era la più ricca minoranza dell’Impero ottomano.
Il cinema ha scoperto questo genocidio praticamente solo in questo secolo, attraverso un pugno di movies, l’armeno francese Ararat.Il monte dell’arca del 2002, Screamers del 2006, l’italiano La masseria delle allodole del 2007, il francese La legge del crimine del 2009, il documentario tedesco Aghet del 2010, il turco The Cut del 2014, l’hollywoodiano The Promise del 2016, il negazionista turco Il tenente ottomano del 2017. Precedentemente, isolati, uscirono l’Auction of souls (Anime all’asta) del ’19 di Apfel, l’Oscar di Kazan Il ribelle dell’Anatolia del ’63 ed i 2 francoarmeni Mayrig del ’91e ‘92. La tragedia armena sul grande schermo è in generale stata sostenuta da registi,scenografi, attori, scrittori, professionisti del cinema storico, e non, della diaspora come Egoyan, nato in Egitto, Verneuil, in Francia, la Garapedian in America, la Arslan, divulgata dai Taviani, in Italia che hanno divulgato presso il vasto pubblico la memoria sulle deportazioni e l’eliminazione degli armeni ora con tratti più manichei, ora provocatori, ora di tentata riconciliazione, ora di introspezione psicologica ma sempre con realistica versione dei fatti, di località, nomi, numeri e dati d’archivio.
Rappresentazione di genocidio giunta scarsa ed in ritardo, praticamente un secolo dopo i fatti. Fin da subito le proteste turche sono state efficaci a far ritirare i film dalla distribuzione (come nel caso di Auction of souls) e negli ultimi decenni, a denigrare tramite i social, come nel caso di The Promise e Aghet, le rappresentazioni del dolore armeno soprattutto dove sono numerose le comunità turche. Il regista tedesco di origine turca Akın per avere offerto la consapevolezza turca del dolore e della memoria ha ricevuto minacce di morte. I fotogrammi degli anni ’20 cronologicamente vicinissimi all’eccidio, sono crudi e tremendi poi seguono drammatizzazioni romanzate
Nel ’19 girò negli States il film documentario muto Auction of souls (Anime all’asta) del regista americano del cinema muto Apfel, tratto dal romanzo Ravished (stuprata) ArmeniaThe Story of Aurora Mardiganian, the Christian Girl, Who Survived the Great Massacres del giornalista Gates, sulle persecuzioni subite dall’immigrata armena Aurora Mardiganian La rappresentazione delle donne crocifisse nude, forte e suggestiva non corrispondeva alla realtà storica in quanto venivano impalate. La Mardiganian però dopo il film e durante le presentazioni in giro per l’America, come al teatro Hill di New York, soffrì di esaurimento nervoso. Il film fu ritirato dopo un paio di anni per le proteste turche; ne esiste unas versione restaurata parziale di 23 minuti e 55 secondi del 2009 presentata dall’Armenian Genocide Resource Center della California del Nord. Ogni 24 aprile, anniversario dell’inizio del Metz Yeghérn viene conferito a Yerevan il Premio Aurora.
KazanKazancıoğlu, regista cofondatore nel ‘47 dell’Actors Studio, greco naturalizzato statunitense scrisse un romanzo sulle peripezie della moglie e dello zio per arrivare in America e poi realizzò tra molte difficoltà, il
Il ribelle dell’Anatolia (America, America) del ’63
suo 16° film e miglior film Il ribelle dell’Anatolia (America, America) nel ’63. Il protagonista è il giovane greco Stavros che riesce a fuggire da Costantinopoli per New York. La repressione descritta accomuna le minoranze greche e armene. Vinse l’Oscar ed il Golden Globe nel ’64.
Il regista Malakian, alias Verneuil, produsse Mayrig (madre, in armeno) nel ’91 con la Cardinalee Sharif. E’ opera semiautobiografica che ritrae la fuga del ’24 da Tekirdağ, in Anatolia a Marsiglia della famiglia Malakian. Gli Zakarian, ricchi armatori armeni immigrati in Francia, gestori di una camiceria, frequentano connazionali che ricordano il marchio di soprusi e tormenti. Il ragazzo Azad, poi ingegnere, vorrebbe rappresentare quella memoria non sua. Sullo sfondo il processo berlinese del ‘21,a carico dell’armeno Tehlirian, alias Sali Bey, imputato dell’omicidio dell’ex ministro degli interni turco Talat; nelle udienze la testimonianza di una superstite alle stragi avvenute sulle montagne di Malatya, le marce verso il nulla, le gravidanze interrotte forzatamente, le ragazze impalate. L’assoluzione dell’armeno è dovuta anche al pastore evangelico Lepsius, autore di Germania e Armenia 1914-1918: raccolta di documenti diplomatici, che allargava ai tedeschi le colpe del genocidio armeno.
Quella strada chiamata paradiso del ’92
A Mayrig segue nel ’92 Quella strada chiamata paradiso(588, Rue Paradis). Il riferimento è aRue Paradis, Marsiglia dove vivono e lavorano gli Zakarian. Il giovane figlio diventa un importante regista teatrale, si sposa con una francese che si vergogna delle sue origini del marito, lo induce a cambiare il cognome ed a staccarsi violentemente dalla famiglia. Dopo la morte del padre, il rimorso lo induce a divorziare ed a curarsi della madre risolvendo lo stato di alienazione nel recupero della propria identità culturale. I due film sono andati in onda su Rai2 nel ’95 e nel 2004 con il titolo unico Mayrig. Quella strada chiamata paradiso ma la Arslan ha denunciato una scarsa diffusione in Italia.
Anche Egoyan, autore di Ararat. Il monte dell’arca 2002 (55º Cannes) è armeno della diaspora, passato prima in Egitto e poi in Canada, dove studiò la storia del genocidio. L’opera è dominata dalla presenza di Aznavour, cantante leggendario armeno francese. Si sta girando un film sui massacri di Van del 1915; attori turchi e armeni litigano sul riconoscimento, il regista è messo sottotorchio dalla dogana canadese sui motivi del suo viaggio in Armenia. I flashback sulla vita del pittore armeno Gorky, testimone bambino del genocidio, poi suicida, rappresentano i tragici eventi. Un attore armeno in una serrata discussione esclama Sai cosa disse Hitler ai suoi generali per convincerli che il suo piano non poteva suscitare obiezioni? Qualcuno al mondo si è accorto dello sterminio degli Armeni?
La band Soad (System Of A Down), del cantante Serj Tankian e di altri tre armeni della diasporain California è la protagonista del documentario Screamers del 2006 sul concerto per la memoria degli armeni perseguitati. La regia è della attivista umanitaria armeno californiana Garapedian in tour con i Soad nella storia dei genocidi nel mondo (Olocausto, Cambogia, Bosnia, Ruanda, Darfur)
La masseria delle allodole del 2007 dei fratelli Taviani è adattamento dell’omonimo romanzo della Arslan e narra, nel ’15, dopo la morte del decano degli Avakian, della riunificazione della famiglia, di cui è membro anche un ufficiale turco. Dopo la festa, incombe il massacro ottomano fino al processo per autodenuncia di un turco che pure aveva cercato di proteggere le armene in fuga. Vincitore dell’Efebo d’oro. Nella carneficina degli armeni non mancano ritratti umani dei turchi. senza però l’intento di portare in Italia un film contro la Turchia. Il loro film è il racconto di un’immersione nella storia e nelle storie del genocidio, che non esclude la fiducia e la speranza nel contributo umano turco, nonostante mostri le zone oscure del suo passato. Passato, appunto, che non induce a una conclusione affrettata e neanche manichea. A riaccendere un barlume di speranza sono i bambini, gli unici della famiglia Avakian a salvarsi dalle uccisioni, ma anche i membri dei giovani turchi che confessano in tribunale i loro crimini.
La legge del crimine (Le premier cercle) del 2009
Il film francese La legge del crimine (Le premier cercle) del 2009 di Tuel tratta della mafia armena in Francia, detta Prima cerchia, del malavitoso Malakian e dell’onesto fratello.
Aghet Un genocidio (Aghet, catastrofe in armeno) è un film documentario tedesco del 2010 dell’australiano Friedler con resoconti di testimoni oculari europei e americani, sopravvissuti armeni e altri testimoni, recitati da attori tedeschi moderni. Premiato con i migliori riconoscimenti televisivi tedeschi.
Il padre (The Cut) del 2014 di Akin in concorso alla 71ª Venezia, segue il viaggio del fabbro Manoogian in Mesopotamia, a Cuba alla ricerca del suo passato e delle figlie anch’esse sopravvissute al massacro di Mardin, al confine con la Siria.. Il protagonista è sopravvissuto ma con il taglio brutale delle corde vocali. Il viaggio in compagnia di un dolore muto e assordante si conclude con l’incontro di padre e figlia in una prateria americana, nel Dakota del Nord davanti alla tomba dell’altra figlia. Il mutismo simbolico, lingua del dolore più profondo, lega il film alle prime pellicole documentarie in bianco e nero del muto.
Il tenente ottomano del 2017
L’hollywoodiano The Promise del 2016 del nordirlandese Georgetiene sullo sfondo la resistenza armena sul Monte di Mosè (Mussa Dagh), salvata da una fregata francese (raccontata ne I quaranta giorni del Mussa Dagh dello scrittore Werfel nel ’29); in questo contesto le peripezie di un giovane armeno, la ricca moglie, un giornalista americano ed un ammiraglio francese finiscono amaramente.
Si chiude con un film negazionista dell’americano Ruben elude il contesto del genocidio degli armeni, come sfondo della tormentata storia d’amore tra una volontaria americana ed un dottore turco di Van, villaggio dell’Anatolia orientale nei pressi del lago omonimo. E’ un resoconto revisionista del genocidio armeno perpetrato dai turchi dominato dall’invasione del fronte orientale da parte dei russi. In Italia, il film è stato distribuito solo in Dvd.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-20 20:26:462022-12-20 20:26:46Qualcuno al mondo si è accorto dello sterminio degli Armeni? (Milano Post 20.12.22)
Nel menzionare alla fine dell’Angelus la situazione nel corridoio di Lachin, tra Armenia e Azerbaijan, Papa Francesco non ha fatto altro che rispondere ad un appello del catholicos di Armenia Karekin II, e di quello di Cilicia Aram II. Perché i due leader della Chiesa Apostolica Armena – parte di quelle chiese ortodosse orientali pre-calcedoniche – avevano lanciato un appello per risolvere la pesante situazione umanitaria che si era creata nel corridodio che resta l’unico canale di comunicazione tra i 120 mila residenti della Repubblica dell’Artsakh, ovvero del Nagorno Karabakh, alla capitale armena Erevan.
Cinque chilometri di strada, che permettono di fare arrivare da Erevan medicine, cibo, benzina e beni di prima necessità, che dal 12 dicembre sono stati bloccati per qualche giorno da centinaia di manifestanti ambientalisti, inviati dal governo dell’Azerbaijan.
È l’ennesimo atto della guerra tra Armenia e Azerbaijan. Una guerra che ha radici lontane.
Il territorio del Nagorno Karabakh era stato infatti assegnato all’Azerbaijan dall’Unione Sovietica, e si era poi proclamato indipendente al momento della dissoluzione dell’URSS, proclamando la sua identità armena. Nel corso del secolo scorso, è stata più volte denunciata la sistematica distruzione di patrimonio cristiano storico nel territorio, definito da alcuni studiosi come un genocidio culturale, come è stata denunciata anche la volontà azera di riscrivere la storia etnica del territorio esaltandone le radici albaniano-caucasiche.
Da parte azera, si lamenta invece che l’Armenia reclami una presenza che è solo successiva alla presenza degli albaniani, e viene denunciata la distruzione di moschee durante il periodo in cui il Nagorno Karabakh aveva mantenuto una autonomia, sebbene mai riconosciuto come Stato nemmeno dall’Armenia.
L’ultimo conflitto tra Azerbaijan e Armenia si è concluso con un doloroso accordo che ha portato la perdita di diversi territori da parte dell’amministrazione armena, dove tra l’altro c’erano storici monasteri la cui integrità è sorvegliata dalle truppe di pace russe. Ma questo vale anche per il corridoio di Lachin, che ha delle eredità cristiane, ma che soprattutto dovrebbe essere preservato dalla Dichiarazione Trilaterale che pose fine al conflitto.
Il blocco è stato poi rimosso dopo alcuni giorni, ma resta la gravità della situazione, definita dallo special advisor dell’ONU per la prevenzione dei genocidi come possibile preliminare di un genocidio.
Da qui, gli appelli provenienti dalla Chiesa Apostolica Armena. Il catholicos Karekin II, che più volte ha incontrato il Santo Padre e con il quale intrattiene un buon rapporto, ha denunciato in una comunicazione della Sede Madre di Etchmiadzin che le azioni di provocazione che hanno portato al blocco del corridoio di Lachin hanno l’obiettivo di “portare a termine una pulizia etnica, cosa che dimostra ancora una volta la politica armenofobica degli azerbaijani”.
La Sede Madre di Etchiamiadzin, mettendo in luce la catastrofica situazione umanitaria, ha dunque affermato di aspettarsi che “la comunità internazionale dia risposte appropriate alle provocazione azerbaijane che violano le norme fondamentali dei diritti umani, mettendo gravemente in pericolo la fragile pace e stabilità della Regione”.
Il capo della Chiesa Apostolica Armena si è anche rivolto allo Sheikh ul-Islam Allhshukur Pashazade, capo del Consiglio dei Musulmani del Caucaso, perché “faccia passi reali e tangibili, consistenti con i suoi richiami umanitari, per mettere fuori gioco le azioni provocatrici dell’Azerbaijan”.
Anche il Catholicos Aram di Cilicia ha lanciato un appello, condannando, con “i più forti termini possibili il blocco azerbaijano dell’unica strada che collega l’Artsakh all’Armenia”.
Secondo la Dichiarazione Trilaterale del 10 novembre 2020, il corridoio doveva rimanere aperto, ma – dichiara Aram – “in violazione dei suoi impegni internazionali, l’Azerbaijan ha bloccato la strada e separato l’Artsakh dalla madre Armenia, così “i 120 mila residenti dell’Artsakh restano completamente intrappolati”, e altri 1100, tra cui 270 bambini, sono rimasti “incagliati sulla strada bloccata, impossibilitati a tornare a casa dalle loro famiglie.
Oltre alla carenza di servizi, il Catholicossato di Cilicia denuncia che “stiamo assistendo a passi deliberati e concreti verso la pulizia etnica e il genocidio della popolazione armena dell’Artsakh”, secondo “una politica che l’Azerbaijan ha perseguito continuamente dall’inizio del conflitto, come evidenziato dai pogrom e massacri azerbaijani a Baku, Sumgai, Kirovabad e altre città”, e ricordando l’Operazione Anello del 1991. In quell’operazione, gli azerbaijani cercarono di “accerchiare e poi strangolare la popolazione armena dell’Artsakh per sterminarla”.
Anche Aram si è appellato alla comunità internazionale, ma anche agli armeni in diaspora, chiedendo di “agire in modo decisivo chiedendo ai governi di condannare le azioni azerbaijane, di chiedere che siano imposte sanzioni contro l’Azerbaijan e di prendere tutte le misure legali necessarie con convinzione per salvare il popolo dell’Artsakh dall’imminente sterminio”.
Nel corridoio di Lachin ci sono anche antichi luoghi di culto cristiane, ma anche nuove chiese costruite dagli armeni in Arttsakh, tra cui quella di Surb Hambartzum costruita nel 1998.
Se le altre chiese sul territorio sono considerate azerbaijane o albaniane, quindi viene proposto di metterle sotto il controllo della Chiesa Ortodossa Albaniana Udi, quella del 1998 è tipicamente armena e si è anche discusso se abbatterla o meno.
Gli azeri da una parte sottolineano di voler tutelare i cittadini armeni nel loro territorio, ma dall’altro alcuni gesti, come la visita del presidente Alyeev alla bombardata cattedrale di Shushi, avevano comunque suscitato preoccupazione.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-20 20:16:252022-12-20 20:22:19Cosa è, e perché è importante, il corridoio di Lachin nominato dal Papa all’Angelus? (AciStampa 20.12.22)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 20.12.2022 – Vik van Brantegem] – Nel nono giorno del blocco dell’Artsakh da parte di sedicenti eco-attivisti azeri, si aggrava l’emergenza umanitaria nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. I bambini dell’Artsakh sono sopravvissuti alla guerra dei 44 giorni scatenata dall’Azerbajgian due anni fa contro loro Paese e ora hanno paura di morire nel blocco degli Azeri del loro Paese. Sono figli di un Dio minore? Hanno la colpa di essere Cristiani Apostolici e non Musulmani? Devono pagare per il fatto di essere Armeni e non Ucraini? Chi rimane in silenzio è complice
Per il dittatore azero, Ilham Aliyev, gli Armeni dell’Artsakh hanno due possibilità: o morire o andarsene dalla loro terra ancestrale. Gli “eco-attivisti” apriranno volentieri il Corridoio di Berdzor (Lachin), ma in una direzione: da Stepanakert a Goris, senza ritorno.
Il Comando delle forze di mantenimento della pace russe in Artsakh afferma che sta continuando i negoziati con le parti armena e azera per sbloccare il Corridoio di Berdzor (Lachin). Informa il Ministero della Difesa della Federazione Russa.
Stepanakert questa mattina, ottavo giorno del #ArtsakhBlockade. No comment.
Nella notte dell’ottavo giorni del blocco dell’Artsakh, il 20 dicembre 2022 intorno alle 00.05, ora locale, le unità delle forze armate azere hanno aperto il fuoco con fucili di diverso calibro in direzione delle posizioni armene situate in direzione di Kutakan.
La foto di copertina della pagina Facebook dell’Ambasciata dell’Azerbajgian a Roma. Più chiara di così…
L’Ambasciata dell’Azerbaigian a Roma organizza suoni e balli mentre la gente muore
Dalle ore 10.30 del 12 dicembre 2022 la Repubblica armena di Artsakh/Nagorno-Karabakh è isolata dal resto del mondo per il criminale blocco azero dell’unica strada di collegamento con l’Armenia attraverso il Corridoio di Berdzor (Lachin). 120.000 persone stanno andando incontro a una crisi umanitaria, comincia a scarseggiare cibo, medicine e carburante, i bancomat sono fuori uso per mancanza di contante. Già dobbiamo purtroppo registrare un primo decesso di un paziente grave che non è stato possibile trasferire in Armenia mentre una decina di bambini sono in terapia intensiva e non riescono ad avere tutte le cure necessarie. In questi giorni circa 4.000 tonnellate di viveri e materiali non sono potuti entrare nel territorio rimasto agli Armeni dopo l’ultima guerra scatenata dal regime autocratico del Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev.
Apprendiamo – si legge in una nota del Consiglio per la Comunità Armena di Roma – che mentre la popolazione armena dell’Artsakh sta affrontando una situazione gravissima, un noto teatro romano ospita (presumiamo a pagamento) un evento artistico organizzato dalla rappresentanza diplomatica dell’Azerbajgian per celebrare (con false e ridicole motivazioni storiche) la vittoria nell’ultima guerra costata circa ottomila morti in 44 giorni.
«A tale evento immaginiamo – osserva il Consiglio per la Comunità Armena di Roma – saranno stati invitati anche autorevoli esponenti della società italiana» e a loro il Consiglio rivolge un appello «affinché siano ben consapevoli della natura del regime azero e non avallino una politica guerrafondaia e crudele di un regime che le classifiche internazionali sulla libertà di informazione e pensiero collocano agli ultimi posti nel mondo. Non esistono dittatori buoni e dittatori “utili”, non esistono guerre belle e guerre brutte».
Il Consiglio per la Comunità Armena di Roma ha inviato una segnalazione al teatro che ospita l’evento.
La manifestazione del 19 dicembre 2022 a Brussel.
Il Consiglio Ecumenico delle Chiese e la Conferenza delle Chiese Europee, in una lettera congiunta inviata il 19 dicembre 2022 al Capo della politica estera dell’Unione Europea, Josep Borrell, hanno denunciato il blocco da parte dell’Azerbajgian dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, “come una violazione dell’accordo tripartito che ha posto fine alla guerra delle sei settimane del 2020, del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani e dei principi morali più fondamentali”. Con le sue azioni nell’ostruire il Corridoio umanitario di Lachin e tagliando temporaneamente le forniture di gas alla regione proprio all’inizio dell’inverno, l’Azerbajgian sta deliberatamente creando un’emergenza umanitaria per i 120.000 residenti di etnia armena, osserva la lettera, firmata dal Segretario generale della Conferenze delle Chiese Europee, Dott. Jørgen Skov Sørensen e dal Segretario generale ad interim del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Rev. Dr Ioan Sauca. “Ciò segue un chiaro modello di comportamento dell’Azerbajgian che contraddice qualsiasi pretesa di buona volontà e responsabilità umanitaria da parte sua”, si legge nella lettera. “I crescenti attacchi azeri al territorio sovrano armeno hanno spinto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a convocare una riunione di emergenza il 15 settembre 2022”. La lettera rileva anche prove crescenti di gravi violazioni dei diritti umani contro gli Armeni da parte delle forze militari e di sicurezza dell’Azerbajgian. “La responsabilità per tali crimini e violazioni non è stata perseguita”, si legge nella lettera. “In queste circostanze, i timori armeni di un nuovo genocidio contro di loro non possono essere ignorati e il blocco dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh è un contesto in cui tali timori sono notevolmente e comprensibilmente esacerbati”. La lettera esorta l’Unione Europea a perseguire tutte le possibili iniziative diplomatiche per garantire che l’Azerbajgian riapra il Corridoio di Lachin e fornisca adeguate garanzie che rimarrà aperto. “Inoltre, vi chiediamo di fare tutto ciò che è in vostro potere per garantire l’estensione del mandato dell’attuale missione di monitoraggio dell’Unione Europea al confine tra Armenia e Azerbajgian per includere il Corridoio di Lachin, al fine di fornire un monitoraggio civile indipendente della situazione lungo il Corridoio”, conclude la lettera.
Si è svolta oggi a Yerevan una sessione estesa del Consiglio di sicurezza dell’Artsakh, Presieduta dal Presidente della Repubblica dell’Artsakh, Arayik Harutyunyan, con all’ordine del giorno la situazione politico-militare nell’Artsakh. L’ufficio del Presidente dell’Artsakh ha riferito, che si è discusso dei passi compiuti per la sicurezza della Repubblica di Artsakh e per il sostentamento della popolazione, e delle possibilità di prevenire un disastro umanitario. Harutyunyan ha dato una serie di istruzioni riguardo alle questioni discusse.
L’organizzazione “International Christian Solidarity” insieme ad altre 8 organizzazioni ha messo in guardia sul pericolo di genocidio nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. Le organizzazioni hanno invitato i Paesi che hanno aderito alla Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio ad agire attraverso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per prevenire il genocidio armeno nella regione. Nel comunicato diffuso dall’organizzazione si nota che il governo dell’Azerbajgian ha perseguito a lungo una politica di odio nei confronti degli Armeni a livello ufficiale, “lasciando impunite le atrocità commesse contro gli Armeni e minacciando di occupare non solo il Nagorno-Karabakh, ma anche Yerevan con la forza. Sono presenti tutti i 14 fattori di rischio di atrocità definiti dall’Ufficio del Segretario Generale delle Nazioni Unite per la Prevenzione del Genocidio. L’attuale aggressione azera contro gli Armeni del Nagorno-Karabakh corrisponde alla politica di lunga data di pulizia etnica e religiosa portata avanti dal governo dell’Azerbajgian, dalla Repubblica di Turchia, dall’Impero ottomano e dai loro alleati contro gli Armeni e altre comunità cristiane nella regione”, si legge nel comunicato. Le organizzazioni invitano i Paesi che hanno aderito alla Convenzione per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, in concreto gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Federazione Russa, ad adempiere ai loro obblighi attraverso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per prevenire un altro genocidio contro gli Armeni. Inoltre, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è chiamato a garantire l’accesso senza ostacoli di tutte le organizzazioni internazionali al Nagorno-Karabakh per scopi umanitari in conformità con la Quarta Convenzione di Ginevra.
L’Unione Europea sta iniziando una nuova fase del suo coinvolgimento nel Caucaso meridionale con una squadra di transizione che preparerà le basi per lo spiegamento della missione dell’Unione Europea in Armenia per il periodo più lungo possibile. L’ha annunciato l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borel, in occasione della scadenza del mandato della missione di osservazione dell’Unione europea, ieri, 19 dicembre 2022. Borel ha osservato che la missione è stata schierata in Armenia il 20 ottobre, sul lato armeno del confine armeno-azerbajgiano, in conformità con l’accordo raggiunto tra Armenia, Azerbajgian, Consiglio Europeo e Francia, al fine di osservare, analizzare e riferire su la situazione sul terreno. “Il dispiegamento di 40 esperti europei ha dimostrato la sua efficacia e ha contribuito a rafforzare la fiducia in una situazione instabile. Oggi l’Unione Europea inizia una nuova fase del suo coinvolgimento nel Caucaso meridionale con un team di transizione che preparerà le basi per lo spiegamento di una missione dell’Unione Europea in Armenia per il periodo più lungo possibile, il cui obiettivo finale sarà quello di contribuire all’instaurazione di una pace stabile nella regione”, ha affermato Borel. Il Capo della diplomazia dell’Unione Europea ha aggiunto che è su questa base che il Consiglio dell’Unione Europea, con l’accordo delle autorità armene, ha deciso di inviare in Armenia una squadra di supporto alla pianificazione della transizione dalla missione di monitoraggio dell’Unione Europea in Georgia per aumentare la conoscenza dell’Unione Europea sulla situazione della sicurezza e contribuire a una possibile nuova Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), alla pianificazione e alla preparazione della missione. Secondo la dichiarazione, si prevede che il team di supporto alla transizione e alla pianificazione sosterrà anche il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, nel processo di promozione di un accordo tra Armenia e Azerbajgian.
La principale responsabilità sull Corridoio di Berdzor (Lachin) è la Federazione Russa, ha sottolineato Armen Grigoryan, il Segretario del Consiglio di sicurezza dell’Armenia, durante la discussione del pacchetto legislativo sull’istituzione del Servizio di Intelligence Estero alla sessione straordinaria dell’Assemblea Nazionale, riferendosi alla questione sollevata da Artsvik Minasyan, il Segretario della frazione di opposizione “Hayastan”. Minasyan ha ricordato che nel piano del governo si sottolinea che la Repubblica di Armenia continuerà ad essere garante della sicurezza del popolo dell’Artsakh. “Uno degli obiettivi principali della creazione di un Servizio di Intelligence Estero è che possa trovare informazioni sulla sicurezza in Armenia, e trovare tali informazioni anche se non sono di dominio pubblico. E sulla base di essi, analizzare l’ambiente di sicurezza e fornire informazioni al Primo Ministro, sulla base delle quali dovrebbero essere prese le decisioni. Queste informazioni si applicheranno all’ambiente di sicurezza dell’Armenia, dove anche l’Artsakh svolge un ruolo importante”, ha affermato Grigoryan. Alla domanda sulle azioni specifiche che dovrebbero essere intraprese per risolvere la questione del Corridoio di Lachin oggi, Grigoryan ha risposto: “La Federazione Russa è responsabile del Corridoio di Lachin. Con l’accordo del 9 novembre 2020, la responsabilità del Corridoio di Lachin è stata trasferita alla Federazione Russa.
Con il pretesto di sedicenti problemi ambientali, l’Azerbajgian ha chiuso il Corridoio di Lachin per effettuare la pulizia etnica nell’Artsakh. questo è l’obiettivo principale, ha detto Grigoryan durante la sessione straordinaria dell’Assemblea Nazionale, rispondendo alla domanda della Deputata Agnesa Khamoyan, di cosa ha bisogno l’Azerbajgian per aprire il Corridoio di Lachin. “L’Armenia continua a lavorare con tutti i suoi partner affinché il Corridoio di Lachin sia aperto il prima possibile, affinché gli Armeni che vivono in Artsakh evitino una crisi umanitaria e che la crisi creata sia rapidamente risolta”, ha risposto Grigoryan. Khamoyan ha affermato che l’Armenia rimane il garante della sicurezza dell’Artsakh. Sebbene, secondo il deputato, le autorità lo abbiano rifiutato, è fissato nel piano del governo e non esiste alcun documento con cui la Repubblica d’Armenia rifiuti di essere garante della Repubblica di Artsakh. Alla domanda di Khamoyan su cosa ha fatto il governo, cosa sta facendo e cosa propone per aprire il Corridoio di Lachin e come si manifesta la situazione della Repubblica di Armenia che diventa garante della sicurezza dell’Artsakh, Grigoryan ha risposto: “È una sua valutazione che il governo abbia rinunciato. Se la Repubblica di Armenia ha assunto tale impegno secondo il piano del governo, allora l’Armenia continua ad adempiere a tale impegno. Ci sono molti di questi obblighi che l’Armenia adempie. Si tenga presente che secondo la dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, la Federazione Russa è garante della sicurezza del Corridoio di Lachin, e invito l’opposizione a lavorare anche in questa direzione, affinché la Federazione Russa adempia ai propri obblighi e garantisca un traffico ininterrotto e sicuro nel Corridoio di Lachin. Stiamo anche lavorando con la Federazione Russa per aprire il Corridoio di Lachin il prima possibile. Questa provocazione organizzata dall’Azerbaigian, che, come ho detto, mira alla pulizia etnica, dovrebbe tenere tutti in guardia”.
Il governo della Repubblica di Armenia dimostra di continuare ad essere il garante della sicurezza dell’Artsakh. Rispondendo a Gegham Manukyan, deputato della frazione di opposizione “Hayastan”, se la Repubblica di Armenia continua ad essere garante della sicurezza dell’Artsakh, come previsto dal Governo nel programma 2021-2026, Grigoryan ha detto: “Come è noto, il governo lo ha dimostrato con i fatti. L’anno scorso, circa 200 miliardi di dram di sostegno finanziario sono stati forniti all’Artsakh, e penso che tu sappia che questo sostegno finanziario risolve non solo problemi socio-economici, ma anche di sicurezza. E non ci può essere una seconda opinione qui. Penso che la risposta sia chiara”.
Gli “attivisti ambientali” dell’Azerbajgian che bloccano il Corridoio di Berdzor (Lachin) si sono riservati il diritto di ispezionare i carichi umanitari e ostacolare il passaggio senza ostacoli dei carichi attraverso il Corridoio, ha sottolineato l’Ambasciatore con Incarichi Speciali presso il Ministero degli Esteri armeno, Edmon Marukyan, in un post su Twitter. Marukyan ha aggiunto che, di fatto, si sono assegnati illegalmente compiti doganali. “Bisogna porre fine a queste sciocchezze”, ha sottolineato.
Nella sessione del Quartier generale operativo tenutasi oggi sotto la presidenza del Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh e Capo dello staff operativo, Ruben Vardanyan, sono state discusse le questioni relative alla garanzia della vita normale della popolazione nella situazione creata dal blocco dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian. Presentando la situazione attuale, Vardanyan ha osservato che l’autostrada Stepanakert-Goris nel tratto Shushi-Karin lungo il Corridoio di Berdzor (Lachin) rimane chiusa e che l’Artsakh è sotto il blocco dell’Azerbajgian per il nono giorno. Il Ministro di Stato ha anche sottolineato l’importanza di essere pronti a tutti gli scenari possibili. Considerando prioritarie le questioni relative alla garanzia della normale attività di vita della popolazione, il Ministro della Difesa ha sottolineato l’importanza di una risposta rapida ai nuovi problemi emergenti, una pronta discussione delle loro soluzioni. I partecipanti alla sessione hanno presentato la situazione attuale nelle loro aree di responsabilità. In particolare, sono state presentate informazioni sulla situazione nei mercati di prodotti alimentari, medicinali, benzina e gas. È stato notato che vengono fatte costantemente osservazioni, vengono registrati problemi e si cerca di trovare soluzioni rapide ed efficaci. In particolare, è stato riferito che le scorte di farina i Artsakh sono sufficienti e non ci sono problemi legati alla produzione del pane. Alcuni tipi di prodotti sono stati forniti anche ai negozi dalle scorte disponibili nel Fondo di sostegno rurale e agricolo. Sottolineando l’attuazione del risparmio, il ministro di stato ha incaricato gli organi statali di ridurre al minimo il numero di auto a benzina, dando la preferenza alle auto a gas. Durante la sessione è stata inoltre presentata la situazione attuale nei settori dell’approvvigionamento energetico, dell’approvvigionamento idrico e di altre infrastrutture e l’attuazione di misure volte al risparmio.
In risposta alla domanda dell’agenzia di stampa ISNA sul blocco del Corridoio di Lachin, il Portavoce del Ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanani, ha dichiarato: “La Repubblica Islamicadell’Iran ha sempre sottolineato che la piena attuazione delle disposizioni della dichiarazione trilaterale sul cessate il fuoco tra Armenia e Azerbajgian può porre fine alle divergenze tra i due Paesi”. Affermando che l’instaurazione della pace e della stabilità nella regione richiede di evitare qualsiasi tensione non necessaria, Kenani ha espresso la speranza che la questione dello sblocco del Corridoio di Lachine venga risolta attraverso il dialogo e negoziati pacifici tra le parti.
Il 19 dicembre 2022 a Brussel, su iniziativa congiunta del Comitato Nazionale Armeno del Belgio, della Federazione Armena Europea per la Giustizia e la Democrazia, del Comitato degli Armeni del Belgio e dell’Associazione dei Democratici Armeni del Belgio, si è svolta una manifestazione, chiedendo fermare immediatamente la politica dell’Azerbajgian di pulizia etnica della popolazione armena dell’Artsakh/Nagorno Karabakh.
I manifestanti hanno deciso di presentare le seguenti richieste all’Unione Europea:
fare pressione sull’Azerbaigian affinché apra immediatamente e senza condizioni il Corridoio di Lachin, garantire che questa situazione non si ripeta;
adottare misure concrete per garantire la sicurezza della popolazione armena dell’Artsakh;
introdurre misure diplomatiche ed economiche e sanzioni individuali contro i beni delle autorità azere;
riconoscere la Repubblica di Artsakh;
istituire un ufficio umanitario in Artsakh;
prorogare immediatamente il mandato della Missione di Capacità di Monitoraggio dell’Unione Europea.
Diversi personaggi pubblici e politici si sono uniti alla manifestazione, tra cui parlamentari fiamminghi e il coordinatore del gruppo di amicizia francofono belga con Artsakh, André Du Bus.
I manifestanti hanno condannato il blocco dell’unica via di accesso all’Artsakh , sponsorizzato dallo stato azero, che ha portato a un totale isolamento della popolazione armena. Hanno ribadito il loro impegno a lottare per i diritti fondamentali del popolo armeno dell’Artsakh.
“Sono del Karabakh e voglio la pace”.
Uno sguardo dall’interno. Popolo dell’Artsakh, al centro della paura e dell’ottimismo, dell’incertezza e dell’aiuto reciproco
di Arusyak Kapukchyan Radio pubblica di Armenia, 19 dicembre 2022
(Nostra traduzione italiana dall’armeno)
In Artsakh non c’è un panico incontrollabile, ma una preoccupazione fondata. Il cibo scarseggia, mancano i beni di prima necessità. La vita diventerà presto più difficile. Questo può essere visto quando guardiamo gli Armeni dell’Artsakh, dall’Armenia. Tuttavia, cos’altro c’è dall’altra parte della strada chiusa, cosa pensano e sentono i nostri compatrioti, non è ben visibile dall’Armenia.
L’unico “modo” per raggiungerli ora è la comunicazione telefonica, che, tuttavia, non sostituirà mai la conversazione faccia a faccia e non trasmetterà sentimenti reali a tutti i livelli. Tuttavia, la gente di Artsakh ha detto a Radiolur che non è tutto in ordine, ma andrà bene.
Con un’unica “strada” aperta tra l’Armenia e l’Artsakh, attraverso una connessione telefonica, dice Azat Adamyan, per noi va tutto bene. Azat è il fondatore del famoso pub Bardak in Artsakh. Per diversi giorni, invece di riunirsi in un pub con gli amici, prendono una macchina e vanno in una zona chiamata Zari Bagh. È il posto di controllo doganale vicino all’ingresso di Stepanakert. Qui la bevanda è il tè, l’argomento discusso è la strada, l’occupazione è aiutare le persone.
“Ritengo che questi non siano dei veri ostacoli per noi, posso dire di più, abbiamo iniziato a comunicare di più tra di noi. Se prima si parlava più spesso di politica con gli amici, ora si discute di più dei temi dell’aiutare qualcuno. Ci riuniamo e decidiamo come risolvere questo piccolo problema, o se tale persona ha un problema, aiutiamola, sosteniamola”, dice Azat. Secondo lui, la strada chiusa ha aperto i lati positivi del carattere delle persone. Ora sono più consolidali e uniti. Sono anche ottimisti, ma l’espressione “per noi va tutto bene” non riguarda la vita naturale, ma una forte volontà. “Ad esempio i bambini non hanno più da mangiare (stiamo parlando delle omogenizzati vendute in farmacia), so che abbiamo un problema molto serio con le medicine, la gente non può avere le medicine di base necessarie per sopravvivere, abbiamo anche malati gravi che devono essere trasferiti molto rapidamente nella Repubblica di Armenia. Tuttavia, l’abbiamo visto anche negli anni ’90, questa nazione l’ha visto. All’epoca avevo 2 anni, ma a quel tempo l’Artsakh era sotto blocco totale da tutte le parti per 4 mesi. Portavano solo cibo per via aerea, poco, distribuzione da persona a persona, ma le persone vivevano, no? All’inizio era più difficile, dice. I giovani, non comprendendo la gravità del momento, hanno dato speranza agli adulti, poi gli adulti, rendendosi conto dell’importanza del momento, l’hanno trasmesso ai giovani. “All’inizio, li abbiamo ispirati, perché non sapevamo della gravità del problema, e poi hanno iniziato a ispirarci, che abbiamo visto giorni peggiori di questo, ne siamo usciti da sotto, cos’è che non usciamo?” Penso che tutti siano di buon umore ora, anche se ci sono alcune persone che ora hanno paura, stanno pensando di lasciare l’Artsakh, anche se non ci credo, perché so che quelle stesse persone amano l’Artsakh più della vita, so che non se ne andranno da qui”, dice Azat.
“È una sensazione così strana, stai vivendo l’incertezza, ma dentro di te lampeggia una speranza e nasce la fede e la forza che tutto andrà bene. L’incertezza, che fa nascere anche la forza. Non ho mai provato sentimenti del genere”, afferma Emma Mamunts. È nata e cresciuta a Stepanakert. Poi ha deciso di conseguire un master a Yerevan e si è trasferito in Armenia il 24 settembre 2020. Tre giorni dopo è iniziata la guerra. Emma ha vissuto in Armenia per questi 2 anni, di tanto in tanto andava ad Artsakh per vedere i suoi parenti. Questa volta è tornato a casa e non è potuto tornare più a Yerevan. “Ho trovato una realtà completamente diversa nel mio paese, la mia casa. “Quando ho lasciato Stepanakert e mi sono trasferita a Yerevan, il mio paese era fiorente, l’Artsakh era fiorente”, ricorda Emma. Emma è in ansia, ma non in preda al panico. Dice che è una preoccupazione naturale che un giorno non ci siano cibo o medicine, la vita diventerà impossibile. Guardando i suoi parenti in Artsakh, pensa che forse è troppo emotivo, forse la situazione non è così drammatica come quella che sta vivendo, poi si rende conto di non aver vissuto appieno il dolore a Yerevan, e i suoi parenti si sono semplicemente induriti. “Una cosa è sapere, un’altra è vivere e sentire tutto. E lo hanno sperimentato durante questi due anni. A marzo hanno interrotto l’approvvigionamento di gas, non c’era acqua per un po’, poi a settembre si è nuovamente creata una situazione, hanno affrontato regolarmente le provocazioni dell’Azerbajgian e in questi 2 anni si sono irrigiditi. Non voglio dire questa parola: hanno imparato, hanno sopportato, perché non sopporteranno tutto questo, semplicemente si sono induriti e sono disposti a non cedere alle provocazioni del nemico. Il loro obiettivo [degli Azeri] è farci saltare dal letto, farci prendere dal panico e farci pressione psicologicamente. Non è che ci sia indifferenza, ma hanno imparato la lingua del nemico”. No, non va tutto bene, non è tutto in ordine, dice Emma. Il blocco di otto giorni non può essere normale, la mancanza di beni essenziali ogni momento non è un segno di vita normale. Ma non c’è dubbio che andrà tutto bene. “Non tutto va bene, ma tutti qui stanno facendo tutto ciò che dipende da noi per essere buoni. Qui vivono persone davvero volitive. Ma ora non c’è panico nell’Artsakh. Una persona psicologicamente forte può comportarsi in modo così adeguato in una situazione del genere”.
La vita in Artsakh continua in un’atmosfera di paura, ottimismo, preoccupazione, unità, incertezza, aiuto reciproco. E sebbene la connessione telefonica sia una delle uniche “strade” aperte tra l’Armenia e l’Artsakh, la gente dell’Artsakh è in grado di dire al mondo: abbiamo bisogno di aiuto, qui viene commesso un crimine, ma tutto è ancora in ordine e lo andrà bene.
Gli “eco-attivisti” che bloccano l’autostrada Stepanakert-Goris affrontano i militari del contingente di mantenimento della pace russo.
La carta da gioco che l’Azerbajgian regala all’Armenia. L’interesse armeno nel blocco
di Lena Badeyan Radio pubblico di Armenia, 19 dicembre 2022
(Nostra traduzione italiana dall’armeno)
Si è svolta una riunione del Consiglio di Sicurezza a Yerevan ed è stato avviato di un procedimento penale presso l’Ufficio del Procuratore generale dell’Artsakh. Si cercano soluzioni per la situazione su entrambi i lati della strada bloccata già da otto giorni. La maggior parte dei cittadini dell’Azerbajgian che hanno organizzato il blocco dell’autostrada Stepanakert-Goris sono ex o attuali dipendenti dei servizi speciali. Il problema ambientale sollevato è solo un velo per nascondere i veri obiettivi.
Il Primo Ministro dell’Armenia ha iniziato la giornata ricordando su Twitter: “La gente del Nagorno-Karabakh è lasciata al freddo sulle strade, le famiglie sono su lati diversi del blocco. I cittadini con gravi problemi di salute sono privati di medicinali e servizi sanitari”.
Il Papa è preoccupato per la difficile situazione umanitaria in Nagorno-Karabakh a causa della chiusura del corridoio. Ha dedicato una parte della preghiera domenicale alla chiusura del Corridoio di Lachin.
Circa tre dozzine di membri del Congresso USA si sono appellati al Presidente del Paese, Joe Biden, esortandolo a prendere provvedimenti per garantire la sicurezza del popolo dell’Artsakh.
La reazione globale alla chiusura del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian non ha cambiato nulla sul terreno, ma si può trarre vantaggio dalla situazione, ha detto il politologo Hayk Sukiasyan in una conversazione con Radiolur, citando un lavoro attivo e duro come prerequisito.
“L’Armenia dovrebbe organizzare il lavoro di informazione giorno e notte in diverse lingue, dovrebbe annunciare su tutte le possibili piattaforme di informazione che l’Azerbajgian si sta preparando a massacrare, si sta preparando ad affamare gli Armeni dell’Artsakh. L’Azerbajgian tiene l’Artsakh sta blocco, la popolazione dell’Artsakh si sta congelando perché l’Azerbajgian ha causato un problema di gas. L’Armenia non è in grado di fornire aiuti, né in termini di cibo né di assistenza medica, quindi le vite degli armeni dell’Artsakh sono in questo momento in serio pericolo. Ecco perché il governo dovrebbe fare questo lavoro di informazione molto rapidamente, il più possibile, per poter cambiare la narrazione e mostrare al mondo contro la formula della ‘separazione per amore della salvezza’. Si è scoperto che non potevamo realizzare il diritto della nazione all’autodeterminazione e oggi, come osserva anche il governo, il mondo non accetta questa situazione”.
Secondo il politologo, la formula “separazione per amore della salvezza” non è più comprensibile per il mondo. Ad Artsakh, anche il Ministro di Stato, Ruben Vardanyan, ha parlato di trarre vantaggio dalla difficile situazione. Nell’Artsakh assediato, organizza ogni giorno incontri con residenti di diverse regioni. Ieri era a Martuni, in giornata sarà ad Askeran. In quelle parti dove è difficile, cerca di formulare i suoi pensieri in russo.
Vardanyan è convinto che il blocco dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian abbia offerto una nuova opportunità. Dice che hanno “azzerato la situazione”. “Sono sicuro che supereremo tutto questo e andremo avanti. Vedo dalla parte delle persone e una parte sana della società è pronta e vuole cambiamenti. Siete tutti pronti e volete che iniziamo i cambiamenti e ciò che abbiamo iniziato, ci sosterrete per andare in quella direzione?”
Tigran Khzmalyan, il Presidente del Partito europeo, sottolinea la reazione dell’Occidente. Considera il fatto che gli osservatori dell’Unione Europea coinvolti in un’operazione completamente diversa, che non ha nulla a che fare con la questione dell’Artsakh, siano apparsi davanti al territorio del Corridoio di Lachin come un “messaggio”. Il confine armeno-azerbaigiano è stato osservato dall’area di Syunik. “Simboleggia che l’Occidente abbia previsto un intervento drastico, e abbiamo sentito negli ultimi giorni USA, Unione Europea, Corte Europea dei Diritti Umani, ONO. E quell’ultimatum è fissato per il 19 dicembre, alle 19.00 ora di Yerevan. Penso che l’ultimatum sia piuttosto potente”.
Nel frattempo, il politologo Hayk Sukiasyan non si aspetta passi seri dalla comunità internazionale in questa fase, a parte gli annunci. Dice che ora il lavoro dovrebbe essere svolto in Armenia e in Artsakh. Se l’Azerbaigian ha una vasta gamma di passaggi, le opportunità della parte armena non sono molte. “L’Armenia ha due modi per trovare una soluzione al problema. Uno è il percorso evolutivo. La Russia indebolirà, durante questo periodo. Per l’Armenia, che ha introdotto alcune correzioni nella sua politica estera, c’è un gruppo di stati la cui collettività ci dà il peso minimo con cui possiamo bilanciare più o meno le nostre relazioni con la Russia. Ma se seguiamo il percorso evolutivo, questo è un lungo processo. Poi, c’è l’alternativa: l’Armenia lascia la l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva [l’alleanza militare di sei nazioni appartenenti alla Comunità degli Stati Indipendenti], riesamina tutti gli accordi con la Russia in ambito militare e si rivolge rapidamente, diciamo, all’India o ad altri Paesi occidentali. Ma questo dovrebbe essere calcolato”. A giudicare dalla sequenza dei passaggi, il politologo conclude che è stato scelto il percorso evolutivo.
Mher Terteryan, Capo del partito Patria Unita, parla anche delle prospettive di servire gli interessi armeni: “Non importa quanto sia difficile la situazione per Artsakh, per noi possiamo raccogliere un grande risultato e fare una grande conversione in dividendi. Niente più disconnessione, l’agenda per la salvezza è diminuita. L’importante è come lo faremo funzionare. E qui è ovvio che chiudere o meno il Corridoio di Lachin è uno degli strumenti. Se hanno raggiunto quel kit di strumenti in un modo così ignorante, incurante e infantile, cosa che ha fatto l’Azerbajgian, penso che sia la sua ultima possibilità, che sta cercando di utilizzarlo per ottenere il cosiddetto ‘Corridoio di Zangezur’”.
Il politologo Hayk Sukiasyan non vede più la possibilità di soluzioni rapide per quanto riguarda il Corridoio di Lachin e la risoluzione del problema: “Questo è un lungo processo di respirazione. Se il nostro popolo e gli Armeni dell’Artsakh vogliono oggettivamente una soluzione rapida al problema, commetteranno un errore. Cosa sta facendo l’Azerbajgian? Ora, poiché ci sono critiche dalle strutture internazionali e dalle singole superpotenze dirette all’Azerbajgian, la possibilità della sua aggressione militare è stata limitata. Pertanto, è passato ad altre tattiche. Ad esempio, bloccando la strada. Questo è uno degli strumenti della guerra ibrida, è uno degli strumenti per fare pressione sull’Armenia. Pertanto, tali cose accadranno di nuovo. Questo non è un fenomeno nuovo, domani faranno anche qualcos’altro, finché l’Armenia non sarà in ordine dall’interno, finché l’Armenia non sposterà la sua politica su binari diversi”. E si tratta già di trasformarsi dall’interno, vedere correttamente i problemi, mirare correttamente agli obiettivi e fornire soluzioni. Secondo il politologo, dovrebbe essere fatta una chiara richiesta non dall’Armenia, ma dall’Artsakh alla Russia in merito all’adempimento degli obblighi del 9 novembre 2022.
Ruben Vardanyan: mantenere l’Artsakh armeno è una questione di dignità dell’intero popolo armeno
di Lilit Muradyan Radio pubblica di Armenia, 19 dicembre 2022
(Nostra traduzione italiana dall’armeno)
Il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, Ruben Vardanyan, insieme ai capi di tutte le frazioni dell’Assemblea Nazionale, ha proseguito la serie di incontri nelle regioni. Oggi hanno avuto un incontro nella città di Askeran.
Il Ministro di Stato e i leader politici hanno ascoltato le questioni che preoccupano il popolo di Askerani, hanno risposto alle loro domande relative alla sicurezza dell’Artsakh, l’organizzazione del loro stile di vita nelle condizioni del blocco, dell’unità e del consolidamento dell’Artsakh. Vardayan ha osservato che la giustizia e la trasparenza nella situazione creata sono i principi ai quali si ispira il governo. “Abbiamo stabilito le regole del gioco, che sono uguali per tutti, indipendentemente dal fatto che siano funzionari, proprietari, combattenti per la patria o semplici cittadini. Naturalmente, coloro che hanno reso servizi alla madrepatria dovrebbero essere rispettati. Ma la legge vale per tutti. È molto importante che le persone sentano davvero che siamo tutti insieme e che dovremmo essere tutti alla pari”, ha sottolineato Vardayan.
È stata sollevata anche una questione sulla mancanza di attenzione e indifferenza per il destino dell’Artsakh da parte di Madre Armenia. I partecipanti all’incontro si sono anche interessati ai passi compiuti per uscire dalla situazione. Vardanyan ha sottolineato che l’indifferenza è il fenomeno più pericoloso e mantenere l’Artsakh armeno è la questione della dignità dell’intero popolo armeno. “Dobbiamo fare di tutto affinché l’Artsakh sia indipendente, armeno e abbia un futuro sicuro. Faremo tutto il possibile per raggiungere questo obiettivo. Sottolineiamo che il nostro unico obiettivo è proteggere l’Artsakh, creare vie d’uscita da questa situazione. Ecco perché lavoriamo con le Nazioni Unite, la Francia, gli Stati Uniti e la Russia. Per raggiungere il nostro obiettivo più importante, preservare e sviluppare l’Artsakh, dobbiamo utilizzare tutti i mezzi e gli strumenti”.
I partecipanti all’incontro hanno anche assicurato di essere uniti e pronti a lottare per il loro diritto vitale di vivere in Artsakh. Hanno anche espresso il loro sostegno all’idea di organizzare una manifestazione nazionale.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-20 19:25:332022-12-21 19:27:02Nono giorno del #ArtsakhBlockade. Davanti ai possibili scenari, per il Ministro di Stato dell’Artsakh l’obiettivo è preservare e sviluppare l’Artsakh (kORAZYM 20.12.22)
Non solo Qatar: da almeno un decennio l’Azerbaigian usa gli introiti da gas e petrolio per acquistare influenza politica e culturale in Europa…
La notizia dell’arresto dell’eurodeputata socialista greca Eva Kaili ha creato un terremoto a Bruxelles e ha avuto ripercussioni anche in Italia nella scorsa settimana. L’accusa è di aver ricevuto tangenti dal Qatar, per ripulirne l’immagine e depotenziare le accuse di non rispetto dei diritti umani e dei lavoratori.
Ma non è solo il Qatar a “investire” in Europa. Sono tanti i paesi del vicinato che, grazie alle esportazioni di gas e petrolio verso i paesi europei, dispongono di un discreto tesorettoda reinvestire in relazioni culturali, politiche, sportive, che possano garantire la tranquillità degli investimenti, a dispetto di conflitti e mancanza di democrazia e diritti umani. E’ ben noto il caso dell’Arabia Saudita, monarchia assoluta che da vari anni fa riferimento, in Italia, al senatore Matteo Renzi – unico caso di un esponente politico in carico a fatturare oltre un milione di euro a un paese straniero.
Un caso particolare è quello dell’Azerbaigian. La repubblica sul Caspio è oggi – proprio assieme al Qatar – tra le principali fonti di gas e petrolio alternative alla Russia, e per questo vezzeggiato dall’Europa – non senza ombre. L’UE investirà 60 milioni di euro in Azerbagian entro il 2024, secondo quanto affermato da Ursula von der Leyen a luglio a Baku – ma non è dato sapere quanti ne abbia investiti finora invece l’Azerbaigian in Europa.
Tangenti da Malta all’Ungheria
Caso di specie, oltre al gasdotto TAP che veicola il gas azero fino a Grecia e Italia, è l’accordo per la costruzione di una nuova centrale elettrica a Malta, con un accordo monopolistico d’intermediazione sul prezzo del gas che spilla al bilancio maltese milioni di euro l’anno. Le tangenti dietro l’affare potrebbero essere tra le motivazioni dell’omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia nel 2017, come rivelato dal Daphne Project.
E anche in Ungheria, le indagini hanno rivelato bonifici per oltre 9 milioni di dollari nel 2012 subito dopo la visita di Viktor Orbán a Baku a giugno e poco prima che, nonostante le proteste, l’Ungheria estradasse in Azerbaigian il soldato Ramil Safarov, colpevole di aver assassinato a colpi d’ascia un soldato armeno durante un’esercitazione NATO nel 2004 nel paese centroeuropeo. A seguito del caso, l’Armenia aveva sospeso per un decennio le relazioni diplomatiche con Budapest.
La diplomazia del caviale e la lavatrice azera
La penetrazione finanziaria azera non è d’altronde cosa nuova: da oltre un decennio l’Azerbaigian avvicina politici europei per garantirsene il favore – la famosa “diplomazia del caviale” che East Journal segue sin dal 2013, e che ha piagato in particolare il Consiglio d’Europa. L’ex deputato UDC Luca Volonté, membro italiano dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, a gennaio 2021 è stato condannato in primo grado a 4 anni – primo politico europeo a venir condannato per corruzione internazionale legata al governo dell’Azerbaigian.
Sono finiti sotto inchiesta anche vari deputati tedeschi di centrodestra, così come il belga Alain Destexhe, implicato nello scandalo della “lavatrice azera“: per sette anni, la sua associazione European Academy for Elections Observations aveva pubblicato rapporti falsamente positivi sullo stato delle (in realtà scandalose) elezioni in Azerbaigian.
Le relazioni accademiche e il conflitto in Nagorno Karabakh
Le attività pubbliche del regime azero non si sono fermate a Strasburgo. In tutta Europa, Italia compresa, con il pretesto di favorire le relazioni culturali e accademiche, il governo azero ha tessuto una vasta rete di contatti nel mondo giornalistico e universitario. Anche attraverso questi contatti è stato possibile al regime di Baku mettere la sordinaalle critiche per la progressiva autocratizzazione del paese e al militarismo revanscista, fino al definitivo attacco al Nagorno Karabakh dell’estate 2020.
Subito dopo la fine del conflitto, il governo azero ha iniziato a organizzare lussuosi e retribuiti viaggi di gruppo per giornalisti stranieri – una pratica denunciata dal giornalista svedese Rasmus Canbäck, che era stato invitato a parteciparvi. Secondo Canbäck “lo scopo di questi viaggi è diffondere la narrativa azera sul conflitto in Nagorno-Karabakh. Porre domande critiche o decidere chi e dove incontrare è estremamente difficile.”
Dollari azeri per i restauri in Vaticano
Tra i beneficiari dei fondi azeri c’è persino il Vaticano. La Fondazione Heydar Aliyev contribuisce sin dal 2012 ai restauri di opere e dipinti custoditi in Vaticano, e come riporta Inside Over nel marzo 2021 i due governi hanno rinnovato l’accordo per il restauro con fondi azeri delle catacombe di Comodilla, alla Garbatella.
Non è chiara quale sia la portata finanziaria delle donazioni della repubblica del Caspio alla Città del Vaticano, ma le sue conseguenze politiche sono evidenti. Già nel 2016, papa Francesco visitò la Georgia e l’Azerbaigian (inclusa la visita al monumento ai caduti dell’indipendenza) ma non l’Armenia – mentre il presidente Ilham Aliyev e signora si recarono in visita in Vaticano nel febbraio 2020.
E dopo la riconquista del Nagorno Karabakh nell’estate 2021, la delegazione azera “ha incoraggiato gli esperti del Vaticano a partecipare da vicino al restauro del patrimonio storico e culturale nei territori liberati dell’Azerbaigian”, come riporta Azernews. Chissà se il Papa stesso visiterà, al prossimo viaggio, quella Shushi/Shusha oggi dichiarata dal regime azero “capitale culturale del mondo turco per il 2023″.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-12-20 18:50:022022-12-21 18:51:08AZERBAIGIAN: I petro-dollari di Baku alla conquista dell’Europa (East Journal 20.12.22)
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