Gli Azeri Decapitano I Vecchi Armeni In Nagorno Karabagh. (Stilum Curiae 17.12.20)

Marco Tosatti

Gli armeni stanno rivivendo in queste ore gli orrori del genocidio di un secolo fa, a causa delle atrocità che i soldati azeri, e i terroristi sguinzagliati dalla Turchia stanno commettendo nella parte del Nagorno Karabagh ricaduta nelle mani di Baku dopo la firma dell’accordo di tregua. Sul web stanno circolando da giorni video che mostrano scene raccapriccianti, fra cui la decapitazione di un anziano in un villaggio armeno che ha deciso di rimanere, nonostante che la zona fosse caduta in mani azere.

Ringraziamo Giulio Meotti che su Twitter ha postato la notizia e il fermo immagine del video, non il video stesso per rispetto verso la povera vittima. Quel caso non è il solo, e si moltiplicano i racconti di atrocità commesse dai soldati di Baku e dai loro affiliati, e di maltrattamenti e comportamenti inumani nei confronti di soldati armeni caduti prigionieri.

Scrive il Guardian: “Gli uomini di etnia armena non erano combattenti, ha detto la gente nei loro rispettivi villaggi. Entrambi sono stati decapitati da uomini in uniforme delle forze armate azere. I brevi e raccapriccianti video delle uccisioni sono tra i peggiori di un torrente di filmati di abusi, torture e omicidi che ha continuato ad emergere più di un mese dopo l’entrata in vigore di un cessate il fuoco mediato dai russi”.

Nei video postati online il 22 novembre e il 3 dicembre, uomini in uniforme coerente con quelle dell’esercito azerbaigiano tengono fermo e decapitano un uomo con un coltello. Si posiziona poi la testa mozzata su un animale morto. “È così che ci vendichiamo: tagliando le teste”, dice una voce fuori campo. Una delle vittime è stata identificata come Genadi Petrosyan, che si è trasferito in quella zona all’inizio degli anni ’80 dalla città di Sumgait.

Alcuni dei video più raccapriccianti e ampiamente visti sono stati anche tra i più difficili da confermare. Un video postato su un canale Telegram il 7 dicembre ha mostrato due soldati in uniforme coerente con i militari azerbaigiani che immobilizzano un anziano vicino a un albero. Un altro soldato passa un coltello a uno degli aggressori, che inizia ad affettare il collo della vittima. La testa della vittima inizia a separarsi dal collo prima della fine del video.

Tre abitanti del villaggio di Azokh hanno identificato la vittima in questo video come Yuri Asryan, un uomo di 82 anni che viveva da solo e che si era rifiutato di lasciare il villaggio il 20 ottobre quando le forze azerbaigiane si sono avvicinate.

“Non comunicava molto con gli altri. Si è solo rifiutato di andarsene”, ha detto Georgi Avesyan, il capo del villaggio da molto tempo fino al 2019 e una delle persone che ha identificato Asryan. Ha detto che è possibile che Asryan non abbia compreso appieno ciò che stava accadendo. Le forze azere sono entrate nel villaggio giorni che è rimasto sotto il controllo di Baku in virtù dell’accordo di cessate il fuoco firmato il 9 novembre.

Non si è avuta notizia della sorte di Asryan fino a quando la settimana scorsa è apparso sui social network un video di 29 secondi.

Ci sono centinaia di altri video di abusi online. Sahakyan ha detto che lei e una sua collega stavano seguendo 75 casi di soldati e civili armeni prigionieri presso il tribunale europeo dei diritti umani, tra cui 35 che includevano prove video.

In un video, un abitante del villaggio di nome Kamo Manasyan viene preso a calci e picchiato, mentre perde sangue dall’occhio destro. “Quanti altri di voi sono qui”, grida il suo interrogatore in russo con un forte accento, puntando un fucile alla testa di Manasyan. “Sparatemi se volete”, risponde Manasyan. L’uomo invece lo colpisce con il fucile.

“Era difficile guardare questo video con questa crudeltà”, dice Gagik, suo nipote, in una videochiamata. “Penso che vogliano solo mostrare il loro successo in questa guerra e umiliare gli armeni, per dimostrare che hanno vinto”.Nel frattempo si registra il silenzio, e l’indifferenza dei media italiani; e si registra anche il servilismo di politici – di ogni settore – e di uomini di affari nel confronti di Baku, nonostante il suo ruolo di aggressore nel recente conflitto, appoggiato militarmente dalla Turchia, responsabile del Genocidio del 1915.

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I soldati azeri decapitano civili armeni inermi. «Ecco come ci vendichiamo» (Tempi.it 16.12.20)

SYSTEM OF A DOWN, SERJ TANKIAN PROTAGONISTA DI UN DOCUMENTARIO (Radiofreccia 17.12.20)

Si chiamerà “Truth To Power” il documentario con protagonista il leader dei System Of A Down Serj Tankian

Il frontman dei System Of A Down Serj Tankian sarà il protagonista di un nuovo documentario in uscita nella prima metà del 2021 dal titolo “Truth To Power”. Il film sarà incentrato sull’impegno del cantante nel sensibilizzare l’opinione pubblica sulla questione armena grazie alla sua musica.

“Truth To Power”, il documentario su Serj Tankian

Si chiamerà “Truth To Power” il documentario che racconterà di come Serj Tankian, cantante e leader dei System Of A Down sia stato fondamentale nel portare a conoscenza di tutto il mondo la questione armena, e la rivoluzione Armena del 2018 sia con la sua musica che con la sua lunga storia di impegno sociale e attivismo.

Il film sarà disponibile online a partire dal 19 febbraio 2021 per una durata di 79 minuti con la regia di Garin Hovannisian che ha dichiarato: “Con Oscilloscope e Live Nation a guardarci le spalle, la musica e il messaggio del nostro film può ora toccare i cuori e le menti delle platee di tutto il mondo, inspirando tutti noi a dire e portare avanti la verità davanti ai potenti”.

La pellicola è da tempo in lavorazione e già nel 2018 Tankian ne aveva parlato in un’intervista con Rolling Stone USA anticipando di avere “Un documentario in fase di lavorazione che con i miei occhi guarda a come un messaggio diventa realtà attraverso l’arte”.

Il contenuto di Truth To Power

Truth To Power sarà composto da interviste esclusive e materiale video inedito filmato personalmente da Serj Tankian che porterà gli spettatori dietro le quinte del suo mondo fatto di musica rock ma anche di impegno sociale e politico. Una carriera, quella del cantante dei System of A Down, passata a cantare davanti a platee enormi e, allo stesso tempo, a schierarsi dalla parte del suo popolo, quello armeno, nel tentativo di porre l’attenzione su tutti i casi di giustizia sociale utilizzando il potere della musica per dare vita ad un cambiamento politico.

Quella di Tankian è stata una lunga campagna per far riconoscere ufficialmente dagli Stati Uniti il Genocidio Armeno, un impegno costante per il popolo e in barba ai Governi. Interamente incentrato su questa doppia faccia di Tankian, Truth To Power si occuperà sia dell’uomo che dell’artista dando la possibilità anche di osservare da vicino il suo modo di creare musica sin dalla fase di scrittura attraverso contenuti inediti come le interviste con gli altri membri dei System Of A Down, Tom Morello dei Rage Against The Machine e al leggendario produttore Rick Rubin.

Il film sarà accompagnato da una colonna sonora originale interamente scritta da Tankian con l’aggiunta di alcuni classici dei System Of a Down.

Il ritorno dei System Of A Down

Non è un caso, infatti, che il tanto atteso ritorno discografico dei System of A Down avvenuto in questo 2020 sia direttamente legato all’impegno sociale della band che ha deciso di tornare dopo quindici anni di stop a pubblicare canzoni inedite.

I brani pubblicati dai System Of A Down poco più di un mese fa sono due, ‘Protect The Land’ e ‘Genocidal Humanoidz’ due canzoni pubblicate con uno scopo benefico: raccogliere fondi in supporto alle popolazioni armene colpite dalla guerra nel territorio di Artsakh.

L’operazione dei System Of A Down è riuscita a fruttare in una sola settimana ben 600.000 dollari interamente devoluti ad Armenia Fund, un’organizzazione che si occupa di supportare le vittime del conflitto e gli ultimi.

L’intenzione dei SOAD con la pubblicazioni dei loro nuovi brani è quella di porre sotto i riflettori la guerra che vede coinvolto il territorio armeno di Artsakh e gli eserciti di Turchia ed Azerbaijan: “E’ successo ciò che è successo in Armenia e allora abbiamo deciso di mettere da parte le nostre differenze. Le nostre differenze sono circoscritte a ciò che succede all’interno della band” ha detto Malakian che in un’intervista per la BBC ha sottolineato: “Abbiamo fatto queste canzoni per una nobile causa e le abbiamo fatte per le giuste ragioni. Non ci abbiamo guadagnato nulla, è stato fatto tutto per una nobile causa e perché il nostro paese ha bisogno di noi”.

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Le lezioni (militari) che si possono apprendere dal conflitto nel Nagorno-Karabakh (Insideover 17.12.20)

Il recente conflitto nel Nagorno-Karabakh che ha visto contrapporsi Armenia e Azerbaigian (quest’ultimo supportato dalla Turchia e dalle armi di Israele), può essere d’esempio su come condurre e vincere conflitti a bassa intensità, ed in particolare può fornire un’importante lezione per quei Paesi che si trovano a dover affrontare forze armate numericamente superiori guidate da tattiche convenzionali.

La nostra analisi prende le mosse da un recente articolo apparso su The Diplomat, che fa riferimento a Taiwan, ma ne amplieremo lo spettro e lo adatteremo in senso generale.

La vittoria azera è giunta, con la presa delle alture circostanti la cittadina di Shusa, dopo settimane di combattimenti in cui, sostanzialmente, l’esercito armeno si è trovato sempre sulla difensiva, e sfruttando principalmente assetti “a basso costo”: nella fattispecie i droni, o Uas (Unmanned Aircraft Systems).

Proprio il loro utilizzo massiccio e con tattiche diverse, alcune delle quali inaspettate almeno da parte armena, è stato una delle chiavi di volta della vittoria di Baku. La superiorità aerea con mezzi convenzionali – cacciabombardieri – non è stata quasi mai in discussione: attacchi di caccia si sono visti di rado con entrambi i Paesi che hanno ritenuto di non mettere in gioco le proprie, esigue, forze aeree.

Gli azeri hanno invece usato droni kamikaze, Uas medi da attacco con munizioni guidate e Uas da ricognizione di concerto con l’artiglieria, con effetti devastanti. L’Azerbaigian, infatti, in questo settore aveva una superiorità schiacciante: negli arsenali azeri erano presenti infatti 85 droni israeliani Orbiter 2M, Iai Heron e Searcher 2, Aerostar, Elbit Hermes 450 e 900. Sono stati utilizzati anche un gran un numero (imprecisato) di Uav turchi Bayraktar TB2. L’Armenia, invece, aveva a disposizione poco più 15 esemplari (anche se alcune fonti riportano 40) di locali Krunk, Baze e X-55.

Contro un avversario trincerato, come l’esercito armeno, gli attacchi di droni hanno sortito l’effetto di decimare i posti di comando fissi, i centri logistici e le aree di concentrazione delle forze, indebolendo gravemente le difese armene. I rinforzi, dati da mezzi da combattimento pesanti, hanno ricevuto lo stesso trattamento, forse anche peggiore. Colti allo scoperto, per via delle prevedibili direttrici di avanzamento, gli Mbt armeni sono stati letteralmente spazzati via: si calcola che ne siano andati persi circa 240 tra distrutti o catturati. La distruzione delle forze corazzate e meccanizzate armene è stata cruciale per consentire alle unità speciali azerbaigiane leggere, col supporto dell’artiglieria, di catturare i punti strategici del Nagorno-Karabakh, come Shusa, ponendo quindi l’Armenia nelle condizioni di dover accettare una pace imposta (dalla Russia e dalla Turchia) che ne ha sancito la sconfitta.

Questa è forse la lezione più importante appresa da quel conflitto: davanti a un avversario che utilizza tattiche convenzionali, anche se numericamente superiore, i droni diventano una risorsa spendibile e altamente efficace per colpire senza il timore di perdere assetti più costosi, e vite umane.

La seconda lezione è intimamente legata alla prima, riguardando, ancora una volta, l’utilizzo di velivoli pilotati da remoto. L’Azerbaigian ha massicciamente utilizzato vecchi velivoli Antonov An-2 (Colt in codice Nato) pilotati a distanza come “esche” per attivare le difese aeree avversarie che venivano successivamente bersagliate da artiglieria, altri piccoli droni armati, o kamikaze, mettendole fuori combattimento. Questa tattica di “inganno” è stata particolarmente efficace, e, ancora una volta, a costo bassissimo: se non si ha a disposizione un gran numero di velivoli obsoleti, come potrebbero essere vecchi cacciabombardieri, si potrebbe sempre ricorrere a droni di medie dimensioni, oppure di piccole dimensioni ma dotati di amplificatori di risposta radar, per ottenere lo stesso risultato.

Un’altra importantissima lezione, che si può evincere da quanto sin qui detto, è quella di non combattere una battaglia come il nemico si aspetta che venga combattuta. Una lezione vecchissima, già espressa dalla filosofia di Sun Tzu, ma che è sempre attuale.

Per gli armeni, il non aver messo in pratica questo assunto, si è rivelato fatale. Sebbene prima dello scoppio della guerra si fosse capito che la tattica di difesa statica, “di trincea”, era precisamente ciò contro cui gli azeri erano preparati a combattere, il lento tasso di cambiamento dottrinale ha fatto sì che l’Armenia si ritrovasse con una marea di volontari addestrati dai veterani del conflitto del 1994, vinto da Erevan proprio con tattiche di guerra statica, che si può definire d’attrito in stile sovietico. I soldati armeni hanno dovuto quindi affrontare uno scenario completamente nuovo, dove, come abbiamo già detto, proprio i “trinceramenti” venivano attaccati – ed eliminati – da un nemico che colpiva inesorabilmente e senza la possibilità di contrattaccare, vedendo quindi, oltretutto, il proprio morale fortemente minato da questa, per loro nuova, tattica di combattimento. Diventa essenziale quindi la flessibilità non solo dell’intera architettura di una Forza Armata, che deve dotarsi di strumenti adeguati a tutti i possibili scenari, compresi quelli “a bassa intensità”, ma anche un impianto dottrinario dei quadri “flessibile” che quindi possa andare a modificare l’addestramento delle truppe.

L’ultima lezione attiene al campo della guerra ibrida, quell’Hybrid Warfare che è diventata il leitmotiv dei confronti (armati e non) moderni. Armenia e Azerbaigian si sono affrontati duramente anche nel campo della propaganda, ma Baku ha saputo utilizzarla meglio. L’Azerbaigian è riuscito infatti a capitalizzare efficacemente gli sforzi in questo senso riuscendo a coinvolgere l’opinione pubblica, non solo locale, e soprattutto mostrando agli altri Stati coinvolti diplomaticamente nel conflitto i suoi progressi militari, veri o presunti che fossero. I video – alcuni anche di pregevole fattura, fattore che denota una particolare attenzione al tema – mostrati dal Ministero della Difesa azero che mostravano gli attacchi di droni a postazioni armene, o la distruzione di intere colonne corazzate, hanno sicuramente avuto un ruolo non secondario nella decisione di Mosca di porre termine al conflitto rapidamente determinando così condizioni di pace particolarmente pesanti per l’Armenia.

In buona sostanza la guerra nel Nagorno-Karabakh, benché si avvii a restare uno dei tanti “conflitti congelati” sorti nell’area della vecchia sfera di influenza sovietica, ha dimostrato come uno scontro “a bassa intensità” si possa condurre efficacemente con armamenti “a basso costo” nel contesto, ormai onnipresente, della guerra ibrida. Una lezione da tenere ben presente per il futuro e non solo per contesti geografici lontani dalla vecchia Europa.

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Soldati azeri decapitano civili armeni nell’Artsakh. Dove sono il governo e i parlamentari italiani amici di Baku per il gas azero? Dove sono i professionisti della protesta? (Korazym 17.12.20)

L’Armenia trasmetterà tutti i crimini di guerra documentati commessi dall’Azerbaigian alle organizzazioni internazionali, ha detto il Ministro degli esteri armeno Ara Aivazian in un’intervista a Le Monde. Ha detto che “la storia ci ha dolorosamente insegnato che il genocidio armeno [nel 1915] è stato commesso a causa dell’impunità”. “Durante il conflitto in Nagorno-Karabakh, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet ha espresso preoccupazione per le indicazioni di crimini di guerra commessi dall’Azerbaigian”, ha detto il Ministro degli esteri armeno. “L’Armenia redigerà un elenco di tutti i casi accertati e lo inoltrerà alle organizzazioni internazionali competenti per assicurare i responsabili alla giustizia”, ha affermato Aivazian.

“Così ci vendichiamo, tagliando delle teste”. Uno dei due anziani armeni decapitati dai soldati azeri, Genadi Petrosyan era scampato al pogrom di Sumgait del 1988. Gli azeri-turchi vogliono finire quello che l’Impero ottomano ha iniziato con il genocidio armeno del 1915. Per gli azeri-turchi, gli armeni non hanno diritto alla loro terra, neanche alla vita. Gli armeni, con cui condividiamo fede e cultura, sopravvissuti al genocidio turco, non hanno il diritto di essere difesi? Il silenzio è assordante, nella quasi totale l’indifferenza dei media italiani. I politici di ogni partito e gli uomini d’affari italiani sono indifferenti – annebbiati dal gas azero – di fronte alla guerra di aggressione azera-turca, che è semplicemente una continuazione del genocidio armeno del 1915.

Segue la notizia sulla decapitazione di civili armeni da soldati azeri, rilanciata da The Guardian in una nostra traduzione italiana.

Inoltre, segue la denuncia di una vergognosa lettera inviata da un gruppo industriale italiana al dittatore azero, inconcepibile anche solo da un punto di vista commerciale…

Nei video della guerra del Nagorno-Karabakh identificati due uomini decapitati
Gli uomini di etnia armena si sono rifiutati di lasciare i loro villaggi prima dell’arrivo delle forze azere, dicono i locali
di Andrew Roth, corrispondente da Mosca
Theguardian.com, 15 dicembre 2020

Sono stati identificati due uomini anziani decapitati dalle forze azere in video ampiamente condivisi sulle app di messaggistica, a conferma di due delle più sanguinose atrocità della recente guerra in Nagorno-Karabakh. Gli uomini di etnia armena erano non combattenti, hanno detto le persone nei rispettivi villaggi. Entrambi sono stati decapitati da uomini in divisa delle forze armate azere. I brevi e raccapriccianti video delle uccisioni sono tra i peggiori di un torrente di filmati che ritraggono abusi, torture e omicidi che hanno continuato a emergere più di un mese dopo l’entrata in vigore di un cessato il fuoco mediato dalla Russia.

La testimonianza degli abitanti del villaggio nelle interviste con The Guardian corrobora le identificazioni di un difensore civico per i diritti umani per il governo locale sostenuto dall’Armenia e di due eminenti avvocati armeni per i diritti umani che stanno preparando un procedimento penale relativo agli omicidi. The Guardian ha anche confermato una delle identità della vittima con un parente e ha esaminato una fotografia della domanda di passaporto che assomiglia molto all’altra vittima.

Nei video pubblicati online il 22 novembre e il 3 dicembre, uomini in uniformi coerenti con quelle dell’esercito azero trattengono e decapitano un uomo usando un coltello. Si posiziona quindi la testa mozzata su un animale morto. “È così che ci vendichiamo – tagliando delle teste”, dice una voce fuori campo.

Due residenti del villaggio di Madatashen, nel Nagorno-Karabakh, hanno identificato la vittima come Genadi Petrosyan, 69 anni, che si era trasferita nel villaggio alla fine degli anni ’80 dalla città di Sumgait, in Azerbaigian. Gayane Petrosyan (nessun parente), il capo della scuola locale, viveva proprio di fronte alla modesta casa di due stanze di Petrosyan. Ha detto che suo padre aveva aiutato a installare l’impianto elettrico del villaggio e le aveva mostrato le foto di un figlio che si era trasferito in Russia con la sua ex moglie. Ha detto di uno dei video: “Ho potuto vedere chiaramente il suo viso e ho potuto riconoscere che era lui”. The Guardian ha anche visto una fotografia di Petrosyan che ricorda da vicino la vittima nel video. Genadi Petrosyan, che viveva da solo, ha resistito a lasciare il villaggio quando le forze azere si sono avvicinate. Quando un vicino ha cercato di portarlo via, è sceso dall’auto ed è tornato a casa. Eduard Hayrapetyan, il capo del villaggio, ha detto che conosceva Petrosyan da più di tre decenni e lo considerava un caro amico della sua famiglia. Ha ricevuto l’ultima telefonata da Petrosyan la mattina del 28 ottobre, per dirgli di aver visto forze nemiche nel villaggio. Poi, dopo settimane di silenzio, è emerso il video. “Provo un rande dispiacere, che dopo averlo portato via dal villaggio e poi è tornato ed è successo”, ha detto Hayrapetyan. “Non riesco a trovare serenità”.

Artak Beglaryan, difensore civico per i diritti umani del governo locale sostenuto dall’Armenia, ha detto che Petrosyan è stato identificato setacciando 35 denunce di persone scomparse nella regione e poi contattando conoscenti, che hanno confermato la sua identità. Ha chiesto maggiori sforzi da parte della comunità internazionale per indagare sui crimini di guerra del conflitto. “I Paesi occidentali hanno taciuto e non hanno fatto passi concreti”, ha detto. “Hanno i doveri e le leve per parlare di questo… non vediamo alcun risultato, non vediamo alcun processo da loro”.

Anche Siranush Sahakyan, avvocato per i diritti umani, ha confermato l’identità di Petrosyan e ha detto che lei e un collega, Artak Zeynalyan, hanno preparato una denuncia penale sugli omicidi. “Emotivamente, è difficile guardare i video. Da un punto di vista professionale, può essere una prova molto utile “, ha detto Sahakyan, ammonendo che dovevano esaminare attentamente i video per assicurarsi che non fossero falsificati.

Amnesty International ha chiesto ad Armenia e Azerbaigian di indagare sui video delle decapitazioni e delle profanazioni di cadaveri. L’organizzazione ha utilizzato tecniche di verifica digitale per autenticare il filmato recensito in questo articolo, nonché il filmato dell’omicidio di una guardia di frontiera azera a cui è stato tagliato la gola. Altri video mostrano soldati che dissacrano i corpi dei combattenti nemici.

Soldato azero decapita un soldato armeno.

Sebbene entrambe le parti siano state implicate, i canali online sono dominati da video di soldati armeni e civili vittime di abusi da parte delle truppe azere che avanzano. Nuove rivelazioni di torture e abusi significano che per molti la violenza continua, anche molto tempo dopo la fine della guerra. “Armeni e azeri guardano quei video giorno dopo giorno, e ogni giorno c’è un nuovo video che manda un nuovo assalto alla sensibilità pubblica”, ha detto Tanya Lokshina, ricercatrice di Human Rights Watch, che ha preparato un accurato rapporto sugli abusi contro i prigionieri di guerra armeni, rilasciato all’inizio di questo mese. “Quel trauma si traduce anche in un aumento dei livelli di odio, anche adesso, che la fase attiva dei combattimenti è terminata”.

Alcuni dei video più raccapriccianti e più visti sono stati anche i più difficili da confermare. Un video pubblicato su un canale Telegram il 7 dicembre mostrava due soldati in divisa coerente con quelle militari azere, che immobilizzano un uomo anziano vicino a un albero. Un altro soldato passa un coltello a uno degli aggressori, che inizia a tagliare il collo della vittima. La testa della vittima inizia a separarsi dal collo prima che il video finisca. Tre residenti del villaggio di Azokh hanno identificato la vittima in questo video come Yuri Asryan, un solitario 82enne che si era rifiutato di lasciare il villaggio il 20 ottobre mentre le forze azere si avvicinavano. “Non comunicava molto con gli altri. Si è semplicemente rifiutato di andarsene”, ha detto Georgi Avesyan, da lungo tempo capo del villaggio fino al 2019 e una delle persone che hanno identificato Asryan. Ha detto che era possibile che Asryan non capisse completamente cosa stava succedendo. Le forze azere sono entrate nel villaggio pochi giorni dopo ed è rimasto sotto il controllo di Baku in virtù dell’accordo di cessato il fuoco firmato il 9 novembre.

Non c’erano notizie sul destino di Asryan fino a quando un video di 29 secondi non è apparso la scorsa settimana sui social network, compresi i canali di Telegram che difondono filmati cruenti del conflitto. Araik Azumanyan, l’attuale capo del villaggio, ha detto: “Ho ricevuto chiamate da molte persone del villaggio, e anche da persone che si erano trasferite dal villaggio in Armenia molti anni fa, dicendo che sembrava [Asryan] nel video”. Un terzo abitante del villaggio che ha riconosciuto Asryan ha detto: “Mi sono sentito malissimo dopo averlo visto, la mia pressione sanguigna era alta, non riuscivo a ricompormi per una settimana dopo averlo visto”. Anche Beglaryan, difensore civico per i diritti umani, e Sahakyan, avvocato per i diritti umani, hanno confermato l’identità di Asryan. Il suo parente più stretto, un’anziana sorella che occasionalmente lo visitava, sa che Asryan è morto ma non ha visto il video. La nipote di Asryan ha anche confermato a The Guardian che era lui nel video.

Il mese scorso il procuratore generale dell’Azerbaigian ha lanciato pubblicamente un’indagine sui crimini di guerra sia di Baku che di Yerevan. Lunedì ha effettuato i primi arresti, arrestando due soldati azerbaigiani per aver profanati i corpi dei soldati armeni morte e due per aver distrutto tombe. Non ha aperto pubblicamente alcun procedimento penale per le decapitazioni. Ci sono centinaia di altri video di abusi online. Sahakyan ha detto che lei e un collega stavano perseguendo 75 casi di soldati e civili armeni prigionieri presso la Corte europea dei diritti umani, di cui 35 che includevano prove video. Lunedì sera, i due governi hanno condotto uno scambio di massa di prigionieri, hanno riferito i media di entrambi i Paesi.

In un video, un abitante di un villaggio di nome Kamo Manasyan viene preso a calci e picchiato mentre il sangue scorre dal suo occhio destro. “Quanti altri di voi siete qui”, grida il suo interrogatore in un russo fortemente accentato, puntando un fucile alla testa di Manasyan. “Sparami se vuoi”, risponde Manasyan. L’uomo invece lo colpisce con il fucile.

“È stato difficile guardare questo video con questa crudeltà”, ha detto Gagik, suo nipote, in una videochiamata. “Penso che vogliano solo mostrare il loro successo in questa guerra e umiliare gli Armeni, per dimostrare che hanno vinto”. La sorella di Manasyan, Nora, non sopporta di guardare il video. “Voglio che i prigionieri di guerra tornino il prima possibile”, ha detto piangendo. “Voglio la pace”.

Alla richiesta di un commento sulle accuse di violazioni dei diritti umani durante la guerra, un portavoce del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha dichiarato: “In questa fase possiamo solo dire che il Commissario ha ricevuto video e altro materiale che denunciano violazioni dei diritti umani. Prima di esprimersi pubblicamente, vuole svolgere una missione per valutare in prima persona la situazione. Ha in programma presto una missione nella regione”.

Italia-Azerbaijan – Chiudere gli occhi in nome del profitto
Assadakah.com. 14 dicembre 2020

Facendo seguito alle vergognose visite diplomatiche e politiche delle delegazioni italiane in Azerbajgian, già si muovono alcune realtà industriali, ansiose di accaparrarsi una sostanziosa fetta della torta degli affari internazionali, chiudendo entrambe gli occhi di fronte all’aggressione, ai massacri, alle torture, ai bombardamenti e alla distruzione del patrimonio storico e culturale armeno, nella recente guerra scoppiata fra Azerbajgian (sostenuto dalla Turchia) e Armenia, nella ancora irrisolta disputa per il Nagorno-Karabakh.
Una di queste realtà è il Gruppo Maschio Gaspardo, fondato nel 1964 dai fratelli Egidio e Giorgio Maschio (in joint-venture con il marchio Gaspardo dal 1994), che oggi è una multinazionale leader nella produzione di macchinari e attrezzature agricole. Otto centri produttivi (cinque in Italia, tre in Romania, Cina e India, dove la mano d’opera minorile costa pochissimo), tredici filiali in altrettanti Paesi, circa duemila impiegati e tecnici, e con l’80% di fatturato generato all’estero.
La ricerca di nuove soluzioni, e di maggiori guadagni, a quanto pare, sono alla base della strategia commerciale del marchio Maschio Gaspardo, che ha portato il vice-presidente del Gruppo a scrivere una lettera di smaccata adulazione, con note di malcelato opportunismo, a colui che incarna la politica di aggressione, pulizia etnica, prevaricazione, della regione sud-caucasica, ovvero il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev.
Questo il testo della lettera, che dovrebbe essere esempio di come, in ragione del profitto, sia possibile voltare la testa e decidere di non vedere a quali risultati portino le scelte di un dittatore, rimasto infarcito di ideologia stalinista:
“A Sua Eccellenza Ilham Aliyev, Presidente della Repubblica dell’Azerbaijan. Gentile signor Presidente, mi permetta, a nome del Gruppo Maschio Gaspardo, di congratularmi con Lei e con il Suo Popolo per la vittoria nella liberazione delle terre azere da un’occupazione che durava ormai da 28 anni, e per avere raggiunto l’accordo di pace. È meraviglioso poter essere testimoni di questo eccezionale e storico successo militare, ottenuto sotto la guida di una leadership forte e determinata, e in così breve tempo. Vogliamo quindi congratularci per la grande vittoria, che apre una nuova era nella storia moderna dell’Azerbaijan, così come nella storia dell’intera regione. Un fatto che apre a opportunità promettenti e uniche, prospettive brillanti per la cooperazione regionale e lo sviluppo sostenibile in un territorio di enorme potenziale e crescente importanza geostrategica. Auguriamo ulteriori e maggiori successi nel processo di ripristino dei territori liberati del vostro Paese. Auguriamo pace, progresso e prosperità al popolo della Repubblica dell’Azerbaijan. I più cordiali saluti. Andrea Maschio, vice presidente del Consiglio di amministrazione Gruppo Maschio Gaspardo”.

A margine, una sola parola: vergogna.

La disgustosa visita della delegazione italiana in Azerbajgian: Deputati italiani in missione a Baku, interessati agli idrocarburi e non al massacro dei cristiani nella Repubblica di Artsakh per mano azera-turca – 11 dicembre 2020

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Scandicci, Lastra a Signa e Città Metropolitana per un centro linguistico giovanile a Ch’orat’an in Armenia (Gonews 17.12.20)

Il villaggio di Choratan è situato nella regione di Tavush, situata nell’Armenia nord orientale, vicino al confine con l’Azerbaijgian. “Fornire ai giovani del Centro di ‘Mkhitar’ di Choratan, in Armenia, l’accesso all’insegnamento della lingua inglese e favorire il miglioramento di competenze informatiche, in particolare la capacità di utilizzo di internet: il fine è migliorare le opportunità d’istruzione dei giovani del Centro oltre all’acquisizione di nuove abilità e competenze professionali”. Con queste parole l’assessora alla Cooperazione internazionale del Comune di Scandicci Diye Ndiaye spiega gli obiettivi del Progetto Ch’orat’an, per la creazione di un centro linguistico giovanile nella comune Armeno. Il progetto è dei Comuni di Scandicci e Lastra a Signa e dalla Città Metropolitana di Firenze, e in Armenia ha come partner istituzionali il Comune di Choratan, la Ong ‘Mekhitarian Centre of Armenia’, e come partner operativo il Centro giovanile Mkhitar di Choratan. Altri partner italiani sono il Centro giovanile oratorio Don Bosco dei Salesiani Scandicci, l’associazione La Melagrana APS (che dal 2014 intrattiene regolari rapporti con il Centro Mkhitar e con il Comune di Choratan), l’Istituto comprensivo Altiero Spinelli, l’Istituto comprensivo Lasta a Signa. “Ringraziamo l’artista scultore armeno Mikayel Ohanjanyan per aver messo a disposizione del progetto la sua opera  “legami #6” del 2019, che è diventata l’immagine simbolo dle nostro progetto”, conclude l’assessora Diye Ndiaye. Tra le azioni fissate dal progetto di cooperazione la dotazione di una solida connessione a Internet di una aula già predisposta presso il Centro Mkitar di Choratan, l’acquisto di materiale didattico (banchi, libri, computer, tablet), la realizzazione di corsi d’informatica e formazione sull’utilizzo dei social network, il finanziamento di un corso di lingua inglese, la divulgazione del progetto attraverso incontri pubblici e manifestazione civiche. Beneficiari diretti del progetto, al momento:130 studenti di età compresa tra i 6 e 17 anni, 8 insegnanti. Beneficiari indiretti: 350 famiglie del Comune di Cioratan (1150 abitanti), i ragazzi dell’Oratorio Salesiano “Don Bosco” di Scandicci, gli alunni delle scuole medie di Scandicci (Istituto Altiero Spinelli) e Lastra Signa (Istituto Comprensivo Lastra a Signa). “La coesione di una comunità si misura da quanto è aperta al mondo, è questa l’attitudine che dà il senso vero all’essere solidali al proprio interno – dice il Sindaco Sandro Fallani – questa consapevolezza è radicata nella nostra cultura, è il principio per cui da sempre le famiglie più unite sono quelle pronte ad aggiungere un piatto a tavola per chi ha bisogno. La cooperazione internazionale fatta senza alcuno spreco, con rapporti diretti con le comunità locali di altre parti del mondo e con progetti ben mirati alle esigenze vere delle persone, è molto più importante di quanto non si pensi in genere, anche per noi che abbiamo condizioni di vita migliori e in apparenza minor bisogno di chi sta in paesi lontani dal nostro”. “Si tratta di un progetto a cui abbiamo aderito e con molto entusiasmo – ha dichiarato il Sindaco di Lastra a Signa Angela Bagni – dopo essermi confrontata più volte con il sindaco Fallani sull’urgenza di fare qualcosa per le popolazioni armene che vivono purtroppo in condizioni di vita molto più difficili delle nostre. In questo momento storico è fondamentale sentirsi parte di un unico mondo, essere solidali e aiutare chi è meno fortunato di noi. Questo progetto è allo stesso tempo prezioso perchè darà la possibilità ai ragazzi lastrigiani di venire a contatto, attraverso internet e le nuove tecnologie, con loro coetanei che vivino in un paese con tradizioni e cultura molto diverse dalla loro e questo li arricchirà moltissimo”. La regione di Tavush, dove si trova Choratan, è considerata una delle più povere dell’Armenia, caratterizzata da un sistema economico di tipo rurale fondato prevalentemente su agricoltura e pastorizia. La situazione è resa più problematica proprio dal fatto che il villaggio si trova a soli 5 km dal confine con l’Azerbaigian, paese con il quale è tuttora aperto un conflitto territoriale. Tra le principali criticità occorre segnalare il debole sviluppo infrastrutturale e delle vie di comunicazione e, appunto, la carenza delle opportunità lavorative a livello locale. Per quanto riguarda le infrastrutture scolastica, a Choratan sono presenti un asilo nido, una scuola elementare, una scuola media e il Centro Giovanile ‘Mkhitar’ gestito dai Padri Mekitaristi che hanno sede a Venezia nell’Isola di San Lazzaro. Da notare che in Armenia l’accesso ai corsi universitari è subordinato alla conoscenza della lingua inglese. Oggi, nel villaggio, abitano circa 1.150 abitanti, la metà della popolazione presente in passato. A causa della difficile situazione economica, gli abitanti del villaggio tendono infatti ad emigrare: il numero degli abitanti è diminuito soprattutto negli ultimi cinque anni e, tra questi, la maggioranza è costituita da giovani.   Fonte: Comune di Scandicci – Ufficio Stampa

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Giovani armeni in un villaggio studiano inglese e informatica (La Nazione)

Povertà e Covid-19: Caritas internationalis, al via campagna di Natale per aiuti in 9 Paesi (SIR 16.12.20)

Caritas internationalis lancia oggi una campagna di Natale per aiutare tutti coloro che soffrono a causa delle conseguenze del Covid-19 in termini di aumento della povertà e dell’insicurezza alimentare. Attraverso il Fondo di risposta al Covid-19, promosso da Caritas internationalis e dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, 38 Caritas nazionali hanno sostenuto programmi in favore di più di 13,7 milioni di persone, in Paesi quali Bielorussia, Etiopia, Giordania, Ruanda, Iraq, Grecia, Nigeria, Pakistan, Libano, Ucraina e Repubblica Democratica del Congo. Caritas Gerusalemme, ad esempio, ha fornito assistenza medica a Gaza dove circa l’80% della popolazione dipende dagli aiuti umanitari e circa il 90% delle famiglie non ha accesso all’acqua potabile. Caritas India sta portando avanti programmi di sensibilizzazione sulla prevenzione del contagio e fornendo aiuti alimentari e beni di prima necessità. Caritas Sudafrica ha già ricevuto e sostenuto oltre 12mila persone vulnerabili, in maggioranza migranti che oggi rischiano di morire di fame e sono maggiormente esposti alla pandemia. A Natale Caritas internationalis chiede un ulteriore aiuto ai donatori, per finanziare altri nove progetti in Armenia, Burundi, Cambogia, Eritrea, Georgia, Haiti, Liberia, Mozambico e Sierra Leone. I progetti includono la distribuzione di pacchi alimentari e di kit igienici e dispositivi di protezione personale (mascherine, guanti, ecc.), e programmi di sensibilizzazione per l’igiene personale e la prevenzione del contagio. I programmi comprendono anche la distribuzione di coperte, materassi, combustibile per il riscaldamento, indumenti invernali e tende per i rifugiati alloggiati nei campi, in modo che possano far fronte alle fredde temperature dei mesi invernali. Le Caritas si assicurano anche che i bambini delle comunità rurali possano continuare i propri studi attraverso programmi di apprendimento a distanza, visto che il 45% dei bambini nei Paesi in via di sviluppo non ha accesso a internet. È possibile effettuare donazioni all’indirizzo: https://www.caritas.org/2020/11/christmas-2020/.

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A FURIA DI DIRE BUGIE GLI AZERI RACCONTANO LA VERITA’ (Politicamentecorretto 15.12.20)

L’ultimo comunicato del governo azero riguardo ipotetiche “azioni terroristiche e di sabotaggio” compiute dagli armeni nei territori ora occupati dall’Azerbaigian dopo la guerra fa davvero sorridere.

Per i lettori italiani che non conoscessero la vicenda nel dettaglio, giova ricordare che l’accordo di tregua firmato dalla parte armena, azera e russa fissa delle regole ben precise: ovvero che i due contendenti mantengono il possesso dei territori sui quali si trovano allo scoccare dell’entrata in vigore della tregua.

Ora, succede che all’interno della regione di Hadrut (Artsakh meridionale) quasi interamente conquistata dagli azeri nel corso delle sei settimane del conflitto una vallata comprendente i villaggi di Hin Tagher e Khtsaberd (ma anche il monastero di Katarovank e la strategica vetta del monte Dizapayt) sia incredibilmente rimasta sotto controllo armeno, completamente circondata dal nemico.

La logica dell’accordo voleva che tale porzione di territorio rimanesse dunque armena, sia pure con evidenti problemi logistici determinati dal suo isolamento.

La situazione è confermata dallo stesso comunicato azero che appunto specifica che “alcuni armeni sono rimasti nelle zone forestali della parte nord occidentale dell’insediamento di Hadrut”  e, in buona sostanza, accusa loro di non essersi ritirati dal territorio e di non averlo lasciato all’esercito azero. Singolare interpretazione delle regole della guerra: imporre al nemico di ritirarsi dal suo territorio che non si è stati in grado di conquistare militarmente…

Nei giorni scorsi i soldati azeri hanno attaccato questi villaggi armeni, hanno ferito alcuni soldati e fatto prigionieri una decina di loro.

Secondo una tattica di propaganda ben nota, tirano il sasso, nascondono la mano e poi accusano gli armeni di quanto commesso.

Purtroppo questi episodi, che si aggiungono ad altri avvenuti nei giorni scorsi, dimostrano quanto sia fragile la tregua nonostante l’interposizione delle forze di pace russe; e quanto sarà difficile raggiungere una pace definitiva nella regione a causa della prepotenza e violenza dell’Azerbaigian il cui presidente lo scorso dieci dicembre ha rincarato la dose proclamando che anche quasi tutto il territorio dell’Armenia doveva essere considerato “storica terra azerbaigiana”; spalleggiato dall’altro dittatore, il turco Erdogan, che in occasione del medesimo evento, arrivava addirittura a  parole di compiacimento per uno degli organizzatori del genocidio armeno del 1915.

L’Europa sta purtroppo assistendo alla crescita di questi due dittatori e quando si accorgerà del pericolo che sta correndo sarà troppo tardi.

Nel frattempo la popolazione armena del Nagorno Karabakh-Artsakh resiste e, pur circondata da un nemico ostile e pericoloso, tenta di ritornare a una vita normale.

Consiglio per la comunità armena di Roma

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Nagorno Karabakh, identificati due anziani armeni decapitati dagli azeri (Corriere della Sera 15.12.20)

L’indagine del Guardian dopo che erano circolate le immagini in rete che mostravano militari di Baku a tagliare la testa a due civili

Nagorno Karabakh, identificati due anziani armeni decapitati dagli azeri

Sono stati identificati i due anziani decapitati dai militari di Baku, come si vede in alcuni video ampiamente condivisi nelle app di messaggistica, a conferma di due delle più sanguinose atrocità della recente guerra nel Nagorno-Karabakh, la regione contesa tra Azerbaigian e Armenia. A darne notizia è il Guardian, che ha raccolto interviste con gli abitanti del villaggio di Madatshen e i parenti delle vittime, sottolineando come continuino ad emergere testimonianze di torture e uccisione oltre un mese dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco, mediato dalla Russia. Gli uomini, Genadi Petrosyan (69 anni) e Yuri Asryan (82 anni), entrambi armeni e decapitati da uomini in uniforme delle forze armate azere. I due uomini erano rispettivamente del villaggio Madatshen e Azhok.

I loro vicini di casa hanno riferito che non erano combattenti: Asryan viveva piuttosto isolato, per esempio, e il 20 ottobre, all’arrivo dei soldati di Baku, aveva rifiutato di lasciare la sua casa così come anche Petrosyan. Amnesty International ha chiesto sia all’Armenia che all’Azerbaigian di indagare sui video di decapitazioni e mutilazioni di cadaveri. La Ong per i diritti umani ha verificato coi suoi mezzi i video di cui parla l’articolo del Guardian come anche altre immagini raccapriccianti, questa volta ai danni di una guardia di frontiera azera a cui è stata tagliata la gola. Il procuratore generale di Baku, il mese scorso, ha aperto un’inchiesta per crimini di guerra nei confronti di entrambe le parti in conflitto e ieri sono stati effettuati i primi arresti: due soldati azeri sono ora detenuti. Sulle decapitazioni invece non è stato ancora aperto nessun fascicolo.

Nel mentre — dopo l’accordo concluso oltre un mese fa con la mediazione della Russia — Baku e Erevan hanno iniziato lo scambio di prigionieri. Il generale Rustam Muradov, comandante delle forze russe schierate nel Nagorno-Karabakh per garantire il rispetto del cessate il fuoco, ha dichiarato che «12 persone sono state portate a Baku da un aereo dell’aviazione russa» sotto la sua «personale supervisione» e che l’Azerbaigian ha a sua volta fatto tornare in patria 44 armeni. Sono «arrivati all’aeroporto di Erebuni con me», ha sottolineato il generale Muradov, ripreso dall’agenzia di stampa russa Interfax.

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Grandi numeri super Micki. L’armeno al top nei tornei d’Europa per gol e assist (Forza Roma 15.12.20)

Se gli avessero detto che a metà dicembre sarebbe già stato a quota 7 gol con la Roma, come capocannoniere della squadra, forse Henrikh Mkhitaryan si sarebbe limitato a sorridere. Perché neppure lui, probabilmente, pensava di iniziare così bene. E invece il vero punto centrale della squadra di Fonseca è lui, scrive Chiara Zucchelli su “La Gazzetta dello Sport“. Lo dicono i numeri: 7 gol e 7 assist in 16 partite, in Europa nessun centrocampista ha preso parte a più reti nei cinque top campionati europei. In Serie A ha realizzato 6 gol e 5 assist, come Thauvin del Marsiglia in Ligue 1 e Bruno Fernandes dello United in Premier.

Per Fonseca, il capitano dell’Armenia è un giocatore imprescindibile. In Europa League si è riposato solo nella trasferta di Sofia, in campionato ha invece giocato sempre. Undici presenze su undici, tutte da titolare. Che sia trequartista o finto attaccante, Mkhitaryan è il giocatore da cui passano la maggior parte dei palloni offensivi. Nella partita di domenica, senza Pedro, Micki ha rappresentato ancora di più quel valore aggiunto che, per la Roma, è stato chiaro fin dal primo giorno. Nel 2020 è a 13 gol e in questa stagione è secondo negli assist. E’ pure il romanista che macina più chilometri e questo dato, in particolare, alla vigilia dei 32 anni che compirà il prossimo mese, fa riflettere. Nessuno, nella Roma, corre di più, con una media di 11.063 km a partita. Segno di una forma fisica ritrovata, merito, certamente, della sua professionalità, ma anche di uno stato mentale che lo ha liberato dai cattivi pensieri e lo ha aiutato a ritrovare continuità, brillantezza e un bel carico di fiducia.

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Turchia e Iran litigano per molto più di un poema (Formiche.net 15.12.20)

Cosa c’è dietro lo scontro tra Turchia e Iran? Molto di più della citazione di un poema, ma quello che rappresenta. A cosa pensava il presidente turco Recep Tayyp Erdogan la scorsa settimana a Baku?

I ministri degli Esteri di Turchia e Iran, Mevlüt Çavuşoğlu e Javad Zarif, hanno avuto una telefonata dai toni bollenti nei giorni scorsi; il Parlamento iraniano ha approvato una mozione di condanna contro il governo iraniano: tutto per un poema, ma chiaramente dietro c’è molto di più. Il punto riguarda cosa rappresenta quel poema e come mai il presidente turco Recep Tayyp Erdogan lo abbia citato quando la scorsa settimana il leader di Ankara era a Baku, dove partecipava a una parata militare per festeggiare la vittoria dell’Azerbaigian sull’Armenia nella guerra di 44 giorni nell’enclave del Nagorno-Karabakh. E già il contesto è delicato: in quella guerra, la Turchia ha palesemente sostenuto gli azeri – con cui condivide continuità culturale, oltre che strategia e interessi, vedere i recentissimi accordi sul gas – e l’Iran era sembrato accodarsi per interessi.

Per Teheran erano e sono in ballo aspetti economico-commerciali, ma anche questioni di stabilità interna riguardo ai milioni di azeri che vivono nel Paese; minoranza etnica di cui anche la Guida suprema Ali Khamenei è parte. Qui entriamo nel merito stretto dei versi del poema citati da Erdogan: “Separarono il fiume Aras e lo riempirono di rocce e verghe. Non sarò separato da te. Ci hanno separati con la forza”, ha recitato – citando – il presidente turco. Quei versi sostengono che il fiume Aras – che nasce in Turchia e taglia i confini tra Azerbaigian, Armenia e Iran – abbia separato le persone azere in Azerbaijan e Iran (secondo una divisione territoriale del diciannovesimo secolo per accordo Mosca-Teheran)

L’affermazione è un simbolo della dottrina pan-turca che cerca l’unificazione ideale di tutti i turchi, compresi quelli che vivono in Iran. È un argomento intimo, che muove leve delicatissime. Parlare in quel modo delle regioni azere amministrate dall’Iran e l’evocazione al ritorno delle stesse sotto la pan-Turchia (“non sarà sperato da te”), significa ventilare ipotesi separatiste: un incubo per un paese come la Repubblica islamica che ospita svariate minoranze interne e ha problematiche in corso con queste. E siccome quella azera è forte e non è immune dal rischio di turbolenze per contagio dalla recente crisi nel Nagorno-Karabakh, Teheran aveva deciso di lasciare al suo destino l’Armenia e gli armeni (centinaia di migliaia che comunque vivono all’interno dell’Iran) per prendere una posizione più vicina a Baku nel conflitto recente.

Le parole di Erdogan confermano questa sensibilità, tanto più leggendo la successiva reazione da parte degli iraniani – “Il presidente Erdogan non è stato informato che quanto mal recitato a Baku si riferisce alla separazione forzata delle aree a nord di Aras dalla madrepatria iraniana. Non si rendeva conto che stava minando la sovranità della Repubblica dell’Azerbaigian? NESSUNO può parlare del NOSTRO amato Azerbaigian”, ha scritto su Twitter Zarif, con un rovesciamento retorico da diplomatico raffinato quale è. L’allineamento a Baku non è solo questione tattica, non ci sono solo gli interessi economico-commerciali nell’Eurasia (che sono comunque fattore consistente), ma c’è una ragione geopolitica e strategica. Le regioni azere dell’Iran devono restare iraniane, impensabile una qualsiasi forma di allontanamento per Teheran. Non che sia in discussione (per ora), ma la Repubblica islamica è già inaccettabile correre il rischio, anche solo aprirvi un dibattito pubblico, ancora più se a farlo è un paese terzo che mira a competere con l’Iran il controllo di una regione vasta che va dal Medio Oriente al Caucaso (mire per cui si sta attirando addosso i riflettori degli Stati Uniti, per altro, che non consentono ambizioni egemoniche).

Non si tratta di una questione accademica ed eterea quando si parla della vicenda del poema. La vittoria azera nel Nagorno-Karabakh corrisponde a un aumento dell’influenza turca nella regione, anche perché il successo di Baku è arrivato grazie ad Ankara, che più di tutti gli altri attori in campo – leggasi Russia e appunto Iran – ha deciso di investire. Dimostrazione che l’aggressività porta (ahinoi) ancora risultati e che il calcolo (che sia tattico o strategico) muove certe dinamiche più di diritti e giustizie. Non è un caso se ieri Ankara ha annunciato di aver arrestato undici persone coinvolte, un paio di anni fa, nel rapimento di un cittadino iraniano accusato da Teheran di far parte della rete separatista Ahvaz National Resistance e rifugiatosi in Turchia. Gli undici sono stati accusati di essere uomini del network di spionaggio con cui Teheran ha dato la caccia ai dissidenti (nel caso, quelli dell’Ahvaz bramano la separazione provincia petrolifera sud-occidentale del Khuzestan). In futuro vedremo l’aumento di questo genere di confronto tra Iran e Turchia, tanto più se la nuova amministrazione americana cercherà di riavviare il dialogo con Teheran.

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