Escalation in Armenia: l’Azerbaigian continua ad attaccare lungo il confine (Ilprimatonazionale 20.10.22)

Roma, 20 ott – Ancora una volta torniamo a parlare di Armenia; terra martoriata da secoli e che nell’ultimo periodo si trova sempre più stretta nella morsa turco-azera. A pochi sembrano però importare delle sorti del popolo armeno. Forse troppo lontano dai riflettori occidentali e russi impegnati nella guerra in Ucraina, la situazione armena rientra però nel quadro europeo per la ricerca di fonti energetiche e, soprattutto, del tanto richiesto gas. Proprio il gasdotto che collega l’Azerbaigian con l’Europa e, in particolare, con l’Italia, anche nella scorsa aggressione azera lungo i confini ha fatto in modo che non si parlasse troppo di questa delicata quanto tremenda escalation in Armenia. “Intorno alle 16:30 di oggi, le unità delle forze armate azere hanno nuovamente aperto il fuoco con armi da fuoco di vario calibro contro le postazioni armene situate nella direzione orientale del confine armeno-azero“. Ad affermarlo in una nota è lo stesso ministero della Difesa di Erevan, rassicurando che non vi sono state vittime nello schieramento armeno.

Due attacchi in meno di 24 ore

L’ultimo attacco azero, anch’esso fortunatamente senza vittime, si era registrato solo questa notte, sempre lungo il fronte orientale. “Si noti che l’Azerbaigian stasera ha aumentato il calibro della violazione del cessate il fuoco contro le forze armate armene usando anche i mortai. Significa che Baku punta a una graduale escalation e provocazione della situazione. L’impunità genera sempre nuovi crimini”ha twittato il ministro di Stato dell’Artsakh, Artak Beglaryan, condividendo il rapporto del ministero della Difesa sulla violazione del cessate il fuoco azero e la pericolosa escalation in Armenia.

Baku nega le salme dei dispersi armeni

Intanto, in questa preoccupante escalation in Armenia, sono ancora 29 le persone che risultano disperse dopo l’ultima aggressione azera del 13 settembre scorso. L’Azerbaigian continua a consegnare molto lentamente a Erevan i cadaveri degli oltre 200 dispersi, tra civili e militari, rimasti uccisi nell’attacco compiuto dalle truppe di Baku. L’Azerbaigian continua a ostacolare gli armeni nel recupero dei corpi dei propri soldati caduti in alcune aree del fronte. A dichiararlo ai giornalisti è il difensore dei diritti umani dell’Armenia, Kristinne Grigoryan. “Il ministero della Difesa sa dove si trovano i corpi dei soldati caduti. In questo momento la parte azera sta ancora negando il consenso per recuperare i corpi” ha detto Grigoryan. Il processo di identificazione dei soldati caduti nell’ultima aggressione azera, riferiscono le autorità di Erevan, è terminato per 201 di essi. Manca però adesso da riavere le salme degli ultimi 29 ragazzi massacrati dalle pallottole azere.

Cambio alla guida dell’Artsakh

Ruben Vardanyan ha accettato l’offerta del presidente dell’Artsakh, Arayik Harutyunyan, di diventare ministro di Stato dell’Artsakh e entrerà in carica all’inizio di novembre. “Gli sviluppi politici intorno all’Armenia e all’Artsakh, l’escalation della situazione intorno alla soluzione della questione dell’Artsakh, da cui dipendono senza esagerazione il destino dell’Armenia e del mondo armeno, sono estremamente preoccupanti per me. Mi rendo conto che non c’è più tempo per contemplare, e in questa situazione non ho altra strada se non quella di stare accanto alla gente di Artsakh e assumermi la mia parte di responsabilità per il futuro di Artsakh”, ha detto Vardanyan in una nota.

L’escalation in Armenia preoccupa anche l’Europa, ma…

Sperando che questa escalation bellica in Armenia da parte azera si concluda al più presto, rimane però il grande interrogativo sulla sua utilità nello scacchiere geopolitico internazionale. Sia l’Armenia che l’Azerbaigian nutrono infatti importanti contatti e rapporti commerciali, sia con l’Unione europea che con la Russia. In Ue c’è già chi propone sanzioni contro Baku per “castigare” le continue aggressioni azere ma, vista la scottante situazione legata ai rubinetti del gasdotto azero che rifornisce l’Europa mediante la Turchia, difficilmente si giungerà a una condanna unanime.

Andrea Bonazza

Tra Armenia e Azerbaigian prove di pace, ma l’Artsakh rischia. Di Emanuele Aliprandi. (Storia Verità 19.10.22)

Il decennale contenzioso tra armeni e azeri sembra arrivato a un punto di svolta. Nelle ultime settimane si sono intensificate le iniziative finalizzate a un definitivo accordo di pace tra Armenia e Azerbaigian. Questa accelerazione negoziale è dipesa sostanzialmente da quattro motivi: in primo luogo, la guerra (cosiddetta “dei 44 giorni” per via della sua durata) scoppiata con l’attacco azero del 27 settembre 2020 alla repubblica armena de facto dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) si è conclusa con una netta vittoria delle forze armate dell’Azerbaigian che si sono avvalse dell’aiuto formidabile dei famosi droni turchi Bayraktar TB2 ma anche di mercenari jihadisti turcomanni provenienti dalla Siria. Dopo trent’anni di un conflitto congelato, vissuto sul reciproco posizionamento in trincea come nella Prima guerra mondiale, la difesa armena è stata spazzata via dall’azione combinata turco-azera che soprattutto dal cielo ha mietuto vittime e distruzioni anche sugli insediamenti civili armeni. Il risultato della (ennesima) campagna militare di Aliyev è stata la conquista di ampie porzioni del territorio a suo tempo ricompreso nell’oblast autonoma del Nagorno Karabakh (nkao, di epoca sovietica) e la (ri)occupazione dei distretti extra oblast che gli armeni avevano conquistato durante la prima guerra del Karabakh negli anni Novanta. In un mio recente lavoro, “Pallottole e petrolio”, ho analizzato le cause di questa sconfitta militare armena fondamentalmente basata su errori tattici, di comunicazione tra istituzione politica e Comando militare nonché sulla errata convinzione che l’aggressiva politica armenofoba dell’Azerbaigian non sarebbe mai sfociata in un nuovo attacco militare.

Il secondo motivo che sta portando a una accelerazione del processo negoziale è legato proprio alla conclusione della guerra di due anni fa. L’Armenia è uscita a pezzi dal conflitto, privata di gran parte del suo armamento difensivo distrutto dai droni turchi e israeliani (Israele è il principale fornitore di armi all’Azerbaigian anche, e non solo, in chiave anti-iraniana), umiliata da un accordo di tregua (9 novembre 2020) che ha di fatto annullato tre decenni di autodeterminazione del Nagorno Karabakh e che ha avuto conseguenze negative anche per la stessa Armenia: si pensi al fondamentale corridoio stradale verso l’Iran che è finito per qualche chilometro in territorio controllato dagli azeri e quindi di fatto è divenuto inutilizzabile costringendo le autorità ad organizzare un difficile percorso alternativo tra le montagne del Syunik. O anche alla perdita dell’importante miniera d’oro di Sotk che sorgeva proprio sul confine tra i due Paesi ma con l’accesso rivolto alla parte orientale: in un colpo solo Yerevan ha perso un migliaio di posti di lavoro e il principale contribuente fiscale. La leadership del premier armeno Pashinyan è apparsa indebolita e sono stati evidenti gli errori sia prima che durante e dopo la guerra. Tuttavia, nonostante una parte dell’opinione pubblica lo appelli come “traditore” per via della firma alla tregua, il primo ministro ha rivinto le elezioni politiche del 2021 anche per l’incapacità dell’opposizione politica di presentare un nome nuovo e un candidato unitario. Il che denota anche una certa rassegnazione della popolazione dell’Armenia, fiaccata da due anni di Covid e da una guerra sanguinosa che ha mietuto migliaia di giovani vittime. Questa debolezza di Yerevan si manifesta nell’incapacità di riportare a casa le decine di prigionieri di guerra armeni che ancora sono detenuti (in violazione delle convenzioni internazionali) nelle prigioni di Baku e nella quasi passiva accettazione di occupazioni del territorio da parte delle forze armate dell’Azerbaigian che, a più riprese, hanno invaso il Paese confinante impossessandosi di una cinquantina di chilometri quadrati del territorio nemico; si badi bene che stiamo parlando non della regione contesa del Nagorno Karabakh ma del territorio sovrano di una nazione membro delle Nazioni unite e del Consiglio d’Europa. Aliyev ha dichiarato che non si tratta di invasione perché l’Armenia non aveva predisposto alcuna linea difensiva lungo il confine (dato che fino alla guerra del 2020 dall’altra parte c’erano gli armeni dell’Artsakh) e quindi si è sentito autorizzato a riprendersi le “terre storiche azerbaigiane”. Su cosa intenda per tali non è mai stato chiaro dal momento che a più riprese ha fatto riferimento a tutto il Zangezur (l’armeno Syunik, ovvero la parte meridionale dell’Armenia), alle sponde orientali del lago Sevan e addirittura alla stessa capitale Yerevan. Considerato che la repubblica dell’Azerbaigian è nata nel 1918 tali proclami appaiono solo finalizzati a forzare la parte armena a chiudere una pace che – secondo quanto trapelato informalmente – appare più una resa incondizionata che un vero e proprio accordo negoziale.

Sui confini va detto che è stata attivata su input della Russia una commissione ad hoc che partendo dalle mappe di epoca sovietica dovrebbe stabilire esattamente la linea di separazione tra Armenia e Azerbaigian. È innegabile che la politica di Baku sia quella della forza (l’ultimo attacco al territorio armeno a settembre 2022 ha causato 210 vittime tra soldati e civili armeni e la conquista di ulteriori posizioni strategiche), della minaccia (l’invasione del Syunik per riunire l’Azerbaigian all’exclave del Nakhijevan e quindi alla Turchia attuando di fatto il programma dei genocidiari ‘Giovani Turchi’ dell’impero ottomano) e del terrore (hanno destato scalpore i video in rete dell’esecuzione di soldati armeni prigionieri e le orribili immagini del corpo di una soldatessa armena catturata nell’attacco del settembre scorso. Difficilmente Aliyev si spingerà troppo in là, sapendo che c’è un punto di non ritorno oltre al quale non può andare; ma si fa forte dell’attuale posizione del suo Azerbaigian.

Ecco, dunque, che la terza ragione che sta spingendo a una pace negoziata risiede proprio nel ruolo di Baku quale importante produttore di idrocarburi. L’afflusso di gas attraverso il tanap (Trans ANAtolian Pipeline) e il tap (Trans Adriatic Pipeline) fino alle italiche coste di Melendugno è in costante aumento dopo l’inizio della guerra in Ucraina e la decisione dell’Europa di penalizzare l’approvvigionamento dalla Russia.
Sicchè, all’improvviso, Aliyev si scopre il ‘salvatore della patria’ per gli europei affamati di energia e, non a caso, dal febbraio 2022 si sono intensificati i contatti fra Roma e Baku per aumentare le forniture. La stessa Unione europea ha abbracciato la causa azera al punto che la presidente von der Leyen nel corso di una visita nella capitale azera ha definito l’Azerbaigian “truthworth partner” suscitando non poche polemiche sia per la politica recente di Aliyev nel Caucaso meridionale, sia per il fatto che il Paese è agli ultimissimi posti nelle classifiche mondiali sulla libertà di informazione e indici di democrazia. E poco importa a Bruxelles che dalle condotte stia transitando più gas di quel che l’Azerbaigian produce (fattore che lascerebbe ipotizzare una triangolazione con altri…): sta di fatto che in questo momento il peso politico di Baku è molto forte e l’Unione europea spinge per un accordo con la parte armena

Da ultimo non possiamo non considerare il fatto che a seguito della guerra in Ucraina il ruolo politico e militare della Russia (storica garante della pax caucasica e tradizionale alleato di Yerevan) sia andato progressivamente diminuendo. Da un lato Mosca deve cercare di trattenere l’Armenia attratta dalle sirene di un Occidente sempre più vicino, dall’altro non può perdere la strategica partnership con l’Azerbaigian e, non a caso, il giorno prima della dichiarazione del riconoscimento delle repubbliche del Donbass Putin convocò a Mosca Aliyev e gli fece firmare un accordo di partenariato molto articolato e stringente. Così si spiega la strategia di apparente passiva attesa di Mosca di fronte a determinate iniziative azere sia nel territorio dell’Armenia sia nel Nagorno Karabakh dove un contingente di circa duemila uomini funge da forza di pace e garanzia della popolazione locale. Contemporaneamente, assistiamo a una sempre maggior attenzione dell’Europa e degli Stati Uniti nel quadrante sud caucasico volta a indebolire la Russia e a perseguire una politica di progressiva penetrazione.

Dunque, soffiano venti di una possibile pace a breve termine fra la parte armena e quella azera. Se così fosse non potremmo che rallegrarci per la fine di un conflitto che negli anni ha mietuto decine di migliaia di vittime attraverso tre guerre a partire dalla dissoluzione dell’Unione sovietica. Tuttavia, la questione è tutt’altro che risolta dal momento che le sorti della popolazione armena dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) sono assolutamente incerte e appese a un filo. Il tavolo negoziale che è in corso negli ultimi mesi sembra aver rimosso la parola “Artsakh” o “Karabakh” dalle trattative. Per Aliyev il caso è chiuso, la regione contesa (assegnata da Stalin al turcofono e islamico Azerbaigian nonostante il 95% della popolazione fosse cristiana e armena) fa parte della repubblica azera e, come dichiarato più volte, gli armeni di Stepanakert (la capitale) potranno vivere nella cornice di quanto previsto dalla costituzione dell’Azerbaigian. Nessuno status speciale, nessuna autonomia, nessuna condizione di favore. Dopo trenta anni di odio istituzionale contro il nemico, la prospettiva che i 120.000 abitanti del territorio ancora sotto controllo armeno possano finire governati da una autocrazia familiare armenofoba (che ha esaltato e promosso al rango di eroi nazionale i decapitatori di armeni) è tutt’altro che favorevole.

E, non a caso, le autorità dell’Artsakh (in primo luogo il presidente Harutyunyan e il ministro degli Esteri Babayan) hanno ripetuto in molte dichiarazioni che è impensabile qualsiasi futuro all’interno dell’Azerbaigian. Non è ipotizzabile che la popolazione che anche in questi due anni di dopoguerra è stata ripetutamente bersagliata dalle postazioni nemiche lungo la linea di contatto, che ha vissuto per quasi un mese al gelo lo scorso inverno per via del taglio delle forniture di gas (le condotte dall’Armenia passano in territori sotto controllo azero), che ha dovuto constatare la distruzione di molti monumenti e chiese armene nei territori ora occupati dall’Azerbaigian, possa vivere serenamente in un contesto così ostile annullando, inoltre, il sacrificio di migliaia di compatrioti caduti per la libertà e l’autodeterminazione della propria terra.
Né sarebbe giusto costringere un popolo che vive in uno Stato, ancorché de facto, democratico a soggiacere a istituzioni tutt’altro che libere e tolleranti.

Dunque, il problema finale rimane lo stesso: qualsiasi accordo tra Armenia e Azerbaigian non può prescindere da una soluzione per la popolazione armena del Nagorno Karabakh. Per la quale l’unica strada fattibile sembra essere quella del riconoscimento internazionale. Come accaduto ad esempio per il Kosovo o il Sudan del Sud. Qualsiasi altra opzione oltre a essere ingiusta prefigura il rischio di una pulizia etnica e di un nuovo bagno di sangue.

Ne consegue che la firma al buio di un trattato di pace potrebbe avere conseguenze molto pericolose.

Bibliografia:

E. Aliprandi, Pallottole e petrolio, Amazon libri (2021)

C. Ultimo, Il grande gioco del Caucaso, Passaggio al bosco (2020)

G. Bifolchi, Geopolitica del Caucaso russo, Sandro Teti editore (2020)

G. Zovighian, Storia del Karabagh, Nuova Phromos (2017)

S. Shahmuradian, La tragedia di Sumgait, Guerini (2013)

N. Hovhannisyan, Il problema del Karabakh, Edizioni Studio (2011)

E. Aliprandi, Le ragioni del Karabakh, Andmybook (2010)

A. Ferrari, Breve storia del Caucaso, Carocci (2007)

A. Ferrari, Il Caucaso, Edizioni Lavoro (2005)

P. Kuciukian, Il giardino di tenebra, Guerini (2003)

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Un segno in mezzo alla tragedia. Il platano dell’Artsakh illumina la desolata terra armena (Korazym 19.10.22)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 19.10.2022 – Renato Farina] – Araksia, una carissima professoressa di Erevan deve aver scoperto chi è il Molokano e dove abita. Mi ha recapitato, tramite mani amiche, nella rustica dimora da cui scorgo il lago di Sevan guizzante di trote – e che gli Azerbajgiani e i Turchi vorrebbero annettere all’impero neo-ottomano in fieri -, un segno, un soffio dello Spirito Santo che ha portato via le nubi nere dalla mia mente stanca di produrre scenari di desolazione e di nuovo genocidio. Ha fatto battere il cuore non più per il desiderio di cavarmela o peggio di vendetta, ma inondandomi di pace, che sarà il nostro destino finale, qualunque cosa accada.

Grazie Araksia. Sono stanco di essere profeta di sventura. Ma non potevo astenermi. Era troppo evidente quel che sarebbe successo. L’aggressione dell’Azerbajgian, contro non più soltanto l’Artsakh ma invadendo il territorio stesso della Repubblica d’Armenia, era nelle cose. Non mentano gli analisti occidentali pagati per disegnare l’evoluzione geopolitica delle forze caucasiche. Lo sapevano che sarebbe successo. Ne hanno di certo informato i loro leader, i quali avranno sbadigliato: amen, vada come deve andare, questi Armeni contano zero sul piano del Pil e del gas, la loro terra è fatta di pietre da cui sorgono miracolosamente le albicocche più dolci del mondo. Vorrà dire che avranno il timbro del Sultano e del suo sodale azero. Non c’era bisogno neppure di fotografie dai satelliti per capire o di notizie riservate. Al punto che persino io, un ignorante Molokano che beve latte e sogni antichi, l’avevo millimetricamente anticipato nell’ultima mia corrispondenza per Tempi [QUI]. A causa delle distanze e del precario assetto delle comunicazioni in quest’angolo dove volteggiano droni azero-turchi, ho scritto e spedito la mia lettera di Molokano il 25 agosto scorso. Raccontavo la visita servile, a nome di voi Europei, di Ursula von der Leyen al dittatore Ilham Aliyev. Il quale intese questo omaggio portato a casa sua, a Baku, come il via libera dato al lupo. Il 12 agosto Aliyev annunciò via Twitter: «Possiamo effettuare qualsiasi operazione sul nostro territorio in qualsiasi momento». Traduco: l’Armenia intera, non solo il Nagorno-Karabakh, è nostro. Lo scrissi il 25 agosto. Il 13 settembre ecco l’attacco [QUI]. Sta ancora accadendo, adesso, mentre scrivo [QUI]. Fino a quando? Fino al martirio degli Armeni? Credetemi: hanno già versato abbastanza sangue.

Anush Abetyan, 36 anni, madre di tre figli, stuprata, orribilmente mutilata e uccisa dai barbari di Aliyev. Le hanno amputato le gambe, le dite e infilate un dito nella sua bocca, cavato gli occhi e sostituiti con delle pietre, e messo il suo corpo nudo in posa degradante, l’hanno filmato e poi pubblicato il video. Chi ha postato il video su Telegram, ha scritto che la donna era un cecchino e con il dito infilato nella sua bocca avrebbe premuto il grilletto. I social network come Telegram, Twitter o TikTok sono pieni di immagini disgustose delle atrocità commesse dai soldati azeri durante i combattimenti. Ma ciò che colpisce è che queste foto e questi video sono postate dai militari azeri stessi, prendendo di mira il pubblico armeno con fiducia nell’impunità.

L’Occidente non dice una parola, non informa nessuno sui crimini di guerra perpetrati dalle milizie di Aliyev. Tu che mi leggi, sai qualcosa della orribile sorte delle donne-soldato armene, fatte prigioniere? Di una sola riferisco. Anush Abetyan, 36 anni, madre di tre figli, stuprata, orribilmente mutilata e infine assassinata. Le hanno amputato le gambe, le mani. Una delle sue dita gliel’hanno infilata in bocca, cavati gli occhi e sostituiti con pietre. Hanno filmato il suo corpo nudo in posa degradante. Si sente l’uomo che riprende il video dire: «Guarda questa puttana, è diventata una pietra». In Occidente che cuore avete? Batte forte di pietà o si fa di pietra inerte a seconda di chi sono le vittime e chi i carnefici?

Ma ecco il dono di Araksia illumina la terra desolata e fa fiorire la speranza. È la foto incorniciata del famoso platano di Artsakh. Non lontano dal villaggio di Skhtorashen c’è il più grande platano di tutto l’immenso territorio dell’ex Unione Sovietica. Ha più di duemila anni. Raggiunge un’altezza di 54 metri. Il diametro alla base è di 27 metri. Ha visto l’uomo camminare dall’età del bronzo all’era atomica. Ha visto re trionfare e morire, il ghigno degli invasori e la mitezza dei martiri, e guerre e guerre. Eppure ogni anno il platano rinnova i suoi germogli. Che possa vincere la forza del platano, che nessuno osi abbatterlo.

P.S. Apprendo che in Italia ha vinto Giorgia Meloni. Applicherà anche lei il doppio standard, quell’etica di convenienza per cui si salvaguarda la libertà dei popoli solo quando è utile ai progetti del più forte? In una bella intervista al Washington Post ha osato difendere l’”identità cristiana dell’Occidente”, ha esposto il fianco. Il platano dell’Artsakh le sorride. Memento Armenia, cara.

Il Molokano

Questa corrispondenza del Molokano è stato pubblicato il 1° ottobre 2022 su Tempi.

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«Coraggio e destino delle donne armene», martedì 25 incontro con Antonia Arslan (Amicodelpopolo 19.10.22)

Si terrà martedì prossimo, 25 ottobre, alle ore 18, nella sala Zanardelli di Palazzo dei Rettori, sede della Prefettura, l’incontro con la scrittrice e saggista di origine armene Antonia Arslan, per la conferenza “Coraggio e destino delle donne armene”. La scrittrice parlerà del suo “Il libro di Mush”, racconto dell’esperienza vissuta da due donne per salvare dalla distruzione un prezioso volume, nei giorni del genocidio turco ai danni delle minoranze armena e siriaca, e regalerà al pubblico intervenuto anche un’anteprima sulla sua più recente produzione, il libro “Il destino di Aghavnì”, che uscirà il prossimo 22 novembre.

In questo incontro organizzato dal Comune di Belluno, in stretta collaborazione con la Prefettura, a interloquire con la Arslan sarà l’autrice e giornalista Chiara Alpago Novello. «È un onore riavere ancora in città, apprezzatissima ospite, Antonia Arslan», commenta l’assessore alla Cultura, Raffaele Addamiano. «Ringrazio il prefetto per aver messo a disposizione della città la prestigiosa sede di Palazzo dei Rettori, adeguata cornice per accogliere una conferenza così interessante, alla quale mi auguro i cittadini vorranno partecipare numerosi». L’ingresso è libero, fino a esaurimento dei posti disponibili

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L’Azerbaijan ha commesso crimini di guerra in Nagorno-Karabakh (Lifegate 18.10.22)

Un video mostra soldati dell’Azerbaijan uccidere prigionieri di guerra dell’Armenia in Nagorno-Karabakh. Una violazione grave del diritto internazionale.

  • Almeno sette soldati armeni tenuti prigionieri sarebbero morti in un’esecuzione a opera dell’esercito di Baku.
  • Human rights watch ha definito l’operazione un crimine di guerra. Le autorità azere hanno aperto un’inchiesta.
  • Negli scontri di settembre in Nagorno-Karabakh sono morti 204 soldati armeni e un centinaio di militari azeri.

L’esercito dell’Azerbaijan avrebbe commesso crimini di guerra in Armenia, con un’esecuzione di massa di alcuni soldati rivali catturati. La denuncia arriva dall’organizzazione non governativa Human rights watch, che ha analizzato un video circolato sul web a settembre dove, nell’ambito del conflitto in Nagorno-Karabakh, si vedono militari in uniforme azera sparare e uccidere sette soldati armeni. Un’azione contraria al diritto internazionale e bellico, che vieta le esecuzioni extragiudiziali e il maltrattamento dei prigionieri di guerra.

L’esecuzione dei prigionieri di guerra armeni

Il 13 settembre scorso nel Nagorno Karabakh si sono verificati gli scontri più pesanti dal cessate il fuoco del 2020, con l’esercito azero che ha fatto diverse incursioni militari nel territorio. La regione è contesa da Azerbaijan e Armenia ed è teatro di una guerra che tra alti e bassi va avanti da oltre 30 anni, per un totale di 30mila morti complessivi.

A inizio ottobre ha iniziato a circolare su Telegram un video in cui si vedono 15 militari con l’uniforme dell’Azerbaijan che circondano otto prigionieri di guerra armeni. A un certo punto uno dei soldati azeri apre il fuoco con il suo kalashnikov e poco dopo altri due soldati fanno lo stesso. Il video scorre con il suono degli spari e alla fine sembra che a morire siano sette degli otto prigionieri armeni.

 

 

Il quotidiano Libération, l’organizzazione non governativa Human rights watch e alcuni account su Twitter hanno lavorato a un minuzioso fact-checking del video, passato anche dall’individuazione dell’area e del momento dell’esecuzione. Questa sarebbe avvenuta all’alba del 13 settembre nei pressi del lago Sev, al confine sud-orientale tra Armenia e Azerbaijan. In effetti le immagini satellitari mostrano che proprio in quell’area e in quelle tempistiche ci sarebbero stati degli scontri. Human rights watch ha poi comparato il video con alcune fotografie di soldati armeni morti durante gli scontri del 13 settembre e due di questi combaciano. Secondo un report del primo ministro armeno Nikol Pashinyan, nel conflitto esploso a metà settembre sono morti 204 soldati del paese.

Crimini di guerra in Nagorno-Karabakh

Human rights watch ha sottolineato che l’esecuzione che appare nel video è un crimine di guerra. In effetti il diritto internazionale umanitario e numerose convenzioni internazionali impongono di trattare con umanità i prigionieri di guerra. La terza Convenzione di Ginevra, siglata da Baku, ordina il rispetto dei prigionieri bellici contro atti di violenza o intimidazione e contro insulti. Baku fa anche parte della Convenzione internazionale delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu). Entrambe vietano gli omicidi extragiudiziali e parlano di crimini di guerra in caso di violazione della norma

“Uccidere soldati che si sono arresi è un atroce crimine di guerra”, ha sottolineato Hugh Williamson, direttore Europa e Asia centrale di Human Rights Watch. Le autorità azere hanno aperto un’indagine sull’esecuzione dei prigionieri di guerra armeni da parte dell’esercito, coordinata dall’ufficio del Procuratore generale. Che ha promesso che verranno prese misure giudiziarie una volta raccolti tutti gli elementi utili.

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Armenia, ritrovamenti nella grotta di Aghitu provano che l’uomo preistorico si curava e disinfettava la casa (Ilprimatonazionale 18.10.22)

Roma, 18 ott – Troppo spesso a causa di falsate teorie evoluzionistiche, tendiamo a dipingere i nostri più antichi avi come ominidi spaventati dal fuoco, incurvati fisicamente verso atteggiamenti animali e dall’intelletto scimmiesco. Ancora una volta, invece, siamo qui per andare in contrapposizione a tali visioni semplicistiche, soprattutto in Europa, e provando a restituire un pò di dignità storica ai nostri più remoti antenatiOggi torniamo in Armenia ma questa volta non per parlare dei frequenti scontri bellici che da sempre la trovano vittima degli eserciti turchi o azeri, bensì per parlare di scienza e archeologia, con una spettacolare scoperta avvenuta in una grotta nei pressi del villaggio paleolitico di Aghitu. In collaborazione con gli accademici armeni, i ricercatori hanno utilizzato l’analisi del DNA di 36 campioni di sedimenti provenienti dalla Grotta di Aghitu, per studiare come le persone usavano le piante in epoca preistorica. Questo è il primo studio a esaminare l’uso delle piante preistoriche osservando il DNA rinvenuto nelle caverne. I ricercatori hanno dunque trovato il DNA di piante che, probabilmente, venivano utilizzate come medicinali, insetticidi e spezie per insaporire i cibi o coloranti per tingere le vesti.

La Grotta di Aghitu

La Grotta Aghitu-3, da cui gli studiosi hanno effettuato il campionamento del Dna, si trova nell’Armenia meridionale. Dall’età della pietra l’uomo ha abitato questa caverna in modo continuato per oltre 20mila anni, tra i 40.000 e i 25.000 anni fa. Il cosiddetto corridoio transcaucasico è una delle aree che ha consentito la dispersione di uomini e ominidi dal Levante al resto dell’Eurasia durante il periodo Pleistocene. Questa zona tra l’altipiano del Caucaso e i deserti persiani, da sempre è stata crocevia di emigrazioni e importanti tratte commerciali. Interessata dagli scavi archeologici tra il 2009 e il 2019, dal Progetto Paleolitico di Tubinga-Armenia, la grotta Aghitu-3 è l’unico sito armeno, stratificato, del Paleolitico superiore. I risultati di un primo studio zooarcheologico, furono in grado di caratterizzare il comportamento umano dei cacciatori della prima età moderna negli altopiani armeni, che interessavano soprattutto capre ed equidi adulti. Nel corso degli scavi sono stati trovati vari strumenti rudimentali, ossa di animali, carbone di falò e perline ottenute dalle conchiglie. Seppur in assenza di ossa umane, anche il DNA di Neanderthal è stato trovato nei depositi delle caverne, ma, fino ad ora, nessuno aveva mai esaminato il DNA delle piante.

La scoperta armena

I ricercatori hanno applicato il metabarcoding del DNA sedimentario antico alla sequenza sedimentaria della grotta Aghitu-3. Lo hanno poi combinato con i dati sui pollini per ottenere una ricostruzione temporale degli assemblaggi vegetali. I campioni sono stati analizzati mediante meta-codifica, un’efficiente tecnica di analisi del DNA in grado di identificare molte piante diverse nello stesso campione. I risultati rivelano una stratificazione dell’abbondanza e della diversità delle piante in cui, il cosiddetto “sedaDNA”, riflette i periodi di occupazione umana, con una maggiore diversità negli strati e una maggiore attività dell’uomo. Basse concentrazioni di polline combinate con un’elevata abbondanza di sedaDNA, indicano che resti di piante potrebbero essere stati portati nella grotta da animali o esseri umani durante la deposizione di due distinti periodi archeologici inferiori. Si dice che la maggior parte delle piante recuperate siano utili per scopi alimentari, aromatici, medicinali e/o tecnici, dimostrando il potenziale dell’ambiente intorno alla grotta di Aghitu-3 per supportare l’uomo durante il Paleolitico superiore. La singolare ricerca ha inoltre identificato diversi taxa vegetali specifici che rafforzano le scoperte precedenti sull’uso delle piante del Paleolitico superiore in questa regione, dalla medicina, alla produzione e alla tintura di tessuti. Questo studio rappresenta la prima applicazione dell’analisi del sedaDNA vegetale dei sedimenti delle caverne per lo studio del potenziale utilizzo delle piante da parte dell’uomo preistorico.

Il già evoluto uomo preistorico

In totale, i ricercatori hanno trovato 43 piante diverse e, tutte tranne cinque, avrebbero benefici per la salute dell’uomo. Tra le piante alimentari sono stati trovati ortaggi come cavoli, barbabietole e spinaci. Sono però state trovate anche macine con resti di amido, il che indica che, sorprendentemente, nell’età della pietra l’essere umano produceva farina con utensili appositi. Come dicvamo poc’anzi, alcune piante trovate nella grotta di Aghitu potrebbero essere state usate per aromatizzare il cibo, così come rimedi medicinali. Alcuni tipi di assenzio, efficaci contro la malaria e le infezioni, oltre che essere stati impiegati come spezie alimentari o come erbe medicinali, potrebbero aver avuto addirittura la funzione di profumo e disinfettante per il pavimento della grotta, per tenere lontani gli insetti. Se fino ad oggi l’esempio più antico di fibre tessili colorate è un ritrovamento di lino tinto di ben 30.000, rinvenuto in una grotta della confinante Georgia, anche dalla ricerca di Aghitu emergono diverse piante che potrebbero essere state utilizzate per tingere i tessuti. Nella grotta armena, infine, è stato trovato anche un ago da cucito fatto di ossa, ritrovamento questo molto raro se circoscritto all’età della pietra. Ancora una volta, le tracce lasciateci in eredità dai nostri avi ci fanno comprendere molto di più sulla più remota antropologia, ricordandoci che, tante volte, anche la verità assoluta data dalla scienza può essere sbugiardata o messa in discussione.

Andrea Bonazza

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Armenia-Azerbaigian: l’UE istituisce una capacità di vigilanza lungo le frontiere internazionali (Consiglio Europa e altri 17.10.22)

Il Consiglio ha deciso oggi di inviare fino a 40 esperti di vigilanza dell’UE sul versante armeno della frontiera internazionale con l’Azerbaigian con l’obiettivo di vigilare, analizzare e riferire sulla situazione nella regione. La decisione fa seguito alla riunione quadrilaterale tenutasi il 6 ottobre tra il presidente Aliyev, il primo ministro Pashinyan, il presidente Macron e il presidente Michel e mira ad agevolare il ripristino della pace e della sicurezza nella zona, il rafforzamento della fiducia e la delimitazione della frontiera internazionale tra i due Stati.

L’invio da parte dell’UE di un massimo di 40 esperti di vigilanza dell’UE lungo la frontiera internazionale dell’Armenia con l’Azerbaigian sarà teso a rafforzare la fiducia nel quadro di una situazione instabile, che mette a repentaglio vite umane e a rischio il processo di risoluzione del conflitto. Si tratta di un’ulteriore dimostrazione del pieno impegno dell’UE a contribuire all’obiettivo ultimo di conseguire una pace sostenibile nel Caucaso meridionale.

Josep Borrell, alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza

Allo scopo di garantire un rapido schieramento della capacità di vigilanza dell’UE, si è deciso che gli esperti di vigilanza saranno inviati temporaneamente dalla EUMM Georgia, la missione di vigilanza dell’Unione europea in Georgia. La EUMM sta adottando misure operative per evitare impatti sulla sua capacità di vigilanza in Georgia.

La missione di vigilanza sarà di natura temporanea e in linea di principio non durerà più di due mesi.

Informazioni generali

In occasione della riunione della Comunità politica europea tenutasi a Praga il 6 ottobre 2022, la Repubblica d’Armenia e la Repubblica dell’Azerbaigian hanno riaffermato la loro adesione alla Carta delle Nazioni Unite e alla dichiarazione convenuta ad Alma-Ata il 21 dicembre 1991, in cui entrambi gli Stati riconoscono reciprocamente l’integrità territoriale e la sovranità rispettive. Hanno ribadito che sarà la base per i lavori delle commissioni per la delimitazione della frontiera e che la prossima riunione di tali commissioni si terrà a Bruxelles entro la fine di ottobre. L’obiettivo della missione è rafforzare la fiducia e fornire un contributo, con le sue relazioni, alle commissioni di frontiera.

In una lettera ricevuta dall’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza il 22 settembre 2022, il ministro degli Affari esteri della Repubblica d’Armenia ha invitato l’UE a schierare una missione civile in ambito PSDC in Armenia.

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Ok Ue a missione monitoraggio al confine tra Armenia e Azerbaigian (ANSA)

Armenia-Azerbaigian: 40 esperti UE lungo il confine (Sardegnagol)

Esperti dell’Ue al confine armeno-azero (OR)

L’Ue dispiegherà 40 esperti sul confine Armenia-Azerbaigian per monitorare la situazione di conflitto nella regione (Aunews)

Azerbaigian-Armenia, Ankara facilitatore o ostacolo alla pace? (Formiche.net 16.10.22)

L’Ue se sarà tenace potrà avere un ruolo nel tavolo diplomatico e non subirlo: intanto ha inviato una missione civile in Armenia, della durata di due mesi, che non solo monitorerà il confine ma proverà ad avanzare il processo di delimitazione

La Turchia riadatta i suoi termini e condiziona la normalizzazione con l’Armenia alla conclusione della pace azerbaigiana-armena. In precedenza, Ankara aveva chiesto il ritiro dell’Armenia dai territori occupati dell’Azerbaigian, una condizione che si è concretizzata a seguito della guerra di due anni fa nel Nagorno-Karabakh in cui l’assistenza militare turca è stata strategica nel sostenere l’Azerbaigian. Come è noto gli scontri sono figli di decenni di ostilità per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh, riconosciuta a livello internazionale come parte dell’Azerbaigian, ma fino al 2020 in gran parte controllata dalla popolazione a maggioranza di etnia armena.

Qui Ankara

Già a Praga in occasione del vertice dei 44 la foto che ritraeva Erdogan tra il premier armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev è stata salutata come un possibile nuovo inizio nella delicata crisi. Aliyev aveva dichiarato che il processo di pace con l’Armenia “ha subito un’accelerazione”, lasciando presagire novità significative. Pashinyan e Aliyev non si incontravano dal 2009. Per Ankara il punto di vantaggio si ritrova nel corridoio di Zangezur che le darebbe una sorta di voucher di ingresso per l’Asia centrale, in quanto è un collegamento di trasporto tra l’Azerbaigian e Nakhchivan, che è separata dalla terraferma da una striscia di terra armena.

Il dialogo andato in scena a Praga non è stato gradito a chi non vorrebbe perdere terreno nella disputa. Dal vertice di Astana arriva anche la proposta russa all’Armenia e all’Azerbaigian di tenere un nuovo vertice trilaterale su cui Parigi vede più che altro il distendersi delle mire di Vladimir Putin: il presidente francese ha apertamente accusato la Russia di aver provocato i recenti scontri  proprio al fine di destabilizzare complessivamente la regione del Caucaso.

Qui Ue

L’Ue potrà avere un ruolo nel tavolo diplomatico o lo subirà in toto? Intanto lo scorso martedì Bruxelles ha inviato una missione civile in Armenia, della durata di due mesi, che non solo monitorerà il confine ma proverà ad avanzare il processo di delimitazione. Poche ore dopo il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha annunciato che l’Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva (CSTO) invierà alcuni osservatori al confine tra Armenia e Azerbaigian: una concomitanza che spiega la marcatura a uomo di Mosca su Bruxelles. Attenzione però agli incroci Baku-Bruxelles: “L’Armenia è d’accordo, ma l’Azerbaigian no”, ha detto il numero uno della diplomazia europea, Joseph Borrell al Parlamento europeo il 5 ottobre a proposito del piano. “Cosa vuoi che faccia? Inviare le truppe dell’Unione Europea senza l’accordo delle due parti in conflitto? Sono sicuro che non lo fai”.

Ha inoltre condannato l’Azerbaigian per gli attacchi, affermando che è “un fatto assolutamente chiaro e verificabile che l’artiglieria azerbaigiana e le unità di droni hanno bombardato aree sul territorio armeno, distruggendo infrastrutture civili e militari, e che l’Azerbaigian sta occupando posizioni in Armenia.”

Scenari

Maria Zakharova, speaker del ministero russo degli esteri, aveva criticato la missione europea definendola un tentativo di respingere gli sforzi di Mosca e intervenire nella normalizzazione delle relazioni: “L’unica chiave per la riconciliazione tra Baku e Yerevan e l’instaurazione di una pace duratura e di una stabilità a lungo termine nella regione è la piena attuazione delle dichiarazioni tripartite dei leader di Russia, Azerbaigian e Armenia”, ha affermato. In precedenza Catherine Colonna, ministro degli Esteri francese, aveva annunciato la decisione presa dal Comitato politico e di sicurezza dell’Ue. Parigi non intende dunque subire le pressioni di Mosca e Ankara anche in quell’area di crisi.

Il puzzle non è detto che venga facilitato dalla contemporanea presenza di tanti players: occorrerà capire la densità delle mosse dei singoli e gli incastri che si andranno a sviluppare. Intanto la posizione armena è quantomeno dubbiosa: Yerevan ha affermato di aspettarsi che il suo alleato strategico, la Russia, sostenga gli sforzi per costringere l’Azerbaigian a ritirare le sue forze dai territori contesi. Il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan ha sottolineato che la parte armena si aspetta il sostegno inequivocabile della Russia, come alleato strategico, ovvero Gegharkunik, Syunik e Provincie di Vayots Dzor. Ciò nelle intenzioni di Yerevan dovrebbe passare dal ritorno dei prigionieri di guerra armeni.

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Il Premio: Jamila Afghani vince l’Aurora Prize 2022 devoluto a sostegno di organizzazioni che aiutano persone in contesti di fragilità in tutto il mondo (Repubblica 16.10.22)

ROMA – Il settimo Aurora Prize for Awakening Humanity è stato assegnato a Jamila Afghani, educatrice, difensore dei diritti umani e fondatrice della Noor Educational and Capacity Development Organization (NECDO). Jamila ha dedicato oltre 25 anni della sua vita a dare alle donne afghane accesso all’istruzione. Il riconoscimento è stato conferito nel corso di una serie di eventi filantropici organizzati dalla Aurora Humanitarian Initiative a Venezia, dal 14 al 16 ottobre. Prima dell’agosto 2021, la NECDO contava più di 100.000 donne iscritte a programmi di alfabetizzazione, grazie alla creazione di piccoli centri in diverse comunità guidati da donne locali. Inoltre, l’organizzazione fornisce assistenza legale e sostegno psicosociale a più di 10.000 donne vittime di abusi da parte di un familiare o di un partner. Costretta a fuggire dall’Afghanistan, Jamila continua a impegnarsi a favore degli altri anche a distanza.

“Questi eroi moderni ci ispirano”. Dopo che i Talebani hanno preso il controllo del suo Paese, Jamila Afghani ha dovuto lasciare l’Afghanistan, ma non ha abbandonato la sua gente. La NEDCO continua a sostenere le donne afghane e le famiglie vulnerabili, denunciando mancanza di accesso all’istruzione, violenza domestica e altri problemi contemporanei che le donne devono affrontare, oltre a fornire aiuti finanziari a difensori dei diritti umani, giornalisti e avvocati. “La missione di Aurora è quella di riconoscere, celebrare e promuovere il lavoro di persone impegnate a favore dei diritti umanitari come Jamila Afghani in tutto il mondo. Questi eroi moderni ci ispirano, ci guidano e ci mostrano come perseverare di fronte a sfide apparentemente schiaccianti. Ci ricordano la nostra comune umanità e ci incoraggiano a mostrare lo stesso impegno nel servire i poveri e gli emarginati. Ci ricordano anche che il nostro dovere è dare a tutti le stesse possibilità”, ha dichiarato Lord Ara Darzi, presidente del Comitato di Selezione dell’Aurora Prize e co-direttore dell’Institute of Global Health Innovation dell’Imperial College di Londra.

In memoria del genocidio armeno. Ogni anno, l’Aurora Prize viene assegnato dalla Aurora Humanitarian Initiative in memoria dei sopravvissuti al genocidio armeno e in segno di gratitudine verso i loro salvatori. Al vincitore viene assegnato 1.000.000 di dollari e la possibilità, così, di supportare organizzazioni che aiutano le persone in difficoltà e continuare così l’opera di solidarietà. In qualità di vincitrice dell’Aurora Prize 2022, Jamila Afghani ha scelto di sostenere la Women International League for Peace and Freedom (WILPF) e la Noor Education and Capacity Development Organization . La WILPF è un’organizzazione internazionale che si batte per la pace nel mondo sostenendo il disarmo, l’abolizione della violenza, i diritti umani delle donne e l’uguaglianza di genere; mentre la NECDO è un’organizzazione non governativa che fornisce assistenza umanitaria e allo sviluppo a donne, giovani e bambini in Afghanistan.

La speranza di uscire dall’oscurità. “Dalla mia esperienza professionale, so bene che la questione dei diritti umani è una vera e propria lotta. Nella nostra storia attraversiamo periodi, proprio come oggi, in cui il futuro è incerto. Ma non c’è più tempo. Persone come Jamila Afghani accendono una luce di speranza e mostrano a tutti noi una via d’uscita dall’oscurità” ha commentato Mary Robinson, membro del Comitato di Selezione dell’Aurora Prize, ex Presidente dell’Irlanda ed ex Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Ad oggi l’Aurora Prize ha contribuito a cambiare la vita di oltre 1.000.000 di persone vittime di guerre, conflitti, persecuzioni e altre questioni umanitarie, prestando particolare attenzione a bambini, sfollati, donne e ragazze. Questa iniziativa, che vuole portare a risultati concreti e tangibili, è possibile grazie a tutti i sostenitori che, così, contribuiscono a valorizzare gli eroi del nostro tempo.

Cos’è Aurora Humanitarian Initiative. La Aurora Humanitarian Initiative è una fondazione che si occupa di sostenere le persone più fragili nei contesti umanitari in tutto il mondo. La missione di Aurora ha le proprie radici nella storia armena, poiché l’Iniziativa è stata fondata in nome dei sopravvissuti al genocidio armeno e in segno di gratitudine verso i loro salvatori, diventando un movimento globale che interviene in numerosi contesti umanitari.

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L’assessore Besio alla consegna del premio annuale “Aurora Prize for Awakening Humanity” assegnato a Jamila Afghani

Si rafforza l’alleanza con l’Armenia nel nome del fashion (Quotidiano Nazionale 16.10.22)

Il 2022 è un anno particolarmente significativo nella storia della Repubblica dell’Armenia: ricorre infatti il trentennale delle relazioni diplomatiche stabilite con l’Italia e altri paesi. Trent’anni in cui Armenia e Italia non si sono limitate a intraprendere buone relazioni diplomatiche ma hanno anche sviluppato rapporti interculturali e imprenditoriali sempre più forti e soddisfacenti. Tra questi, un ruolo significativo l’ha giocato il settore tessile, dell’abbigliamento, delle calzature. Ed è proprio prendendo in considerazione la storia e le reciproche opportunità possibili tra i due stati che, sotto l’egida del Ministero dell’Economia dell’Armenia, si è tenuto il ’Textile Alliance Armenia-Italy’ a Milano.

Le tre giornate si sono snodate all’interno della Milano Fashion Week, dove le aziende armene dell’industria tessile e delle calzature hanno avuto la possibilità di presentare i loro prodotti, incontrare le aziende Italiane del settore con l’opportunità di creare sinergie e partnership. Si è partiti con le istituzioni con il Business Forum, per continuare con la sfilata di designer armeni e proseguire infine con gli incontri tra le aziende. A Palazzo Visconti, storica sede milanese, si sono seduti al tavolo Sua Eccellenza l’ambasciatrice Tsovinar Hambardzumyan, il vice ministro dell’Economia Rafayel Gevorgyan e Mario Boselli per presentare il settore tessile ed abbigliamento, la strategia quinquennale dello sviluppo del settore fashion in Armenia, una proiezione del video ’Made in Armenia’, e i vantaggi e le opportunità di business.

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