Escalation al confine Armenia-Azerbaigian: esercito armeno annuncia di aver abbattuto drone azero (Sputniknews 14.07.20)

Oggi il ministero della Difesa armeno ha dichiarato che le forze di contraerea hanno abbattuto un drone azero nell’area di confine sullo sfondo della recente escalation.

“Le unità di difesa aerea armena hanno colpito un drone delle forze armate azere, che viene utilizzato come sistema di controllo del fuoco”, ha scritto la portavoce del ministero Shushan Stepanyan su Facebook.

Domenica scorsa è avvenuto uno scontro armato sul confine azero-armeno, in un punto relativamente lontano da dove i due paesi di solito si scambiano ostilità nel territorio conteso del Nagorno-Karabakh. Lo scontro è avvenuto vicino al villaggio di Movses lungo la linea di contatto tra la provincia di Tavush in Armenia e la provincia di Tovuz in Azerbaigian. Yerevan e Baku si sono incolpate a vicenda di aver aperto il fuoco per prima. Il ministero della Difesa azero ha riportato la morte di quattro soldati, mentre il ministero della Difesa armeno ha segnalato il ferimento di 2 militari.Lunedì l’Armenia ha riferito che l’Azerbaigian ha continuato ad attaccare, bombardando il territorio armeno ad intervalli di 15-20 minuti.

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Scontro armato tra Armenia e Azerbaijan (Osservatorio Balcani e Caucaso 14.07.20)

A partire da domenica scontro armato con morti e feriti al confine tra Armenia e Azerbaijan. Entrambi i paesi si accusano di aver avviato le ostilità

14/07/2020 –  Oc Media

(Pubblicato originariamente da OC Media, il 13 luglio 2020)

Da domenica si sono verificati scontri armati tra Armenia e Azerbaijan lungo il confine. Almeno tre soldati dell’Azerbaijan sono stati uccisi e altri cinque feriti. L’Armenia ha riferito che due propri agenti di polizia e tre soldati sono rimasti feriti.

Combattimenti sono in corso da domenica pomeriggio tra la provincia di Tavush in Armenia e il distretto di Tovuz dell’Azerbaijan. Le parti in conflitto si sono accusate reciprocamente di aver iniziato le ostilità.

Il ministero della Difesa dell’Azerbaijan ha affermato domenica che “dal pomeriggio” del 12 luglio le forze armate armene “hanno violato il regime del cessate il fuoco” e hanno bombardato le posizioni dell’Azerbaijan al confine tra l’Azerbaijan e l’Armenia nella regione di Tovuz. “Ci sono perdite da entrambe le parti”, si legge nella loro dichiarazione. Lunedì pomeriggio, hanno anche affermato che le forze armene hanno sparato contro le posizioni azerbaijane a Nakhichevan.

Shushan Stepanyan, il portavoce del ministero della Difesa dell’Armenia, in un post su Facebook ha affermato che domenica alle 12:30, diversi membri delle forze armate del’Azerbaijan con un veicolo hanno tentato di violare i confini statali della Repubblica di Armenia. Stepanyan ha affermato che i soldati hanno abbandonato il loro veicolo e sono tornati alle loro posizioni dopo un “avvertimento” da parte armena. “Alle 13:45 le forze armate azerbaijane, usando l’artiglieria, hanno cercato di catturare una nostra posizione strategica ma sono state respinte e hanno subito vittime”, ha dichiarato Stepanyan. Non ha ammesso alcuna perdita subita dalle forze armate armene.

Sabina Aliyeva, Difensore civico dell’Azerbaijan, ha affermato che le forze armene hanno colpito il villaggio di Agdam e che “queste azioni contro i civili durante la pandemia di COVID-19 dovrebbero essere valutate come una grave violazione dei diritti umani”. Non si hanno sino ad ora notizie di vittime civili.

L’escalation è arrivata meno di una settimana dopo che il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev ha espresso malcontento per i negoziati con l’Armenia. In un’intervista a canali televisivi azerbaijani il 6 luglio scorso Aliyev ha affermato che “i negoziati in video tra i ministri degli Affari esteri dell’Armenia e dell’Azerbaijan non hanno alcun senso”. Aliyev ha anche minacciato l’uscita dell’Azerbaijan dai negoziati: “Se i negoziati non affrontano questioni sostanziali, non vi prenderemo parte”.

Alleanze militari

Hikmet Hajiyev, assistente del Presidente dell’Azerbaijan, ha accusato l’Armenia di utilizzare queste “avventure militari” per cercare di coinvolgere le “organizzazioni politico-militari” di cui è membro, al fine di evitare le proprie responsabilità nell’occupazione e aggressione contro Azerbaijan.

Sebbene non abbia nominato alcuna specifica organizzazione “militare-politica”, l’unico gruppo di cui l’Armenia fa parte è l’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (CSTO) guidata dalla Russia. Nell’ambito della CSTO, l’Armenia e altri stati membri sono vincolati da obblighi di difesa reciproca.

Anche l’Azerbaijan è firmatario di un trattato con la Turchia che comporta obblighi di difesa reciproca. In una dichiarazione rilasciata il 12 luglio la Turchia ha condannato l’escalation e dichiarato il proprio sostegno all’Azerbaijan “nella sua lotta per proteggere la sua integrità territoriale”.

In una dichiarazione di lunedì scorso, il ministero degli Affari esteri russo ha definito la situazione “inaccettabile” e ha condannato ogni “ulteriore escalation” in quanto potrebbe “minacciare la sicurezza della regione”. Aggiungendo che la Russia era pronta a “fornire l’assistenza necessaria per stabilizzare la situazione”.

“In molti sarebbero sorpresi se questo tipo di scontri si trasformassero in una vera e propria guerra”, ha dichiarato ad OC Media Olesya Vartanyan, analista esperta di Caucaso meridionale per il think tank International Crisis Group. “Ciò non significa che qualcosa non possa accadere, diciamo, nella zona di conflitto del Nagorno-Karabakh”.

Vartanyan ha aggiunto che è improbabile che il conflitto si intensifichi in quel luogo specifico dato che quella regione di confine comprende infrastrutture preziose, tra cui strade e oleodotti, fondamentali per entrambi i paesi. Ed inoltre, ha proseguito, in quella zona la popolazione civile è molto vicina alle postazioni militari e vi è infine la possibilità di un intervento turco e russo.

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San Davino Armeno: archeologia e paleopatologia di un santo pellegrino medievale (Gonews 14.07.20)

Mercoledì 15 luglio, alle ore 18:00, in occasione delle Notti dell’Archeologia 2020, il Museo di Anatomia patologica, appartenente al Sistema Museale dell’Università di Pisa, propone un appuntamento in streaming su “San Davino Armeno: archeologia e paleopatologia di un santo pellegrino medievale”. Intervengono il direttore del museo, la professoressa Valentina Giuffra, e il professor Antonio Fornaciari, della divisione di Paleopatologia. L’incontro tenterà di dare risposta alla domanda: cosa ci racconta lo studio di una mummia medievale? Molte cose se a interrogarla sono i paleopatologi. La Paleopatologia è infatti la scienza specializzata nello studio delle malattie antiche direttamente nei resti umani del passato, scheletri e mummie. PUBBLICITÀ Nel 2018 la divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa ha affrontato lo studio del corpo mummificato di San Davino Armeno, conservato a Lucca nella Basilica di San Michele in Foro. La figura di San Davino, santo pellegrino che la tradizione fa morire a Lucca nel 1050, è in gran parte avvolta nella leggenda. Lo studio ci rivela per la prima volta le caratteristiche fisiche, lo stile di vita e le malattie sofferte dal santo, tra cui le tracce di un intervento chirurgico alla testa effettuato con l’uso di un cauterio. Nel corso della presentazione saranno mostrati i risultati delle ricerche che sembrano avvalorare le notizie agiografiche sulla provenienza dall’Armenia del personaggio e saranno mostrati i rarissimi elementi di corredo (sete e gioielli) che accompagnano il corpo. Per seguire il seminario collegarsi al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=BybeyGPF6Ec Fonte: Università di Pisa – Ufficio Stampa

Leggi questo articolo su: https://www.gonews.it/2020/07/14/san-davino-armeno-archeologia-e-paleopatologia-di-un-santo-pellegrino-medievale/
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La Turchia ribadisce sostegno all’Azerbaigian nel conflitto con l’Armenia (Sputniknews 13.07.20)

Oggi il ministero della Difesa armeno ha dichiarato che le forze di contraerea hanno abbattuto un drone azero nell’area di confine sullo sfondo della recente escalation.

“Le unità di difesa aerea armena hanno colpito un drone delle forze armate azere, che viene utilizzato come sistema di controllo del fuoco”, ha scritto la portavoce del ministero Shushan Stepanyan su Facebook.

Domenica scorsa è avvenuto uno scontro armato sul confine azero-armeno, in un punto relativamente lontano da dove i due paesi di solito si scambiano ostilità nel territorio conteso del Nagorno-Karabakh. Lo scontro è avvenuto vicino al villaggio di Movses lungo la linea di contatto tra la provincia di Tavush in Armenia e la provincia di Tovuz in Azerbaigian. Yerevan e Baku si sono incolpate a vicenda di aver aperto il fuoco per prima. Il ministero della Difesa azero ha riportato la morte di quattro soldati, mentre il ministero della Difesa armeno ha segnalato il ferimento di 2 militari.Lunedì l’Armenia ha riferito che l’Azerbaigian ha continuato ad attaccare, bombardando il territorio armeno ad intervalli di 15-20 minuti.

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Tensioni tra Armenia e Azerbaigian, scontro armato fra i militari al confine (Sputniknews 12.07.20)

Nel pomeriggio di domenica si è verificato uno scontro armato al confine tra l’Armenia e l’Azerbaigian. Le versioni delle due parti in causa.

Il ministero della Difesa azero afferma che le loro posizioni sono state state attaccate a colpi di artiglieria dai militari armeni. Secondo quanto riferito dal dicastero militare azero, ci sono vittime da entrambe le parti. Il ministero della Difesa armeno ha riferito di un tentativo di presa di uno dei punti di guardia al confine da parte dei militari azeri.

Versione azera

Secondo quanto riferito dalla parte azera, nello scontro sono caduti due militari e cinque sono stati feriti.

“A partire dal mezzogiorno del 12 luglio le unità delle forze armate armene, violando in maniera grave il cessate il fuoco nella sezione del confine di stato azero-armeno del distretto di Tovuz, hanno attaccato le nostre posizioni”, ha affermato l’ufficio stampa del ministero della Difesa azero a Sputnik.

Versione armena

La parte armena, a sua volta, denuncia il tentativo di presa di un proprio caposaldo da parte azera, avvenuto con l’impiego di mezzi di artiglieria, dichiarando inoltre che non ci sono vittime tra i militari armeni.

Il portavoce del ministero della Difesa armeno Shushan Stepanyan ha scritto in un post su Facebook che “i militari delle forze armate azere, usando il fuoco di artiglieria, hanno cercato di conquistare un nostro caposaldo, ma sono stati respinti subendo vittime” ․

“Da parte armena non ci sono vittime”, ha sottolineato Stepanyan.

Il portavoce ha aggiunto che poco prima dello scontro i militari azeri hanno tentato di attraversare il confine di stato a bordo di un veicolo.

L’annosa disputa territoriale tra i due paesi

Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian è scoppiato nel 1988, quando il territorio autonomo del Nagorno-Karabakh ha dichiarato l’uscita dalla Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaigian. Le parti in guerra hanno posto ufficialmente fine alle ostilità nel 1994, ma le violenze non sono cessate e anzi una recrudescenza del conflitto si è registrata a partire da aprile 2016.

Dal 1992 si svolgono i negoziati per una soluzione pacifica del conflitto all’interno del gruppo di Minsk dell’OSCE. L’Azerbaigian insiste nel salvaguardare la sua integrità territoriale, mentre l’Armenia difende gli interessi dell’autoproclamata Repubblica, dal momento che i rappresentanti indipendentisti del Nagorno-Karabakh non sono coinvolti nei negoziati.

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Santa Sofia, le mire del sultano e una Chiesa tiepida troppo occupata con la salvaguardia del creato (Loccidentale 11.07.20)

Comunque andrà con l’Aja Sofia(Santa Sapienza), la Dichiarazione di fratellanza universale firmata ad Abu Dhabi dall’imam di Al Azar e dal papa, rivela tutta la sua utopia dinanzi alle ragioni politiche di colui che si ritiene il nuovo sultano. Che contrasto con la lezione di Benedetto XVI all’università di Regensburg il 12 settembre del 2006, in cui affermava che la violenza è contraria alla ragione! La mancanza di ragione costituisce una delle peggiori patologie della religione; invece di proporre e diffondere la fede con la ragione, si ritiene ancora oggi di imporla con la forza.

Purtroppo, il dialogo ideologizzato ha indotto i cattolici al relativismo, nonostante Paolo VI abbia scritto: “La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in un’attenuazione della verità…il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all’impegno della nostra fede…non si può transigere con i principi teorici e pratici della nostra professione cristiana”(Enciclica Eclesiam suam).
I patriarchi di Costantinopoli e di Mosca, nei loro comunicati, fanno riferimento ai fasti di Santa Sofia, per paventare la fine della concordia e della pace interreligiosa. Flebili proteste! E così, mentre in Europa i politici favoriscono la diffusione di moschee, in Turchia Erdogan ‘schiaffeggia’ i cristiani del mondo, spingendo alla trasformazione di Santa Sofia in moschea.

Tra i territori dell’ex impero ottomano la Turchia aveva fino alla fine del secolo XIX la più forte percentuale di cristiani: armeni (2.000.000), greci (1.500.000), siro-giacobiti e assiro-caldei (alcune centinaia di migliaia); il 20% dell’intera popolazione; si aggiunga un mezzo milione di ebrei; da Istanbul fino all’est convivevano con i musulmani. Il massacro degli armeni e il ‘rimpatrio’ dei greci d’Anatolia, avvenuti nel secolo XX rendono oggi la Turchia, tra i paesi del Medioriente, quello che ha ufficialmente il minor numero di cristiani: intorno ai 100.000, su oltre 60 milioni d’abitanti musulmani. Ma la cifra può essere ben più alta in ragione di un certo numero di ‘cripto-cristiani’ e di immigrati. Fino a qualche anno fa, si stimavano tra 40 e 50.000 armeni, tra 5 e 10.000 greci, concentrati in gran parte ad Istanbul, tra 15 e 20.000 siriani, in gran parte ad est, intorno a Tour Abdin e Mardin, tutti ortodossi, e ben distinti culturalmente e linguisticamente dall’ambiente turco. Si aggiungano da 15 a 20.000 cattolici di diverse denominazioni e qualche migliaio di protestanti. Ufficialmente i ¾ dei cristiani di Turchia vivono a Istanbul, 25mila in Anatolia.

Erdogan vuole emulare Mehmet II, il sultano che realizzò il sogno dei musulmani, antico di otto secoli, che il 29 maggio 1453 assalì Costantinopoli. La dominazione ottomana su Costantinopoli divenuta Istanbul si inaugurò con tre giorni di saccheggi e massacri che non risparmiarono nemmeno gli abitanti rifugiati nella basilica di S.Sofia. I principali santuari cristiani furono trasformati in moschee. Mehmet II, dopo aver giustiziato il patriarca Isidoro II, autorizzò i prigionieri greci a raggrupparsi nel quartiere del Phanar e a organizzarsi in ‘nazione’(millet) sotto l’autorità d’un nuovo patriarca (altrettanto avverrà per gli Armeni).Per il gran numero di Turchi fatti insediare nella città, la popolazione cristiana divenne subito minoritaria e il sultano divise le ‘genti del Libro’ in millet (Greci, Armeni e Italiani). Anche in Anatolia, tranne alcune roccaforti tradizionali(Sebaste, Trebisonda,TourAbdin…) il censimento del XV secolo fa apparire i cristiani minoritari. Molti si convertono all’islam pur di non sottostare ad una situazione discriminatoria e umiliante. Ma coloro che erano rimasti fedeli potettero conservare la loto organizzazione e il loro diritto particolare e i loro capi ottenere una sorta di sovranità delegata concessa benevolmente dalla Sublime Porta.

L’avvento di Moustapha Kemal, detto Ataturk, segnò l’insurrezione nazionale e i cristiani fecero le spese di questo sussulto patriottico inaspettato che rifiutava il trattato di Sèvres: 300.000 armeni e 350.000 greci vennero massacrati e i rimasti furono deportati. Il 24 luglio del 1923 viene siglato il trattato di Losanna che sancisce il riconoscimento internazionale della nuova Turchia. Dei circa due milioni di armeni che vi si trovavano fino al 1914, restano appena 70.000. I cristiani Assiri si rifugiano in Iraq e i Giacobiti ad est nella zona di Mardin. Quanto ai Greci, si era organizzato un grande ‘scambio’: mezzo milione di turchi d’Europa ritornavano in patria, e 1 milione e mezzo di greci abbandonavano la loro patria millenaria sulle rive asiatiche dell’Egeo (rimasero solo le comunità greche di Istanbul e di alcune isole turche). Il patriarca Germano V si era dimesso nel 1918 e per tre anni il seggio rimase vuoto.

Il nuovo stato turco, lungi dal riconoscere eguaglianza ai cittadini ha finito per vessare ulteriormente i cristiani, al punto che nel 1955 una larga parte della comunità greca di Istanbul ha lasciato il paese. Il governo ha esercitato una enorme ingerenza nel patriarcato che ha portato negli anni venti alla costituzione di una chiesa ortodossa turca scismatica, esperienza conclusasi nel 1947. L’elezione nel 1948 del patriarca Atenagora e anziano arcivescovo negli Stati Uniti, porterà ad un allentamento della tensione.

Dopo la morte di Ataturk nel 1938, la democratizzazione progressiva del paese ha permesso un certo miglioramento della condizione dei cristiani, ma è chiaro che in uno stato rimasto fondamentalmente turco e musulmano, essa rimane sempre precaria.

Erdogan vuole accreditarsi come il nuovo sultano della umma’, la comunità islamica mondiale. Il patriarca ‘verde’, Bartolomeo, con papa Francesco, è troppo occupato nella ‘salvaguardia del creato’, per promuovere azioni a sostegno dei non pochi turchi che si convertono clandestinamente alla fede cristiana. L’Europa assisterà indifferente, salvo qualche comunicato di protesta, perché da anni ha perduto le sue radici cristiane.

Se invece le Chiese cattolica e ortodossa seguissero l’insegnamento e l’esempio di Gesù Cristo, che ha rivelato il mistero della Sapienza divina nella follia della croce, feconderebbero del sangue di Lui mescolato al proprio, tanta umanità in cerca di salvezza.


Tornano difficili i rapporti tra Vaticano e Turchia (11.07.20)

AGI – Difficile immaginare che la decisione turca di restituire al culto islamico Santa Sofia a Istanbul restasse priva di conseguenze, nei rapporti con la Chiesa cattolica. Oggi Papa Francesco esprime il suo “profondo dolore” personale, a indicare la profondità della ferita inferta ad un dialogo ripreso da poco, dopo alti e bassi. Parole, quelle del Pontefice, che lasciano bene immaginare come la ricucitura sarà lenta e difficile, e probabilmente richiederà lunghi anni di paziente lavoro sotterraneo. A Santa Sofia Bergoglio si era fermato per una visita alla fine di novembre del 2014. Quel giorno – il particolare è significativo – aveva scelto piuttosto la Moschea Blu per soffermarsi in adorazione a piedi scalzi davanti al mihrab, accanto al Gran Mufti’ di Istanbul Rahmi Yaran. Un gesto già compiuto anni prima da Ratzinger e con il quale si sottolineava, tra le altre cose, che il luogo di culto era quello, e non l’antica basilica bizantina. Museo, quest’ultima, era come tale era stata ammirata. Oggi le cose cambiano, come è cambiata la destinazione di Aghia Sophia. Un papa che dà voce alla sua più profonda amarezza per la decisione di un governo straniero indica una cosa sola: quelle giornate sono ormai lontane, ed il futuro non sarà più come il passato. Eppure di alti e bassi le relazioni tra Santa Sede e governo di Erdogan ne hanno registrati molti. Se il viaggio del 2014 aveva registrato con una vera e propria apertura di credito da parte di Bergoglio, gli sviluppi successivi non erano stati altrettanto promettenti. Sull’aereo che lo portava ad Ankara, prima tappa di quella trasferta, il Pontefice aveva avuto modo di sottolineare l’accoglienza “generosa” di “una grande quantità di profughi” da parte della Turchia, precisando che “la comunità internazionale ha l’obbligo morale di aiutarla nel prendersi cura” di loro. Ruolo stabilizzatore nell’ambito di una catastrofe umanitaria di dimensioni bibliche, quello di Erdogan: la Siria ed i suoi profughi (in tanta parte cristiani) costituivano una vera e propria credenziale nelle mani di Ankara nei confronti dell’Europa e non solo. La battuta d’arresto venne registrata pochi mesi dopo, quando Francesco divenne il primo papa a parlare apertamente, condannandolo, del genocidio degli armeni del 1915. Tema delicatissimo: la Turchia nega ancora che quei fatti siano definibili come tale, quanto semmai una politica di ricollocamento della popolazione armena all’interno dell’allora impero ottomano, e non accetta altre versioni. Invece, cent’anni dopo i fatti, Bergoglio disse esplicitamente: “La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, che generalmente viene considerata come il primo genocidio del XX secolo, ha colpito il popolo armeno, prima nazione cristiana”. Mettendo cosi’ gli armeni a fianco degli ebrei della Shoah. Reazione immediata di Erdogan: attacco personale al Papa (“ho cambiato la mia opinione su di lui come politico e come religioso”) e ritiro dell’ambasciatore presso la Santa Sede. Il diplomatico tornerà un anno dopo, in tempo per preparare una visita a Roma dello stesso Erdogan che regolarmente si svolge nel febbraio 2018. L’accoglienza è amichevole, il clima definito caloroso come da prammatica, ma da parte vaticana si chiede rispetto e protezione per le minoranze cristiane in Turchia e nella regione” come anche rispetto per i curdi e cessazione immediata delle uccisioni in atto, soprattutto delle vittime civili e innocenti. Insomma, amici ma l’amicizia si basa sulla franchezza. Come anche su una serie di protocolli in cui le posizioni sono meno divergenti: profughi, Siria, Gerusalemme. Trump ha appena spostato l’ambasciata americana in Israele nella Città Santa, e la cosa non viene gradita nè da una parte, nè dall’altra. Come sempre, anche in questa visita i regali ebbero la loro simbologica importanza. Cosi’ Erdogan si presentò da Bergoglio con una raccolta di scritti di un poeta turco dal nome evocativo, Rumi (che rimanda ai Romani, come i bizantini chiamavano se stessi) e il Papa contraccambiò con un medaglione raffigurante l’Angelo della Pace, forse ad indicare alla controparte il ruolo che sperava essa assumesse nella regione, e non solo. Quindi il Pontefice aggiunse una litografia seicentesca della allora erigenda Basilica di San Pietro, e se il pensiero di qualcuno magari corse a Santa Sofia, la risposta dell’ospite turco fu una stampa coeva di Istanbul, dove spiccava una Santa Sofia già trasformata in moschea.   AGI

Il giovane medico aretino pronto a lasciare l’Armenia: “Tre settimane di duro lavoro che porterò sempre con me” „Il giovane medico aretino pronto a lasciare l’Armenia: “Tre settimane di duro lavoro che porterò sempre con me”(Arezzonotizie 10.07.20)

Il giovane medico aretino pronto a lasciare l’Armenia: “Tre settimane di duro lavoro che porterò sempre con me”

David ha 33 anni. Vive a Monte San Savino insieme alla famiglia e da tre settimane si trova a Yerevan in Armenia, dove insieme a colleghi di ogni angolo d’Italia e non è impegnato in attività di contrasto e studio inerenti al Covid-19. È il dottor Redi, medico di malattie infettive presso l’ospedale di Arezzo, uno degli specialisti che si sono messi a disposizione per contribuire al contenimento dell’epidemia Coronavirus unendosi al gruppo di medici e infermieri dell’Emt-2-Italia. “Sono stato destinato all’ospedale più grande della capitale – racconta David – Svolgo il mio normale lavoro di medico ma, lo intervallo anche con momenti di confronto dove spieghiamo il ruolo della nostra organizzazione ai colleghi armeni con i quali mettiamo a confronto i nostri studi e le nostre esperienze. In questa terra l’età media dei medici va dai 30 ai 50 anni e, fatta eccezione per chirurgia e rianimazione, la maggioranza sono donne. Lo scambio che abbiamo intrapreso è molto stimolante. C’è grande curiosità professionale, non solo sul tema Covid, ma anche il nostro modo di lavorare che, rispetto al loro è più flessibile e calato sulle esigenze del paziente”.

Un momento di scambio stimolante e costruttivo che però, inevitabilmente, ha portato il giovane medico aretino a vivere le difficoltà sanitarie di questa terra che sta affrontando l’epidemia. “Non ci sono le misure di prevenzione che sono state adottate in Italia e quindi, fuori dall’ospedale, noi medici cerchiamo di non avere contatti con altre persone – prosegue – E’ una precauzione che limita i nostri rapporti esterni ma che riteniamo doverosa”.

Il ritorno ad Arezzo è previsto il 17 luglio. “Quando tornerò a casa – spiega David Redi – porterò con me il ricordo della voglia di confronto e di crescita che ho visto nei colleghi armeni con i quali è stato bello condividere tempo e punti di vista. Non sono mancate neppure le occasioni di contatto umano. Ieri una collega di Yerevan ha preso il suo smartphone per fare una foto di gruppo. Sullo sfondo aveva l’immagine di sua figlia di 3 anni e mezzo, la stessa età della mia bambina. Mi ha detto che è un mese che non la vede perché ha paura di trasmetterle il virus. Mi ha chiesto come avevo fatto a lasciare la mia famiglia e io le ho risposto che, nonostante la paura del contagio, tornavo tutti i giorni a casa perché senza la forza della mia famiglia non sarei riuscito ad andare avanti”.

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Armenia: il giovane medico aretino contro il Covid, vicini ai pazienti, lontani dai loro bambini (Arezzoweb 10.07.20)

Il racconto di David Redi sulla sua esperienza a Yerevan

Sono giovani. Uniti dalla passione per la medicina e dall’impegno contro il Covid. Armeni e italiani nei 3 ospedali di Yerevan. David Redi, medico di malattie infettive di Arezzo, è uno di loro e fa parte del gruppo di medici e infermieri, per lo più piemontesi, dell’EMT-2-Italia. Responsabile della missione è Mario Raviolo.

“Io sono stato destinato nell’ospedale più grande della capitale. Lavoriamo ma anche raccontiamo e spieghiamo la nostra organizzazione ad Arezzo e in Italia. Siamo passati dalla corsia all’”aula” in modo naturale, lavorando fianco a fianco ogni giorno e mettendo a confronto i nostri studi e le nostre esperienze”.
David Redi racconta i suoi colleghi armeni: “qui l’età media dei medici è più bassa che da noi. Si va dai 30 ai 50 anni e quindi sono in grande parte giovani . Fatta eccezione per chirurgia e rianimazione, la maggioranza dei medici sono donne. C’è una grande curiosità professionale e non solo sul tema Covid. E quello che interessa loro è la nostra diversità: loro hanno protocolli più standardizzati per i pazienti mentre i nostri sono più flessibili e personalizzati”.
Il dialogo e la formazione in aula si trasforma presto in un confronto sui singoli casi. “Una nefrologa mi ha chiesto un consiglio su un paziente. Ho fatto una valutazione diversa dai loro protocolli sul dosaggio di un medicinale e lei è stata d’accordo con me. Il paziente ha reagito bene. Esperienza analoga anche con una cardiologa. Sto vedendo una giovane classe medica non solo preparata ma anche interessata e aperta ad altre esperienze”.
Il confronto finisce in ospedale. “In città non ci sono le misure di prevenzione che sono state adottate in Italia e quindi, fuori dall’ospedale, noi medici italiani rimaniamo per conto nostro. E’ una precauzione che limita i nostri rapporti esterni ma che riteniamo doverosa”.

David Redi, 33 anni, nativo di Monte San Savino, ha già in tasca il biglietto di ritorno. Porta la data del 17 luglio. Quel giorno avrà trascorso 3 settimane in Armenia. “Quando tornerò a casa, porterò con me il ricordo della voglia di confronto e di crescita che ho visto nei colleghi armeni con i quali è stato bello discutere insieme i casi clinici per ottenere il meglio per ogni paziente. Ieri una collega di Yerevan ha preso il suo smartphone per fare una foto di gruppo. Sullo sfondo aveva l’immagine di una bambina, sua figlia di 3anni e mezzo, la stessa età di mia figlia. Mi ha detto che è un mese che non la vede perché ha paura di trasmetterle il COVID-19. Mi ha chiesto come avevo fatto con le mie bimbe e io le ho detto che tornavo tutti i giorni a casa per stare con loro e che la paura del Covid era tanta anche per me, ma senza la forza della mia famiglia non sarei riuscito ad andare avanti. Le ho detto che queste 3 settimane lontano da loro sono per me un grande sacrificio“.

 

Mkhitaryan al top: “armeno tu” in un 2020 da cancellare (Leggo 10.07.20)

LEGGO (F. BALZANI) – «Armeno tu» in questo 2020 da dimenticare. Ok, la battuta è inflazionata, ma la verità è che l’unica nota davvero lieta di quest’anno solare giallorosso risponde al nome di Mkhitaryan, il talento di Armenia con la faccia da attore e i modi gentili che sembra aver messo da parte i problemi fisici del 2019. L’ex stella del Dortmund – che si è ripreso il ruolo di trequartista – ha numeri da top player: nelle 10 partite da gennaio a oggi ha messo a segno 5 gol e 4 assist risultando il leader di una squadra ancora convalescente.

La media reti è superiore a tutti nella Roma, anche a Dzeko. Mkhitaryan ne segna uno ogni 149′ mentre l bosniaco lo insegue con uno ogni 177′. Otto (da inizio stagione) le perle dell’armeno. Non segnava così tanto in campionato dal 2016 col Dortmund, quando concluse la stagione con 11 reti. Importante è pure l’impatto sulla squadra. Quando Mkhitaryan segna o assiste i compagni la media si alza a 2,3 punti a partita (7 vittorie e due sconfitte) mentre quando resta a secco la media è di 1,4. Si contano, infatti, solo 12 gol in campionato suddivisi tra Kluivert, Under, Perotti, Kalinic e Carles Perez. Il numero 77 è uno dei pochi Untouchables di una squadra che continua a non avere una sua fisionomia. La federazione armena gli ha dedicato un tweet: «Un’altra grande partita di Mkhitaryan, che ha guidato la Roma verso la rimonta».

Contro il Brescia mancherà per squalifica, ma sarà garantita la sua presenza anche nella prossima stagione. Baldini, infatti, ha raggiunto l’accordo con l’Arsenal che a fine stagione lo libererà a zero anticipando di un anno la scadenza del contratto. Miki si legherà quindi alla Roma con un annuale con opzione sul 2° anno legato al numero di presenze (20). E sul mercato la Roma cerca altri profili simili: costo zero, esperienza e contratti brevi. Tra loro c’è Pedro ma pure Vertonghen.

CASO NELA – La vittoria col Parma non è bastata per spegnere le polemiche. Le bacheche social ieri sono state intasate da messaggi di supporto per Sebino Nela. Dopo Totti, De Rossi e Florenzi, infatti, la dirigenza ha deciso di strappare un’altra bandiera non rinnovando il contratto allo storico terzino che dal 2016 era dirigente della squadra Femminile. Un trattamento mal digerito dalle figlie Virginia e Ludovica: «In pochissimi hanno dato la vita e hanno amato veramente questi colori come hai fatto tu per 12 stagioni consecutive in campo come fuori. Purtroppo qualcuno che del vero calcio giocato e dell’amore per la maglia non se ne intende affatto, ha voluto che tu oggi non ne facessi più parte. Del vero calcio ormai è rimasto solo il ricordo che ha fatto innamorare e sognare i tuoi tifosi. Sempre veri. Ad maiora papo!».

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Mkhitaryan al top. “Armeno tu” in un 2020 da cancellare (Forzaroma.info 10.07.20)

Miki è l’unica nota davvero lieta di quest’anno solare giallorosso

“Armeno tu” in questo 2020 da dimenticare. Ok, la battuta è inflazionata, ma la verità è che l’unica nota davvero lieta di quest’anno solare giallorosso risponde al nome di Mkhitaryan, il talento di Armenia con la faccia da attore e i modi gentili che sembra aver messo da parte i problemi fisici del 2019, scrive Francesco Balzani su Leggo

L’ex stella del Dortmund – che si è ripreso il ruolo di trequartista – ha numeri da top player: nelle 10 partite da gennaio a oggi ha messo a segno 5 gol e 4 assist risultando il leader di una squadra ancora convalescente.

La media reti è superiore a tutti nella Roma, anche a Dzeko. Mkhitaryan ne segna uno ogni 149′ mentre l bosniaco lo insegue con uno ogni 177′. Otto (da inizio stagione) le perle dell’armeno. Non segnava così tanto in campionato dal 2016 col Dortmund, quando concluse la stagione con 11 reti. Importante è pure l’impatto sulla squadra.

Quando Mkhitaryan segna o assiste i compagni la media si alza a 2,3 punti a partita (7 vittorie e due sconfitte) mentre quando resta a secco la media è di 1,4. Si contano, infatti, solo 12 gol in campionato suddivisi tra Kluivert, Under, Perotti, Kalinic e Carles Perez.

Il numero 77 è uno dei pochi Untouchables di una squadra che continua a non avere una sua fisionomia. La federazione armena gli ha dedicato un tweet: “Un’altra grande partita di Mkhitaryan, che ha guidato la Roma verso la rimonta“.

Contro il Brescia mancherà per squalifica, ma sarà garantita la sua presenza anche nella prossima stagione. Baldini, infatti, ha raggiunto l’accordo con l’Arsenal che a fine stagione lo libererà a zero anticipando di un anno la scadenza del contratto. Miki si legherà quindi alla Roma con un annuale con opzione sul 2° anno legato al numero di presenze (20). E sul mercato la Roma cerca altri profili simili: costo zero, esperienza e contratti brevi. Tra loro c’è Pedro ma pure Vertonghen.
CASO NELA – La vittoria col Parma non è bastata per spegnere le polemiche. Le bacheche social ieri sono state intasate da messaggi di supporto per Sebino Nela. Dopo Totti, De Rossi e Florenzi, infatti, la dirigenza ha deciso di strappare un’altra bandiera non rinnovando il contratto allo storico terzino che dal 2016 era dirigente della squadra Femminile. Un trattamento mal digerito dalle figlie Virginia e Ludovica: «In pochissimi hanno dato la vita e hanno amato veramente questi colori come hai fatto tu per 12 stagioni consecutive in campo come fuori. Purtroppo qualcuno che del vero calcio giocato e dell’amore per la maglia non se ne intende affatto, ha voluto che tu oggi non ne facessi più parte. Del vero calcio ormai è rimasto solo il ricordo che ha fatto innamorare e sognare i tuoi tifosi. Sempre veri. Ad maiora papo!

Armenia in black list, il team italiano al rientro sarà messo in quarantena? Raviolo non ci sta: “Per medici e infermieri troppi sacrifici” (Lastampa.it 10.07.20)

Bloccati a Erevan? Oppure rimpatriati, ma costretti a una quarantena che li terrebbe fuori degli ospedali e dal servizio per due settimane? Nella black list dei Paesi ai quali l’Italia ha chiuso i confini, per evitare di importare nuovi contagi da coronavirus, c’è anche l’Armenia. Dove dal 26 giugno è impegnata la missione dei medici e infermieri della Maxi Emergenza 118 della Regione Piemonte, inviata dal governo per aiutare i colleghi della capitale armena a fronteggiare la pandemia. Ma ora per gli undici professionisti guidati dal direttore del Dipartimento, Mario Raviolo (medico di Savigliano, già a capo dell’Unità di crisi regionale anti Covid), il rientro – previsto per il 17 luglio – potrebbe complicarsi.

L’ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza vieta l’ingresso in Italia a chi proviene dai 13 Paesi sulla «lista nera» fino al 14 luglio, ma pare certo che la scadenza sarà prorogata con il nuovo Decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Quanti sono stati in quei territori negli ultimi 14 giorni non possono rientrare neppure con l’escamotage di uno scalo intermedio.

«Ho chiesto indicazioni e dettagli alla Protezione civile nazionale a Roma – spiega Raviolo stamane da Erevan -.  Dobbiamo conoscere le modalità del rimpatrio, le eventuali conseguenze e le norme a cui attenersi». La quarantena non è una soluzione che il “capo missione” intende accettare: «Non è gestibile, perché chi è qui con me deve poter rientrare al lavoro negli ospedali dove il personale è già stato messo a dura prova dal Covid e ha diritto alle sacrosante ferie, se possibile. Medici e infermieri non hanno fatto abbastanza sacrifici personali, anche venendo ad aiutare un Paese in difficoltà, per trovarsi di fronte un altro ostacolo?». E tuona: «Messi in quarantena al rientro in Italia, dove da settimane vediamo ammassamenti in spiagge, locali e piazze, senza rispetto di regole, distanziamenti o mascherine? Non facciamo gli ipocriti. Se sarà così, dico che per noi questa è l’ultima missione».

Armenia in black list, il team italiano al rientro sarà messo in quarantena? Raviolo non ci sta: “Per medici e infermieri troppi sacrifici”

CHE COSA E’ UN EMT

Il Posto medico avanzato di 2° livello della Maxi Emergenza 118 della Regione è volato in Armenia su provvedimento del governo, che aveva spiegato in una nota ufficiale: «L’operazione, che rientra nell’ambito del Meccanismo europeo di Protezione civile, è stata disposta dal presidente del Consiglio Conte, a seguito della richiesta di assistenza internazionale dell’Armenia alla Commissione Europea. Si svolgerà in coordinamento con l’attività portata avanti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, in stretta collaborazione con l’Ambasciata d’Italia in Armenia». Una missione piemontese, alla quale partecipa per la prima volta anche personale di Lombardia e Toscana, per tre settimane ad affiancare i colleghi di tre ospedali al collasso nell’emergenza pandemia.

«Quando il Piemonte ha avuto bisogno, nel pieno del Covid, abbiamo avuto l’aiuto anche di medici da Cuba e Albania», aveva sottolineato alla partenza l’assessore regionale alla Sanità Luigi Icardi, a chi obiettava sull’opportunità che il team si recasse all’estero, mentre in Piemonte l’emergenza ha appena svoltato l’angolo. Rimarcando: «Ora che è stato chiesto di ricambiare, non si poteva rifiutare. Anche perché nessun presidio resta sguarnito e la situazione è sotto controllo. Essere chiamati dalla Protezione civile europea, inoltre, è il riconoscimento della professionalità del Piemonte».

Armenia in black list, il team italiano al rientro sarà messo in quarantena? Raviolo non ci sta: “Per medici e infermieri troppi sacrifici”

L’Emergency Medical Team è stato accolto da ambasciatori e ministro della Salute all’arrivo a Erevan. Ma che cosa sono gli Emt? Si tratta di strutture sanitarie per operare nelle catastrofi. Ce ne sono di tre tipi: quello piemontese è un Emt2, il primo italiano certificato dall’Oms (il 28 agosto 2018) e candidato a diventare Emt3, cioè fra i più grandi e complessi ospedali da campo, una manciata in tutto al mondo. Un progetto in corso, che potrebbe coinvolgere anche l’aeroporto di Cuneo.

«Qui abbiamo trovato un’accoglienza umana e professionale cordialissima – racconta Mario Raviolo da Erevan -. Il personale medico è molto bravo, ci sono invece carenze di training in alcuni metodi, soprattutto di ecografia polmonare in urgenza. La collaborazione è ottima, pur in una situazione al collasso, ma possiamo dire che la nostra missione è risultata efficace». Ci sono stati corsi di formazione, la presa in esame di casi clinici, l’impegno nelle diagnosi e nella scelta delle terapie.

Covid, stop ingressi in Italia da Paesi a rischio fino al 14 luglio (Adnkronos 10.07.20)

A seguito dell’ordinanza di ieri del Ministro della Salute emanata al fine di contenere la diffusione del Covid-19 in Italia, l’Enac, Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, ha informato, nella serata di ieri, 9 luglio, tutte le compagnie aeree italiane e le compagnie straniere operanti in Italia in merito ai contenuti della predetta ordinanza disponendone l’immediata applicazione. Lo comunica l’Enac. Di conseguenza nessun passeggero proveniente direttamente o indirettamente dai Paesi sotto elencati potrà entrare in Italia fino al 14 luglio prossimo: Armenia, Barhein, Bangladesh, Brasile, Bosnia Erzegovina, Cile, Kuwait, Macedonia del nord, Moldova, Oman, Panama, Perù, Repubblica Domenicana. Tale restrizione si applica anche alle persone che negli ultimi quattordici giorni hanno soggiornato o sono transitate nei predetti Paesi.

A prescindere dai Paesi sopra richiamati, l’ingresso in Italia dall’estero è condizionato al rilascio di una dichiarazione al vettore o ai soggetti delegati ai controlli di non aver soggiornato o di non essere transitati in uno dei Paesi presenti nell’elenco, negli ultimi quattordici giorni antecedenti. L’ordinanza sarà in vigore fino al 14 luglio prossimo. L’Enac ha disposto che le compagnie interessate informino i passeggeri delle nuove disposizioni i quali saranno rimpatriati a spese dei vettori che li dovessero accettare a bordo.

Armenia, 45 squalifiche a vita e campionato di Serie B annullato: le partite erano tutte truccate! (derbyderbyderby.it 05.07.20)

La Federazione di calcio armena (FFA) ha sospeso il proprio campionato di Seconda divisione, la nostra Serie B, con effetto immediato, squalificando cinque squadre dopo aver ricevuto “prove innegabili” del loro coinvolgimento in partite truccate. Circa 45 persone, tra cui i proprietari di club, i giocatori e gli allenatori, sono state squalificate a vita e altre 13 sono state bandite per diversi periodi per essere state coinvolte nella manipolazione delle partite, ha reso noto la FFA. I media locali hanno riferito che i proprietari di club con passaporto russo, giocatori e allenatori russi, nonché calciatori ucraini, lettoni e bielorussi sono tra i coinvolti. La Lokomotiv Yerevan, a pari punti con i leader della seconda divisione FC Van, Aragats, Torpedo Yerevan e Masis, è stata squalificata dal campionato a seguito di risultati sospetti, tra cui un 12-0, ma anche altri risultati: 0-12, 1-8, 9-2, 0-7, 0 -8 e 8-2. Anche l’FC Yerevan, ritiratosi dalla Premier League 2019-2020 a febbraio a causa di problemi finanziari e tecnici, è stato squalificato per le partite truccate.

“Le decisioni sono state prese dopo che la FFA ha ricevuto prove innegabili da organizzazioni internazionali e forze dell’ordine”, ha dichiarato il presidente della FFA Armen Melikbekyan in una nota. “Le prove che abbiamo ricevuto dai nostri colleghi internazionali saranno trasferite alle forze dell’ordine armene”. Melikbekyan ha promesso una leadership federale trasparente dopo la sua vittoria elettorale a dicembre. Per anni ci sono state notizie di diffuse partite truccate e corruzione nel paese del Caucaso meridionale. “Il nostro obiettivo è sradicare la corruzione e il sistema di giochi fissi nel calcio armeno”, ha detto Melikbekyan.

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