Il Liceo Leopardi e l’Armenia rafforzano il gemellaggio: continua lo scambio culturale (Leccotoday 27.05.21)

Il legame tra il Liceo Leopardi di Lecco e l’Armenia si rinsalda grazie ad un bel progetto di gemellaggio, entrato nel vivo proprio in queste settimane. Da tempo la scuola di Rancio è attenta alla situazione armena, offrendo momenti di approfondimento e riflessione aperti a tutta la città, ed è stata quindi ben felice di aderire alla proposta di gemellaggio ricevuta dalla scuola di Vanadzor, danneggiata nel 1988 a seguito di un terremoto.

Gemellaggio Armenia5-2

Durante il primo incontro online del progetto, gli studenti del Liceo Leopardi hanno presentato figure di eccellenza della storia italiana, da Leonardo da Vinci a Samantha Cristoforetti, e i ragazzi armeni hanno fatto altrettanto con la loro storia. Il rapporto a distanza sta proseguendo ora in versione “pen pal 2.0”: i ragazzi continuano a conoscersi e a far scoprire i propri luoghi scambiandosi, al posto delle classiche lettere, dei video realizzati da loro. Questo gemellaggio fa parte di un progetto nato nel 2018 e che ha coinvolto alcuni Istituti Comprensivi della provincia in una corrispondenza per e-mail, in lingua inglese, con alcune scuole del primo ciclo dell’Armenia, in concomitanza con un viaggio compiuto da tre gruppi lecchesi in Armenia.

Gemellaggio Armenia4-2

Il Liceo Leopardi ha così modo di proseguire un percorso di approfondimento delle tematiche legate alla situazione armena iniziato già lo scorso novembre, dal titolo “Armenia: la luce dal Pozzo Profondo”. In quell’occasione, avevano dialogato con gli studenti tre illustri ospiti: il prof. Aldo Ferrari, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia, la famosa scrittrice e saggista Antonia Arslan e la Presidente della Casa Armena di Milano, Marina Mavian.

OLTRE L’IMMAGINE: INCONTRO SULL’ARMENIA (Pugliaeccellente 26.05.21)

26.05.2021 – Nell’ambito del progetto culturale del Teatro delle Bambole, Oltre l’immagine, percorso di conoscenza, dialogo e scambio culturale tra differenti etnie, martedì 1 Giugno 2021 – ore 18.45, si parlerà dell’Armenia.

L’incontro si terrà presso il Pluriuso del quartiere Catino (Bari – Via Narcisi, 9) e sarà dedicato alla conoscenza dell’Armenia attraverso la testimonianza di alla presenza di Kegham J. Boloyan, professore di lingua e letteratura araba nonché di lingua e traduzione araba presso l’Università del Salento e Carlo Coppola, Presidente del Centro Studi “Hrand Nazariantz” e Segretario dell’Associazione Armeni Apulia.

L’incontro sarà moderato da Andrea Cramarossa e le letture saranno a cura di Kegham J. Boloyan e Federico Gobbi.

L’incontro è gratuito. I posti disponibili sono limitati: la prenotazione è obbligatoria.

Dopo la pausa obbligata, ha ripreso il suo cammino il percorso culturale e artistico denominato “OLTRE L’IMMAGINE – Nel mondo dell’altro: è anche il mio” sotto la Direzione artistica di Andrea Cramarossa. Il progetto si inserisce nella programmazione di eventi della Rete Civica Urbana di Santo Spirito, Catino, San Pio e Torricella del Comune di Bari.

Per informazioni e prenotazioni: Cell. 347 3003359 – info@teatrodellebambole.it

Il Progetto “OLTRE L’IMMAGINE – Nel mondo dell’altro: è anche il mio” ha come valori intrinseci la libertà e lo sviluppo sostenibile e solidale della persona e delle comunità, per un auspicabile granire di società emancipatesi dal pregiudizio e in stretta e costante relazione coi virtuosi processi di conoscenza della memoria extra temporale, per ritrovare la radice unica di una genealogia multiforme.

Per il rispetto delle disposizioni sanitarie per il contenimento del COVID19, l’incontro si svolge all’aperto dove è garantito il distanziamento.

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OLTRE L’IMMAGINE
Letteratura | Cinema | Fotografia | Teatro | Performance
Direzione artistica: Andrea Cramarossa
Coordinamento: Federico Gobbi
Teatro delle Bambole

http://www.teatrodellebambole.it

PLURIUSO

Via Narcisi, 9
BARI, quartiere CatinoPer informazioni:

Federico Gobbi

Cell.: 347 3003359 – info@teatrodellebambole.it

Comunicazione RCU – Santo Spirito, Catino, San Pio e Torricella

Daniele Di Cell.: 320 3274086 – daniele.difronzo@ngm.it

Il business italiano in Nagorno-Karabakh, in nome della riconciliazione (Comedonchisciotte 26.05.21)

Di Marco Santopadre, pagineesteri.it

Il 9 novembre 2020, Armenia e Azerbaigian hanno firmato il cessate il fuoco, mediato dalla Russia, al termine di un cruento conflitto iniziato il 27 settembre per il controllo dell’Artsakh, territorio dichiaratosi indipendente alla fine degli anni ’80 in una regione azera (il Nagorno-Karabakh) abitata prevalentemente da armeni. Il primo conflitto, dal 1991 al 1994, si era concluso con una netta vittoria degli armeni, che non solo avevano mantenuto il controllo dell’Artsakh, ma avevano strappato a Baku sette province adiacenti.

Dopo aver preparato per anni la rivincita, sostenuta da Turchia e Israele ed essendosi assicurata la tolleranza di Mosca – che pure appoggia storicamente l’Armenia, sul cui territorio possiede basi e installazioni militari – il 27 settembre 2020 Baku ha lanciato un massiccio attacco riuscendo rapidamente a riconquistare la maggior parte dei territori perduti 26 anni prima. Solo l’intervento russo ha evitato la scomparsa della Repubblica dell’Artsakh, ridotta però ad una piccola enclave attorno alla capitale Stepanakert completamente circondata da territorio azero. A garantire il collegamento con l’Armenia solo lo stretto corridoio di Lachin, protetto da Mosca che ha ottenuto di poter schierare sul terreno 2000 militari per almeno cinque anni, incaricati di monitorare il rispetto della tregua. In cambio Erevan si è impegnata a garantire all’Azerbaigian i collegamenti con la Repubblica Autonoma del Nakhchivan, exclave di Baku ad ovest dell’Armenia. 

Il premier armeno dimissionario, Nikol Pashinyan

Il premier armeno Nikol Pashinyan e la leadership dell’Artsakh hanno giustificato l’intesa come obbligata, per evitare la disfatta totale. Ma le opposizioni e una parte dell’esercito hanno accusato il governo di aver capitolato, regalando a Baku anche territori che le truppe azere – sostenute dai mercenari e dai militari inviati da Ankara – non avevano conquistato. Numerose manifestazioni hanno reclamato la dimissioni di Pashinyan mentre in un documento il capo di Stato Maggiore, Onik Gasparyan e vari comandanti dell’esercito definivano il premier “incapace di prendere decisioni adeguate”. Pashinyan ha gridato al golpe ma poi, il 25 aprile, ha deciso di dimettersi permettendo così la convocazione di elezioni anticipate.

L’Armenia è in preda a una crisi senza precedenti, stretta tra la difficoltà economiche, l’instabilità politica e le conseguenze della pandemia. Centinaia di migliaia di profughi provenienti dai territori riconquistati da Baku e più di 150 militari e civili ancora prigionieri dell’Azerbaigian tengono aperta una ferita che difficilmente potrà essere rimarginata. 
Se Baku ha rafforzato la sua indipendenza da Mosca, la sopravvivenza dell’Armenia sembra dipendere sempre più dal sostegno russo, che rischia di diventare dipendenza. Lo stesso Pashinyan, salito al potere nel 2018 a capo di una coalizione filoccidentale e anti russa, si è dovuto piegare all’aumento della presenza militare di Mosca nel paese; a inizio maggio il premier dimissionario ha annunciato la realizzazione di due nuovi siti militari russi nella regione di Syunik al confine con l’Azerbaigian, “come ulteriore garanzia di sicurezza”. 

Intanto la popolazione armena è atterrita dalla sconfitta e dall’isolamento internazionale: Erevan ha ben poco da offrire rispetto ai propri minacciosi vicini. 


Entusiasmo azero

Se Erevan è ancora sotto shock, a Baku si respira un’atmosfera di entusiasmo. La schiacciante vittoria dell’autunno ha certificato l’ingresso della Repubblica ex sovietica nel novero delle potenze regionali, con gli arsenali pieni e crescenti relazioni internazionali oliate dalle massicce forniture di idrocarburi. 
Il legame con la Turchia, artefice principale del successo azero contro l’Armenia, è ormai fortissimo. In ben due occasioni Aliyev si è vantato che il rapporto di “amicizia e fratellanza” con Ankara è “al massimo livello”. «La seconda guerra del Nagorno-Karabakh ha dimostrato ancora una volta al mondo intero che la Turchia e l’Azerbaigian sono insieme» e che «hanno ampliato le loro capacità nella regione» ha detto Aliyev, aggiungendo che «il nostro ruolo e la nostra influenza sono aumentati e continueranno a crescere». 
Erdogan ha celebrato la vittoria partecipando ad una trionfale parata organizzata da Aliyev a Baku che ha visto sfilare le armi di ultima generazione e le truppe speciali inviate da Ankara per sbaragliare gli armeni. Il 12 aprile, poi, il presidente azero – al potere dal 2003, dopo altri 10 anni di “regno” del padre Heydar – ha inaugurato il “Parco della Vittoria” nel quale, a infierire sugli sconfitti, sono esposti gli elmetti appartenenti ai soldati armeni caduti negli scontri e dei manichini che ne riproducono le spoglie in pose ridicole, se non bastasse l’enorme scritta “il Karabakh è Azerbaigian” composta dalle targhe di 2000 veicoli militari catturati al nemico.
Baku si gode il momento d’oro. Nonostante il crollo del prezzo del petrolio, nel 2020, causato dalla pandemia, il paese ha incassato il varo del Tap, che trasporta in Europa ogni anno dieci miliardi di metri cubi di gas estratto nel Mar Caspio (che ospita il 20% delle riserve mondiali) mentre le aziende straniere fanno la fila per aggiudicarsi appalti e investimenti.

Il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev

Mentre l’Armenia può aspirare ad un unico progetto infrastrutturale degno di nota – la linea ferroviaria Erevan-Mosca – deciso durante il vertice tenutosi a Mosca tra Putin, Aliyev e Pashinyan l’11 gennaio, l’elenco degli interventi previsti in Azerbaigian è assai corposo.
Aliyev vuole trasformare l’Azerbaigian in un crocevia delle vie di comunicazione e dei corridoi commerciali e in uno snodo geopolitico.
Il 15 febbraio, inaugurando i lavori per il collegamento ferroviario tra Horadiz e Agbend nel distretto riconquistato di Fizuli, il presidente azero ha dichiarato che «i progetti di trasporto nella regione dovrebbero svolgere un ruolo speciale nello sviluppo a lungo termine della stessa, garantendo stabilità, riducendo a zero il rischio di guerra e facendo in modo che tutti i Paesi partecipanti ne traggano vantaggio». Dopodiché ha elencato alcuni dei progetti più ambiziosi: il collegamento tra il Nakhchivan e la Turchia, che apre ad Ankara la via dell’Asia Centrale; la tratta ferroviaria tra Russia e Iran sempre attraverso l’exclave; il corridoio ferroviario tra Iran e Armenia e quello tra Turchia e Russia. 
Nel frattempo il paese si è già trasformato in un enorme cantiere a cielo aperto, tra la realizzazione di nuovi pozzi per l’estrazione del gas, la modernizzazione delle raffinerie di petrolio e la creazione di nuove centrali solari e idroelettriche.

Soldati azeri

Trasformare il Nagorno-Karabakh in un “paradiso degli investimenti”

Il regime, in particolare, ha deciso di investire ingenti risorse nella ricostruzione dei territori riconquistati, trasformandola in un’occasione per attirare ulteriori investimenti internazionali e dare lustro al paese. Allo scopo Aliyev ha istituito un ingente “Fondo per la rinascita del Nagorno-Karabakh”.
«Di recente ho detto che creeremo un paradiso nella regione del Karabakh, e mantengo la mia parola» ha dichiarato Aliyev nel corso di una riunione governativa; il suo obiettivo è ripopolare rapidamente i distretti rioccupati, trasformandoli in una meta turistica internazionale. Nuove strade sono previste nei distretti di Lachin e Fizuli e particolare attenzione verrà accordata, nella ricostruzione, alla città di Shusha – la ex “Parigi del Caucaso” – che Baku intende riportare “all’antico splendore” ed ha appena dichiarato capitale culturale dell’Azerbaigian.

Alla fine di aprile il presidente, accompagnato da moglie e figlia, ha visitato il distretto di Zangilan per inaugurare una serie di cantieri, in primo luogo quello del nuovo aeroporto internazionale la cui pista dovrebbe essere lunga tre chilometri, permettendo così decollo e atterraggio a grandi aerei da carico. Altri due aeroporti sono previsti a Fizuli e Lachin, mentre Aliyev ha posato la prima pietra dell’autostrada Zangilan-Horadiz, lunga 124 km e larga sei corsie. 


Grandi opportunità per i “paesi amici”

Baku ha deciso di selezionare attentamente i paesi e le aziende che potranno collaborare alla ricostruzione del Nagorno-Karabakh, privilegiando ovviamente la Turchia – alla quale è stata affidata la realizzazione di un parco tecnologico – e i paesi del “Consiglio di cooperazione dei Paesi turcofoni” (o Consiglio Turco). 

Ma tra i paesi che Aliyev considera amici e che quindi meritano una corsia preferenziale figura, oltre alla Cina e a Israele, anche l’ItaliaDopo il conflitto i rappresentanti italiani sono stati i primi occidentali a visitare Baku e i distretti strappati agli armeni, prima con una delegazione parlamentare e poi con una governativa. 

Le imprese francesi, invece – Parigi ha, seppur debolmente, sostenuto Erevan durante la “guerra dei 44 giorni” – hanno dovuto fare non poca anticamera e per ora si sono aggiudicate le briciole. L’Italia, invece, è ormai da anni un partner strategico dell’Azerbaigian e l’atteggiamento “equidistante” dei governi italiani in merito alla contesa con l’Armenia ha rafforzato il legame col regime di Baku. Il ministro azero degli Esteri, Ceyhun Bayramov, ha esplicitamente lodato le posizioni assunte dal governo italiano e in particolare il contenuto di una risoluzione adottata il 2 marzo dalla Commissione Affari Esteri della Camera in quanto mostrerebbe “un atteggiamento equilibrato” utile a permettere la riconciliazione tra i due contendenti.

Ormai dal 2013 l’Azerbaigian è il primo fornitore di petrolio dell’Italia insieme all’Iraq, con importazioni medie annuali per circa 5,5 miliardi di euro. L’inaugurazione del Tap lo scorso 31 dicembre ha poi permesso all’Italia di diventare un vero e proprio hub europeo del gas azero, che esporta attualmente in Francia e Svizzera. 
L’Italia è anche il primo partner commerciale del paese centroasiatico; dal 2016 al 2020 le importazioni sono più che raddoppiate arrivando a 6 miliardi annuali. Secondo il Ministero degli Esteri sono ben 3000 le imprese nostrane operative sul suolo azero, comprese l’Eni e l’Unicredit, per un investimento totale di circa 600 milioni di dollari. 

Il 3 febbraio l’italiana Maire Tecnimont, già coinvolta in progetti sul suolo azero per un valore complessivo di 1,6 miliardi di euro, ha vinto due importanti contratti con la Heydar Aliyev Oil Refinery (controllata della compagnia petrolifera statale azera Socar) per un valore di 160 milioni di dollari. L’azienda dovrà ricostruire l’unico impianto per la raffinazione del greggio presente a Baku, città nella quale proseguono i lavori per la realizzazione dell’Università Italiana, che gli imprenditori e i politici nostrani sperano possa presto sfornare futuri dirigenti interessati a moltiplicare le occasioni di business per Roma.

In occasione di un Business Forum tra le delegazioni dei due paesi – con la partecipazione del presidente azero e del direttore generale di Confindustria Marcella Panucci – organizzato alla Farnesina nel febbraio 2020, Ilham Aliyev aveva già definito l’Italia «un partner strategico in Europa, il partner numero uno». Davanti ad una platea composta dai rappresentanti di 90 enti, aziende e associazioni azere e di 170 imprese italiane, Aliyev aveva rilanciato la collaborazione nei settori dei trasporti, dell’agro-alimentare, dell’energia, del turismo, delle reti idriche. Il nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, era andato oltre, definendo l’Italia «un ponte nel Mediterraneo così come l’Azerbaigian è un ponte tra Europa e Asia. Siamo paesi amici accomunati da scambi basati sul dialogo tra culture, religioni, lingue ed etnie».

Il Ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio

La torta del Nagorno-Karabakh

Ovviamente la decisione da parte del regime azero di convogliare importanti risorse sulla ricostruzione, il ripopolamento e la modernizzazione delle province recuperate dopo 30 anni di controllo armeno ha aumentato le opportunità a disposizione delle imprese italiane.
A seguito della missione realizzata nel dicembre scorso in Azerbaigian, il 21 aprile il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano ha inaugurato una “web mission”, con la partecipazione del ministro dell’Energia azero Parviz Shahbazov. nel settore della pianificazione urbana allo scopo di far incontrare imprenditori italiani e committenti azeri; allo scopo gli esecutivi dei due paesi hanno costituito una commissione economica intergovernativa bilaterale, presieduta proprio da Di Stefano e Shahbazov. 
Già il 26 aprile è stato presentato in Azerbaigian un progetto di ricostruzione nel quale alcune aziende italiane svolgeranno un ruolo importante. Durante la sua visita nei distretti di Jabrayil e Zangilan, Aliyev ha infatti annunciato la costruzione a breve dei primi “smart village” (villaggi intelligenti), che verranno realizzati da imprese turche, israeliane, cinesi e appunto italiane. Il progetto pilota riguarda la realizzazione di tre “smart village” ad Aghali, con l’edificazione di 200 edifici residenziali più alcuni di servizio – scuole, ambulatori, ecc – da costruire con materiale isolante, dotati di reti di comunicazione di ultima generazione e in possesso di sistemi di riscaldamento all’avanguardia, con una particolare attenzione a sostituire i combustibili fossili con tecnologie basate sulle energie rinnovabili e a basso impatto ambientale. Annessi agli “smart village” sono stati lanciati anche dei progetti di cosiddetta “agricoltura intelligente” e la realizzazione di infrastrutture di tipo turistico. 

Della digitalizzazione verrà incaricata la filiale locale del gigante cinese Huawei, mentre una ditta italiana si occuperà di dotare un caseificio, realizzato da una impresa israeliana, della tecnologia e delle competenze necessarie alla produzione di mozzarella e burrata con latte di bufala. L’Azerbaigian, già quarto esportatore di formaggi a livello mondiale, vuole incrementare e differenziare la produzione casearia.

Ansaldo Energia, invece, ha vinto l’appalto per la costruzione di quattro sottostazioni elettriche insieme all’azienda locale Azerenerji, e si è già aperto il capitolo del restauro del patrimonio archeologico ed artistico, anche in questo caso con varie imprese e istituzioni culturali italiane in prima fila. 
«L’Azerbaigian si aspetta una grande partecipazione delle aziende italiane» ha affermato in un’intervista all’Agenzia Nova l’assistente del primo vice presidente azero Elchin Amirbayov nel corso di una visita a Roma.

«Dopo la guerra dei 44 giorni (…) l’Azerbaigian ha ripristinato la sua integrità territoriale» ha detto Amirbayov parlando del ripristino della “giustizia storica” in linea con il diritto internazionale e con le quattro risoluzioni del Consiglio di sicurezza Onu del 1993 «che chiedono il completo, immediato e incondizionato ritiro delle forze dell’Armenia dal territorio azerbaigiano».
Per Amirbayov – che ovviamente ha taciuto sulla distruzione del patrimonio storico e religioso armeno attualmente in corso nei territori rioccupati – l’Italia può dare un grande contributo alla ricostruzione di un territorio di circa 10 mila km quadrati in cui intere città, paesi ed edifici storici sono stati distrutti o gravemente danneggiati. «Si tratta di una sfida importante per cui abbiamo bisogno di partner, e l’Italia è certamente tra questi» ha sottolineato il dirigente azero.

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Armenia: turbolenze regionali e fermenti politici (Treccani 26.05.21)

A circa sei mesi dalla disfatta militare consumatasi tra le montagne del Karabakh nel conflitto con l’Azerbaigian, il 23 ed il 24 aprile scorsi si sono svolte in Armenia le commemorazioni del Metz Yerghen, il genocidio perpetrato contro gli Armeni nel 1915-16, in un Impero ottomano prossimo allo sgretolamento. Centinaia di migliaia di persone hanno partecipato alle cerimonie svoltesi nella capitale Erevan, nel corso delle quali l’opposizione non ha mancato di tuonare contro il primo ministro Nikol Pashinyan, accusandolo di essere un traditore.

In Armenia, la sconfitta nella guerra dei 44 giorni dello scorso autunno ha esasperato equilibri politici e sociali già tesi: ad essere contestato da larghi settori della società è proprio il primo ministro Nikol Pashinyan, considerato promotore di una politica debole nei confronti della Turchia, della recente sconfitta militare con l’Azerbaigian e dei problemi economici del Paese. Il bilancio approssimativo delle sei settimane di combattimenti è di almeno 5.000 morti, a cui si sommano migliaia di feriti, invalidi e almeno 100.000 rifugiati che hanno abbandonato le proprie case.  Secondo altre stime le vittime di combattimenti dello scorso autunno potrebbero essere addirittura 10.000.

L’intervento russo, avvenuto con il dislocamento di una forza d’interposizione di circa 2.000 uomini nei territori contesi tra Armenia ed Azerbaigian ha scongiurato per Erevan una sconfitta ben peggiore, rinnovando il ruolo di Mosca nel Caucaso meridionale. Nelle settimane che hanno seguito il cessate il fuoco mediato da Mosca, decine di migliaia di manifestati hanno protestato per le strade di Erevan pretendendo le dimissioni del primo ministro, arrivate soltanto a distanza di mesi.

Il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov si è recato in visita in Armenia il 5 ed il 6 maggio, con un tempismo tutt’altro che casuale: a pochi giorni dal 24 aprile, data in cui gli Armeni commemorano il genocidio del 1915-16, a ridosso del 9 maggio, giorno in cui in Russia si celebra ‒ come nella tradizione sovietica – la vittoria sul nazifascismo avvenuta nel 1945, e a poche settimane dalle elezioni politiche previste a giugno.

Nella cornice della visita, i ministri degli Esteri russo e armeno hanno reso omaggio alle vittime del genocidio ed ai caduti della Grande guerra patriottica – definizione con cui in Russia si ricorda la Seconda guerra mondiale ‒ visitando i due memoriali presenti nella capitale armena Erevan.

Un fatto certamente simbolico, ma nient’affatto formale: tanto meno a pochi giorni dall’annuncio con cui il presidente statunitense Joe Biden ha ufficializzato il riconoscimento statunitense del genocidio armeno: una scelta che si inserisce nel quadro delle forti tensioni tra Mosca e Washington emerse nelle ultime settimane. Benché larghi settori della società armena abbiano accolto questa notizia senza particolari entusiasmi, la mossa di Washington vorrebbe evidentemente essere d’aiuto al primo ministro Nikol Pashinyan in vista dell’imminente competizione elettorale.

Nonostante ciò, una nuova affermazione elettorale di Nikol Pashinyan appare piuttosto remota.

Oltreoceano la volontà di riconoscere ufficialmente il genocidio armeno era già emersa due anni fa con il voto del Congresso statunitense, orientato in modo significativo dalle pressioni della comunità armena degli Stati Uniti: il tempismo scelto dalla Casa Bianca per ufficializzare la decisione si spiega con l’intento statunitense di avvicinare alla propria orbita l’Armenia, a dispetto del suo rapporto strategico con Mosca.

Il cordone ombelicale con la Federazione Russa è infatti uno degli elementi che, nell’ambito dell’Unione euroasiatica, permette alla precaria economia armena di reggersi. A questo si aggiunge il ruolo che Mosca svolge nel fornire assistenza militare all’Armenia e nel presidiarne le delicate frontiere terrestri, oltre alla presenza militare di Mosca in territorio armeno (base di Gyumri e aeroporto militare di Erebuni).

Molti i temi al centro dei colloqui tra Sergej Lavrov, l’omologo armeno Ara Aivazian ed il primo ministro Nikol Pashinyan, come l’implementazione dell’accordo sul cessate il fuoco nei territori contesi del Nagorno-Karabakh, i progetti infrastrutturali di collegamento ferroviario tra Armenia e Federazione Russa, gli investimenti russi in Armenia, le attività di sostegno umanitario.

Rimarcando l’importanza del partenariato strategico tra Mosca ed Erevan, Sergej Lavrov ha auspicato che «armeni ed azeri possano riuscire a convivere pacificamente, come è stato a lungo possibile nel passato». Tuttavia, il ruolo di Ankara e Baku continua ad essere percepito come una minaccia da larghi settori della società armena, nel solco della memoria del genocidio, della conflittualità emersa con l’Azerbaigian durante e dopo il collasso sovietico e del panturchismo promosso da alcune forze politiche turche: una conflittualità che ha esasperato le identità nazionali distinte, alimentando le turbolenze del Caucaso.

Una tendenza, quella all’esasperazione identitaria, che compromette le possibilità di un equilibrio pacifico e duraturo per la regione, favorendo i tentativi di destabilizzazione e facendone apparire il futuro prossimo quantomai incerto.

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Armenia, epilogo della crisi politica e nuove elezioni (Osservatorio Balcani e Caucaso 26.05.21)

L’Armenia andrà ad elezioni anticipate il prossimo 20 giugno. E’ così che dovrebbe risolversi la grave crisi politica apertasi dopo la sconfitta militare subita nella guerra per il Nagorno Karabakh

26/05/2021 –  Marilisa Lorusso

Con la firma della dichiarazione congiunta del 10 novembre 2020 che ha messo fine ai combattimenti in Nagorno Karabakh sancendo la disfatta armena si è aperta, nel paese, una grave crisi politica. Anche se la questione del Karabakh è rimasta irrisolta per 30 anni, così come la situazione in cui versava l’esercito armeno era frutto di decenni di governo, il peso della disfatta è ricaduto sul governo in carica, non scevro peraltro di responsabilità nell’inasprimento dei rapporti con Baku.

La crisi è stato uno dei fattori che maggiormente ha destabilizzato il periodo post bellico: manifestazioni pro e contro il governo si sono tenute per settimane, con una polarizzazione nazionale che in alcuni momenti ha rischiato di diventare violenta. Alla questione – enorme, colossale – della sconfitta in guerra – e dello stravolgimento dello status quo cui si era abituati quasi fosse ormai intangibile dal 1994 – si sono aggiunte ulteriori spaccature interne, come la tensione fra Pashinyan e lo Stato Maggiore dell’esercito.

Nonostante gli sforzi di un cartello di partiti di opposizione per farlo cadere, il primo ministro Nikol Pashinyan ha continuato a godere di un supporto sufficiente a rendere impossibile la sua abdicazione per pressione della piazza. Lui stesso ha sempre dichiarato di essere al potere per legittima volontà popolare e che avrebbe mantenuto la responsabilità di governo fino a che non fosse stata la medesima a deporlo.

La fine della settima legislatura

Le elezioni in Armenia si sarebbero dovute tenere nel 2023, ma in questi sei mesi è risultato evidente che dopo la guerra e tutti i bilanci negativi emersi dall’analisi delle cause della sconfitta sarebbe stata  necessaria una nuova legittimazione per chi governa. Le elezioni non sono come referendum sulle colpe del governo in carica, ma anche base per rinsaldare il rapporto fra governo e cittadini, e per consegnare a chi governerà un auspicabile e solido mandato per gestire la crisi post-bellica.

È stato quindi concordato fra maggioranza, opposizione parlamentare ed extra parlamentare un iter istituzionale che portasse al voto. Data fissata per le urne: 20 giugno 2021.

Fra un mese circa quindi in Armenia si terranno le elezioni politiche anticipate.

Dopo che le parti in causa hanno negoziato duramente il percorso di uscita dalla crisi, si sono attivati i meccanismi affinché tutto procedesse come concordato. Il 25 aprile Pashinyan ha rassegnato le dimissioni, innescando una crisi di governo. Secondo la Costituzione, l’Assemblea Nazionale per sciogliersi non sarebbe dovuta essere in grado di eleggere un nuovo primo ministro per due volte. Così è stato: il 3 e il 10 maggio Pashinyan si è candidato ma – come d’accordo – non è stato eletto,  e 40 giorni dopo, come previsto dalla legge, poteva essere tenuta una tornata elettorale anticipata. Questi due passaggi, che erano per lo più formali, sono diventati occasione per un confronto sulle questioni più critiche affrontate dal governo Pashinyan: la guerra, le relazioni con la Turchia, le varie ipotesi complottiste – come accordi segreti, alti tradimenti – che attraversano la società armena, ancora traumatizzata dalla guerra e alle prese con l’emergenza umanitaria e di sicurezza che ne è seguita.

Il 10 maggio scorso ha quindi avuto fine la settima legislatura, nata dalle speranze della rivoluzione di velluto e travolta dalla pandemia, dalla guerra e dai suoi postumi, da un rialzo spaventoso dei prezzi dei beni di prima necessità per una combinazione della crisi pandemica mondiale e di fattori climatici, dalle fluttuazioni monetarie. Nell’ultimo anno in Armenia si sta registrando un aumento dei prezzi di quasi il 9%  . I prezzi di zucchero e oli vegetali sono al rialzo su scala globale e un paese importatore come l’Armenia non può che risentirne. Inoltre il paese ha una valuta debole che si sta deprezzando rispetto al dollaro, per cui negli scambi internazionali paga anche il costo del proprio deprezzamento.

La crisi di Syunik e il voto

Le scadenze per arrivare al voto sono ormai prossime: entro oggi 26 maggio si devono registrare i partiti candidati alle elezioni. La campagna elettorale durerà dal 7 al 18 giugno. Si voterà con un sistema proporzionale puro, con sbarramento al 5% per i partiti, 7% per le coalizioni. Tutto sotto la spada di Damocle della recente crisi di Syunik, legata ad un recente sconfinamento dell’esercito dell’Azerbajian in territorio armeno.

Pashinyan ha allo stato attuale un buon margine nei sondaggi. La campagna elettorale è già di fatto in corso, e oltre al peso della gestione della pandemia, della guerra, della crisi economica il governo uscente è sotto la lente scrutatrice di un elettorato – nei sondaggi si parla di un 40% di indecisi – che valuta anche la gestione della crisi di Syunik. Qualora la crisi dovesse acutizzarsi, per altro, il governo potrebbe decidere, o trovarsi costretto, a reintrodurre la legge marziale e lo stato di emergenza, il che comporterebbe una sospensione delle elezioni fino alla fine dell’emergenza medesimi.

Intanto l’opposizione non è più unita. A rimescolare le carte delle candidature di rilievo è ri-disceso in campo Robert Kocharyan. Il secondo presidente armeno, originario del Karabakh, ha guidato il paese dal 1998 al 2008. Un processo a suo carico per la repressione della manifestazione post-elettorale del 2008 che era costata 10 morti e 130 feriti è finito nel 2020, quando la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’articolo del Codice Penale per il quale Kocharyan era incriminato. La sua candidatura è sostenuta dalla Federazione Rivoluzionaria Armena (FRA), partito storico, ben radicato nella diaspora e che lui stesso aveva riammesso nell’agone politico durante in suo primo mandato dopo che il predecessore Ter Petrosyan lo aveva dichiarato fuori legge.

Oltre alla FRA la candidatura di Kocharyan è sostenuta dal partito Armenia Rinata, il cui segretario è l’ex governatore di Syunik e proprio su questa provincia Kocharyan si è espresso nel discorso  della propria discesa in campo: “Syunik oggi è l’epicentro delle minacce per l’Armenia. Dipende da Syunik se l’Armenia rimarrà un attore regionale o null’altro che un corridoio. Sono minacce serie. Credo che Syunik oggi sia il simbolo della nostra battaglia”.

La crisi di Syunik oltre a una minaccia alla sicurezza è anche una mina vagante nel voto armeno.

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Aiuti umanitari: nuovi stanziamenti verso Africa centrale e Nagorno-Karabakh (Apiceuropa 25.05.21)

Anche questa settimana l’Unione europea non ha fatto mancare il proprio contributo alle iniziative umanitarie in corso nelle diverse aree di crisi nel mondo.

Un pacchetto di aiuti da 210 milioni di Euro è stato approvato a beneficio dei Paesi dell’Africa Centrale e del Sahel. I fondi finanzieranno progetti di assistenza rivolti alle comunità maggiormente colpite dai conflitti e dalle migrazioni forzate, fornendo generi alimentari, assistenza sanitaria e istruzione di base.

I fondi verranno così ripartiti: alla Nigeria andranno 37 milioni di Euro, al Chad 35.5 milioni, al Niger 32.3 milioni, al Mali 31.9 milioni, al Burkina Faso 24.3 milioni, alla Repubblica Centrafricana 21.5 milioni, al Camerun 17.5 milioni e alla Mauritania 10 milioni.

Un altro pacchetto di aiuti dal valore di 10 milioni di Euro sarà invece destinato alla popolazione del Nagorno-Karabakh, al centro del conflitto che ha visto contrapporsi nei mesi scorsi Armenia e Azerbaijan.

Anche in questo caso, gli aiuti finanzieranno programmi di assistenza di base a beneficio delle comunità maggiormente colpite dalla guerra.

Con quest’ultimo stanziamento, il totale degli aiuti erogati a civili della regione dall’inizio del conflitto sale a 17 milioni di Euro.

Per approfondire: gli aiuti verso il Sahel e l’Africa centralegli aiuti nel Nagorno-Karabakh

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Scomparso il patriarca Gregorio Pietro XX, guida della Chiesa Armeno cattolica (Vaticannews 25.05.21)

E’ deceduto questa mattina a Beirut, in Libano, sua beatitudine Gregorio Pietro XX Ghabroyan, patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici, 86 anni, malato da più di cinque mesi. Gregorio Pierre XX era stato eletto alla guida della Chiesa Armeno cattolica il 25 luglio del 2015, dopo la scomparsa del patriarca Nerses Bedros XIX. Le sue esequie saranno celebrate sabato 29 maggio.

Nato ad Aleppo, in Siria, e studi anche alla Gregoriana

Nato ad Aleppo, in Siria, il 14 novembre 1934, il defunto patriarca aveva compiuto i suoi studi primari nel convento di Bzommar, che da 250 anni ospita la residenza del patriarca della Chiesa Armeno cattolica, e si trova a 36 km a nordest di Beirut. Si era poi trasferito a Roma al Pontificio Collegio Armeno, per concludere i suoi studi di filosofia e di teologia presso la Pontifica Università Gregoriana. Ordinato sacerdote il 28 marzo del 1959, Ghabroyan è stato nominato un anno dopo prefetto degli studi nel seminario di Bzommar, e poi rettore dell’Istituto Mesrobian in Libano dal 1962 al 1969, per poi essere scelto come rettore del Seminario di Bzommar fino al 1975.

Eparca degli Armeni Cattolici a Parigi dal 1976 al 2015

Nel 1976 è stato nominato dalla Santa Sede eparca degli Armeni Cattolici dell’eparchia di Saint-Croix de Paris. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 13 febbraio 1977 in Libano, dall’allora patriarca di Cilicia degli armeno cattolici, Hmaiag – Pietro XVII. A fine luglio del 2015, come detto, i padri sinodali della Chiesa armeno cattolica lo hanno eletto ventesimo patriarca di Cilicia degli armeno cattolici.  La cerimonia di intronizzazione si è svolta il 9 agosto dello stesso anno nel Convento patriarcale di Bzommar, in Libano, dove dopo il funerale del 29 maggio Gregorio Pietro XX Ghabroyan sarà sepolto.

Il messaggio di Papa Francesco per la sua elezione

In occasione della sua elezione, Papa Francesco aveva inviato un messaggio di congratulazioni con il quale concedeva la “Ecclesiastica Communio”, richiesta dallo stesso Gregorio. “L’elezione di Sua Beatitudine avviene in un momento in cui la vostra Chiesa si confronta con diverse difficoltà e nuove sfide” aveva scritto il Papa, facendo riferimento alle difficili prove che sta vivendo una parte dei fedeli armeno cattolici del Medio Oriente. “Tuttavia – affermava – illuminata dalla luce della fede in Cristo risorto, la nostra visione del mondo è piena di speranza e di misericordia, perché siamo certi che la Croce di Gesù è l’albero che dà la vita”.

Gli incontri col Papa a Santa Marta e in Armenia

Poco più di due mesi dopo, il 7 settembre 2015, aveva concelebrato nella Messa del mattino di Papa Francesco a Casa Santa Marta. In quell’occasione Francesco aveva definito quello degli armeni, il primo genocidio del XX secolo”. Nel corso della visita del Pontefice in Armenia, il 25 giugno 2016 il patriarca Gregorio Pietro XX Ghabroyan aveva concelebrato nella Messa in Piazza Vartanants a Gyumri, e poi lo aveva accolto nella sua visita nella cattedrale dei Santi Martiri a Gyumri.

Una Chiesa per la diaspora armena nel mondo

La Chiesa Armeno cattolica è una Chiesa cattolica patriarcale “sui iuris”, nata nel 1742 dalla Chiesa nazionale armena. Fu riconosciuta da Papa Benedetto XIV. È presente in Libano, Iran, Iraq, Egitto, Siria, Turchia, Israele, Palestina ed in altre realtà della diaspora armena nel mondo. In minima parte è presente anche nella madrepatria armena. Il numero dei fedeli, nel 2010, era stimato in 585mila. Il patriarcato di Cilicia ha sede a Bzommar, ma la residenza del patriarca è a Beirut.

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E’ morto il Catholicos armeno-cattolico Krikor Bedros XX (Asianews 26.05.21)


ASIA/LIBANO – Addio a Krikor Bedros Ghabroyan, Patriarca degli armeni cattolici (Agenzia Fides 26.05.21)


La Chiesa cattolica armena in lutto: morto il Patriarca Krikor Bedros XX Ghabroyan (Acistampa 26.05.21)

RUSSIA. Mosca e Ankara hanno molti punti comuni, ma Erdogan non deve aiutare Kiev (Agcnews 25.05.21)

La Russia e la Turchia si impegnano in un intenso dialogo politico e hanno sviluppato una cooperazione reciprocamente vantaggiosa in vari settori, nonostante le esistenti «gravi differenze su una serie di questioni internazionali», ha detto il 24 maggio il ministro degli Esteri russo.

Commentando il sostegno della Turchia all’Ucraina e la sua posizione sul conflitto del Nagorno-Karabakh, Sergey Lavrov ha detto al settimanale russo Argumenty i Fakty, AiF che queste questioni non impediscono a Russia e Turchia di sviluppare relazioni bilaterali reciprocamente vantaggiose.

La Turchia ha acquistato i sistemi di difesa aerea S-400 dalla Russia nonostante «le gravi pressioni di Washington», e i paesi hanno anche contribuito a fermare la guerra in Siria e il conflitto dello scorso anno nel Nagorno-Karabakh, ha detto Lavrov, riporta Anadolu.

Tuttavia, «senza minimizzare le differenze esistenti», la Russia continuerà a «sviluppare la cooperazione con la Turchia guidata dalla visione strategica degli interessi comuni», ha aggiunto.

Non sono tutte rose, però. Le differenze cui ha fatto ceno Lavrov riguardano l’Ucraina. Il ministro degli Esteri russo ha avvertito la Turchia contro quelli che ha detto essere tentativi di alimentare il “sentimento militarista” in Ucraina dopo che Ankara si è mossa per aumentare la cooperazione con Kyiv, riporta Economic Times. Il presidente turco Tayyip Erdogan il mese scorso ha promesso sostegno a Kiev visto l’accumulo di forze russe lungo il confine con l’Ucraina.

Erdogan ha detto all’epoca che la Turchia, membro della Nato, e l’Ucraina avevano lanciato una piattaforma con i loro ministri degli Esteri e della Difesa per discutere la cooperazione nell’industria della difesa, ma ha aggiunto che questa non era «in alcun modo una mossa contro i paesi terzi». «Raccomandiamo vivamente ai nostri colleghi turchi di analizzare attentamente la situazione e di smettere di alimentare il sentimento militarista di Kiev», ha detto il ministro degli Esteri russo in un’intervista al giornale AiF.

Ha detto che incoraggiare le azioni ucraine “aggressive” verso la Crimea, annessa alla Russia equivale a uno sconfinamento nell’integrità territoriale della Russia: «Speriamo che Ankara aggiusti la sua linea sulla base delle nostre legittime preoccupazioni».

La Turchia, insieme al resto della NATO, ha criticato l’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014 e ha espresso sostegno all’integrità territoriale dell’Ucraina mentre le forze di Kiev combattono i separatisti filorussi nell’Ucraina orientale. Ankara ha anche venduto droni a Kiev nel 2019. Ma Ankara ha anche forgiato una stretta cooperazione con Mosca sui conflitti in Siria, Libia e Nagorno-Karabakh, nonché nei settori della difesa e dell’energia.

Antonio Albanese

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Armenia-Azerbaigian: ministero Difesa Erevan comunica morte di un soldato lungo zona di confine (Agenzianova 25.05.21)

Erevan, 25 mag 15:52 – (Agenzia Nova) – Il ministero della Difesa dell’Armenia ha comunicato oggi la morte di un soldato, colpito da un bombardamento effettuato dalle forze armate dell’Azerbaigian. “Intorno alle 14.20 del 25 maggio, è stato registrato un incidente con l’uso di armi da fuoco nella zona di confine vicino al villaggio di Verin Shorzha della regione di Gegharkunik. Il nemico ha sparato in direzione delle posizioni armene”, ha detto comunicato il dicastero di Erevan, che ha confermato la morte di un soldato. (Rum)

Armenia-Azerbaigian: ministero Esteri Erevan, prigionieri di guerra come ostaggi politici (Agenzia nova 25.05.21)

Erevan, 25 mag 09:29 – (Agenzia Nova) – L’Azerbaigian continua a utilizzare i prigionieri di guerra armeni come ostaggi politici. È quanto dichiarato dal ministero degli Esteri in un comunicato, in si cui condanna “fermamente l’azione penale ufficiale di Baku contro Lyudvik Mkrtchyan e Alyosha Khosrovyan, che sono stati catturati durante la recente aggressione dell’Azerbaigian contro l’Artsakh (così si definisce l’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh)”. “Secondo il diritto internazionale umanitario, in particolare le Convenzioni di Ginevra, questi ultimi sono considerati prigionieri di guerra e avrebbero dovuto essere immediatamente rilasciati dopo la fine delle ostilità”, sostiene il ministero, ma “nel frattempo, l’Azerbaigian ha intentato false cause penali contro di loro, violando così apertamente sia le norme del diritto internazionale umanitario, che i suoi obblighi secondo la dichiarazione trilaterale del nove novembre 2020”. Nonostante i numerosi appelli della comunità internazionale, “l’Azerbaigian continua a utilizzare i prigionieri di guerra armeni come ostaggi politici, e perpetua la politica di tortura e pressione psicologica su di loro”, si leg