Presentazione del libro “Futuro – passato ” (sulle relazioni tra Italia e Armenia), di Vincenzo del Monaco e Carlo Coppola (Radio Radicale 16.04.21)

  

Registrazione video del dibattito dal titolo “Presentazione del libro “Futuro – passato ” (sulle relazioni tra Italia e Armenia), di Vincenzo del Monaco e Carlo Coppola”, registrato a Roma venerdì 16 aprile 2021 alle ore 10:00.

Tra gli argomenti discussi: Libro.

La registrazione video di questo dibatto ha una durata di 47 minuti.

Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio

Roma, Mkhitaryan fuori forma: la gestione dell’armeno al fantacalcio (Calciodangolo 16.04.21)

Mkhitaryan è fuori forma, è irriconoscibile: la gestione dell’armeno nelle prossime partite di campionato al fantacalcio

Henrikh Mkhitaryan è un altro, non sembra lui. L’armeno ha molta difficoltà nel ritrovare la condizione fisica ottimale che tanto aveva fatto impazzire i tifosi e i fantallenatori. E’ vero, qualche scusante ce l’ha, torna da un infortunio che lo ha tenuto fuori dal rettangolo di gioco per quattro settimane, ma anche nella partita contro l’Ajax, il classe ’89 non è riuscito a incidere in alcun modo: nè nella gestione del possesso, nè nella fase offensiva, rendendolo di fatto un fantasma per tutti i minuti che ha giocato.

Il capitano dell’Armenia è stato costretto a uno stop per via di una lesione muscolare, che ha interessato il polpaccio destro, durante il match di andata di Europa League contro lo Shakhtar Donetsk. La Roma ha fatto a meno del suo titolare inamovibile in partite importanti come il ritorno contro lo Shakhtar, Napoli, Sassuolo e anche l’andata contro gli olandesi dell’Ajax, per poi ritrovare l’ex Manchester United nell’ultima gara di campionato contro il Bologna, in cui Fonseca gli ha riservato l’ultimo spezzone di partita.

Forma fisica e gestione al fantacalcio

C’è ottimismo in casa Roma per la condizione fisica dell’armeno, Fonseca crede ciecamente in lui, come si è dimostrato nel ritorno di Europa League contro gli olandesi, in cui il mister dei lupacchiotti lo ha schierato dal primo minuto proprio per dargli fiducia e fargli ritrovare il ritmo partita. Segnale importante per tutti i tifosi, ma anche per tutti i fantallenatori che contano ancora molto sulle prestazione del numero 77, magari per riuscire a portare a casa i tre punti fondamentali per la vittoria finale o quanto meno per classificarsi nelle prime posizioni. Resta il fatto che Henrikh non è ancora rientrato nella giusta atleticità in modo tale da essere d’aiuto alla formazione giallorossa, come riportato anche da Luca Marchegiani e Riccardo Gentile su Sky Sport. Come già detto, la Roma crede ciecamente nel giocatore, ma rimane da valutare la condizione fisica ancora precaria. La società si augura di recuperarlo al top entro una o due settimane. Difficilmente Fonseca lo vorrà rischiare nella prossima uscita contro il Torino, più probabile che parta titolare contro l’Atalanta. Proprio contro i granata ci sta la concreta possibilità che il mister lo terrà a disposizione per lo spezzone finale di partita, facendogli aumentare il minutaggio per farlo arrivare pronto alle semifinali di Europa League. Dunque bisogna fare attenzione alla gestione del giocatore al fantacalcio. Fino ad ora Mkhitaryan ha collezionato 26 presenze realizzando 9 gol e 8 assist per quello che è uno dei top centrocampisti della stagione, con una fantamedia pari a 7,63.

Mathilde Androuët: “Aiuti umanitari per l’Armenia”. (Sardegnagol 16.04.21)

Lo scorso mese di gennaio l’esponente del gruppo ID, Mathilde Androuët, ha chiesto alla Commissione europea di riferire sugli aiuti umanitari inviati all’Armenia durante il conflitto nel Nagorno-Karabakh e successivamente alla firma del cessate il fuoco con l’Azerbaigian, siglata nel mese di novembre dai leader dei due Paesi e della Federazione russa.

“La situazione è preoccupante – ricorda la Spyraki – E’ stata rilevata una distruzione diffusa delle infrastrutture nell’area oggetto del conflitto e circa il 70% della popolazione del Nagorno-Karabakh è fuggita, mentre 120.000 persone sono ancora sfollate”. Conflitto che, per l’esponente di Identità e Democrazia, ha registrato “una debole risposta dell’UE circa il coinvolgimento della Turchia inella guerra” e, ancora, il sacrificio degli armeni “che hanno già pagato un prezzo terribile a causa del Pan-Turkismo“.

LEGGI ANCHE:  Covid-19, Speranza: “Bene von der Leyen e Kyriakides su misure comuni”.

Sulla richiesta di aiuti umanitari all’Armenia, oggi, a nome della Commissione europea ha risposto Janez Lenarčič, il Commissario europeo per la cooperazione internazionale, gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi: ” A seguito dello scoppio delle ostilità nel Nagorno-Karabakh nelmese di settembre 2020, la Commissione ha fornito rapidamente un’assistenza umanitaria significativa per un importo di 6,9 milioni di euro a sostegno delle popolazioni colpite dal conflitto in Armenia, Azerbaigian e all’interno del Nagorno-Karabakh. L’Unione europea – ha aggiunto il Commissario Sloveno – è stata tra i principali donatori umanitari della crisi nel Caucaso. Come annunciato dal Commissario per il vicinato e l’allargamento Olivér Várhelyi, lo scorso dicembre 2020, la Commissione è pronta a contribuire con altri 10 milioni di euro a sostegno delle persone colpite dal conflitto”.

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Comabbio e l’Armenia più vicini con “Il paese racconta un Paese” (Varesenoi.it 16.04.21)

Un gruppo di cittadini, spronati e coordinati da Giusi Tunici, ha realizzato un grande focus sull’Armenia. Il prossimo appuntamento si terrà stasera alle 20.30 e sarà dedicato al tema “L’Armenia e gli armeni: una storia millenaria”

Comabbio e l'Armenia più vicini con "Il paese racconta un Paese"

A Comabbio, comune di 1.200 anime sull’omonimo lago, noto per lo più per essere stato il luogo d’elezione dall’artista Lucio Fontana, che qui aveva casa e studio artistico, hanno dato vita a un progetto culturale di grande portata.

Un gruppo di cittadini, spronati e coordinati da Giusi Tunici, ha realizzato un grande focus sull’Armenia, nazione che la coordinatrice del progetto “il paese racconta un Paese” ha visitato più volte e di cui si è innamorata. L’iniziativa è cominciata a marzo, con la prima conferenza on-line “Armenia: l’altopiano delle sorprese” ed è continuata ogni venerdì sera, con protagonisti di primo piano, tra cui il professor Marco Ruffilli, la scrittrice Antonia Arslan (“La Masseria delle Allodole”), Pietro Kuciukian (Console Onorario della Repubblica Armena in Italia), il professor Aldo Ferrari (università Ca’ Foscari di Venezia).

Gli argomenti trattati sono vari e tutti concorrono a dare una conoscenza dell’Armenia sotto molteplici aspetti: cultura, arte, natura, danze, storia (inclusa la tragedia del genocidio armeno, ancor oggi non riconosciuto dalla Turchia), musica, gastronomia. Il programma prevede due mesi di conferenze on-line e tre week-end con incontri dal vivo, mostre e laboratori per ragazzi. Meritevoli di nota la visita dell’Arcivescovo Mons. Levon Zekiyan, Arcieparca degli armeni cattolici di Istanbul e di Turchia e Delegato Pontificio per la Congregazione Mechitarista, che celebrerà la Messa Vespertina sabato 15 maggio alle 17:30 e alla sera terrà una conferenza, mentre  domenica 16 maggio si terranno i concerti all’alba (ore 5:30) e al tramonto (ore 18:00) del trio Piovan-Fanton.

Per chi vuole saperne di più o desidera assistere alle conferenze, basta cliccare https://comabbioraccontalarmenia.blog/.

Il prossimo appuntamento si terrà oggi alle 20:30: L’Armenia e gli armeni: una storia millenaria, a cura del professor Aldo Ferrari, Ordinario presso il Dipartimento di studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea dell’Università Ca’ Foscari di VeneziaLa conferenza prenderà in considerazione più di due millenni di storia armena, individuandone i punti principali e prendendo in considerazione i regni antichi, la conversione al Cristianesimo, lo sviluppo di una cultura originale, la nascita della diaspora in rapporto con l’impero ottomano e la Russia.

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Sukhoi Su-30 armeni disarmati? Smentito il premier Pashinyan (Analisidifesa 15.04.21)

Clamorosamente smentite le dichiarazioni del Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan circa l’assenza di armamenti sui cacciabombardieri Sukhoi Su-30SM il cui mancato impiego nel conflitto nel Nagorno-Karabakh dello scorso autunno costituisce uno dei temi del pesante confronto politico in atto a Erevan dopo la sconfitta subita contro gli azeri.

Le immagini riprese lo scorso ottobre nella base aerea di Erebuni mostrano infatti chiaramente le dotazioni di missili R-27 (AA-10 Alamo) e R-73 (AA-11 Archer) a bordo dei velivoli acquistati in Russia.

Le immagini satellitari mostrano anche sistemi di guerra elettronica L-175V Khibiny installati sulle estremità alari di due caccia Su-30SM, sistemi elettronico di jamming che non erano mai stati precedentemente segnalati.

La vicenda pone sempre più in difficoltà il premier armeno che rischia di diventare il capro espiatorio per la sconfitta subita contro l’Azerbaigian nel Nagorno-Karabakh dello scorso autunno, con buona parte della opinione pubblica che lo considera il principale responsabile.

I 4 nuovi caccia multiruolo Sukhoi Su-30SM acquistati recentemente dalla Russia sono risultati e praticamente ininfluenti nello scontro contro le truppe azere, in grado di far volare persino dei vecchi Antonov An-2 convertiti in drone al fine di saggiare le difese aeree armene e rivelarne le posizioni agli UAV turchi Bayraktar TB2.

“Abbiamo acquistato i Su-30SM che sono stati consegnati a maggio dello scorso anno pochi mesi prima del conflitto, ma non siamo riusciti ad acquistare in tempo [prima del conflitto] le relative armi” aveva dichiarato Pashinyan (nella foto sotto).

Pashinyan aveva attribuito la responsabilità al governo precedente che per 26 lunghi anni non ha acquistato alcun nuovo velivolo lasciando a lui l’onere di chiudere in poco tempo la realizzazione di uno squadrone di nuovi caccia Su-30SM con relativi armamenti.

Konstantin Makienko vicedirettore del Center for Analysis of Strategies and Technologies (CAST) russo sostenne subito che le parole di Pashinyan testimoniavano la sua incompetenza.

“In primo luogo gli aerei da combattimento, in particolare i caccia, non vengono quasi mai consegnati senza armamento. È prassi normale fornire contemporaneamente al velivolo, in questo caso i caccia Su-30SM, un set standard di armi aeree.”

Makienko aveva inoltre ricordato un vecchio post di Pashinyan su Facebook dove dichiarava testualmente che “il Su-30SM ha condotto i primi voli di addestramento testando missili aria-terra per operazioni offensive” come del resto le immagini diffuse hanno confermato.

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Armenia accusa Azerbaigian, ‘non rilascia i nostri prigionieri’ (Ansa 15.04.21)

ANSA) – ROMA, 15 APR – L’Armenia è tornata a chiedere all’Azerbaigian di rilasciare tutti i prigionieri di guerra nel rispetto dell’accordo mediato dalla Russia che lo scorso autunno ha messo fine al conflitto tra i due Paesi. “La parte armena ha restituito tutti i prigionieri, mentre la parte azera non lo ha fatto”, si legge in una nota dell’ambasciata armena in Italia.

Nei giorni scorsi l’Armenia ha denunciato anche l’apertura a Baku di un’esposizione in cui vengono mostrati “manichini che rappresentano i militari delle forze armate armene, tutti presentati in stato di degrado e di umiliazione”, e gli effetti personali di soldati armeni, compresi gli elmetti di soldati uccisi, “con la consapevolezza che ciò inevitabilmente causerà ulteriore sofferenza alle famiglie dei caduti”. (ANSA).

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Un khatchkar armeno trovato a Gerusalemme (Terra Santa 15.04.21)

Una grande pietra-croce tipica dell’arte armena, mosaici e monete sono stati portati alla luce nel «giardino armeno» di Gerusalemme. Importanti scoperte che coprono un periodo che va dall’età bizantina all’epoca mamelucca.


«Durante la ristrutturazione del giardino armeno sono stati scoperti importanti reperti antichi», ha annunciato il 10 marzo in un comunicato il Patriarcato armeno di Gerusalemme, attraverso padre Baret Yeretzian, responsabile degli immobili del Patriarcato stesso. Il «giardino Armeno», dove è presente un parcheggio, si trova nei pressi della Porta di Sion, all’interno delle mura della città vecchia, nell’area sud-occidentale del quartiere armeno.

Gli scavi, coordinati dall’Autorità israeliana delle antichità, hanno portato alla luce pavimenti a mosaico con motivi geometrici e floreali con tessere bianche, blu e rosse. Secondo padre Yeretzian, a giudicare dallo stile i mosaici risalgono all’epoca bizantina, ma si trovano tra le rovine di edifici la cui datazione non è ancora certa.

Una grande stele del XII secolo

Il ritrovamento più importante è una grande croce armena incisa su una stele, nota come khatchkar (da khatch «croce», kar «pietra»). Le immagini saranno ufficialmente rese note all’interno di una pubblicazione scientifica che sta preparando il Patriarcato armeno di Gerusalemme.

Letteralmente si parla di una «pietra-croce» e non di una croce di pietra. Il khatchkar, di forma rettangolare, alto circa un metro, «potrebbe risalire al XII secolo o anche prima – non possiamo ancora dirlo con certezza», afferma padre Yeretzian. Queste sculture sono tipiche dell’arte armena e sono  iscritte nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’Unesco dal 2010. Di solito un khatchkar svolge una funzione votiva per la salvezza delle anime, spesso quella del donatore e della sua famiglia. Sembra essere anche il caso di quello del «giardino armeno» a Gerusalemme, poiché ha un’iscrizione nella sua parte inferiore, dove sono incise in armeno le parole «Signore Gesù, ricorda…». Più di rado il khatchkar può avere una funzione commemorativa o è ritenuto una protezione dalla sfortuna.

La stele del «giardino armeno» presenta una ricca lavorazione di merletti in pietra scolpita. Al centro regna una fiorita croce armena sotto la quale si trovano due croci. Sopra la croce centrale sono finemente cesellati due grappoli d’uva. Il tutto in un intreccio di fregi geometrici curvi o a volute. Nelle parole dell’orientalista francese Jean-Pierre Mahé, specialista in studi armeni: «La croce rappresenta i favolosi alberi del paradiso, l’albero della vita e l’albero della scienza, i cui frutti Adamo desiderava assaggiare; ma anche il trono glorioso dove Cristo, nuovo Adamo, fu innalzato e sospeso come frutto della conoscenza del Padre. Le radici di quest’albero non sono nella terra, anzi salgono verso il cielo, si caricano di grappoli d’uva e melograni, frutti eucaristici e pegno d’immortalità».

«Più luce sulle chiese armene del Monte Sion»

Oltre al khatchkar e ai mosaici, sono state scoperte anche monete di rame del periodo bizantino e/o mamelucco (1261-1517, ndr). Per padre Yeretzian, la scoperta nel suo insieme è estremamente preziosa in quanto «il Vardapet (studioso archimandrita, ndr) Anestas, nelle sue opere del VII secolo, elencava numerose chiese, cappelle e monasteri armeni in Terra Santa, molti dei quali ci sono sconosciuti».

Tra il IV e l’VIII secolo d.C. furono costruiti in Terra Santa quasi 70 monasteri dalla comunità armena che, intorno al VI secolo d.C., si installò presso il monte Sion a Gerusalemme. Ciò ha spinto Baret Yeretzian a dire che «non è impossibile che questa scoperta faccia più luce sulle chiese e cappelle armene del monte Sion». Nel frattempo, gli esperti si apprestano a studiare foto e schizzi che sono stati realizzati durante gli scavi.

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La collezione autunno inverno 2021 2022 di Nensi Avetisian (Vogue.it 14.04.21)

La designer Nensi Avetisian, di origini armene e di base a Mosca, ha da poco presentato la collezione autunno inverno 2021 2022 che ha come punto di partenza “l’ambiguità della moda sostenibile contemporanea”. Avetisian si è fatta notare per la sua estetica complessa, ricca di rimandi e riferimenti, oltre che per un consapevole approccio responsabile. Dopo essersi laureata alla British Higher School of Art & Design (BHSAD) di Mosca, proprio in concomitanza con l’inizio della pandemia, ha lanciato il suo brand omonimo, nel quale la formazione artistica ha preso sicuramente il sopravvento. Le tecniche che adopera nei capi sono infatti le stesse che utilizza per realizzare le sue creazioni artistiche, servendosi di materiali e tessuti, vintage e recuperati, che vengono poi serigrafati con le stampe che disegna o lavorati con stampi ottenuti attraverso macchinari 3D.

La sua estetica è inoltre costantemente legata alla cultura armena, come la musica, la pittura e l’architettura – la Structural bag rievoca la struttura di una famosa chiesa del suo Paese –  e per la collezione autunno inverno 2021 2022 ha voluto coniugare il richiamo alle proprie radici con gli studi sulla moda condotti da Roland Barthes nell’opera The Fashion System, in particolare nel primo capitolo Written Clothing, così come con il saggio From “Green Blur” to Ecofashion: Fashioning an Eco-lexicon di Sue Thomas, accademica inglese che insegna alla RMIT University in Australia. Queste tematiche hanno portato la designer ad approfondire l’approccio che la moda ha con la sostenibilità e con tutta la terminologia che la riguarda.

La collezione di Nensi Avetisian è incentrata su una serie di lavorazioni tridimensionali, sviluppate attraverso tecniche e materiali differenti, che ricorrono però nella maggior parte dei look. Un top doppiato in tessuto cangiante con incrocio sulla schiena è decorato da goffrature geometriche e a rilievo sulle spalle e sul petto ed è abbinato a pantaloni con arricciature lungo le cuciture laterali. Le stesse goffrature compongono interamente un abito color pesca indossato su una camicia bordeaux con allacciatura al collo. L’effetto tridimensionale diventa più rigido negli inserti di pelle che vengono utilizzati per top e gonne oltre che per la borsa che ne rappresenta la più concreta rappresentazione. Fantasie rigate, volutamente imprecise, sono scelte per bermuda e minigonne, abbinati poi a gilet in maglia intarsiata a bande sul retro e, nella parte frontale, con il ricorrente effetto a rilievo. Infine un completo gessato vede il blouson che lo compone rifinito con un inserto in pelle, caratterizzato da un dégradé multicolore.

Abbiamo parlato con Nensi Avetisian per sapere di più del suo lavoro.

Quando hai iniziato a lavorare nella moda?

Ho iniziato a lavorare nella moda probabilmente quando ho fatto uno stage per il brand Tigran Avetisyan a Mosca, nel 2015. A quel tempo studiavo alla BHSAD, ma oltre a frequentare l’università facevo stage a Mosca e cercavo altri lavori. Mi sono laureata proprio quando è scoppiata la pandemia e per questo motivo non ho potuto fare stage all’estero, ma mi sono concentrata soprattutto sulla community della moda a Mosca e ho collaborato con alcuni creativi locali. Non pensavo di creare un mio brand, è successo in modo naturale e oggi sta crescendo lentamente, ma con successo.

Come descriveresti lo stile del tuo brand?

Anni ‘80, upcycled, con a volte un mood un po’ cupo.

In che modo le tue origini armene influenzano il tuo lavoro?

Sono cresciuta in una famiglia armena tradizionale e religiosa, e da bambina mi hanno insegnato un’idea specifica di rapporto all’interno della famiglia. Sono cresciuta con mia nonna che con me parla in armeno. Ascoltare le sue storie sui parenti e sulla sua terra d’origine mi hanno fatto conoscere meglio me stessa. Nel mio lavoro faccio sempre riferimento alla musica, ai pittori, all’architettura dell’Armenia. Ad esempio, il mio pezzo più emblematico finora è la borsa in pelle upcycled che prende spunto dalla struttura di una chiesa armena che ho visto quando sono stata lì l’ultima volta.

Utilizzi le stesse tecniche per creare i tuoi abiti e la tua arte. Puoi dirci qualcosa di più? E di che tecniche si tratta?

Ogni collezione parte dai materiali, dalle tecniche, dagli oggetti. I bozzetti possono esserci durante il processo creativo o possono non esserci affatto. Ad esempio, l’accostamento fra oggetti antichi e moderni è visibile nella struttura di un’antica chiesa armena ricreata su oggetti realizzati riciclando bicchieri e buste di plastica. In seguito la mia arte viene trasposta sugli indumenti, in rilievo sui tessuti. Un altro esempio è la creazione delle stampe. Prima di tutto creo delle tele o tavole e poi il lavoro viene scannerizzato e stampato sul tessuto o serigrafato.

L’ispirazione per la tua collezione autunno inverno 2021 2022 è “l’ambiguità della moda sostenibile contemporanea”. Che cosa intendi dire?

La parola “sostenibile” è nuova e non ha una definizione molto chiara, è un fenomeno che viene sfruttato da vari brand con scopi contraddittori. La collezione si basa sul concetto dell’incomprensione delle informazioni che arrivano ai consumatori attraverso i giornali, le riviste e Internet. Si fa confusione quando un termine viene usato al posto di un altro e si perde la possibilità di essere precisi, ma anche di usare le sfumature di quella parola. Ad esempio, la parola “naturale” può voler significare mancanza di inquinamento, coltivazioni e raccolti ecologici. Una parola di cui si abusa soprattutto nel marketing e nel settore delle promozione più che nei media. In senso lato, l’uso dell’hyphen, cioè del trattino, rappresenta un altro problema. L’hyphen viene di solito usato prima o dopo le parole “eco” e “green” come ad esempio in ambientalista light-green, pin-up eco-power, eco-narcisismo ed eco-etico. “Ambientalista light-green”, ed “eco conscience” (senza trattino) sono indicativi di questo problema: sono tautologici (Sue Thomas, From “Green Blur” to Ecofashion: Fashioning an Eco-lexicon, 2015). Per dimostrare che i termini legati a moda, ecologia, ambiente, sostenibilità ed etica non sono compresi nel modo giusto, o usati in modo scorretto, ho usato abbinamenti “contrastanti” come la pelle naturale (upcycled) e la plastica (riciclata). La nascita del consumo etico e del commercio equo hanno avuto come risultato un’attenzione maggiore sull’uso responsabile del linguaggio. La comprensione di queste parole fa parte del processo che influenza il passaggio dalla fast fashion a un nuovo modello che vede il raggiungimento di obiettivi sostenibili nella moda o per colmare il gap che esiste fra “conoscere e agire”.

Cosa ha ispirato in particolare la collezione autunno inverno 2021?

La collezione autunno inverno 2021 si ispira a due saggi: uno di Barthes (1983 [1967]) “Written Clothing” e uno di Thomas (2015) “From “Green Blur” to Ecofashion: Fashioning an Eco-lexicon”. Incarna l’idea di un linguaggio della moda che non sempre fa riferimento alla realtà, attraverso silhouette aderenti con plissé, drappeggi e tecniche di arricciatura che si ispirano alle immagini delle persone “impacchettate” come nelle réclame degli anni ’50 della DuPont Cellophane che mostrava bambini avvolti nella plastica. La collezione fa quindi riferimento al saggio di Roland Barthes “Written Clothing” sul rapporto fra testo e immagine, su un’immagine inesprimibile senza un testo, priva di significato. Partendo dall’attenzione crescente sulla sostenibilità a livello globale, e dalla comunicazione del messaggio sostenibile, utilizzando le parole chiave più efficaci e comprensibili, la collezione analizza alcuni di questi termini, espressioni e frasi usati dalla fashion industry e dai media, il loro significato e la loro origine. Cerco di creare capi a cui poi le persone possano attribuire un significato. Non metto un significato nel mio lavoro, faccio in modo che il mio lavoro stimoli questo processo di attribuzione.

In che modo il tuo brand è sostenibile?

Per me essere sostenibili significa essere onesti e aperti. Significa stabilire un dialogo con tutto e tutti. Non si tratta solo dei materiali che utilizziamo. Qui si tratta delle persone, delle loro condizioni di lavoro, del modo in cui si utilizza il linguaggio, del modo in cui le persone interagiscono su Internet. In pratica è quello a cui penso sempre quando creo le mie collezioni, quando disegno i bozzetti, lavoro con la produzione, comunico con i clienti: come rendere ogni processo creativo e ogni catena produttiva più etici. Inoltre utilizziamo anche tessuti di capi vintage, tessuti da giacenze di magazzino o di seconda mano trovati online. L’anno scorso abbiamo realizzato un video in cui spieghiamo come creiamo le nostre borse a partire da capi in pelle riciclati che è stato presentato di recente su SHOWstudio.

In più ricicliamo buste e bicchieri di plastica e li utilizziamo per i nostri accessori: scarpe, borse, bijoux. Ogni tanto organizziamo una raccolta di plastica, i nostri clienti raccolgono plastica di tipo due e quattro e ce la mandano. È tutto quello che usiamo per i nostri accessori. Non mescoliamo mai i vari tipi di plastica che ricicliamo, così si potranno riciclare ancora in un secondo momento.

I tuoi progetti per il futuro, considerato questo periodo difficile?

Sono una giovane designer che a causa della pandemia sta avendo difficoltà, ma cerco di rischiare, di spingermi oltre la mia comfort zone e sentirmi comunque a mio agio. Per il futuro, vedo il mio brand con una produzione locale più consolidata e in collaborazione con gli artigiani locali in Russia e in Armenia. Per me la cosa più importante è preservare la creatività e seguire un approccio etico e filosofico per la crescita del brand.

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Nagorno Karabakh: la scuola, vittima della guerra (Osservatorio Balcani e Caucaso 14.04.21)

Lo scoppio della guerra in Nagorno Karabakh ha causato 100.000 sfollati e 30.000 scolari e studenti non hanno potuto più frequentare le loro scuole

14/04/2021 –  Armine Avetysian

“Era domenica, non eravamo a scuola ma a casa, altrimenti non saremmo sopravvissuti, abbiamo sentito esplosioni e colpi di arma da fuoco”. Lilit, 14 anni, residente in Nagorno Karabakh, ricorda la mattina del 27 settembre 2020.

In quel giorno vi fu un intenso bombardamento lungo tutta la linea di contatto con l’Azerbaijan. Era in atto un attacco contro il Nagorno Karabakh, stato non-riconosciuto abitato in prevalenza da armeni. Pochi giorni dopo l’avvio delle ostilità, Lilit si è trasferita con la madre a Yerevan, capitale dell’Armenia. Rimanere non era più sicuro.

“Dopo esserci trasferiti non riuscivo proprio a pensare di ritornare a scuola. C’era tutt’altro nei miei pensieri. Poi pian piano mi sono ripresa ed ho iniziato a pensare che stavo rimanendo indietro con i miei studi. Vivevo stati d’animo contraddittori, da una parte desideravo studiare, dall’altra non riuscivo ad aprire i miei libri di testo”, racconta Lilit che aggiunge che in quei giorni, dopo essersi registrata come sfollata a Yerevan, ha ricevuto la proposta da parte del ministero dell’Educazione di iniziare a frequentare una scuola proprio nei pressi del luogo dove risiedeva.

Tutti i minori sfollati in Armenia hanno ricevuto la stessa opportunità. È stata data loro la possibilità di frequentare la scuola più vicina al loro luogo di residenza, che vi fossero o no posti liberi per nuovi scolari e studenti. Sono stati forniti loro anche libri di testo e cancelleria.

Lilit racconta che molti dei suoi amici hanno accettato l’offerta. Lei però no, si è rifiutata.

“Non riuscivo ad andare in un’altra scuola. Mi tornava sempre in mente la mia di scuola. È stato molto difficile. Preferivo seguire lezioni offerte da volontari”, dice.

In cerca della normalità

“Ho letto un annuncio in Internet relativo alla ricerca di volontari. Mi sono registrata e pochi giorni dopo mi hanno chiamata e mi hanno offerto di insegnare a bambini che erano dovuti fuggire dal Nagorno Karabakh e ora si trovavano a Yerevan. Ho accettato molto volentieri”, racconta Ani, laurea in lingue straniere, che ha poi trascorso numerose settimane con scolari a cui la guerra ha tolto il diritto all’istruzione.

Ani ha seguito 20 bambini che erano alloggiati in un centro sfollati temporaneo a Yerevan. Erano lì con le loro madri. L’inizio è stato difficile, sia per lei che per i bambini. Ma poi tutto è andato bene.

“Mi è stata assegnata una piccola stanza nell’appartamento dove risiedevano i bambini. Li ho divisi in due gruppi, a seconda delle età. Ho insegnato loro lingue straniere, armeno e storia; seguivano poi il gruppo anche altre insegnanti volontarie. Abbiamo cercato di fare in modo che nessun bambino venisse lasciato a se stesso. Dire che è stato difficile è dire poco. I bimbi erano sotto forte stress. Spesso parlavano dei loro luoghi natali, delle loro scuole…”, ricorda Ani aggiungendo che sono riusciti, attraverso il gioco, ad integrare i bambini nel nuovo ambiente e ad alleviare, almeno in parte, lo stress.

“Abbiamo anche organizzato escursioni in città. Pian piano siamo ritornati ad una certa quotidianità. E poi, quando i bimbi sono tornati ai loro luoghi natali, è stato anche difficile separarsi”, dice Ani ricordando che anche molti altri suoi amici hanno fatto da volontari nelle altre decine di centri dove sono stati ospitati minori.

Secondo il Difensore dei diritti umani della Repubblica dell’Armenia il conflitto ha portato allo sfollamento di più di 100.000 civili del Nagorno Karabakh. Circa 40.000 persone sono state lasciate senza casa. A circa 30.000 minori, dalle scuole di infanzia alle superiori, non è stato garantito il diritto all’istruzione. La guerra ha portato al danneggiamento o alla distruzione in Nagorno Karabakh di 12 asili e 71 scuole.

Convenzioni disattese

“I bambini godono di un rispetto speciale; sono protetti da ogni tipo di molestia. Le parti in conflitto assicureranno la loro protezione e assistenza”, questo è sancito nel Protocollo alle Convenzioni di Ginevra sulla “Protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali”. È anche sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia. Ciononostante i bambini di tutto il mondo hanno sofferto e stanno soffrendo a causa delle ostilità.

“Per fortuna la nostra scuola non è stata danneggiata e ho potuto ritornarvi. Ho molti amici invece che nelle loro scuole non hanno più potuto far rientro. Ci sono anche quelli che dicono: Che differenza fa per te in quale scuola vai o cosa sarà se perdi qualche lezione?, ma non sono in molti a pensarla così. Ho l’impressione che io e i miei amici non dimenticheremo mai i giorni che abbiamo vissuto”, dice Lilit.

Le lezioni nelle scuole secondarie del Nagorno Karabakh sono riprese il 30 novembre dello scorso anno. Un gran numero di scolari sono già rientrati in classe. Tuttavia, ci sono ancora bambini che frequentano le scuole in Armenia. Tra loro vi sono quelli che non possono più rientrare e quelli che invece, pur avendo una casa dove tornare, non si sentono ancora pronti.

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Nagorno Karabakh, appello dall’Europa: “Preservare l’eredità cristiana” (AciStampa 14.04.21)

Non c’è tempo da perdere, e anche il Parlamento Europeo deve prendere una posizione sulla perdita del patrimonio cristiano nella regione del Nagorno Karabakh, in armeno Artsakh. Lo ha detto, in un recente intervento, Nathalie Loiseau, presidente del sotto-comitato sulla Sicurezza e la Difesa del Parlamento Europeo, in un articolato intervento pubblicato da La Croix International.

L’ultimo conflitto ha visto un cessate il fuoco “doloroso” per l’Armenia, con diversi monasteri e luoghi cruciali passati sotto il controllo dell’Azerbaijan.

Il Nagorno Karabakh è una regione che è stata assegnata all’Azerbaijan da Stalin negli Anni Venti. Il territorio aveva una forte presenza di popolazione armena, come testimoniano i molti reperti cristiani e monasteri nella regione, alcuni risalenti anche al IV secolo. Molti di questi reperti sono stati distrutti nel corso degli anni, tanto che alcuni studiosi hanno parlato di un vero e proprio “genocidio culturale” ad opera degli azeri, che sono musulmani.

Gli azeri, dal canto loro, rivendicano che la loro popolazione anche è presente da tempo nel territorio, dicono di avere un legame con gli albanesi del Caucaso, e denunciano che gli armeni hanno distrutto le loro moschee quando hanno rivendicato la sovranità del territorio.

Il fatto è che, alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, fu dichiarata la nascita della Repubblica indipendente del Nagorno Karabakh, con successivo referendum. Gli azeri non lo accetatrono. Si arrivò ad un conflitto che terminò con il cessate il fuoco del 1994. Il Nagorno Karabakh rimase una regione contesa, una sorta di exclave armena in territorio azero. L’Armenia ha cercato di mantenere un equilibrio diplomatico.

Nel corso degli anni, entrambe le parti hanno accusato gli altri di aver cominciato le ostilità, fino all’ultimo conflitto, che ha portato anche al bombardamento della cattedrale di Shushi, e che è terminato con un cessate il fuoco che in realtà non ha realizzato una vera pace. E la preoccupazione per l’eredità culturale armena è cresciuta sempre di più, enfatizzata anche da un recente reportage della BBC che parlava di una chiesa scomparsa. La chiesa effettivamente non c’è più, ma gli azeri sostengono che questa era stata costruita nel 2017 per l’esercito armeno. Dunque, nella loro logica, mezzo di occupazione, non parte di una eredità cristiana condivisa.

Nel suo intervento, Nathalie Loiseau ha parlato anche di questo. “Conoscete la chiesa di Santa Maria nella città di Jabrayil in Nagorno Karabakh? È improbabile che l’abbiate mai visitata. E non lo farete mai. Questo perché i militari di Azerbaijan hanno raso al suolo il villaggio e la sua chiesa armena in una offensiva lanciata nell’autunno del 2020”.

Loiseau ha parlato anche della città di Shushi, dove è stata distrutta la chiesa di San Giovanni Battista e la cattedrale del San Salvatore è stata danneggiata da bombe. Del monastero di Yegishe l’Apostolo, vandalizzato.

“Ogni giorno – ha denunciato Loiseau – una pietra di un cimitero cristiano armeno in Nagorno Karabakh o la statua di una chiesa viene demolita e rovinata. E c’è ogni ragione di temere che questa distruzione continui. Ricordiamo che nella Repubblica Autonoma di Nakhichevan (una exclave azera in Armenia) sono state distrutte circa 89 chiese armene. Più di 20 mila tombe e 5 mila lapidi sono state estirpate. Non dimentichiamo come il cimitero armeno nella città-repubblica di Julfa è stato completamente e metodicamente raso al suolo”.

Loiseau ha anche fatto riferimento alle dichiarazioni di ufficiali azeri, incluso il presidente Ilham Aliyev che “ha chiesto la rimozione delle iscrizioni armene dalle chiese, definendole false, e attribuendo gli edifici agli albanesi del Caucaso”.

La comunità internazionale, ha denunciato Loiseau, “sta semplicemente guardando dall’altra parte”, nonostante “attaccare l’eredità culturale di un popolo è parte di un deliberato sforzo di pulizia etnica”.

Ammette Loiseau, sulla base del fatto che “nessun conflitto può essere risolto negando l’esistenza dell’altro”, che “è vero che 30 anni fa il mondo è stato a guardare la distruzione dell’eredità azera in Nagorno Karabakh”, oggi è compito dello stesso mondo “di non ripetere gli stessi sbagli e di imparare la lezione dell’inazione in quel tempo”, perché quell’inazione “ha solamente aperto ferite nella memoria dei popoli, alimentato un desiderio di vendetta e rinfocolato un conflitto che era congelato solo in apparenza ed è stato riesumato alla prima opportunità”.

Insomma, conclude, “il fato del territorio non può essere lasciato solamente nelle mani di Azerbaijan, Russia e Turchia”, che non hanno mostrato di cercare “una pacifica e bilanciata soluzione al conflitto”, mentre è tempo che “il Gruppo di Minsk dell’OSCE agisca con più grande determinazione perché si ripristinino, e abbiano successo, veri negoziati”.

L’appello politico è rivolto all’UNESCO, all’Alleanza Internazionale per la Protezione delle Eredità Culturali nella Zona di Conflitto, ma anche all’Unione Europea per fare pressioni a Baku per avere garanzie che l’eredità culturale armena sia preservata.

La situazione in Nagorno Karabakh è stata descritta anche dal rapporto dello Human Rights Watch pubblicato a dicembre dello scorso anno, in cui veniva confermato che l’attacco con i missili alla cattedrale di Shushi era intenzionale, mentre la stessa cattedrale è stata vandalizzata qualche giorno dopo la fine delle ostilità, in tempo di pace, denuncia Garen Nazarian, ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede.

In una articolata dichiarazione ad ACI Stampa, Nazarian ricorda che già “nel 1920 le sei chiese di Shushi erano state vandalizzate durante il massacro durante il quale 20 mila armeni erano stati macellati dall’esercito azero e 7 mila strutture furono distrutte”.

Come Loiseau, anche Nazarian nota la violazione del Secondo Protocollo della Convezione dell’Aja per la Protezione della Proprietà Culturale in Caso di Conflitto Armato, e mette in luce che c’è anche preoccupazione per “dei danneggiamenti a Tigranakert, un significativo sito armeno ed ellenistico di una antica città fondata da Tigrani il Grande tra il 95 e il 55 avanti Cristo”, perché è stata “una area di intensa attività di guerra, bombardata diverse volte”. Anche la chiesa di San Giovanni Battista a Shushi è stata duramente danneggiata, come hanno dimostrato video circolati nei social media poco dopo l’occupazione di Shushi.

Mentre – denuncia Nazarian – “il fuoco costante delle forze armate azere su insediamenti civili ha reso impossibile a musei e professionisti dell’eredità culturale di prendersi cura della sicurezza delle collezioni e assicurare la loro protezione”, e questo include “8 musei di Stato e gallerie d’arte, nonché due musei privati”, la maggior parte dei quali fondati dopo il cessate il fuoco del 1994.

L’ambasciatore Nazarian ha anche denunciato che l’eredità culturale dei siti viene mistificata, che l’eredità culturale armena in Nagorno Karabakh viene definita come “Albanese Caucasica”, e sottolinea come “la distorsione dell’eredità armena è un tentativo di saccheggio culturale, nonché una violazione dei più rilevanti strumenti legali internazionali”.

In particolare, l’ambasciatore Nazarian descrive “il controverso restauro delle chiese nella città di Nij nella regione di Gabala operata dalle autorità azere”. Il restauro è avvenuto nel Dicembre 2004, e in quel caso “le iscrizioni in armeno sulla chiesa sono state cancellate, e in conseguenza di ciò ambasciatori esteri accreditati in Azerbaijan rifiutarono di prendere parte alla cerimonia di riapertura della Chiesa”.

Secondo l’ambasciatore, l’Azerbaijan deve rifiutare l’eredità culturale e religiosa armena in Nagorno Karabakh perché questa mette a rischio le sue pretese di indigeneità nella regione, e questo si è visto sia con l’espulsione di tutta la popolazione armena dall’Azerbaijan nel 1989-1990, sia con gli sforzi di cancellare le tracce del passato, tanto che durante il conflitto del 1992-1994, “non meno di 167 chiese armene, 8 complessi monastici armeni e più di 120 cimiteri armeni sono stati distrutti dalle autorità azere”, senza contare la distruzione di centinaia di miglia di khachkar, e in particolare quelle nel cimitero di Old Jugha in Nakhichevan tra il 1997 e il 2006, dove si calcola siano state distrutte 89 chiese mediali, 5840 croci di pietra e 22 mila lapidi.

L’ambasciatore armeno lamenta che si rischia una situazione simile alla distruzione di Palmira e Nimrod ad opera dell’ISIS, ricorda che gli stessi armeni hanno restaurato la Moschea di Gohar Agha in Sushi nel 2019.

Da parte loro, gli azeri lamentano la distruzione delle moschee da parte armena, una distruzione di cui ha parlato anche Loiseau. Tuttavia, oggi si nota una resistenza dell’Azerbaijan ad ogni interazione internazionale sul tema dell’eredità culturale. L’UNESCO si è trovata, infatti, diverse difficoltà davanti quando ha tentato di spedire una missione di assistenza tecnica in Nagorno Karabakh e nei distretti adiacenti, denuncia Nazarian.

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