Diplomazia pontificia, verso l’Urbi et Orbi di Pasqua (AciStampa 03.04.21)

Di Andrea Gagliarducci – Città del Vaticano, 3 aprile, 2021

Dalla via di uscita alla pandemia ai conflitti nel mondo, dalla persecuzione dei cristiani all’attenzione per gli ultimi e gli emarginati: cosa aspettarsi dall’Urbi et Orbi di Papa Francesco nel giorno di Pasqua? Anche se il messaggio a Roma e al mondo non verrà, per il secondo anno consecutivo, pronunciato dal balcone della Loggia delle Benedizioni, ma all’interno della Basilica Vaticana, in una atmosfera meno festosa e meno partecipata, le parole del Papa alla città di Roma e al mondo intero hanno sempre un certo impatto.

Di cosa parlerà dunque il Papa? Una idea si può avere dagli appelli che ha fatto recentemente al termine delle udienze generali e nelle preghiere dell’Angelus: c’è la difficile situazione in Nigeria, quella in Myanmar, anche il conflitto nel Caucaso. Ma c’è anche il Sud Sudan, sempre guardato da Papa Francesco con un occhio di riguardo; la costruzione del mondo post pandemia, con una particolare alla destinazione universale dei vaccini, in particolare dei più poveri; il conflitto israelo-palestinese, sempre menzionato dal Papa nei messaggi che hanno anche una ricaduta diplomatica. E ancora: il conflitto in Mozambico, il recente attentato della Domenica delle Palme in Indonesia. Alcuni dei temi si possono trovare nelle recenti attività della Santa Sede, delle nunziature, delle ambasciate presso la Santa Sede, di alcuni episcopati. Ecco i principali della scorsa settimana.

FOCUS CAUCASO

Armenia, il ministro degli Affari Esteri a colloquio con l’arcivescovo Gallagher

Il Ministero degli Affari Esteri armeno ha comunicato che lo scorso 31 marzo Ara Aivazian, ministro degli Affari Esteri, ha avuto una conversazione telefonica con l’Arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario delle relazioni con gli Stati vaticano.

Secondo il ministero, Aivazian ha “riaffermato che l’Armenia ha pronta ad approfondire ulteriormente e rafforzare le relazioni con la Santa Sede sulla base dei valori storici e universali che condividono pienamente. Hanno anche scambiato vedute sui passi da prendere per rafforzare il dialogo e i contatti di alto livello”.

Il ministero ha anche reso noto che durante la conversazione si è parlato anche “della sicurezza e della stabilità della regione”, e che il ministro degli Esteri ha ricordato come Papa Francesco abbia chiesto “la fine delle ostilità e la pace nel periodo post guerra”.

Aivazian – si legge ancora nella nota – ha spiegato all’arcivescovo Gallagher “i passi fatti per affrontare le questioni umanitarie” in quello che viene definita come “una aggressione turco-azera”; ha notato l’urgenza di “un sicuro rimpatrio dei prigionieri armeni”; ha “condannato con forza l’urgenza di preservare l’eredità religiosa e culturale armena nei territori sotto il controllo dell’Azerbaijan”; ha enfatizzato l’intervento della comunità internazionale”.

Sempre sul fronte del conflitto azero-armeno per i territori del Nagorno Karabakh (Artssakh in Armeno) è da segnalare che il Dipartimento di Stato USA ha pubblicato lo scorso 30 marzo il Rapporto 2020 sulle Pratiche Umanitarie, e ha dedicato anche una disamina alla situazione in Nagorno Karabakh.

Il rapporto parla di “significativi problemi umanitari” degli azeri, tra cui “uccisioni illegali o arbitrarie; torture; detenzione arbitraria; condizioni di detenzione difficili e a volte a rischio della vita”. Inoltre, il rapporto fa specifica menzione della situazione in Nagorno Karabakh, sottolinea che “il governo non ha sanzionato o punito la maggioranza degli officiali che hanno commesso abusi umanitari”,

Il rapporto del Dipartimento di Stato USA segnala anche due video diffusi riguardo degli abusi di alcuni soldati azeri “umiliati e uccisi” nella città di Hadrut, video considerato “genuino e autentico” da esperti e indipendenti, e lamenta “l’uso di missili di artiglieria, droni e bombe, nonché munizioni a grappolo che hanno colpito civili e zone civili nel Nagorno Karabakh”, accuse di aver colpito strutture civili “negate” comunque dal governo azero.

Il rapporto ha anche una sezione su “soldati e civili abusati dalle forze azere”, che si basa su rapporti definiti “credibili”, documentando un gran numero di persone e prigionieri di guerra.

La posizione dell’Azerbaijan

Ma come nasce il conflitto armeno-azero in Nagorno Karabakh? La regione, a maggioranza armena, era stata data all’Azerbaijan su decisione di Stalin. Nel momento in cui l’Azerbaijan aveva deciso di lasciare l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, un referendum aveva costituito il nuovo stato della federazione. Gli azeri reagirono militarmente, e ci fu un accordo di cessate il fuoco nel 1993. Da allora, le tensioni sono rimaste latenti, e sono arrivate quasi ad un aperto conflitto lo scorso agosto, e poi ad un vero e proprio conflitto che si è concluso con un accordo doloroso per gli armeni, i quali hanno visto molti monasteri storici passare sotto la giurisdizione azera.

Da allora, è stata lamentata una perdita del patrimonio cristiano nella regione, secondo una distruzione considerata sistematica da diverso tempo. Recentemente è stata segnalata da un reportage della BBC la scomparsa di una chiesa armena nei territori ora sotto il controllo azero.

Mammad Ahmadzada, ambasciatore di Azerbaijan presso l’Italia, ha voluto sottolineare che la regione del Nagorno Karabakh ha anche una storia che lo lega all’Azerbaijan. “Dai tempi antichi fino all’occupazione dell’Impero zarista nel 1805 con il trattato di Kurakchai – scrive Ahadzada – questa regione era parte di diversi stati azerbaigiani, da ultimo il khanato di Karabakh. Nel 1828, alla firma del trattato di Turkmanchay, al termine della guerra Russia- Iran, seguì un massiccio trasferimento di armeni nel Caucaso del Sud, in particolare nei territori dei khanati azerbaigiani di Irevan (attuale Yerevan, capitale dell’Armenia) e di Karabakh. Il flusso migratorio è proseguito fino all’inizio del XX secolo”.

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L’ambasciatore lamenta che lo Stato di Armenia è stato “creato nel territorio dell’Azerbaijan”, e “ampliato durante il periodo sovietico a spese della superficie azerbaijana”, mentre la provincia del Nagorno Karabakh fu creata nel 1923 con “confini amministrativi definiti in modo che gli armeni fossero etnia maggioritaria”.

L’amabasciatore accusa l’Armenia di “non aver riconosciuto autonomia per la minoranza azerbaijana”, e anzi ha promosso “un clima di intolleranza”, fino nel 1988 ad avviare “rivendicazioni territoriali contro l’Azerbaijan”, deportando allo stesso tempo tutti gli ultimi azerbaigiani (più di 250 mila) in Armenia dalle loro terre natali”.

Per Ahmadzada “le radici del conflitto sono dunque nel trasferimento degli armeni nei territori azerbaigiani, oltre che nella decisione di creare una provincia autonoma nella parte montuosa della regione del Karabakh dell’Azerbaigian”.

L’ambasciatore parla di una “occupazione armena” dei territori azeri dopo la dissoluzione dell’URSS, denuncia “un genocidio contro civili azerbaigiani nella città di Khojali”, sottolinea che il conflitto ha “causato più di un milione di rifugiati e profughi azerbaigiani, senza lasciare un singolo azerbaigiano nei territori occupati”.

Ahmadzada afferma che l’ultimo conflitto nasce da provocazioni armene, che ora l’Azerbaijan ha già avviato nei territori acquisiti al termine del conflitto “un’imponente opera di ricostruzione, nel pieno rispetto e protezione della cultura e della diversità religiosa”.

Riguardo la chiesa scomparsa, l’ambasciatore sottolinea che “la cappella è stata costruita nel 2017 durante il periodo in cui l’Armenia stava distruggendo le case e il patrimonio culturale degli azerbaigiani a Jabrayil e in altri territori occupati dell’Azerbaigian, da dove tutti gli azerbaigiani erano stati espulsi dall’esercito dell’Armenia”.

La cappella – dice l’ambasciatore, citando l’OSCE – era stata costruita “come parte di un complesso militare a Jabrayil”, e per questo “non può essere considerata parte della storia culturale”. Piuttosto, l’ambasciatore lamenta le distruzioni armene nella regione, denunciando che l’Armenia “ha condotto una pulizia culturale e numerosi crimini di guerra nei territori un tempo occupati, inclusa la distruzione di 927 biblioteche, più di 60 moschee, 44 templi, 473 siti storici, palazzi e musei”, e allo stesso tempo “non ha permesso alle missioni internazionali di visitare i territori occupati”, nonostante l’Azerbaijan abbia chiesto all’UNESCO una missione di accertamento.

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Il futuro dell’Azerbaigian secondo Ilham Aliyev ((Insiderover 02.04.21)

Il 31 marzo ha avuto luogo l’ultimo vertice informale del Consiglio turco. L’evento, che è stato organizzato da remoto a causa della pandemia, ha visto la partecipazione dei capi di Stato degli stati membri, del primo ministro ungherese e di un rappresentante turkmeno, e si è concluso con il raggiungimento di un’importante dichiarazione congiunta inerente il futuro del mondo turcico.

Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaigian e tra i grandi sostenitori del progetto d’integrazione panturco, ha fatto uno degli interventi più interessanti e geopoliticamente rilevanti dell’evento.

Il futuro di Baku secondo Aliyev

Il presidente azerbagiano ha profittato del proprio turno per parlare ai colleghi di cooperazione tra le parti, guerra nel Nagorno Karabakh e materializzazione del  corridoio di Zangezur. Aliyev ha iniziato a parlare ricordando ai presenti che “la guerra [del Nagorno Karabakh] è terminata, il conflitto è stato consegnato alla storia e nuove opportunità sono emerse”, delle quali “la più importante è il trasporto”.

Baku, ha rammentato il presidente azero, “sta lavorando arduamente al corridoio di Zangezur, terra dell’Azerbaigian antico che, a partire da adesso, giocherà il ruolo di unire il mondo turcico”. In che modo lo Zangezur contribuirà alla causa panturca lo spiega lo stesso Aliyev:

Trasporti, comunicazioni e infrastrutture che passano attraverso lo Zangezur unificheranno l’intero mondo turcico e creereranno opportunità aggiuntive per altri Paesi, inclusa l’Armenia

Secondo Aliyev non vi sarebbero intenzioni, da parte di Baku, di escludere Erevan dall’ordine che verrà: “L’Armenia, al momento, non ha collegamenti ferroviari con il suo alleato, la Russiae questo collegamento può essere stabilito dal territorio dell’Azerbaigian. L’Armenia non ha collegamenti ferroviari con il suo vicino, l’Iran, e questo collegamento può essere creato attraverso il Nakhchivan“.

Sempre in riferimento al proposito di creare una linea diretta tra Nakhchivan e Baku, il presidente azerbagiano ha evidenziato ai presenti quale sia la sua effettiva importanza a livello regionale e internazionale: “L’Azerbaigian verrà connesso alla Turchia attraverso la repubblica autonoma di Nakhchivan, e l’Asia centrale sarà collegata all’Europa; in questo modo verrà a crearsi un nuovo corridoio di trasporto, al quale stiamo già lavorando”. Ultimo ma non meno importante, Aliyev ha auspicato che “i nostri Paesi partner sfrutteranno queste opportunità”, ergo ha invitato gli stati membri del Consiglio turco (e non solo) a partecipare attivamente al concretamento della rotta Europa-Anatolia-Caucaso meridionale-Asia centrale.

Il supporto prezioso panturco

Aliyev ha anche sfruttato il tempo a disposizione per enfatizzare l’importanza del sodalizio turco-azerbagiano e ringraziare gli Stati membri del Consiglio turco per la mobilitazione diplomatica in occasione della guerra del Nagorno Karabakh. Il presidente azerbagiano ha ringraziato l’omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, spiegando come il supporto da egli ricevuto abbia consentito a Baku “di condurre una controffensiva di successo ed evitare a forze esterne di interferire”.

Gratitudine è stata poi espressa al Consiglio turco, del quale Aliyev ha voluto ricordare la dichiarazione di supporto all’Azerbaigian dello scorso 28 settembre, pubblicata il giorno dopo l’accensione delle ostilità, “e le [altre] simili dichiarazioni emesse diverse volte durante la guerra”. In riferimento alle indiscrezioni che vorrebbero armeni e azerbagiani in procinto di una nuova guerra, Aliyev ha smorzato ogni dubbio e rassicurato i presenti: il documento di cessate il fuoco del 9 novembre ha risolto la questione, suggelando “una storica vittoria” e permettendo a Baku “di iniziare i lavori di ricostruzione nelle aree distrutte”.

Lo sguardo dell’Azerbaigian, in sintesi, è posato ovunque, perché la sua politica estera è multivettoriale, ma in un luogo è fissato più che altrove: il mondo turco. Perché non può esistere un’Eurasia prospera e indipendente senza il contributo delle nazioni turciche, né un ordine multipolare senza il supporto pivotale di quella realtà integrativa chiamata Consiglio turco, e Baku ne è pienamente consapevole: il futuro parla le lingue del mondo turco.

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Favola Armenia dall’incubo guerra al sogno mondiale (Il Messaggero 02.04.21)

È l’Armenia a capeggiare la rivolta delle piccole verso Qatar 2022. Tre vittorie su tre in questa corsa mondiale. Battute nel giro di sei giorni Liechtenstein, Islanda e Romania. Primo posto nel girone J davanti a Germania e Macedonia del Nord, seconde a sei punti. Con i tedeschi, tra l’altro, sconfitti in casa proprio dalla Nazionale di Goran Pandev. A guidare la squadra è il c.t. Joaquin Caparros, spagnolo di 65 anni. Gioca con il 4-4-2 e nell’ultimo match, quello vinto 3-2 contro la Romania, ha tirato un sospiro di sollievo grazie ad Haroyan e Barseghyan. Sotto 1-2 al minuto 87, l’Armenia ha compiuto il suo miracolo ribaltando tutto negli ultimi 180 secondi.

Un sorriso regalato a un popolo intero, martoriato dalla guerra. Per ultima, quella nell’Artsakh di qualche mese fa, denominata seconda guerra nel Nagorno-Karabakh. Un conflitto armato tra le forze azere e quelle armene per il possesso della regione caucasica del Nagorno Karabakh, divampato il 27 settembre 2020 lungo la linea di contatto dell’Artsakh. Dopo 44 giorni di aspri combattimenti, la sera del 9 novembre i rappresentanti dell’Armenia e dell’Azerbaigian, grazie alla mediazione del presidente russo Vladimir Putin, hanno firmato un cessate il fuoco per consentire lo scambio di prigionieri e dei caduti. Un martirio che è costato la vita a oltre cinquemila soldati e a quasi 150 civili. Una tragedia nel cuore con decine di migliaia di persone che hanno perso la propria casa. E tra gli armeni, c’è chi fuggendo ha bruciato addirittura le proprie abitazioni piuttosto che lasciarle ai nemici azeri.

Tragedia alle spalle

In situazioni come queste lo sport è un toccasana importante. La Nazionale di calcio sta cercando di ridare un sorriso al suo popolo, senza il suo giocatore simbolo: il trequartista della Roma, Mkhitaryan. Out a causa di una lesione muscolare al polpaccio destro, rimediato nel match contro lo Shakhtar Donetsk l’11 marzo nell’andata degli ottavi di Europa League (i giallorossi puntano di recuperarlo per il 15 aprile, per il ritorno dei quarti con l’Ajax, ma è complicato). Un cammino nato da lontano. Dalla vittoria sulla Georgia del 15 novembre, pochi giorni dopo il cessate il fuoco. Poi è arrivato il successo contro la Macedonia del Nord il 18 novembre, che ha sancito la promozione nella Lega B della Nations League. Adesso queste tre vittorie di fila che fanno sognare l’Armenia in un altro momento difficile nella storia del paese. Tanto da spaventare una corazzata come la Germania. A giugno sono in programma due amichevoli contro Croazia e Svezia. E a settembre ripartirà la corsa verso il Qatar: Macedonia del Nord (il 2), i tedeschi appunto (il 5) e ancora il Liechtenstein (l’8). Ma intanto, è lecito pensare in grande.

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Nagorno Karabakh dopo la guerra (Dossier Osservatorio Balcani E Caucaso 01.04.21)

Il conflitto esploso nel settembre 2020 tra Armenia e Azerbaijan per il controllo del Nagorno Karabakh si è concluso il 9 novembre con un accordo di cessate il fuoco che ha ridisegnato i confini nel Caucaso del Sud. Ora è necessario trovare un equilibrio per questa martoriata regione. Le risposte della società civile e della politica internazionale in questo dossier

https://www.balcanicaucaso.org/Dossier/Nagorno-Karabakh-dopo-la-guerra  

Qualificazioni Mondiali Qatar 2022, premier Armenia: “Vittorie dedicate a soldati morti” (Sportface.it 01.04.21)

Henrikh Mkhitaryan FOTO Руденко Денис VIA CC 3.0

L’Armenia è a punteggio pieno nel proprio raggruppamento di Qualificazioni ai Mondiali di Qatar 2022 con tre vittorie in altrettante partite contro Liechtenstein, Islanda e  Romania. La nazionale armena, complice anche la sconfitta della Germania contro la Macedonia, guida al momento il girone J e vuole continuare a stupire. Il calcio sta restituendo entusiasmo a un Paese falcidiato dalla Guerra del Nagorno Karabakh. Così il premier armeno Nikol Pachinian ha dedicato i successi della nazionale “ai nostri soldati, ai fratelli morti“. “Si può vincere anche quando stato sconfitto – ha aggiunto -, e la nostra vittoria è per loro“.

Armenia: Parlamento approva emendamenti al codice elettorale (Agenzia Nova 01.04.21)

Erevan, 01 apr 17:01 – (Agenzia Nova) – Il Parlamento armeno ha introdotto degli emendamenti al codice elettorale per abolire il sistema di voto misto prima delle consultazioni parlamentari anticipate che si terranno il 20 giugno. In totale, 82 legislatori su 132 hanno sostenuto gli emendamenti, proposti dal gruppo parlamentare del partito di governo My Step. Vahagn Hovakimyan, un parlamentare del partito al governo, ha affermato che gli emendamenti prevedono di tenere le elezioni “con un semplice sistema proporzionale”. Allo stesso tempo, il leader della fazione Armenia luminosa, Edmond Marukyan, ha affermato che la maggioranza adotta emendamenti al codice elettorale senza la partecipazione delle forze di opposizione, “mettendo così in discussione la legittimità delle elezioni parlamentari programmate”. Gli emendamenti adottati dai legislatori ora richiedono l’approvazione del presidente, Armen Sarkissian. (Rum)

L’Armenia sta provando a stupire l’Europa (Gianlucadimarzio 31.03.21)

Varazdat Haroyan e Tigran Barseghyan probabilmente non suoneranno molto familiari alla maggior parte degli appassionati di calcio. Sono però i due autori dell’incredibile rimonta di oggi dell’Armenia contro la Romania nella terza gara delle qualificazioni ai Mondiali di Qatar 2022. Una rimonta arrivata nei minuti finali, grazie proprio al gol del capitano armeno e al rigore di Barseghyan tra l’87’ e l’89’, che porta la nazionale di Joaquìn Caparròs al primo posto nel girone a punteggio pieno.

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Joaquìn Caparròs, dalla malattia ai successi con l’Armenia

La terza vittoria in altrettante partite per la squadra di Joaquìn Caparròs, che adesso comanda con 9 punti il Gruppo J e si sta rivelando come una delle sorprese più grandi di questa prima fase. E sta spaventando non poco la Germania, sconfitta a sorpresa questa sera in casa contro la Macedonia del Nord di Pandev ed Elmas, che certamente si aspettava di avere vita più facile nel girone.

Proprio l’allenatore ex Siviglia è probabilmente uno dei punti di forza maggiori di questa Armenia che sta stupendo tutti. Un CT alla prima esperienza sulla panchina di una nazionale, capace di schierare in campo in una partita così importante un ragazzo di 20 anni all’esordio in nazionale come Eduard Spertsyan. Coraggio dell’allenatore spagnolo pienamente ripagato, visto che il trequartista del Krasnodar, già due presenze in Champions League, ha aperto le marcature contro la Romania proprio alla prima presenza con la nazionale maggiore. Joaquìn Caparròs, oltre all’audacia dimostrata in panchina, ha dato prova del suo valore anche nella vita visto che solamente due anni fa aveva annunciato la diagnosi di una terribile malattia. Ma, come aveva già promesso allora, Caparròs non ha mollato e adesso i risultati con la sua Armenia lo stanno ripagando.

Se la vittoria contro il Liechtenstein alla prima partita delle qualificazioni mondiali poteva sembrare cosa da poco, quella successiva contro l’Islanda, sorpresa all’ultimo Europeo nel 2016, e soprattutto quella di oggi, lo sono certamente meno. Un successo arrivato contro un’altra nazionale più blasonata come la Romania e rimontando da 1-2 a 3-2 proprio nei minuti finali, per la gioia dei tanti tifosi sugli spalti del Vazgen Sargsyan Republican Stadium di Yerevan. Sì, perchè l’Armenia è anche una delle poche squadra in Europa ad avere la fortuna di essere assistita dai propri tifosi nelle partite casalinghe.

Ma l’Armenia era stata capace di far parlare di sé già durante la fase a gironi della UEFA Nations League, terminata col primo posto nel Gruppo 2 della Lega C dalla squadra di Caparròs. Gli avversari in quel caso, Macedonia del Nord, Georgia ed Estonia, non erano certamente di prima fascia ma il primato in un girone di una competizione europea resta un risultato storico per una nazionale come l’Armenia.

L’Armenia brilla senza la sua stella più grande

E, se a tutto questo aggiungiamo che l’Armenia sta giocando senza il suo giocatore più rappresentativo nonché proprio capitano Henrik Mkhitaryaninfortunato da oltre due settimane con la sua Roma, il piccolo capolavoro compiuto da Caparròs e dai suoi ragazzi assume proporzioni ancora maggiori. Un gruppo che spera di non perdere il ritmo acquisito in queste settimane, quando a novembre si ritroverà contro la Macedonia del Nord per continuare la propria corsa verso il Mondiale del 2022. Per continuare ancora a stupire tutti.

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>> L’Armenia ruba la vetta alla Germania (RSI 31.03.21)

due nodi di Mkhitaryan: il rinnovo e l’infortunio (Il Romanista 31.03.21)

Un contratto. Un polpaccio. Un campione. Henrikh Mkhitaryan. Che, in questo caso, rischia di fare rima con ansia crescente. In campo e fuori. Per il polpaccio e il contratto. Preoccupa il rischio di non averlo a disposizione a breve, in particolare per la doppia sfida contro l’Ajax che vale una semifinale di Europa League. E preoccupa pure il fatto che, a fronte di un contratto che si è prolungato automaticamente per altri dodici mesi, la necessaria firma è ancora nella penna di Mino Raiola. Che, per quello che ci risulta, non ha mandato nessun segnale, nè in un senso, nè nell’altro. E la cosa, con il passare dei giorni, non contribuisce alla tranquillità della dirigenza che non vorrebbe neppure prendere in considerazione l’ipotesi di una Roma priva dell’armeno nella prossima stagione. Cioè del giocatore che per qualità e numeri, è stato il migliore dei giallorossi, almeno fino al momento dello stop per l’infortunio.
Pinto sa bene che c’è una Roma con l’armeno e un’altra senza. Ai suoi più stretti collaboratori ha confidato di essere comunque tranquillo, che la firma arriverà, che il giocatore in più di un’occasione gli ha manifestato l’intenzione di rimanere a Trigoria. Meglio così. Ma Mino Raiola che ne pensa? Perché questo è il punto, non si muove foglia senza il consenso del funambolico procuratore italo-olandese. Che cosa ha in mente Minone? Lui, interpellato, dice che non parla di mercato (vogliamo discettare di fisica quantistica?). Ma cosa è intenzionato a mettere sul piatto della trattativa per garantire il suo sì? Trasferire Calafiori (in prestito) per consentire al ragazzo di giocare con continuità? La garanzia dell’ingaggio di uno dei due portieri (oltre a Gigio Donnarumma inavvicinabile per una richiesta di contratto da dieci milioni) che ha nella sua scuderia, Areola e Silvestri? Totale mano libera per decidere il futuro di Kluivert che al momento sembra destinato a tornare a Trigoria? Commissioni più alte anche per compensare quelle non incassate un anno fa per l’armeno? Una sponda per qualche altro suo assitito? Lo scopriremo strada facendo, anche se la nostra impressione, forte e chiara, è che il giocatore rimarrà in giallorosso, magari con un contratto biennale che faccia sorridere anche Minone vostro.
Nell’attesa, meglio concentrarci sulla questione del polpaccio. I pochi sussurri che filtrano da Trigoria, fanno sapere che la situazione è in evoluzione. I controlli effettuati dal giocatore a Villa Stuart lunedì scorso, hanno ribadito che il problema non è ancora risolto. A Sassuolo non ci sarà, per Amsterdam non ci sono ancora certezze, si spera di averlo per la gara di ritorno contro i lancieri. Servirebbe come il pane. Perché la transizione offensiva della Roma è una cosa con l’armeno, tutta un’altra, in peggio ovviamente, senza di lui.

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Armenia, Caparros: “Mkhitaryan è un punto di riferimento per noi” (Siamolaroma 30.03.21)

Joaquin Caparros, commissario tecnico della Nazionale armena, ha rilasciato un’intervista a La Repubblica, nella quale parla di Mkhitaryan, e dell’importanza del calciatore giallorosso sia sul piano sportivo che su quello sociale e politico. Ecco le sue parole:

Quanto è importante Mkhitaryan per la sua squadra?

“I grandi calciatori sono sempre importanti, anche perché talentuosi come lui ne abbiamo pochi. E, poi, è uno che ci tiene davvero alla nazionale, come il resto dei suoi compagni. L’amore per la maglia del proprio Paese è un aspetto ci dà un certo vantaggio rispetto ad altre squadre”.

Henrikh ha pure scritto una lettera indirizzata a Trump, Putin e Macron, chiedendogli di fermare la guerra

“Mi sono congratulato con lui personalmente perché lo ha fatto quando era con noi in ritiro. È senza dubbio un punto di riferimento per noi perché tutto quello che dice o che fa ha una ripercussione enorme”.

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Nagorno Karabakh: uno status quo pieno di mine (Osservatorio Balcani e Caucaso 30.03.20)

Una storia che si ripete: la guerra tra Armenia e Azerbaijan è terminata ma lo stillicidio di vittime continua. I territori contesi sono infatti disseminati di mine e ordigni inesplosi

30/03/2021 –  Marilisa Lorusso

La seconda guerra per il Nagorno Karabakh (2020) si è conclusa con un nuovo status quo. Come la prima guerra (1988-1994) le sue conseguenze si protrarranno ben oltre il cessate il fuoco. L’accordo che ha posto fine alle ostilità prevede un sostanziale ritorno sotto la sovranità azera di territori in precedenza sotto il controllo delle de facto autorità karabakhi, nuovi confini di stato fra Armenia e Azerbaijan, e un numero elevato di situazioni dalla complessa gestione, fra cui vie di percorrenza e villaggi che si trovano ora in bilico fra una sovranità e l’altra.

A questo quadro già complesso si aggiunge l’onda lunga della guerra e dei suoi drammi: il difficile ritorno degli sfollati nelle proprie abitazioni, la questione dei prigionieri di guerra, il penoso e arduo recupero dei caduti civili e militari. E mentre si cerca di venire a capo di questi drammi individuali e collettivi, si continua a morire in Karabakh per lo stesso motivo per cui si è continuato a morire durante lo status quo 1994-2002: mine e ordigni inesplosi sono disseminati ovunque.

Il Karabakh minato

Il Karabakh è a lungo stata una delle zone più minate al mondo. Halo Trust, l’organizzazione non governativa internazionale che si è occupata, a partire dal 2000, di sminare il Karabakh sotto il controllo armeno aveva previsto di finire proprio nel 2020 il lavoro di rimozione degli ordigni rimasti dopo la prima guerra. In venti anni ha bonificato più di cinquecento campi minati (qui disponibile  una seppur parziale mappa). E in questi anni sono state diverse le vittime delle mine in Karabakh, tra loro anche personale di Halo Trust. I campi minati sono soggetti – come il resto del territorio – agli eventi atmosferici e idrogeologici, e la posizione delle mine risente quindi di scivolamenti a valle, delle inondazioni, delle frane, per cui anche avendo accesso alle informazioni sulla posa originale, cosa che non sempre avviene, questa può non corrispondere più alla reale distribuzione delle mine.

Stando alla presidenza azera il quadro ripete quello degli anni novanta, area estremamente minata, mancanza di trasparenza sulla collocazione dei campi minati, presenza di ordigni inesplosi in aree urbane. Halo Trust conferma la presenza di una quantità non stimabile di mine  , sia antiuomo che anticarro, e ha accertato il recupero di ordigni inesplosi conseguenza di tre tipi diversi di bombe a grappolo.

I numeri del dramma

Il 12 gennaio un armeno a Martakert è morto dopo aver urtato una mina con il suo escavatore. Lo stesso giorno un soldato azero è saltato in aria con la macchina su una mina anticarro. Il giorno dopo un azero ha colpito sempre con un escavatore una mina anticarro ed è rimasto ferito. Tre episodi in 24 ore, parte di una lunga e pietosa lista.

Secondo la procura dell’Azerbaijan  il bilancio, all’inizio dell’anno, in sessanta giorni è di 5 militari e 9 civili uccisi, 52 militari e 8 civili feriti. Una situazione drammatica che ha spinto lo stesso presidente azero Ilham Aliyev a lanciare un appello  : “Voglio fare appello a tutti i cittadini dell’Azerbaijan: chiedo loro di non entrare nelle terre liberate senza permesso. Da un lato capisco questi passaggi di persone che hanno aspettato tanti anni per tornare in patria, ogni ex sfollato vuole tornare in patria, al suo villaggio natale, ma chiedo loro di aspettare, i lavori di sminamento devono prima essere completati. Perché c’è un grande pericolo, sia per i pedoni che per i veicoli”.

Si stanno facendo carico dello sminamento Halo Trust, gli eserciti dei due contendenti, il contingente di peacekeeping russo e Amana, l’apposita agenzia azerbaijana  per la bonifica e il contrasto alle mine. In cooperazione con il ministero per le Emergenze russo l’Azerbaijan sta formando inoltre nuovo personale da impiegare nello sminamento.

I numeri sono già ora impressionanti. Amana sostiene di aver già rimosso e distrutto quasi 9000 mine fra anti-uomo e anti-carro, il bollettino quotidiano dei peacekeepers russi recita: “Dal 23 novembre 2020 sono stati rimossi ordigni esplosivi in 1.404 ettari di territorio, 438 km di strade, 1.340 edifici residenziali, comprese 29 strutture pubbliche; sono stati trovati e neutralizzati 24.294 oggetti esplosivi” (dati al 16 febbraio 2020  ).

Ottawa non è all’orizzonte

La disarmante sensazione è che si sia punto e a capo: una tragedia che si ripete di vittime che si moltiplicano a guerra finita, in un territorio martoriato da ordigni insidiosi che possono continuare a colpire per anni.

Questo nuovo status quo dovrebbe portare a una normalizzazione dei rapporti fra Armenia e Azerbaijan e all’apertura delle vie di trasporto e commercio. Già fervono i lavori in questa direzione. Si sostiene che questo intrecciarsi di commerci e interessi dovrebbe rendere una nuova guerra impossibile. In questo senso un segnale forte dovrebbe venire da Yerevan e Baku, un segnale che ha riassunto bene in un tweet  Zacharie Gross, ambasciatore francese in Azerbaijan: “Poiché la guerra è finita e l’enorme compito di sminamento è iniziato, sarebbe incoraggiante se l’Azerbaigian e l’Armenia potessero aderire insieme alla Convenzione di Ottawa per la messa al bando delle mine. 164 paesi fanno già parte del trattato”.

La così detta Convenzione di Ottawa  è la Convenzione sul divieto di utilizzo, stoccaggio, produzione e trasferimento di mine antiuomo e sulla loro distruzione. È stata firmata il 18 settembre 1997 ed è entrata in vigore il 1 marzo del 1999. Armenia e Azerbaijan non l’hanno mai sottoscritta.

E la storia si ripete: stessi incidenti, nuove vittime.

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