Ismail Qemal Vlora La voce del grande statista albanese contro la persecuzione degli Armeni (Albanianews.it 21.03.21)

Ismail Qemal Vlora, è rimasto spesso sconosciuto al mondo, anche a quello albanese, per la sua grande capacità diplomatica, lo straordinario acume la chiara visione della politica mondiale del suo tempo.

Passato alla storia per essere il fautore dell’Indipendenza albanese, gli è mancato il riconoscimento di grande politico e diplomatico di rango internazionale. Cosi come è stato ignorato a lungo il suo valore di testimone eccellente della storia dell’Europa orientale e balcanica, raccontata nelle sue «Memorie», fonte straordinaria per gli storici europei.

Ma la sua carriera all’interno della struttura statale ottomana fu straordinaria. Egli partecipò alla vita politica della Porta da posizioni liberali, alle quali non avrebbe rinunciato mai, anche nei momenti più critici; posizioni che anzi rivendicò sino alla fine, anche davanti al rischio di subire la collera dell’instabile Sultano Abdul Hamid e nonostante l’esilio a cui andò incontro. Liberale e fautore di una Turchia riformata secondo principi democratici occidentali, egli era stato sin da giovane uno dei più stimati esperti e consiglieri del Gran visirato e della Corte sulla politica europea. La sua visione liberale gli consentiva la possibilità di valutare positivamente la diversità culturale, etnica  e religiosa dell’Impero. Vedeva nelle varie culture dell’Impero della mezzaluna o “nazioni”, come lui le chiamava, una vera ricchezza, non molto dissimile da quella esistente fra gli Stati europei. Non soltanto la sua cultura duplice di albanese e ottomano e la sua conoscenza del greco, del turco e di diverse lingue occidentali, ma anche la scelta di sposare un’ortodossa (greca di origini albanesi) gli permisero di formarsi una visione delle cose sganciata da rigidità etno-culturali.

Uno degli aspetti principali che contraddistinsero questa visione del mondo fu l’importanza attribuita al dialogo. La grande virtù di Vlora, Il saggio (i Urti) com’era chiamato, fu infatti la fede nella buona parola: la convinzione che attraverso il dialogo e l’ascolto dell’Altro di potesse arrivare alla pacifica convivenza e contribuire così al progresso dell’umanità. Inoltre, credeva fermamente che l’integrità morale e la lealtà del «Politico», dell’uomo di Stato, contribuissero e un buon rapporto con la popolazione e all’emancipazione della società. Virtù, queste, che i suoi compatrioti albanesi per primi non compresero e arrivarono persino a stigmatizzare con superficiale noncuranza. Forse però – come sostenne il diplomatico italiano Pietro Quaroni – in quell’Albania dei primi del ‘900 risultava ancora alquanto difficile comprendere la visione di un uomo «troppo occidentale».

Preoccuparsi per gli Armeni

Alto funzionario della Porta, Segretario generale agli Esteri, Consigliere presso il Gran Vizir, Governatore di Tripoli, proposto varie volte come Ministro degli Interni e degli Esteri, diretto e insigne collaboratore del Sultano, Vlora è stato uno dei pochi politici del periodo a occuparsi della «questione armena», condannando la persecuzione, lo fece sin dalla prima ondata del 1893-94 e poi ancora nelle sue «Memorie», in tempi ancora non sospetti, fra il 1917 e il 1919. Vlora rimase profondamente colpito del trattamento riservato agli Armeni, «per i quali – scriveva – nutro un attaccamento non soltanto nel senso politico, ma anche sotto un aspetto umano e personale». Fra i suoi intimi amici e fra gli uomini di Stato ottomani che più stimava vi erano Armeni. Vlora racconta: «ho avuto modo di studiare la loro anima e misurare le loro capacità intellettuali e morali», amareggiato che un popolo di tanto valore avesse a subire una persecuzione così assurda e violenta, che gli appariva inspiegabile. «Non ho mai potuto spiegare né capire, così come non ho mai potuto esserne acquiescente, il martirio sofferto da questa gente brava e laboriosa attraverso una qualche teoria della capricciosa aberrazione di Abdul Hamid», scriveva. Tempo addietro, questo antico popolo era considerato – fra i non convertiti – il «sadik milleti», il popolo fedele. Ma i tempi moderni sembrano peggiori da questo punto di vista, paradossalmente meno tolleranti e più violenti. La modernità appare foriera di una funzione moderatrice soltanto in una democrazia già costituitasi nel tempo; altrove, lì dove viene soltanto scimmiottata, pare che partorisca aberrazioni.

Amante della democrazia britannica e difensore della libertà individuali, Vlora vide nella repressione degli Armeni l’espressione dell’odio personale di un sovrano insicuro, sospettoso e imbevuto di assolutismo orientale e quindi incapace di comprendere forme di libertà e indipendenza aliene dal proprio potere. I motivi gli sembrano evidenti: gli Armeni, erano cristiani e il sultano non poteva controllare la loro formazione, le loro idee e la loro cultura, ma allo stesso tempo, a differenza dei sudditi musulmani che venivano controllati ed educati alla sottomissione, parlando il turco potevano diffondere idee liberali nell’impero che le autorità non avrebbero potuto controllare e censurare. Non a caso il sultano mostrava un’idiosincrasia particolare per i principali consiglieri e ministri armeni della storia, fautori di politiche liberali e modernizzanti a lui invise poiché credeva indebolissero il suo potere personale. Gli armeni, inoltre, intrattenevano, per motivi di commercio, rapporti stretti con la Gran Bretagna e il sultano non soffriva l’ingerenza della Potenza occidentale, senza comprendere che era l’unica che avrebbe potuto salvare, in quel frangente, il “morente d’Oriente” – come Vlora rimarcava con acume. Ma al di là di questo aspetto legato alla politica interna del Sultano, Vlora sottolinea un altro fattore molto importante, spesso negletto: il fatto che da tempo gli Armeni vivessero malissimo e venissero perseguitati dalla stessa Russia, che nei nuovi territori conquistati alla Porta (Trattato di Adrianopoli 1829), ove abitavano armeni, aveva iniziato verso questi una politica di persecuzione e di denazionalizzazione, provocando in loro atteggiamenti radicali, che spaventarono un Sultano sospettoso e insicuro. Così la popolazione armena si trovò senza sostegno, poiché la Russia faceva il doppio gioco: fingendo di proteggere gli Armeni in quanto cristiani e allo stesso tempo garantendo a parole alla Porta «appoggio in ogni circostanza», anche nel caso della persecuzione di una popolazione cristiana. Infatti «c’è da chiedersi – scrive Vlora – dove egli [il Sultano] trovasse il coraggio necessario per fare quello che fece? […] In cosa faceva affidamento osando commettere crimini del genere senza temere reazioni dell’Europa?». Sicuramente la condotta della Russia e i vari giochi di potere delle altre Potenze davano al Sultano una garanzia d’impunità. Da politico navigato che conosceva molto bene le dinamiche internazionali, Vlora consigliava al Sultano di non fidarsi dello Zar, e proponeva invece di seguire la via della modernizzazione costituzionale e della conquista dell’appoggio delle forze occidentali, evitando invece, con particolare scrupolo, proprio la lotta intestina fra le diverse etnie sulla quale il nemico contava. Egli intraprese uno strenuo processo diplomatico per giungere ad una sorta di collaborazione fra la Porta e la Gran Bretagna, in modo tale da portare il Sultano a rinunciare alla sua politica neo-assolutista e soprattutto a fermare la persecuzione in atto. Per ottenere ciò, era arrivato a suggerire ai diplomatici di Londra che la Gran Bretagna si presentasse con le sue navi da guerra al Bosforo per imporre con la forza, se necessario, le riforme e soprattutto la soppressione delle persecuzioni contro gli armeni.

Ma la fatalità dei triti eventi sarebbe continuata. «Le navi arrivarono»  – scrive Vlora – «però i massacri continuarono ugualmente e l’Europa non ci pensò più»; mentre l’Impero ottomano, animale morente, completò la sua «persecuzione armena» durante la I guerra mondiale, tra il 1915-1916, ma in pochi sanno che tutto ciò era iniziata molto prima.

Così, questo grande Statista albanese, in linea con la cultura del proprio Popolo, fu anche uno dei primi uomini ottomani a denunciare e a prendere le distanze da questo orrendo crimine, a cui molti altri sarebbero seguiti, con un’Europa, spettatrice, come in altre occasioni si rivelerà. Fu anche questo olocausto a scuotere Vlora, a portarlo a interrogarsi sul destino del proprio popolo e a indurlo a impegnarsi in prima persona per l’indipendenza albanese, ora che l’età dell’odio era cominciata.

Uomo straordinario Ismail Qemal Vlora, venuto dal futuro per un’Albania ancorata al Medioevo, non solo sarà incompreso e frainteso dai suoi coetanei del primo ‘900, ma sarà censurato per altri 70 anni. I due regimi, quello di Zog prima e quello di Hoxha dopo, non hanno mai permesso la pubblicazione delle sue «Memorie», delle quali bisognerà aspettare la caduta del regime comunista. Molto poco della sua straordinaria “Opera” (non soltanto in riferimento alla questione nazionale) è stato consegnato agli albanesi e ciò è anche comprensibile, poiché davanti a un uomo di questa statura, alle sue teorie politiche, al suo straordinario senso per la res publica o anche semplicemente alla sua vita o alla sua la capacità di tradurla in «racconto», i piccoli dittatori, come ogni altro uomo politico albanese recente, scomparirebbero.

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Armenia, premier Pashinyan conferma acquisto caccia russi Su-30 senza missili nel 2020 (Sputniknews 21.03.21)

Il capo del governo armeno Nikol Pashinyan ha confermato che Yerevan aveva acquistato i caccia russi Su-30SM senza missili nel maggio 2020, alcuni mesi prima della ripresa del conflitto con l’Azerbaigian nella regione contesa del Nagorno-Karabakh.

“Sì, abbiamo acquistato il caccia, è stato consegnato a maggio, non abbiamo avuto il tempo di acquisire i missili prima della guerra. Comprereste aerei per acquistare missili? Perché uno Stato di 26 anni come l’Armenia non ha caccia?” ha dichiarato il premier armeno in un incontro avvenuto il fine settimana con i cittadini della regione di Aragatsotn.

L’ex capo di Stato Maggiore dell’esercito armeno Movses Hakobyan ha dichiarato a novembre che i caccia erano senza missili adatti a questo velivolo, in quanto la Russia vieta la vendita di missili per il modello Su-30SM ad altri Paesi. Le autorità armene hanno taciuto sul tema fino a poco tempo fa.

Alla fine dello scorso settembre sono riprese le ostilità nel Nagorno-Karabakh, un conflitto di lunga data rimasto congelato tra armeni e azeri. Le parti hanno intrapreso diversi tentativi per firmare una tregua, ma solo l’accordo trilaterale raggiunto il 10 novembre 2020 con la mediazione di Mosca ha avuto successo nel far tacere le armi.

Con la mediazione di Mosca, l’Azerbaigian e l’Armenia hanno deciso di introdurre un armistizio e scambiarsi i prigionieri ed i corpi dei caduti nelle operazioni militari. Yerevan ha ceduto i distretti di Kalbajar, Lachin e Agdam al controllo delle autorità azerbaigiane. Inoltre l’accordo ha previsto lo schieramento di forze di pace russe nella regione.

Il conflitto nel Nagorno-Karabakh è scoppiato nel febbraio 1988, quando la regione autonoma del Nagorno-Karabakh annunciò la sua secessione dalla Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaigian. Durante il conflitto armato tra il 1992-1994, l’Azerbaigian ha perso il controllo del Nagorno-Karabakh e delle aree adiacenti. Dal 1992 venivano portati avanti colloqui tra le parti in conflitto per una soluzione pacifica con la mediazione del Gruppo di Minsk dell’Osce, guidato da Russia, Stati Uniti e Francia.

Roma – Ambasciatrice Hambardzumyan: “L’Armenia ricorderà a lungo il 2020” (Assadakah 20.03.21)

L’ambasciatrice della Repubblica di Armenia, S.E. Tsovinar Hambardzumyan, ha commentato, in una dichiarazione ufficiale, il punto di vista del proprio Paese, non ancora uscito dalle conseguenze lasciate dal recente conflitto in cui è stato coinvolto, in seguito all’aggressione azera alla piccola repubblica del Nagorno-Karabakh, o Artsakh: “L’Armenia sta attraversando un momento davvero difficile, e non scorderà facilmente l’anno appena passato, sia per la pandemia che per le conseguenze nel sistema sociopolitico interno. Il bilancio di quella che i media hanno definito la Guerra del Nagorno-Karabakh è drammatico, per la sconfitta subita e per l’alto numero di vittime civili e militari. Per quanto riguarda i rapporti bilaterali con l’Italia, sono ottimi sia sul piano storico che culturale, ma recentemente, a causa della crescita esponenziale che l’Azerbaijan ha avuto nel settore dell’oil & gas, qualcosa è cambiato. Gli interessi italiani nel settore energetico azero sono evidenti, ma non ostacolano in alcun modo le relazioni italo-armene.

Il presidente della Repubblica di Armenia, Armen Sarkissyan

È difficile che si possa trovare un qualunque altro Paese dove sono stati siglati così tanti documenti in supporto all’indipendenza della Repubblica di Artsakh. Penso che ci siano più di quaranta municipalità e due importanti regioni, Lombardia e Piemonte, che hanno approvato mozioni per il riconoscimento di Artsakh. Siamo veramente grati e non lo dimenticheremo. L’Armenia ha altresì apprezzato la posizione bilanciata del governo italiano, a conoscenza delle criticità nella regione, e speriamo che il Paese mantenga la sua posizione equilibrata nelle dichiarazioni e azioni riguardanti il conflitto del Nagorno-Karabakh. Siamo determinati a elevare le nostre relazioni economiche al livello del nostro dialogo politico. Gli investimenti italiani in Armenia crescono di anno in anno. Attualmente in Armenia ci sono più di 170 compagnie con la partecipazione di capitali italiani. Sta crescendo anche l’interesse degli imprenditori italiani in Armenia, gli investimenti effettuati nell’ultimo periodo fanno riferimento ai settori tessile, ceramico ed energetico. Negli ultimi tre anni, il nostro fatturato commerciale è costantemente aumentato. Purtroppo, a causa della pandemia da coronavirus, lo scorso anno abbiamo registrato una piccolissima diminuzione del fatturato commerciale di circa il 12%. L’adesione dell’Armenia all’Unione Economica Eurasiatica, così come il Comprehensive and Enhanced Partnership Agreement firmato con l’Unione Europea ed entrato in vigore il 1 marzo, offrono nuove opportunità per l’espansione della cooperazione tra Armenia e Italia nella sfera economica. Investendo in Armenia gli imprenditori italiani potranno accedere, senza dazi doganali, a un mercato dell’Unione Economica Eurasiatica forte di 180 milioni di consumatori. Le nostre interazioni culturali hanno radici storiche profonde: il primo libro stampato in lingua armena fu pubblicato a Venezia nel 1512. Per i cristiani armeni è di immenso valore che le reliquie di San Gregorio l’Illuminatore, il primo Patriarca, il Catolicos della Chiesa Apostolica Armena, sono conservati nelle chiese di San Gregorio Armeno a Napoli e Nardò. Uno dei centri più importanti della rinascita della cultura armena in epoca moderna è l’isola di San Lazzaro a Venezia, dove esiste da quasi tre secoli la Congregazione dei Padri Mechitaristi. È un importante centro di armenologia, che ha dato il suo inestimabile contributo all’arricchimento del patrimonio scientifico e culturale armeno e mondiale. A tal proposit, l’Italia ospita il maggior numero di centri di armenologia al mondo. Il centro di armenologia più sviluppato in Europa è stata la Congregazione Mechitarista Armena sull’isola di San Lazzaro, ma anche presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, nelle Università di Firenze, Milano, Bologna, Pisa e il Pontificio Istituto Orientale di Roma. I legami fra i nostri popoli sono così forti e profondi che dopo l’indipendenza dell’Armenia dall’URSS non ci sono voluti particolari sforzi per stabilire eccellenti relazioni interstatali con l’Italia”.

Il premier armeno Nikol Pashinyan

Per quanto riguarda le relazioni con l’Unione Europea, l’ambasciatrice Hambardzumyan ha dichiarato: “Unione Europea e Armenia hanno costantemente ribadito l’impegno a rafforzare e approfondire la loro cooperazione in tutte le aree possibili. L’Unione Europea è sempre stata il nostro principale partner nel campo delle riforme e della modernizzazione. Come ho già accennato, il 1 marzo è entrato in vigore l’Armenia-European Union Comprehensive and Enhanced Partnership Agreement (CEPA). Questo accordo porta le relazioni bilaterali tra l’Armenia e l’Unione Europea a un nuovo livello di partenariato e regola il dialogo nella sfera politica ed economica, nonché la cooperazione settoriale. Il CEPA è un documento inclusivo, che crea una solida base giuridica per il partenariato Armenia-UE, delineando la cooperazione in vari ambiti, che vanno dalla giustizia, la sicurezza, l’economia, l’agricoltura e le infrastrutture all’ambiente, il clima, l’istruzione, la scienza, la cultura, la salute, eccetera. L’efficace attuazione dell’accordo porterà risultati tangibili ai nostri cittadini promuovendo la democrazia, la stabilità politica, economica e sociale attraverso ampie riforme, migliorando così la qualità di vita dei nostri cittadini. Tutti hanno bisogno di petrolio e gas, calore ed elettricità, senza dubbio. Tuttavia, quando si tratta di diritti umani e questioni umanitarie, l’Unione Europea è schietta. Consentitemi di menzionare che ci sono stati annunci in difesa del rilascio immediato e incondizionato dei prigionieri di guerra, degli ostaggi e di altre persone detenute con la forza a tutti i livelli possibili, da parte del Parlamento europeo, del Servizio europeo per l’Azione Esterna e dell’Istituto del Mediatore Europeo”.

In merito alla situazione nel teatro geopolitico del Caucaso, l’ambasciatrice così si è espressa: “L’Armenia è sempre sinonimo di stabilità, pace e cooperazione nella regione, tuttavia, per il suo funzionamento efficace, prima di tutto, è necessario creare un clima di fiducia, che chiaramente manca tra i paesi della regione. Sfortunatamente, la Turchia e l’Azerbaigian non fanno distinzione fra i mezzi per portare avanti la loro politica aggressiva e stanno costantemente intraprendendo misure per trasformare la nostra regione in un focolaio di terrorismo. Il livello di armenofobia sta stabilendo nuovi “record”. Decine di prigionieri di guerra armeni sono ancora in Azerbaigian. L’Azerbaijan ha occupato i territori dell’Artsakh vero e proprio e la distruzione del patrimonio storico-culturale armeno continua. L’articolo 9 della dichiarazione trilaterale sul cessate il fuoco del 9 novembre recita che “tutti i collegamenti economici e di trasporto nella regione saranno sbloccati”, il che è di per sé un passo positivo verso la creazione della stabilità regionale, così come le prospettive di cooperazione. Lo sblocco delle comunicazioni andrà non solo a vantaggio dell’area armeno-azera, ma anche di una regione molto più ampia. Tuttavia senza fiducia e un’atmosfera adeguata tale provvedimento è destinato al fallimento. Come immagina la circolazione sicura delle persone e lo scambio di merci quando ci sono ancora diverse dozzine di prigionieri di guerra detenuti nelle carceri azere, sottoposti a trattamenti disumani, torture e sofferenze con accuse assolutamente fasulle? Diversamente è naturale che lo sblocco delle comunicazioni economiche e del trasporto possa creare nuove opportunità per lo sviluppo economico e l’integrità dell’intera regione. Inoltre, in tal caso, potrebbe esserci l’opportunità di stabilire collegamenti di trasporto tra il Golfo Persico e il Mar Nero. Naturalmente, la creazione di questa rete servirà gli interessi di tutti gli stati coinvolti. L’Armenia ha dovuto affrontare gravi problemi socioeconomici a causa del Covid-19 e dell’aggressione dell’Azerbaigian contro l’Artsakh, che non potevano essere affrontati efficacemente con i mezzi tradizionali. Partendo da questo presupposto, il governo ha abbracciato l’idea di sviluppare il Government’s Economic Response Program e di renderlo effettivo. Il programma mira a raggiungere almeno due obiettivi prioritari specificati nel piano d’azione pubblicato il 18 novembre 2020: superare gli shock causati dalla pandemia globale e dalla guerra, e poi ripristinare e riportare l’economia sui binari dello sviluppo sostenibile. Con questo programma anti-crisi, il governo sta cercando di stabilizzare la situazione economica nel nostro Paese con un complesso di misure mirate, per ravvivare le aspettative dei cittadini e preparare solide basi per uno sviluppo continuo”.

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La leggenda dell’Isola di Akdamar, l’ultimo paradiso degli armeni (Siviaggia.it 20.03.21)

L’intera regione di Van ha ricoperto un ruolo fondamentale nella storia e nella cultura degli Armeni, considerata un vero e proprio paradiso terrestre da tutta la comunità. Qui, attorno al grande e omonimo lago dominato dall’imponente vulcano spento Sipan, sorgevano villaggi, città e fortezze. Mentre sulle sue sponde si sviluppano regni e civiltà, il lago ospitava, e lo fa ancora, le isole Kuš, Adır, Çarpana e quella di Akdamar.

La storia dell’Armenia intera è stata molto controversa e si districa ancora oggi tra narrazioni, mistificazioni e leggende. La maggior parte dei resti di una civiltà imponente come quella armena sono andati distrutti o sono in rovina. Resta però un eccezione, quello della Chiesa della Santa Croce sull’isola di Akdamar.

Una posizione suggestiva che crea un’atmosfera favolistica e idilliaca, ultimo baluardo del paradiso perduto degli Armeni. La chiesa, costruita tra il il 915 e il 921 d.C. per volere del re armeno Gagik, è stata restaurata dal governo turco con l’obiettivo di preservare il patrimonio storico e culturale.

Dopo un lungo lavoro di restauro curato dall’architetto turco Zakaryan Mildanoğlu, questo gioiello architettonico è stato riportato alla luce diventano l’attrazione principale dell’isola dove, oggi, vengono organizzare numerose escursioni e gite giornaliere. Il paesaggio che circonda la chiesa rende l’isola un piccolo paradiso incontaminato: l’acqua del lago di Van sembra proteggere un lembo di terra caratterizzato da una lussureggiante.

La bellezza del paesaggio ha stimolato nell’immaginario collettivo la narrazione di una leggenda popolare che ancora oggi persiste nelle aree dell’Anatolia e che spiega le origini dell’isola. La storia vuole che la giovane Tamara, figlia di un religioso armeno, conobbe un pescatore che operava dall’altra sponda del lago. Tra i due nacque un amore segreto, consumato di notte. Ma quella relazione fu ostacolata dal padre della fanciulla che, una sera, disorientò il giovane pescatore, intento a raggiungere l’amata sull’isola a nuoto, facendolo annegare. Si narra che, le ultime parole del giovane, furono dedicate alla sua Tamara, così l’isola prese il nome di “Ah Tamar” e poi di Akdamar.

Nel 1951, un giovanissimo Yasar Kemal, giunse nella provincia di Van per un reportage e, in quell’occasione, vide la splendida chiesa di Akdamar in rovina. Le autorità in quel periodo avevano scelto di demolirla perché la consideravano di nessuna utilità, ma grazie alla battaglia del giornalista, appoggiata da personalità influenti del Paese, l‘edificio fu salvato e venne conosciuto in tutto il mondo.

Oggi la chiesa è esattamente lì, in tutto il suo splendore monumentale, ed è diventata meta di pellegrinaggio per i cittadini e attrazione turistica per i viaggiatori di tutto il mondo.

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Azerbaijan | armi israeliane hanno dato una svolta alla guerra? (Periodicodaily 19.03.21)

Israele è stato un importante fornitore di armi all’Azerbaijan durante il conflitto col l’Armenia. Ora, molti si chiedono se le armi israeliane abbiano migliorato o peggiorato la guerra. Secondo un rapporto di Itai Anghel, le armi israeliane hanno svolto un ruolo importante, permettendo all’Azerbaijan di conquistare la vittoria. Tuttavia non è chiaro se questo sia positivo o negativo per l’immagine di Israele.

Azerbaijan: armi israeliane hanno avuto un ruolo importante nella guerra?

Israele è stata la fonte di importazione di armi dell’Azerbaijan negli ultimi cinque anni. I droni israeliani hanno svolto un ruolo importante nella guerra tra Azerbaijan e Armenia. Molti ora si chiedono se le armi israeliane abbiano peggiorato o migliorato la guerra. La domanda che emerge principalmente è se i sistemi israeliani abbiano provocato meno vittime per entrambi le parti, accelerando la vittoria dell’Azerbaijan o costringendo la Russia a entrare come pacificatore.

Un rapporto di Itai Anghel sul programma Uvda di Channel 12, così come un rapporto sulle vendite internazionali di armi del SIPRI, mostra quanto siano state importanti le vendite di armi israeliane all’Azerbaijan negli ultimi dici anni. Secondo il rapporto il 69% delle armi dell’Azerbaijan arrivano da Israele. Anghel inoltre ha rivelato il ruolo importante che i droni israeliani come Harop hanno svolto nella guerra azzero-armena. Molti si sono chiesti se le armi israeliane sono state usate in modo improprio o addirittura se Israele abbia un interesse nel conflitto.

Il rapporto evidenzia che la guerra tra Armenia e Azerbaijan dello scorso anno ha avuto meno vittime di quella combattuta negli anni ’90.  Per gli Armenia è stata una tragedia, con molti che hanno perso le proprie case. Tuttavia, da un punto di vista militare o di difesa, sembra che molti paesi stiano imparando le lezioni dell’uso dei droni e delle difese aeree da parte dell’Azerbaijan per eseguire una vittoria rapida su un avversario che aveva un vantaggio sull’equipaggiamento.

L’uso delle armi da parte degli azzeri è positivo per l’immagine di Israele?

La vendita di armi rappresenterà sempre un punto controverso. Non ci sono prove però che le armi israeliane nelle mani degli azeri siano state usate in modo improprio. Il rapporto tuttavia non mostra quanto siano efficienti le armi e se sono state evitate vittime civili. Inoltre resta da vedere se l’uso di armi israeliane da parte dell’Azerbaijan sarà positivo per l’immagine di Israele come fornitore di tecnologia di difesa o danneggi anche le relazioni a lungo termine di Israele con l’Armenia.

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Dopo la guerra, il voto: l’Armenia va alla urne a giugno (Business insider 19.03.21)

Nikol Pashinyan, primo ministro dell‘Armenia, ha fissato elezioni parlamentari anticipate per il prossimo giugno. La chiamata al voto è un modo per cercare di porre fine a una grave crisi politica che ha travolto il paese dopo la fine della guerra contro l’Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh. Nelle settimane successive alla fine del conflitto (rovinosamente perso dall’Armenia) in molti, dall’opposizione e non solo hanno chiesto le dimissioni del premier Pashinyan che però, almeno sino ad ora, ha sempre rifiutato di rimettere il mandato, forte di un consenso che rimane ancora alto nel Paese e in ragione del quale conta di vincere ancora il prossimo voto di giugno.

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Armenia, premier annuncia elezioni parlamentari anticipate a giugno (LaPresse 18.03.21)

Yerevan (Armenia), 18 mar. (LaPresse/AP) – Il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha annunciato che a giugno si terranno elezioni parlamentari anticipate, nel tentativo di disinnescare la crisi politica in corso nel Paese.

L’ARMENIA DOPO IL NAGORNO-KARABAKH. INCONTRO CON L’AMBASCIATRICE TSOVINAR HAMBARDZUMYAN (Notiziegeopolitiche 18.03.21)

L’Armenia ricorderà a lungo l’anno 2020. La nazione infatti non solo ha dovuto confrontarsi con la pandemia mondiale, ma ha anche dovuto fronteggiare una guerra nel Nagorno-Karabakh, che l’ha vista sconfitta contro l’avversario azero con importanti conseguenze nel sistema sociopolitico interno. In seguito a sei settimane di combattimenti il bilancio di quella che i media hanno definito la Guerra del Nagorno-Karabakh è drammatico, per la sconfitta subita e per l’alto numero di vittime civili e militari.
Il 10 novembre 2020 a Mosca, alla presenza del presidente Vladimir Putin, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ed il presidente azero Ilham Aliyev hanno firmato un accordo di pace, evento che ha portato al sollevarsi di manifestazioni antigovernative a Yerevan.
Ad oggi, secondo quanto riportato dai media locali ed internazionali, la Repubblica caucasica è attraversata da una crisi politica interna che si somma alla recessione economica causata dall’erompere della pandemia e alla gestione delle conseguenze del conflitto nel Nagorno-Karabakh.
Abbiamo incontrato Tsovinar Hambardzumyan, ambasciatore della Repubblica di Armenia in Italia, per discutere le relazioni bilaterali italo-armene e la politica estera perseguita da Yerevan in seguito al conflitto.

– L’Italia e l’Armenia hanno sempre avuto forti relazioni diplomatiche, culturali e storiche, ma recentemente, a causa della crescita esponenziale che l’Azerbaijan ha avuto nel settore dell’oil & gas, qualcosa è cambiato. Qual è lo stato attuale delle relazioni italo-armene tenendo conto che l’Italia (come molti paesi europei) sembra più interessata al settore energetico azero e non ha supportato attivamente l’indipendenza di Artsakh nel recente conflitto?
“Prima di tutto vi ringrazio per l’interesse e per questa intervista. Parlando onestamente non sono del tutto d’accordo con le vostre affermazioni. Gli interessi italiani nel settore energetico azero sono evidenti, ma non adombrano in alcun modo le relazioni italo-armene. È difficile che si possa trovare un qualunque altro paese del mondo dove sono stati siglati così tanti documenti in supporto all’indipendenza della Repubblica di Artsakh. Penso che ci siano più di quaranta municipalità e due importanti regioni, la Lombardia ed il Piemonte, che hanno approvato mozioni per il riconoscimento di Artsakh. Siamo veramente grati e non lo dimenticheremo mai.
L’Armenia ha altresì apprezzato la posizione bilanciata del governo italiano. L’Italia è a conoscenza delle criticità nella regione e speriamo che il paese mantenga la sua posizione equilibrata nelle sue dichiarazioni e azioni riguardanti il conflitto del Nagorno-Karabakh.
Siamo determinati a elevare le nostre relazioni economiche al livello del nostro dialogo politico. Gli investimenti italiani in Armenia crescono di anno in anno. Attualmente in Armenia ci sono più di 170 compagnie con la partecipazione di capitali italiani. Sta crescendo anche l’interesse degli imprenditori italiani in Armenia, gli investimenti effettuati nell’ultimo periodo fanno riferimento ai settori tessile, ceramico ed energetico.
Negli ultimi tre anni, il nostro fatturato commerciale è costantemente aumentato. Purtroppo, a causa della pandemia da coronavirus, lo scorso anno abbiamo registrato una piccolissima diminuzione del fatturato commerciale di circa il 12%.
L’adesione dell’Armenia all’Unione Economica Eurasiatica, così come il Comprehensive and Enhanced Partnership Agreement firmato con l’Unione Europea ed entrato in vigore il 1 marzo, offrono nuove opportunità per l’espansione della cooperazione tra Armenia e Italia nella sfera economica. Investendo in Armenia gli imprenditori italiani potranno accedere, senza dazi doganali, a un mercato dell’Unione Economica Eurasiatica forte di 180 milioni di consumatori.
Le nostre interazioni culturali hanno radici storiche profonde: il primo libro stampato in lingua armena fu pubblicato a Venezia nel 1512. Per i cristiani armeni è di immenso valore che le reliquie di San Gregorio l’Illuminatore, il primo Patriarca, il Catolicos della Chiesa Apostolica Armena, sono conservati nelle chiese di San Gregorio Armeno a Napoli e Nardò.
Uno dei centri più importanti della rinascita della cultura armena in epoca moderna è l’isola di San Lazzaro a Venezia, dove esiste da quasi tre secoli la Congregazione dei Padri Mechitaristi. È un importante centro di armenologia, che ha dato il suo inestimabile contributo all’arricchimento del patrimonio scientifico e culturale armeno e mondiale. A tal proposit, l’Italia ospita il maggior numero di centri di armenologia al mondo. Il centro di armenologia più sviluppato in Europa è stata la Congregazione Mechitarista Armena sull’isola di San Lazzaro, ma anche presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, nelle Università di Firenze, Milano, Bologna, Pisa e il Pontificio Istituto Orientale di Roma.
I legami fra i nostri popoli sono così forti e profondi che dopo l’indipendenza dell’Armenia dall’URSS non ci sono voluti particolari sforzi per stabilire eccellenti relazioni interstatali con l’Italia”.

– Prima e durante il conflitto Bruxelles non ha svolto un ruolo attivo, ma dopo l’accordo di pace firmato a novembre, l’Unione Europea ha avviato una grande campagna diplomatica e di investimenti a favore dei progetti socioeconomici azeri in Nagorno-Karabakh (ad esempio, il progetto “The European Union for Azerbaijan”). Come percepiscono oggi il suo paese e gli armeni l’Unione europea?
“L’Unione Europea e l’Armenia hanno costantemente ribadito il loro impegno a rafforzare e approfondire la loro cooperazione in tutte le aree possibili. L’Unione Europea è sempre stata il nostro principale partner nel campo delle riforme e della modernizzazione. Come ho già accennato, il 1 marzo è entrato in vigore l’Armenia-European Union Comprehensive and Enhanced Partnership Agreement (CEPA). Questo accordo porta le relazioni bilaterali tra l’Armenia e l’Unione Europea a un nuovo livello di partenariato e regola il dialogo nella sfera politica ed economica, nonché la cooperazione settoriale.
Il CEPA è un documento inclusivo, che crea una solida base giuridica per il partenariato Armenia-Ue, delineando la cooperazione in vari ambiti, che vanno dalla giustizia, la sicurezza, l’economia, l’agricoltura e le infrastrutture all’ambiente, il clima, l’istruzione, la scienza, la cultura, la salute, eccetera.
L’efficace attuazione dell’accordo porterà risultati tangibili ai nostri cittadini promuovendo la democrazia, la stabilità politica, economica e sociale attraverso ampie riforme, migliorando così la qualità di vita dei nostri cittadini.
Tutti hanno bisogno di petrolio e gas, calore ed elettricità, senza dubbio. Tuttavia, quando si tratta di diritti umani e questioni umanitarie, l’Unione Europea è schietta. Consentitemi di menzionare che ci sono stati annunci in difesa del rilascio immediato e incondizionato dei prigionieri di guerra, degli ostaggi e di altre persone detenute con la forza a tutti i livelli possibili, da parte del Parlamento europeo, del Servizio europeo per l’AzioneeEsterna e dell’Istituto del Mediatore europeo”.

Veduta di Erevan. (Foto: Notizie Geopolitiche / EO).

– In che modo il recente conflitto del Nagorno-Karabakh ha cambiato il quadro territoriale e geopolitico del Caucaso meridionale?
“L’Armenia è sempre sinonimo di stabilità, pace e cooperazione nella regione, tuttavia, per il suo funzionamento efficace, prima di tutto, è necessario creare un clima di fiducia, che chiaramente manca tra i paesi della regione. Sfortunatamente, la Turchia e l’Azerbaigian non fanno distinzione fra i mezzi per portare avanti la loro politica aggressiva e stanno costantemente intraprendendo misure per trasformare la nostra regione in un focolaio di terrorismo. Il livello di armenofobia sta stabilendo nuovi “record”. Decine di prigionieri di guerra armeni sono ancora in Azerbaigian; L’Azerbaigian ha occupato i territori dell’Artsakh vero e proprio e la distruzione del patrimonio storico-culturale armeno continua.
L’articolo 9 della dichiarazione trilaterale sul cessate il fuoco del 9 novembre recita che “tutti i collegamenti economici e di trasporto nella regione saranno sbloccati”, il che è di per sé un passo positivo verso la creazione della stabilità regionale, così come le prospettive di cooperazione. Lo sblocco delle comunicazioni andrà non solo a vantaggio dell’area armeno-azera, ma anche di una regione molto più ampia. Tuttavia senza fiducia e un’atmosfera adeguata tale provvedimento è destinato al fallimento. Come immagina la circolazione sicura delle persone e lo scambio di merci quando ci sono ancora diverse dozzine di prigionieri di guerra detenuti nelle carceri azere, sottoposti a trattamenti disumani, torture e sofferenze con accuse assolutamente fasulle?
Diversamente è naturale che lo sblocco delle comunicazioni economiche e del trasporto possa creare nuove opportunità per lo sviluppo economico e l’integrità dell’intera regione. Inoltre, in tal caso, potrebbe esserci l’opportunità di stabilire collegamenti di trasporto tra il Golfo Persico e il Mar Nero. Naturalmente, la creazione di questa rete servirà gli interessi di tutti gli stati coinvolti”.

– I media internazionali e locali hanno sottolineato l’impatto decisivo della pandemia e del conflitto sulla politica interna armena. Potrebbe descrivere quale strategia ha stabilito il governo per superare i problemi socioeconomici e politici?
“L’Armenia ha dovuto affrontare gravi problemi socioeconomici a causa del COVID-19 e dell’aggressione dell’Azerbaigian contro l’Artsakh, che non potevano essere affrontati efficacemente con i mezzi tradizionali. Partendo da questo presupposto, il governo ha abbracciato l’idea di sviluppare il Government’s Economic Response Program e di renderlo effettivo. Il programma mira a raggiungere almeno due obiettivi prioritari specificati nel piano d’azione pubblicato il 18 novembre 2020: superare gli shock causati dalla pandemia globale e dalla guerra, e poi ripristinare e riportare l’economia sui binari dello sviluppo sostenibile. Il programma prevede 38 attività, tra le quali:
> Coltivazione e trasformazione di colture agricole ad alto valore aggiunto: una di queste
soluzioni è la coltivazione di nuovi tipi di colture, in particolare la canapa industriale, che non solo è preferibile ed economica in termini di prezzo, ma è anche una fonte di materie prime di alta qualità. Può essere utilizzato nell’industria tessile, nella produzione di carta e materiali da costruzione, nell’esportazione di semi di colture e olio.
> Introduzione di uno strumento provvisorio di emergenza nelle procedure di appalto pubblico: lo scopo di questa attività è promuovere la partecipazione delle imprese locali agli appalti pubblici. Attraverso un tale strumento, il governo sovvenzionerà le aziende locali che utilizzeranno la manodopera locale e le risorse di produzione per fornire i loro servizi. Ciò si tradurrà in un maggiore interesse delle aziende locali per gli appalti pubblici e renderà il processo più competitivo. Inoltre, le imprese riceveranno un sostegno effettivo dal governo tramite sussidi. Con questo provvedimento, infatti, il governo contribuirà anche alla crescita della produzione locale e all’attivazione del mercato del lavoro del paese. Questa attività mira alle risorse armene interne di manodopera e merci e cercherà di sostenere il produttore locale.
> Continuare e trasformare il programma di risposta COVID-19: il governo armeno ha adottato 25 misure per contrastare il suo impatto negativo, alcune delle quali devono essere rilanciate in linea con le realtà odierne. La portata dei beneficiari sarà ampliata: circa 8mila entità del settore agricolo, circa 500 entità economiche, circa 100 piccole e medie imprese saranno supportate in diverse direzioni. In altre parole, le misure per neutralizzare l’epidemia si stanno trasformando secondo le attuali esigenze, mirando alla ripresa e allo sviluppo sostenibili di alcuni settori dell’economia.
> Lancio di progetti di sviluppo urbano su larga scala a Yerevan e in altri comuni armeni: uno dei punti chiave del programma di risposta economica è il lancio di progetti di sviluppo urbano su larga scala. Allo stesso tempo, il governo mostra la sua volontà e disponibilità a lanciare progetti strategici che copriranno una vasta area. Questo è un messaggio in termini di stabilizzazione del contesto imprenditoriale nel nostro Paese, che troverà una risposta da parte degli investitori esteri, aprendo promettenti opportunità.
Con questo programma anticrisi, il Governo sta cercando di stabilizzare la situazione economica nel nostro Paese con un complesso di misure mirate, per ravvivare le aspettative dei cittadini e preparare solide basi per uno sviluppo continuo”.

Giuliano Bifolchi è analista geopolitico e dottore in Storia dei Paesi Islamici, si è laureato in Scienze della Storia e del Documento presso l’Università Tor Vergata di Roma ed ha conseguito il master in Peacebuilding Management presso la Pontificia Università San Bonaventura. Direttore di ASRIE Analytica, si occupa di Open Source Intelligence ed è specializzato nell’analisi della situazione politica, economica, socioculturale e della sicurezza dello spazio post-Sovietico e della regione MENA.
** Silvia Boltuc è analista specializzata in relazioni internazionali, energia e conflitti nello spazio post-Sovietico, in Medio Oriente e Nord Africa. Attualmente ricopre il ruolo di direttore del programma di ricerca “Eurasian Energy Market” presso ASRIE Analytica ed è responsabile del dipartimento energia e nuove tecnologie presso il CeSEM – Centro Studi Eurasia Mediterraneo.

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A Roma, sino al 21 marzo, il Festival del Film Francofono: presente anche l’Armenia, con un film sulla guerra del Nagorno – Karabakh (Vivere Roma 18.03.21)

Da mercoledì 17 marzo, sino a Domenica 21, l’Institut français – Centre Saint-Louis dell’ Urbe ha aperto le porte della sua sala virtuale con l’XI edizione del Festival del Film Francofono di Roma, organizzato in collaborazione con le Ambasciate dei Paesi membri del Gruppo delle Ambasciate francofone a Roma e patrocinato dal Festival International du Film Francophone de Namur (FIFF).

La rassegna presenta15 film, per far viaggiare gli spettatori nel cuore della diversità delle culture francofone. Sono 15 lungometraggi, provenienti da altrettanti Paesi membri della Francofonia: Albania, Armenia, Belgio, Bulgaria, Burkina Faso, Canada-Québec, Francia, Libano, Lussemburgo, Marocco, Romania, Senegal, Svizzera, Tunisia.

Anche quest’anno, ricorda l’ Associazione della Comunità Armena di Roma e del Lazio, l’Armenia è presente al Festival. “Yeva” è il titolo del film inedito armeno della regista Anahit Abad (2018, durata 1:34’, drammatico): che sarà proiettato oggi, 18 marzo. La pellicola era stata già selezionata dall’Armenia per il Premio Oscar 2018, nella categoria Best International Feature Film.

Trama: Sospettata dell’omicidio di suo marito, Yeva fugge con la figlia Nareh in un villaggio dove ha lavorato come medico durante la guerra del Nagorno-Karabakh tra l’Azerbaigian e l’Armenia, sperando di non essere riconosciuta. I ricordi della guerra, però (che, iniziata dai primissimi anni ’90, col crollo dell’ URSS e l’indipendenza dei 2 Paesi, si sta riaccendendo periodicamente dal 2016, N.d.R.), e il suo passato tornano senza offrire vie di scampo.

Tutti i film (tranne “Atlantique” e “Siberia nella ossa”), in versione originale sottotitolati in italiano, sono gratuiti previa la registrazione alla piattaforma FestivalScope (https://www.festivalscope.com/it/page/francofilm/). La versione online del festival permette gli orari flessibili di visione, dalle ore 18.00 alle ore 24.00 del giorno indicato (per il film “Yeva”, l’accesso alla sala virtuale è il 18 marzo, dalle 18 e non oltre le 22.30, dato che ha la durata di 1 ora 34 min.). La sala virtuale ha una capienza limitata. Al termine di ogni proiezione – ricorda ancora la Comunità Armena di Roma e Lazio – il pubblico non dimentichi di votare per eleggere il film vincitore del Premio del Pubblico.

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Energia: accordo Socar-Gazprom per forniture temporanee gas all’Armenia attraverso l’Azerbaigian (Agenzianova 17.03.21)

Baku, 17 mar 10:44 – (Agenzia Nova) – L’azienda statale degli idrocarburi azerbaigiana Socar e la compagnia energetica russa Gazprom hanno firmato un accordo a breve termine sul trasporto di gas russo. Quest’intesa consentirà di proseguire l’erogazione delle forniture di gas ai consumatori in Armenia attraverso il territorio dell’Azerbaigian durante i lavori di riparazione programmati del gasdotto Caucaso settentrionale-Transcaucasia. L’accordo è stato firmato tra le due parti ieri e prevede che il gas venga consegnato ai consumatori attraverso il territorio dell’Azerbaigian sino al confine georgiano durante i lavori di manutenzione preventiva programmata della parte russa della conduttura. I lavori di riparazione possono richiedere circa tre settimane. Dopo il completamento dei lavori, il gas verrà nuovamente trasportato attraverso il gasdotto del Caucaso settentrionale-Transcaucasia. (Rum)

Storia degli armeni, di Aldo Ferrari e Giusto Traina (Treccani 16.03.21)

Lo storico latino Tacito (Ann., 13.34.2) definiva gli armeni «gente di dubbia lealtà» in virtù della posizione, geograficamente e dunque (in un certo senso di conseguenza) psicologicamente di frontiera tra il mondo romano e quello partico che essi occupavano, facendo uso di una terminologia che altre fonti ‒ greche come latine ‒ avrebbero a più riprese impiegato per parlare, non a caso, degli ebrei e più tardi dei cristiani. Un paio di millenni dopo, pianificandone lo sterminio su scala europea al momento di invadere l’URSS, Hitler avrebbe riproposto il paragone, tranquillizzando i propri luogotenenti circa l’opposizione delle altre potenze al trattamento che i nazisti si proponevano di riservare alla popolazione ebraica facendo loro notare che, a nemmeno trent’anni di distanza, nessuno si ricordava (e – fatto assai più importante – a nessuno interessava) degli armeni.

Tanto la storia millenaria quanto le vicende estremamente travagliate che hanno segnato il destino della (delle) comunità che con tale storia si sono identificate così come l’inesistenza – fino a tempi assai recenti – di uno Stato a fronte di una popolazione tanto gelosa quanto orgogliosa delle proprie tradizioni giustifica la scelta da parte della comunità scientifica di studiare il passato dei popoli d’Armenia e di Israele più che quello dei rispettivi Paesi (intesi nel senso di comunità geopolitiche), ed aiuta dunque a comprendere come mai il recente volume curato da Giusto Traina e Aldo Ferrari (due insigni studiosi, specialisti rispettivamente dell’evo antico e di quello moderno, uno sotto il profilo storico, l’altro sotto quello linguistico e letterario, di questo popolo) si intitoli, a buon diritto Storia degli armeni.

Dal momento infatti che, con le eccezioni del regno Pakraduni (giunto al termine nel 1118 d.C.), della cosiddetta prima repubblica (1918-1920), di quella sovietica e dell’attuale Stato indipendente, la storia millenaria della cultura armena non ha mai conosciuto qualche cosa di anche lontanamente comparabile a un’autonomia territoriale iuxta propria principia, l’intento primario degli autori è stato comprensibilmente quello di offrire al pubblico italiano (nel territorio della cui repubblica, ad oggi, sono insediati – e perfettamente integrati – all’incirca 3.000 esponenti di questo ricco e interessantissimo mondo) un profilo allo stesso tempo informato e autorevole ma accessibile e sintetico (200 pagine corredate di numerose illustrazioni e carte) delle vicende di una cultura e di una lingua i cui portatori hanno saputo attraversare, se non indenni certamente con uno straordinario spirito di abnegazione e resilienza, la storia di regni e imperi, dall’Assiria a Stalin.

Il posizionamento dei territori ancestrali armeni, incuneati nel Caucaso lungo uno snodo di importanza cruciale tra Turchia, Iran e Russia, è stato nel corso dei secoli croce e delizia della popolazione in esso insediata: in ragione dell’interesse strategico essi funsero non di rado da catalizzatore dell’attenzione delle superpotenze dell’epoca in virtù del proprio ruolo a cavaliere tra più mondi, cerniera tra Oriente e Occidente e dunque avamposto fondamentale di qualsiasi potere dalle ambizioni egemoniche nella zona. Essi furono però allo stesso tempo costantemente esposti al rischio di venire sacrificati (e con essi la popolazione ivi insediata) sull’altare della geopolitica euroasiatica (da Roma alla NATO), con conseguenze nefaste per uomini e donne i quali, forse per lo meno dall’ascesa del califfato (capp. 7 e 8, pp. 71-90) hanno dovuto fare di necessità virtù, sviluppando (ancora una volta in sorprendente analogia con il popolo ebraico) doti non comuni di diplomazia, spirito di adattamento e mobilità che ne hanno allo stesso tempo garantito il successo nei Paesi di emigrazione (l’elemento diasporico è infatti una costante della storia degli armeni), ma anche, paradossalmente, un punto debole facilmente sfruttabile in chiave xenofoba (al mito della «plutocrazia giudaica» si potrebbe dunque affiancare, ed è stato fatto, quello di una «plutocrazia armena»).

Una recensione non dovrebbe mai proporsi di riassumere (dunque banalizzandolo) il contenuto di un libro, e ciò tanto meno nel caso – come questo – in cui il volume in questione risponda al genere letterario del profilo di storia (politica, culturale, letteraria o di altro genere). Varrà tuttavia la pena sottolineare che, nel ripercorrere le vicende del popolo armeno (meno di 30.000 km2 per neanche 3 milioni di abitanti tra le montagne del Caucaso – da Erodoto a Puškin e Lermontov terra per eccellenza di, per quanto nobili e fieri, barbari), Traina e Ferrari riescono nella non banale impresa di condurre il lettore in viaggio attraverso letteralmente i cinque continenti, seguendo le orme di religiosi, mercanti, uomini di guerra e intellettuali che riuscirono a conquistare non di rado con le sole arti della cultura e della competenza diplomatica, spazi di manovra notevolissimi dagli Stati Uniti a Manila e dall’Iran all’Australia.

Inquadrando «dall’interno» la storia armena in un contesto storico e geopolitico quanto più ampio possibile, attirando costantemente l’attenzione del lettore sulle interazioni delle formazioni statali armene con i propri vicini senza con questo perdere di vista le logiche peculiari della storia di questo popolo, il volume assolve così al meritorio compito di orientare tanto la comunità scientifica quanto il pubblico interessato alla storia di questa regione del mondo, a torto per lungo tempo relegata ai margini, verso un’ottica autenticamente globale alle vicende della comunità di destino armena e dei suoi luoghi di memoria, come del resto si addice a un popolo che, come argomentato persuasivamente da Lori Khatchadourian nel suo splendido Imperial Matter (2016), si è sempre dimostrato pervicacemente in grado ‒ dai «delegati» ritratti sulle scalinate dell’apadāna ad Anastas Mikojan ‒ di giostrarsi tra i confini degli imperi che sull’Armenia nel corso dei secoli avanzarono pretese egemoniche e i centri decisionali di essi senza mai perdere del tutto il proprio potere di influenza. Escaping without leaving, nelle parole della studiosa, sopravvivendo con coraggio e dignità tanto a prove immani quanto, fatto notevole, a molti di quegli stessi imperi che si illusero di averne domato la resistenza. Con buona pace di Hitler (e di Erdoğan) la memoria dell’Armenia e degli armeni è ancora lungi dallo svanire, ed è anche per questo motivo che non è tempo perso conoscerne (meglio) la storia.

A. Ferrari – G. Traina, Storia degli armeni, Bologna, il Mulino, 2020, pp. 223

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