Progetto di solidarietà al popolo Armeno, partita la raccolta fondi (Primalecco 27.02.21)

L ’associazione “Amici Lecco-Vanadzor Italia-Armenia” lancia un’iniziativa di sensibilizzazione e di raccolta fondi per manifestare solidarietà e aiuto concreto nei confronti del popolo armeno.

Un aiuto per il popolo Armeno piegato da un’aggressione militare

“Durante questo “tempo sospeso” molte vicende ci hanno sconvolto – scrive Sergio Fenaroli dell’associazione  Amici Lecco-Vanadzor Italia-Armenia –  in particolare abbiamo pensato ai nostri amici Armeni i quali oltre a combattere il Covid hanno subito una aggressione militare il 27 Settembre 2020 che ha causato una grave perdita di vite umane, una  sconfitta militare ed un esodo di 110.000 persone”.

Per aiutarli in questo momento particolarmente duro e difficile, l’associazione ha pensato fare un gesto concreto. “La comunità internazionale, inspiegabilmente, ha girato la testa da un’altra parte – prosegue Fenaroli – Noi amici lecchesi abbiamo deciso di proporre una raccolta fondi per contribuire alla ricostruzione della loro scuola di Vanadzor“.

Il progetto è stato condiviso dalla Provincia di Lecco e dal Comune di Lecco, e inoltre ha ricevuto un importante sostegno da parte della Fondazione Comunitaria del Lecchese Onlus. A quest’ultima verranno indirizzate tutte le donazioni dei cittadini e di tutti i soggetti che decideranno di contribuire.

Come effettuare la donazione

Chiunque voglia contribuire all’iniziativa può effettuare un versamento sul conto bancario della Fondazione Comunitaria del Lecchese IT28Z0306909606100000003286. È importante indicare la causale “Solidarietà Armenia”. Al termine della transazione verrà emessa una ricevuta che dà la possibilità di detrarre l’importo del versamento dalla dichiarazione dei redditi.

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San Gregorio di Narek, “dottore della pace” per il mondo di oggi (Vaticannews 27.02.21)

Nel giorno della prima memoria liturgica di San Gregorio di Narek, le cerimonie in Vaticano, con una Messa presieduta dal cardinale Sandri e una preghiera ecumenica. Ai nostri microfoni il postulatore della causa del Dottore della Chiesa, monsignor Levon Zekyan, sottolinea il valore di questo Santo nella storia armena e in quella della Chiesa universale col suo messaggio di pace, di preghiera, di corresponsabilità

Debora Donnini e Gabriella Ceraso – Città del Vaticano

Un Dottore della Chiesa che potrebbe essere anche definito “Dottore della pace”. Così disse Papa Francesco quando, nel corso del suo viaggio apostolico in Armenia, nel 2016, prese parte a Yerevan all’incontro ecumenico e di preghiera per la pace. Nel Libro delle Lamentazioni, infatti, San Gregorio di Narek aveva rivolto al Signore un’invocazione di perdono e misericordia per i nemici: “Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali! Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella buona in me e in loro (Libro delle Lamentazioni, 83,1-2)”. Questo monaco, teologo, mistico e poeta armeno vissuto tra il 951 e il 1010, si è così fatto “preghiera di tutto il mondo” portando un messaggio di solidarietà universale con l’umanità, “un grido accorato che implora misericordia per tutti”, rimarcò il Papa esortando gli armeni a farsi “messaggeri di questo anelito di comunione”.

Solidarietà e pace al centro del suo essere

L’anno prima, nel 2015, Papa Francesco aveva dichiarato San Gregorio di Narek, già venerato come santo dalla Chiesa apostolica armena e dalla Chiesa cattolica, “Dottore della Chiesa universale”. In tale occasione aveva anche inviato un messaggio agli armeni richiamandosi, nel senso della solidarietà, alle parole profetiche di San Gregorio di Narek, “formidabile interprete dell’animo umano”: “Io mi sono volontariamente caricato di tutte le colpe – scriveva sempre nel libro delle Lamentazioni – da quelle del primo padre fino a quello dell’ultimo dei suoi discendenti, e me ne sono considerato responsabile”. Tra le sue opere si annoverano un commentario al Cantico dei Cantici e numerosi panegirici. Forte la sua devozione a Maria presente nella sua riflessione teologica. Fra questi importanti elementi, il preannuncio del dogma dell’Immacolata Concezione, proclamato più di ottocento anni dopo.

Lo scorso febbraio, poi, Papa Francesco ha decretato di iscrivere nel Calendario Romano Generale le memorie facoltative di alcuni Dottori della Chiesa fra cui quella di San Gregorio di Narek il 27 febbraio. Prima, nel 2018, aveva benedetto la statua in bronzo dedicata al Santo nei Giardini Vaticani. All’incontro parteciparono anche tre patriarchi: Karekin II, Catholicos di tutti gli Armeni dalla sede di Etchmiadzin; Aram I, catholicos della sede della Grande Casa di Cilicia; e Krikor Bedros XX, catholicos patriarca di Cilicia degli armeni Cattolici.

Le cerimonie in Vaticano nella prima memoria liturgica

E per ricordare questo eminente Dottore della Chiesa, in Vaticano questa mattina, giorno della sua prima memoria liturgica, si svolgono una Messa e poi una Preghiera Ecumenica. A presiedere alle 10.30 la celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali. Concelebranti, monsignor Lévon Bogos Zékyian, arcivescovo di Istanbul degli Armeni e delegato pontificio per la Congregazione Armena Mechitarista, e monsignor Brian Farrell, segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Subito dopo nei Giardini Vaticani presso la statua di San Gregorio di Narek, monsignor Khajag Barsamian, rappresentante della Chiesa Armena Apostolica a Roma, presiede una Preghiera ecumenica alla presenza del cardinale Kurt Koch, presidente del dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. “Continuare il viaggio fraterno e il dialogo globale sullo scambio dei tesori sacri, in uno spirito di amore e stima, rispetto e fiducia reciproca”. Così a Vatican News l’ambasciatore d’Armenia presso la Santa Sede, Garen Nazarian, presenta le celebrazioni di oggi, dedicate a Gregorio di Narek “ponte tra Oriente e Occidente, capace di unire nazioni e Chiese”.

Sandri: una testimonianza che ci provoca come credenti

“Quasi sei anni dopo la memorabile celebrazione presieduta dal Santo Padre Francesco il 12 aprile 2015, la Basilica Vaticana sente risuonare ancora una volta i preziosi inni della tradizione armena”: esordisce nell’omelia il cardinale Sandri, ricordando i tanti momenti che da allora hanno segnato la vicinanza tra la Chiesa Cattolica e quella Apostolica Armena. In particolare la visita di Papa Francesco in Armenia del 2016. E il porporato coglie l’occasione per  invitare alla preghiera per il Pontefice nell’imminenza del viaggio apostolico in Iraq. “Il Papa che ha evocato la ‘guerra mondiale a pezzi’ e che ha indicato san Gregorio di Narek come stella nel firmamento nei dottori – afferma il cardinale Sandri -, vola nelle terre che insieme alla Siria pur sofferente si appellano a Sant’Efrem come padre ed ispiratore. Un incrocio di storie, di sofferenze, di santità e di sapienza”. Celebrare la memoria liturgica di San Gregorio di Narek, “ci provoca e ci destabilizza, come armeni e come credenti in Gesù – prosegue il cardinale Sandri -. Con la sua testimonianza egli infatti ci chiede se vogliamo essere cristiani solo di nome o per antica tradizione, o perché vogliamo essere oggi discepoli del Signore, come lui ha fatto, diventando maestro di sapienza e di dottrina”. E cita alcune parole del Santo scritte durante i giorni di malattia:

abbattuto dai miei crimini, sul letto delle mie malattie e il letamaio dei miei peccati, non sono niente più che un cadavere vivente, un morto che ancora parla. […] Allora, come al giovane chiamato alla vita per lenire il dolore di sua madre, Tu ridammi la mia anima peccatrice rinnovata come la sua”.

San Gregorio di Narek, afferma ancora il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, “ci insegna che vera sapienza è quella di rimanere discepoli, sapendo vivere con Gesù e per Lui ogni frangente della storia”. L’omelia si conclude con l’invito alla speranza. “Interceda per l’Armenia in questi giorni di turbamento e tribolazione e per tutti noi – afferma il cardinale Sandri – la Tutta Santa Madre di Dio Maria Santissima, insieme a San Gregorio di Narek che così l’ha invocata: “Madre dell’edificio incrollabile della Chiesa”.

La figura di San Gregorio e il suo messaggio

Centrale per comprendere la figura di San Gregorio di Narek Il libro delle Lamentazioni, da lui scritto con non poca fatica durante una dolorosa malattia: un monumento per la letteratura armena nel quale si riflette la tensione, anche drammatica, fra la coscienza del peccato e la celebrazione della misericordia come l’attributo più glorioso di Dio, che è “tenerezza”. Un uomo che dunque ha dato voce al grido dell’umanità, sofferente e peccatrice, ma illuminata dallo splendore dell’amore di Dio.

Di tutto questo parla il postulatore della causa che ha portato San Gregorio di Narek ad essere Dottore della Chiesa, monsignor  Boghos Levon Zekiyan, arcieparca di Costantinopoli, già docente di Lingua e Letteratura Armena all’Università Ca’ Foscari Venezia:

Nelle sue parole, il valore di questo Santo, innanzitutto nella fede e nella storia del popolo armeno. Il libro delle Lamentazioni spiega, per un millennio è stato “sotto il cuscino di tutte le generazioni armene” e questo già prova la “grandezza e l’attualità perpetua di questo capolavoro di spiritualità”. E ancora ne è una prova, l’abitudine di tramandare oralmente le preghiere di questo Santo, come hanno fatto per generazioni le nonne, e di ripeterne i versi come facevano i martiri che andavano al genocidio. Altrettanto grande il valore e l’originalità di questo teologo e mistico nella storia della Chiesa universale. “Senza dubbio – spiega monsignor Zekiyan – il Papa con la scelta di farlo Dottore della Chiesa e inserirlo nel Calendario romano, ha voluto dare al popolo armeno un riconoscimento particolare, “ma lui è veramente all’altezza dei più grandi mistici e teologi della Chiesa universale”.

Il messaggio al mondo di oggi

Quale dunque il messaggio che alla cristianità di oggi lascia San Gregorio? Monsignor Zekiyan non ha dubbi: i messaggi sono diversi ma in particolare, per l’attualità, c’è sia l’aspetto della “corresponsabilità ” e del “senso del peccato dell’uomo”, ma anche la natura della sua preghiera. La “sua preghiera così personale e profonda – afferma monsignor Zekiyan –  è una grande liturgia che si innalza al Signore”. Il libro delle Lametazioni lo dimostra. Esso è una “liturgia corale che si innalza al cielo pur essendo la preghiera personalissima di Gregorio. Questo sta a dire all’oggi che la preghiera liturgica è profondamente personale e la preghiera personale deve sempre integrarsi e tradursi nella preghiera liturgica. E nella ecclesialità odierna questo è fondamentale”.

Autocritica via per il dialogo e la comprensione reciproca

Ma c’è anche in San Gregorio un modello di artigiano di pace che a noi oggi insegna come tessere il vero dialogo e la comprensione fraterna che stanno alla base di una convivenza pacifica. San Gregorio ha mostrato, infatti, l’importanza del farsi carico degli errori degli altri, di non di puntare il dito. “Innanzitutto  – dice – San Gregorio ci insegna l’autocritica. “Nessuno di noi è immacolato e specie nel campo politico, oggi, questa è una verità. “La politica occidentale non sa fare autocritica obiettiva e consapevole di se stessa, questo invece è il primo passo verso la pace vera che non è quella dell’armarsi per difendersi, non è quella delle rappresaglie e delle rivendicazioni, è quella capace di riconoscere i propri limiti e andare incontro all’altro.

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Il grande santo dell’Armenia, Gregorio di Narek celebrato nei Giardini Vaticani (Il Messaggero 27.02.21)

L’impegno per la pace nel Caucaso, alla ricerca del “profondo senso di umanità” (Korazym 26.02.21)

Lo scorso mercoledì 24 febbraio 2021, il Rotary Club di Canosa di Puglia nella provincia di Barletta-Andria-Trani – che quest’anno festeggia il 45° anniversario dalla sua fondazione – ha inteso onorare il mese dedicato alla Pace e alla risoluzione dei conflitti con una videoconferenza su “La Questione Armena”. Il popolo armeno è stato oggetto di un genocidio all’inizio del secolo scorso. A tutt’oggi, la Repubblica caucasica, già appartenente all’Unione Sovietica prima della sua dissoluzione all’inizio degli anni ’90, è in conflitto con il vicino Azerbaigian, anche in virtù dell’annosa vicenda relativa al territorio conteso dell’Artsakh, meglio conosciuto in Occidente come Nagorno-Karabakh.

Numerosi i contributi, indispensabili per conoscere una grave situazione geopolitica e storica spesso tralasciata dai mass media, con una numerosa quanto attenta platea, che comprendeva anche l’Ambasciatore Armeno presso la Santa Sede, Garen Nazarian.

Sua Eccellenza Tsovinar Hambardzumyan, Ambasciatore straordinaria e plenipotenziaria dell’Armenia in Italia, ha illustrato l’ultimo quanto recente capitolo relativo alla disfida tra i due Stati confinanti, iniziato lo scorso settembre e durato “appena” 44 giorni solo grazie alla mediazione della Russia, sottolineando la violazione dei Diritti Umani subita dai civili e dovuta ai numerosi scontri.

Il Professore Baykar Sivazliyan, Presidente dell’Unione Armeni in Italia e accademico (insegna all’Università degli Studi di Milano ed è già stato docente presso l’Università del Salento), ha ripercorso le tappe principali della storia armena, ad iniziare dall’olocausto di matrice ottomana, passando per la successiva diaspora subita dal popolo e per il susseguente dominio sovietico.

Simone Zoppellaro, giornalista freelance attualmente di stanza ad Erevan, ha esposto – con l’ausilio di un video crudo e toccante – la sua testimonianza diretta circa gli effetti causati dalle violenze nell’Artsakh perpetrate tra settembre e novembre scorsi, con un contorno drammatico fatto di macerie, famiglie distrutte e feriti gravi, difficilmente riparabili con l’apparente tregua ora vigente.

Carlo Coppola, Presidente del Centro Studi “Hrand Nazariantz” di Bari, ha presentato i relatori e gli argomenti trattati, contestualizzando i singoli interventi negli ambiti etnico, religioso, economico, geografico e politico riguardanti la Repubblica eurasiatica.

Dall’incontro sulla piattaforma ZOOM è emerso il ritratto di un popolo unito ed orgoglioso, seppur distante e sparso per via delle vicissitudini e di più sottomissioni nel corso dei secoli.

Si è ricordata anche l’Avv. Patrizia Minerva, scomparsa di recente, la quale in passato, da presidente del Club UNESCO di Canosa, dedicò un altro evento alla questione armena.

Il Governatore del Distretto Rotary 2120, Giuseppe Seracca Guerrieri, presente al convegno, ha sintetizzato l’oggettiva sensazione di sensibilità assunta dai partecipanti: l’obiettivo espresso dal massimo rappresentante distrettuale di Puglia e Basilicata è di impegnarsi al fine di proseguire il dialogo anche con il tramite dell’Associazione, “messaggera di Pace per tutti”, mettendosi pertanto a disposizione dell’Ambasciata Armena in Italia.
Infine, il Governatore Inner Wheel del Distretto 210, Mariangela Galante Pace, esprimendo commozione nel riassumere i punti centrati dall’evento, si è unita ai ringraziamenti verso il Rotary Club e dell’Inner Wheel Canosa, rappresentati rispettivamente dai Presidenti Marco Tullio Milanese e Sabrina Tesoro, per aver così contribuito alla ricerca del “profondo senso di umanità”.

All’appello, comunque, non mancano gli altri due Club canosini della famiglia Rotary: Rotaract ed Interact, infatti, in futuro organizzeranno congiuntamente una challenge proprio al fine di mantenere alta l’attenzione sul tema.

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Tensioni in Armenia (Rassegna 26.02.21)

Tensioni in Armenia, il presidente incontra il capo di stato maggiore generale (Sputniknews)

Le recenti proteste in Armenia sono scoppiate in seguito a delle tensioni tra il governo e le forze armate del Paese.

Il presidente armeno Armen Sarkissian ha in programma di tenere un incontro con il capo di stato maggiore del Paese, Onik Gasparyan, nel mezzo della crisi politica emersa a causa dei disaccordi tra l’esercito e il governo, ha riferito quest’oggi a Sputnik un collaboratore del leader armeno.

“Il presidente prevede di tenere una riunione con il capo di stato maggiore”, ha spiegato Asmik Petrosyan, sottolineando che la data dei colloqui rimane incerta.

L’amministrazione presidenziale ha specificato che Sarkissian aveva in precedenza avviato una serie di consultazioni nel tentativo di attenuare la situazione ed evitare escalation.Intanto il leader dell’opposizione armena, il presidente del partito liberale “Armenia Splendente” Edmon Marukyan, ha annunciato la propria intenzione di tenere un colloquio con il presidente Sarkissian nel corso della giornata di venerdì per fare il punto sugli sviluppi politici interni causati dalle crescenti tensioni, innescate dalle richieste dello stato maggiore delle dimissioni del primo ministro Nikol Pashinyan.

“Ho intenzione di incontrare oggi il presidente della Repubblica per discutere della situazione politica interna”, ha detto Marukyan.

In precedenza il presidente armeno aveva assicurato che avrebbe compiuto tutti gli sforzi necessari per ridurre le tensioni e arrivare a una soluzione pacifica.

Proteste a Yerevan

Un’altra crisi politica è scoppiata a Yerevan dopo le parole imprudenti di Pashinyan sull’Iskander russo, secondo cui i missili Iskander utilizzati nel Nagorno-Karabakh dalle forze filo-armene “non sono esplosi o sono esplosi solo al 10%”.

Secondo quanto riportato dai media, il vicecapo di Stato Maggiore dell’Armenia, Tiran Khachatrian, ha ridicolizzato il primo ministro per i suoi commenti, cosa per cui è stato congedato, così come ha cercato di fare il capo del governo con il capo dello Stato Maggiore, Onik Gasparyan.

Le forze armate armene hanno rilasciato una dichiarazione chiedendo le dimissioni dello stesso Pashinyan. Il primo ministro ha considerato questo un tentativo di colpo di stato e ha invitato i suoi sostenitori a scendere in piazza. Intanto l’opposizione ha eretto barricate e allestito tende vicino al Parlamento: non è disposta al dialogo e chiede le dimissioni del premier.


Armenia: sit-in contro il premier davanti al parlamento

YEREVAN – Diverse centinaia di persone, sostenitori dell’opposizione in Armenia, si sono accampati stamane davanti alla sede del parlamento nella capitale Yerevan, per chiedere le dimissioni del primo ministro Nikol Pashinyan per come ha gestito la guerra con l’Azerbaigian nei mesi scorsi, Da ieri la piccola repubblica caucasica è infatti al centro di una nuova crisi politica dopo che il premier Pashinyan ha respinto tutte le esortazioni a lasciare, ha accusato i militari di un tentato colpo di stato e ha guidato una manifestazione a Yerevan con 20mila suoi sostenitori. Sempre ieri, l’opposizione aveva portato in strada circa 10mila persone che hanno piantato tende e alzato barricate fuori dal parlamento, promettendo di continuare ad oltranza con la protesta.


Armenia, primo ministro accusa l’esercito di aver tentato un colpo di Stato (ILgiornaledivicenza)


Armenia, primo ministro accusa l’esercito di aver tentato un colpo di Stato (Lagazzettadelmezzogiorno)


Scacchi: Levon Aronian e il passaggio dall’Armenia agli Stati Uniti. I motivi, una storia complessa e i precedenti (Oasport 26.02.21)

La storia del giorno, anzi delle ultime settimane, che nelle scorse ore ha preso la piega del punto di non ritorno, è quella di Levon Aronian. Non è del tutto inconsueto vedere, negli scacchi, un giocatore che effettua il cambio di nazionalità di fronte alla scacchiera: in questo caso, però, la vicenda ha grande rilevanza poiché si tratta di uno dei simboli d’Armenia. Basta vedere, in tal senso, il post su Facebook del diretto interessato, con il volume di persone che ha raggiunto.

Levon Aronian ha deciso di giocare per gli Stati Uniti. Decisiva, ancora una volta, l’azione di Rex Sinquefield, il magnate che non solo ha molto a cuore gli scacchi, ma organizza anche uno tra i più importanti tornei al mondo, la Sinquefield Cup a St. Louis. Ed è proprio qui che Aronian andrà a stabilirsi, dopo aver ceduto a un corteggiamento perdurante almeno dalla metà del decennio scorso.

Per Aronian le cose sono cambiate dal 2018, quando è cambiata anche la presidenza dell’Armenia. Il precedente leader del Paese, Serzh Sargsyan, per 10 anni Presidente della Repubblica e per pochi giorni anche del Consiglio, si è dimesso sotto la spinta di proteste che si sono poi trasformate nella Rivoluzione di velluto. Sargsyan aveva aiutato in modo particolare tanto Aronian quanto gli scacchi in generale in Armenia (presiedeva anche la federazione), uno di quegli ambiti in cui il Paese può vantare una tradizione non indifferente già come nazione indipendente, con i tre ori alle Olimpiadi Scacchistiche raccolti tra il 2006 e il 2012.

La vicenda ha finito per toccare Aronian da vicino: nella sua lunga lettera spiega come alle promesse del nuovo governo di mantenere viva l’attenzione sugli scacchi non siano seguiti i fatti. Il tutto è andato a culminare in una frase specifica: “I nostri esperti dicono che Levon Aronian non ha più potenziale“. Una sentenza pesantissima, per uno che, pur essendo classe 1982, è pur sempre il numero 6 delle liste mondiali della FIDE. Poco dopo, in Norvegia, è andato a sconfiggere in sequenza sia Magnus Carlsen che Fabiano Caruana.

Nelle scorse settimane, la madre ha difeso il comportamento del figlio, sottolineando anche quanto quest’ultimo riceveva in termini economici: 200.000 dram armeni. Scritti in questo modo sembrano tanti, ma la conversione in euro recita poco più di 300. Per anni, Aronian ha rifiutato tutte le offerte che gli arrivavano per cambiare nazionalità, con somme che erano anche un migliaio di volte più alte di quelle citate.

La scelta dell’armeno non è la prima, e senz’altro non sarà l’ultima, di questo genere nella storia degli scacchi. Conosciamo bene quella di Fabiano Caruana, anche lui convinto da Rex Sinquefield, ma con delle motivazioni che vanno anche ben al di là, avendo egli la doppia nazionalità italiana e americana (è nato a Miami). Wesley So, nel 2014, ha cambiato strada passando dalle Filippine agli States in considerazione del suo essere ormai stabilmente in terra americana, oltre che con la famiglia in Canada; la questione è stata oggetto di strascichi non indifferenti tra un capo e l’altro della vicenda. A fine 2018, invece, a passare sotto bandiera a stelle e strisce è stato il cubano Leinier Dominguez Perez. Non va confuso con tutte queste situazioni il caso di Hikaru Nakamura, che pur essendo nato in Giappone è figlio di madre americana, vive negli Stati Uniti da quando aveva due anni ed è pertanto statunitense a tutti gli effetti. Si parla qui soltanto dei casi a stelle e strisce, ma se ne potrebbero citare tanti altri (come quello del tedesco Arkadij Naiditsch, passato dalla Germania all’Azerbaigian, anche se ora vorrebbe tornare al suo Paese d’origine e non è al momento stato riaccolto).

Resta sul tavolo un altro caso particolarmente spinoso, quello di Alireza Firouzja, che dalla fine del 2019 non gioca più da iraniano, ma sotto bandiera FIDE. Attualmente vive in Francia, e pur non avendo scelto ancora la sua futura destinazione è verosimile che, visto anche il vissuto suo e della famiglia, passi a difendere i colori transalpini. Del resto, è anche la sua stessa intenzione. Parliamo, in questo caso, di un classe 2003 per il quale la domanda non è se mai diventerà sfidante per il titolo mondiale, ma quando.

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Armenia nel caos e il premier denuncia: tentativo di golpe (Avvenire 26.02.21)

I militari hanno intimato al primo ministro di dimettersi dopo la rimozione del comandante dell’esercito. In risposta Pashinyan ha chiamato la folla in piazza, rischiando lo scontro
Manifestazione a Yerevan, la capitale dell'Armenia, a favore del primo ministro

Manifestazione a Yerevan, la capitale dell’Armenia, a favore del primo ministro – Ansa / Epa Efe

L’Armenia è spaccata in due, nel mezzo di una crisi istituzionale senza precedenti, con il primo ministro, Nikol Pashinyan, che parla di un «tentativo di golpe». Il braccio di ferro fra esercito e politica, nato dopo la fine del conflitto in Nagorno-Karabakh, è esploso due giorni fa e ha messo in allerta anche Russia e Turchia, ormai in aperta competizione per il controllo del Caucaso meridionale.

Ieri mattina, il capo di Stato Maggiore, Onik Gasparyan, ha chiesto le dimissioni del primo ministro, Pashinyan. Quest’ultimo lo ha licenziato, con tanto di annuncio su Facebook, e si è rivolto con insistenza al capo dello Stato, Armen Sarkissian, per chiedere la conferma della decisione. «Mi aspetto che il presidente firmi il decreto di rimozione», ha detto il premier.

Sarkissian, dal canto suo, sta cercando di ricomporre la frattura fra governo ed esercito: ha invitato tutti alla calma, dopo aver dichiarato che «il Paese è in uno stato di legge marziale e la minaccia esterna è reale».
Fuori dai corridoi del potere, c’è il caos. Ieri, nel centro della capitale Erevan, sono andati in piazza due cortei. Il primo, di circa 20mila persone e organizzato dal premier, il secondo, con circa 10mila partecipanti, organizzato dall’opposizione, che ha promesso di restare in piazza finché il primo ministro non si sarà dimesso. Sopra di loro, sfrecciavano i caccia dell’Aviazione militare.

«L’esercito armeno deve obbedire al popolo», ha detto Pashinyan. Che ha aggiunto: «Lo decide il popolo se devo andare a casa o meno». Il premier ha annunciato che avvierà un dialogo con le forze politiche, minacciando però anche di arrestare quelle ali dell’opposizione che porteranno avanti iniziative illegali, e che ieri si apprestavano a costruire barricate nella piazza principale di Erevan, davanti al Parlamento.

I rapporti tesi fra militari ed esecutivo si trascinavano da quando Pashinyan ha firmato un accordo, mediato da Mosca, per la fine del conflitto in Nagorno-Karabakh, che in Armenia è stato percepito come una sconfitta e una umiliazione. La regione in maggioranza armena, ma in territorio azero, ha visto alcune importanti postazioni tornare sotto il controllo di Baku, dopo un conflitto durato due mesi e che è costato centinaia di morti da entrambe le parti.

Due giorni fa, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Tiran Khachatryan, numero due delle forze armate, è stato licenziato da Pashinyan dopo aver criticato l’efficacia delle armi russe utilizzate durante il conflitto. Esternazioni alle quali Mosca aveva risposto, facendo capire di non aver gradito i commenti.

Russia e Turchia, che da mesi si contendono il dominio del Caucaso, stanno seguendo gli eventi con attenzione. Sergheij Lavrov, il ministro degli Esteri russo, ha chiamato l’omologo armeno, Ara Aivazian. La Turchia, che non ha rapporti con l’Armenia, ha però voluto condannare l’azione dei militari, segno di un coinvolgimento sempre maggiore nella regione. L’Unione Europea ha invitato alla ricomposizione dei contrasti, mentre il presidente azero Aliyev, nemico numero uno dell’Armenia, ha parlato di un «Paese in stato pietoso, per colpa della sua leadership».

Il premier e il conflitto per il Nagorno-Karabakh

Dal maggio 2018 è alla guida del governo armeno. Classe 1975, Nikol Pashinyan intendeva in realtà intraprendere la carriera di giornalista, ma è stato espulso dall’università per le sue idee politiche. Diventato il braccio destro del presidente Levon Ter-Petrossyan, si è dato alla politica partecipando attivamente alle manifestazioni violente del 2008. Condannato a sette anni di carcere, ha ottenuto l’amnistia nel 2011, lo stesso anno in cui ha fondato un proprio partito d’opposizione.

Pashinyan è ritenuto responsabile della disfatta armena nella «guerra dei 44 giorni» (27 settembre-10 novembre 2020), l’ennesimo conflitto scoppiato tra Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh, un’enclave popolata da armeni in territorio azero. Baku è sostenuto da Ankara, mentre Erevan contava su un discreto appoggio russo. Dopo vari cessate il fuoco falliti, Mosca riesce a mediare una fine delle ostilità considerata da molti armeni come un’umiliante capitolazione. Il bilancio è pesante: 5.600 armeni e 2900 azeri morti (più centinaia di mercenari siriani), cui si aggiungono 100.000 sfollati armeni e 40.000 azeri. (C.E.)

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L’Italia a braccetto con l’Azerbaigian (Difesaonline 26.02.21)

(di Andrea Gaspardo)
26/02/21

Nel corso della recente Seconda Guerra del Nagorno-Karabakh, durata dal 27 di settembre al 10 di novembre 2020, le forze armate della Repubblica dell’Azerbaigian hanno fatto ampio utilizzo di un’impressionante gamma di armamenti che, assieme ad altre circostanze, hanno permesso agli azeri di prevalere sul campo di battaglia contro i loro nemici armeni. Sebbene non siano molti coloro che seguono abitualmente le vicende caucasiche, a partire dal 1994, anno della conclusione della catastrofica Prima Guerra del Nagorno-Karabakh, lo stato del Caspio ha destinato cifre sempre più importanti al proprio bilancio alla Difesa, precisamente per raggiungere quella superiorità che, nei piani dei decisori politici e militari azeri, avrebbe dovuto tradursi sul campo di battaglia in una “rivincita”.

A titolo esemplificativo, basterà ricordare che, nonostante sia stato flagellato pesantemente dall’epidemia del Covid-19, in tutto il 2020 l’Azerbaigian abbia speso per le proprie forze armate la bellezza di 2 miliardi e 267 milioni di dollari, pari al 5% del PIL del paese per quell’anno. La cosa però non dovrebbe sorprendere dato che, nel corso dei primi anni Duemila, quando l’economia azera stava vivendo una fase di notevole espansione grazie al boom dei prezzi del petrolio, l’Azerbaigian destinava alla Difesa cifre equivalenti all’intero PIL della rivale Armenia.

Sebbene, all’indomani dell’indipendenza del paese, le forze armate di Baku fossero equipaggiate con una panoplia di armamenti di origine sovietica, il regime di Heydar Alirza oğlu Aliyev prima e quello di suo figlio Ilham Heydar oğlu Aliyev dopo, si sono dimostrati assai spigliati nel cogliere le occasioni che le ricchezze petrolifere del loro potentato gli hanno presentato, tanto che, al giorno d’oggi, l’Azerbaigian può vantarsi di ricevere forniture militari di diversa entità e valore da almeno ventidue paesi diversi. Nonostante quando si parli più specificatamente degli “armatori” di Baku venga in mente in primis il “quintetto d’oro” formato da Russia, Bielorussia, Ucraina, Turchia ed Israele, negli anni recenti anche l’Italia si è guadagnata l’attenzione dei “satrapi” della costa del Mar Caspio.

Prima di procedere oltre è ora necessario fare un piccolo excursus sui rapporti esistenti tra la Repubblica Italiana da un lato, e la Repubblica dell’Azerbaigian dall’altro dato che i recenti annunci relativi all’acquisto di armi italiane da parte dell’Azerbaigian sono solamente la punta dell’iceberg di una “relazione” assai più vasta.

Anche se i rapporti tra lo “Stivale” e la “Terra del Fuoco” sono di ben antica data (basti pensare al ritrovamento, nel parco nazionale di Gobustan, situato 69 chilometri a sud di Baku, di un’iscrizione risalente al periodo del regno dell’imperatore Tito Flavio Domiziano ivi lasciata dalla XII Legione Fulminata), essi hanno cominciato ad avere una certa importanza solamente a partire dagli anni ’90 del XX secolo.

La Repubblica dell’Azerbaigian dichiarò la propria indipendenza dall’Unione Sovietica il 30 di agosto del 1991 nel corso del marasma politico seguito al colpo di stato contro l’allora leader sovietico Mikhail Sergeyevich Gorbachev. Nonostante entro il 18 ottobre dello stesso anno il processo sostanziale di conseguimento dell’indipendenza fosse ormai concluso, fu solo il 25 dicembre che, con lo scioglimento formale dell’URSS, l’Azerbaigian divenne a tutti gli effetti un membro del consesso internazionale.

La Repubblica Italiana riconobbe l’Azerbaigian il 1 di gennaio del 1992 e l’8 di maggio dello stesso anno i due paesi avevano stabilito piene relazioni diplomatiche, anche se l’ambasciata italiana in Azerbaigian e l’ambasciata azera in Italia vennero aperte rispettivamente nel 1997 e nel 2003.

Il fatto che l’Azerbaigian fosse stato il primo tra gli stati del Caucaso meridionale a creare un rapporto privilegiato con l’Italia, ha giovato grandemente a Baku nel lungo periodo. Nei primi anni ’90 infatti la situazione economica della “Terra del Fuoco” era a dir poco disastrosa. La caduta del Muro di Berlino, la fine del Comunismo, lo scioglimento del Patto di Varsavia ed il crollo della stessa Unione Sovietica fecero cessare anche il mercato unico nel quale l’Azerbaigian Sovietico era stato integrato per settant’anni. Il calo dei prezzi del petrolio a seguito della conclusione della Guerra del Golfo, l’espulsione della nutrita comunità armena (che aveva sempre rappresentato storicamente il segmento più attivo sia economicamente che culturalmente della società) e la fuga di gran parte dei membri delle altre comunità minoritarie allogene (come per esempio i russi), il disastro della Prima Guerra del Nagorno-Karabakh e l’instabilità politica interna ad essa correlata (nei primi 2 anni di vita indipendente l’Azerbaigian cambiò ben 5 presidenti!) ebbero l’effetto di mettere quasi completamente al tappeto l’economia e la società.

Nel 1996, quando il processo di declino economico venne finalmente fermato, il valore complessivo del PIL di Baku si aggirava sui 19,95 miliardi di dollari a parità di potere d’acquisto, più o meno equivalenti al 42,7% del valore del PIL dell’Azerbaigian Sovietico nel 1991, ultimo anno di appartenenza del paese all’URSS (ricordiamo però che, nel 1991, anno della disgregazione dell’URSS, l’economia sovietica era già sprofondata in una gravissima crisi economica che durava da almeno 3 anni, quindi non bisogna affatto pensare che i dati relativi alle prestazioni economiche per quell’anno rappresentassero il massimo della potenza economica dell’URSS e delle sue repubbliche costituenti).

Le sorti del paese cominciarono a cambiare dopo il ritorno al potere, in veste di presidente dell’Azerbaigian indipendente, del vecchio “deus ex-machina” della politica interna azera nel periodo sovietico, Heydar Aliyev il quale, una volta conclusa la Prima Guerra del Nagorno-Karabakh, non perse tempo a ricostruire il potere politico ed economico di Baku a partire dalla più importante risorsa a disposizione dello stato caspico: il petrolio. Furono questi gli anni che videro una crescita esponenziale delle attività della SOCAR (Compagnia Statale del Petrolio della Repubblica dell’Azerbaigian – Azərbaycan Respublikası Dövlət Neft Şirkəti), la creazione del SOFAZ (Fondo Statale del Petrolio della Repubblica dell’Azerbaigian) e, soprattutto, la costruzione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC), il primo oleodotto in assoluto che avrebbe dovuto esportare ingenti quantitativi di petrolio verso i mercati occidentali utilizzando un’infrastruttura non appartenente al preesistente sistema di condotte energetiche ereditato dalla vecchia Unione Sovietica ed utilizzato dalla Russia come strumento per esercitare importanti leve di potere nei confronti delle altre repubbliche ex-sovietiche.

Quando l’oleodotto BTC venne infine inaugurato, nel 2006, Heyday Aliyev era morto da 3 anni, ma suo figlio Ilham ereditò oltre alla poltrona della presidenza della repubblica anche quello che era già stato ribattezzato “l’oleodotto più strategico a livello mondiale”. Mai tale definizione risultò più azzeccata di questa dato che, da quel momento in poi, l’oleodotto BTC ha ricoperto un ruolo centrale in gran parte delle trame geopolitiche non solo del Caucaso ma anche più in generale nell’area ex-sovietica e nel “Grande Medio Oriente Allargato”. E proprio in questo gioco si è gettata a capofitto l’Italia perché, tra le 12 grandi compagnie partner del progetto BTC, c’è proprio la nostra Eni S.p.A., assieme alla già citata SOCAR, ma anche alla British Petroleum, alla Chevron Corporation, alla Equinor ASA (ex-Statoil), alla GIOC, alla Türkiye Petrolleri Anonim Ortaklığı, alla Total SE, alla Itochu Corporation, alla INPEX Corporation, alla ConocoPhillips ed alla Hess Corporation. È stato infatti il petrolio il principale motore delle relazioni italo-azere e tale resterà anche per il prevedibile futuro.

Nonostante almeno negli ultimi vent’anni le autorità di Baku si siano letteralmente sbracciate nel tentativo di promuovere le relazioni politiche, sociali, economiche e culturali tra i due paesi, la realtà dei fatti è assai più caustica. Dal punto di vista statistico, l’Italia rappresenta il singolo principale partner commerciale dell’Azerbaigian, assorbendo ben il 30,1% dell’export di Baku. Tuttavia, dal punto di vista qualitativo, la realtà più prosaica è che tale export è costituito quasi solamente da idrocarburi, che rappresentano circa il 10,6% del fabbisogno italiano su base annuale; una cifra non disprezzabile, ma assolutamente sostituibile e per nulla “vitale”, come si sforza di sottolineare una certa stampa in odore di interessi opachi. Quegli stessi che ruotano attorno all’efficacissima lobby che Mammad Ahmadzada, ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia dal 2016 ha pazientemente organizzato nel corso degli anni, per altro costruendo sul successo, dato che Baku è sempre stata molto attenta ad inviare a Roma alcuni dei suoi uomini migliori. Infatti il predecessore di Ahmadzada, Vaqif Sadiqov, ambasciatore in Italia tra il 2010 ed il 2015, è oggi il rappresentante dell’Azerbaigian presso gli uffici delle Nazioni Unite a Ginevra.

Emil Karimov, che fu ambasciatore a Roma tra il 2005 ed il 2010, è diventato poi il rappresentante diplomatico azero in Bulgaria, altro paese europeo nel quale gli interessi azeri (e turchi) sono cresciuti sensibilmente nell’ultimo decennio. Infine, colui che fu in assoluto il primo ambasciatore di Baku acquartierato nello “Stivale” tra il 2003 ed il 2004, Elmar Mammadyarov (foto), divenne poi tra il 2004 ed il 2020 il potentissimo Ministro degli Affari Esteri dello stato caspico, prima di venire politicamente liquidato senza pietà da Ilham Aliyev in situazioni mai del tutto chiarite nel luglio del 2020, proprio mentre l’Azerbaigian si preparava, con l’aiuto della Turchia e del Pakistan, a riaccendere in grande stile la guerra per il Nagorno-Karabakh.

Avendo quindi compreso l’importanza strategica che le relazioni italo-azere hanno per Baku, bisogna adesso chiedersi se ciò trova un contraltare anche a Roma. In tale caso, la risposta deve essere tranciante: no.

Per cominciare, nonostante come già detto, Baku fornisca il 10,6% del fabbisogno energetico annuale dell’Italia, e ciò corrisponda a ben il 30,1% dell’export azero, l’Azerbaigian non compare assolutamente tra i primi partner commerciali dell’Italia né dal lato dell’export né da quello dell’import, laddove i paesi che sono veramente importanti per la tenuta commerciale del nostro stato sono la Germania, la Francia, gli Stati Uniti, la Cina, i Paesi Bassi, la Spagna, il Regno Unito, la Svizzera ed il Belgio.

Nonostante la sua “potenza energetica”, Baku non figura tra tra i 10 principali partner economici dello “Stivale”. Non solo; le forniture di idrocarburi azeri sono più che controbilanciate nel paniere delle disponibilità energetiche amministrate dall’Eni grazie ai rapporti che negli anni il colosso di stato è riuscito a tessere con altri importanti attori del mercato dei combustibili fossili quali: la Russia, l’Iraq, la Libia, l’Algeria e molti altri ancora. Elemento da non sottovalutare poi è il fatto che il petrolio azero arrivi in Italia attraverso le “infrastrutture logistiche” della Turchia, paese che rappresenta indiscutibilmente il principale partner strategico dei satrapi del Caspio e che possiede quindi più di una spettacolare leva di ricatto geopolitico nei confronti dell’Italia. Veramente un’ironia della Storia, se pensiamo che la principale ragione che portò l’Italia ad impelagarsi nel Caucaso fu proprio il miraggio di diversificare le proprie forniture petrolifere, a quel tempo troppo sbilanciate a favore della Russia (l’eterna nemica della NATO, secondo gli Stati Uniti d’America, e quindi da ridimensionare a tutti i costi), con il risultato di trasferire le leve del potere energetico da Mosca ad Ankara, proprio nel momento nel quale la Turchia ha intrapreso la strada che la porterà inevitabilmente allo scontro finale con l’Occidente, e con l’Italia in particolare.

Vi sono infine alcune forniture militari. Alle prese con l’impellente necessità di rinnovare e potenziale le proprie forze aeree ed in particolare di sbarazzarsi definitivamente dei suoi Aero L-39 Albatross ed Aero L-29 Delfin (questi ultimi pare già da diversi anni a terra – foto) di produzione cecoslovacca ereditati dal periodo sovietico, l’Azerbaigian ha firmato, nel febbraio 2020, una lettera di intenti per la fornitura velivoli Alenia Aermacchi M-346 Master da addestramento (media azeri parlano di 12 velivoli con opzione per ulteriori 12 appartenenti nella versione FA da attacco al suolo).

Tale operazione potrebbe essere un successo per la nostra industria aeronautica, rafforzato dal fatto che, successivamente, anche il vicino Turkmenistan avrebbe deciso di ordinare 6 esemplari del Master.

Considerando inevitabile la riesplosione del conflitto in un arco temporale di 5 anni, una volta che la missione di peacekeeping russa sarà conclusa, un paese come l’Italia potrebbe coltivare da oggi questi ultimi risultati per un “soft power positivo” (tanto millantato quanto inutile e tardivo in altre aree di crisi)?

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Armenia, Antonia Arslan: “Situazione delicata, spero si eviti confronto violento” (Adnkronos 25.02.21)

Roma, 25 feb. (Adnkronos)

“Mi dispiace infinitamente”. Antonia Arslan esordisce così se le si chiede di quello che sta accadendo in Armenia. “Non posso pensare neanche vagamente all’idea di un confronto vero e proprio”, dice la scrittrice all’Adnkronos, con il pensiero che corre alle strade e alle piazze di Erevan e con l’auspicio che possa prevalere “il buon senso”, che si possa evitare “un confronto violento” in una “situazione così delicata” su cui pesa il recente passato.

E’ un rischio che esiste? “Temo che un po’ il rischio ci sia perché – dice – il Paese è sotto choc per la guerra persa. La situazione del Nagorno Karabakh non è ancora totalmente definita poiché non sono ancora stati definiti del tutto i confini”. Antonia Arslan, nata a Padova e di origini armene, pensa a chi è tornato a Stepanakert.

“Sono tornati indietro, con una tenacia incredibile hanno riaperto le scuole, la radio, la tv, l’elettricità, tutto questo funziona – racconta l’autrice de ‘La Masseria delle allodole’ – ma le frontiere non sono ancora ben definite”. Ed è anche per questo che l’auspicio è che “su questa situazione delicatissima non si innesti un confronto violento nella capitale”.

E la Russia? “Alla Russia interessa tenere tranquilla l’Armenia perché il suo baluardo nel Caucaso – osserva Arslan – La Georgia è sempre instabile, l’Azerbaigian ormai risponde alla Turchia”. “L’Armenia – conclude – è l’unico Paese del Caucaso che la Russia può considerare suo alleato”.

Tensione in Armenia (Rassegna stampa 25.02.21)

Armenia: presidente invita alla calma, ‘misure urgenti per soluzione pacifica’ (Adnkronos)

Erevan, 25 feb. (Adnkronos) – Il presidente armeno, Armen Sarkissian, ha fatto sapere di essere al lavoro per “avviare con urgenza misure volte a trovare modi per ridurre le tensioni e risolvere la situazione in modo pacifico”. In una dichiarazione riportata dall’agenzia Armenpress sottolinea come “choc per il Paese sarebbero una mancanza di rispetto per la memoria delle migliaia di nostri figli morti durante la guerra”. L’appello è a essere “vigili”, al “controllo”, alla “moderazione” e al “buon senso”.


Le spoglie contese dell’Armenia, ferita dalla guerra in Nagorno-Karabakh ( Huffingtonpost)

Scontro fra Governo ed Esercito, gli occhi puntati di Russia e Turchia nell’indifferenza dell’Ue. Il premier erede della rivoluzione di velluto: “Non ci sarà un golpe”. L’analista Nona Mikhelidze ad HuffPost

Sono ore di estrema tensione in Armenia. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha denunciato un tentativo di colpo di stato militare dopo che 40 alti ufficiali dell’esercito, incluso il capo di stato maggiore Onik Gasparyan, hanno chiesto le sue dimissioni. Il premier ha dunque ordinato la rimozione di Gasparyan dai vertici dell’esercito, ma il presidente Armen Sarkissian non avrebbe ancora firmato il decreto.

Pashinyan ha escluso l’ipotesi di un passo indietro: “Un colpo di stato militare non accadrà. Tutto finirà in modo pacifico. Decideremo cosa fare insieme al popolo”. Il premier ha incontrato i suoi sostenitori in piazza della Repubblica, nella capitale Erevan, mentre gli oppositori protestavano per chiederne le dimissioni. Ora bisognerà vedere come si comporterà l’esercito e cosa avverrà ai vertici dello stato maggiore.

La situazione è seguita con fredda attenzione da Mosca. Il Cremlino ha espresso “preoccupazione” per l’aggravarsi dello scontro tra governo ed esercito in Armenia e ha invitato le parti alla “calma”. Il ministero degli Esteri russo ha poi sottolineato che la crisi in corso nell’ex repubblica sovietica è un “affare interno”. ”È con preoccupazione che seguiamo la situazione in Armenia ma la riteniamo una questione esclusivamente dell’Armenia, che è un nostro alleato molto importante e prossimo nel Sud del Caucaso”, ha dichiarato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. “Come naturale, chiediamo a tutte le parti di mantenere la calma. Riteniamo che la situazione debba essere tenuta nei limiti del quadro costituzionale”.

Speculare arriva il commento di Ankara, principale partner strategico dell’Azerbaijan. “Condanniamo con fermezza il tentativo di colpo di Stato in Armenia”, ha dichiarato il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, citato dall’agenzia di stampa Anadolu. “Ovunque nel mondo – ha aggiunto Cavusoglu – siamo contrari ai golpe e ai tentativi di colpo di stato”.

L’ex repubblica sovietica si trova al bivio, conseguenza inevitabile delle ferite mai sanate della recente guerra nella regione del Nagorno-Karabakh. “Tutto nasce dal risultato dell’ultimo conflitto tra Azerbaigian e Armenia: la guerra è stata vinta dall’Azerbaigian, che ha ripreso i territori persi quasi trent’anni fa, tra cui sette regioni adiacenti e una parte del Nagorno-Karabakh”, dice ad HuffPost Nona Mikhelidze, responsabile di ricerca per il Caucaso presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI). “Nel cessate il fuoco il ‘mediatore’ principale è stata la Russia, che ha messo i propri peacekeeper lungo la linea del conflitto. Il punto è che la guerra è stata vinta dall’Azerbaigian ma il conflitto non è stato risolto, anzi: l’odio tra i due popoli è più vivo che mai. Ad oggi non c’è la guerra ma non c’è neanche la pace”.

Negli ultimi giorni roventi polemiche si sono accese attorno ai sistemi missilistici russi Iskander: secondo l’ex presidente Serzh Sargsyan, è stato un errore strategico non usarli sin dai primi giorni del conflitto; critiche a cui il premier Pashinyan ha risposto puntando il dito contro gli stessi sistemi d’arma, accusati di non aver funzionato o di averlo fatto solo al 10% della loro efficacia. Nella polemica è intervenuto anche il ministero della Difesa russo, che si è detto “sconcertato” dalle affermazioni di Pashinyan: l’esercito di Erevan – ha sostenuto – non ha mai utilizzato questo tipo di missile nello scontro, aggiungendo che il premier era stato probabilmente ingannato.

Quel che è certo è che la sconfitta armena in Nagorno-Karabakh nasce sì dal mancato aiuto russo – che nella partita aveva i propri interessi – ma anche dalla sproporzione tra i due eserciti. “L’esito della guerra era quasi scontato, data la disparità delle forze in campo: le forze militari azere erano molto più forti di quelle armene, perché da anni l’ Azerbaigian investe nella difesa tutti i ricavi delle proprie risorse energetiche, come dimostra anche l’acquisto di droni dalla Turchia”, osserva Mikhelidze.

Nel conflitto la Russia, tradizionale alleato militare dell’Armenia, ha preso una posizione poco chiara per gli armeni anche a causa dei rapporti freddi tra Putin e Pashinyan. Spiega ancora Mikhelidze: “Pashinyan è un leader arrivato al governo nel 2018 attraverso la cosiddetta rivoluzione di velluto, un movimento alimentato dalla voglia di più democrazia e meno corruzione nel Paese. Agli occhi dell’Occidente, Pashinyan è visto come un leader democratico. In questi anni ha cercato di avvicinarsi all’Europa e implementare una serie di riforme anticorruzione; ha arrestato una serie di oligarchi ben connessi agli oligarchi russi. Non è mai stato un leader gradito al Cremlino: il fatto di essere arrivato al potere attraverso una rivoluzione rappresenta un peccato originario agli occhi di Putin”.

“Gli armeni si aspettavano un aiuto militare nella guerra contro l’Azerbaigian ma questo aiuto nei fatti non è arrivato. Mosca aveva i suoi calcoli in questa guerra: il suo obiettivo era mettere peacekeeper nella regione, ed è riuscita a farlo. Il risultato che voleva ottenere era esattamente questo: un conflitto non risolto in cui la sua funzione di garante del cessate-il-fuoco fosse ancora necessaria”.

Allo stesso modo, ora Putin vorrebbe il mantenimento dello status quo: l’idea che i nazionalisti possano prendere il potere e portare a un’altra escalation militare non piace affatto al Cremlino, che ha già i suoi problemi interni.

“La sconfitta nel Nagorno-Karabakh ha aumentato la frustrazione del popolo armeno: quei territori erano come la Terra promessa per gli armeni; non si aspettavano di perderli a distanza di trent’anni”, spiega l’analista. “A cavalcare questa frustrazione sono soprattutto i gruppi più nazionalisti, inclini a ragionamenti poco razionali. In questi gruppi, inoltre, rientrano le élite corrotte e gli oligarchi che si sono sentiti perseguitati dalla rivoluzione di velluto, e ora intravedono una possibilità per tornare al potere”.

Secondo Mikhelidze, per mantenere la pace nella regione è indispensabile che Pashinyan riesca a mantenere il potere. Nella crisi pesa, ancora una volta, il disinteresse e il disimpegno dell’Occidente, un brutto film che sta andando in scena anche in Georgia. “Questa situazione – aggiunge l’analista – è anche figlia del disinteresse dell’Occidente per la regione. Basta guardare in parallelo a quello che sta accadendo in Georgia, dove è stato arrestato il leader dell’opposizione e il governo sta scivolando in modo sempre più evidente verso l’autoritarismo. In Armenia sta accadendo qualcosa di simile: le forze autoritarie stanno cercando di rovesciare il governo democratico”.

“Di fronte a questo trend – un autoritarismo che avanza nella regione – gli attori occidentali stanno dimostrando un completo disimpegno: l’Unione europea è stata completamente assente nella crisi del Nagorno-Karabakh, sia durante il conflitto sia durante la mediazione, lasciando tutto nelle mani di Russia e Turchia”, conclude Mikhelidze. “Anche dopo, da parte dell’Ue, non c’è stata nessuna iniziativa di peace building program, pur essendo chiaro a tutti che il conflitto tra i due popoli non è finito. Questa passività dell’Ue si osserva anche in Georgia, dove si permette al Paese che era considerato front-runner della Eastern Partnership di precipitare così indietro nei suoi processi democratici, scivolando verso l’autoritarismo. Si è pensato che l’importante fosse mantenere la stabilità, evitare in qualche modo la guerra tra la Georgia e la Russia, sacrificando però la democrazia. Senza uno sforzo per una vera democrazia sostenibile, nel Caucaso ci sarà sempre un caos politico che renderà impossibile la pace. Per il futuro spero in un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti di Biden, che potrebbero trascinare l’Europa”. Per ora, resta la preoccupazione per il vento dell’autoritarismo che soffia sulla polveriera Caucaso.


Ex Presidente Armenia esorta popolo a sostenere la richiesta dello Stato maggiore contro il Governo (Sputniknews)

L’ex Capo di Stato armeno, Robert Kocharian, ha detto che le autorità che hanno perso la guerra e hanno ceduto la terra dovrebbero andarsene e ha fatto appello al popolo, esortandolo a sostenere la richiesta dello Stato Maggiore delle Forze armate che vuole le dimissioni del Primo ministro Nikol Pashinyan.

“In questo fatidico momento, siate i padroni del nostro Stato, state accanto alle forze armate e all’esercito armeno. Le autorità che hanno perso la guerra e hanno consegnato la terra devono andarsene. Questa è la garanzia della nostra rinascita nazionale”, ha scritto l’ex Presidente sul suo canale Telegram.

Lo Stato Maggiore in mattinata ha chiesto le dimissioni del Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan, affermando che la leadership politica sta portando lo Stato su un pericoloso baratro. Ciò è accaduto dopo che il capo del governo aveva licenziato il primo vicecapo di Stato Maggiore delle forze armate, il tenente generale Tiran Khachatryan, che in precedenza aveva criticato le dichiarazioni di Pashinyan sul decorso della guerra in Nagorno-Karabakh.

In risposta, il Primo ministro Pashinyan ha annunciato che sarebbero in corso i preparativi per un tentativo di colpo di Stato e ha invitato i cittadini a riunirsi in Piazza della Repubblica per “difendere la rivoluzione”. Ha anche affermato di aver firmato la decisione di licenziare il capo di stato maggiore Onik Gasparyan dal suo incarico. Tuttavia, il Presidente non ha ancora firmato il documento.

Tensioni dopo il Nagorno-Karabakh

Yerevan ha assistito regolarmente a proteste a partire dal 10 novembre, quando il Primo ministro armeno e il presidente azero Ilham Aliyev hanno firmato l’accordo sul cessate il fuoco in Nagorno-Karabakh, mediato dal presidente russo Vladimir Putin.

Quell’accordo ha posto fine al conflitto armato che si era riacceso alla fine di settembre ma in base alle condizioni sottoscritte, Baku riprendeva il controllo dei territori occupati dagli armeni prima dello scoppio delle ostilità, provocando una protesta pubblica in Armenia e venendo interpretato dalle forze più nazionaliste come una severa e inaccettabile sconfitta.


“Tutto nasce dal conflitto” per il Nagorno Karabakh. E quello che sta accadendo in Armenia, così come in Georgia è una conseguenza “del ritiro strategico del mondo occidentale dal Caucaso”, dalle politiche dell’Unione Europea a quelle degli Stati Uniti, con “le crisi che si stanno manifestando nel Caucaso che mostrano uno scivolamento di questi Paesi verso l’autoritarismo”. Nona Mikhelidze, responsabile di ricerca dell’Istituto affari internazionali (Iai), ragiona con l’Adnkronos sulle notizie che arrivano dall’Armenia e lo fa partendo dal recente passato. Lo scorso novembre il premier armeno Nikol Pashinyan annunciava la firma di un accordo “doloroso” con Russia e Azerbaigian per porre fine alla guerra per il Nagorno Karabakh, poche ore dopo che l’Azerbaigian aveva rivendicato la conquista della città di Shusha.

“In Armenia iniziano le manifestazioni, la protesta della popolazione, con la richiesta di dimissioni del premier Pashinyan, monta la frustrazione per una guerra persa – ricostruisce – Gli armeni hanno dovuto subire il flusso dei rifugiati da questi territori subito dopo la guerra di autunno. Questo ha aumentato il livello di frustrazione della gente, che sicuramente subisce anche una grave situazione economica dovuta alla pandemia, che ha avuto un forte impatto sull’economia anche in Armenia”. Da una parte i problemi politici, dall’altra quelli economici. Messi insieme hanno portato una parte della popolazione a chiedere le dimissioni del premier in una fase delicata del cessate il fuoco, “con la guerra che è finita da poco, mentre in realtà il conflitto non è finito perché armeni e azeri, in quanto popoli, non hanno fatto pace e la guerra è terminata perché c’è un cessate il fuoco e la Russia che ha inviato i cosiddetti peacekeeper nella regione”.

Intanto Pashinyan è rimasto al potere, fino ad arrivare alle ultime ore quando ha denunciato un “tentativo di golpe militare” da parte dello “Stato Maggiore dell’Esercito” dopo un duro comunicato firmato dal capo di Stato Maggiore, Onik Gasparyan, e da decine di generali in cui si chiedono le dimissioni del primo ministro. “E’ stato interpretato come un tentativo di rovesciare il governo che Pashinyan ha voluto prevenire”, prosegue l’esperta, che traccia un parallelo tra quello che sta accadendo in Armenia e in Georgia, dove nei giorni scorsi è stato arrestato il leader del più grande partito di opposizione, Nika Melia, in un’escalation della crisi politica. E’ tutto, secondo Mikhelidze, una conseguenza del “ritiro strategico del mondo occidentale dal Caucaso, che ha portato questa regione alla totale instabilità dal punto di vista politico e della sicurezza”.

“Nel caso di Armenia e Azerbaigian – prosegue – l’Unione Europea è stata completamente assente e ha lasciato tutto nelle mani della Turchia e della Russia”. E nel caso della Georgia, continua, “l’Ue non è stata molto presente” per quanto riguarda lo sviluppo della democrazia. Così, nella lettura di Mikhelidze, “le crisi che si stanno manifestando nel Caucaso mostrano uno scivolamento di questi Paesi verso l’autoritarismo”.

“Pashinyan è sicuramente un leader democratico”, osserva, augurandosi quindi che riesca a mantenere il potere e che al governo non arrivino “forze nazionaliste perché le forze nazionaliste non democratiche sono di solito attori non razionali e poco prevedibili”. E se “già da parte azera – dice – abbiamo un governo non democratico, se avessimo un governo non democratico anche in Armenia ci troveremmo in una situazione completamente imprevedibile in cui qualsiasi provocazione, non si può escludere, potrebbe poi degenerare in un’escalation militare”.

Non solo l’Ue. C’è anche il ‘disengagement’ degli Usa. Secondo l’esperta, il caso dell’Armenia come quello della Georgia dimostrano infatti a livello generale come “la poca presenza, il disimpegno degli Stati Uniti iniziato negli ultimi anni della presidenza Obama e poi confermato ampiamente durante l’Amministrazione Trump, il completo ‘disengagement’ degli Stati Uniti, abbia portato a queste crisi continue degli ultimi anni”.


Alta tensione in Armenia, il premier denuncia un tentato golpe militare (AGI)

AGI – Sale la tensione in Armenia, dove il primo ministro, Nikol Pashinyan, ha denunciato un tentativo di colpo di stato militare dopo che 40 alti ufficiali dell’esercito, tra cui il capo di stato maggiore, Onik Gasparyan, avevano chiesto le sue dimissioni. “Ritengo che la dichiarazione dello stato maggiore sia un tentativo di colpo di Stato militare“, ha dichiarato il premier in una diretta Facebook.

Pashinyan ha disposto il licenziamento di Gasparyan ma il presidente, Armen Sarkissian, non ha ancora firmato il decreto. Dopo il proclama, Pashinyan ha marciato con i suoi sostenitori fino a Piazza della Repubblica, nella capitale Erevan, dove, davanti a 20 mila sostenitori, ha invitato il popolo a non consentire il colpo di Stato.

Il premier: “Non me ne vado, il golpe non ci sarà”

Con un megafono in mano, affiancato dal figlio e dai ministri del suo governo, Pashinyan ha smentito le voci che lo vogliono pronto ad abbandonare il Paese. “Alcuni stanno diffondendo voci secondo cui starei cercando di fuggire e avrei prenotato un aereo”, ha detto Pashinyan, “ma io sono qui, la mia famiglia è qui. Li inviteremo qui perché vedano da soli”. Il premier ha assicurato che non ci sarà nessun golpe.

Nel centro della città si sono verificati i primi scontri tra i fautori del premier, che stanno marciando con lui per le strade, e i sostenitori dell’opposizione, che appoggia l’appello dell’esercito perché Pashinyan si dimetta. Un video dell’agenzia russa Sputnik documenta calci, pugni e spintoni tra i membri delle due fazioni. Nella rissa sono rimasti coinvolti anche alcuni cronisti che stavano documentando i tafferugli. I sostenitori dell’opposizione si stanno raccogliendo a Piazza della Libertà per una contromanifestazione e hanno applaudito gli aerei militari che stanno sorvolando la città.

Il presidente invita alla calma

Sarkissian ha annunciato di essere al lavoro su “iniziative urgenti per allentare le tensioni” nel Paese e “cercare maniere per risolvere la situazione in modo pacifico”.

“Chiedo a tutti di mostrare sobrietà e moderazione”, ha dichiarato Sarkissian in una nota diffusa dal suo ufficio, “l’Armenia è in una situazione esplosiva, carica di implicazioni imprevedibili per il nostro Stato che potrebbero portare a conseguenze irreversibili”.

Le ragioni dello scontro

La nota firmata da Gasparyan esprimeva una “forte protesta” contro il licenziamento del vice capo di stato maggiore, Tiran Khachatryan, per ragioni definite “superficiali e infondate”. Mercoledì Sarkissian aveva firmato il decreto che rimuoveva Khachatryan in seguito a uno scontro con il governo, che aveva lamentato l’inefficienza dimostrata dai missili Iskander di fabbricazione russa nel recente conflitto con l’Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh.

L’esito della guerra, conclusasi con un consolidamento delle rivendicazioni territoriali azere, ha scatenato un’ondata di rabbia popolare contro l’esecutivo guidato da Pashinyan. Stanchi di sentirsi addosso tutta la responsabilità del risultato del conflitto, Pashinyan e i membri del suo governo sono quindi passati all’attacco, lamentando l’inefficienza degli armamenti russi in dotazione all’esercito.

Di recente Khachatryan aveva commentato con una risata sprezzante un commento di Pashinyan a proposito degli Iskander che “non esplodevano” o “esplodevano del 10%”, affermando che simili affermazioni “non potevano essere serie”. Poco dopo il numero due delle forze armate era stato licenziato, una decisione che, secondo la nota dei militari, “è stata presa senza tenere conto degli interessi nazionali e statali dell’Armenia ma solo sulla base di sentimenti e ambizioni personali”.

“La decisione, presa in circostanze difficili per l’Armenia, è antistatale e irresponsabile”, prosegue il comunicato, secondo il quale il premier armeno e il suo governo “non sono piu’ in grado di prendere decisioni adeguate in questa situazione critica, cruciale per il popolo armeno”. “Le forze armate armene hanno tollerato a lungo gli attacchi delle autorità mirati a screditare le forze armate ma ogni cosa ha il suo limite”, conclude la nota, “date le circostanze, le forze armate armene chiedono le dimissioni immediate del primo ministro e del governo e li avvertono di non utilizzare la forza contro la gente i cui figli sono morti difendendo la madrepatria”.

Mosca preoccupata, Ankara condanna

Il Cremlino ha espresso “preoccupazione” per l’aggravarsi dello scontro tra governo ed esercito in Armenia e ha invitato le parti alla “calma”. Il ministero degli Esteri russo ha poi sottolineato che la crisi in corso nell’ex repubblica sovietica è un “affare interno”.

“È con preoccupazione che seguiamo la situazione in Armenia ma la riteniamo una questione esclusivamente dell’Armenia, che è un nostro alleato molto importante e prossimo nel Sud del Caucaso”, ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, “come naturale, chiediamo a tutte le parti di mantenere la calma. Riteniamo che la situazione debba essere tenuta nei limiti del quadro costituzionale”.

Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha condannato il tentativo di colpo di Stato in Armenia. “Quando un colpo di Stato ha luogo, lo condanniamo”, ha dichiarato Cavusoglu durante la sua visita a Budapest, secondo quanto riporta l’agenzia Sputnik, “condanniamo questo tentativo in modo risoluto”.

“Criticare il governo e chiederne le dimissioni è normale, laddove rovesciare il governo con il sostegno dell’esercito è inaccettabile, così come i semplici appelli in materia”, ha aggiunto Cavusoglu, che ha definito la stabilità in Armenia cruciale per il processo di pace nel Nagorno-Karabakh.


Armenia: premier,’ho licenziato capo dello Stato Maggiore’ (Ansa)

(ANSA) – MOSCA, 25 FEB – Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha destituito Onik Gasparyan – che ha chiesto le sue dimissioni e quelle del governo – dal posto di capo dello Stato Maggiore delle forze armate armene. “Oggi ho firmato la decisione di sollevare Onik Gasparyan dalle sue funzioni.     Considero la sua dichiarazione come un tentativo di colpo di stato militare”, ha detto Pashinyan durante un livestream sulla sua pagina Facebook. Lo riporta Interfax. (ANSA).

(ANSA) – MOSCA, 25 FEB – Il Cremlino segue gli sviluppi in Armenia con un senso di preoccupazione ma crede che sia esclusivamente un affare interno. Lo ha detto il portavoce di Putin Dmitry Peskov citato dalla Tass. Mosca è un alleato stretto di Erevan, che fa parte dell’Unione Economica Euroasiatica, e primo sostenitore dell’esercito armeno. (ANSA).

(ANSA) – BRUXELLES, 25 FEB – “L’Unione europea segue molto da vicino gli sviluppi in Armenia e chiede a tutti gli attori di mantenere la calma e di evitare qualsiasi retorica o azioni che possano portare a un’ulteriore escalation”. Lo afferma in una nota l’ufficio dell’Alto rappresentante Ue Josep Borrell.  “Le divergenze politiche siano risolte pacificamente e in stretta aderenza ai principi e ai processi della democrazia parlamentare – prosegue la nota -. In linea con la Costituzione armena, le forze armate dovranno mantenere la neutralità nelle questioni politiche e stare sotto il controllo pubblico”.

Armenia, il premier scende in piazza ‘Non ci sarà il colpo di Stato’. (ANSA)

Sale la tensione in Armenia: il primo ministro  Nikol Pashinyan ha marciato per le strade della capitale Erevan con i suoi sostenitori dopo aver accusato i militari di aver montato un tentativo di colpo di stato. “La situazione è tesa ma dobbiamo evitare gli scontri”, ha detto Pashinyan ai suoi sostenitori attraverso un megafono, aggiungendo che la nuova instabilità politica che segue mesi di proteste contro il suo governo è “gestibile”.

Nikol Pashinyan ha destituito Onik Gasparyan – che ha chiesto le sue dimissioni e quelle del governo – dal posto di capo dello Stato Maggiore delle forze armate armene. “Oggi ho firmato la decisione di sollevare Onik Gasparyan dalle sue funzioni. Considero la sua dichiarazione come un tentativo di colpo di stato militare”, ha detto Pashinyan durante un livestream sulla sua pagina Facebook. Lo riporta Interfax.

“Un colpo di stato militare non accadrà. Tutto finirà in modo pacifico. Decideremo cosa fare insieme al popolo”, ha detto Pashinyan durante una marcia a Erevan. Il diritto del popolo di formare le autorità non dovrebbe essere messo in dubbio, ha sottolineato.

Vazgen Manukyan, candidato dell’opposizione armena a primo ministro, ha messo in guardia la gente dal cedere alle azioni provocatorie del governo ma ha esortato i suoi sostenitori a riunirsi in Piazza della Repubblica nel centro di Yerevan. “Il primo ministro Nikol Pashinyan sta cercando di portare il nostro popolo a una guerra civile, scontri e spargimenti di sangue. Chiediamo a tutti i cittadini armeni di non cadere nelle provocazioni di questo regime, di manifestare moderazione: l’unico garante della nostra sicurezza sono le forze armate e il loro comando”, ha detto Manukyan.

Gli attivisti dell’opposizione armena stanno bloccando con le barricate viale Baghramyan, la strada centrale di Erevan, dove si trovano il Parlamento e l’ufficio presidenziale. “Stiamo issando le barricate per costringere il Parlamento a riunirsi per una sessione e votare la destituzione del primo ministro Nikol Pashinyan”, ha detto Vazgen Manukyan. “Siate pronti, staremo qui anche di notte”, ha aggiunto rivolgendosi ai sostenitori. Lo riporta Interfax.

Il Cremlino segue gli sviluppi in Armenia con un senso di preoccupazione ma crede che sia esclusivamente un affare interno. Lo ha detto il portavoce di Putin Dmitry Peskov citato dalla Tass. Mosca è un alleato stretto di Erevan, che fa parte dell’Unione Economica Euroasiatica, e primo sostenitore dell’esercito armeno.

“L’Unione europea segue molto da vicino gli sviluppi in Armenia e chiede a tutti gli attori di mantenere la calma e di evitare qualsiasi retorica o azioni che possano portare a un’ulteriore escalation”. Lo afferma in una nota l’ufficio dell’Alto rappresentante Ue Josep Borrell. “Le divergenze politiche siano risolte pacificamente e in stretta aderenza ai principi e ai processi della democrazia parlamentare – prosegue la nota -. In linea con la Costituzione armena, le forze armate dovranno mantenere la neutralità nelle questioni politiche e stare sotto il controllo pubblico”.

ESPERIENZE | COMABBIO RACCONTA L’ARMENIA: GRANDI NOMI PER LA RASSEGNA CHE PRESENTA IL PAESE DELLE ALBICOCCHE ( Turismoitalianews 25.02.21)

Un ricco programma di incontri online, ai quali si aggiungeranno alcuni appuntamenti in presenza, compatibilmente con l’evolversi della pandemia. Un progetto ambizioso che ha raccolto il contributo dei più importanti rappresentanti, studiosi e conoscitori della cultura armena tra scrittori, giornalisti, fotografi, armenisti, storici, musicisti, architetti, artisti e altre personalità provenienti da Italia, Armenia, Stati Uniti e Turchia. E’ la rassegna “Comabbio racconta l’Armenia”, iniziativa di respiro internazionale del Comune di Comabbio, che si svolgerà da venerdì 5 marzo a domenica 23 maggio nell’incantevole borgo dove il pittore Lucio Fontana amava ritirarsi.

 

(TurismoItaliaNews) Tra i nomi più noti, la scrittrice di origini armene Antonia Arslan, autrice del romanzo “La Masseria delle Allodole”, tradotto in oltre 20 lingue, che ha riportato alla ribalta il tema del genocidio armeno. Molto attesi anche gli interventi di Shushan Martirosyan dalla capitale armena Yerevan, Siobhan Nash-Marshall del Manhattanville College di New York, e Mons. Levon Arciv. Zekiyan, Arcieparca degli armeni cattolici di Istanbul e di Turchia e Delegato Pontificio per la Congregazione Mechitarista. Previste anche due conferenze online rivolte agli studenti delle scuole superiori, il 30 marzo e il 22 aprile, in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Provinciale di Varese.

Comabbio racconta l'Armenia: grandi nomi per la rassegna che presenta il Paese delle albicocche

Si comincia venerdì 5 marzo con “Armenia l’altopiano delle sorprese”, un’introduzione all’Armenia a cura di Massimo Rolandi, docente, Shushan Martirosyan esperta di viaggi, e Aldo Oriani, naturalista ornitologo e teriologo. Venerdì 12 marzo Marco Ruffilli, membro dell’Association Internationale des Études Arméniennes, racconterà la storia e l’affascinante simbologia del khachkar, stele di pietra tipica dell’Armenia sulla quale è scolpita la croce con altri elementi. Antonia Arslan sarà in scena venerdì 19 marzo con “Ballata Caucasica”, mentre il 26 marzo lo chef Sedrak Mamulyan e Shushan Martirosyan ci parleranno di cucina tradizionale armena in collegamento dall’Armenia. Sabato 27 marzo Siobhan Nash-Marshall, professore di filosofia, affronterà i temi del genocidio armeno e del negazionismo turco. Venerdì 9 aprile l’architetto Paolo Arà Zarian racconterà il suo intervento per il restauro dei dipinti murali del monastero di Dadivank in Karabakh. Sarà dedicato a oltre due millenni di storia armena l’intervento del 16 aprile di Aldo Ferrari, professore di storia, lingua e letteratura armena all’Università Ca’ Foscari di Venezia, autore di numerosi saggi sul tema. Parlerà dell’attuale situazione politica e sociale in Armenia, anche alla luce delle conseguenze del recente conflitto per il controllo del Karabakh, il giornalista Simone Zoppellaro venerdì 23 aprile.

Sabato 24 aprile – anniversario del genocidio armeno – il pianista e musicologo Alberto Nones ci condurrà in un piccolo viaggio musicale in Armenia con esecuzione di alcuni brani armeni interpretati dagli allievi del Conservatorio di Gallarate. Sarà invece un viaggio virtuale attraverso la Repubblica d’Armenia l’incontro del 30 aprile con Nadia Pasqual, autrice della prima guida di viaggio italiana interamente dedicata al Paese, e Shushan Martirosyan, che faranno conoscere i luoghi più interessanti da visitare sotto il profilo storico, culturale e naturalistico. Venerdì 7 maggio appuntamento con due insigni rappresentanti della diaspora armena in Italia, Pietro Kuciukian, Console onorario della Repubblica d’Armenia in Italia, e il prof. Baykar Sivasliyan, armenista e presidente dell’Unione Armeni d’Italia, che parleranno degli armeni, popolo di cerniera tra l’Occidente e l’Oriente.

Comabbio racconta l'Armenia: grandi nomi per la rassegna che presenta il Paese delle albicocche

Comabbio racconta l'Armenia: grandi nomi per la rassegna che presenta il Paese delle albicocche

La rassegna proseguirà poi con incontri dal vivo, alcuni dei quali già programmati, tra i quali segnaliamo quello di sabato 15 maggio con monsignor Levon Arciv. Zekiyan, che celebrerà la Messa Vespertina e terrà una conferenza. Sempre il 15 maggio si svolgerà un laboratorio sull’alfabeto armeno e verranno inaugurate le mostre dei fotografi Emanuele Cosmo e Marco Ansaloni. Previsti per domenica 16 maggio i concerti all’alba e al tramonto del trio Piovan-Fanton e un laboratorio sui khatchkar. Saranno, invece, programmati a breve gli interventi di Alberto Elli, studioso di lingue e religioni, autore di un volume dedicato ad arte, storia e itinerari dell’Armenia, lo scultore Mikayel Ohanjanyan, e l’architetto Gayanè Casnati. Già confermato invece per sabato 22 maggio lo spettacolo “Canta, gru, canta” reading-mise en espace della compagnia CamparIPadoaN con la regia di Giulio Campari, interpretato dagli attori Natascha Padoan e Marco Balbi. Una ballata per l’Armenia, ideata da vari autori, anche armeni, che rievocherà la “canzone” popolare della gru, un uccello originario dell’Armenia, per dare voce alla memoria di donne e uomini armeni, vittime dimenticate del genocidio. La rassegna si concluderà domenica 23 maggio con una tavola rotonda.

L’iniziativa “Comabbio racconta l’Armenia” nasce dal desiderio di Giusy Tunici, abitante del borgo sull’omonimo lago, di condividere le esperienze di due viaggi in Armenia. I suoi racconti hanno suscitato la curiosità dei concittadini e del Sindaco Marina Paola Rovelli, che l’ha delegata a narrare le sue esperienze. La risposta entusiasta degli enti locali e degli esperti in materia, via via coinvolti, hanno trasformato il programma iniziale in un progetto molto ambizioso e articolato che Giusy Tunici si è fatta carico di coordinare. La rassegna si inserisce nell’ambito del progetto “Il paese racconta un Paese” del Comune di Comabbio e intende promuovere la conoscenza di un luogo attraverso la sua storia, la cultura, le tradizioni, le caratteristiche del territorio e della popolazione. Un progetto che nasce dalla consapevolezza che il livello di maturità di una società si misura anche dalla sua capacità di rapportarsi a ciò che è diverso per origini, cultura e religione. Ente capofila è il Comune di Comabbio, Assessorato alla Cultura, con la collaborazione della Biblioteca di Comabbio, la Parrocchia di Comabbio, il Borgo di Lucio Fontana, gli Amici della Santa Collina e la Compagnia CamparIPadoaN. La rassegna ha ottenuto il patrocinio dell’Unione Armeni d’Italia e Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena.

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