Armenia chiede assistenza alla Banca Mondiale per riportare i capitali esportati (Sputniknews 10.08.18)

l governo armeno a nome del vice premier Ararat Mirzoyan ha chiesto all’amministrazione della Banca Mondiale assistenza per riportare nel Paese i capitali illegalmente esportati.

“Non è un segreto che nelle società corrotte, i fondi accumulati attraverso la corruzione, l’appropriazione indebita di denaro pubblico ed altri mezzi illeciti vengono spesso portati fuori dal Paese e trasferiti in altri Stati per trovare un rifugio relativamente più tranquillo e sicuro. Per porre fine a questa pratica criminale e recuperare la ricchezza pubblica saccheggiata, la Banca Mondiale e l’UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine) hanno creato lo strumento Stolen Asset Recovery Initiative (Iniziativa per la restituzione dei beni rubati”),” — ha scritto oggi il vice premier armeno sulla sua pagina Facebook.

Mirzoyan ha detto che, per avviare il processo di identificazione e rimpatrio dei fondi depredati e trasferiti all’estero, ha scritto una lettera alla Banca Mondiale per ottenere consulenza e assistenza tecnica nel quadro dello strumento “Stolen Asset Recovery Initiative.”

“Il genocidio armeno? I filosofi hanno le mani sporche di sangue” (Il Giornale.it 09.08.18)

Dicono che sia la nuova Hannah Arendt. Quando glielo dico, non si scompone. Al contrario, rilancia. «Alla Arendt contesto il fatto di non essere andata alla radice del problema del genocidio». E quale sarebbe questa radice? «Il protagorismo di Cartesio».

Questa me la spiega dopo. «No. Gliela spiego subito. Con un esempio». Prego. «Ricorderà il caso di Bruce Jenner, campione olimpico di decathlon, che un giorno ha detto al mondo di sentirsi donna. Io, francamente, mi sono sentita offesa. Cosa significa sentirsi donna’ per Jenner? Ha mai avuto delle mestruazioni? Ecco: oggi conta solo quello che pensi, non quello che sei. Se pensi di essere una donna, allora lo sei. Ma pensare una cosa non è essere quella cosa, perché l’uomo ecco il protagorismo non è misura di tutte le cose». Siobhan Nash-Marshall insegna filosofia al Manhattanville College di New York, parla perfettamente in italiano d’altronde, si è perfezionata, accademicamente, all’Università di Padova e alla Cattolica di Milano è tradotta in Italia (da Vita e Pensiero, La ricettività dell’intelletto), il suo ultimo libro, The Sins of the Fathers. Turkish Denialism and the Armenian Genocide (The Crossroad Publishing Company, pagg. 250, $24.95; prossimamente in Italia per Guerini), il primo di una trilogia dedicata al «Tradimento della Filosofia», è stato accostato, per ampiezza d’intenti, alla Banalità del male della Arendt. Fermo la Nash-Marshall a Padova, è ospite di Antonia Arslan, la scrittrice de La masseria delle allodole, di cui sta traducendo, in inglese, Il libro di Mush. A leggere commenti e rassegna stampa, The Sins of the Fathers è il massimo contributo filosofico sul genocidio armeno, che diventa, agli occhi dell’autrice, l’emblema della crisi del pensiero occidentale.

Sin dalla prima pagina lei è perentoria: «la filosofia ha avuto un ruolo cruciale nel genocidio armeno e nel negazionismo turco la filosofia ha le mani sporche di sangue». Cosa significa?

«Illuminismo cartesiano. Ecco cosa significa. Dividere il mondo della ragione da quello materiale, il mondo dell’esperienza da quello del pensiero. Penso dunque sono. L’approccio di Cartesio è devastante congiunto all’Illuminismo e alla Rivoluzione francese, quando la filosofia cessa di essere amore della sapienza ma progetto demiurgico per cambiare il mondo. Fichte, Herder, Bentham, Hegel, Marx: il pensiero dell’Ottocento ad eccezione di Antonio Rosmini ha come scopo precipuo quello di rendere perfetto il mondo. Il genocidio, allora, è giustificato, terribilmente, da una specifica visione del mondo».

E questo come si lega al genocidio armeno?

«Dai primi decenni dell’Ottocento, dopo la rivendicazione dell’indipendenza della Grecia, l’Impero Ottomano ha come problema, come incubo dominante, la costruzione di una identità propria, turca. L’Armenia è un ostacolo alla creazione del vatan, della patria. Se il vatan esiste, l’Armenia deve essere annientata. Bisogna considerare che i Giovani Turchi, responsabili del genocidio armeno, sono indottrinati dalla filosofia ottocentesca. Credono di avere diritto anche loro a costruire un mondo a immagine e somiglianza della propria idea».

Quando inizia il genocidio?

«I primi stermini cominciano dal 1908, ma tutto ha inizio nel 1878, in seguito al Congresso di Berlino che rettifica la pace di Santo Stefano siglata dalla Russia, vincitrice sull’Impero Ottomano. I Balcani entrano sotto orbita russa ed europea, l’Armenia ottiene alcune concessioni e la promessa di riforme mai attuate. Le testimonianze del console inglese Fitzmaurice, che recensisce i massacri ai danni degli armeni orditi dal sultano Abdul Hamid II, e svariate lettere, dal 1878 al 1915, ai governi francesi e inglesi, dimostrano che l’Europa era a conoscenza di ciò che stava accadendo al popolo armeno. Ma per realpolitik non fece nulla. Soltanto Benedetto XV tentò di evitare il genocidio».

Contro gli armeni si è agito con accanimento: perché davano così fastidio?

«Se vogliamo essere mistici, le direi: perché l’Armenia è stata la prima nazione cristiana. Le ragioni storiche, però, risalgono al 1717, quando il doge di Venezia cede l’isola di San Lazzaro agli armeni, e l’abate Mechitar vi redige la prima grammatica dell’armeno parlato, volgare. Comincia da lì un profondo lavoro sull’educazione che porterà l’Armenia, nei primi anni del ‘900, ad avere una alfabetizzazione pressoché completa, risultato all’epoca non ancora raggiunto nel resto dell’Occidente. Questa grande fioritura culturale fa sì che nel 1915 l’80% circa dell’economia ottomana fosse in mano cristiana. Questo infastidiva i Giovani Turchi».

Lei scrive, studiando i censimenti, che «circa 3,7 milioni di cristiani, il 74% della popolazione dell’Anatolia e delle provincie orientali, sono state eliminate uccise, o deportate in quegli anni», tra il 1914 e il 1927. Cosa sappiamo riguardo ai numeri del genocidio?

«Cosa sappiamo riguardo ai morti nei Gulag stalinisti? Cosa sappiamo dei morti durante la marcia di Mao? Pressoché nulla. Censimenti e statistiche fanno parte della lotta politica: possiamo solo supporre delle cifre. Il censimento in Turchia, poi, avveniva per fede religiosa: tra musulmani e cristiani. La vera domanda, piuttosto, è: chi sono davvero i turchi? In cosa si riconoscono? In quale identità culturale? La verità è che la Turchia, ieri come oggi, è un mosaico».

Hitler prese a modello l’efficienza turca nel gestire il genocidio armeno, replicando il metodo…

«Va detto che la politica antiarmena, in Germania, comincia nel tardo Ottocento, quando una massiccia pubblicistica mostra l’armeno come l’ebreo d’Oriente, come il virus. La Germania aveva mire espansionistiche verso l’Impero Ottomano e interesse nel dileggiare gli armeni. Quanto a Hitler, certo, vede nel genocidio armeno una possibilità realizzata. Se i Turchi ce l’avevano fatta, anche Hitler, allora, avrebbe potuto compiere gli stessi orrori senza particolari pericoli. Le analogie sono agghiaccianti: anche nel nazismo, ad esempio, ha un peso il motivo biologico già cavalcato dai Giovani Turchi, in era di darwinismo rampante.

A suo avviso il negazionismo turco esemplifica l’epoca della post-verità…

«Per Erdogan negare il genocidio armeno è essenziale all’identità turca: dovesse riconoscere la realtà dei fatti, sarebbe la fine del suo governo e la disgregazione della Turchia. Non contano i fatti, ma le intenzioni, il mondo concreto non ha rilevanza: ecco l’illuminismo cartesiano! Il problema, piuttosto, è l’Europa, sono gli Stati Uniti, a cui non importa più di vivere in una situazione contraria alla verità».

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Alla ricerca dell’Arca perduta: a Echmiadzin, in Armenia, in un’antica chiesa c’è un pezzo della barca di Noè (Turimoitalianonews.it 09.08.18)

Giovanni Bosi, Echmiadzin / Armenia

Avete mai visto la leggendaria Arca di Noè? Un frammento di quella che può essere ben più di un simbolo o di un racconto biblico, è conservato in Armenia nella cattedrale madre di Echmiadzin, oggi Patrimonio dell’Unesco. Siamo andati a vederlo: quando ci si trova al cospetto dei frammenti di legno ritenuti essere parte della grande imbarcazione costruita da Noè su indicazione divina per sfuggire al Diluvio universale, non mancano suggestioni e interrogativi….

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Armenia: premier Pashinyan, sistema pubblica amministrazione sovradimensionato (Agenzianova 09.08.18)

Armenia: premier Pashinyan, sistema pubblica amministrazione sovradimensionato
Erevan, 09 ago 16:43 – (Agenzia Nova) – Il sistema della pubblica amministrazione in Armenia è sovradimensionato. Lo ha detto il premier armeno, Nikol Pashinyan, citato dall’agenzia di stampa “Armenpress”. “Penso che questo sia ovvio a tutti e, a causa di ciò, il lavoro in molti casi è inefficiente”, ha detto Pashinyan durante la sessione odierna del Consiglio dei ministri. “Chiedo ai membri del governo di essere pronti in quanto proporremo molte soluzioni e riforme serie. Alla fine, i cittadini armeni dovrebbero essere consapevoli di ciò che ogni dram (valuta armena), ogni somma viene spesa”, ha osservato il premier. (Res)

Tuffi, Europei 2018: dalla piattaforma sincro maschile vince la Russia di Minibaev e Bondar. Bronzo all’Armenia! (Oasport 09.08.18)

Il programma degli Europei di tuffi ha visto nel primo pomeriggio la finale della piattaforma sincro maschile da 10 metri: l’Italia si è ritirata a causa dell’infortunio di Mattia Placidi, e così nella lotta per il titolo si sono cimentate soltanto cinque coppie. Per il podio si sono infatti sfidate Bielorussia, Russia, Gran Bretagna, Germania ed Armenia.

Dopo i tuffi obbligatori Russia, Gran Bretagna e Bielorussia scavano un piccolo solco riuscendo a scavalcare quota 100 punti, mentre Germania ed Armenia appaiono già staccate. Come sempre però è nelle quattro serie di liberi che si decide la gara e così la Russia di Aleksandr Bondar e Viktor Minibaev allunga, ampliando il gap sulla Gran Bretagna di Matthew Dixon e Noah Williams. Alle loro spalle è da applausi la performance dell’Armenia di Vladimir Harutyunyan e Lev Sargsyan, che, complici coefficienti alti, recuperano il ritardo accumulato nei liberi riportandosi in corsa per il terzo gradino dl podio.

La quarta rotazione è quella decisiva per l’oro, con la Russia che saluta definitivamente la Germania, mentre il bronzo si decide nella quinta serie: la Bielorussia di Artsiom Barouski e Vadim Kaptur sbaglia, la Germania di Timo Barthel e Florian Fandler è già lontana e così l’Armenia si issa sul terzo gradino del podio. L’ultimo tuffo serve per la consacrazione: i russi chiudono a quota 423.12, la Gran Bretagna segue a quota 399.90 e l’Armenia sfiora il colpaccio attestandosi a 396.84. Staccatissime Germania, quarta con 360.66, e Bielorussia, quinta a quota 354.15.

L’Armenia accoglie l’arte italiana della Basilicata” (Lasiritide.it 06.08.18)

Grande successo della mostra “Tesori contemporanei sul 40° parallelo nord. L’Armenia accoglie l’arte italiana della Basilicata”, inauguratasi il 4 agosto 2018 alla presenza di personalità illustri e rappresentanti istituzionali, in particolare il neo Ministro della Cultura dell’Armenia Lilit Makunts, il vice Ministro Nazeni Gharibyan e il Tesoriere di Stato, Vahe Arakelyan, ma anche Shomby Sharp, rappresentante delle Nazioni Unite in Armenia.
La mostra, a cura di Aniello Ertico, Melanie Zefferino e Lilit Hovhanisyan, è frutto della collaborazione fra Porta Coeli galleria d’arte, Centro Studi per la Cultura del Mediterraneo e Accademia di Alta Formazione di Venosa con la Nur Art Gallery di Yerevan, dove fino al 18 agosto 2018 saranno esposte le pitture di Salvatore Comminiello, le sculture di Antonio Saluzzi e Nisio Lopergolo, i gioielli d’arte di Manuela Telesca e le fotografie artistiche di Karmil Cardone oltre al video di Aniello Ertico. L’evento è stato occasione per presentare anche la traccia musicale composta ed eseguita da Carmine Manzi, allievo del Master in Economia e Management della Cultura della Porta Coeli Academy.
Al vernissage sono intervenute personalità di chiara fama quali Vilik Zaqaryan, Professore all’Accademia di Belle Arti di Yerevan; Armen Yesayants, Curatore del Cafesjian Centre for the Arts; gli artisti Tigran Tsitoghdzyan, Ashot Tatevosyan, Armen Yeritsyan, Mushegh Mkhitaryan, Aram Danielyan; il cantante Tigran Petroyan, il direttore d’orchestra Eduard Topchyan e altri ancora.
Il pubblico e i rappresentanti dei media, inclusa la Arm TV, ha accolto con favore questo progetto espositivo, prima espressione di una sinergia d’ampio respiro tesa a dare vita a un dialogo d’arte fra due aree culturali distanti eppure affini, l’Armenia e l’Italia della Basilicata. Si tratta di due realtà straordinarie, segnate da una storia tormentata e accomunate da una profonda spiritualità, nutrita e difesa entro un territorio difficile non solo per ragioni morfologiche e geografiche, dove i monasteri sono baluardo della cristianità e di saperi conservati attraverso i segni e i simboli che accomunano scrittura e linguaggio per immagini.
A testimonianza di un interesse da parte delle Istituzioni, il 6 agosto la delegazione italiana è stata ricevuta in forma privata dal Ministro della Cultura dell’Armenia e i suoi consiglieri. L’incontro si è rivelato estremamente positivo in quanto ha consentito di porre le basi per un più ampio progetto di scambio e promozione artistico-culturale fra l’Armenia e la Basilicata, anche in vista degli eventi in programma per celebrare il territorio di Matera Capitale Europea della Cultura 2019.
Porta Coeli, centro per la produzione e promozione d’arte contemporanea d’eccellenza oltre che per l’Alta Formazione, esprime così anche in Armenia la sua vocazione alla internazionalità quale ambasciatore culturale del territorio che rappresenta e anima.

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Nuove spine per Putin da Armenia e Moldavia (Asianews.it 06.08.18)

A Erevan l’ex presidente filo-russo, Robert Kocharian, è accusato di “rovesciamento dell’ordine costituzionale e usurpazione del potere”, insieme al gen. Jurij Khachaturov, pupillo di Mosca. Nel 2008 soffocarono con la violenza le dimostrazioni di piazza. La Moldavia cerca di distaccarsi dalla sottomissione alla Russia, per orientarsi verso l’Unione europea.

Mosca (AsiaNews) – Nei giorni scorsi, alcune scelte di due Paesi confinanti con la Federazione Russa hanno suscitato a Mosca reazioni molto negative, dando ad essa l’impressione di perdere ulteriore controllo su quel “mondo russo” ex-sovietico che si vorrebbe mantenere separato dall’Occidente. Il 28 luglio in Armenia è stato arrestato l’ex-presidente Robert Kocharian (a destra nella foto), per molti anni il garante della fedeltà alla Russia, insieme a un suo stretto collaboratore, il generale Jurij Khachaturov. L’accusa è di aver usato violenza contro le dimostrazioni di piazza del 2008, dopo le elezioni che portarono alla presidenza il candidato di Mosca.

Il 2 agosto è stato il parlamento della Moldavia a dare un dispiacere agli ex-padroni sovietici, proponendo una modifica alla Costituzione che inserisca il cosiddetto “vettore europeo”, cioè l’orientamento fondamentale del Paese al rapporto con l’Unione europea, la motivazione che portò ai disordini e al conflitto interno in Ucraina. La Moldavia, da sempre diviso tra l’attrazione alla grande patria romena e la sottomissione alla potente Russia, rischia di riproporre a sua volta il dilemma geopolitico che ha isolato la Russia di Putin rispetto all’Europa e all’America negli ultimi anni.

In Armenia, dopo la “rivoluzione di velluto” dei mesi scorsi, governa il primo ministro Nikol Pashinian, che in prima persona ha conosciuto le repressioni del 2008. Egli era allora membro dello staff elettorale del candidato alla presidenza Levon Ter-Petrosyan, che non riconobbe la sconfitta di fronte al successore designato di Kocharian, quel Serž Sargsyan rovesciato proprio da Pashinian. L’attuale primo ministro fu arrestato e condannato a 7 anni, per essere poi liberato nel 2011.

L’arresto dello storico ex-presidente filorusso è stato il punto d’arrivo di una vasta campagna di lotta alla corruzione e alla diffusa criminalità in Armenia, nel corso della quale si è arrivati perfino a chiedere le dimissioni del Katolikos della Chiesa Apostolica Armena, Karekin II, in carica dal 1999 e accusato da più parti di connivenze con il potere corrotto degli ultimi 20 anni. Dopo gli arresti di alcuni deputati, Kocharian verrà ora processato per “rovesciamento dell’ordine costituzionale e usurpazione del potere”. Sarebbe il primo capo di Stato rimasto al comando dopo la fine dell’Urss a essere condannato.

Il ministro russo degli Esteri, Sergej Lavrov, ha rivolto fortissime critiche alla dirigenza armena per l’arresto di Kocharian e Khachaturov. Il protetto di Mosca non è riuscito a rifugiarsi nelle braccia dei suoi alleati, come ha fatto l’ex-presidente ucraino Viktor Janukovich nel 2014, e come intende fare lo stesso generale Kachaturov, il cui avvocato ha chiesto e ottenuto la possibilità di recarsi a Mosca pur “rimanendo a disposizioni delle indagini di Erevan”.

In gioco sarebbe la politica di alleanza tra l’Armenia e la Russia, che soprattutto grazie alla gestione di Kocharian controlla di fatto l’economia del vicino. La stessa posta in gioco agita la politica in Moldavia, altra ex-repubblica sovietica di confine tra influssi occidentali e orientali. La riforma approvata dal parlamento di Chişinău è un segnale lanciato a Bruxelles, e uno schiaffo a Mosca, in un Paese profondamente diviso tra filo-russi e filo-europei.

Anche la Moldavia, come l’Armenia, sta preparando le elezioni parlamentari e si aspetta la resa dei conti a febbraio 2019. I favoriti sarebbero i socialisti, che tentano di mettere insieme le due anime del Paese, ma è presto per fare previsioni sui vincitori. Al presente sono al potere i democratici, che necessitano di un’alleanza con le due formazioni dei liberali e dei liberal-democratici per confermare in autunno l’approvazione della riforma sul “vettore europeo”, insieme a un’altra misura molto discussa: la sostituzione della lingua ufficiale del Paese, dal moldavo (molto influenzato dallo slavo) al rumeno, lingua latina decisamente più “europea”.

A guidare le resistenze contro la politica “occidentalista” sono soprattutto i comunisti moldavi, molto legati a Mosca. L’economia moldava, da sempre molto dipendente dalla Russia, negli ultimi anni si è rivolta sempre più al mercato europeo, ma anche alla Turchia e alla Cina.

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Armenia: caso primo marzo 2008, petizione per alleggerire misure cautelari nei confronti di ex presidente Kocharyan
Erevan, 06 ago 16:21 – (Agenzia Nova) – La Procura generale armena ha ricevuto una petizione firmata da 45 parlamentari che chiedono di cambiare le misure cautelari nei confronti dell’ex presidente dell’Armenia Robert Kocharyan. Lo riferisce una nota della procura generale, secondo cui la petizione è attualmente in fase di discussione. Tra i 45 deputati la maggior parte sono esponenti del Partito repubblicano dell’Armenia (Pra). L’accusa nei confronti di Kocharyan si riferisce ai sanguinosi scontri avvenuti il primo e 2 marzo del 2008 dopo le elezioni presidenziali vinte dall’allora leader del Partito repubblicano Serzh Sargsyan. Da quando ha assunto l’incarico di premier, lo scorso maggio, Nikol Pashinyan, sono stati aperti una serie di processi nei confronti di alcuni dei protagonisti di quei fatti. (segue) (Res)

Diritti umani in Armenia: la replica dell’Ambasciata (L’opinione 06.08.18)

Riceviamo e pubblichiamo la seguente replica da parte dell’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia.

Egregio direttore Diaconale, vorremmo portare alla Sua attenzione alcune osservazioni in merito all’articolo “L’Armenia e la violazione dei diritti umani“ di Domenico Letizia, pubblicato sul sito de “L’Opinione delle Libertà” il 13 luglio scorso.

In effetti sono passati quattro anni da quando i cittadini dell’Azerbaijan Dilham Askerov, Shahbaz Guliyev e Hasan Hasanov, hanno attraversato illegalmente il confine, la linea di contatto, tra il Nagorno-Karabakh e l’Azerbaijan, come membri di un gruppo armato con finalità di spionaggio. I crimini d’odio per motivi etnici da loro commessi – tra cui anche il rapimento, la tortura e l’omicidio brutale di un ragazzo diciassettenne – sono stati indagati e comprovati da prove inconfutabili. Hasanov, giudicato colpevole di aver ucciso un uomo e di aver ferito una donna, al momento dell’arresto aveva opposto resistenza armata ed era stato ucciso. Nella telecamera in suo possesso sono state ritrovate delle riprese che mostrano Hakob Injighulyan, un cittadino armeno imprigionato in Azerbaijan dall’agosto 2013. Un ulteriore elemento a conferma della sua appartenenza, assieme ad Askerov e a Guliyev, ai servizi segreti dell’Azerbaijan.

La parte azera sta cercando di fuorviare la comunità internazionale con la palese intenzione di nascondere la verità sui propri cittadini e per questo li presenta come persone non armate che intendevano visitare le tombe dei propri parenti e denuncia un trattamento disumano nei loro confronti, dichiarando non legittime le procedure giuridiche per via dello status della Repubblica dell’Artsakh, cioè di uno stato non riconosciuto.

Invece, in realtà, secondo i Protocolli della Convenzione di Vienna, la persona che porta apertamente armi non può essere considerata un civile.

È da sottolineare comunque che, secondo la prassi giuridica internazionale (Cedu 10 maggio 2001, n. 25781/94) la sentenza emanata da parte della corte di uno stato non riconosciuto non può essere considerata illecita solo per via dello status del paese. Va inoltre osservato che le udienze giudiziarie per il caso di Askerov e Guliev sono state aperte al pubblico e sono state condotte in conformità alle norme giuridiche nazionali e internazionali. In ultimo, il trattamento nei loro confronti – nel rispetto della dignità della persona – è stato confermato dalla Croce Rossa.

La comunità internazionale però ha assistito solo alla glorificazione e agli onori riservati agli assassini in Azerbaijan, come era già accaduto nel caso del famigerato Ramil Safarov, l’ufficiale azero che nel 2004 aveva ucciso a colpi d’ascia l’ufficiale armeno, Gurgen Margaryan, mentre dormiva nella sua stanza, a Budapest, dove i due militari frequentavano un corso di addestramento della Nato.

Nel caso dell’Azerbaijan si può allora parlare di umanità? Sono stati numerosi i casi di civili armeni umiliati e maltrattati di fronte alle telecamere, in pure stile terroristico, e poi brutalmente uccisi. Durante la guerra dei quattro giorni dell’aprile 2016, da quale tipo di umanità si faceva guidare l’esercito dell’Azerbaijan quando lasciava al suo passaggio corpi mutilati e decapitati, bambini uccisi? Tutto questo dimostra soltanto che in Azerbaijan si ha una percezione particolare dell’umanità, utilizzata per la diffusione dell’odio e della xenofobia.

Le autorità dell’Azerbaijan speculano periodicamente sulle 4 Risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu adottate nel 1993 che sollecitavano, in via primaria e incondizionata, la cessazione delle ostilità e che non sono state attuate proprio dall’Azerbaijan. Con riferimento all’Armenia le Risoluzioni, attuate interamente dall’Armenia, chiedevano al Governo della Repubblica d’Armenia soltanto di “continuare a esercitare la sua influenza” sugli armeni del Nagorno-Karabakh al fine di cessare le ostilità. Fu grazie all’intervento dell’Armenia infine che fu reso possibile l’accordo di tregua trilaterale firmato tra l’Azerbaijan, il Nagorno-Karabakh e l’Armenia.

È ovvio pertanto che sono proprio le autorità azere a non aver attuato le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, tra le quali anche il non rispetto delle norme umanitarie.

L’Azerbaijan, famoso nel mondo per le violazioni dei diritti umani, nelle sue manipolazioni politiche non disdegna di utilizzare la sentenza di una delle istituzioni più prestigiose per la difesa dei diritti umani, quella relativa al caso Chiragov della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Siamo ancora una volta di fronte all’ennesimo tentativo di Baku di presentare questioni relative ai diritti umani, in particolare alla protezione dei diritti dei rifugiati, con interpretazioni arbitrarie distorcendone la vera essenza. La sentenza della Cedu riguarda il caso specifico e i diritti garantiti dalla Convenzione europea sui diritti umani e pertanto non può influenzare il processo negoziale del conflitto del Nagorno-Karabakh. Nell’articolo 236 del caso, la Corte sottolinea l’importanza dei negoziati nel formato dei co-presidenti del gruppo di Minsk dell’Osce e sottolinea che il diritto al ritorno di tutti i rifugiati e di tutti gli sfollati nei luoghi della loro residenza precedente fa parte dei principi fondamentali di Madrid, principi elaborati dal Gruppo di Minsk che sono la base dei negoziati di pace. Nello stesso giorno della sentenza per il caso Chiragov, la Cedu ha emanato un’altra sentenza a difesa dei diritti della famiglia Sargsyan, costretta dall’Azerbaijan a fuggire dal villaggio Gulistan della regione di Shahumyan.

L’Azerbaijan dichiara che il ritiro delle truppe armene creerebbe tutte le condizioni per il ritorno dei rifugiati. E anche in questo Baku si oppone alle proposte formulate nelle cinque ben note dichiarazioni dei leader dei paesi co-presidenti del gruppo di Minsk, in quanto dimentica che da parte dei co-presidenti questi elementi sono considerati nell’insieme e che nessuno dei singoli elementi può avere preferenza rispetto agli altri, cosa che renderebbe impossibile una soluzione equilibrata del conflitto.

Per quanto riguarda le considerazioni sui recenti sviluppi politici in Armenia, vorremmo notare come in una fase di transizione al sistema di governo parlamentare, il movimento civile si è trasformato in un movimento democratico a livello nazionale che ha portato a un cambiamento pacifico del potere. Gli sviluppi democratici in Armenia sono davvero impressionanti. Nella storia non sono moltissimi i casi in cui il cambio al potere avviene nel pieno rispetto della legalità e della costituzione.

Il conflitto del Nagorno-Karabakh non è affatto una rivendicazione territoriale tra l’Armenia e l’Azerbaigian, come lo rappresentano le autorità azere, ma è una questione di esistenza fisica, di sopravvivenza delle persone che ci vivono e del loro diritto a vivere in un paese libero e democratico. Il popolo dell’Artsakh ha pienamente dimostrato la sua capacità di assumersi la responsabilità per il proprio futuro e per il proprio diritto all’autodeterminazione.

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Trasporto aereo: Armenia, flusso passeggeri cresciuto dell’11 per cento in primi sette mesi 2018 (Agenzianova 06.08.18)

Erevan, 06 ago 15:34 – (Agenzia Nova) – Il flusso di passeggeri transitato dai due aeroporti dell’Armenia è stato di 1.525.537 persone nel periodo fra gennaio e luglio del 2018: un aumento dell’11 per cento rispetto al medesimo intervallo di tempo del 2017. Lo riferisce il commissariato per l’aviazione civile armena, secondo cui a luglio 2018 il flusso di passeggeri presso i due aeroporti è stato di 318.585 persone, superando il dato di luglio 2017 del 13,8 per cento. Il flusso di passeggeri nell’aeroporto Zvartnots di Erevan è stato di 300.687 persone a luglio 2018, con un incremento dell’11,1 per cento rispetto a luglio 2017. A luglio 2018 il flusso di passeggeri nell’aeroporto di Shirak di Gyumri è stato di 17.898 persone. (Res)

Cosa sta succedendo in Armenia (Bergamopost.it 03.08.18)

Un premier eletto dopo tre settimane di proteste e una schiera di trentenni pronti a scendere in piazza per assicurarsi un Paese e un futuro diverso. Questo è il volto nuovo dell’Armenia, che da maggio da deciso di voltare pagina, rimpiazzando una volta per tutte il vecchio premier Serž Sargsyan, che, dopo aver approfittato dei due mandati consecutivi consentiti dalla Costituzione, ha provato a trasformare la repubblica da presidenziale a parlamentare, facendosi nominare primo ministro e affidando la guida al suo partito.

La rivoluzione dei trentenni. Il passo, però, non ha tenuto conto dei cambiamenti sociali ormai in atto nella nazione, dove è cresciuta una generazione di trentenni con lavori ben pagati che, stanchi di essere obbligati ad emigrare per cercare un futuro migliore, stanno dimostrando di avere coraggio e abilità per mettere in discussione il sistema oligarchico di potere. In questo paese di tre milioni di persone è stata infatti decisiva l’azione di tanti ragazzi impiegati (principalmente del settore tech) che hanno appoggiato l’ascesa al potere del nuovo leader: Nikol Pashinyan, giornalista quarantaduenne e uomo politico di spicco del Congresso Nazionale Armeno, paragonato da tanti a Robin Hood per la sua lotta contro l’ingiustizia sociale del Paese.

Gli equillibri internazionali. Stretta tra l’Iran, la Turchia, la Georgia e l’Azerbaigian, l’Armenia potrebbe essere la miccia dalla quale far partire una rivoluzione. Gli equilibri nell’area sono, infatti, incredibilmente fragili. Della Russia, ex garante del Paese, dalla quale si è staccata nel 1911, l’Armenia – come lo stesso Pashinyan ripete – non può liberarsi, ma di sicuro Putin non sta apprezzando l’esempio di questo popolo che è sceso in piazza per protestare contro i dirigenti corrotti. Con la Turchia, invece, resta aperta la questione del genocidio degli Armeni avvenuto un secolo fa, mentre è all’Azerbaigian che gli armeni contendono dal 1988 l’enclave del Nagorno Karabakh.

La generazione dell’indipendenza. Cosa c’è, allora, di nuovo, nella situazione armena? Quello che colpisce è il modo in cui il Paese sta costruendo il proprio futuro: ovvero dal basso e con i propri giovani. Se le statistiche parlano di oltre 370mila persone emigrate nell’ultimo decennio, l’altra faccia della medaglia sono circa 10mila ragazzi che, forti di stipendi adeguati e di lavori in un settore (quello dell’high-tech) in forte crescita e privo di oligarchie, hanno finalmente capito di avere i diritti e l’influenza necessaria per far sentire la propria voce, dimostrando di essere una generazione che ha rinunciato alle prima agognate green card per rimboccarsi le maniche e costruirsi un futuro nella propria terra.

Forte di una rete capillare messa in piedi proprio da Pashinyan, la “generazione dell’Indipendenza” (ovvero gli armeni non ancora trentenni), coordinandosi con app come Telegram, hanno attuato una serie di proteste che hanno fermato il Paese. Se le sommosse nell’ex blocco sovietico non sono cosa nuova, la novità armena sta nel carattere pacifico delle proteste, che, diversamente da quanto avvenuto in Ucraina, non hanno fatto morti e promettono cambiamenti a lungo termine, a cominciare dalla ridefinizione dei rapporti con l’Europa, alla quale il precedente premier aveva sempre preferito l’alleanza con Mosca.

Una rivoluzione di velluto che sta anche dimostrando quanto poco sia aderente alla realtà il cliché che vede nei giovani legati alla tecnologia una generazione di persone staccate dalla realtà. La lezione dell’Armenia, infatti, insegna come i social media e le nuove tecnologie possano essere strumenti fondamentali per cambiare le sorti del proprio Paese.

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