Incontro di Bari: la lista dei partecipanti ecumenici (Romasette.it 03.07.18)

 stato il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, a presentare oggi, 3 luglio, ai giornalisti la “lista” dei leader delle Chiese che saranno presenti a Bari sabato prossimo, in occasione della Giornata di preghiera e riflessione per la pace voluta da Papa Francesco. «Regione martirizzata, il Medio Oriente è anche un luogo dove le relazioni ecumeniche sono più forti e promettenti – le parole del porporato -, in particolare tra ortodossi e cattolici». E la presenza a Bari dei Capi delle Chiese ortodosse e orientali, su invito di Papa Francesco, ne è una dimostrazione.

All’incontro di Bari, ha illustrato il cardinale Koch, parteciperanno il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo;Theodoros II, patriarca greco-ortodosso di Alessandria e di tutta l’Africa; l’arcivescovo di Anthedon Nektarios, in rappresentanza in rappresentanza di Theophilos III, patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme; il metropolita Hilarion, in rappresentanza del patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill; il metropolita di Konstantia e Ammochostos Vasilios, in rappresentanza di Chrysostomos II, arcivescovo di Nuova Giustiniana e di tutta Cipro. Per le Chiese ortodosse orientali, sono presenti Papa Tawadros II, patriarca della Chiesa copto-ortodossa d’Alessandria; Ignatius Aphrem II, patriarca siro-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente; Hovakim, vescovo di Inghilterra e Irlanda, in rappresentanza di Karekin II, patriarca e catholicos di tutti gli Armeni;  Aram I, catholicos di Cilicia degli armeni. Per la Chiesa ortodossa assira, parteciperà Mar Gewargis II, patriarca e catholicos della Chiesa assira d’Oriente. Saranno presenti anche il Rev. Sani Ibrahim Azar, vescovo della Chiesa evangelica luterana in Giordania e Terra Santa, e Souraya Bechealany, segretaria generale del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente.

logo cristiani insieme per il medio oriente«I cristiani rimarranno nella regione solo se la pace sarà ristabilita», ha osservato il cardinale, aggiungendo che «non è possibile immaginare un Medio Oriente senza cristiani» e che è necessario «proteggere i diritti di ogni persona e di ogni minoranza» e «proseguire il dialogo interreligioso». Su queste quattro “convinzioni” i capi delle Chiese e delle comunità cristiane del Medio Oriente rifletteranno nella Giornata in programma a Bari. Il Medio Oriente, terra delle origini del cristianeismo, ha rilevato Koch, «è anche una delle regioni del mondo in cui la situazione dei cristiani è più precaria. A causa di guerre e di persecuzioni, molte famiglie abbandonano la loro patria storica alla ricerca di sicurezza e di un futuro migliore. La percentuale dei cristiani nel Medio Oriente è diminuita drasticamente nell’arco di un secolo: mentre rappresentavano il 20% della popolazione del Medio Oriente prima della prima guerra mondiale, ora sono solo il 4%».

Dall’inizio della crisi, ha continuato il  presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, «la Chiesa cattolica ha instancabilmente chiesto il ripristino della pace, soprattutto attraverso la ricerca di una soluzione politica. Questa chiamata ha preso anche la forma della preghiera e del digiuno». Poi, entrando nel merito del secondo principio, cioè l’impossibilità di immaginare un Medio Oriente senza cristiani, ha spiegato che questo alla base non ci sono solo ragioni religiose «ma anche per ragioni politiche e sociali, perché i cristiani sono un elemento essenziale di equilibrio della regione». Ma ciò implica – ed è il terzo punto sollevato da Koch – «il rispetto per la libertà religiosa e l’uguaglianza davanti alla legge, basato sul principio di cittadinanza a prescindere dall’origine etnica o dalla religione. È stato ripetutamente sottolineato dalla Chiesa cattolica come principio fondamentale per la realizzazione e per il mantenimento di una coesistenza pacifica e fruttuosa tra le varie comunità in Medio Oriente». Infine, «l’urgente necessità di proseguire il dialogo interreligioso», sul quale Papa Francesco insiste particolarmente nella sua Lettera ai cristiani in Medio Oriente: «Il dialogo interreligioso – ha scritto il Santo Padre – è tanto più necessario quanto più difficile è la situazione. Non c’è un’altra strada».

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Vescovi umbri: in corso un pellegrinaggio ecumenico in Armenia (SIR 03.07.18)

I vescovi dell’Umbria in Armenia, fino al 6 luglio, per un pellegrinaggio ecumenico. L’obiettivo è quello di “scoprire la ricchezza della tradizione cristiana di questo Paese che, nel corso dei secoli, ha dato una significativa testimonianza di fede”. Momento centrale, giovedì 5 luglio, nella città di Gyumri, dove sono previsti l’incontro con mons. Raphael François Minassian, vescovo armeno-cattolico, e la celebrazione della messa con la comunità cattolica locale. A Erevan, capitale dell’Armenia, i vescovi umbri visiteranno la nuova cattedrale dedicata a San Gregorio Illuminatore, consacrata nel 2001 in occasione del 1700° anniversario dalla fondazione della Chiesa armena e dell’adozione del cristianesimo come religione di Stato. I vescovi umbri visiteranno anche il Memoriale del genocidio degli armeni, a opera dell’Impero Ottomano (1915-1916), edificato nel 1967 sulla spianata della collina di Dzidzernagapert (Forte delle rondini). Prevista anche una visita alla città di Vagharshapat, antica capitale dell’Armenia, dove si trova la cattedrale di Echmiadzin, una delle chiese più antiche del mondo (303 d. C.), e alla chiesa di Santa Hripsime (VII secolo), una delle meraviglie dell’architettura ecclesiastica armena. Una giornata sarà dedicata alla visita dei monasteri di Khor Virap (“fossa profonda”), alle pendici dell’Ararat, al confine con la Turchia e luogo di prigionia di san Gregorio Illuminatore, del complesso monastico di Noravank del XIII-XIV secolo e del monastero rupestre di Ghegard (XII sec.), dove la tradizione vuole che sia stata conservata la lancia che trafisse il costato di Cristo. Qui sarà approfondito il monachesimo eremitico, prima forma di vita religiosa presente in Armenia.

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Vescovi umbri in pellegrinaggio nella cristiana Armenia (Umbria24.it)

I vescovi dell’Umbria, guidati dall’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo presidente della Conferenza episcopale umbra (Ceu), dal 2 al 6 luglio trascorreranno in Armenia alcuni giorni all’insegna della fraternità e della condivisione, in un pellegrinaggio ecumenico che vuole scoprire la ricchezza della tradizione cristiana di questo Paese che nel corso dei secoli ha dato una significativa testimonianza di fede. Il pellegrinaggio culminerà giovedì 5 luglio, nella città di Gyumri, dove sono previsti l’incontro con mons. Raphael François Minassian, vescovo armeno-cattolico, e la celebrazione della messa con la comunità cattolica locale.

Il pellegrinaggio Ad Erevan, capitale dell’Armenia, i vescovi umbri visiteranno la nuova cattedrale dedicata a San Gregorio Illuminatore, consacrata nel 2001 in occasione del 1700° anniversario dalla fondazione della Chiesa armena e dell’adozione del cristianesimo come religione di Stato. Nel novembre dell’anno 2000 san Giovanni Paolo II consegnò al Catholicos Karekin II la reliquia di san Gregorio Illuminatore, fino ad allora custodita a Napoli. I presuli della terra dei santi Benedetto e Francesco visiteranno anche il Memoriale del genocidio degli armeni ad opera dell’impero Ottomano (1915-1916) edificato nel 1967 sulla spianata della collina di Dzidzernagapert (Forte delle rondini). Ogni anno, il 24 aprile, armeni di tutto il mondo vi salgono per commemorare oltre un milione e mezzo di vittime del massacro. Sul muro di pietra, della lunghezza di cento metri, fiancheggiante il viale di accesso al Memoriale, sono incisi i nomi delle principali città e località interessate dal Genocidio.

Alcuni particolari E’ prevista anche una visita alla città di Vagharshapat, antica capitale dell’Armenia, dove si trova la cattedrale di Echmiadzin, il Vaticano Armeno, una delle chiese più antiche del mondo (303 d. C.) e alla chiesa di Santa Hripsime (VII secolo), una delle meraviglie dell’architettura ecclesiastica armena. Una giornata sarà dedicata alla visita dei monasteri di Khor Virap (“fossa profonda”), alle pendici dell’Ararat, al confine con la Turchia e luogo di prigionia di san Gregorio Illuminatore, del complesso monastico di Noravank del XIII-XIV secolo e del monastero rupestre di Ghegard (XII sec.) dove la tradizione vuole che sia stata conservata la lancia che trafisse il costato di Cristo e dove sgorga una sorgente d’acqua, considerata benedetta. Qui si avrà modo di approfondire i lineamenti del monachesimo eremitico, che è la prima forma di vita religiosa presente in Armenia. Il pellegrinaggio sarà anche occasione per i vescovi umbri di conoscere più approfonditamente la vita della Chiesa armena e della realtà sociale, culturale e religiosa del Paese, un’ex repubblica sovietica, indipendente dal 1990.

 

Armenia-Azerbaijan: frutteto di pace (Osservatorio Balcani E Caucaso (02.07.18)

L’Armenia non ha confini sull’acqua con gli stati vicini. Fa eccezione, in questo caso, il villaggio di Berkaber, nella regione del Tavush, al confine con l’Azerbaijan: lì il confine tra i due stati è disegnato dalle acque. Siamo nel cuore della riserva d’acqua dello Joghaz, creata in tempi sovietici. Su di un lato della riserva vi è il villaggio di Berkaber, in Armenia, sul lato opposto quello di Mezem, in Azerbaijan. La riserva è ora oggetto di disputa e proprio per questo, sul lato armeno, è stato costruito il “Giardino della Pace”.

La vita al confine

La riserva d’acqua dello Joghaz è stata creata artificialmente in tempi sovietici, negli anni ’70. Le autorità decisero al tempo di utilizzare l’area tra il villaggio armeno di Berkaber e quello azero di Mazam per risolvere i problemi irrigui della regione costruendo un bacino artificiale. Armeni e azeri hanno iniziato a costruire il bacino assieme ed assieme hanno curato i campi lungo le sue rive. “Berkaber”, il nome di uno dei due villaggi, significa “raccolto abbondante”. Il villaggio è da sempre famoso per i suoi alberi da frutto.

“Nel 1988 i miei genitori avevano un frutteto di cachi su un terreno di tre ettari. Avevamo più di 800 alberi e negli ultimi 25 anni abbiamo raccolto i frutti. Però, dopo il collasso dell’Unione sovietica, il sogno dei miei genitori si è infranto e il sogno di lavorare la terra è divenuto una lotta estrema”, racconta Ara Khudaverdyan, uno degli abitanti del posto.

Nei primi anni ’90 il villaggio di Berkaber è stato uno dei luoghi più caldi del conflitto tra Armenia e Azerbaijan. Molti edifici del villaggio vennero rasi al suolo. Attualmente 900 ettari di frutteto sono sotto il controllo azero. Nei villaggi armeni, quelli a 500-800 metri dalle posizioni azere, vi è da due decenni una guerra non dichiarata. Nonostante Armenia e Azerbaijan non siano ufficialmente in guerra non vi è giorno in cui a Berkaber non si sentano spari. In questi anni sono risultate danneggiate molte auto e molti edifici, e tra i civili vi sono stati feriti ed anche alcune vittime.

“Il nostro frutteto è sul confine. Dista solo 300 metri. Quando vi lavoro, ad occhio nudo posso vedere i residenti del villaggio azero di Mezem che coltivano i campi. Siamo così vicini che potrei allungare la mano e salutare i miei vicini, ma non lo faccio”, racconta Ara, sorridendo.

Ara ha 32 anni. Racconta che in passato voleva abbandonare il villaggio. Non vi vedeva alcun futuro. Per un po’ di tempo ha vissuto e lavorato nella vicina Georgia. Poi nel 2016, durante il conflitto di aprile è ritornato in Armenia e da quel giorno ha deciso che non se ne sarebbe più andato ed avrebbe aiutato la propria famiglia nel frutteto.

Sognando la pace

Ara sogna il momento in cui la pace, tra i due contendenti, non sia solo formale ma anche effettiva. Ed è proprio sognando la pace che due anni fa ha rimesso in produzione il frutteto con l’aiuto di un donatore privato e lo ha chiamato “Giardino della pace”.

“Nel frutteto lavoriamo spesso di notte in modo da non essere visti dai nostri avversari. Lo coltiviamo io e mio padre, siamo abituati a lavorare al buio. Quando lavoro al frutteto silenzio il cellulare ma accendo sempre la vibrazione e lo tengo in tasca. Siamo d’accodo con la mia famiglia che se per caso il nemico improvvisamente spara o effettua un attacco ci chiamano immediatamente”, racconta Ara.

In questi anni i Khudaverdyans hanno già perso due autovetture, danneggiate da spari arrivati dal versante azero. Fortunatamente, in famiglia, non ci sono mai state vittime.

“A volte la gente mi chiede se non intendiamo utilizzare tecnologie agricole moderne, come ad esempio reti di protezione anti-grandine. Ma io sottolineo sempre che la grandine che cade dal cielo non è per noi un pericolo, ma è più un pericolo il piombo che arriva da parte azera, da cui nessuna tecnologia può proteggersi”, racconta il giovane agricoltore.

Secondo Ara anche dall’altra parte del confine la gente prende precauzioni simili. Anche loro lavorano i campi in particolar modo nelle ore serali.

“Di notte non solo si va a coltivare i campi ma si va anche a pescare. Ci sono ottimi pesci nella riserva, che pescano sia gli armeni che gli azeri. Questo in particolare di notte, altrimenti non si tornerebbe sani e salvi. Vi sono persone nel villaggio che sono state ferite mentre pescavano”, racconta Ara aggiungendo che lui invece a pescare non va, non perché abbia paura di essere ferito ma perché preferisce concentrarsi sul frutteto.

Frutta secca

Alcuni mesi dopo aver riavviato il frutteto – e con lo scopo di piazzare meglio il prodotto – con l’aiuto delle Ong “Border” e del programma “Support of Organic Farming Initiative” Ara Khudaverdyan ha creato un impianto di essiccazione della frutta.

Questo ha permesso di vendere il prodotto non solo sul mercato locale ma anche di esportarlo. Ara ha anche preso parte a due fiere internazionali. Ha presentato i suoi cachi biologici essiccati a Dubai e Londra.

“Grazie alle sue caratteristiche organolettiche ha attirato l’attenzione di persone provenienti da vari paesi. Anche i turchi hanno apprezzato la nostra frutta secca. È un peccato non vi fossero partecipanti provenienti dall’Azerbaijan ad assaggiare questi frutti di pace”, afferma Ara aggiungendo che vi sono già accordi per esportare frutta secca negli Stati Uniti, Russia e Bulgaria.

La famiglia Khudaverdyan intende espandere le proprie attività, per poter stare sui mercati internazionali, augurandosi che, qualsiasi cosa accada, i loro frutteti non vengano abbandonati.

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Russia-Armenia: presidente parlamento Erevan riceve ambasciatore Kopyrkin, focus su Unione economica eurasiatica (Agenzianova 02.07.18)

Mosca, 02 lug 15:49 – (Agenzia Nova) – L’Armenia potrebbe diventare un ponte tra l’Unione economica eurasiatica e l’Unione europea. Lo ha dichiarato il presidente del parlamento armeno, Ara Babloyan, il quale oggi si è congratulato con l’ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Russia in Armenia, Sergej Kopyrkin, per la sua nomina. “L’Armenia può diventare un ponte tra Uee e Ue, facilitando il dialogo tra le due organizzazioni internazionali”, si legge in un comunicato stampa dell’assemblea nazionale di Erevan, diffuso dall’agenzia di stampa “Sputnik”. Babloyan ha espresso la speranza che l’ambasciatore appena nominato contribuisca all’ulteriore sviluppo e rafforzamento dei legami amichevoli armeno-russi. Il presidente del Parlamento ha sottolineato l’importante ruolo della diplomazia parlamentare nelle relazioni alleate e strategiche tra i due paesi. Babloyan ha anche sottolineato l’efficacia della cooperazione nelle piattaforme parlamentari internazionali. Kopyrkin, a sua volta, ha assicurato la volontà di fare ogni sforzo per rafforzare l’amicizia tra i due popoli, senza dimenticare di menzionare il contributo di Babloyan allo sviluppo delle relazioni tra Russia e Armenia. (Rum)

“In Siria una guerra internazionale, per noi armeni una nuova deportazione” (Lastampa.it 01.07.18)

Ci sono itinerari in Medio Oriente che raccontano le ferite storiche sofferte dai cristiani. A nord est della Siria, al confine con la Turchia, si trova la zona di Qamishli, la capitale di fatto del Rojava, la regione curda siriana che rivendica l’indipendenza. È un’area di antico cristianesimo e di insediamenti cristiani più recenti, crocevia per migliaia di armeni (ma anche di assiri ) sfuggiti al genocidio tra il 1915 e il 1916 che qui trovarono rifugio. E da qui passò la carovana di migliaia di disperati mandati a morire dai turchi nel deserto a Deir-el-Zor. Non lontano trovarono casa i caldei nel 1933, fuggiti dall’Iraq appena divenuto indipendente, massacrati perché pretendevano l’autonomia. E ora si continua a scappare. Dall’inizio della guerra il 60% dei cristiani sono andati via, conferma padre Nareg Naamo, da oltre due anni rettore del Pontificio Collegio degli Armeni a Roma con otto seminaristi, di cui quattro provenienti dal Libano, tre dalla Siria e uno dagli Stati Uniti. Prima di ricevere l’incarico a Roma, il giovane padre Naamo, laurea in Teologia alla Gregoriana, è stato parroco di una delle tre chiese armene cattoliche di Qamishli, dove è nato e dove ancora vivono i suoi genitori, e dove il suo bisnonno trovò scampo in fuga dal genocidio nel 1915.

 

Quale è attualmente la situazione a Qamishli?

«La tensione è altissima, esplosiva. La zona è strategica: a meno di un chilometro ci sono i turchi, a 120 chilometri abbiamo il Kurdistan iracheno che sollecita un Kurdistan siriano. Raqqa, l’ex capitale dell’Isis, è a soli 200 chilometri. La situazione è di incertezza e di spaesamento. In questi anni non ho mai cessato di fare visita ai miei genitori almeno due volte l’anno e ogni volta ho notato i cambiamenti; ora la città è divisa, si passa da un quartiere all’altro e cambia tutto, dalle targhe delle automobili, alla composizione degli abitanti, curdi da una parte, arabi sunniti dall’altra, e l’esercito siriano da un’altra parte ancora. Cosa sarà di noi? Che voce potremo avere in questo assetto? Siamo minoranza anche se consistente: assiri, armeni cattolici e ortodossi, siriaci. Abbiamo avuto sempre le nostre scuole dalle elementari fino alla terza media, abbiamo avuto sempre le nostre feste riconosciute. Ora c’è il vuoto e le nostre scuole sono deserte. Qamishli è stata risparmiata dai bombardamenti, ma ci sono stati tanti attentati. Il più grave tre anni fa, il giorno di Capodanno, in un ristorante frequentato da cristiani: 20 ragazzi morti, tra cui un mio cugino di 35 anni. Poi sono iniziate le tensioni tra i curdi e l’esercito siriano. La guerra in Siria non è più contro o per Assad, che è ormai questione superata. Ora è una guerra internazionale. È, come dice il Papa, la terza guerra mondiale ma “a pezzi”, uno dei pezzi più devastati è la Siria, la gente perde la vita, perde il lavoro, perde il futuro».

 

Quando parla delle divisioni di Qamishli intende dire che è un anticipazione di quello che potrebbe diventare la Siria?

«Esatto, è una piccola anticipazione di come andrà a finire, anche se nessuno di noi, nessun siriano vorrebbe o si augura una Siria fatta a pezzi, divisa… ma quando ogni giorno vedi la guerra tra russi e americani, tra iraniani e sunniti, tra sciiti e sunniti, guerra che purtroppo ormai coinvolge tutta la Siria, non puoi non immaginare la divisione del territorio. E sarebbe una tragedia; ti trovi nella città in cui sei nato e non la riconosci, è un incubo. La gente è stanca, fa fatica a cercare il pane quotidiano, fa fatica a sopravvivere alla guerra, alle preoccupazioni, e ora altre divisioni… diventa troppo».

 

E i rapporti con la comunità musulmana ? 

«I cristiani sono stati sempre un ponte in questo mosaico, non sono mai stati di ostacolo alle altre comunità, non sono mai stati una presenza minacciosa, anzi, sono stati importanti sul piano culturale ed economico. Non c’era area industriale della Siria in cui non trovavi imprese di armeni che avevano creato lavoro per tutti. Le nostre scuole sono state sempre aperte, hanno educato i nostri figli ma anche i figli dei musulmani. Quando sento parlare di corsi per promuovere interreligiosità tra musulmani e cristiani, penso che noi abbiamo praticato sempre l’interreligiosità. Era naturale nelle nostra piccole famiglie, nei nostri quartieri. Vicino alle case cristiane ci sono quelle dei musulmani, con i curdi avevamo rapporti ottimi, non eravamo stranieri l’uno verso l’altro. Purtroppo pero quando c’è la guerra, quando c’è di mezzo il sangue, quando perdi qualcuno della tua comunità…. lì cominciano le rotture, le fratture, le distanze».

 

E dunque, che futuro vede per la comunità cristiana di Qamishli?

«La speranza è che la nostra comunità si ricomponga. Come armeni, come siriani, come cristiani non cessiamo mai di avere la speranza, anche se tante volte resta schiacciata sotto le macerie. La speranza e la fede non ci hanno abbandonati! Ma so anche che chi è partito e ha trovato accoglienza in un altro Paese è difficile che torni indietro. È la nostra storia. Le mie sorelle da due anni hanno trovato asilo in Svezia, a sud di Stoccolma a Sodertalje, che ormai sembra una città siriana. C’è lì una grande comunità di rifugiati di Qamishli, ma ci sono anche assiri, tanti armeni ortodossi; per le strade si parla armeno, siriaco, ci sono uffici per l’immigrazione molto efficienti e molte facilitazioni. Anni fa sono stato parroco a Stoccolma per un anno, le famiglie siriane erano appena una decina, dopo la guerra sono 400».

 

Quale è il ruolo degli armeni in questa guerra?

«Abbiamo tentato di proteggere le nostre strutture. È ovvio che contro l’Isis e contro l’Islam estremista le nostre comunità non possono fare niente. Certo, abbiamo tanti giovani che ancora sono nell’esercito siriano, sono rimasti in tutti questi anni a fare il servizio militare ma il nostro intervento è stato difendere le nostre chiese, le nostre scuole. Abbiamo creato gruppi di giovani che a turno hanno fatto la guardia alle nostre famiglie, alle nostre case. A Kamishli le famiglie che sono partite hanno lasciato le case in custodia alle chiese. È nato un comitato di sorveglianza, un corpo di laici appartenenti a tutte le chiese, cui le famiglie in partenza consegnano le chiavi perché le case non vengano saccheggiate, ma alcune purtroppo sono state occupate. Nella zona assira del Grande Khabur, a nord di Hasakah tutte le chiese e molte case sono state danneggiate e saccheggiate».

 

Una zona che sembra la mappa del genocidio del 1915…

«Sì, le carovane con i deportati partirono dal sud della Turchia passando l’Eufrate per arrivare nel deserto siriano. È a Deir-el-Zor che è avvenuto il massacro, la maggioranza delle famiglie armene della zona è composta dai discendenti di chi è scampato al genocidio. Ogni cento anni ci troviamo a fare i conti con una deportazione: lasciare tutto, la casa, le tradizioni, la lingua, partire un’altra volta. Quello di oggi non è un genocidio di sangue, ma è egualmente un genocidio, anche se “bianco”, nel senso che la nostra gente si sta perdendo. Sei costretto a integrarti in un’altra comunità, perdi la lingua, l’identità. Ma noi abbiamo una forza enorme di rivivere, di rinascere, abbiamo speranza come ci indica la nostra fede. Cristo ci ha detto: “Da questa Croce verrà la vostra salvezza”».

 

Ha avuto modo di incontrare Papa Francesco?

«Sì, in questi eventi drammatici l’ho incontrato più volte. Parla spesso della martoriata ed amata Siria che gli sta molto a cuore, è vicino a questo popolo che ha sofferto tanto. Per noi il Papa è presenza paterna anche perché in Argentina la comunità armena era molto vicina a lui. Il nostro vescovo in Argentina Borgosian è un suo caro amico. Papa Francesco dopo aver parlato apertamente di genocidio degli armeni, ha dichiarato anche San Gregorio di Nerek dottore della Chiesa universale».

 

Sono riconoscimenti molto significativi… 

«Sono il riconoscimento da parte della Chiesa cattolica delle sofferenze del popolo armeno per la sua testimonianza della fede. Ad aprile il Papa ha voluto nei Giardini Vaticani la statua dell’eroe della cultura armena, San Gregorio di Narek, ponte tra Oriente e Occidente e simbolo dell’ecumenismo. È stato un evento molto significativo alla presenza dei rappresentanti delle chiese armene di tutto il mondo, del loro Catholicòs, del nostro Patriarca. È stato un momento di fraternità, di scambio di parole. Il ruolo del Vaticano è promuovere la pace».

 

Ed è possibile ipotizzare in questo momento drammatico per il Medio Oriente la riunificazione delle chiese armene ?

«Non la vedo all’orizzonte, richiederebbe passi importanti e molto coraggio da tutte le parti. Credo che ancora non sia arrivato il momento».

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Armenia: commissione riforme elettorali concorda su passaggio a sistema proporzionale e riduzione sbarramento (Agenzianova 29.06.18)

Armenia: commissione riforme elettorali concorda su passaggio a sistema proporzionale e riduzione sbarramento
Erevan, 29 giu 08:40 – (Agenzia Nova) – La commissione per le riforme del sistema elettorale armena, che opera sotto l’egida del primo ministro Nikol Pashinyan, ha concordato due importanti cambiamenti: il passaggio a un sistema completamente proporzionale con liste bloccate; la riduzione dello sbarramento al 4 per cento per i partiti e al 6 per cento per le coalizioni. Ad annunciarlo nel corso di un briefing con la stampa è stato il primo vicepremier armeno, Ararat Mirzoyan, al termine della seconda sessione di lavori della commissione. Mirzoyan, citato dall’agenzia di stampa “Armenpress”, ha menzionato chiare ragioni per l’eliminazione del sistema di voto classificato durante la sessione. “In questo momento è impossibile applicare efficacemente il sistema di voto in graduatoria in Armenia”, ha detto Mirzoyan, aggiungendo che la modifica del sistema elettorale offrirà alle maggiori opportunità alle donne. Le elezioni anticipate sono uno degli obiettivi principali del neo insediato governo del premier armeno Nikol Pashinyan.
(Res)

Santa Maria Capua Vetere. Dall’arena allo schermo: primo appuntamento con il regista Simone Spada (Caserta24ore 29.06.18)

(Caserta24ore) SANTA MARIA CAPUA VETERE Un magico intreccio di esordi nella prima serata della rassegna culturale “Dall’arena allo schermo” che ieri ha fatto registrare il sold out all’anfiteatro campano di Santa Maria Capua Vetere. Protagonista del primo appuntamento è stata l’opera prima di Simone Spada, Hotel Gagarin, un film fatto di sogni, speranze e buone intenzioni. < >. Subito dopo la proiezione, cui hanno assistito oltre duecento persone, Simone Spada, intervistato dal direttore artistico della kermesse, Francesco Massarelli, ha parlato del film raccontando storie, anneddoti e rispondendo alle curiosità di un pubblico attento e preparato. < < La parola crisi in cinese – ha raccontato Spada sul palcoscenico – ha un doppio significato vuol dire anche opportunità. Un’opportunità che decidono poi di cogleire i nostri eroi che sognano mettendo in scena i propri desideri. Questo è un film semplice, capace di arrivare dritto perché parla di sogni ma lo fa con l’utilizzo dell’immaginazione>>. Al centro di Hotel Gagarin la storia di un falso produttore, una scombinata troupe, un set improvvisato nella gelida Armenia e poi il sogno di un professore di Storia di vedere realizzato un suo vecchio progetto cinematografico non sembra destinato ad avere troppa fortuna, ma l’incontro con la comunità armena offrirà a tutti la possibilità di rivedere la propria vita e di scoprire una nuova via per la felicità. Un film sulla potenza dei sogni che vanta un cast d’eccezione con Giuseppe Battiston, Barbora Bobulova, Luca Argentero e Claudio Amendola < >.
Buona la prima, dunque, per un evento che vanta in primis una location mozzafiato: anche quest’anno a fare da suggestivo scenario è l’arena spartacus Amico Bio, il primo ristorante al mondo in un sito archeologico che da circa 5 anni anima con numerosi eventi culturali gli spazi esterni dell’anfiteatro campano.
Prossimo appuntamento della kermesse, ideata e realizzata dall’associazione Arthmòs in collaborazione con Amico Bio e Radio Zar Zak giovedì 5 luglio alle ore 21 con “Parigi a piedi nudi”, di Fiona Gordon e Dominique Abel.

ASIA/ISRAELE – Il Parlamento israeliano annulla il voto sul Genocidio armeno (Agenziafides 28.06.18)

Gerusalemme (Agenzia Fides) – Il Parlamento israeliano ha annullato all’ultimo minuto il voto che era stato messo in agenda per chiedere il riconoscimento del Genocidio armeno. I parlamentari avrebbero dovuto votare sull’argomento controverso martedì 26 giugno, dopo che il Partito di sinistra Meretz, principale promotore del testo da votare, aveva accettato di rinviare la discussione in aula e il voto a dopo le elezioni turche che domenica 24 giugno hanno confermato alla guida del Paese il Presidente Recep Tayyip Erdogan e i Partiti che lo sostengono. E’ stata la stessa Tamar Zandberg, leader di Meretz, a ritirare la proposta di legge, dopo che la coalizione di governo e il Ministero degli Esteri avevano chiesto di togliere dal testo in discussione l’espressione “Genocidio” per sostituirla con le parole “tragedia” o “orrori”. Era stato lo stesso Presidente della Knesset, Yuli Yoel Edelstein, a proporre i ritocchi al testo in discussione, dopo che dai Partiti di governo era giunto il segnale che non sarebbe stato approvato quello dove compariva l’espressione “Genocidio armeno”.
Il rinvio sine die della discussione e del voto sul Genocidio viene interpretata dai media turchi come un segnale di distensione inviato dal governo israeliano alla leadership turca.
All’inizio di giugno, come riferito dall’Agenzia Fides (vedi Fides 5/6/2018), lo stesso Presidente del Parlamento Edelstein aveva respinto le critiche per il rinvio della discussione sul progetto di legge per il riconoscimento del Genocidio armeno. Edelstein, in quell’occasione, aveva rivendicato l’intenzione di promuovere il riconoscimento del Genocidio rispondendo all’Arcivescovo Nourhan Manougian, Patriarca armeno apostolico di Gerusalemme, che in una missiva allo speaker della Knesset aveva espresso la sua amarezza per le notizie circolate su un possibile stop del processo avviato dalle istituzioni israeliane per discutere e eventualmente approvare il riconoscimento come “genocidio” dei massacri anti-armeni perpetrati in territorio turco tra il 1915 e il 1916. Nei giorni precedenti, i media israeliani avevano riferito di input giunti dal governo israeliano per rimandare il dibattito sulla questione del Genocidio armeno fino a dopo le elezioni presidenziali e parlamentari turche del 24 giugno. Secondo osservatori e analisti israeliani, l’apertura tale discussione in tale delicato frangente avrebbe potuto favorire politicamente il Presidente Recep Tayyip Erdogan, divenendo un argomento della sua campagna elettorale.
Dopo il duro scontro diplomatico tra Israele e il governo turco seguito all’ultimo massacro di palestinesi a Gaza, la proposta di riconoscimento del Genocidio armeno era stata stata presentata agli uffici competenti della Knesset dal deputato Itzik Shmuli, membro di “Unione Sionista”. La proposta era stata appoggiata da almeno 50 parlamentari appartenenti sia ai Partiti di governo – Likud compreso – che a quelli dell’opposizione. Tale proposta di legge prevedeva anche di istituire in Israele una giornata di commemorazione annuale del Genocidio armeno. Tre mesi prima, lo scorso 14 febbraio, lo stesso Parlamento israeliano aveva di fatto respinto un progetto di legge presentato da Yair Lapid, rappresentante del partito centrista e laico Yesh Atid, che avrebbe ufficializzato il riconoscimento da parte di Israele del “Genocidio armeno”. In quel frangente, il vice-ministro degli esteri israeliano, Tzipi Hotovely, aveva dichiarato che Israele non avrebbe preso ufficialmente posizione sulla questione del Genocidio armeno, “tenendo conto della sua complessità e delle sue implicazioni diplomatiche”.
Il 26 aprile 2015 il Presidente israeliano Reuven Rivlin aveva ospitato presso la residenza presidenziale di Gerusalemme un evento commemorativo per ricordare i cento anni dagli stermini pianificati degli armeni avvenuti un secolo prima in Anatolia. Durante quella cerimonia, il Presidente Rivlin aveva ricordato che il popolo armeno fu “la prima vittima dei moderni stermini di massa”, ma aveva evitato di usare la parola “Genocidio” per indicare i massacri in cui morirono più di un milione e 500 mila persone. (GV) (Agenzia Fides 28/6/2018)

Nagorno-Karabakh: premier armeno Pashinyan, Azerbaigian usa retorica militarista (Agenzianova 26.06.18)

Nagorno-Karabakh: premier armeno Pashinyan, Azerbaigian usa retorica militarista (5)

Erevan, 26 giu 08:59 – (Agenzia Nova) – Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian per l’area del Nagorno-Karabakh – regione internazionalmente riconosciuta come parte dell’Azerbaigian ma occupata militarmente dall’Armenia – è iniziato nel 1988, quando la regione autonoma del Nagorno-Karabakh ha chiesto il trasferimento dalla Repubblica sovietica dell’Azerbaigian a quella armena. Nel 1991 a Stepanakert – autoproclamatasi capitale – è stata annunciata la costituzione della repubblica del Nagorno-Karabakh. Nel corso del conflitto, sorto in seguito alla dichiarazione di indipendenza, l’Azerbaigian ha perso de facto il controllo della regione. Dal 1992 proseguono i negoziati per la soluzione pacifica del conflitto all’interno del Gruppo di Minsk dell’Osce. L’Azerbaigian insiste sul mantenimento della sua integrità territoriale, mentre l’Armenia protegge gli interessi della repubblica separatista. La repubblica del Nagorno-Karabakh, in quanto non riconosciuta internazionalmente come entità statale, non fa parte dei negoziati. (Res)

Fondi europei per stabilizzare i rifugiati armeni fuggiti dalla Siria (Agenzia Fides 26.0618)

Ereven (Agenzia Fides) – L’Unione europea si appresta a stanziare un contributo di 3 milioni di euro finalizzati a sostenere progetti per l’integraziooufyne e la stabilizzazione dei rifugiati armeni fuggiti dalla Siria che hanno trovato rifugio in Armenia. Il finanziamento – ha riferito a Armenpress Hoa-Binh Adjemian, capo della sezione per la cooperazione della delegazione dell’UE presente in Armenia – punterà soprattutto a alleviare i problemi affrontati dei rifugiati armeni siriani nella ricerca di una abitazione e di un lavoro. Le sovvenzioni – ha chiarito Adjemian – aiuteranno quei rifugiati a radicarsi in Armenia, uscendo dalle condizioni di precarietà in cui si trovano molti di loro, e accantonando per ora ogni ipotesi di favorire o pretendere il rimpatrio dei profughi armeni siriani.Una parte del contributo – ha aggiunto il funzionario armeno – servirà anche a promuovere piccole iniziative imprenditoriali messe in atto dai rifugiati siriani. Il finanziamento a favore dei rifugiati armeni siriani in Armenia dovrebbe essere disposto entro metà luglio.
Attualmente l’Armenia ospita sul proprio territorio circa 22mila armeni siriani espatriati dall’inizio del conflitto siriano. Già all’inizio del 2014 (vedi Fides 4/2/2014) l’organizzazione governativa armena Hayastan All-Armenian Fund aveva lanciato programmi di raccolta fondi anche presso le comunità armene della diaspora da destinare ai rifugiati siriani, con il coinvolgimento attivo del Catholicosato armeno apostolico di Cilicia. In contemporanea, anche la Camera degli avvocati della Repubblica armena aveva iniziato a offrire consulenze gratuite agli armeni provenienti dalla Siria, fornendo anche materiale informativo utile per affrontare i problemi giuridici che i profughi si trovano a affrontare. In Siria, prima delconflitto, i più di 100mila cristiani armeni – apostolici e ortodossi – rappresentavano una delle comunità armene più numerose del Medio Oriente. (GV) (Agenzia Fides 26/6/2018).