L’Armenia volta pagina, Pashinyan eletto premier (Lastampa.it 08.05.18)

Missione compiuta per Nikol Pashinyan. Il leader della Rivoluzione di Velluto è stato eletto primo ministro dal Parlamento dell’Armenia riunito in seduta straordinaria. Viene così sancito il pieno successo delle rivolte pacifiche iniziate un mese fa a Yerevan per scongiurare il rischio che l’ex presidente Serzh Sargsyan detenesse il potere a vita. Un evento storico per l’Armenia, che comunque secondo gli esperti resterà saldamente nella sfera di influenza del Cremlino.

Decine di migliaia di persone festeggiano in Piazza della Repubblica, nel cuore della capitale. Molti indossano una maglietta bianca come simbolo della loro speranza che con Pashinyan premier si apra una nuova pagina della storia armena. I sostenitori dell’ex giornalista agitano palloncini rossi, blu e arancioni – i colori della bandiera nazionale – ed esultano lanciando in aria palline di neve. A Yerevan ci sono 16 gradi, ma la neve l’hanno portata apposta dalle montagne vicine con un camion per fare festa.

Meno corruzione, meno povertà, elezioni libere: è questo ciò che chiedono i sostenitori di Pashinyan. Ed è per questo che da metà aprile riempiono (e bloccano) le vie delle principali città armene. Il primo risultato, il più importante, lo hanno raggiunto il 23 aprile, quando Serzh Sargsyan è stato costretto a dimettersi da premier appena sei giorni dopo essersi insediato a capo del governo. Sargsyan è stato presidente per un decennio, dal 2008 al 9 aprile di quest’anno. Nel 2015, sapendo che finito il secondo mandato consecutivo da capo dello Stato la Costituzione gli impediva di ricandidarsi, ha indetto un referendum – marcato da irregolarità – per trasferire, a partire da quest’anno, tutta una serie di poteri dal presidente al Parlamento e al primo ministro. Carica che ha poi prontamente riservato a se stesso subito dopo aver lasciato il palazzo presidenziale.

Sargsyan non aveva però fatto i conti con la rabbia popolare, magistralmente sfruttata da Nikol Pashinyan. Il nuovo premier, deputato e leader della coalizione liberale Yelk (‘Esodo’), esattamente una settimana fa si era visto respingere la candidatura a capo del governo. Ma i suoi simpatizzanti hanno reagito bloccando strade, ferrovie e metropolitana, e hanno così spinto il Partito Repubblicano di Sargsyan a fare dietro front e votare oggi per Pashinyan primo ministro pur di favorire una soluzione alla crisi politica. Metodi chiaramente poco ortodossi quelli del leader delle piazze, che però assicura che il suo incarico non durerà molto: tre o sei mesi – spiega il suo portavoce – giusto il tempo di traghettare l’Armenia verso le urne e “organizzare elezioni” parlamentari anticipate che siano “oneste”.

Pashinyan è arrivato alla poltrona di primo ministro seguendo un percorso lungo e irto di difficoltà. Nel 1995 fu espulso dall’università per la sua attività politica. Nel 2004, quando era direttore del giornale Haykakan Zhamanak, la sua auto venne fatta saltare in aria in quello che pare essere stato un tentativo di farlo fuori. Nel 2008 dovette nascondersi per mesi perché accusato di aver istigato le proteste contro l’elezione di Sargsyan alla presidenza in cui morirono dieci persone. Arrestato nel 2009, nel 2010 fu condannato a sette anni di reclusione, ma l’anno dopo tornò in libertà per un’amnistia. Dietro le sbarre Pashinyan c’è tornato poche settimane fa, ma per poco: arrestato il 22 aprile, nel pieno delle proteste e dopo aver chiesto di persona a Sargsyan di dimettersi, è stato scarcerato nel giro di 24 ore.

Il nuovo premier, che in piazza si fa ritrarre con addosso una maglietta mimetica e i suoi detrattori accusano di essere un populista, dovrà ora affrontare altre sfide. Innanzitutto il Parlamento è dominato dai suoi avversari del Partito Repubblicano, che oggi gli hanno concesso solo 11 voti dei 58 a loro disposizione: tanto quanto bastava per superare lo stallo politico e “garantire stabilità al Paese”. Pashinyan è stato eletto primo ministro con 59 voti a favore e 42 contrari. Dal punto di vista geopolitico non dovrebbe cambiare molto. Oggi in Parlamento il leader della Rivoluzione di Velluto ha ribadito “la priorità” dell’alleanza con la Russia, che in Armenia ha due basi militari. Yerevan fa inoltre grande affidamento su Mosca come garante nel conflitto del Nagorno-Karabakh tra armeni e azeri. Non per niente Pashinyan incontrerà molto presto Putin: già il 14 maggio, a Sochi, nell’ambito di un summit dell’Unione economica eurasiatica guidata da Mosca.

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L’Armenia volta pagina, eletto il nuovo premier (Repubblica.it 08.05.18)

EREVAN – L’Armenia volta pagina: il leader carismatico dell’opposizione, Nikol Pashinyan, è stato eletto primo ministro dal Parlamento dell’ex repubblica sovietica nel Caucaso meridionale, mettendo fine a tre settimane di proteste che avevano portato alla fine del lungo “regno” di Serzh Sargsyan. Il 42enne ex giornalista è stato votato da 59 deputati su 101, sei in più di quelli di cui aveva bisogno per approdare alla guida del governo.

Nella precedente votazione del primo maggio, a Pashinyan erano mancati i voti del Partito repubblicano di Sargsyan ma a sbloccare la situazione è stata la minaccia di uno sciopero generale. Il presidente russo, Vladimir Putin, è stato tra i primi a congratularsi con il neo-premier e gli ha assicurato che non romperà il saldo legame con Mosca di questo Paese di tre milioni di abitanti a maggioranza ortodossa.

L’Armenia festeggia la rivoluzione civile di Nikol Pachinian – il reportage dal nostro inviato Pietro Del Re

Pashinyan, ottimo oratore, ha coronato così la “rivoluzione di velluto” iniziata nel 2008 e culminata nella protesta che da metà aprile aveva paralizzato le strade della capitale Erevan e in cui erano rimaste ferite 46 persone. Alla fine il premier Sargsyan, accusato di manipolare la Costituzione per restare aggrappato al potere, si era dimesso il 23 aprile.


Pashinyan premier dell’Armenia, la piazza ha sconfitto Sargsyan (Ilmanifesto.it 08.05.18)

Giornata storica quella di ieri per l’Armenia. Con 59 voti a favore Nikol Pashinyan è stato eletto dal parlamento primo ministro. Si conclude così positivamente la crisi politica iniziata quasi un mese fa.

Pashinyan, 43 anni, ha alle spalle un passato da giornalista e attivista dei diritti umani. Entrato in politica nel 2008 come leader dell’opposizione al partito repubblicano al potere, era stato condannato per le sue ripetute azioni di disobbedienza civile a sette anni di prigione, poi amnistiato nel 2010.

In queste ultime settimane è stato alla testa del grande movimento contro la corruzione e la riforma della costituzione che avrebbe permesso a Serž Sargsyan, leader del partito repubblicano, di restare a capo del paese anche dopo la fine dei due mandati presidenziali previsti. Il neo premier malgrado le forti tensioni accumulatesi in un mese di manifestazioni e scioperi è riuscito, come aveva promesso, a mantenere la mobilitazione popolare in un quadro pacifico, quasi da happening.

Come l’altro ieri notte, quando la rockstar di origine armena Serj Tankian, attivista ecologista e sostenitore di Bernie Sanders, è atterrato a Erevan per sostenere Pashinyan, provocando scene di grande entusiasmo tra i giovani. Anche al Cremlino grande soddisfazione per com’è evoluta la situazione.

Dopo i primi tentennamenti, Pashinyan ha confermato che l’Armenia resterà nell’Unione Euroasiatica, mentre le basi militari russe resteranno al loro posto almeno fino al 2042 come da accordi stipulati nel 2010. Vladimir Putin, subito dopo il voto, ha chiamato Pashinyan dichiarandosi «convinto che la sua attività alla testa del governo rafforzerà l’amicizia e la partnership tra i nostri due paesi».

Nel discorso di investitura Pashinyan ha confermato che «si batterà per mettere fine al regime oligarchico» e ha promulgato subito un decreto in cui si chiede all’Fbi di far rientrare i capitali esportati illegalmente negli Stati uniti da esponenti del governo.

I problemi che il nuovo premier dovrà affrontare sono molti. Il piccolo paese caucasico dopo il crollo dell’Urss si è inabissato in una crisi economica e sociale profonda. Il reddito medio annuo armeno non supera i 3.200 euro l’anno (in gran parte prodotto dalle rimesse e donazioni della diaspora mondiale armena) mentre petrolio e gas vengono sussidiati da Mosca.

Sul piano internazionale, oltre ai rapporti di pessimo vicinato con la Turchia che continua a negare pervicacemente il genocidio del 1915, resta aperto il contenzioso del Nagorno-Karabach in seguito al conflitto armeno-azero del 1994. Domani il nuovo premier si recherà proprio nel Nagorno-Karabach per festeggiare l’anniversario della Grande Guerra Patriottica sovietica.

«Non ci può essere soluzione di questa crisi senza il coinvolgimento della popolazione del Nagorno-Karabach», ha sostenuto ieri Pashanyan, provocando una piccata reazione azera: «Cambiano i governi ma l’Armenia non cambia la sua politica», ha dichiarato il ministero degli esteri di Baku.


Armenia: il leader dell’opposizione Nikola Pashynian è il nuovo premier (Euronews 08.05.18)

È Nikol Pashinyan dunque il nuovo primo ministro armeno. Questo potrebbe riportare la calma in un paese da settimane nel caos.

Pashinyan è un ex giornalista leader del partito Contratto Civile. Ha ottenuto 59 voti a favore e 42 contro. La maggioranza era di 53 voti. Pashinyan ha 42 anni ed era l’unico candidato al posto lasciato vacante dalle dimissioni dell’ex premier Serzh Sarkissian che aveva abbandonato l’incarico un paio di settimane fa. Quello stesso Sarkissian che era stato presidente per 10 anni. Era stato nominato primo ministro appena il 17 aprile.

L’elezione di Pashinyan è un cambiamento sostanziale soprattutto dopoché, con la riforma costituzionale del 2015 il premier nel paese che confina fra l’altro con Turchia e Iran, è diventato più importante dello stesso presidente.

Lotta alla corruzione, nuova legge elettorale ed elezioni. È il programma di massima del neo premier Nikol Pashinyan eletto questo martedì. La notizia era nell’aria da giorni ma era stata inizialmente ostacolata dal Partito Repubblicano del dimissionario Sargsyan, che però ha ceduto dopo che era stato organizzato uno sciopero generale.

Tra i leader del Congresso Nazionale Armeno, partito liberale di opposizione fondato nel 2008 dal primo presidente del paese, Levon Ter-Petrosyan. Fino a pochi anni fa era un personaggio quasi sconosciuto, ma in poco tempo è diventato il volto più visibile delle opposizioni, guidando le proteste che erano cominciate intorno alla metà di aprilecontro la decisione di Sargsyan di farsi eleggere primo ministro nonostante avesse promesso il contrario.

Pashinyan ha anche approfittato del crollo del suo rivale Sargsyan che in pochi mesi si è giocato i suoi alleati.


L’Armenia ha vinto e Nikol Pashinian è il primo ministro (Il Foglio.it 08.05.18)


«Per l’Armenia è un nuovo inizio», ci spiega il presidente Sarkissian (Eastwet.eu 08.05.18)

Oggi il parlamento ha nominato come premier il leader della protesta Pashinyan. «La via è quella del cambiamento democratico» ci dice in questa intervista il presidente della Repubblica. Che puntualizza: «Russia e Occidente non c’entrano, questa è una questione armena».

Erevan – Per l’Armenia quelle di oggi sono state ore decisive. Il Parlamento ha scelto il nuovo premier. E dopo qualche giorno di tregua concordata, il movimento per la democrazia si è presentato di nuovo in piazza a Erevan, la capitale, pronto a festeggiare la nomina del suo leader Nikol Pashinyan alla guida del Paese. O a far ripartire la protesta, in caso di colpi di scena. Ma il voto positivo è arrivato, e  in pizza dell’Indipedenza è scoppiata la festa.


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Per Pashinyan molte sono le incognite, a partire dal fatto che il suo esecutivo si reggerà con i voti del Partito repubblicano, il pilastro del regime guidato fino a pochi giorni fa da Serzh Sarksyan. È ben possibile che sarà una coalizione dalla vita breve, che avrà il compito di traghettare l’ex repubblica sovietica verso nuove elezioni, garantendone la gestione trasparente. Ma è solo un’ipotesi tra le tante. Per ora, di certo, c’è che la sua ascesa è un passo in più, per giunta formale, verso il cambiamento.

«Non possiamo tornare indietro, e non possiamo deludere le aspettative che si sono create in queste settimane. Questo deve essere un nuovo inizio», afferma Armen Sarkissian, il presidente della repubblica. Premier a metà degli anni ‘90, poi ambasciatore a Londra per vent’anni, Sarkissian è stato nominato capo dello stato dal Partito repubblicano ma nel corso delle proteste è rimasto sempre sopra le parti, mediando per assicurare il passaggio ordinato dei poteri. Ci ha ricevuto al palazzo presidenziale di Erevan.

Presidente, che direzione deve prendere il suo Paese?

La via da percorrere è quella del cambiamento democratico, perché gli armeni chiedono questo. Si sono creati grandi speranze. C’è molta energia positiva. E un’energia positiva, anche se un po’ naif, è sempre meglio di un’energia negativa, aggressiva. Ora, bisogna prendere questa forza e trasformarla in qualcosa di buono e di creativo. Se dovesse prevalere l’odio, tutte le idee di questo movimento si tramuterebbero in vendetta, e avremmo un fallimento.

Che idea si è fatto dei giovani, i grandi protagonisti in queste settimane di protesta?

Questi ragazzi e queste ragazze sono la generazione Facebook. Sono brillanti, rapidi, sanno cosa vogliono. In piazza sono stati molto creativi, ma hanno anche rispettato la legge e l’ordine. Al tempo stesso, il potere ha capito che non poteva ricorrere all’uso della forza.

Si attendeva le dimissioni dell’ex presidente, e poi premier per pochi giorni, Serzh Sarkysian?

Per un uomo che è stato ministro della difesa, ministro della sicurezza, presidente e primo ministro, farsi da parte è stato a mio avviso un gesto di valore. Così facendo ha dimostrato di essere un politico responsabile. Le sue dimissioni hanno riportato la calma e unito il Paese.

Un Paese che per lungo tempo ha guidato in modo autoritario…

Non credo che tutto ciò che è stato fatto in passato sia sbagliato e che quanto realizzeremo in futuro sarà giusto. Non credo nel bianco e nel nero, ma nella varietà di colori. Se tutto fosse stato nero, questi giovani non sarebbero cresciuti in modo così libero. No, non sono cresciuti in una dittatura.

In Armenia la ricchezza è concentrata nelle mani di pochi. Per lei questa è anche una rivoluzione sociale e anti-oligarchica?

Dobbiamo essere saggi. Non si può di certo risolvere la questione delle disparità arrestando chi è ricco. E non possiamo fare di ogni erba un fascio. Normalmente, non si ritiene Bill Gates un oligarca. Ma tutti vorrebbero essere come lui, o come Steve Jobs. Noi dobbiamo creare una società dove tutti, potenzialmente, possono essere il Bill Gates o lo Steve Jobs dell’Armenia. Dobbiamo cambiare la mentalità, la cultura, i comportamenti della nostra società, aprendo le porte a una sana competizione.

Ci sono analogie con la protesta in Ucraina di cinque anni fa?

No. Questo è un Paese unito, mentre in Ucraina non era così. L’Armenia ha dimostrato che può avere un dialogo civile.

La Russia, garante storica della vostra sicurezza, può fare qualche mossa per condizionare lo scenario a Erevan?

Tralascerei il discorso sul ruolo della Russia. Anzi, a dire il vero c’è chi dice che ci sia un’influenza europea, per via del fatto che diversi di questi ragazzi si sono formati in Occidente e che alcune organizzazioni europee li stanno finanziando. L’unica cosa vera è che questa è una questione armena, e personalmente mi sto impegnando a spiegare ai miei omologhi stranieri proprio tale aspetto.


 Armenia: Pashinyan ‘fra 3-6 mesi a voto’ (Ansa 08.05.18)

(ANSA) – MOSCA, 8 MAG – In Armenia, il leader della Rivoluzione di Velluto, Nikol Pashinyan non intende rimanere a lungo premier, ma traghettare l’Armenia verso elezioni legislative anticipare, e quindi “si dimetterà tra 3-6 mesi”: lo ha detto il portavoce del nuovo premier armeno, Tigran Avinyan, citato da Rbk. “Noi – ha affermato Avinyan – stiamo formando un governo temporaneo per organizzare elezioni oneste, un governo permanente non rientra nei nostri programmi”.


http://it.euronews.com/2018/05/08/armenia-nella-citta-natale-del-nuovo-primo-ministro

Armenia: candidato premier Pashinyan, includere autorità Artsakh nei negoziati sul Nagorno-Karabakh (Agenzianova 08.05.18)

Erevan, 08 mag 11:40 – (Agenzia Nova) – “Ci impegniamo a una soluzione esclusivamente pacifica, che deve essere basata sul principio dell’uguaglianza legale dei popoli e dell’autodeterminazione. Sono pronto a negoziare con il leader dell’Azerbaigian nel quadro della copresidenza del gruppo di Minsk dell’Osce”, ha detto Pashinyan. Il candidato premier sostiene che un nuovo slancio deve essere trasmesso al processo di riconoscimento internazionale di Artsakh, che deve essere una questione prioritaria per l’agenda della comunità armena residente all’estero. (Res)

Proteste in Armenia – Intervista a Karen Harutyunyan (Ilcaffegeopolitico 07.05.18)

La recente ondata di proteste in Armenia ha colto di sorpresa sia l’establishment del Paese che la comunità internazionale. Abbiamo intervistato Karen Harutyunyan, direttore del sito giornalistico Civilnet, per capire cosa sta succedendo a Yerevan e come si svilupperà la situazione politica locale dopo l’inaspettata uscita di scena dell’ex presidente Sargsyan.

Colpisce il fatto che l’attuale “Rivoluzione” sia iniziata da Gyumri, una città che sembra non essersi interessata alla politica nazionale armena dal 1988, l’anno del grande terremoto. È questo il segno che stiamo affrontando una vera rivoluzione popolare?

Quello che lei dice non è corretto. Gyumri è sempre stata una delle città politicamente più attive in Armenia. Serzh Sargsyan e il suo Partito repubblicano hanno sempre perso le elezioni a Gyumri e nella regione di Shirak. Uno dei motivi per cui Gyumri era “all’opposizione” rispetto al Governo era l’alto livello di povertà e le scarse opportunità economiche. Rispondendo alla sua domanda, questa è davvero una rivoluzione popolare, supportata da oltre il 90% della popolazione.

Negli ultimi venti anni abbiamo assistito a molte rivoluzioni non solo in Armenia, ma anche in Asia centrale. Nulla è veramente cambiato (ad esempio in Kirghizistan) perché la situazione economica in quei Paesi è rimasta sostanzialmente la stessa. Come può l’Armenia ottenere un vero cambiamento e quali problemi dovrebbe affrontare il nuovo Primo Ministro?

Le rivoluzioni non sempre comportano un vero cambiamento della situazione. A volte i rivoluzionari cambiano le persone al potere, ma il sistema rimane intatto. Ecco perché è della massima importanza per il nuovo Governo dell’Armenia sostenere la costruzione di Istituzioni politiche ed economiche, fornendo pari opportunità economiche e diritti a ogni cittadino. È importante soprattutto garantire che il cambiamento del prossimo Governo avvenga attraverso elezioni libere ed eque e non per mezzo di rivoluzioni. Penso che l’energia popolare positiva e l’ascesa della coscienza civica aiuteranno l’Armenia a migliorare le proprie Istituzioni democratiche.

Qual è la posizione dell’Unione europea (comprese le sue diverse Agenzie e la missione in Armenia) sui futuri sviluppi politici nel Paese?

L’Ue ha invitato le parti, il Governo e l’opposizione, a trovare una soluzione pacifica. Penso che l’Ue accoglierà con favore il cambiamento pacifico e democratico nel Paese. Come probabilmente saprete, l’anno scorso l’Armenia ha firmato un accordo di partenariato globale e rafforzato con l’Ue, che supporterà l’ulteriore democratizzazione e lo sviluppo economico dell’Armenia.

In che modo Pashinyan intende costruire le relazioni dell’Armenia con la Russia?

Pashinyan ha dichiarato che non ci sarà alcuna inversione nella politica estera. Ha detto che l’Armenia manterrà la sua appartenenza all’Unione economica eurasiatica (Uee), così come all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto). I russi, a differenza di ciò che è accaduto durante le rivoluzioni ucraina e georgiana, si sono dichiarati neutrali e non hanno sostenuto nessuna delle due parti in lotta.

Come verranno rimodellati i rapporti con l’Unione eurasiatica nell’era post-Sargsyan?

L’appartenenza dell’Armenia all’Unione economica eurasiatica era condizionata da alcune questioni politiche e di sicurezza legate al ruolo della Russia nel Caucaso, in particolare nella regione del conflitto del Nagorno-Karabakh. L’Armenia manterrà la sua appartenenza all’Unione eurasiatica per ragioni economiche e politiche, allargando al contempo la sua cooperazione e il suo spazio di manovra con l’Ue e i Paesi occidentali. Ci sono sicuramente preoccupazioni tra i leader autoritari dell’Unione eurasiatica, i quali faranno di tutto per impedire che l’esperienza armena si ripeta nei rispettivi Paesi.

Che potenzialità e opportunità hanno i politici tradizionali (Ter-Petrosian, Kocharyan) dopo che Sargsyan ha lasciato il potere?

Sebbene abbiano ancora qualche influenza politica, penso che la loro epoca sia davvero finita. La rivoluzione è stata fatta da una generazione di ventenni capeggiata da un quarantaduenne, Nikol Pashinyan. Questa generazione si sente molto più libera delle precedenti ed è molto più decisa a proteggere il proprio futuro, senza non tornare al passato.

Quale delle parti in lotta viene sostenuta dalla diaspora armena?

La diaspora armena non è un soggetto omogeneo. Ci sono molte comunità in tutto il mondo e queste comunità sono strutturate attorno a organizzazioni tradizionali, come la Chiesa armena, l’Unione armena generale di benevolenza (la più grande associazione armena del mondo) e i partiti politici della diaspora: queste tre entità hanno sempre sostenuto i Governi in Armenia. Adesso non hanno espresso alcun supporto esplicito per il Governo, ma si sono anche astenute dall’appoggiare il movimento popolare. Contrariamente a questi attori tradizionali, gli armeni di tutto il mondo hanno organizzato manifestazioni di massa a sostegno della rivoluzione e del cambiamento di regime. Gli armeni all’estero si riuniscono ogni aprile nelle rispettive comunità per commemorare il genocidio del 1915. Questo aprile è stato completamente diverso. Uno degli armeni più famosi del mondo, Serj Tankian del gruppo System of a Down, ha espresso la propria vicinanza e conta di arrivare presto a Yerevan per sostenere Nikol Pashinyan e il popolo. Molti altri armeni che non fanno parte delle organizzazioni estere tradizionali hanno a loro volta chiesto a Serzh Sargsyan di dimettersi. Questa volta la pressione della diaspora è stata enorme, anche se sono stati i cittadini armeni a condurre il gioco.

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Un chicco in più

Civilnet ha coperto costantemente le manifestazioni anti-governative delle scorse settimane. Nonostante le dimissioni di Sargsyan, l’Armenia resta però bloccata in una sorta di stallo politico: il Parlamento e le principali cariche di Governo sono infatti ancora controllati dal Partito repubblicano dell’ex Presidente, che ha finora resistito alle pressioni di Pashinyan per la formazione di un nuovo esecutivo composto dai leader del movimento di protesta. Negli ultimi giorni Pashinyan sembra avere accettato la possibilità di un “Governo di riconciliazione” con i repubblicani e spera di essere eletto Primo Ministro con il prossimo voto in Parlamento, l’8 maggio. In caso contrario è probabile che il Paese andrà verso nuove elezioni politiche. Intanto Pashinyan si è anche incontrato con i rappresentanti diplomatici di Russia, Stati Uniti e Unione europea, rassicurandoli del suo impegno per una risoluzione pacifica della crisi armena.

 

Le suggestioni verdiane al Festival di Malta (Euronews 07.05.18)

La musica classica protagonista, ancora una volta, sull’isola di Malta. Alla sua sesta edizione, il Festival Internazionale ha invitato a La Valletta, l’Orchestra Sinfonica di Stato dell’Armenia.

Wolfgang Spindler, euronews: “Il Malta International Music Festival si è concluso con l’esibizione del clarinettista austriaco Andreas Ottensamer insieme all’Orchestra sinfonica dell’Armenia. Direttore il Maestro Sergey Smbatyan. Tra i punti salienti di questa performance le variazioni sulle melodie delle opere di Giuseppe Verdi composte da Alexey Shor.”

29 anni, nato a Vienna, Andreas Ottensamer è il principale clarinettista della Filarmonica di Berlino. Sergey Smbatyan, 30 anni, è tra i talenti più promettenti del panorama musicale. Qui a Malta hanno eseguito “Verdiana”, una variazioni sulle melodie di Verdi composte da Alexey Shor. “Mi hanno rischiesto appositamente di scrivere qualcosa relativo a Verdi per un tour in America Latina”, ci ha raccontato il compositore. “Ho pensato che sarebbe stato divertente attingere alle famose melodie del compositore italiano e presentarle in stili sudamericani. L’opera è composta da tre generi musicali: il primo è una samba, il secondo un bossa nova, e il terzo, il più virtuoso, è un tango.”

Alexey Shor è un musicista autodidatta, prima di dedicarsi alla musica, ha studiato matematica. Andreas Ottensamer e Sergey Smbatyan si sono esibiti diverse volte in passato insieme. E ogni volta che si incontrano sul palco è un successo. Secondo i due musicisti tutto è più semplice se c’è un feeling, se ci si capisce. “Ogni tanto ci guardiamo e ci facciamo l’occhiolino o dei segni…”, sottolinea Sergey Smbatyan.

Questa è la complicità! E’ ciò che si chiama magia! In pratica è un mix di entrambi. “E’ la magia che si crea sul palco per capire come funziona con l’orchestra. Non c’era tanto tempo per provare ma è stato magico, parlo del contatto visivo, dell’atmosfera, dell’energia tra gli artisti.”, prosegue Sergey Smbatyan.

Il Malta International Music Festival è diventato uno dei più importanti eventi di musica classica. Ogni anno ospita star internazionali. Quest’anno La Valletta è la capitale europea della cultura e questo festival è stato un punto di riferimento ulteriore per la città. Dunque un finale grandioso per il Festival Internazionale di Musica di Malta: il concerto di Andreas Ottensamer e del suo meraviglioso clarinetto insieme all’Orchestra Sinfonica di Stato dell’Armenia, e diretta da Sergey Smbatyan.”

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Un ospite speciale della classe 1943 a Sommacampagna (Larena 06.05.18)

Un ospite speciale, venuto dall’Armenia, siederà alla tavola della classe 1943 di Sommacampagna che martedì festeggerà i 75 anni di vita, iniziando alle 17.30 con un concerto di campane tenuto da alcuni «amici della classe». Seguirà la messa celebrata, nella parrocchiale del paese, da monsignor Boghos Levon Zekiyan, arcivescovo armeno di Istanbul, anch’egli nato nel 1943 e amico di famiglia di Luisa Albrigo Benedetti tra gli organizzatori della giornata. La festa si chiuderà alla tenuta Canova di Sacro Cuore di Lazise alle 19, con la visita delle cantine Masi e la cena. Ospite d’onore sarà appunto Zekiyan nominato nel 2014 da Papa Francesco amministratore apostolico dell’Arcieparchia di Istanbul degli armeni. È anche presidente della Conferenza episcopale di Turchia. Nato a Istanbul il 21 ottobre 1943, a 12 anni è entrato nel seminario minore della congregazione armena mechitarista a Venezia. Dal 1993 incardinato nel Patriarcato di Venezia, ha curato spiritualmente la piccola diaspora armena e la fraternità dei Santi Nicola e Sergio sempre nella città lagunare impegnandosi in campo ecumenico, soprattutto nei rapporti con la chiesa armeno-apostolica. Impegnato sui temi del dialogo tra le religioni e sulle categorie fondamentali della convivenza sociale, quali il rispetto per l’uomo, la democrazia, la libertà e la laicità, ha insegnato all’Università Ca’ Foscari di Venezia dal 1980 fino al 2011, occupandosi della cultura armena in tutti i suoi aspetti dalla storia alla letteratura, dalla filologia alla teologia e spiritualità. È accademico delle scienze della Repubblica di Armenia e consultore della congregazione per le chiese orientali. Monsignor Levon è già stato in precedenza a Verona: l’anno scorso ha partecipato a un incontro alla Società letteraria ed è stato presente al Festival biblico in Gran Guardia nel 2016. Nel maggio 2015 era, infine, alla messa pontificale a San Zeno. A Sommacampagna, martedì, sarà accolto anche dal sindaco Graziella Manzato e dal parroco don Tarcisio Soldà.

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Il Patriarca per i trecento anni degli Armeni Mechitaristi: «A San Lazzaro si vive un nesso fecondo tra ragione e fede» (Genteveneta 04.05.18)

C’è un insegnamento di fondo che esce dall’opera dell’abate Mechitar e dalla storia lunga tre secoli dei padri Armeni Mechitaristi nell’isola di San Lazzaro, nella laguna di Venezia. Ed è il nesso fecondo fra ragione e fede.

Lo rileva il Patriarca Francesco, intervenendo, nella mattinata di venerdì 4 maggio, al convegno internazionale inserito nelle celebrazioni del Tricentenario del Monastero Mechitarista di San Lazzaro.Mechitar – afferma mons. Moraglia – inaugura di fatto “una Scuola dei Lumi cristiana”, perché la sua fiducia nella ragione si rivela come reale fiducia in una ragione illuminata dalla fede, in una ragione che non può perciò essere limitata in una chiave e in una visione riduttiva o parziale, legata all’esperienza storica dell’Illuminismo. Da sempre il magistero della Chiesa ci insegna, infatti, ad operare uno sguardo sulla realtà che è, ad un tempo, di fede e di ragione; ci si occupa dell’uomo affermandone e promuovendone le differenti dimensioni. L’uomo è persona, identità propria, irripetibile e insieme è relazione; nell’uomo non è possibile disgiungere la dimensione e il senso verticale (Dio) dalla dimensione e dal senso orizzontale (la relazione con il prossimo)».

In Mechitar tutto ciò ha portato ad una rivalutazione dell’intero ventaglio delle scienze, «secondo un vero spirito enciclopedico cristiano – prosegue mons. Moraglia – sorretto dalla consapevolezza che tutto ciò che nutre lo spirito dell’uomo non può che arricchirlo nel suo stesso spessore propriamente umano, e, perciò, cristiano. Al punto che Mechitar stesso incoraggia i suoi giovani ad assecondare le proprie inclinazioni là dove li vede versati in tale o talaltra disciplina, senza disdegnare le scienze pure, naturali e applicate. Tutto – rettamente inteso – concorre a portare a Dio e a rendere la fede cristiana, per dirla con le parole di Giovanni Paolo II, più “pienamente accolta, interamente pensata, fedelmente vissuta”».

In questo secolare e felice processo, conclude il Patriarca, «Venezia non è elemento accessorio ma è un ulteriore segno di continuità di sviluppo dell’identità profonda di questa città, ben ancora nel continente europeo ma sempre proiettata verso il Mediterraneo e l’Oriente in un costante e mai interrotto scambio culturale e scientifico, oltreché commerciale e di civiltà».

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Nikol Pashinyan: un uomo, una causa e una t-shirt (Osservatorio Balcani e Caucaso 04.05.18)

Nikol Pashinyan, ex giornalista e leader di un piccolo partito di opposizione, in poche settimane è diventato l’icona di un’Armenia che vuole chiudere il conto con il torpore post-sovietico e voltare pagina. E che l’8 maggio potrebbe diventare il nuovo primo ministro del paese

04/05/2018 –  Monica Ellena

La politica armena è passata da un’obsoleta Lada sovietica che perdeva colpi a una veloce Lamborghini nell’arco di un mese – e al volante, barba incolta e T-shirt mimetica – è saldamente incollato Nikol Pashinyan.

In poche settimane l’ex giornalista 42enne si è trasformato da marginale leader della coalizione all’opposizione, Yelk (Via d’Uscita), a un condottiero, capace di infiammare gli animi ma anche di contenerli per portare avanti quella che lui stesso ha detto doveva essere una rivoluzione sì, ma pacifica, “di velluto”.

Im K’ayly (Il mio passo), la marcia di protesta organizzata con i suoi compagni di partito, il Contratto civile, doveva segnare un atto di protesta contro il tentativo del Partito repubblicano (HHK dall’acronimo armeno) al potere di far nominare l’ex presidente Serzh Sargsyan quale nuovo primo ministro, alimentando così lo spettro di un “leader a vita”. La marcia ha mosso i primi passi il primo aprile dalla seconda città armena, Gyumri, tra l’indifferenza dei media. I più non sapevano chi fosse quel manipolo di manifestanti e quando sono arrivati nella capitale Yerevan il 13 aprile, quattro giorni prima del voto parlamentare per la nomina del premier, i giochi nelle stanze dei bottoni erano già fatti.

E’ stato allora che Pashinyan ha cambiato marcia.

Animo pasionario

Dieci anni fa nessuno sapeva dove si trovasse Pashinyan: era infatti latitante. Allora direttore del più letto, e critico, quotidiano armeno Haykakan Zhamanak (Tempi armeni), aveva preso parte alle proteste seguite alle elezioni presidenziali del 19 febbraio 2008 che avevano incoronato Sargsyan. Sul risultato pesava l’accusa di frodi e compravendita di voti e migliaia di persone scesero in piazza a sostegno dell’altro candidato, Levon Ter-Petrosian, già primo presidente dell’Armenia indipendente, dal 1991 al 1998. Tra la folla c’era Pashinyan.

Le proteste finirono nel sangue. Il 1° marzo la polizia passò alla carica: dieci persone morirono e decine furono arrestate. Il governo dichiarò lo stato di emergenza e Pashinyan fu condannato a sette anni di reclusione con l’accusa di fomentare disordini. Si diede alla macchia, scomparendo per oltre un anno. Quando riemerse, nel 2009, si costituì e finì dietro le sbarre fino al 2011 quando fu rilasciato grazie ad un’amnistia accordata ai prigionieri politici. Non ci fu nessuna indagine e, ad oggi, gli eventi del 2008 rimangono una ferita aperta. Nei giorni precedenti le sue dimissioni lo scorso 23 aprile Sargsyan ha dichiarato, incautamente, che Nikol “non aveva imparato la lezione del 1° marzo”. Molti vedono in quel commento la spinta finale per portare in piazza anche chi fino ad allora se ne era tenuto lontano.

Al momento della fuga il futuro pasionario aveva 32 anni e un curriculum già ricco di scontri con le autorità.

Giornalismo e politica

Carismatico, energetico, con un forte senso di giustizia e un fiuto naturale per creare problemi – così lo definisce chi lo conosce da anni e chi l’ha seguito nell’avventura politica, sbocco quasi naturale della sua lunga attività di giornalista.

Nato a Ijevan nel 1975 si trasferì a Yerevan per studiare giornalismo alla Yerevan State University, ma fu espulso – ufficialmente per aver saltato dei corsi, ufficiosamente per aver accusato alcuni accademici di corruzione in uno dei giornali universitari. Fatto sta che fresco di una laurea mancata Pashinyan passa a Haykakan Zhamanak e nel 1999 passa alla sua direzione. Sotto di lui il quotidiano diventa la principale voce critica di un sistema politico corrotto saldamente in mano a un gruppo di oligarchi, colpevoli di strangolare l’economia di un paese già provato dal conflitto con il vicino Azerbaijan e da due frontiere sigillate che ne rallentano lo sviluppo. Negli anni non mancano le denunce per diffamazione da parte di politici accusati di corruzione. Quando non è al giornale è in strada, nel cuore di manifestazioni, siano esse per denunciare frodi elettorali o per protestare contro l’aumento dei biglietti per il trasporto pubblico.

A parte i mesi della latitanza, Pashinyan non abbandona mai il suo giornale e, uscito di prigione, torna a guidarlo. Ma ormai aveva passato il Rubicone e il salto alla politica attiva è inevitabile. Nel dicembre 2013 fonda il Contratto Civile con altri sei attivisti – non un partito politico, bensì un movimento al quale aderirono migliaia di giovani.

Pashinyan non convince tutti – la sua iniziale affiliazione con il controverso Ter-Petrosyan è stato per molti un elemento di sospetto.

“Ero prevenuto verso di lui proprio per il suo legame con Ter-Petrosyan, ma si è guadagnato il mio rispetto sul campo, poco per volta”, spiega a OBCT Babken DerGrigorian, analista politico che nel 2016 ha corso per Yelk nelle elezioni per il rinnovo del consiglio municipale di Yerevan. “È un comunicatore incredibile, ma sa ascoltare, e ha un’abilità unica di riflettere su se stesso”.

È anche un pragmatico ed è la concretezza che spinge lui e gli altri fondatori del Contratto civile a trasformarlo da movimento a partito politico nel maggio del 2015. Se l’obiettivo era sradicare un sistema politico contaminato da corruzione e clientelismo era necessario combatterlo sullo stesso campo – bisognava entrare in Parlamento.

Pashinyan rimane nelle retrovie durante Electric Yerevan i moti di piazza dell’estate del 2015 contro l’aumento delle bollette della luce, e nel confronto armato tra la polizia e il gruppo radicale Sasna Tsrer dell’estate 2016 che si chiuse con la morte di due poliziotti. Si distanzia anche dalle critiche al referendum costituzionale del dicembre 2015 che sigilla il passaggio a una repubblica parlamentare, di fatto anticipando il tentativo passaggio di poltrone di Sargsyan.

Dalla giacca alla T-shirt

Poi nel 2017, il salto al voto. Il Contratto civile si unisce ad altri due gruppi minori – Lusavor Hayastan (Armenia luminosa) e Hanrapetutyun – nella coalizione Yelk nelle elezioni parlamentari del 2 aprile. I due seggi che la coalizione ottiene, su 131 dell’Assemblea nazionale, paracadutano Pashynian nel cuore politico del paese.

Im K’ayly sancisce un cambio di strategia dell’opposizione – Pashinyan si toglie la giacca parlamentare e s’infila la T-shirt mimetica che lo trasforma in un’icona. Quando Pashinyan indossa il cappellino nero con la scritta Dukhov (coraggio), il designer Ara Aslanyan è inondato di ordini, anche dal grande bacino della diaspora all’estero.

Per Richard Giragosian, analista e direttore del Centro di studi regionali, carisma e anni di manifestazioni hanno raffinato la sua conoscenza della piazza e delle sue dinamiche.

Per Pashinyan le sfide e i problemi del paese impongono una politica che va oltre l’obsoleta divisione tra destra e sinistra – un’opposizione che “non funziona più” – e si è tenuto su posizioni moderate per ottenere il più largo consenso possibile.

“Non è dogmatico, ascolta e si appoggia a chi è intorno a lui,” continua DerGrigorian, a sua volta tra gli organizzatori di Electric Yerevan, nonché la mente dietro all’omonimo hashtag virale nell’estate di tre anni fa.

Il 22 aprile il suo arresto, insieme con due colleghi dell’opposizione e decine di dimostranti, innesca una risposta inimmaginabile: la centrale Piazza della Repubblica è inondata da migliaia di persone che urlano il suo nome.

Ventiquattro ore dopo, il “nemico” Sargsyan, getta la spugna e abbandona dopo sei giorni la poltrona di premier – e l’annuncio delle dimissioni sigilla il ruolo di Pashinyan a condottiero della nuova Armenia.

“Nikol aveva ragione. Io Avevo torto”.

Sargsyan però era l’agnello sacrificale del partito repubblicano, non disposto ad abbandonare la presa al potere. E al voto del primo maggio scorso, dopo una maratona di discorsi durata nove ore, il PArtito repubblicano ha votato contro Pashinyan che ha mancato l’obiettivo della nomina a premier. Il popolo della rete, che ha sostenuto la protesta a colpi di post e tweet, si è allora adattato: l’hashtag #RejectSerzh è diventato #RejectHHK e gli armeni hanno fatto scudo intorno a Pashinyan che, rimessa la T-shirt mimetica, ha invocato alla calma e ha chiesto al paese una giornata di disobbedienza civile.

Il 2 maggio l’Armenia ha chiuso, per rivoluzione. Si sono sbarrate le strade, chiusi negozi, chiuse le frontiere, chiusa la metropolitana e i dipendenti pubblici e privati hanno abbandonato gli uffici. E a fine giornata i repubblicani hanno lasciato intendere che al secondo voto del prossimo 8 maggio non ostacoleranno il “candidato del popolo”.

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Armenia: capogruppo repubblicano ribadisce, l’8 maggio paese avrà un primo ministro eletto (Agenzianova 04.05.18)

Erevan, 04 mag 12:49 – (Agenzia Nova) – Vahram Baghdasaryan, capo del gruppo del Partito repubblicano (Pra) in parlamento armeno, assicura che il paese caucasico avrà un primo ministro eletto in base ai risultati della votazione che si svolgerà in parlamento l’8 maggio. “La nostra decisione sarà unita: avremo un primo ministro l’8 maggio”, ha detto il capogruppo citato dall’agenzia di stampa “Armenpress”. Particolare la dichiarazione di Baghdasaryan sul cambiamento di posizione rispetto al voto del primo maggio, quando il Pra aveva votato contro la candidatura di Nikol Pashinyan, leader del blocco Yelq e anima delle proteste che da settimane si svolgono nelle principali città armene. “In precedenza non abbiamo ostacolato il processo di voto, ma ora lo sosterremo”, ha detto il parlamentare repubblicano. Le dichiarazioni dei rappresentanti repubblicani restano sibilline e non chiariscono definitivamente le loro intenzioni. (segue) (Res) © Agenzia Nova – Riproduzione riservata


Armenia-Regno Unito: colloquio telefonico fra presidente Sarkissian e sottosegretario britannico Duncan, risolvere crisi attraverso dialogo (Agenzianova 04.05.18)

Erevan, 04 mag 08:24 – (Agenzia Nova) – Il presidente armeno Armen Sarkissian ha avuto una conversazione telefonica con il sottosegretario di Stato britannico per l’Europa e le Americhe Alan Duncan. Secondo quanto riferisce l’ufficio stampa della presidenza armena la conversazione si è concentrata sulla crisi politica in corso in Armenia. Le parti hanno concordato sul fatto che una soluzione deve essere trovata nel quadro di un dialogo costruttivo che rispetti la legge e la Costituzione armena. Ieri il parlamento armeno ha ufficialmente comunicato che Nikol Pashinyan, esponente del blocco Yelq e anima delle proteste iniziate lo scorso 13 aprile, è l’unico candidato all’incarico di primo ministro in vista del voto dell’8 maggio, l’ultimo appuntamento utile in base al calendario istituzionale armeno prima dello scioglimento della camera e l’organizzazione di nuove elezioni. (segue) (Res)

Prima giornata del meeting dedicata ai genocidi armeno e ruandese (Newstuscia.it 03.05.18)

NewTuscia – TARQUINIA – I genocidi dimenticati del Novecento. È questo il tema che aprirà il XII meeting internazionale Esploratori di Valori di Semi di Pace onlus, il 18 maggio (dalle ore 9.30), alla Cittadella, sede dell’associazione. La prima giornata dell’evento sarà incentrata sul genocidi armeno e ruandese. Tragedia d’inizio Novecento, il genocidio armeno è ancora oggi al centro di profonde tensioni tra la Turchia, che nega la storicità dei fatti, e le altre nazioni che hanno riconosciuto ufficialmente quanto accaduto durante e dopo la prima guerra mondiale.

A parlarne saranno Robert Attarian, del Consiglio per la Comunità Armena di Roma, e Gabriele Rigano, docente di storia contemporanea all’Università per Stranieri di Perugia. Avvenuto a metà degli anni Novanta in Ruanda, piccola repubblica dell’Africa Centrale, il genocidio dei tutsi è storia contemporanea. Ad affrontare il tema Françoise Kankindi, presidente dell’associazione Bene-Rwanda onlus. «Alla Cittadella abbiamo inaugurato il Memoriale della Shoah nel 2016 e lo scorso anno la mostra “La Shoah in Italia. Persecuzione e Deportazioni (1938-1945)” – dichiara Semi di Pace – L’installazione vuole, in senso più ampio, ricordare tutti genocidi del XX secolo. Per intraprendere questo percorso abbiamo quindi deciso di puntare l’attenzione su due drammi poco conosciuti, in cui sono morte milioni di persone». Il XII meeting internazionale Esploratori di Valori è patrocinato dal Senato della Repubblica, dalla Regione Lazio, dalla Provincia di Viterbo, dal Comune di Tarquinia, dallo Snadir, dall’Anteas Lazio e dalla Diocesi di Civitavecchia-Tarquinia.

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La «Rivoluzione di Velluto» paralizza l’Armenia (Corriere della Sera 02.05.18)

Sciopero generale nello scontro tra l’opposizione e il governo. Che però ammette la sconfitta

di Francesco Battistini

Portano una finta bara davanti al Parlamento di Yerevan, l’adornano di fiori, inscenano un funerale: «Oggi muore questo regime!». Mettono di traverso trecento macchine sulle autostrade, isolano la capitale, bloccano i binari di treni e metrò: «Andiamo avanti finché i corrotti e i ladri non se ne vanno!». Fermano le auto verso l’aeroporto e fanno scendere tutti, si va a piedi, qualche volo viene cancellato e i piloti aderiscono alla protesta: «Sciopero generale!». Occupano i palazzi governativi delle altre città, da Gyumri a Maralik, e chiedono ai sindaci d’unirsi a loro: «Vogliamo la vittoria!».

Rivoluzione non violenta

La chiamano la Rivoluzione di Velluto, perché dura dal 13 aprile e non ha provocato morti, ma ieri sotto il morbido s’è temuto il pugno di ferro: «Non provate a mandare in piazza l’esercito — ha avvertito a un certo punto Nikol Pashinyan, leader dell’opposizione Yelq —, convinceremo i soldati a protestare con noi. Stavolta non si molla! E attenti: potrebbe diventare uno tsunami».

Armenia armata. Sei giorni per evitare (o scatenare) il caos. Sull’orlo di un’altra Ucraina. Uno dei Paesi più immobili del vecchio impero sovietico, dove dagli anni Novanta la benedizione di Mosca fa governare sempre gli stessi, martedì prossimo proverà a darsi un nuovo premier e una nuova politica: sull’autocandidatura di Pashinyan, 42 anni, t-shirt e berretto, ex giornalista già finito in galera per le sue contestazioni, alla fine della giornata di scioperi dice d’essere d’accordo anche il suo grande nemico Serzh Sargsyan. Il Partito repubblicano che comanda in Armenia, e che ha permesso a Sargsyan di regnare nell’ultimo decennio, alla fine accetta il cambio di stagione. Quasi inevitabile: con un contestato referendum il presidente Sargsyan aveva ritoccato i poteri presidenziali e in aprile (non potendosi dare un terzo mandato, vietato dalla Costituzione) li aveva riversati tutti sul primo ministro, cioè se stesso, perché a quella carica s’era poi fatto eleggere dal Parlamento (che il suo partito controlla). Un colpo di mano. Un mezzo golpe. Abbastanza per muovere le piazze e costringere l’eterno Sargsyan, improvvisamente mite e rassegnato, alle dimissioni: «E va bene. Pashinyan aveva ragione, io torto. Esaudisco le vostre richieste».

Il controllo di Mosca

La crisi è finita o è solo all’inizio? Protettorato putiniano, l’Armenia deve guardarsi da vicini ostili (i turchi del Medz Yeghern, il grande genocidio, più gli azeri del gas e del conteso Nagorno-Karabakh) e soprattutto dalle attenzioni russe. Le idee di Pashinyan non piacciono a Mosca: l’aspirante premier vuole un riavvicinamento all’Ue e alla Cina, più dialogo con gli Usa e qualche mese fa ha proposto di rivedere gli accordi economici coi russi.

Dal Cremlino sono arrivate telefonate preoccupate: «Spero in una soluzione rapida», ha raccomandato lo Zar. E i deputati della Duma si sono presentati subito a Yerevan in delegazione.

Il senso di Luca Argentero per la neve (Bestmovie.it 03.05.18)

In occasione dell’uscita di Hotel Gagarin, commedia sognante ambientata nella gelida Armenia, abbiamo incontrato l’attore torinese che ci ha raccontato di quanto si sia divertito a trasformarsi in un indolente fotografo stordito dalla cannabis…

Capelli lunghi, barba incolta, orecchino, canna sempre in mano. Per Hotel Gagarin Luca Argentero ha sporcato la sua faccia da bravo ragazzo e si è trasformato in un trentenne sfatto e indolente che galleggia nella precarietà. Fotografo di matrimoni a tempo perso ricattato da un gruppo di spacciatori, Sergio troverà l’occasione di riscatto in un viaggio di lavoro in Armenia: in quelle lande desolate sepolte dalla neve, dovrà girare un film insieme a una squadra di altri disperati. Opera prima di Simone Spada (aiuto regista di lunghissima esperienza), Hotel Gagarin è una commedia insolita e dall’ottimo cast che celebra la magia del cinema. Una commedia che ha permesso ad Argentero di sperimentare un ruolo molto lontano dal solito, e anche molto lontano da lui. Carico di un’energia contagiosa e iperattivo, Luca è distante anni luce dal pigro Sergio.Anche solo per l’ambientazione, Hotel Gagarin è un film originale nel panorama del cinema italiano. In generale, cosa ti ha spinto a partecipare?
«La molla è stata Simone Spada, il regista: Hotel Gagarin è il suo esordio dietro la macchina da presa. Conosco Simone da anni: lui ha una lunghissima carriera come aiuto regista e insieme abbiamo fatto almeno 4-5 film. Fin dal primo momento gli ho dato la mia disponibilità: lo avrei seguito ovunque, in Armenia, in Nuova Zelanda, in Perù. Sia a livello di attori sia di cast tecnico, Simone si è circondato di amici coi quali ha lavorato negli ultimi 30 anni e coi quali condivide una certa idea di cinema. Anche perché trascinare una troupe in Armenia, per due mesi, e girare a – 24° non è così scontato…».Quanto è stato bello e quanto è stato faticoso girare lì?
«Le riprese si sono svolte tra gennaio e febbraio, in pieno inverno, il loro inverno! C’erano temperature siberiane e distese infinite di neve: non abbiamo visto un filo erba. Quindi sì, è stato faticoso, ma è stato davvero un’esperienza di vita: per questo devo ringraziare Simone. Io amo viaggiare ma mai avrei pensato di depennare l’Armenia tra le mie tappe… Produttivamente è stata un’avventura più unica che rara: unica nel senso che lì non ci torno più! (ride, ndr)».

Ok, però di’ la verità: anche a voi, come alla troupe del film, un po’ è dispiaciuto andarvene dall’hotel Gagarin, no?
«Be’ un po’ sì. Da un lato non vedevamo l’ora di tornare verso un clima più temperato, dall’altro, però, sentivamo la commozione reale di questo gruppo di persone che aveva imparato a conoscersi davvero proprio come i protagonisti del film».

L’intervista completa è pubblicata su Best Movie di maggio, in edicola dal 30 aprile