Pietrakappa, Sebastiano Stranges dedica incontro agli armeni (cn24tv.it 19.05.18)

Sebastiano Stranges parlerà, con l’ausilio di immagini suggestive, degli armeni che sono arrivati in Calabria a partire già dal V sec. d.C., che sono stati commercianti, stratioti, soldati o nobili condottieri. Nel nono secolo con l’avanzata araba su Reggio Calabria; all’inizio del 901 Reggio fu conquistata dagli Arabi, capeggiati da Abû el’-Abbâs, che massacrarono gli abitanti e uccisero il vescovo.

Nella vallata di Bruzzano, si stanziarono così gli armeni e gli ebrei: dei primi abbiamo le testimonianze nella toponomastica, Rocca degli Armeni a Bruzzano, e nei manufatti religiosi come le chiese grotte, di Brancaleone Superiore e a Bruzzano Vecchia. Verso la fine del IX secolo e nel X, con il riaffermarsi della potenza bizantina in Italia, vediamo di nuovo con frequenza, sulla scena della vita politica della Penisola, battaglioni e capi armeni.

Oltre alla ricca archeologia lasciata dagli armeni, ritroviamo toponimi, cognomi e vocaboli. Così per Bruzzano il cui nome antico era Bursana, Bur (buyr in arm. profumo) e Sa e Na, tradotto in armeno, diventa un posto pieno di profumi.

Dal paese Bursana provengono anche i cognomi Borsomati e Burzumati. Molti cognomi di Reggio e provincia sono armeni, un mondo tutto da scoprire quello degli armeni in Calabria.

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Business news: premier armeno riceve Ad italiana Renco, focus su nuova centrale termica (Agenzianova 19.05.18)

Erevan, 19 mag 08:00 – (Agenzia Nova) – Il premier dell’Armenia Nikol Pashinyan ha ricevuto Giovanni Rubini, amministratore delegato di Renco Spa. Lo riferisce una nota del governo di Erevan. Durante il colloquio si è discusso dell’attuazione del programma di investimenti per la costruzione di una nuova centrale termica nei pressi dell’impianto termoelettrico di Erevan. Rubini ha dichiarato che secondo il programma di investimenti, del valore di quasi 300 milioni di dollari, si prevede di costruire e mettere in funzione la centrale termica da 250 MW entro 25-28 mesi. Secondo l’Ad, gli ultimi sistemi da installare consentiranno di produrre energia a basso costo. Il progetto sarà realizzato in collaborazione con la tedesca Siemens e varie istituzioni finanziarie internazionali. “Siamo pronti a lanciare il programma il prima possibile. Durante la costruzione saranno creati mille nuovi posti di lavoro”, ha affermato Rubini. (Res)

Gli armeni divisi dalla Grande Guerra tra massacri e fughe (Ilpiccolo 18.05.18)

Inizia oggi, e fino a domenica, il festval èStoria di Gorizia, dedicato quest’anno al tema delle “Migrazioni”. Fra primi appuntamenti della giornata, alle 17, in Sala Dora Bassi, via Garibaldi 7, “L’Ungheria lacerata: il trattato del Trianon e le conseguenze sulle migrazioni”, con Stefano Bottoni, Cesare La Mantia e Adriano Papo. Sul tema delle migrazioni dei primi del novecento interverrà fra gli altri anche Mustafa Aksakal, professore associato di Storia e Nesuhi Ertegün Chair of Modern Turkish Studies alla Georgetown University che domenica, alle 15, all’Unione Ginnastica Goriziana (Sala del caminetto), parlerà su “La fine dell’impero ottomano e la catastofe delle minoranze”. Converseranno con lui Siobhan Nash-Marshall e Antonia Arslan, coordinerà Marco Cimmino. Anticipiamo di seguito un brano dell’intervento di Mustafa Aksakal.

Alla vigilia della Grande Guerra la Sublime porta navigava in acque difficili. La “primavera ottomana” del 1908-1909 aveva segnato l’apice del patriottismo civico, portando con sé elezioni, un parlamento e una costituzione che fu celebrata da un capo all’altro dell’impero come la panacea di tutti i mali. In migliaia sfilarono in un oceano di bandiere recanti lo slogan “libertà, uguaglianza, fratellanza” scritto in arabo, armeno, greco, ebraico, curdo e turco ottomano, spesso uno a fianco dell’altro. Poi arrivarono le perdite territoriali causate dal conflitto con l’Italia e dalle guerre balcaniche. Isolato diplomaticamente, l’impero vide nella crisi di luglio un’opportunità. All’alba del 2 agosto del 1914, dopo una lunga notte di negoziati nella sua residenza sul Bosforo, il gran visir Said Halim Pascià, assieme a tre ministri, siglò un trattato segreto di alleanza con l’ambasciatore tedesco. Il 29 ottobre del 1914 l’impero ottomano fece il suo ingresso nella Prima guerra mondiale a fianco degli Imperi centrali.

Il risultato fu la catastrofe per il Paese. La guerra, le epidemie, le carestie, le deportazioni politiche e i massacri ad opera dello Stato ridussero drasticamente sia la popolazione che il Pil dell’impero. Le conseguenze sul piano politico furono altrettanto drammatiche: la fine della dinastia ottomana, l’abolizione del califfato islamico e lo smantellamento dell’impero per mano delle potenze europee. Questo quadro drammatico favorì la censura di molti degli avvenimenti più recenti, e una drastica limitazione dell’ambito dei dibattiti storiografici in generale. In un simile contesto spiccano quindi per originalità i resoconti personali di due armeni che prestarono servizio nell’esercito ottomano: Kalusd Sürmenyan da Erzincan e Yervant Alexanian da Sivas. Entrambi servirono durante la Grande Guerra, anche in qualità di ufficiali. Kalusd si diplomò all’accademia militare nel 1912, appena in tempo per prestare servizio come sottotenente durante le guerre balcaniche. Yervant, nato nel 1895, allo scoppio della Grande Guerra non aveva ancora l’età per essere arruolato. Nell’autunno del 1914 iniziò l’ultimo anno della scuola superiore francese amministrata dai gesuiti, dove pareva destinato a essere il primo della classe. Nel mese di novembre, però, l’istituto venne chiuso e l’edificio requisito dalle autorità militari. L’anno successivo Yervant divenne un soldato semplice (poi sarebbe diventato sottotenente) e si trovò a servire nello stesso esercito che, grosso modo in quel periodo, sterminò 51 membri della sua famiglia. Anche quella di Kalusd subì una sorte analoga nel 1915: egli perse sua madre, ma riuscì a salvare gli altri.

Nelle memorie dei due il resoconto del trattamento subito nel tardo periodo ottomano è sorprendente. A dispetto delle feroci politiche adottate dallo Stato contro gli armeni durante la Grande Guerra, Kalusd e Yervant spendono parole per lo più positive circa la società ottomana prebellica. Kalusd mette in evidenza il patriottismo dei giovani armeni dopo gli eventi del 1908, e come a questi fosse aperta la carriera nell’esercito. Descrive le autorità militari della sua città, Erzincan, ospitali e ben disposte; esse permettevano agli armeni di frequentare la chiesa e di osservare le festività religiose. Aggiunge anche che gli ufficiali turchi musulmani rispettavano i soldati armeni, e li consideravano “talentuosi e capaci”. Dopo la Costituzione, ci dice Kalusd, i turchi riservavano ai cristiani, e specialmente agli armeni, un trattamento “sincero e amichevole”; continua notando che “in tutti gli ambiti della carriera militare, le porte erano aperte agli armeni”. Pochi storici accetterebbero queste affermazioni senza grosse riserve. Ciò che qui conta più di tutto, però, sono la positività e l’ottimismo con cui Kalusd – pur ben consapevole di ciò che accadde al suo popolo durante la Grande Guerra – sceglie di descrivere la situazione alla vigilia del conflitto. Yervant Alexanian da Sivas – a circa 250 chilometri a ovest da Erzincan, la città di Kalusd – dipinge la situazione prebellica in termini altrettanto positivi. Ciò avviene ad esempio per i giochi “olimpici” locali. La società sportiva armena Bertevagoump “si aggiudicò la gran parte delle medaglie, guadagnandosi l’ammirazione generale”. Egli racconta la storia di come, durante la cerimonia di consegna dei riconoscimenti, “tutti gli atleti armeni in piedi cantando l’inno turco durante l’alzabandiera”. E, assicura Yervant, non si trattava di una formalità. Egli tuttavia non apparteneva a questo gruppo, e riferisce di non conoscere bene nessuno di questi atleti o le loro posizioni politiche. Ciò che tuttavia gli preme dire su Sivas (e a Kalusd su Erzincan) è che prima del 1914 gli armeni fossero ben integrati e, cosa ancor più importante, che “nessuno avrebbe creduto” al fatto che essi “sarebbero potuti essere sterminati così rapidamente”. Come scrive Yervant, “nessuno avrebbe potuto immaginare ciò che stava per accaderci, neppure i sopravvissuti ai vari pogrom e massacri, come quelli hamidiani, che precedettero il genocidio del 1915”. Yervant, la cui famiglia fu sterminata, ci teneva a specificare che, per quanto il suo popolo fosse accusato di azioni rivoluzionarie volte a minare lo sforzo bellico ottomano, “nessuna di queste vittime innocenti era affiliata ad alcun partito o coinvolta in alcuna attività politica”. Esse non avevano fatto nulla: “il loro unico crimine fu di essere armeni”.

I resoconti di Kalusd e di Yervant fanno luce sulla vita degli armeni che servirono nell’esercito ottomano, l’istituzione responsabile del massacro dei loro familiari. Queste fonti sono tentativi convincenti di interpretare gli eventi in mezzo a cui si ritrovarono i due, e il ruolo che vi svolsero. Le posizioni politiche di Kalusd subirono, durante il conflitto, dei mutamenti radicali. Lo stesso accadde a Yervant. Prima della guerra Kalusd si era dedicato anima e corpo a una carriera nell’esercito ottomano. Durante il conflitto si guadagnò una medaglia al merito, e nel 1915 fu sorpreso nell’apprendere che alcuni armeni combattessero con i russi. Ancora nel 1919, egli scriveva con soddisfazione della fedeltà all’impero sua e del suo popolo.

Molti diari e resoconti scritti durante o subito dopo la guerra danno voce ad atteggiamenti sfumati e mutevoli nei confronti dell’impero, della religione, e della nascente nazione. Queste prospettive “transitorie” si trovano spesso in netto contrasto rispetto alle nuove direttive politiche stabilite nei tardi anni Venti. Le storie che ci raccontano Kalusd e Yervant non rispecchiano le posizioni della storiografia sulla Grande Guerra nel Medio oriente, che spesso dà per scontato l’inevitabile crollo dell’impero ottomano.

Sia Kalusd che Yervant spesero il resto delle proprie vite lontano dai loro luoghi natali. Nessuno dei due lo aveva del tutto pianificato. Dopo la guerra Yervant intendeva stabilirsi ad Adana, ma notizie circa le magre prospettive lavorative lo fecero desistere. Finì con l’accompagnare

la sua futura cognata negli Stati Uniti, dove si stabilì e mise su famiglia. Kalusd invece fuggì dall’Armenia sovietica e si rifugiò a Bagdad, “con grande nostalgia di casa e la profonda convinzione che, un giorno, ci saremmo ritornati”.

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Dopo le tensioni con la Turchia, la Knesset mette in agenda il riconoscimento del Genocidio armeno (Agenziafides 18.05.18)

Gerusalemme (Agenzia Fides) – Dopo il duro scontro diplomatico tra Israele e il governo turco, che in seguito all’ultimo massacro di palestinesi a Gaza aveva espulso l’ambasciatore dello Stato ebraico, sembra prendere quota la possibilità che il Parlamento israeliano riconosca il Genocidio armeno. La proposta di tale riconoscimento – riferiscono i media israeliani – è stata presentata agli uffici competenti della Knesset dal deputato di centrosinistra Itzik Shmuli, membro di “Unione Sionista”, è appoggiata da almeno 50 parlamentari appartenenti sia ai Partiti di governo – Likud compreso – che a quelli dell’opposizione. La proposta di legge presentata da Itzik Shmuli prevede anche di istituire in Israele una giornata di commemorazione annuale del Genocidio armeno. Lo stesso Shmuli, in dichiarazioni rilanciate dai media israeliani, ha fatto notare che non c’è motivo “di trattare con particolare delicatezza i turchi, vista l’istigazione contro lo Stato d’Israele scatenata dal Presidente turco Erdogan”.Lo stesso Presidente della Knesset, Yuli Edelstein, ha dichiarato che farà il possibile per facilitare l’approvazione della proposta di legge.
Come riferito dall’Agenzia Fides (vedi Fides 20/2/2018), tre mesi fa lo stesso Parlamento israeliano aveva di fatto respinto un progetto di legge presentato da Yair Lapid, rappresentante del partito centrista e laico Yesh Atid, che avrebbe ufficializzato il riconoscimento da parte di Israele del “Genocidio armeno”. In quel frangente, il vice-ministro degli esteri israeliano, Tzipi Hotovely, aveva dichiarato che Israele non avrebbe preso ufficialmente posizione sulla questione del Genocidio armeno, “tenendo conto della sua complessità e delle sue implicazioni diplomatiche”.
Il 26 aprile 2015 il Presidente israeliano Reuven Rivlin aveva ospitato presso la residenza presidenziale di Gerusalemme un evento commemorativo per ricordare i cento anni dagli stermini pianificati degli armeni avvenuti un secolo prima in Anatolia. Durante quella cerimonia, il Presidente Rivlin aveva ricordato che il popolo armeno fu “la prima vittima dei moderni stermini di massa”, ma aveva evitato di usare la parola “Genocidio” per indicare i massacri in cui morirono più di un milione e 500 mila persone. (GV) (Agenzia Fides 18/5/2018).

Armenia e Azerbaijan: nuove dispute o vecchie ruggini? (I) (Ilcaffegeopolitico.it 18.05.18)

Il Caucaso, importante ponte tra Europa e Asia, ospita popolazioni millenarie, paesaggi incontaminati e dispute territoriali sin dalle sue origini. Oggi l’Armenia e l’Azerbaijan, prima in guerra e poi in lotta diplomatica per le terre del Nagorno-Karabakh, tornano grandi protagonisti regionali, con importanti cambiamenti politici e forse nuovi motivi di scontro.

Prima parte di una lunga analisi del conflitto caucasico tra Yerevan e Baku.

CAUCASO, MORFOLOGIA DI UN TERRITORIO MILLENARIO

La regione del Caucaso è ponte naturale tra Europa e Asia, collega il bacino del Mar Nero con quello del Mar Caspio e rappresenta un’area di primaria importanza dal punto di vista strategico, economico e socio-culturale. Alla regione appartengono l’Armenia, l’Azerbaijan, la Georgia e la Russia caucasica del nord, ma anche le aree turche del Nordest (le colline di Agri, Ardahan, Artvin,Van, Igdyr e Kars) e le aree del Nordovest iraniano (Ardabil, Gilyan, Zanjan, Qazvin, Hamadan e l’Azerbaijan occidentale). I primi insediamenti risalgono al IV-III millennio a.C., con un retaggio storico molto antico, caratterizzato dall’incontro tra popoli diversi come greci, romani, persiani, arabi, turchi, mongoli e russi. Un’eterogeneità viva anche nella religione: cristiani (cattolici, protestanti, ortodossi, armeni e georgiani), musulmani (sunniti e sciiti), buddisti, ebrei convivono con adepti di religioni minori, collegate da usanze e tradizioni risalenti alle credenze primitive e allo zoroastrismo (religione fondata da Zoroastro in Persia nel VI secolo a.C.). La regione è ricca di risorse naturali sia minerarie (oro, rame, ferro e mercurio) che energetiche (petrolio, gas naturale e carbone), che richiamano l’interesse e gli investimenti delle compagnie internazionali e dei Paesi stranieri. Ma le opportunità economiche offerte sono bilanciate in egual misura da guerre, tensioni sociali, minacce terroristiche e dispute territoriali congelate. Un esempio importante è la controversia sfociata in conflitto armato tra Armenia e Azerbaijan per la regione del Nagorno-Karabakh (conosciuta anche come Artsakh), scoppiata agli inizi degli anni Novanta e provocata da motivazioni inerenti alla sovranità dell’area. Il conflitto continua a influenzare le scelte geopolitiche di entrambi i Paesi: l’Azerbaijan, media potenza regionale, ha assecondato la propria posizione geografica adottando una politica estera di buon vicinato con Russia, Iran, Turchia e Georgia. Baku però non intrattiene rapporti diplomatici con la vicina Armenia, con la quale è ancora formalmente in guerra. L’Armenia vanta invece diverse e buone relazioni diplomatiche con molti Paesi occidentali, determinate anche e soprattutto da un’importante diaspora estera particolarmente influente in Francia, Stati Uniti e Canada. La posizione geografica le permette di modulare e adattare la propria geopolitica adun modello che si può definire “complementare”, in quanto è un Paese che guarda con simpatia, interesse e con sentimenti di forte appartenenza all’Occidente, senza per questo indebolire o sminuire i rapporti con Mosca e con gli altri Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). Al contrario di Baku, il Paese non intrattiene rapporti con la Turchia, perché Ankara ha disatteso gli impegni assunti con la firma dei due Protocolli di Zurigo, nell’ottobre 2009, per lo sviluppo delle relazioni diplomatiche e per l’apertura delle frontiere, condizionando i progressi nei processi di pace per il conflitto del Nagorno-Karabakh.PROPAGANDA POLITICA O REALE INTERESSE?

Se le relazioni internazionali dei due Paesi registrano una situazione pressoché stabile, la loro politica interna è invece soggetta a importanti cambiamenti: a marzo Yerevan ha eletto come nuovo Presidente Sarkissian, mentre l’uscente Sargsyan è diventato Primo Ministro lo scorso 17 aprile, per poi rassegnare rapidamente le dimissioni a seguito di vivaci proteste di piazza contro la sua mancata promessa di ritirasi dalla vita politica. A guidare la “rivoluzione di velluto” è stato il deputato dell’opposizione Nikol Pashinyan, eletto poi Primo Ministro dal Parlamento agli inizi di maggio. Le dimissioni di Sargsyan rappresentano un importante spartiacque politico per l’Armenia, per quanto concerne sia le questioni interne che quelle estere, e molti si chiedono come ciò influirà sulla disputa del Nagorno-Karabakh e sulle relazioni di Yerevan con Mosca all’interno dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) e dell’Unione Economica Eurasiatica (UEE). Nel frattempo a Baku si sono svolte le elezioni presidenziali, anticipate di circa 8 mesi dal presidente Aliyev, il quale è stato facilmente riconfermato per un quarto mandato con l’86,9% di voti, percentuale favorita dall’astensione per protesta dei partiti di opposizione. I nuovi assetti politici in entrambi i Paesi rimescolano quindi le carte, in particolare per il già citato conflitto dell’Artsakh, che il Governo azero spera di poter risolvere a proprio favore grazie alle dimissioni di Sargsyan. E proprio le dispute territoriali con l’Armenia sono state oggetto di intensa campagna elettorale da parte di Aliyev: lo scorso febbraio, in occasione del discorso di apertura del Congresso del suo partito (New Azerbaijan Party), il Presidente azero ha infatti dichiarato di voler reintegrare sotto la sovranità di Baku tutte le “terre storiche” azere nei confini armeni, incluse l’area della capitale Yerevan e le regioni del lago Sevan e di Zangezur. Ovviamente le dichiarazioni di Aliyev hanno dato origine a polemiche, seppur contenute, di carattere diplomatico con la comunità internazionale, in particolare con gli Stati membri del Gruppo di Minsk (presieduto da Francia, Russia e Stati Uniti), che hanno chiesto a Baku di non esacerbare le tensioni con Yerevan e di non danneggiare il processo di pace già avviato per il conflitto dell’Artsakh. In risposta a tali critiche, il portavoce del Ministero degli Affari Esteri azero, Hikmet Hajiyev, ha affermato che le dichiarazioni del Presidente miravano solo a far riconoscere da Yerevan il retaggio azero delle odierne terre armene, rivendicato anche da una campagna promozionale su Youtube e altri social network.

Secondo gli analisti politici armeni, le cause di una tale mancanza di diplomazia da parte di Aliyev sono principalmente tre:

1) Prossimo alle elezioni, il Presidente azero ha voluto fare propaganda, dimostrando ai suoi elettori e ai circoli nazionalistici di essere un leader tenace e poco incline alla diplomazia per la risoluzione del conflitto Artsakh;
2) Mettendo sotto pressione l’Armenia con le sue dichiarazioni e ventilando la minaccia di una guerra regionale per riprendersi le sopracitate “terre storiche”, Aliyev ha voluto spronare la comunità internazionale a perseguire più attivamente un cambiamento dello status quo attuale nella controversia a favore dello Stato azero;
3) Affermando la volontà di riappropriarsi dei territori azeri in Armenia, Aliyev ha voluto screditare, in particolare agli occhi degli elettori giovani, l’operato dei leader della Repubblica Democratica dell’Azerbaijan degli anni 1918-1920, ricordandoli non come eroi e pionieri dello Stato azero, ma come i principali autori della perdita delle “terre storiche”.LE ‘TERRE STORICHE’

Ma quali sono queste “terre storiche”? Molte di loro sono sostanzialmente poco conosciute in Occidente. I monti Zangezur, ad esempio, sono una catena montuosa che suddivide la provincia meridionale armena di Syunik e la Repubblica Autonoma di Nakhichevan in Azerbaijan. Questo passaggio di terra, apparentemente impervio, è un crocevia regionale molto importante, perché chi controlla tale corridoio può controllare la sfera turca in Anatolia, quella russa nel Caucaso e i territori persiani. La catena montuosa ospita anche la seconda area forestale più estesa dell’Armenia, che ricopre oltre il 20% del territorio dei monti fino a 2.200–2.400 metri di altitudine, mentre il resto del Paese è quasi privo di foreste. Attualmente l’area è così suddivisa: la maggior parte della popolazione nel quadrante nordorientale, ovvero la zona più coltivabile del corridoio, è armena; il quadrante nordoccidentale, meno coltivabile, detiene la posizione strategica del Monte Ararat ed è a maggioranza turca; il quadrante sudovest ospita una comunità iraniana al confine fra il territorio turco e quello armeno; il quadrante sudest ospita l’enclave azera del Nakhchivan. Il lago Sevan invece è il più grande lago dell’Armenia e uno tra i più grandi laghi d’alta quota al mondo. È situato nella provincia di Gegharkunik, nella parte est del Paese. Riceve l’acqua da 28 affluenti e ha come unico emissario il fiume Hrazdan. La particolarità del lago è il fenomeno dell’evaporazione, con il 90% della portata che evapora e il restante 10% che si immette in altri corsi d’acqua. Ciò non gli impedisce di essere un’importante risorsa idrica locale, essendo un grande serbatoio naturale di acqua dolce. Il lago è stato oggetto di un importante disastro ecologico, iniziato in epoca sovietica con la supervisione dell’ingegnere civile Soukias Manasserian (già colpevole del disastro del Lago d’Aral), il quale propose di abbassare il livello del lago di 45 metri per ridurre la superficie di evaporazione e di sfruttarne l’acqua per l’irrigazione e la produzione elettrica. In epoca staliniana, il progetto fu modificato, ipotizzando di ridurre ulteriormente il livello dell’acqua di 55 metri, portando il perimetro del lago a 80 chilometri e il volume a soli 5 chilometri cubici. Sulle terre emerse si sarebbero piantate noci e querce, mentre in quelle ancora sommerse si sarebbero introdotte nuove specie di trote per incrementare la pesca. Il Soviet Supremo dell’Armenia approvò il piano senza consultare la popolazione locale, iniziando il progetto nel 1933. Il letto del fiume Hrazdan fu abbassato e s’iniziò a costruire un tunnel di 40 metri sotto il livello originale dell’acqua per la produzione idroelettrica. L’opera, ritardata dalla Seconda Guerra Mondiale, fu terminata nel 1949 e il livello dell’acqua cominciò a scendere di oltre un metro l’anno. Soltanto con la morte di Stalin e l’evidente scempio ecologico fu attivato un programma di recupero dell’ecosistema supervisionato dal Comitato Sevan, che prevedeva il rialzo del livello dell’acqua, convertendo l’originaria centrale idroelettrica in una termoelettrica. Dalla letteratura geografica disponibile non emergono ulteriori elementi che spieghino il rinnovato interesse azero verso tali aree. Ma la recente costruzione di un tunnel che dovrebbe importare acqua dal fiume Vorotan ha sicuramente attirato l’attenzione di Aliyev, perché il corso separa la regione dello Zangezur dall’Armenia e copre per 59 chilometri quella del Nagorno-Karabakh. È chiaro quindi che le “terre storiche” sono di grande importanza per la geostrategia regionale del Presidente azero.

Armenia: premier Pashinyan, Consiglio sicurezza dovrà saper affrontare sfide contemporanee (Agenzianova 18.05.18)

Erevan, 18 mag 12:26 – (Agenzia Nova) – Il Consiglio di sicurezza guidato dal nuovo segretario Armen Grigoryan dovrà svolgere in maniera efficace la propria funzione in linea con le richieste e le sfide contemporanee. Lo ha detto il premier armeno Nikol Pashinyan presentando il nuovo segretario Grigoryan agli altri membri del consiglio. “Sono convinto che il processo di sviluppo della politica di sicurezza arriverà a un nuovo livello. L’Armenia affronta sfide che richiedono soluzioni politiche. Sono fiducioso che il team sarà in grado di adempiere ai suoi compiti, aumentare il livello di sicurezza dell’Armenia proponendo soluzioni per le sfide e i problemi esistenti”, ha affermato il nuovo segretario del Consiglio di sicurezza. (segue) (Res)

BULGARIA: Le commemorazioni del 103° anniversario del Genocidio armeno (Eastjournal 16.05.18)

Centinaia di persone hanno ricordato le vittime del genocidio armeno avvenuto fra il 1915 e il 1922 nei territori dell’impero ottomano, sfilando per le vie di alcune delle maggiori città del paese tra cui Sofia, Plovdiv, Silistra, Ruse, Shumen, Dobrich e Pleven. Il 24 aprile corrisponde storicamente alla data in cui ebbe luogo la prima deportazione organizzata della classe intellettuale armena dall’allora Costantinopoli verso la città di Ankara, in ciò che costituì il preludio ai massacri su larga scala diretti verso l’intera popolazione. Si stima che circa un milione e mezzo di persone sia stato ucciso dalle violenze dei Giovani Turchi, guidati dal ministro dell’interno Talaat Pasha, considerato il principale ideatore del piano di eliminazione della popolazione armena. La strage degli armeni è stata riconosciuta come “genocidio” da ventinove paesi al mondo, nonché da diverse organizzazioni ed istituzioni internazionali tra cui le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa.

Nel 2015, in concomitanza del centenario dall’inizio delle persecuzioni, il parlamento bulgaro ha adottato una dichiarazione di riconoscimento storico di tali avvenimenti, definiti “sterminio di massa del popolo armeno nell’impero ottomano”. In tale occasione, il primo ministro Boyko Borisov ci tenne a specificare come la definizione corrispondesse all’espressione bulgara per “genocidio”, ma tale dichiarazione non ha soddisfatto chi sperava in un riconoscimento inequivocabile a livello internazionale. In realtà, già da diversi anni le municipalità cittadine di Plovdiv, Burgas, Ruse, Stara Zagora e Pazardžik riconoscono i massacri armeni come “genocidio”, un fatto che ha portato in alcuni casi a delle tensioni nei rapporti con la Turchia. Un esempio al riguardo è la sospensione del progetto di istituire una linea area low cost fra le città gemellate di Bursa e Plovdiv in seguito al riconoscimento del genocidio armeno da parte del consiglio municipale di quest’ultima.

Le commemorazioni del 24 aprile nella città di Plovdiv

Plovdiv è una città particolarmente sensibile ai temi armeni, dal momento che qui risiede la comunità più consistente del paese, ovvero circa 4000 persone sulle 12000 totali stimate nelle cifre ufficiali. Non stupisce dunque come anche quest’anno le celebrazioni del 24 aprile siano state marcate da grande partecipazione e commozione. La giornata è iniziata con una messa commemorativa nella chiesa armena apostolica “Surp Kevork”, seguita da alcuni minuti di raccoglimento davanti alla grande croce di legno (“khachkar”) situata nel cortile del complesso della comunità, fra la chiesa e la scuola armena “Viktoria e Krikor Tiutiundjian”.

Alcuni studenti hanno recitato dei versi dedicati ai loro antenati periti nel genocidio e reso onore alle vittime collocando dei fiori attorno al monumento. Nel pomeriggio, centinaia di persone, tra cui cittadini bulgari e i maggiori esponenti delle organizzazioni armene locali, hanno sfilato per la principale via della città sventolando la bandiera armena così come quella bulgara. Alla fine della marcia, terminata nella piazza centrale, è stata letta una dichiarazione con cui si esorta la Turchia a riconoscere i crimini perpetrati durante la prima guerra mondiale come “genocidio contro gli armeni”. La giornata si è dunque conclusa in un cinema della città, dove si è tenuta la proiezione del recente documentario sul genocidio armeno “Izkorenyavane” (“Estirpazione”, 2017) del regista bulgaro Kostadin Bonev, che ha avuto luogo simultaneamente in varie città del paese.

La solidarietà dei bulgari e la istituzioni culturali armene a Plovdiv

Nello stesso giorno, su diversi media è stato pubblicato un breve video in cui gli armeni bulgari si rivolgono al loro paese balcanico “adottivo”, dichiarando profonda gratitudine per l’ospitalità e la solidarietà offerte al loro popolo in diversi momenti storici. Indubbiamente, questa manifestazione di fratellanza toccò il suo apice nel periodo immediatamente successivo al genocidio, negli anni compresi fra il 1922 e il 1926, quando circa 25000 armeni in fuga dai territori turchi giunsero nel paese, grazie all’apertura dei confini voluta dall’Imperatore bulgaro Boris III per accogliere i sopravvissuti. La maggior parte dei profughi che decise di rimanere in Bulgaria si fermò proprio a Plovdiv, dove esisteva una rilevante comunità armena composita e stratificata: i primi arrivi risalivano addirittura al IX secolo e i più recenti agli anni delle persecuzioni contro gli armeni del Sultano ottomano Abdul Hamid II, avvenute fra il 1892 e il 1896.

Con l’afflusso dei nuovi rifugiati, Plovdiv confermò il suo ruolo di città multietnica, creando il terreno fertile per l’ulteriore sviluppo di importanti istituzioni culturali atte a preservare l’identità etnolinguistica di questa minoranza. A tale proposito, è importante ricordare come l’odierna scuola armena Tiutiundjian sia stata fondata nel 1834, e come diversi periodici armeni avessero visto la luce già nella seconda parte del 19° secolo. I loro attuali eredi sono il bisettimanale Parekordzagani Tzain (dell’associazione caritatevole Armenian General Benevolent Union) e il settimanale Vahan, entrambi bilingui. Sulle pagine di questi giornali il tema del genocidio è uno dei più ricorrenti, e il discorso al riguardo viene portato avanti a livello transnazionale grazie al contatto con le comunità diasporiche in diversi paesi (soprattutto Romania, Turchia, Stati Uniti, Canada) nonché in virtù del rapporto con la Repubblica d’Armenia, che ha istituito uno specifico Ministero della Diaspora.

Una casa editrice armena locale (“Armen Tur”) pubblica opere di scrittori appartenenti alla comunità di Plovdiv e della diaspora mondiale (tra cui ricordiamo l’opera di Hrant Dink, giornalista turco-armeno ucciso a Istanbul nel gennaio 2007). Ciò dimostra come vi sia una specifica volontà, accompagnata da una forte memoria culturale e identitaria, nel portare avanti le fondamentali caratteristiche che costituiscono il nocciolo vivo dell’“armenità” attraverso il tempo e la distanza.

La diaspora armena più recente e i rapporto armeno-bulgari

Nel 2005, durante la ricorrenza del 90° anno dall’inizio del genocidio armeno, la comunità di Plovdiv è riuscita a realizzare l’idea, nutrita per diversi anni, di erigere un monumento in memoria delle vittime del genocidio del 1915 e di istituire un piccolo spazio museale dedicato nella cripta della propria chiesa apostolica. In esso sono stati collocati numerosi reperti, tra cui oggetti personali, libri, foto, documenti ufficiali che le persone in fuga dai massacri sono riusciti a portare via con sé, e i cui discendenti hanno donato al museo per contribuire ad un’opera essenziale di memoria collettiva. La diaspora armena in Bulgaria ha conosciuto una nuova fase di vigore in seguito alla caduta dell’URSS e alla conseguente creazione dell’Armenia indipendente nel 1991. Contrariamente alle aspettative nutrite dalla stessa comunità diasporica, a causa delle difficoltà economiche, il paese caucasico non riuscì a catalizzare un flusso migratorio dalle comunità armene disperse in tutto il mondo. Si innescò invece un movimento contrario, mediante il quale molte persone furono costrette a trasferirsi altrove, come ad esempio in Bulgaria, in un processo migratorio che non si è ancora del tutto arrestato. Il rapporto fra armeni e bulgari continua ad essere caratterizzato da atteggiamenti positivi e di collaborazione: un fatto importante a cui si è assistito negli ultimi anni è la crescita dell’interesse da parte del pubblico bulgaro verso la cultura armena, che ha stimolato la pubblicazione di molte opere di storia e letteratura armena, anche grazie alla cattedra di Armenistica e Caucasologia istituita presso l’Università “Sveti Kliment Ohridski” di Sofia. Infine, in riferimento ai contatti interculturali fra i due paesi, non si può dimenticare il celebre poema “Armentsi”, scritto ad inizio ‘900 da Peyo Yavorov, uno dei più illustri poeti bulgari, per rendere onore agli armeni vittime dei massacri hamidiani di fine 1800, un profondo esempio di fratellanza armeno-bulgara, rimasto impresso nella coscienza di entrambi i popoli fino ad oggi.

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Putin ha incontrato il nuovo primo ministro dell’Armenia Pashinyan (Sputniknews 14.05.18)

Il presidente russo Vladimir Putin ha incontrato a Sochi il nuovo primo ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan. Ha dichiarato che Mosca collaborerà attivamente con Yerevan in campo internazionale, nelle organizzazioni internazionali, a cominciare con l’ONU per le organizzazioni regionali e nel campo della sicurezza e dello sviluppo economico.

Il presidente russo ha detto che la Russia rimane il leader commerciale e primo partner economico dell’Armenia, che rappresenta oltre il 25% del fatturato del commercio dell’Armenia e gli investimenti russi costituiscono il 35% di tutti gli investimenti nell’economia armena.

“Abbiamo recentemente osservato un aumento del fatturato intorno al 25%, al contempo aumentano le esportazioni di prodotti agricoli dall’Armenia al mercato russo, nei mesi precedenti, l’incremento è stato del 38%” ha detto Putin, sottolineando che “questa è un ottima dinamica”.

Da parte sua, Pashinyan ha assicurato l’invariabilità delle relazioni strategiche alleate tra Armenia e Russia e ha rilevato che esiste un consenso su questo tema in Armenia”.

“Penso che nessuno abbia mai messo e non metterà mai in dubbio l’importanza strategica delle relazioni armeno-russe, e siamo determinati a dare un nuovo slancio a queste relazioni sia in senso politico che in ambito commerciale ed economico” ha affermato il primo ministro armeno.

Ha anche espresso la speranza per lo sviluppo delle relazioni con la Russia nel settore tecnico-militare.

A questo proposito, Pashinyan ha ricordato la Parata il 9 maggio, esprimendo “ammirazione per le realizzazioni del complesso militare-industriale russo”.

Il nuovo primo ministro ha sottolineato che in Armenia apprezzano molto la posizione equilibrata che la Russia ha dimostrato durante la crisi politica interna del Paese.

“Questa è una posizione molto costruttiva, e penso che questo sia molto apprezzato non solo dal nostro governo, ma anche in generale dalla società armena”, ha detto Pashinyan.

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Armenia, neopremier Pashinyan: rapporti con Mosca resteranno forti (Askanews.it 14.05.18)

Erevan (Armenia), 14 mag. (askanews) – Il neopremier armeno Nikol Pashinyan ha assicurato al presidente russo Vladimir Putin che le relazioni tra Erevan e Mosca resteranno forti. Pashinyan, salito al potere dopo settimane di proteste di piazza, ha incontrato Putin a margine del Forum Euroasiatico a Sochi. Si è trattato del primo incontro con un leader straniero dall’elezione avvenuta la scorsa settimana.

“Le posso assicurare che su questo tema c’è consenso in Armenia e nessuno ha messo in dubbio o metterà in dubbio l’importanza strategica delle relazioni russo-armene”, ha detto il premier armeno al presidente russo.

Il 42enne, ex direttore di un giornale armeno, ha anche ringraziato Putin per la “posizione equilibrata” della Russia nel corso della crisi politica del Paese del Caucaso. “E’ stato molto apprezzato non soltanto dal nostro governo ma anche dall’intera società armena”.


Russia-Armenia: Putin riceve premier Pashinyan a Sochi, confermata partnership strategica
Mosca, 14 mag 12:52 – (Agenzia Nova) – Il presidente russo Vladimir Putin ha incontrato il primo ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan a margine dei lavori del vertice dell’Unione economica eurasiatica (Uee) che si tiene oggi a Sochi, sul Mar Nero. Lo riferisce l’agenzia di stampa russa “Ria Novosti”. “Voglio augurare ogni successo al capo del governo e mi auguro che le nostre relazioni si svilupperanno in modo costante, come è stato sino ad oggi”, ha dichiarato Putin durante l’incontro con Pashinyan. Il presidente russo ha sottolineato che Mosca considera Erevan no “stretto collaboratore e alleato nella regione”. Si tratta del primo incontro fra Putin e Pashinyan da quando quest’ultimo è stato eletto premier dell’Armenia. Il primo ministro armeno ha ringraziato per l’incontro, affermando che diverse questioni sono all’ordine del giorno della discussione. “Ma l’unico che non è oggetto di discussione sono le relazioni strategiche e alleate tra Armenia e Russia. Posso assicurare che esiste un consenso in merito in Armenia, e nessuno ha mai messo in discussione e spero che non metterà in discussione le relazioni fraterne armeno-russe”, ha detto il neo premier. (segue) (Rum)

Armenia: Zohrab Mnatsakhanyan nominato nuovo ministro Esteri (Agenzianova 13.05.18)

Erevan, 13 mag 09:41 – (Agenzia Nova) – Il rappresentante permanente dell’Armenia presso le Nazioni Unite, Zohrab Mnatsakhanyan, è stato nominato nuovo ministro degli Esteri di Erevan. In base ad un decreto presidenziale, Mnatsakhanyan prende il posto di Eduard Nalbandyan, in carica dal 2008. La nomina è stata effettuata dal presidente armeno Armen Sarkissian; già fra 2011 e 2014, Mnatsakanyan era stato vice ministro degli Esteri. L’avvicendamento al dicastero si lega al rinnovamento nell’esecutivo successivo alla nomina del nuovo premier Nikol Pashinyan. (segue) (Res) © Agenzia Nova – Riproduzione riservata