La guerra tra Armenia e Azerbaijan continua: soldati azeri filmati mentre decapitano un anziano armeno (Periodicoitaliano 08.12.20)

Sebbene sia stato firmato un armistizio, sembra che il conflitto tra armeni e azeri continui in strada: soldati azeri decapitano anziano.

La guerra per il controllo del Nagorno Karabakh affonda le proprie radici nella fine della dominazione sovietica sul territorio occupato da Armenia e Azerbaijan. Le tensioni tra le due popolazioni sono nate a cavallo tra gli anni ’80 -’90 e sono sfociante in una prima guerra dopo il referendum del 1991: gli armeni presenti nella zona, il 22,8% della popolazione, boicottarono il referendum con il quale si decise di costituire lo stato autonomo del Nagorno Karabatkh. Quando, nel 1992, l’URSS collassò definitivamente, tra Armenia e Azerbaijan è scoppiato un conflitto sanguinoso.

La guerra si concluse con una vittoria dell’esercito armeno e la conquista della città di Shula. Le due nazioni firmarono un armistizio con il quale venivano deposte le armi. La pace impose dure condizioni per l’Azerbaijan, visto che la neonata repubblica del Arthsak, oltre al Nagorno Karabakh, comprendeva anche diversi territori azeri: Agdam, Jabrayil, Fuzuli, Kalbajar, Qubadli, Lachin e Zangilan. Di fatto l’armistizio creò una guerra fredda tra i due Paesi, costantemente minacciate da azioni di guerriglia da entrambe le parti. Solo la mediazione internazionale, fino al 2020, aveva permesso alle due popolazioni di non vivere un altro conflitto.

Guerra tra Armenia e Azerbaijan: nonostante l’armistizio la guerra continua

Forte dell’appoggio politico di Turchia e Russia e degli armamenti forniti anche da Turchia e Israele, nel settembre di quest’anno l’esercito azero ha lanciato una nuova offensiva. La superiore potenza delle forze armate armene ha portato a continue vittorie nel territorio di Nagorno Karabakh, tanto che lo scorso 9 novembre, il premier Armeno Pachinian ha firmato un armistizio con il quale accetta tutte le richieste della nazione rivale per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Il risultato è che tutte le truppe armene si sono ritirate dalla zona, lasciando tutti gli armeni della zona senza protezione.

Sono migliaia quelli che hanno già abbandonato la zona in cerca di una zona sicura. Alcuni, compresi i più anziani, hanno deciso di rimanere nelle loro case. Sebbene il conflitto sia nominalmente terminato, tra azeri e armeni non è giunta la pace. Secondo quanto riferito da Panarmenian Network, infatti, da ore gira un video in cui dei soldati azeri si scagliano contro tre anziani armeni. Nel video in questione si vedono i gendarmi che obbligano gli uomini a prostrarsi e baciare la bandiera azera. Come se l’umiliazione non bastasse, i militari picchiano e sputano addosso ai civili indifesi. Questo è solo uno dei video emersi, visto che ce ne sono altri in cui si vedono civili sgozzati e decapitati nonostante preghino per le loro vite.

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Hachiko di Karabakh: cane aspetta il suo padrone vicino all’ospedale da 20 giorni – video (Sputniknews 08.12.20)

Il video girato venerdì a Yerevan, Armenia, fa vedere un cane che aspetta il suo padrone ferito nel corso della guerra in Nagorno-Karabakh.

Il cane fedele aspetta il suo padrone, Romik Akhekyan, da 20 giorni. L’uomo è stato ferito mentre faceva il volontario durante la guerra in Nagorno-Karabakh. Quando lo stavano ricoverando all’ospedale, il cane correva dietro l’ambulanza, ma col tempo è rimasto indietro. Gli amici di Romik lo hanno portato al policlinico dove il cane rimane tutt’oggi aspettando le dimissioni del suo proprietario.

Romik l’ha trovato sotto i resti di una casa bombardata. Ha sentito il guaito del cane e lo ha tirato fuori da sotto le macerie. L’animale aveva una piccola scheggia nel collo che Romik con un suo amico ha eliminato. Hanno curato la ferita e lo hanno lasciato vivere con loro.

Nel corso della guerra il cane ha salvato alcune volte la vita dei volontari avvertendoli delle bombe che si stavano avvicinando. Ora è diventato un vero proprio amico per Romik, il quale sta aspettando la guarigione per poter portare il cane a casa e farlo conoscere alla sua famiglia.

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La Francia, unica alleata degli armeni (Il Folgio 07.12.20)

“Per le strade dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), nei caffè senza gioia di Erevan, quando si viene a sapere che arrivi dalla Francia, si illuminano gli occhi”, scrive Valérie Toranian sulla Revue des Deux Mondes. “La Francia è con noi. Il presidente Macron è l’unico ad aver detto qualcosa…”. Dopo l’aggressione del Nagorno Karabakh da parte della coalizione turco-azera e i suoi jihadisti, si è levata una sola voce nel silenzio assordante delle nazioni. Quella di Emmanuel Macron. Ha designato l’aggressore e denunciato le mire espansionistiche di Erdogan. Certo, niente invio di truppe, niente aiuto militare agli armeni. Nessuna mozione europea. E nessuna iniziativa del gruppo di Minsk, dove la Francia siede da ventisei anni accanto agli Stati Uniti e alla Russia, per portare a termine il processo di pace nel Nagorno Karabakh.

La Francia, quante divisioni? Il capo del Cremlino ha bloccato l’assalto finale delle forze turco-azere e inviato le sue forze di interposizione. Le dichiarazioni di principio e le testimonianze di simpatia sono poca cosa quando si muore sotto una tempesta di fuoco. Ma nello stato di desolazione in cui si trovano gli armeni dalla firma del cessate il fuoco con l’Azerbaijan il 10 novembre, una bella parola della Francia è comunque meglio di nessuna parola. “Conosco bene la Francia, ho letto Alexandre Dumas, ‘I Tre Moschettieri’!”, dice Vahak, di una sessantina d’anni, con un volto scolpito dal tempo e un corpo massiccio. Ama anche Franz Werfel e Jean Marais. Nella città disastrata di Stepanakert, dove ci incontriamo, uno dei rari negozi rimasti aperti pochi giorni dopo la fine dei combattimenti, tiene a mandare un messaggio solenne a Macron e alla “grande civiltà francese”. “La Francia deve riconoscere la Repubblica indipendente dell’Artsakh. Non potrà mai accettare di essere governata dalla dittatura barbara di Aliyev. E se la Francia riconosce la nostra repubblica, altri stati la seguiranno”.

Riconoscere la Repubblica dell’Artsakh sarebbe non solo una posizione simbolica forte, ma permetterebbe anche di rilanciare il processo di pace introducendovi una discussione giuridica sullo stato della piccola Repubblica. Nei nove punti del cessate il fuoco, i russi hanno volontariamente ignorato la questione dello statuto dell’Artsakh. La Francia, nel quadro del gruppo di Minsk, con i russi e gli americani, potrebbe battersi per rimettere sul tavolo questa questione cruciale per il futuro delle popolazioni armene nel Nagorno Karabakh. I pericoli fisici, le minacce che pesano sul patrimonio armeno, il vandalismo già in corso, le profanazioni dei luoghi di culto e dei cimiteri, ecco tanti motivi concreti tali da giustificare che gli armeni del Nagorno Karabakh debbano avere uno statuto riconosciuto e inquadrato da leggi internazionali.

L’Unesco ha appena lanciato una missione d’osservazione. Ma nel 2004, la stessa Unesco, vai a sapere perché, aveva anche accordato alla moglie del presidente azero, Mehriban Aliyeva, il titolo di ambasciatrice di buona volontà dell’Unesco. La moglie del dittatore (nonché vice presidente del paese!) non ha mai smesso di invocare la “risoluzione militare” della questione del Karabakh, in violazione di tutti i principi pacifici dell’Unesco. Gli armeni sono perplessi. L’Azerbaijan, attraverso la sua diplomazia del caviar, finanzia numerose istituzioni.

Tenente dell’esercito armeno, Meri Avakian assomiglia a quelle guerriere curde che hanno combattuto contro lo Stato islamico in Siria. La morte non le fa paura: conserva per lei la sua ultima pallottola. La incrociamo a Martuni, città abbondantemente distrutta dai bombardamenti, di fronte alla statua di Monte Melkonian, eroe nazionale della prima guerra del Karabakh, armeno originario della California morto in combattimento nel 1993. “All’epoca i soldati non attaccavano al grido di Allah Akbar”, dice.

I deliri espansionistici di Erdogan, la sua volontà di ricostituire un impero neo ottomano, la sua potenza militare, il suo appello al jihadismo per eliminare gli armeni: tanti fattori che preoccupano terribilmente lo stato maggiore armeno. Sono i carri armati turco-azeri che si insediano in Azerbaijan, nelle regioni abbandonate dalle forze armene, alla frontiera con l’Armenia. “Erdogan fa paura, anche ai russi, perché è imprevedibile e capace di tutto”, sottolinea il politologo Saro Saroyan.

I russi sono ancora potenti come vent’anni fa? A Erevan, ci si interroga. Circola la voce di imminenti dimissioni di Putin, a causa di forti dissensi all’interno del Cremlino. L’instabilità russa alimenta le angosce. La minaccia turca non è una “fantasia” di armeni traumatizzati dal genocidio del 1915. Il neosultano esorta i jihadisti a stabilirsi con le loro famiglie nelle regioni frontaliere…

La guerra potrebbe riprendere. Chi può assicurare il contrario? Al cimitero militare di Erevan, centinaia di tombe appena scavate accolgono le spoglie ritrovate nelle zone di combattimento dopo il cessate il fuoco del 10 novembre. I morti hanno quasi tutti 19 o 20 anni. I turchi non hanno fatto prigionieri. Questa domenica, i funerali di tre soldati ai quali assistiamo si tengono con la bara chiusa, contrariamente alla tradizione: i corpi non sono in condizione di essere esposti. Sono stati torturati, mutilati, decapitati? Artak Beglaryan, responsabile dei diritti umani nell’Artsakh, ha pubblicato alla vigilia dei funerali un rapporto che parlava di corpi mutilati di armeni ritrovati nei dintorni di Susa, la città conquistata dalle forze turco-azere. Su internet circolano video insostenibili. Teste mozzate, corpi torturati, la testa di un uomo incastrata nelle budella di un maiale sventrato. Esseri umani trattati come “maiali”, come “cani”, secondo le parole di Aliyev.

La comunità internazionale ha lasciato morire gli armeni, bastione della nostra civiltà nel Caucaso. Sacrificati in prima linea dinanzi al panturchismo islamista. Potrebbe almeno cercare di riscattarsi riconoscendo l’indipendenza dell’Artsakh. Come ricordato dal progetto di risoluzione che sarà sottoposto al voto dei senatori martedì 24 novembre, “le popolazioni armene, a cui il nostro paese è legato da un’amicizia secolare, sono nuovamente martirizzate nel Nagorno Karabakh. La Francia non può più ignorare che soltanto la piena indipendenza della Repubblica del Nagorno Karabakh sarà il loro primo scudo. Città come Parigi, Marsiglia (compresa la sua metropoli), Saint-Étienne, le regioni Paca, Île-de-France, Hauts-de-France, Auvergne-Rhône-Alpes, e alcuni dipartimenti (Hauts-de-Seine, Isère, Bouches-du-Rhône) hanno già votato mozioni di riconoscimento.

Presidente Macron, dopo la sua dichiarazione bella e coraggiosa, è giunto il momento di un vero e proprio impegno! La Francia è stata il primo stato a riconoscere ufficialmente il genocidio armeno nel 2001. Deve essere la prima nazione a riconoscere la Repubblica dell’Artsakh e il suo diritto di vivere in pace nel 2020. Prima che riprendano i crimini di Erdogan e dei suoi alleati.

Ceriano, manifestazione di solidarietà per gli armeni del Nagorno-Karabakh (Ilnotiziario 07.12.20)

Nel corso dell’ultimo Consiglio comunale di Ceriano Laghetto, è stata presentata una delibera riguardante il conflitto nella regione del Nagorno-Karabakh (in armeno Artsakh), area montagnosa nel Caucaso Meridionale, che si è autoproclamata repubblica indipendente nel 1991, anche se non viene ancora riconosciuta formalmente a livello internazionale.

La questione è stata sollevata da un cittadino cerianese che ha raccolto l’appello inviatogli dal console dell’Armenia affinché si accendano i riflettori, dopo che la situazione da quelle parti si è fatta particolarmente grave dalla fine dello scorso mese di settembre.

Attorno al Nagorno-Karabakh si giocò, e si gioca tuttora, la rivalità tra Armenia e Azerbaigian. Per capire le cause di tale rivalità bisogna tornare indietro alla Prima Guerra Mondiale quando l’Azerbaigian, con l’appoggio dell’Impero Ottomano, rivendicò la propria sovranità sul Nagorno-Karabakh, una regione storicamente popolata da armeni. Nonostante i turchi uscirono sconfitti dalla Grande Guerra, il controllo azero sulla regione venne riconosciuto dalle potenze alleate, probabilmente interessate a voler sfruttare i giacimenti petroliferi dell’Azerbaigian. La tensione tra armeni e azeri si tramutò in conflitto armato nel momento in cui Armenia e Azerbaigian vennero riconosciuti come stati indipendenti dopo la dissoluzione dell’URSS. Il Nagorno-Karabakh, abitato per l’80% da armeni cristiani, rimase sotto il controllo dell’amministrazione musulmana azera. Dopo la proclamazione della sua autonomia, la regione venne bombardata dagli azeri e l’Armenia scese in campo per difendere i suoi connazionali. Il cessate il fuoco arrivò nel 1994, dopo le negoziazioni e la mediazione di Russia, Iran, Kazakistan e l’ONU.

La tensione e la rivalità tra i due popoli però è rimasta ed è notizia degli ultimi mesi la ripresa degli scontri. Nella delibera cerianese si legge: “Dal 27 settembre 2020 si sta assistendo a una ripresa degli scontri, con un intenso e persistente attacco bellico dell’Azerbaigian nei confronti della popolazione e degli edifici dell’Artsakh, che ad oggi è un’area a maggioranza di popolazione armena e cristiana ma non riconosciuta a livello internazionale. Dal 10 novembre il conflitto è sospeso grazie ad un accordo di pace e all’intervento delle forze di peace-keeping della Federazione russa. Per gli armeni l’Artsakh è un simbolo, un’area di tradizioni millenarie tramandate di generazione in generazione, di fervore culturale e sociale, in particolare con la creazione di numerosi movimenti che ne richiedono l’indipendenza. Il riconoscimento della Repubblica di Artsakh è di fondamentale importanza per fermare il massacro degli armeni, gli attacchi indiscriminati nei confronti della popolazione cristiana, la distruzione di scuole ospedali e chiese, in un conflitto che rischia di configurarsi come un genocidio”.

L’obbiettivo della delibera è quello di supportare il popolo armeno nella richiesta di riconoscimento dell’indipendenza della Repubblica dell’Artsakh, al fine di fermare gli attacchi bellici che ciclicamente colpiscono l’area e impegnarsi a chiedere alle autorità nazionali il riconoscimento dell’Artsakh, quale atto di solidarietà al popolo cristiano armeno al fine di porre termine per sempre alle ostilità che lo hanno colpito.

Il vicesindaco Dante Cattaneo, che ha introdotto e illustrato la deliberazione, ha voluto ringraziare i Consiglieri per il confronto suscitato su questo tema di portata internazionale: «È importante riconoscere il ruolo strategico e centrale della storia dell’Armenia per contrastare un sempre più prepotente espansionismo filoislamico e panturco che nel passato è stato foriero di immani tragedie e genocidi volti a colpire le genti e la loro cultura solo in quanto irriducibili cristiani. Purtroppo la debolezza dell’Europa ed il comportamento pavido di molte sue istituzioni deve indurre tutti gli uomini di buona fede a tentare di invertire la rotta prima che sia troppo tardi». Ai voti, la mozione è stata approvata senza voti contrati: favorevole la maggioranza, astenuta la minoranza.

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Gli armeni lasciano Dadivank e ortodossi di tre chiese fanno pace (Euronews 06.12.20)

Vartanes Abramyan, leader religioso dell’esercito armeno insiste: “Questo monastero è il più antico dei monasteri armeni che i nostri antenati hanno costruito e dove pregavano. Hanno posato ogni pietra con una preghiera, e il monastero esiste ancora oggi”.

Robert Mobili, membro della comunità Udin-Albanese, gli fa da controcanto: “Come può confermare un rappresentante della comunità cristiana Udin-Albanese dell’Azerbaigian, un geologo, questa in realtà è una chiesa albanese caucasica e non è in alcun modo correlata alla Chiesa armena. Come membro della Chiesa albanese, come portatore della croce albanese posso assicurarti che questa chiesa è caucasica albanese perché i materiali da costruzione, le sostanze leganti, gli elementi della croce, i simboli, così come l’architettura non sono tipici delle chiese armene”.

Il monastero di Dadivank, fondato nel I secolo d.C.

Si ritiene che il monastero sia stato fondato da San Dad, un discepolo dell’apostolo Taddeo che diffuse il cristianesimo nell’Armenia orientale durante il I secolo d.C. Gli edifici che vediamo oggi risalgono al XIII secolo e furono aggiunti e modificati nel corso del tempo.

Euronews è stata l’unica tv ad accedere alla funzione religiosa tra ortodossi di tre diverse chiese. Tutti i partecipanti, comprese le forze di pace e i media russi, sono stati benedetti dal sacerdote russo a cui però non è stato permesso di concederci un’intervista.

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Falsificazioni storiche e religiose degli azeri: La pace in Nagorno Karabakh è ancora lontana. (Politicamentecorretto 06.12.20)

È passato quasi un mese dalla fine della guerra che il 27 settembre scorso l’Azerbaigian e la Turchia avevano scatenato contro la piccola repubblica armena de facto dell’Artsakh (Nagorno Karabakh).

Si pensava che dopo alcune migliaia di morti da una parte e dall’altra, decine di migliaia di armeni sfollati dalla regione e la vittoria militare dell’Azerbaigian fosse arrivato finalmente il momento di parlare di pace nella regione.

Ma le dichiarazioni e il comportamento dell’Azerbaigian in queste prime settimane post-belliche dimostrano chiaramente che la dittatura di Aliyev è tutt’altro che intenzionata a concludere pacificamente il contenzioso con la parte armena nonostante il territorio da quest’ultima controllato si sia ridotto a un fazzoletto di terra più piccolo della val d’Aosta.

Purtroppo, il nazionalismo turco-azero non demorde. Aliyev continua a lanciare bellicosi diritti su tutto il territorio non accontentandosi di quello conquistato grazie ai droni turchi e ai mercenari jihadisti tagliagole.

Questa politica di scontro si manifesta sostanzialmente su due direttrici: la falsificazione storica e il discredito religioso.

Ecco, quindi, una serie di interventi, anche su codesta testata, miranti a una narrazione di “appartenenza”  con date e fatti decontestualizzati e riassemblati a uso e consumo dell’Azerbaigian.

Il percorso a ritroso degli “storiografi” azeri salta ovviamente i passaggi scomodi ed evita pericolose divagazioni geografiche per non correre il rischio che qualcuno si ponga la domanda su quale sia stato il destino degli armeni in quella che oggi è la Turchia orientale.

Quando la falsificazione storica non regge più, ecco subentrare il discredito religioso. Chiese e monumenti del territorio, apparentemente armeni, sarebbero in realtà retaggio degli albani del Caucaso di cui loro, gli azeri, sarebbero i naturali e unici legittimati discendenti.

È lo stesso ragionamento che fanno i turchi: ad esempio all’ingresso della cittadella medioevale di Anì (che sta proprio sul confine con l’attuale repubblica di Armenia) una grande cartello illustra tutti i popoli che hanno abitato quel territorio; ne manca solo uno, quello armeno… Eliminiamoli dalla storia (oltre che fisicamente) così da crearne una nuova ed è risolto il problema.

In ambedue i casi  basterebbe consultare una qualsiasi antica carta dell’Impero romano o recuperare la genesi del nome Artsakh o risalire alla storia (quella ufficiale e non soggetta a rivisitazioni turche o azere) per capire chi sia arrivato prima in quei territori e chi ha da sempre abitato quelle regioni.

Nel tentativo di ricreare una verginità di tolleranza religiosa in Azerbaigian (che forse varrà per tutti ma non per ciò che è armeno) la propaganda azera arriva anche a cambiare la carta di identità delle chiese e delle croci armene cristiane.

Intanto i soldati di Aliyev, continuano l’opera di distruzione e annientamento dei monumenti, una sorta di “genocidio culturale”,  basti pensare ai diecimila katchkar (Croci in pietra) medioevali di Julfa nel Nakhchivan rasi al suolo con le ruspe una quindicina di anni fa, o alle recenti foto e video postati dagli stessi azeri in questi giorni che mostrano (Con fierezza! Sic!!!) il sciacallaggio e il vandalismo di cui sono capaci.

“Mamma li turchi!” gridavano una volta gli italiani. Mai come oggi questa acclamazione risulta drammaticamente attuale.

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Armenia: maxi protesta per chiedere dimissioni del premier (Swissinfo 05.12.20)

Migliaia di persone, oltre 10.000 secondo l’Afp e “decine di migliaia” secondo l’agenzia di stampa russa Interfax, hanno sfilato in corteo oggi a Erevan chiedendo le dimissioni del premier armeno Nikol Pashinyan.

I manifestanti urlavano slogan come “L’Armenia senza Nikol” e “Nikol traditore”.

Dopo sei settimane di sanguinosi combattimenti nel Nagorno-Karabakh, meno di un mese fa Armenia e Azerbaigian hanno siglato un accordo di cessate il fuoco mediato dalla Russia.

L’intesa prevede che l’Azerbaigian mantenga i territori conquistati e che l’Armenia gli ceda anche altre zone del Nagorno-Karabakh e dei territori limitrofi e ciò ha provocato massicce proteste contro Pashinyan, di cui l’opposizione chiede le dimissioni.

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>> Perché in Armenia c’è una lotta di politica interna (Euronews)

Nagorno-Karabakh: Pashinyan, definito accordo per scambio prigionieri fra Armenia e Azerbaigian (Agenzia Nova 05.12.20)

Erevan, 05 dic 10:16 – (Agenzia Nova) – Armenia e Azerbaigian hanno accettato di scambiare tutti i prigionieri di guerra catturati dalle parti durante il conflitto del Nagorno-Karabakh. Lo ha reso noto il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, ribadendo l’importanza di preservare la pace tra i due Paesi. “Il compito cruciale è quello di rimpatriare i prigionieri. Voglio dire che ci sono stati alcuni progressi, con uno scambio che è stato negoziato sul principio del tutti per tutti”, ha detto oggi Pashinyan, tenendo un discorso alla nazione. Il primo ministro ha aggiunto che l’accordo si applicherà ai prigionieri di guerra catturati non solo durante la recente escalation del conflitto, ma anche a coloro che erano stati detenuti in precedenza. Pashinyan ha sottolineato la necessità di progettare meccanismi per il ritorno dei prigionieri. Un’altra questione importante è la ricerca delle persone scomparse. Il primo ministro ha detto che l’Armenia aveva espatriato oltre 600 corpi di militari uccisi, 500 dei quali necessitavano di identificazione. “Con alta probabilità, possiamo dire che questi sono i corpi dei nostri compatrioti scomparsi.L’identificazione è condotta con l’uso del test del DNA. Ad oggi, 135 corpi degli uccisi sono stati identificati e consegnati ai loro parenti”, ha detto Pashinyan, ripreso dall’agenzia “Armenpress”. (segue) (Rum)

Il nunzio Bettencourt in Armenia per portare la benedizione di Papa Francesco (AciStampa 05.12.20)

Il nunzio Bettencourt in Armenia per portare la benedizione di Papa Francesco

L’arcivescovo José Avelino Bettencourt, nunzio apostolico in Georgia ed Armenia, sarà dal 5 al 9 dicembre in Armenia per portare la vicinanza, la solidarietà, la presenza spirituale e la benedizione apostolica di Papa Francesco.

Il nunzio, che risiede a Tbilisi, si reca in Armenia anche a seguito del conflitto con il Nagorno Karabakh, il cui accordo ha lasciato sgomenta la comunità armena e creato anche il rischio di un “genocidio culturale” nelle zone del Nagorno Karabakh cedute all’Azerbaijan.

L’arcivescovo Bettencourt trascorrerà un periodo al Tiramayr Narek Hospital, conosciuto come “l’ospedale del Papa in Armenia”. L’ospedale fu fondato nel 1991 su iniziativa della Caritas a seguito del terremoto che devastò l’Armenia causando – si stima – circa 100 mila morti. Ora l’ospedale è gestito dai Camilliani. L’epicentro del terremoto fu a Spitak, e proprio lì c’è una Casa delle Suore di Carità: l’arcivescovo Bettencourt sarà lì.

Il 6 dicembre, l’arcivescovo Bettencourt parteciperà alla Divina Liturgia presso la Cattedrale Armena Cattolica dei Santi Martiri a Gyumri, incontrerà profughi e feriti dal conflitto del Nagorno Karabakh e visiterà la Caritas Armena.

Yerevan, capitale dell’Armenia, è previsto un incontro del nunzio con l’arcivescovo Raphael Minassian, ordinario per i cattolici di rito armeno dell’Europa dell’Est. Il 7 dicembre, l’arcivescovo Bettencourt sarà ricevuto dal Katholikos Karekin II, mentre l’8 dicembre celebrerà la Messa con la comunità delle suore della Carità. Le suore rinnoveranno i loro voti religiosi.

Sempre l’8 dicembre, l’“ambasciatore del Papa” incontrerà anche Avet Adonts, sottosegretario del Ministero degli Affari Esteri, e Armen Sargsyan, presidente della Republicca armena.

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Ok all’ordine del giorno sul popolo (la Nazione 05.12.20)

Nell’ultima seduta del Consiglio comunale di Cavriglia è stato approvato all’unanimità un ordine del giorno di vicinanza al popolo armeno presentato dal gruppo di maggioranza “Insieme per Cavriglia”. Il documento richiede al Governo italiano di adoperarsi presso l’Unione Europea affinché l’Europa possa vigilare e contribuire a garantire la pace tra Armenia ed Azerbaigian, ancora troppo precaria dopo la firma dell’armistizio di una guerra in corso nel territorio del Nagorno Karabach, a lungo conteso tra i due popoli.