Aborti selettivi in Armenia: eliminate 1.400 bambine ogni anno (Avvenire 22.02.18)

Quando si parla di aborti selettivi per sesso del nascituro in genere si pensa alla Cina e all’India. Ma c’è un altro Paese in cui questa tragica pratica è molto diffusa, illegale solo dal 2016. Si tratta dell’Armenia, dove ogni anno vengono abortiti circa 1.400 bambine prima della nascita. Lo denuncia il quotidiano britannico Guardian. Con una popolazione di quasi 3 milioni di abitanti, l’ex Repubblica sovietica ha il terzo più alto tasso di aborti di feti femminili nel mondo, dietro Cina e Azerbaigian. I dati raccolti dall’Unfpa (il Fondo Onu per la popolazione) parlano di uno squilibrio di 115-120 bimbi nati ogni 100 bimbe.

Tra le cause che spingono alla selezione del bambino in base al sesso prima della nascita c’è la volontà di assicurare la discendenza familiare e la convinzione che i ragazzi aiuteranno i genitori nella vecchiaia più di quanto potranno fare le ragazze, che si sposano e si trasferiscono con la famiglia del marito. I ragazzi sono considerati «un investimento», le ragazze «una perdita». Alla base di tutto questo c’è lo sviluppo tecnologico applicato alla diagnostica prenatale, che ha permesso ai genitori di conoscere il sesso del bambino prima della nascita e, di conseguenza, la scelta di un eventuale aborto.

>>> Leggi l’articolo pubblicato da The Guardian <<<

Nel 2011 l’Unfpa ha iniziato il suo lavoro per arginare la selezione del sesso e nel 2017 ha lanciato un programma globale per prevenire i cosiddetti “aborti di genere”. Nel 2014, il rapporto era di 114 maschi per 100 femmine, l’anno scorso, la cifra era scesa a 110 su 100.

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Perché gli armeni non vogliono le figlie femmine (Panorama 22.02.18)

In Armenia ci sono donne che non vedremo mai perché non nasceranno mai. Inizia così la denuncia riportata sul Guardian che si ispira al saggio di Amartya Sen “donne scomparse” il cui tema trattato è appunto la selezione prenatale del sesso nell’ex Repubblica sovietica.

I dati

La maggior parte degli armeni conosce il problema. Qui gli aborti selettivi, illegali dal 2016, fanno raggiungere il numero spaventoso di 1.400 bambine mai nate all’anno. Dati che sconcertano sopratutto pensando che, se le tendenze non saranno invertite, l’Armenia avrà perso quasi 93mila donne entro il 2060.

Pensare a questo tema fa venire in mente Cina e India. Invece nella regione orientale del Gavar il numero delle bambine abortite è tra i più elevati. Alcune donne arrivano all’interruzione della gravidanza anche 9/10 volte. Con una popolazione di poco meno di 3 milioni di abitanti, l’Armenia ha il terzo più alto tasso di aborti di femmine nel mondo. Prima resta la Cina, secondo si attesta tristemente l’Azerbaigian.

Secondo il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa), che dal 2010 raccoglie dati in tal senso, ogni 115-120 ragazzi nati vengono alla luce solo 100 ragazze.

Le cause

Tra le cause della selezione del sesso in Armenia c’è quella di assicurare la discendenza familiare: i maschi sono considerati un investimento, anche quando si sposano restano vicini ai genitori, al contrario delle ragazze che, secondo alcune credenze, lascerebbero la casa d’origine per trasferirsi in quella del marito mancando quindi di un aiuto concreto a tempo indeterminato.

Inoltre lo sviluppo tecnologico, applicato alla diagnostica prenatale precoce, ha fatto sì che i genitori vengano a conoscenza del sesso del bambino prima della sua nascita “facilitando” così la scelta al maschile.

Grazie alla campagna del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione il governo armeno ha iniziato a sostenere le donne prevedendo la loro partecipazione a una sessione di consulenza con il proprio medico per poi attendere tre giorni prima di abortire. Un disincentivo che, unito al fatto di aver reso illegale l’aborto, ha portato nel 2014 a stabilire che il rapporto tra tutti i nati era di 114 ragazzi per 100 ragazze, mentre nel 2017 i numeri sono passati a 110 bambini per ogni 100 bambine.

 

Gravere ospita una famiglia di richiedenti asilo armeni e cristiani (lagendanews.it 21.02.18)

GRAVERE – Da martedì 19 febbraio Gravere ospita cinque nuovi abitanti. Si tratta di una  famiglia di 5 persone di richiedenti asilo sulla base del protocollo di accoglienza sottoscritto con la Prefettura di Torino che il Comune ospita in Borgata Grande Essimonte. La famiglia è seguita dagli  operatori specializzati della Cooperativa Sociale Piergiorgio Frassati.

Di questa categoria fanno parte coloro che, lasciato il proprio Paese d’origine e avendo inoltrato una richiesta di asilo, sono ancora ora attesa di una decisione da parte delle autorità nazionali e riguardo al riconoscimento dello status di rifugiato.

“Auguriamo questa famiglia la migliore integrazione nel nostro territorio” ha detto il Sindaco di Gravere Piero Nurisso cui abbiamo chiesto qualche informazione in più su questi ospiti.

“Quello che so  – ci ha detto il sindaco – è che si tratta di armeni e di religione cristiana che sono arrivati da Yerevan, che è la capitale dell’Armenia. Ma sulla loro vicenda personale non so di più perché su questo la procedura di eseame della richiesta prevede molta riservatezza. Il padre è un 41enne che ci ha detto che faceva l’autista e il falegname, mentre sua moglie di un paio di anni più giovane è infermiera e si occupava di assistenza ai minori. Con loro due figlie di 17 e 14 anni e un terzo, un bambino di 9. Finché resteranno qui – in attesa che la loro pratica di accoglianza venga valutata – cercheremo di aiutarli anche a inserirsi attivamente nella nostra piccola comunità. Mi sembrano persone molto rispettose e disponibili”.

Difficile capire da dove provengano realmente e quale storia abbiano alle spalle. Basti ricordare che una minoranza cristiana ed armena in Siria, nelle zone di Kessab, ai confini con la Turchia – che storicamente peraltro è responsabile del genocidio di oltre un milione di armeni – e di Aleppo hanno subito un doppio assedio con relativi veri e propri massacri sia da parte dei tagliagole dell’Isis, che dagli islamisti di Al Nusra. Il Grande Male, come gli armeni chiamano il genocidio subito da parte dei Giovani Turchi circa 100 anni fa per loro è sempre in agguato.

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Olanda, domani il parlamento riconocerà il genocidio armeno (Askanews 21.02.18)

L’Aia, 21 feb. (askanews) – Il parlamento olandese riconoscerà formalmente domani il “genocidio” armeno del 1915, un voto destinato a deteriorare le relazioni con la Turchia.

Il partito Unione Cristiana, partner nella coalizione guidata dal premier Mark Rutte, “proporrà due mozioni alla camera bassa con il sostegno dei partiti di coalizione”, ha annunciato Joel Voordewind. La prima mozione propone che “il parlamento possa esprimersi in termini chiari sul genocidio armeno”; la seconda mozione chiede al gabinetto di “inviare una delegazione a Yerevan il 24 aprile per la commemorazione del genocidio armeno e poi di seguito una volta ogni cinque anni”.

Gli Armeni hanno lottato a lungo per ottenere il riconoscimento internazionale dei massacri del 1915-1917 compiuti dall’esercito ottomano, in cui si stima abbiano perso la vita un milione e mezzo di persone.

Ankara respinge con veemenza il termine “genocidio” e sostiene che il mezzo milione di vittime sia la conseguenza della sollevazione degli armeni contro l’Impero ottomano.

I Paesi che riconoscono ufficialmente il genocidio armeno sono una ventina, tra cui l’Italia, (con fonte afp)

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Trentesimo anniversario della votazione del Consiglio regionale. Le parole del presidente dell’Armenia per celebrare la ricorrenza (Karabakh.it 20.02.18)

Il 20 febbraio 1988, il Consiglio regionale del Nagorno-Karabakh si riunì in una sessione straordinaria per adottare una risoluzione che esprimeva la volontà popolare dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) per l’autodeterminazione libera. Tre decenni fa, gli armeni di tutto il mondo si unirono alla giusta richiesta e alla lotta di Artsakh.

Oggi festeggiamo il trentesimo anniversario di quella svolta storica, che la Repubblica di Artsakh ha giustamente proclamato come il Giorno della rinascita Artsakh. Inoltre, è diventato il giorno della rinascita del popolo armeno. Monte [Melkonian, eroico combattente della lotta di liberazione, NdR]  aveva ragione ad insistere sul fatto che se avessimo perduto l’Artsakh, avremmo voltato l’ultima pagina della storia dell’Armenia. Il 20 febbraio 1988 è stato il momento di unità, determinazione e risveglio nazionale del popolo armeno.

L’Azerbaijan ha risposto alla protesta pacifica e legittima del nostro popolo con i massacri a Sumgait e in altri luoghi. In quei giorni divenne chiaro che le persone in Artsakh erano destinate allo sterminio o alla vittoria fisica.

Siamo stati costretti a fare la guerra. Coloro che hanno scatenato la guerra erano convinti di avere un grande vantaggio e il problema del Karabakh si sarebbe risolto rapidamente e definitivamente sterminando gli armeni e spopolando l’Artsakh. A distanza di tre decenni possiamo affermare con sicurezza che il movimento del Karabakh ha salvato centinaia di migliaia di vite.

Forti del sostegno di tutta la nazione armena, gli armeni dell’Artsakh sono riusciti ad affrontare questo severo processo con onore. Oggi, quelli che ci chiamano nemici, ci accusano di tutto, ma l’unica colpa del popolo di Artsakh è che non hanno perso e non sono stati sterminati in quella guerra.

Cari compatrioti, si riteneva che  il movimento del Karabakh si sarebbe trasformato in una certa fase. Con la proclamazione dello Stato, il movimento non si ridusse, ma divenne una politica dello Stato. L’esplosione pan-nazionale e il risveglio sono stati coronati dalla reintegrazione dei nostri due stati armeni.

Possiamo sentire le stesse minacce di 30 anni fa mentre celebriamo il trentesimo anniversario del movimento del Karabakh. La propaganda anti-armena è continuata da 30 anni. Sembra che nulla sia cambiato. Ma l’abbiamo fatto. Il libero Artsakh, che ha scrollato di dosso il giogo azero 30 anni fa, si sta sviluppando ad un ritmo progressivo sia economicamente, sia politicamente, sia culturalmente.

Nella nostra coscienza pubblica ci può essere una percezione giustificata che ciò che viene fatto non è abbastanza. Pertanto, dobbiamo costantemente segnare la barra delle nostre esigenze e aspettative. Come nazione e stato, abbiamo ancora molto da fare. C’è molto lavoro da fare in tutti i campi, ma quello che abbiamo fatto insieme negli ultimi 30 anni, a volte nelle circostanze più difficili, in realtà è abbastanza. Ovviamente, questo è probabilmente il trentennale più importante della storia dell’Armenia degli ultimi secoli. Possiamo fare molto di più, eppure lo penseremo insufficiente.

La sottomissione non ha una scusa, mentre la libertà non ha alternative. Stiamo costruendo stati democratici e moderni nelle Repubbliche di Armenia e Artsakh. Rispettiamo pienamente i diritti umani fondamentali, poiché la libertà e la dignità sono valori assoluti per il popolo armeno.

Lunga vita alla Repubblica di Armenia! Lunga vita alla Repubblica di Artsakh che è emersa come risultato del Movimento del Karabakh!  Lunga vita ai pionieri del movimento del Karabakh!

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Nagorno-Karabakh: l’Armenia celebra il trentennale del “movimento Artsakh” ma chiede maggiore sostegno europeo (Agenzianova 20.02.18)

Erevan, 20 feb 17:16 – (Agenzia Nova) – Il capo dello Stato ha sottolineato che l’Azerbaigian ha risposto alle decisioni pacifiche e legali della popolazione con massacri organizzati e con l’inizio delle operazioni di guerra: “Il movimento Karabakh, sostenendo gli armeni della regione e con il sostegno dei nostri cittadini, è riuscito a salvare centinaia di migliaia di vite ed ha la sola colpa di non essere stato sconfitto”, prosegue il messaggio del capo dello Stato. Sargsyan ha aggiunto che il trentennale del movimento, che ha poi assunto le connotazioni di una vera e propria politica statale, coincide con segnali positivi di sviluppo dal punto di vista economico, politico e culturale. Le istanze a sostegno del separatismo del Nagorno-Karabakh, che un anno esatto fa è stato rinominato tramite referendum Repubblica dell’Artsakh, tuttavia, avrebbero ancora bisogno di essere rafforzate, convivendo ancora con le “minacce della propaganda anti-armena”. (segue) (Res)

L’Armenia cerca un Presidente, ma è ormai una Repubblica parlamentare (Ilcaffegeopolitico 20.02.18)

La riforma del 2015 ha trasformato  l’Armenia in una repubblica parlamentare: la transizione verso la nuova forma di Governo, in cui la direzione dell’ esecutivo sarà assunta dal Premier, si perfezionerà  all’esito delle imminenti presidenziali. Il prossimo 2 marzo, il nuovo Capo di Stato – che resterà in carica sette anni – non sarà  più eletto dai cittadini, bensì da almeno un quarto dei membri del Parlamento

UNA PAGINA BIANCA, TUTTA DA SCRIVERE

Poco più di due anni fa, il 6 dicembre 2015, i cittadini armeni  approvarono mediante referendum un pacchetto di riforme costituzionali che implicava il passaggio a una nuova forma di Governo, da portarsi a compimento entro il mese di aprile 2018, in concomitanza con l’insediamento del nuovo Presidente della Repubblica. L’abbandono di un regime a tendenza semi-presidenziale in favore di un sistema parlamentare ha stimolato un intenso dibattito scientifico  rispetto all’orizzonte politico che si aprirà al termine del mandato del Presidente in carica, Serzh Sargsyan.
Fortemente osteggiata dai partiti d’opposizione, la parziale ridefinizione di alcune funzioni statali è stata variamente interpretata come un escamotage del Partito Repubblicano d’Armenia (RPA) per permanere al potere anche nell’era post-Sargsyan o, altrimenti, come una scelta eccessivamente azzardata per un Paese che non ha ancora assimilato pienamente il rispetto del confronto democratico.
Scetticismo del resto controbilanciato dalla reclame della presidenza repubblicana, che ha presentato la nuova veste costituzionale del Paese al pari di un’enorme conquista di civiltà. Difatti, un Governo parlamentare implica anzitutto l’attribuzione all’Assemblea Nazionale (il Parlamento) – e non più ai cittadini – del potere di eleggere il Capo dello Stato. E, in secondo luogo, comporta una limitazione della carica di quest’ultimo a funzioni per lo più onorifiche, svuotandola dei contenuti sostanziali che segnano invece un’integrazione delle funzioni del Primo Ministro.
Come è noto, il 62enne Sargsyan, in carica dal 2008, concluderà il suo mandato il prossimo aprile. Nell’impossibilità di presentare una terza candidatura, ma riluttante ad abbandonare in toto la regia politica del Paese, il Presidente uscente potrà forse accontentarsi del ruolo di leader del Partito Repubblicano, o magari ambire alla carica di Premier, o comunque ispirare anche in altro modo le scelte del suo successore.
La scorsa primavera, i cittadini armeni sono stati chiamati ad eleggere i nuovi componenti dell’Assemblea Nazionale, in cui il RPA ha conquistato 58 seggi su 105. Il prossimo 2 marzo, i membri del Parlamento eleggeranno – per la prima volta – il Presidente della Repubblica, il quarto dell’Armenia indipendente.
L’Armenia è finalmente giunta al bivio e le prossime presidenziali possono rappresentare il segno inequivocabile di un’aria di cambiamento, una pietra miliare per il consolidamento di un sistema stabile. O, all’opposto, un punto critico che può pericolosamente offuscare il processo di sviluppo democratico in atto.

SCELTE COSTITUZIONALI E RIFLESSI POLITICI

Le analisi formulate da prestigiosi think tanks armeni ed internazionali e recentemente richiamate nelle pagine del quotidiano russo Nezavisimaya Gazeta,  descrivono il perfezionamento della transizione verso la nuova forma di Governo come una scelta principalmente ispirata  a pragmatismo. In altre parole, la piena operatività di un sistema parlamentare – non a caso il modello democratico più diffuso in Europa ed abbracciato anche da Georgia e Moldova – garantirebbe anzitutto una funzione stabilizzatrice degli equilibri di politica interna, oltre a produrre una vasta risonanza nel contesto regionale.
Presunti giochi di potere che tendono al consolidamento dei repubblicani ai vertici dell’esecutivo sembrano pertanto intrecciarsi all’esigenza primaria di prevenire potenziali ondate di instabilità, che negli passati hanno trovato ampio riscontro nella variegata realtà post-sovietica, ma rispecchierebbero altresì la volontà di contribuire alla normalizzazione delle relazioni regionali, su cui grava la spinosa questione del Nagorno-Karabakh.
Degne di nota appaiono, a tale proposito, le qualità che il successore di Sargsyan dovrà dimostrare di possedere. Durante un’intervista rilasciata alla stampa armena, l’attuale Presidente ha posto particolare enfasi su alcuni requisiti imprescindibili: buona reputazione, padronanza delle lingue e una vasta rete di conoscenze tra illustri funzionari pubblici e intellettuali stranieri e un network internazionale di uomini d’affari. Oltretutto  – ha aggiunto Sargsyan – è fondamentale che l’elezione del prossimo Capo di Stato rispetti  nella misura più ampia possibile la volontà parlamentare, rappresentativa delle varie forze politiche del Paese.
Proprio il 19 gennaio scorso, Sargsyan ha svelato il nome del candidato che il blocco repubblicano intende sostenere nella corsa alle presidenziali. La scelta è orami definitivamente ricaduta sul diplomatico Armen Sarkissianambasciatore armeno nel Regno Unito, astrofisico ed ex personaggio politico e già Premier nel biennio 1996-97, anno in cui rassegnò le dimissioni, motivate da problemi di salute, e attualmente non iscritto ad alcun partito politico. Pur non avendo confermato ufficialmente l’accettazione della candidatura, l’ambasciatore Sarkissian ha tuttavia accolto volentieri la proposta di tornare in patria ed intrattenere dei colloqui con deputati ed altri esponenti della realtà politica ed intellettuale armena.

STRATEGIE DI VISIBILITA’

Sebbene non esista ancora certezza sui nomi degli altri candidati, a correre con Sarkissian potrebbero essere alcuni personaggi che – avvisano gli analisti locali – sono tutti accomunati da un discreto coinvolgimento politico e probabilmente anche dalla disponibilità ad assumere mere funzioni di rappresentanza, con l’eccezione di alcuni poteri ancora sostanzialmente presidenziali. Ad ogni buon conto, la quasi certa candidatura di Armen Sarkissian appare specificamente in linea con la visione del Partito Repubblicano, che intende mantenere inalterato il suo ruolo di spicco nella compagine governativa facendo leva su un candidato forte, capace di stimolare l’esposizione internazionale del Paese con generose iniezioni di visibilità.
Fondatore e Presidente della società di consulenza Eurasia House International, con sede a Londra, l’ambasciatore si è anche distinto per molteplici incarichi assunti all’interno di multinazionali del calibro di British Petroleum e Alcatel, solo per citarne alcune. E’ inoltre fondatore del Knightsbridge Group, gigante della consulenza internazionale attivo specialmente in Asia Centrale; detiene alcune quote della società impegnata nello sviluppo del giacimento d’oro di Amulsar in Armenia e, ancora, è membro della Global Leadership Foundation, ONG impegnata nella promozione del buongoverno e dello Stato di diritto. E’ chiaro che l’individuazione di Sarkissian quale candidato ideale non è minimamente affidata al caso, ma sembra piuttosto svelare la determinazione del Partito Repubblicano a riorientare geopoliticamente l’Armenia secondo un programma che pare costruito esattamente a misura di un candidato ben inserito nel panorama politico e scientifico internazionale e forte di rilevanti connessioni con il mondo del business che si estende ben oltre il Caucaso.

ARMENIA 2018: ALCUNI POSSIBILI CAMBIAMENTI

Come accennato inizialmente, la rassicurante retorica del Presidente Sargsyan non pare aver sanato ogni dubbio in merito alla genuinità della riforma costituzionale. Alla vigilia del voto presidenziale, perdurano infatti perplessità di varia natura circa l’efficienza complessiva della nuova forma di Governo in una repubblica post-sovietica che ha conosciuto solo tre Presidenti e dove i tempi per un processo di rinnovamento  potrebbero non essere ancora maturi.
Tuttavia, è opportuno fornire anche una lettura positiva della transizione. Difatti, l’abbandono del presidenzialismo potrebbe fornire all’Armenia gli strumenti necessari per compiere alcuni passi decisivi in direzione democratica e pluralista. E, di conseguenza, risulterebbe del tutto improbabile l’affermazione sulla scena politica di un uomo forte, in grado di traghettare il Paese verso derive autoritarie. Tutto ciò a patto di proteggere, ovviamente, lo spirito e l’integrità della riforma.
Il contesto domestico in cui le elezioni si svolgeranno è però solcato dal timore che Yerevan non sia mossa dalla reale volontà di riformarsi. In particolare, se il Presidente Sargsyan portasse a temine il suo mandato per assumere immediatamente dopo le redini del Governo, ciò non solo minerebbe alla radice lo smalto democratico della riorganizzazione istituzionale, ma infliggerebbe un grave colpo alla fiducia dell’opinione pubblica, amplificando l’eco del malcontento alimentato dalla crisi socio-economica e dalla diffusa corruzione nel settore pubblico.
Se tali riflessioni restano valide a livello interno, si considerino adesso – a titolo conclusivo – alcuneimplicazioni sul piano internazionale. Ad esempio, non deve passare in secondo piano il fatto che l’erede di Sargsyan non potrà esercitare alcuna influenza determinante sulla politica di difesa e sulla politica estera del Paese, dal momento che sarà il Ministro della Difesa ad assumere la direzione dell’esercito, mentre spetterà al Premier il titolo di comandante supremo delle forze armate. Trattasi, infatti, di una scelta di politica legislativa che, nel lungo termine, potrebbe lenire l’attitudine difensiva di Yerevan in maniera tale da favorire la normalizzazione delle relazioni che il Paese intrattiene con i suoi vicini.
In secondo luogo, se gli Stati europei hanno salutato di buon grado le intenzioni democratiche della transizione, non altrettanto entusiasmo potrebbe forse manifestare Mosca. Come si è visto, non solo l’Armenia rincorre il sogno di una maggiore esposizione internazionale, ma potrebbe anche elaborare un nuovo ordine di priorità all’interno del suo programma di sviluppo. E, se così fosse, non potrebbe escludersi una graduale ridefinizione dei settori in cui si esprime la consolidata partnership bilaterale con la Russia.
Proiezioni che ovviamente dovranno porsi in relazione all’impronta politica che il futuro Premier imprimerà al Paese, tutt’oggi ancorato ad una posizione filo-russa quanto meno in campo economico, militare ed energetico.

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Israele per difendere l’unicità della Shoah ancora una volta nega il Genocidio degli Armeni (Il Messaggero 20.02.18)

di Franca Giansoldati

Gerusalemme – Israele continua a mantenere un atteggiamento totalmente negazionista nei confronti del genocidio armeno. A 103 anni dal primo genocidio del XX secolo, costato la vita a 1 milione e mezzo di cristiani armeni sotto l’impero ottomano tra il 1915 e il 1920, la Knesset, il Parlamento israeliano, ha nuovamente respinto un progetto di legge, stavolta presentato dal partito centrista e laico Yesh Atid,  che avrebbe ufficializzato il riconoscimento del piano di sterminio. Pensare che, nel 1939, Hitler prese come esempio proprio il genocidio armeno per strutturare l’Olocausto ebraico.

Il voto preliminare che ha interrotto l’iter parlamentare del progetto di legge era avvenuto mercoledì 14 febbraio. Il vice-ministro degli esteri israeliano, Tzipi Hotovely, ha dichiarato che Israele non prenderà ufficialmente posizione sulla questione del Genocidio armeno, «tenendo conto della sua complessità e delle sue implicazioni diplomatiche». A darne notizia anche l’agenzia vaticana Fides che ha evidenziato che il 26 aprile 2015 il Presidente israeliano, Reuven Rivlin, aveva ospitato presso la residenza presidenziale di Gerusalemme un evento commemorativo per ricordare i cento anni dagli stermini pianificati degli armeni avvenuti un secolo prima in Anatolia. Durante quella cerimonia, il Presidente Rivlin aveva ricordato che il popolo armeno fu «la prima vittima dei moderni stermini di massa», anche se aveva evitato di usare la parola «Genocidio» per non irritare la Turchia, non comprometterne i buoni rapporti commerciali, ma anche per non depotenziare politicamente la Shoa ebraica visto che per molti israeliani il riconoscimento del genocidio armeno finirebbe per marginalizzare la sua unicità. Emblematico il discorso che fece nel 2001 l’allora ministro degli Esteri, Shimon Peres: «Niente è uguale all’Olocausto ebraico. Ciò che è capitato agli armeni è una tragedia ma non un genocidio».

In Israele da anni è in corso un dibattito molto serrato a livello politico e cuturale. L’anno scorso ad agosto la commissione Cultura, sport ed educazione della Knesset aveva annunciato di volere riconoscere il genocidio dei cristiani armeni. Ma anche in quella occasione l’iter è stato interrotto dalla ragion di Stato israeliana. Importanti gruppi ebraici, come l’Anti Defamation League e l’Union for Reform Judaism hanno riconosciuto da tempo la storicità del genocidio armeno.

Persino gli Usa non lo hanno mai riconosciuto. Il Presidente americano Donald Trump, nonostante le promesse fatte in campagna elettorale agli armeni americani che chiedevano un suo pronunciamento, finora ha evitato la parola genocidio. Un po’ per non suscitare reazioni risentite da parte della Turchia. Un po’ per non dispiacere alla lobby ebraica molto potente al di là dell’Atlantico.

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ASIA/ISRAELE – Il Parlamento israeliano boccia la proposta di legge sul riconoscimento del “Genocidio armeno

 

Gerusalemme (Agenzia Fides) – Il Parlamento israeliano ha respinto un progetto di legge presentato da Yair Lapid, rappresentante del partito centrista e laico Yesh Atid, che avrebbe ufficializzato il riconoscimento da parte di Israele del “Genocide armeno”. Il voto preliminare che ha interrotto l’iter parlamentare del progetto di legge era avvenuto mercoledì 14 febbraio. Il vice-ministro degli esteri israeliano, Tzipi Hotovely, ha dichiarato che Israele non prenderà ufficialmente posizione sulla questione del Genocidio armeno, “tenendo conto della sua complessità e delle sue implicazioni diplomatiche”.
Il 26 aprile 2015 il Presidente israeliano Reuven Rivlin aveva ospitato presso la residenza presidenziale di Gerusalemme un evento commemorativo per ricordare i cento anni dagli stermini pianificati degli armeni avvenuti un secolo prima in Anatolia. Durante quella cerimonia, il Presidente Rivlin aveva ricordato che il popolo armeno fu “la prima vittima dei moderni stermini di massa”, ma aveva evitato di usare la parola “Genocidio” per indicare i massacri in cui morirono più di un milione e 500mila persone.
Anche il Presidente USA Donald Trump, il 24 aprile 2017, ha dedicato un pronunciamento ufficiale ai massacri pianificati subiti nella Penisola anatolica dagli armeni nel 1915, ma ha evitato di applicare a quei massacri sistematici la definizione di “Genocidio armeno”, accodandosi alla linea seguita dai suoi ultimi 4 predecessori, anche per non suscitare reazioni risentite da parte della Turchia. (GV) (Agenzia Fides 20/2/2018).

Armenia-Iraq: previsto accordo su esclusione doppia tassazione (Agenzianova 19.02.18)

Erevan, 19 feb 19:21 – (Agenzia Nova) – La possibilità di un’intesa per eliminare la doppia imposizione tra Armenia e Iraq è stata affrontata oggi durante un incontro tra il ministro delle Finanze di Erevan, Vardan Aramyan, e una delegazione dell’Autorità sulla tassazione di Baghdad. L’aumento dell’interscambio commerciale tra i due paesi ha spinto a prendere in considerazione l’accordo sull’esclusione della doppia tassazione e il documento prevedrebbe inoltre alcune misure contro l’evasione fiscale. “I volumi del commercio estero con l’Iraq sono cresciuti e questo fattore inciderà sulle discussioni, per Baghdad siamo per lo più un paese esportatore”, ha spiegato il vice ministro delle Finanze armeno, Davit Ananyan. Come riferito dall’agenzia di stampa “Armenpress”, gli incontri sul tema dovrebbero concludersi il 22 febbraio, per portare poi alla firma dell’accordo. (Res)

Libano-Armenia: delegazione guidata da presidente Aoun in visita a Erevan il 21 febbraio (Agenzianova 19.02.18)

Erevan , 19 feb 12:05 – (Agenzia Nova) – Una delegazione ufficiale libanese guidata dal presidente, Michel Aoun, si recherà in Armenia il 21 febbraio. La delegazione sarà composta dal ministro dell’Interno, Nouhad Mashnouk, dal ministro degli Esteri, Gebran Bassil, dal ministro dell’Industria, Hussein Hajj Hassan, dal ministro del Turismo, Avedis Kedanian, dal ministro per la Lotta alla corruzione, Nicolas Tueini, e dal membro del parlamento, Hakob Bagratuni. Come riferito dall’agenzia di stampa “Armenpress”, il presidente Aoun incontrerà l’omologo armeno, Serzh Sargsyan, il presidente del parlamento, Ara Babloyan, il premier, Karen Karapetyan, ed infine la comunità libanese locale. Durante le riunioni saranno discussi i temi della cooperazione economica e politica. Lo scorso ottobre il presidente Aoun ha ricevuto una delegazione armena guidata dal ministro dell’Economia, Suren Karayan. Al centro dei colloqui vi è stato il tema del rafforzamento delle relazioni armeno-libanesi, soprattutto nel settore economico. (Res)

Veneto: firmato protocollo tra la Regione e Armavir (Askanews.it 19.02.18)

Venezia, 19 feb. (askanews) – Un protocollo d’intesa tra le Regioni del Veneto e di Armavir (Repubblica di Armenia) è stata firmata oggi a Palazzo Balbi a Venezia dai due rispettivi Governatori per rafforzare gli scambi in campo economico e produttivo, per consolidare le relazioni culturali e turistiche, per promuovere progetti di cooperazione internazionale.

La Regione di Armavir, ricca di valori storici e culturali, si trova ai confini con la Turchia e occupa la fertile pianura dell’Ararat: è il cuore spirituale dell’Armenia e i suoi importanti edifici religiosi e il sito archeologico di Zvartnots sono patrimonio dell’umanità dall’Unesco.

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Un ponte tra Veneto e Armenia (TVIWEB 19.02.18)

Un protocollo d’intesa tra le Regioni del Veneto e di Armavir (Repubblica di Armenia) è stata firmata oggi a Palazzo Balbi a Venezia dai due rispettivi Governatori per rafforzare gli scambi in campo economico e produttivo, per consolidare le relazioni culturali e turistiche, per promuovere progetti di cooperazione internazionale.

La Regione di Armavir, ricca di valori storici e culturali, si trova ai confini con la Turchia e occupa la fertile pianura dell’Ararat: è il cuore spirituale dell’Armenia e i suoi importanti edifici religiosi e il sito archeologico di Zvartnots sono patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.

“Non sono molti gli accordi da me personalmente sottoscritti – ha detto il presidente veneto –, ma ho voluto farlo in questa occasione per il forte e antico rapporto esistente tra Veneto e Armenia, i cui percorsi storici e culturali si sono più volte intrecciati e continuano a intrecciarsi. La firma di oggi consolida ulteriormente il legame tra le nostre comunità e mi auguro che questa intesa produca vantaggi reciproci anche sul piano economico”.

Il governatore veneto ha descritto al collega armeno, Ashot Ghahramanyan, le caratteristiche della propria regione, sottolineando come in un territorio di cinque milioni di abitanti operino ben 600 mila aziende, prevalentemente medio piccole, capaci di generare un PIL di 150 miliardi di euro, che hanno nel loro DNA proprio la commercializzazione internazionale.

Ghahramanyan si è detto certo che già nell’incontro che la delegazione armena avrà domani con i rappresentanti delle imprese, della produzione e del mondo accademico veneto, saranno gettate le basi per proficui scambi e durature relazioni.


VENETO: PROTOCOLLO D’INTESA CON REGIONE ARMENA DI ARMAVIR

19 febbraio 2018

Un protocollo d’intesa tra le Regioni del Veneto e di Armavir (Repubblica di Armenia) è stato firmato oggi a Palazzo Balbi a Venezia dai due rispettivi governatori per rafforzare gli scambi in campo economico e produttivo, per consolidare le relazioni culturali e turistiche, per promuovere progetti di cooperazione internazionale.
La Regione di Armavir, ricca di valori storici e culturali, si trova ai confini con la Turchia e occupa la fertile pianura dell’Ararat: è il cuore spirituale dell’Armenia e i suoi importanti edifici religiosi e il sito archeologico di Zvartnots sono patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.
“Non sono molti gli accordi da me personalmente sottoscritti – ha detto il presidente veneto -, ma ho voluto farlo in questa occasione per il forte e antico rapporto esistente tra Veneto e Armenia, i cui percorsi storici e culturali si sono più volte intrecciati e continuano a intrecciarsi. La firma di oggi consolida ulteriormente il legame tra le nostre comunità e mi auguro che questa intesa produca vantaggi reciproci anche sul piano economico”.