Speciale difesa: Armenia, riformato Consiglio di sicurezza nazionale (Agenzianova 25.01.18)

Erevan, 25 gen 16:00 – (Agenzia Nova) – Il governo armeno ha approvato oggi una legge sulla formazione e l’attività del Consiglio di sicurezza nazionale. Come riportato dall’agenzia di stampa “Armenpress”, in seguito alle modifiche costituzionali del 2015 il nuovo Consiglio di Sicurezza prenderà il posto dell’ex Consiglio nazionale di sicurezza. Secondo le disposizioni, il Consiglio sarà adesso presieduto dal premier, anziché dal presidente come fatto finora, e includerà il vice premier, il segretario del Consiglio stesso, il ministro della Difesa e degli Esteri, il direttore del Servizio nazionale di sicurezza, il capo delle forze di polizia e il capo di Stato maggiore delle Forze armate, ma potranno anche essere coinvolti esperti non provenienti dalla sfera pubblica. Il ministro della Giustizia, Davit Harutyunyan, ha spiegato che in accordo con l’articolo 155 della Costituzione armena il Consiglio di sicurezza definisce le linee della politica di difesa e che, come previsto dal premier, può discutere questioni relative alla sicurezza, all’integrità territoriale e a quella dei confini. Le attività dell’organo saranno regolate non solo dalla nuova legge ma anche dalla legge sulla difesa. (Res)

Il Milan arriva in Armenia (Vaccarinews 25.01.18)

La squadra rossonera celebrata da un foglietto. L’iniziativa per aver vinto tre volte la Coppa intercontinentale di calcio, nel 1969, 1989 e 1990

Dall’album dei ricordi il tributo per una delle squadre che più si sono fatte notare nella Coppa intercontinentale di calcio, la sfida in essere tra il 1960 ed il 2004. È il Milan, che conquistò il titolo tre volte (il massimo!), nel 1969, 1989 e 1990.

L’omaggio postale per i rossoneri proviene dall’Armenia; si tratta di un foglietto emesso il 29 dicembre, nominale da 500 dram. Lavorato da Vahagn Mkrtchyan, propone il team della stagione 1990-1991 ed il trofeo conquistato, mentre sulla cimosa del blocco vengono richiamati due luoghi topici della città lombarda: lo stadio “Giuseppe Meazza”, ovviamente, ed un’affollata piazza del Duomo.

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Giochi, in Armenia innalzata a 21 anni età minima per giochi e scommesse (Agimeg.it 24.01.18)

In Armenia l’Assemblea Nazionale ha votato all’unanimità la modifica dell’età minima per poter effettuare una scommessa, elevandola da 18 a 21 anni, e inasprendo le sanzioni per le sale gioco che non rispetteranno il divieto. Samvel Farmanian, il legislatore che ha redatto la normativa, ha argomentato la decisione affermando che i minori di 21 anni solitamente non lavorano e per questo motivo non possono mantenersi economicamente, motivo per il quale, per loro, il gioco deve essere vietato. La multa per sale giochi e sale scommesse che non rispettano il divieto è di 4 mila dollari alla prima violazione, di 10 mila dollari alla seconda e 20 mila alla terza. lp/AGIMEG

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Armenia-Singapore: premier Karapetyan incontra vicepremier Shanmugaratnam a Davos, focus cooperazione economica (Agenzianova 24.01.18)

Davos, 24 gen 12:13 – (Agenzia Nova) – Il primo ministro armeno, Karen Karapetyan, ha incontrato il vice premier di Singapore, Tharman Shanmugaratnam, ai margini del forum economico di Davos (Svizzera). Shanmugaratnam, che è anche responsabile per il coordinamento delle Politiche economiche e sociali presso il relativo ministero, ha sottolineato l’importanza del patrimonio culturale e storico armeno a Singapore; “per noi è molto importante avere buone relazioni e una cooperazione con Erevan”, ha aggiunto il vice premier. Karapetyan ha invece affermato che il percorso di sviluppo del paese asiatico è un buon esempio per l’Armenia e che, dall’altro lato, l’esperienza di Erevan nella produzione dei vini, nel settore dell’agricoltura biologica, dell’educazione e delle tecnologie per l’informazione può risultare interessante per Singapore. (segue) (Res)

Negazionismo di Stato (Gariwo 23.01.18)

Riportiamo di seguito l’intervento di Pietro Kuciukian, console onorario d’Armenia in Italia e cofondatore di Gariwo, all’incontro tenutosi a Lugano il 22 gennaio: La questione del negazionismo: dalla Shoah al web.

I genocidi vengono organizzati per lo più quando vi è al potere un partito unico. L’occasione viene di solito offerta da un conflitto in atto, una guerra o una rivoluzione. Quasi sempre vengono occultati sul nascere.
Perché nascondere un’opera che si intraprende per un finalità che si considera “buona”? Il caso armeno è particolare.

Hitler, nel suo delirio, fin dall’inizio non ha mai mascherato la sua avversione verso gli ebrei e ne ha progettato lo sterminio senza preoccuparsi di occultare questo folle piano.
Al contrario, il governo ottomano dei “Giovani turchi” nel 1915 ha pianificato e organizzato l’eliminazione dei propri sudditi armeni ottomani per motivi politici, segretamente, poiché anche i partiti armeni, in particolare dopo la rivoluzione del 1908, facevano parte del governo. Nel progettare il genocidio, l’ala nazionalista radicale del Partito Unione e Progresso ha tenuto in grande considerazione fin dall’inizio, il suo occultamento, la sua negazione. Negazione che verrà portata avanti fino ai nostri giorni.

Talaat, il primo ministro turco inviava dispacci e istruzioni ufficiali senza mai nominare esplicitamente gli armeni; li indicava come “popolazioni altre”, che dovevano essere “dislocate”, con provvedimenti dichiarati “legittimi”, resi necessari da condizioni eccezionali di guerra, mentre nelle istruzioni ufficiose, in genere telegrammi che dovevano poi essere distrutti, gli armeni erano chiaramente indicati come elementi da eliminare. Negli archivi turchi sino ad oggi sono custodite e messe a disposizione degli studiosi “le copie benigne degli ordini maligni” – come osserva lo storico Yves Ternon.
Istruzioni segrete ordinavano di eliminare gli intellettuali e i maschi armeni conducendoli fuori dalle città in piccoli gruppi, alla spicciolata, per non dare nell’occhio e non allarmare l’opinione pubblica. Talaat comunicava alle prefetture di fare attenzione: i consoli, i missionari, i viaggiatori stranieri non dovevano venire a conoscenza dello sterminio pianificato degli armeni.

La negazione dello sterminio armeno va di pari passo con la sua esecuzione, prima e durante il genocidio, come si evince da alcuni esempi.
Rafael De Nogales, un ufficiale venezuelano arruolato nell’esercito ottomano, scrive nelle sue memorie di avere assistito allo spoglio dei cadaveri degli armeni massacrati, rivestiti poi con indumenti curdi, fotografati da reporter bene istruiti.
Fayez El Ghossein, un Giusto islamico testimone del genocidio armeno, ricorda che i cadaveri di maschi nudi che intasavano le rive dell’Eufrate erano stati evirati, per non mostrare che non erano circoncisi. Occultare è portare una maschera mentre si compie un delitto, un atto che si ritiene necessario, per non subire poi le conseguenze dei crimini commessi.

L’insistente negazionismo della Turchia repubblicana succeduta al governo ottomano dei Giovani Turchi è la continuazione dell’opera di occultamento iniziale. La ragione prima risiede nel fatto che gli affiliati e i maggiori responsabili del Partito Unione e progresso (CUP), sono confluiti nel movimento rivoluzionario di Mustafa Kemal, abilissimo negoziatore che volgendo a suo vantaggio la sconfitta della guerra è riuscito a fondare nel 1923 la nuova Repubblica di Turchia.

Un “peccato originale” è all’origine del negazionismo di Stato in Turchia: i padri della patria della Turchia moderna e i responsabili del genocidio armeno sono le stesse persone, cosicché la Turchia non potrebbe condannarli se non a patto di rinnegare se stessa.

Fin qui il negazionismo di Stato. Esiste tuttavia anche il negazionismo dei singoli individui, non necessariamente perseguibile perché frutto di un’opera di disinformazione sistematica. Infatti la Repubblica turca ha messo in atto sino ad oggi un revisionismo storico negazionista per diffondere la grande menzogna tra i suoi cittadini e nel resto del mondo. A ciò ha contribuito l’avvento delle riforme kemaliste ispirate alla laicità, prima fra tutte l’abbandono dei caratteri arabi “osmanli” per quelli “latini”. Si è persa in questo modo la possibilità per gli studenti e per la gente comune di conoscere il loro passato, i 500 anni dell’Impero ottomano sono stati cancellati con un colpo di spugna. Io oggi posso leggere le lettere in armeno che mio nonno inviava a mio padre nel 1915. A pochi turchi è data questa possibilità; vi è una totale ignoranza della cultura ottomana e anche del genocidio degli armeni. E questa ignoranza continua nelle scuole turche da un secolo. Ignoranza che ha fatto esclamare a Rakel Dink, ai funerali del marito Hrant Dink – il giornalista turco-armeno assassinato nel 2007 da un fanatico nazionalista a Istanbul -: “Il buio che ha istruito questo ragazzo l’ha fatto divenire un assassino”.

L’anno scorso mi trovavo a Van, nell’Anatolia dell’Est, l’Armenia storica, assieme ad un gruppo di armeni, e ho assistito a uno strano colloquio fra un turco e un curdo: “ Cosa ci fanno qui questi armeni?”, ha chiesto il primo. “Ma era la loro terra”, ha risposto il secondo. Il turco istruito nelle scuole kemaliste ignorava, il curdo semianalfabeta conosceva la verità.

Una legge che punisse il negazionismo dei singoli individui (v. il caso francese) andrebbe contro la libertà della persona e sarebbe un danno per la democrazia. La battaglia va combattuta sul terreno della ricerca e della cultura. A questo proposito il giornalista Hrant Dink, eliminato perché lavorava per il dialogo turco-armeno, dichiarava: “Vado in Francia a sostenere che il genocidio armeno non c’è stato, mentre qui in Turchia dico che c’è stato; vediamo chi mi condanna per primo”.

Diverso è il caso del negazionismo di Stato frutto dell’occultamento reiterato della verità storica: dovrebbe esistere una legge sovranazionale, frutto di una voce comune ed espressione della nuova coscienza dei diritti umani sorta dalle macerie della guerra. Una legge da sottoporre all’ONU, che sanzioni gli stati negazionisti come l’Iran per la Shoah e la Turchia per il genocidio armeno. Il negazionismo turco nasce dalla menzogna e crea menzogne: nelle scuole turche di oggi si insegna che i turchi hanno da sempre abitato l’Anatolia, che la “razza” turca è quella originaria, che il turco non può avere commesso atrocità, che sono stati gli armeni a uccidere i turchi. E qui siamo in presenza di una argomentazione classica del negazionismo , il rovesciamento delle responsabilità. La stessa argomentazione che faceva dire ad Hanna Arendt :L’enormità stessa dei crimini commessi conferisce agli assassini che proclamano la loro innocenza con le menzogne la sicurezza di essere creduti più facilmente delle vittime che dicono la verità.

Nel 1927, in un celebre discorso “politico”, Mustafa Kemal (Ataturk, il padre dei turchi) afferma che la Repubblica turca è il grande Paese che è stato capace di rinascere e di uscire rafforzato dalla guerra avendo saputo resistere agli attacchi di minoranze “immorali”. Pone così le basi della storiografia ufficiale negazionista della Repubblica turca: gli armeni vengono espulsi dalla storia dell’Impero ottomano.

Consapevole dei problemi creati dallo sterminio degli armeni, a questa menzogna politica originaria aggiunge nel 1930 la fondazione della Società Storica Turca, per occultare le prove del “delitto senza nome”, alterare gli archivi, distribuire borse di studio agli atenei di molti Paesi col fine di riscrivere la storia.
Non basta. La Società Storica Turca aggiunge che i turchi sono stati da sempre gli abitanti originari dell’Anatolia e gli Ittiti (peraltro indoeuropei) sono da considerare gli antenati degli odierni turchi.

In conclusione va detto che il negazionismo turco è stato anche controproducente: ha alimentato per più di cento anni l’ostinazione degli armeni a ricordare, poiché ogni famiglia armena ha un parente che è stato eliminato non per quello che aveva fatto, ma solo perché era armeno.

Inoltre il pervicace negazionismo turco di Stato ha anche una spiegazione economica: dopo la fine della Grande Guerra i tre decreti legge emanati dal Governo dei Giovani Turchi, cancellazione delle riforme costituzionali, deportazione temporanea, confisca dei beni, avrebbero dovuto essere abrogati in base ai trattati di Sevres e di Losanna. La Turchia Repubblicana soppresse i primi due decreti, ma mantenne illegalmente quello della confisca dei beni abbandonati e i pochi armeni rimpatriati dopo il primo conflitto mondiale furono ancora una volta scacciati dalle loro terre.
Riconoscere oggi da parte della Turchia il genocidio che, in base alla Convenzione dell’ONU del 1948, non va mai in prescrizione, significa non solo un risarcimento morale ma anche l’obbligo di un risarcimento economico: risarcire un popolo dei suoi beni posseduti da 3000 anni su un territorio che ha visto il suo primo insediamento.

Analisi di Pietro Kuciukian, console onorario d’Armenia in Italia

Armenia: Federazione rivoluzionaria, Sargsyan (Partito repubblicano) può essere nostro candidato (Agenzianova 22.01.18)

Erevan, 22 gen 11:16 – (Agenzia Nova) – Armen Sargsyan, candidato del Partito repubblicano armeno (Rpa) alle prossime elezioni presidenziali, può essere un nome accettabile anche per la Federazione rivoluzionaria armena (Arf). Lo ha detto il segretario di Arf, Aghvan Vardanyan. Sarebbe già avvenuto un incontro informale tra i due leader, ma ne è stato pianificato un altro, in seguito al quale Arf renderà definitivamente nota la propria posizione. “Al momento, comunque, non vedo ragioni per non appoggiare la candidatura di Sargsyan”, ha detto Vardanyan. Il candidato repubblicano ha un’esperienza internazionale accademica nel campo delle scienze, ed è stato ambasciatore nel Regno Unito dal 1991 al 1995, nonché nel 1998-1999 e dal 2013 in poi; è stato inoltre capo della missione armena presso l’Ue nel 1995-1996 e primo ministro nel 1996-1997. Nel 2000 è stato il presidente fondatore dell’organizzazione no-profit internazionale Eurasia House International, e dal 2001 al 2013 ha ricoperto vari incarichi presso le compagnie British Petroleum, Alcatel e Telefonica. Le presidenziali in Armenia si terranno il 2 marzo ed eleggeranno il quarto capo dello Stato nella storia della repubblica caucasica. (Res)

Chi sono i curdi? (Lastampa.it 22.01.18)

I curdi sono una popolazione che vive divisa tra cinque Stati diversi: la Turchia, l’Iraq, l’Iran, la Siria e l’Armenia. La campagna “Ramoscello d’ulivo” lanciata dall’esercito turco contro i curdi è solo l’ultima di una lunga serie di ostilità da parte delle nazioni in cui questo popolo vive.

I curdi occupano una grande area, soprattutto montuosa, al centro tra il Mar Caspio, il Mar Nero, il Mediterraneo e il Golfo Persico. La stima è che siano tra 25 e 35 milioni, forse di più, ma un censimento preciso non esiste. Gruppi di curdi sono emigrati sia verso le città della Turchia che dell’Iraq, così come verso altri Paesi del Medio Oriente e in Europa soprattutto verso la Germania.

I curdi hanno origini antiche, ma non hanno mai avuto un proprio Stato, a parte una breve esperienza di una Repubblica autonoma sostenuta dall’Urss in Iran subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale. L’Enciclopedia Britannica fissa la prima citazione certa dei curdi al VII secolo, ma ricorda che potrebbero avere a che fare anche con i carduchi citati dallo storico greco Senofonte nell’Anabasi.

Parlano un gruppo di dialetti simili e vicini al persiano, ma non hanno una vera e propria lingua. Sono per la maggior parte musulmani sunniti, ma anche sciiti, sufi e di altre confessioni. L’esistenza del popolo curdo è sempre stata chiara agli occidentali, tanto che dopo la Prima guerra mondiale, con la fine dell’Impero Ottomano, il Trattato di Sevres prevedeva la creazione del Kurdistan e definiva anche i suoi confini, ma non entrò mai in vigore. Nacque invece la Turchia.

In Iran i curdi sono circa il 10%, il kurdistan è una provincia, non c’è mai stato un movimento indipendentista molto forte e l’Iran accolse molti curdi durante la guerra con l’Iraq.

In Iraq invece ci sono stati scontri armati per decenni e negli anni Ottanta i regime di Saddam Hussein mise in atto un vero genocidio dei curdi. Oggi in Iraq la popolazione curda rappresenta tra il 15 e il 20% del totale, il kurdistan è una provincia autonoma e il curdo è riconosciuto come lingua ufficiale. Un referendum per la completa indipendenza si è svolto nel settembre del 2017 e avrebbe ottenuto il consenso del 90% di 3 milioni e 300 mila votanti, ma non è stato riconosciuto da governo iracheno.

In Siria i curdi sono meno del 10% della popolazione. Il regime non ha mai concesso nessuna autonomia, senza mettere in atto aperte persecuzioni ha sistematicamente espropriato le terre ai curdi tentato di colonizzare le zone curde. Oggi in Siria, come anche in Iraq e Turchia, i curdi sono stati determinanti nelle battaglie contro il sedicente Stato islamico, da Kobane a Raqqa. Dal 2014 i partiti curdi hanno dichiarato una amministrazione autonoma in tre province.

In Armenia i curdi dopo la fine dell’Unione sovietica sono stati costretti in buona parte ad andarsene, attraverso l’esproprio e la discriminazione economica.

 

In Turchia i curdi sono tra il 15 e il 20% della popolazione e l’ostilità con il governo centrale continua fin dalla formazione dello Stato turco. Il Partito dei lavoratori curdi, PKK, negli anni Ottanta cominciò una guerriglia armata ed è considerato un partito terrorista e il suo leader Abdullah Öcalan è in carcere, condannato all’ergastolo. Nel 1995 sei parlamentari curdi furono privati dell’immunità e condannati a 15 anni di carcere. Il termine kurdistan in Turchia è proibito e i curdi vengono definiti turchi di montagna o turchi dell’Est.

Metti una sera a cena con Antonia Arslan al “Perchè” di Roncade per incrociare letteratura, storia e gusto (Padova24ore 22.01.18)

La scrittrice de “La Masseria delle allodole”, Antonia Arslan, simbolo della comunità italo-armena, sarà sabato 27 gennaio al “Perché” di Roncade, Treviso, con il giornalista-viaggiatore Renato Malaman per un “viaggio” nella storia e nella tradizione della più antica nazione cristiana al mondo. Seguirà una tipica cena armena con Anna Maria Pellegrino, volto noto di “Geo” ed esperta di cucina etnica

La scelta del Giorno della Memoria non è casuale. Partendo dal ricordo della Shoah, sabato prossimo 27 gennaio al ristorante “Perché” di Roncade, contenitore culturale non nuovo ad eventi di spessore, sarà ricordato anche un altro genocidio. Un genocidio peraltro dimenticato dalla storia, quello patito un secolo fa dal popolo armeno e finora mai riconosciuto da chi l’ha causato. Le vittime furono oltre 1.500.000 e l’Armenia storica perse gran parte dei propri territori, compreso il monte Ararat, simbolo stesso della nazione.
Ospite della manifestazione Antonia Arslan, la scrittrice che nel 2004 con “La masseria delle allodole” (opera vincitrice di numerosi premi e tradotta finora in 24 lingue) ha alzato il velo sui tragici fatti che hanno portato al genocidio, evidenziandone anche i responsabili.
Antonia Arslan, simbolo stesso della comunità italo-armena, incontrerà alle 17,30 il giornalista-viaggiatore Renato Malaman (che ha visitato il paese di recente) per un focus sull’Armenia di ieri e di oggi, fra storia, cultura e memoria del paese caucasico che è – va ricordato – la prima nazione cristiana al mondo (301 d.C.). Un racconto sul filo del tema “Dal genocidio alla rinascita” che aiuterà a conoscere meglio questo paese dall’anima profonda, tra le cui montagne sorgono monasteri di infinita bellezza e si snoda l’antica Via della Seta. Una proiezione di immagini accompagnerà questo viaggio ricco di suggestioni e con uno sguardo attento rivolto anche al presente: l’Armenia è indipendente dal 1991, dopo la dissoluzione dell’Urss.
La seconda parte della manifestazione sarà dedicata alla cucina tradizionale armena. Alle 20,30, sempre al “Perché”, Anna Maria Pellegrino presenterà un menu che evocherà i profumi e i sapori di quella terra, così ricca anche di spezie. La giornalista e cuoca, volto noto di “Geo” (la trasmissione di Rai 3), attingendo alla sua passione per le cucine etniche, preparerà alcuni piatti della tradizione armena, insieme a Luca Boldrin, cuoco del “Perché”.
Saranno abbinati ai vini armeni di Zorah ottenuti da vitigni autoctoni.
La partecipazione all’incontro del pomeriggio è libera e aperta a tutti. Per la cena (costo 30 euro) è richiesta la prenotazione allo 0422 849015.

ARMENIA: Punire la violenza domestica o “ristabilire l’armonia familiare”? (Eastjournal 22.01.18)

Ci sono voluti oltre dieci anni di battaglie condotte dalle organizzazioni per i diritti delle donne, due proposte bocciate dal parlamento nel 2009 e 2013, e mesi di accesi dibattiti, affinché l’Armenia adottasse finalmente una legge sulla violenza domestica.
Nella versione finale approvata lo scorso dicembre, la tanto attesa legge ha però subito un totale stravolgimento che ne mette in dubbio l’efficacia e addirittura la vera finalità. Qual è il risultato e cosa ne pensano la società civile e le organizzazioni per i diritti delle donne?

Cambia il nome, cambia la sostanza

Il titolo parla da sé: quella approvata dall’Armenia è una legge “sulla prevenzione della violenza nella famiglia, sulla protezione delle vittime di violenza nella famiglia e sul ristabilimento dell’armonia familiare”. Per prima cosa, il termine “violenza domestica” è stato sostituito da violenza “nella famiglia”: una modifica che restringe il campo d’azione della legge. Come lo spiega l’attivista Artur Sakunts, direttore della Helsinki Citizens’ Assembly di Vanadzor, secondo la formulazione attuale la legge è applicabile solo nei casi di coppie ufficialmente sposate e che vivono sotto lo stesso tetto.

In secondo luogo, il titolo della legge racchiude in sé il cosiddetto “principio della riconciliazione”, che ha suscitato l’ira delle associazioni per i diritti delle donne. In pratica, la legge prevede che le forze di polizia (e lo stato stesso) possano intromettersi nella vita privata delle coppie per proporre una mediazione. Gli abusanti potranno “riconciliarsi” con le vittime attraverso un organo indipendente (la cui composizione e nomina non sono ancora state chiarite) al fine di risolvere la questione senza ricorrere al tribunale. Secondo Lara Aharonian, co-direttrice del Women’s Resource Center, questo tipo di mediazione, già rivelatosi inefficace in altri paesi, presenta dei rischi per le vittime di violenza domestica: può essere usato come forma di pressione ed è inoltre assolutamente inappropriato quando il rischio che la violenza si ripeta è alto.

Non si combatte l’impunità

Un sondaggio condotto dall’OSCE nel 2011 rivela che almeno il 60% delle donne armene ha subito qualche forma di violenza domestica nella propria vita. Allarmante è anche il tasso di femminicidi: tra il 2010 e il 2017, almeno 50 donne sarebbero state uccise dai propri compagni o ex-partner. Nella maggioranza dei casi, le indagini sono condotte in modo superficiale, i colpevoli vengono addirittura giustificati di fronte al tribunale e ricevono pene minime (9 anni di carcere in media).

Alla luce di questi dati, un altro punto debole della nuova legge è il mancato inasprimento delle pene. L’unico cambiamento che essa introduce nel codice penale è infatti di tipo preventivo: se avvertita, la polizia potrà intervenire più rapidamente per proteggere la vittima, anche prima che la violenza abbia luogo. Infine, sebbene il testo proponga la creazione di un Consiglio incaricato di supervisionare la messa in atto della legge, i membri di quest’organo saranno nominati dal primo ministro, ciò che ne mette in discussione l’imparzialità.

Secondo Aharonian, gli aspetti positivi della nuova legge si limitano alla creazione di nuovi centri di accoglienza per le vittime di violenza domestica, e ad una serie di misure di sensibilizzazione al problema. Tra queste, dei corsi di formazione rivolti al personale giudiziario e dell’educazione, e alle forze di polizia.

Tempi lunghi e disinformazione

L’adozione di una legge sulla violenza domestica in Armenia è frutto del lungo lavoro di attivismo svolto, a partire dal 2007, dalle organizzazioni per i diritti delle donne, sostenute anche dalla diaspora. I dieci anni trascorsi tra l’inizio del dibattito e l’approvazione della legge sulla violenza domestica hanno però favorito il diffondersi di controversie e manipolazioni mediatiche.

In particolare, gruppi di nazionalisti e altre pseudo-ONG sostenute dalla Russia hanno cercato di screditare la legge negandone la necessità e diffondendo informazioni false sul suo contenuto. Secondo una delle notizie infondate che ha avuto più seguito tra l’opinione pubblica, la legge sulla violenza domestica non sarebbe altro che “un nuovo meccanismo di distruzione della famiglia, per sottrarre i bambini ai genitori ed affidarli ai centri di accoglienza”, nonché opera di gruppi “ostili all’interesse della nazione”.

Nuovo terreno di scontro tra i sostenitori dei cosiddetti “valori tradizionali” contro quelli “occidentali” e “liberali”, la legge sulla violenza domestica ha inoltre risentito delle oscillazioni geopolitiche in cui l’Armenia è coinvolta – e che emergono anche nelle contraddizioni interne al governo.

Tra due fuochi

Fino all’ultimo, Eduard Sharmazanov, leader del partito di maggioranza, ha infatti criticato la legge (finalizzata dal suo stesso governo) perché contraria ai “valori della famiglia tradizionale” e ad alcuni princìpi biblici tra cui l’ubbidienza della donna all’uomo. Eppure, vari commentatori avevano previsto che la legge sulla violenza domestica sarebbe alla fine stata approvata – anche se in una versione più “soft”.

In ballo c’era infatti un assegno di 11 milioni di euro, provenienti dal programma di sostegno al bilancio per i diritti umani della Commissione Europea. Una somma considerevole che sarebbe stata destinata all’Armenia previa adozione di una legge sulla violenza domestica, come parte del Piano d’Azione nazionale per la protezione dei diritti umani. Il governo armeno si è quindi trovato alle strette, tra la necessità di adeguarsi agli standard del programma di sostegno al bilancio, e quella di giostrare l’elettorato conservatore e le organizzazioni nazionaliste e filorusse.

Il risultato è una legge “a metà”. Cercando di accontentare tutte le parti, questa rischia di mancare il suo obiettivo principale, spostando l’attenzione dalla protezione delle vittime di violenza domestica al ristabilimento di un’astratta “armonia familiare”.
Per ora, l’UE non ha espresso pareri sul contenuto della legge.

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Giornata della Memoria: Giardino dei Giusti, incontro a Milano (SIR 22.01.18)

“Responsabilità contro indifferenza. Oggi come ieri, scegliamo di accogliere” è il tema dell’appuntamento annuale organizzato dall’Associazione del Giardino dei Giusti di Milano (composta da Comune di Milano, Gariwo e Ucei, l’Unione delle Comunità ebraiche italiane) con insegnanti e studenti delle scuole di ogni ordine e grado per celebrare la Giornata della Memoria. L’evento si terrà al Teatro “Elfo Puccini” di Milano mercoledì 24 gennaio (dalle ore 9.30). Il programma prende avvio, dopo i saluti istituzionali del presidente del Consiglio comunale di Milano, Lamberto Bertolé, dal tema dell’accoglienza, proponendo la testimonianza di Roberto Jarach, vicepresidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, e del giornalista Stefano Pasta, della Comunità di Sant’Egidio, accompagnato da un giovane profugo proveniente dalla Guinea Conakry accolto nella struttura, che racconteranno l’esperienza di ospitalità ai profughi fornita dal “Binario 21” e dialogheranno con il presidente di Gariwo, Gabriele Nissim, sul tema della responsabilità. A seguire, Elisa Giunipero, docente di Storia contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, racconterà la storia degli ebrei di Shanghai e in particolare di Ho Feng Shan, console cinese a Vienna che fornì passaporti falsi agli ebrei per salvarli dalle deportazioni. Dal ricordo della Shoah alla contemporaneità, con la testimonianza di Emilio Barbarani, che operò nell’Ambasciata italiana a Santiago del Cile negli anni ’70, salvando la vita a centinaia di oppositori di Augusto Pinochet. Tra le testimonianze quelle del console armeno e co-fondatore di Gariwo, Pietro Kuciukian, e del giornalista Simone Zoppellaro, che porteranno l’attenzione sul genocidio contro la comunità yazida, oltre alla video-intervista di Gariwo a Nadia Murad, rapita dall’Isis e sfuggita ai suoi carcerieri dopo due anni di violenze. Nelle stesse terre del genocidio armeno del 1915, oggi si verifica un atto di accoglienza da parte della stessa Armenia, che dal 2014 ha aperto le sue porte ai profughi yazidi. Hammo Shero, il capo yazida del Monte Sindjar che nel 1915 salvò migliaia di armeni ospitandoli sulla montagna, sarà onorato insieme a Ho Feng Shan al Giardino al Monte Stella di Milano in occasione della prossima Giornata dei Giusti dell’umanità (6 marzo).