“Il primo Novecento: genocidi dimenticati”: al Liceo Scientifico di Tropea una giornata di studio (Lacnews24 03.06.24)

Previsti gli interventi di Marcello Flores ed Ettore Cinnella, tra i massimi esperti in materia e autori di due fondamentali ricostruzioni storiografiche sull’eccidio perpetrato ai danni degli Armeni nel 1915-1916 e quello subito dagli Ucraini nel 1932-33

Il primo Novecento: genocidi dimenticati”. È questo il titolo della giornata di studio che si terrà, in diretta streaming, giovedì 5 giugno nell’aula magna del Liceo Scientifico di Tropea e vedrà in video collegamento gli interventi dei professori Marcello Flores ed Ettore Cinnella, tra i massimi esperti in materia e autori di due fondamentali ricostruzioni storiografiche aventi ad oggetto, rispettivamente, il genocidio perpetrato ai danni degli Armeni nel 1915-1916 e quello subito dagli Ucraini nel 1932-33.

Aprirà i lavori il presidente dell’associazione “Alexandra”, Emanuele Giudice, che si occuperà di inquadrare giuridicamente e comparativamente la nozione di genocidio; a seguire, le relazioni degli studenti e la discussione aperta con gli storici.
«Si tratta – spiega il dirigente dell’IIIS Tropea, Nicolantonio Cutuli – di una iniziativa di approfondimento fortemente voluta dal nostro Istituto e che ha coinvolto e impegnato gli studenti della quinta A del nostro Liceo Scientifico, guidati da Giulio Le Pera, il quale ha proposto e seguito questo progetto all’interno del percorso annuale di Storia, Filosofia ed Educazione civica».
«Desidero ringraziare – afferma Le Pera, coordinatore della giornata di studio – i due insigni studiosi che hanno non solo accettato l’invito ma si sono resi disponibili durante l’iter didattico per offrire la loro consulenza e le opportune delucidazioni. Gli studenti hanno così avuto modo di leggere e analizzare a fondo due testi imprescindibili in materia, quali sono Il genocidio degli Armeni del prof. Flores e 1932-33. Ucraina. Il genocidio dimenticato del prof. Cinnella.

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Cronache da una parte di mondo in cui c’è più voglia di pace che di guerra (Huffington Post 02.06.25)

Nel Caucaso, Armenia e Azerbaigian provano a chiudere la contesa sul Nagorno-Karabach e altri confini contesi. La prima si dice pronta a firmare la pace, il secondo vuole altre garanzie. Ma intanto le armi tacciono. Dettagli su trattative di buona volontà

“Navigando l’ignoto”. Due parole, ben scelte, possono spiegare tante cose meglio di un lungo discorso. Nel Caucaso qualcosa si muove, anche se non è ancora chiaro in che direzione e il governo armeno ha sintetizzato efficacemente in quel titolo di due parole il motivo conduttore della grande conferenza internazionale promossa a Yerevan la settimana scorsa.

Le due guerre in atto alle porte di casa nostra, in Ucraina e a Gaza, con il loro pesantissimo bilancio di vittime e distruzioni e la difficoltà di far tacere le armi, non devono far dimenticare altri conflitti, in corso o congelati.

 

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Iran, chiese armene potenziali attrazioni turistiche (Igna 02.06.25)

Geghard Mansooryan, rappresentante degli armeni di Isfahan nel Parlamento iraniano, ha recentemente visitato i siti religiosi e storici armeni in entrambe le città. Ha sottolineato l’importante ruolo che questi siti potrebbero svolgere nel potenziare l’economia turistica locale.

“Data la presenza storica degli armeni ad Abadan e Ahvaz, queste città sono tra le aree con la più alta concentrazione armena del Paese. Ci sono due chiese in ciascuna città, così come cimiteri e proprietà armene, tutti con un notevole potenziale turistico”, ha affermato Mansooryan.

Durante il suo giro di ispezione, Mansooryan ha notato che la chiesa di Abadan è già stata restaurata, mentre quella di Ahvaz necessita di lavori di ristrutturazione, così come i cimiteri adiacenti. Ha sottolineato l’importanza di preparare questi siti per i visitatori in modo strutturato e rispettoso, affermando: “L’organizzazione dei cimiteri deve essere migliorata per accogliere il turismo. La comunità armena locale sta pianificando di valutare ulteriormente il potenziale turistico di queste chiese e cimiteri nei prossimi mesi”.

Mansooryan ha concluso sottolineando la necessità di prendere in considerazione tutte le risorse patrimoniali disponibili quando si pianifica lo sviluppo del turismo, sottolineando che sfruttare al meglio questi siti sottoutilizzati potrebbe contribuire in modo significativo al finanziamento e al sostegno delle iniziative turistiche locali.

Iran tra storia e cultura

Situate nella provincia sud-occidentale del Khuzestan, le città di Abadan e Ahvaz offrono un’affascinante combinazione di storia, cultura e patrimonio industriale, rendendole mete turistiche uniche e meno conosciute di questo antico paese.

Ahvaz, capoluogo di provincia, sorge sulle rive del fiume Karun ed è da tempo un centro di industria, cultura e diversità etnica. La città ospita un mix di comunità persiane, arabe, lur e armene, ciascuna delle quali contribuisce al suo vivace tessuto culturale. Ahvaz vanta diversi ponti storici, vivaci mercati tradizionali e un’atmosfera dinamica lungo il fiume. Tra i suoi siti culturali meno noti ma significativi figurano chiese e cimiteri armeni, che riflettono la presenza di lunga data della comunità armena nella regione. Sebbene alcuni di questi siti storici necessitino di restauro, rappresentano risorse preziose per il turismo culturale e religioso.

Abadan, un tempo uno dei centri di raffinazione del petrolio più importanti al mondo, ha un carattere urbano distintivo plasmato dalla sua moderna storia industriale e dalla sua popolazione multiculturale. La città è nota soprattutto per la sua raffineria, simbolo storico dell’industria petrolifera iraniana. Negli ultimi anni, l’attenzione si è rivolta alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio architettonico e religioso di Abadan, tra cui la chiesa armena restaurata, che si erge a testimonianza del variegato passato della città. Con un’eredità di coesistenza e un’importanza strategica sia durante il boom petrolifero che durante la guerra Iran-Iraq, Abadan si sta affermando come un sito di interesse per il turismo legato al patrimonio industriale, al turismo bellico e all’esplorazione culturale.

Lo sterminio degli armeni e il destino comune agli ebrei: la dhimmitudine sotto i regimi musulmani (Mosaico-cem 01.06.25)

Nonostante le ovvie differenze, vi sono notevoli somiglianze fra Israele e Armenia: due piccoli Stati circondati da nemici che tentano implacabilmente di distruggerli, con alleanze fragili e indecise, accusati di “occupare” territori che fanno parte della loro eredità storica, obbligati dunque a difendere continuamente la propria sicurezza. E, al di là della situazione attuale in cui le costrizioni della geopolitica li vedono schierati su fronti opposti (gli armeni che hanno con l’Iran, il principale nemico di Israele, il solo confine non ostile; Israele che per vigilare e potenzialmente contrastare l’Iran ha bisogno dell’alleanza con l’Azerbaigian, il più attivo nemico dell’Armenia) vi sono somiglianze anche maggiori fra le storie che stanno dietro a questi Stati; due popoli antichi perseguitati da grandi imperi che volevano annetterli, privati dell’indipendenza, ridotti in maggioranza alla diaspora, che hanno vissuto a lungo principalmente col commercio.

Ma soprattutto entrambi vittime nella prima metà del secolo scorso di efferati genocidi che hanno sterminato quasi metà della popolazione e distrutto i loro principali insediamenti storici. Se della Shoah dopo il silenzio dei primi decenni si continua a parlare, benché purtroppo ciò non impedisca il ritorno dell’antisemitismo di cui siamo testimoni oggi sotto forma di antisionismo, del genocidio degli armeni, Medz Yeghern (il “Grande Male”) come lo chiamano loro, in generale si parla poco e il pubblico generale ne sa ancora meno.

Bisogna dire che la denuncia delle stragi ottomane contro gli armeni fu fatta inizialmente soprattutto da fonti ebraiche: l’ambasciatore americano a Istanbul Henry Morgenthau, l’agronomo Aaron Aaronsohn e sua sorella Sarah che lo testimoniò ai britannici, il grande scrittore Franz Werfel con il suo romanzo I 40 giorni del Mussa Dagh. Poi il genocidio fu illustrato da un altro romanzo importante, questa volta di un’autrice italo-armena: La masseria delle allodole di Antonia Arslan e naturalmente da numerosi studi storici. Ma ancora c’è bisogno di parlarne, anche perché in questo tempo è minacciata la vita stessa dello Stato armeno.

Lo fa di nuovo in Italia un ebreo, Vittorio Robiati Bendaud, che ha pubblicato un’importante riflessione storica sulla genesi e lo svolgimento del genocidio, intitolato programmaticamente Non ti scordar di me. Storia e oblio del genocidio armeno (Liberilibri, con prefezione di Paolo Mieli). Il libro riporta i fatti principali del genocidio del 1915, sottolineandone la continuità con i grandi “massacri hamidiani” del 1894-1897 e gli eccidi della Cilicia del 1909, ma anche con l’azione successiva alla fine della guerra, quando Mustafa Kemal, rifondatore della Turchia, cercò di completare l’opera di distruzione degli armeni. Ma quel che forse è più significativo e impressionante di questo libro è l’indagine sulle premesse socio-culturali delle stragi, cioè la riflessione sulla condizione di subordinazione (“dhimmitudine”) dei popoli non musulmani nel mondo islamico e nell’impero ottomano, il profondo radicamento di questa ideologia in una visione del mondo che include ancora oggi la condizione femminile e quella degli ebrei e l’illustrazione delle reazioni razziste anti-armene in Europa e soprattutto nel mondo germanico, perfettamente parallele all’antisemitismo. Sono fattori che oggi agiscono ancora e con cui ancora devono fare i conti tanto gli ebrei quanto gli armeni.

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Putin a Pashinyan: “Garantiamo lo sviluppo delle relazioni Russia-Armenia in sicurezza e prosperità” (Agenzia Nova

Russia e Armenia possono garantire congiuntamente lo sviluppo delle relazioni tra i due Stati in termini di sicurezza, stabilità e prosperità. Lo ha affermato il presidente russo Vladimir Putin, in un messaggio di auguri per il 50mo compleanno del primo ministro armeno, Nikol Pashinyan.

“Russia e Armenia hanno storicamente relazioni amichevoli. Sono certo che attraverso sforzi congiunti saremo in grado di garantire un ulteriore sviluppo di queste relazioni in tutte le direzioni. È indubbiamente nell’interesse dei nostri popoli e va di pari passo con il rafforzamento della stabilità, della sicurezza e della prosperità nella regione eurasiatica”, si legge nel telegramma inviato da Putin.

Armenia-Azerbaijan, 30 anni di conflitto: cosa cambia nella Regione del Caucaso (Rivieraweb 31.05.25)

In Armenia si è tenuta la 2° edizione del forum internazionale “Yerevan Dialogue 2025”, un momento che riunisce leader politici, diplomatici, accademici e rappresentanti della società civile provenienti da oltre 80 paesi. L’edizione di quest’anno oltre le questioni globali, le tensioni geopolitiche, l’incertezza economica e la biodiversità, ha avuto un focus importantissimo per l’intero Caucaso Meridionale: gli accordi di pace tra l’Armenia e l’Azerbaijan dopo oltre 30 anni di conflitto.

L’edizione di quest’anno del forum “Yerevan Dialogue 2025” tenuta a Yerevan, capitale dell’Armenia, il 26 e 27 maggio ha permesso un confronto e un dialogo aperto con altri 80 paesi provenienti da tutto il mondo per discutere congiuntamente di questioni globali, delle tensioni geopolitiche, della crescente incertezza economica, sulle tendenze dell’UE e del commercio, la perdita di biodiversità e infine la politica sull’uso dell’intelligenza artificiale. Le parole del Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan, sono state forse il momento più atteso di tutto il forum, per discutere sul futuro dell’Armenia: gli accordi di pace con l’Azerbaijan.

La storia

L’Armenia e l’Azerbaijan nel Caucaso meridionale sono dal 1991 due Stati in guerra. Il focus di questa guerra riguarda principalmente la regione del Nagorno Karabakh, un enclave cristiana del territorio armeno con una popolazione di oltre 150mila persone, circondata da terra Azera. I due paesi hanno combattuto due guerre importanti per il controllo della regione del Nagorno Karabakh, la prima nel 1992 vinta dall’Armenia dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la seconda nel 2020, vinta dall’Azerbaigian. Durante il secondo conflitto la popolazione del Nagorno Karabakh è stata completamente soggetta alla presenza azera, e alla fine, dopo una stagione di tensione durata quasi 3 anni, la popolazione del Karabakh ha optato per un esodo di massa piuttosto che rischiare un altro massacro. Il Corridoio di Lachin, unica striscia di terra di collegamento diretta all’Armenia, è rimasto chiuso per oltre 10 mesi, portando la popolazione allo stremo senza beni di prima necessità. In sei settimane di conflitto sono morte circa 7mila civili prima del cessate il fuoco, costringendo l’Armenia alla cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh.

Yerevan Dialogue 2025

L’accordo di marzo 2025 tra l’Armenia e l’Azerbaigian ha rappresentato un passo rilevante verso la formalizzazione e la normalizzazione delle relazioni bilaterali. Entrambe le parti hanno accettato un accordo di pace, per cui manca da stabilire solo la data e il luogo della firma. A rendere fragile la firma conclusiva sono alcun condizioni imposte dall’Azerbaijan: sciogliere il Gruppo di Minsk dell’OSCEmodificare la Costituzione armena eliminando dal preambolo la dicitura “riunificazione della Repubblica socialista sovietica armena e della regione montuosa del Karabakh”. Per alcuni una questione superflua visto che il governo Pashinyan ha già riconosciuto pubblicamente l’esercizio della sovranità azera sul territorio del Karabakh, ma questo non ha fatto altro che alimentare i dibattiti interni. Un’altra problematica riguarda il Corridoio di Zangezur, la striscia di territorio armeno che separa l’exclave azera di Naxçıvan, confinante con la Turchia, e il resto dell’Azerbaijan. Il governo di Baku ha richiesto l’apertura al fine di creare un collegamento strategico tra i due spazi, necessario per l’integrazione economica regionale. In questo contesto l’Iran gioca un ruolo strategico per l’Armenia, interessato a mantenere l’asse turco-azero sempre distante, cercando di limitare le ambizioni panturche del governo di Erdogan.

Chi sono gli altri attori

Yerevan cerca di uscire dall’isolamento nel Caucaso e ha iniziato sempre più ad affacciarsi a nuovi attori come l’Unione Europea e gli Stati Uniti, in supporto e a garanzia della sua sovranità. L’Iran resta il protettore di Yerevan. 

Il trattato tra Armenia e Azerbaijan potrebbe davvero la fine delle tensioni regionali? C’è solo da attendere la prossima mossa di Baku, nel frattempo però il Parlamento di Pashinyan ha approvato un disegno di legge per la richiesta di adesione dell’Armenia all’Unione Europea.

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La tragedia del Nagorno Karabakh. Un approfondimento a “Chiese in Diretta” (Cath.ch 31.05.25)

Le guerre devono trovare soluzione. Le ingiustizie devono essere riparate. Il nostro Paese, forte della sua tradizione umanitaria deve collaborare per sostenere una soluzione al conflitto tra l’Azerbaigian e la popolazione armena sfollata del Nagorno Karabakh. Proprio per questo, lunedì scorso si è costituito il comitato interpartitico che desidera promuovere l’importante ruolo della Svizzera come mediatore in questo conflitto irrisolto. L’Iniziativa si basa su una mozione adottata dal Consiglio nazionale, che incarica il Consiglio federale di organizzare questo forum. L’obiettivo dei 19 parlamentari firmatari è quello di facilitare un dialogo aperto tra l’Azerbaigian e i rappresentanti degli armeni che sono dovuti scappare dal Nagorno Karabakh. Lo scopo finale è quello di negoziare il ritorno sicuro di questi ultimi nella loro patria. Purtroppo, tra le troppe tragedie di oggi, quello dell’Armenia è diventato uno dei fronti dimenticati.

Ma che cosa è accaduto nel Nagorno Karabakh?

Dopo 10 mesi di assedio, nel settembre 2023 l’Azerbaigian ha attaccato il Nagorno Karabakh e l’intera popolazione (circa 120’000 armeni) è fuggita in Armenia. Questa terra era stata attribuita dai sovietici all’Azerbaigian ma da millenni era abitata da armeni cristiani. Armeni che fino al crollo dell’Unione sovietica avevano ottenuto una propria autonomia. Oggi si parla di pulizia etnica per quanto accaduto nel 2023 ma per il momento nulla si è mosso nella comunità internazionale e gli armeni restano sfollati e non possono esercitare il diritto al ritorno.

Persone e patrimonio culturale e religioso

Se da una parte, il primissimo pensiero sono le persone e le loro vite, altro tema importante (trattato a Berna gli scorsi giorni in un convegno organizzato dal Consiglio ecumenico delle Chiese) è quello del patrimonio culturale e religioso. Sharkis Shainian, co-presidente dell’associazione «Svizzera Armenia» a cui abbiamo chiesto se è possibile accedere ai luoghi e sapere che cosa è stato distrutto, ci ha detto che non è tuttora possibile aver accesso ai luoghi ma che le riprese aeree sono incontrovertibili. «Ci sono prove – ci dice – di crimini conclamati contro l’eredità culturale armena». Addirittura, la direttrice del programma del Consiglio ecumenico delle Chiese per la costruzione della pace in Medio Oriente, Carla Khijoyan, afferma che «l’Unesco stessa, che ha il mandato di proteggerli, non può accedere a questi luoghi, ma purtroppo, quello che vediamo da diverse fonti è che molte chiese sono scomparse. C’è una vera e propria sparizione di alcuni edifici culturali e religiosi che hanno 2000 anni. E stiamo parlando del patrimonio del più antico popolo cristiano».

Futuro del Nagorno Karabakh e forum

L’ex ministro degli Esteri armeno Vartan Oskanian ha dichiarato che: «La gente vuole semplicemente fare ritorno alle proprie case. L’Iniziativa per la pace non consiste nel dare a una delle parti più legittimità rispetto all’altra. Si tratta di creare uno spazio neutrale e fedele a dei principi, in cui anche le voci che sono state messe a tacere possano essere ascoltate». Secondo Joel Veldkamp, responsabile della comunicazione internazionale di Christian Solidarity International, la comunità internazionale non è stata finora in grado o non ha voluto rispondere efficacemente all’escalation di violenza nel Nagorno- Karabakh. Ma vi sono segnali di un nuovo tentativo di cooperazione poiché «le grandi potenze, USA, UE, Regno Unito e Russia hanno interesse a prevenire un’altra guerra nel Caucaso e a stabilire una pace duratura».

Ascolta il servizio di Chiese in diretta del 1.6.2025

 

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Briciole di pane – La Conferenza sul patrimonio armeno sollecita un’azione coordinata: proteggere «l’espressione viva di fede, identità e memoria» (Riforma 30.05.25)

La Conferenza sul patrimonio armeno sollecita un’azione coordinata: proteggere «l’espressione viva di fede, identità e memoria»

La Conferenza sul patrimonio armeno si è conclusa con una dichiarazione che sollecita «Un’azione internazionale coordinata per proteggere il patrimonio religioso e culturale armeno – si legge sul sito del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) –; i diritti umani del suo popolo e la futura sicurezza della nazione armena».

La conferenza è stata ospitata dal Cec in collaborazione con la Chiesa protestante in Svizzera, a Berna, in Svizzera, e si è conclusa il 28 maggio.

La dichiarazione della conferenza delinea un quadro di responsabilità in risposta allo sfollamento forzato della popolazione armena avvenuto nel 2023 e alla perenne distruzione del suo patrimonio religioso e spirituale.

«La conferenza risponde all’appello lanciato dalla Chiesa Apostolica Armena ed è stata organizzata dal Consiglio Ecumenico delle chiese e dalla Chiesa Protestante in Svizzera, che riconoscono l’inestricabile legame tra patrimonio culturale, identità e giustizia», ​​così si legge invece nella dichiarazione congiunta.

L’incontro di Berna rappresenta un impegno collettivo per la verità, la conservazione della memoria affinché vi sia un’azione internazionale coordinata per salvaguardare questa eredità comune dell’umanità.

La dichiarazione riconosce lo sfollamento forzato di oltre 120.000 armeni dall’Artsakh/Nagorno Karabakh a seguito dell’assalto militare e del blocco imposto nel settembre 2023.

«Siamo stati testimoni della cancellazione di millenni di anni di presenza cristiana armena nella regione e della diffusa e continua distruzione di chiese, cimiteri, monumenti e altri siti sacri e culturali, come documentato da organismi indipendenti come Caucasus Heritage WatchSave Armenian Monuments e Monument Watch e da altri attori culturali», si legge ancora.

«Ascoltando il punto di vista di esperti e di professionisti legali internazionali, riaffermiamo che la distruzione del patrimonio culturale costituisce una violazione del diritto internazionale umanitario e può costituire un crimine contro l’umanità e un indizio di intenti genocidi».

La dichiarazione invita la comunità internazionale a garantire l’assunzione di responsabilità e a rispettare i propri mandati per la protezione del patrimonio culturale e religioso.

«Affermiamo inoltre il diritto al ritorno delle popolazioni sfollate nelle loro terre ancestrali in condizioni di sicurezza, dignità e non discriminazione […]. Come chiese e comunità religiose, crediamo che la tutela del patrimonio non riguardi solo i monumenti, ma l’espressione viva della fede, dell’identità e della memoria».

I leader religiosi di tradizione cristiana, ebraica, musulmana e yazida si sono uniti alla conferenza per affermare che la tutela del patrimonio religioso è espressione della loro comune umanità e un percorso verso la riconciliazione.

«Sottolineiamo il ruolo della collaborazione interreligiosa nel risanamento, nella ricostruzione della fiducia e nella promozione della dignità di tutte le persone colpite da sfollamenti, guerre e pulizia culturale».

Il testo chiede poi un’azione internazionale coordinata su più fronti: «Il patrimonio, quando protetto, può essere fonte di riconciliazione».

La dichiarazione esprime gratitudine a coloro che hanno condiviso testimonianze di sfollamento, coraggio e resilienza, in particolare ai sopravvissuti e ai rappresentanti delle comunità armene dell’Artsakh/Nagorno Karabakh.

«Che questa dichiarazione serva da testimonianza della nostra responsabilità condivisa e da documento vivo di solidarietà, coscienza e impegno», conclude la dichiarazione.

«Il patrimonio dell’Artsakh/Nagorno Karabakh appartiene non solo agli armeni, ma all’intera umanità ed è nostra responsabilità collettiva proteggerlo».

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Delegazione italiana in Armenia per Forum Internazionale (Ansa 30.05.25)

Il Presidente del Gruppo di amicizia Armenia-Italia, Maria Karapetyan, ha ricevuto presso l’Assemblea Nazionale il Senetore Ivan Scalfarotto, l’Inviato Speciale per il Caucaso Meridionale del Maeci, Gherardo Amaduzzi, e il Presidente dell’Istituto Affari Internazionali, Michele Valensise.
La Delegazione, giunta in Armenia in occasione del Forum Internazionale “Yerevan Dialogue 2025”, era accompagnata dall’Ambasciatore Alessandro Ferranti e dal Vice Capo Missione Andrea Peduto.
Nel corso dell’incontro sono stati trattati argomenti relativi all’attuale fase del processo di pace tra Armenia e Azerbaigian, alla necessità di firmare un trattato di pace, alle soluzioni proposte dall’Armenia per la riapertura delle comunicazioni regionali e alla necessità di proseguire il processo di demarcazione.


ANSA) – ROMA, 30 MAG – L’Ambasciatore D’Italia a Jerevan, Alessandro Ferranti si è recato in visita presso il Collegio del Mondo Unito di Dilijan, città dell’Armenia, in occasione del conferimento della laurea a un gruppo di studenti italiani.
La cerimonia di laurea è stata la decima nella storia del Collegio, il quale ospita studenti provenienti da oltre 80 paesi.
Durante la visita all’Ambasciatore Ferranti sono state presentate le varie strutture e le attività svolte dal Collegio.
(ANSA).

Usa. L’opposizione armena punta sulla destra cristiana per influenzare Trump (Notizie Geopolitiche 29.05.25)

di Giuseppe Gagliano –

Washington-Yerevan, asse caldo. L’opposizione armena negli Stati Uniti, guidata da figure di spicco della diaspora, sta giocando una carta pesante: stringere legami con la destra cristiana americana per guadagnarsi un canale diretto con l’amministrazione Trump. Il leader dell’Alleanza Nazionale Democratica, Jirair Sefilian, non fa mistero delle sue mosse. Il 20 settembre 2024, a Yerevan, ha infiammato la folla con un comizio seguito da una marcia verso l’ambasciata russa, un segnale chiaro contro l’influenza di Mosca in Armenia. Le immagini, catturate da Anthony Pizzoferrato per Middle East Images (via AFP), mostrano un Sefilian determinato, che parla a migliaia di persone sotto un cielo plumbeo, con bandiere armene sventolanti e slogan anti-russi.
Ma la vera partita si gioca oltreoceano. L’Alleanza Nazionale Democratica ha ingaggiato una nuova società di lobbying, un colosso con radici profonde nel Partito Repubblicano e connessioni strette con i movimenti cristiani globali. Fonti vicine al dossier parlano di una strategia mirata: sfruttare la sensibilità della destra evangelica americana, che da anni vede nell’Armenia un baluardo del cristianesimo in una regione turbolenta. L’obiettivo? Fare pressione su Trump per ottenere un sostegno più deciso contro le ingerenze russe e turche in Caucaso, oltre a un possibile rafforzamento delle sanzioni contro Baku per la questione del Nagorno-Karabakh.
I dettagli dell’operazione sono ancora fumosi, ma i rumors indicano che la società di lobbying, con base a Washington, abbia già avviato incontri con figure di peso del GOP e leader di organizzazioni cristiane come la Family Research Council. Si parla di una campagna ben finanziata, che punta a dipingere l’Armenia come una causa morale per l’elettorato conservatore americano. Non è un caso che Sefilian, ex militare e figura carismatica, stia alzando i toni contro la Russia, sapendo che l’anti-putinismo è una leva potente per ingraziarsi i falchi repubblicani.
Sul terreno, però, la situazione resta tesa. La marcia di Yerevan ha visto momenti di scontro con le forze dell’ordine, e l’opposizione armena è accusata dal governo Pashinyan di destabilizzare il paese. Intanto, negli USA, la diaspora armena, forte di oltre un milione di persone, concentrate soprattutto in California, si sta mobilitando. Petizioni, raccolte fondi e incontri con parlamentari repubblicani sono all’ordine del giorno. La destra cristiana, da parte sua, sembra ricettiva: l’Armenia, con la sua antica tradizione cristiana, è un simbolo perfetto per galvanizzare un elettorato sensibile ai temi della fede e della libertà religiosa.
Resta da vedere se questa strategia pagherà. Trump, notoriamente imprevedibile, potrebbe cedere al fascino di una narrazione che unisce cristianesimo e geopolitica, ma le priorità della sua amministrazione, ovvero Cina, Medio Oriente, economia interna, potrebbero relegare il Caucaso in secondo piano. Per ora, Sefilian e i suoi continuano a tessere la tela, tra comizi infuocati e strette di mano a Washington. La partita è aperta, e il prossimo passo potrebbe essere decisivo.

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