Armenia: minoranze sessuali, l’alternativa alla violenza è il silenzio (Osservatorio Balcani e Caucaso 12.11.18)

Gli appartenenti alla comunità LGBT non sono assolutamente accettati in Armenia. Alcuni di loro, già fortemente stigmatizzati dalla società, sono anche soggetti a violenze fisiche nel caso di esternazione del loro orientamento sessuale; altri vivono nel silenzio, scegliendo di mantenere la loro vita privata strettamente confidenziale.

Quando ho scoperto di essere “diverso”

Levon (il nome è stato cambiato), 33 anni, vive a Yerevan da 5 anni, ma è originario della regione di Lori. Dice che la ragione per la quale si è trasferito nella capitale è stata la rivelazione di se stesso.

“Quando ho compiuto 25 anni, i miei genitori iniziarono a provare a convincermi che era tempo di sposarsi. Vivevo in un villaggio. Nel nostro villaggio a 25 anni si è già vecchi e secondo la legge non scritta si dovrebbe già essere padri di famiglia a quell’età. Iniziarono a cercare per me una sposa. A quel tempo non avevo ancora realizzato che le ragazze non mi interessavano del tutto, che avevo un altro mondo dentro. Senza ancora aver capito me stesso, rifiutai tutte le proposte che mi arrivarono. Alla fine, mi sembrava mi piacesse una ragazza di un villaggio vicino. Organizzammo il matrimonio, portammo la sposa a casa nostra e vivemmo per circa un anno sotto un solo tetto. Ogni giorno della nostra vita insieme è stato un inferno per entrambi”, si ricorda Levon.

All’età di 27 anni, con il pretesto di problemi finanziari, Levon partì per la Russia per un lavoro all’estero. In realtà, come racconta, fu una fuga dalla sua vita di incomprensioni.

“Nessuna ragazza mi attirava. Ho vissuto la maggior parte della mia vita mentendo a me stesso. Ho provato a convincermi che il motivo per il quale non mi piacesse nessuna ragazza è che sono un perfezionista; e che inoltre ero disgustato da loro perché non avevo trovato la ragazza perfetta. Mi sono convinto che a Mosca avrei trovato una bella ragazza con un aspetto slavo, che avrebbe dato un senso alla mia vita. Ma niente di tutto questo accadde. Risparmiai soldi per metà anno, andai dallo psicologo, gli chiesi se potesse aiutarmi ad amare le ragazze. Ma lo psicologo mi mostrò un’altra strada. Mi fece diventare onesto con me stesso. Non ero uno stupido e non è che non avessi capito che ero attratto dagli uomini. Semplicemente ho sempre avuto paura di parlarne. Convinsi così anche me stesso che non fosse il mio caso. Con l’aiuto dello psicologo, imparai a essere sincero, a parlare dei desideri sessuali. Stetti lì per circa sei mesi, ritornai poi al nostro villaggio e divorziai da mia moglie”, racconta Levon, il quale pensa che l’errore più grande della sua vita sia stato proprio sposarsi.

“Ho sottratto 2 anni alla vita di mia moglie. L’ho ferita per 2 anni, dal momento che avevo paura di essere diverso, di essere condannato per questo”, sottolinea.

Dopo aver parlato chiaramente con la sua ex moglie, fu il turno dei suoi genitori. Levon ricorda che raccontare ad una famiglia tradizionale armena di essere gay è come entrare in un film horror. Alla fine, fu convenuto che nessuno avrebbe parlato del vero orientamento sessuale di Levon; e il ragazzo lasciò la casa.

“Ora sono felice. Vivo a Yerevan. Ho un compagno che è appena andato via da casa come me. Sfortunatamente vedo raramente i miei genitori. Mi hanno proibito di avere qualunque contatto con loro. Una volta all’anno vado nel mio paese, è una loro richiesta, in modo che ai paesani sembra che sia molto occupato. Io però i miei genitori non li posso dimenticare”, racconta Levon.

Voglio solo amore

La ventinovenne Anush ha lasciato l’Armenia 10 anni fa. Già da molto giovane ha realizzato che non aveva bisogno di un ragazzo, ma che solo una ragazza sarebbe stata al suo fianco.

“Mi considero una donna felice. Ero adolescente quando leggendo della letteratura ho capito chi ero e mi sono resa conto di non riuscire ad indossare vestiti femminili, truccarmi e passeggiare con i ragazzi. Volevo essere un ragazzo e abbracciare una ragazza… Quando realizzai completamente cosa volevo, lo dissi ai miei genitori. Ringrazio Dio che hanno fatto nascere solo me. Mi ascoltarono con calma. Naturalmente so che li stavo ferendo con quella notizia, ma cercarono di aiutarmi. In Armenia il cambiamento di sesso è vietato. Mi aiutarono a raccogliere dei soldi e sono venuta in Europa. Qui ho ricevuto un’istruzione superiore, ora ho un buon lavoro e risparmio per realizzare il mio sogno: sottopormi all’intervento chirurgico”, ha detto Anush.

Secondo Anush, essere un rappresentante della comunità LGBT in Armenia è un problema serio. Non sono accettati, vengono condannati e nessuno offre loro un lavoro.

“Ho degli amici in Armenia che sono finiti al centro di diverse storie dolorose quando hanno provato a raccontare delle loro aspirazioni sessuali, a proteggere i loro diritti. Forse sbaglio, ma credo che non sia necessario sottolineare così marcatamente di essere diversi. La vita sessuale di una persona non dovrebbe essere così pubblicizzata. Quando qualcuno si lamenta con me di essere stato picchiato da alcuni uomini che hanno saputo che era gay, rispondo: ‘Sei responsabile per questo; se vedi che la persona non ti capirà, non parlarci, non provare a spiegargli nulla, è privo di senso in ogni caso. Vivi per te stesso con calma’”.

Anush si sente una semplice mortale che sogna l’amore e sogna di essere amata. Al momento non ha una partner, è ancora alla ricerca. Vuole trovare qualcuno come lei, che sogni l’amore e sogni di vivere una vita tranquilla. “Non ho mai partecipato a nessuna parata LGBT in Armenia, per me non ha senso. So che verrò criticata per queste parole ma provo a spiegarmi: in Armenia il modello di famiglia tradizionale è così ben radicato che penso sia impossibile combattere contro questo. Suggerisco sempre ai miei amici di venire in Europa o di vivere silenziosamente, altrimenti la loro vita si trasformerà in un caos”.

La violenza contro i diversi

Secondo il report sulla “Situazione dei diritti umani delle persone LGBT in Armenia, 2017” presentato dalla ONG “Pink Armenia”, nel 2017 sono stati registrati 30 casi di attacchi basati sull’orientamento sessuale e/o sull’identità di genere. 8 di questi casi sono finiti a processo mentre per 14 casi non sono stati avviati procedimenti legali per circostanze varie. Per 4 casi inoltre il tribunale non ha proceduto a seguito di un accordo tra le parti e ritiro della denuncia. Infine per due casi non si è avviato alcun procedimento per assenza della vittima e per altri due la vittima non ha voluto rivelare la propria identità e non ha sporto alcuna denuncia. 8 dei casi che non sono finiti a processo riguardavano violenze domestiche in cui le vittime non volevano sporgere denuncia contro i familiari.

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Congiunzioni fra Armeni ed Ebrei in Oriente, presentazione libri al Museo della Padova Ebraica il 27 novembre 2018 Eventi a Padova (Padovaoggi 10.11.18)

Congiunzioni fra Armeni ed Ebrei in Oriente, presentazione libri al Museo della Padova Ebraica il 27 novembre 2018 Eventi a Padova

La nuova edizione del Dessaran Festival amplia gli orizzonti per osservare le civiltà che si sono intrecciate con la cultura armena.

Scopri tutti gli eventi di novembre al museo della Padova ebraica

Al Museo della Padova Ebraica, Antonia Arslan e Vittorio Robiati Bendaud presentano due libri che desiderano esplorare le congiunzioni fra Armeni ed Ebrei in Oriente.

In “La stella e la mezzaluna. Breve storia degli ebrei nei domini dell’Islam”, Robiati Bendaud ricostruisce i complessi e spesso ambigui rapporti tra Ebrei e Musulmani. Se da un lato celebra la coesistenza andalusa medievale, dall’altro mette in luce come una ricostruzione storica alternativa possa ridurre questo rapporto ad incomprensione e odio. La ricchissima storia degli Ebrei che vivono nei domini islamici, e che per secoli è stata decisiva per il plasmarsi dell’ebraismo che conosciamo, è una storia per lo più negletta o ignorata ma affascinante e sofferta.

In “I peccati dei padri. Negazionismo turco e genocidio armeno”, Siobhan Nash Marshall mette in rapporto il genocidio armeno del 1915 con l’attuale negazionismo turco: entrambi mostrano un assoluto disprezzo dei fatti e delle genti, del territorio e della storia, con la vacua indifferenza alla realtà che si sta diffondendo sempre di più nel mondo moderno.

Ingresso libero fino ad esaurimento posti.

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Nagorno Karabakh: più vicini al fronte, più a favore della pace (Osservatorio Balcani e Caucaso 09.11.18)

“Inquadrando la pace” è il primo studio su ampia scala in merito alle attitudini rispetto al conflitto in Nagorno Karabakh dalla recrudescenza delle ostilità avvenute nell’aprile 2016 nella cosiddetta “Guerra dei 4 giorni”.

Lo studio ha esaminato le visioni “dal basso” in merito al Nagorno Karabakh di chi vi vive e tra le comunità residenti invece in Azerbaijan e Armenia. Tra le persone prese in considerazione anche sfollati interni e coloro i quali abitano vicino alla linea del fronte.

Dallo studio è emerso che tra coloro i quali hanno vissuto direttamente le conseguenza degli scontri armati – le comunità che vivono nei pressi del fronte e della linea del cessate il fuoco e chi è stato coinvolto direttamente nel conflitto – vi è maggior sostegno ad una riconciliazione con “l’altro”.

“Sono persone che capiscono l’importanza del risolvere questo conflitto e che possono adottare passi concreti a favore delle iniziative di costruzione della pace”, sottolinea Carey Cavanaugh, a capo del consiglio direttivo di International Alert, ed ex co-coordinatore del Gruppo di Minsk dell’OSCE.

Il Gruppo di Minsk dell’OSCE, guidato da Russia, Francia e Stati Uniti ha operato da mediatore sul conflitto in Nagorno-Karabakh sin dal 1992. “Più le persone vivono lontane dal fronte più parlano di patriottismo”, si afferma nel report.

Incapaci di risolvere il conflitto

Nagorno Karabakh – mappa OBC – In verde è indicato il territorio che la regione autonoma del Nagorno Karabakh occupava in epoca sovietica, in giallo i territori occupati dalle autorità de facto di Stepanakert e a cui si fa riferimento nei “principi di Madrid”

Nel report si sottolinea che le comunità hanno dovuto adattarsi alla lunga durata delle ostilità. “Non ho nemmeno provato a pensare cosa sarebbe la mia vita senza il conflitto”, dice una delle persone intervistate per realizzare lo studio.

Questa sorta di adattamento e di “consapevolezza di impossibilità” – poca fiducia nel aver controllo su ciò che ci sta attorno, sulla propria vita, sul futuro – potrebbe, secondo gli estensori del rapporto, avere un’influenza negativa sulle iniziative di peacebuilding.

Le persone intervistate, sia in Nagorno Karabakh che in Armenia e Azerbaijan, hanno tutte espresso un senso di impotenza nel risolvere il conflitto. Questo – si suggerisce nel rapporto – assieme ad una scarsa fiducia nei confronti di soggetti esterni di peacebuilding come il Gruppo di Minsk, gli Stati Uniti e la Russia, pone ulteriori sfide ai negoziatori ed ai policymaker.

Il protrarsi del conflitto, secondo lo studio, è stato accompagnato da una “propaganda del nemico” in particolare condotta dalle istituzioni e dai media dell’Azerbaijan.

Lo studio inoltre sottolinea anche le diverse attitudini di azerbaigiani e armeni in merito ai molti anni dello stallo “nessuna pace, nessuna guerra”. Chi abita in Nagorno Karabakh e in Armenia identifica l’attuale status quo con la “stabilità” mentre per i cittadini dell’Azerbaijan evoca piuttosto un senso di “giustizia” identificato con la “restituzione dei territori”.

International Alert ha fatto appello per un maggior sostegno ad iniziative che potrebbero aiutare le tre società a superare questa tendenza a svalutare la vita umana e per indagare meglio sulle vite di chi abita nelle aree di confine.

International Alert ha inoltre sottolineato che continua l’esclusione dei rifugiati, in tutte e tre le società, dal dibattito relativo al conflitto. “È necessario rifocalizzarsi sulle persone che si sono portate sulle spalle il grave peso della guerra, sui loro sentimenti, sui loro pensieri, paure e speranze. Le storie personali devono essere chiaramente viste e soppesate. Solo allora sarà possibile apprezzare il valore di una persona e la sua attività”, si scrive nel rapporto.

L’ente di ricerca suggerisce che si avviino progetti giornalistici per sottolineare le storie personali.

Si sottolinea inoltre la necessità di aumentare la consapevolezza degli appartenenti alle varie comunità dei costi personali legati al conflitto, sia in termini umanitari che economici. “Se la gente si rende conto che ogni singolo individuo ed ogni famiglia sta pagando per il conflitto in atto, questo potrebbe aiutare ad alterarne le dinamiche”, si scrive.

International Alert inoltre raccomanda che venga evidenziato come il conflitto aumenti le ineguaglianze sociali, un problema sentito in modo comune da chi è stato interpellato in tutte le comunità.

“Lo status quo non è più a vantaggio dell’Armenia”

Lunedì 15 ottobre, l’ambasciatore americano in Armenia uscente, Richard Mills, ha affermato che il conflitto in Nagorno Karabakh e il conseguente embargo da parte di Azerbaijan e Turchia contribuisce alla diffusione della corruzione in Armenia. “Lo status quo non va più a vantaggio dell’Armenia […] Non che qui la corruzione è diffusa perché vivono persone più disoneste che altrove. Il terreno era molto fertile perché avete confini chiusi ed un’economia particolarmente piccola, quindi è facile controllare i mercati”, ha dichiarato in un’intervista a EVN Report.

Nella stessa intervista Mills dichiara di essere stato colpito dalla mancanza di dibattito in Armenia su quali sarebbero delle “accettabili soluzioni di compromesso” per gli armeni ed ha aggiunto che la soluzione del conflitto del Nagorno Kharabakh non può prescindere dalla “restituzioni di parte dei territori occupati” all’Azerbaijan.

Mercoledì 17 ottobre il primo ministro ad interim dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ha brevemente commentato questa dichiarazione dicendo che la posizione armena è nota “e non cambierà”.

La Russia, uno dei paesi protagonisti del Gruppo di Minsk, recentemente ha causato le reazioni delle istituzioni dell’Azerbaijan quando, il 7 ottobre scorso, una sua funzionaria, Svetlana Zhurova, vice-presidente del Comitato affari internazionali della Duma, ha fatto visita al Nagorno Karabakh senza il loro permesso.

Il suo viaggio era parte dell’iniziativa “Donne per la pace” promossa dalla moglie di Pashinyan, Anna Hakobyan.

Zhurova è finita nella lista nera del governo dell’Azerbaijan di chi entra ‘illegalmente’ in Nagorno Karabakh.

Nuovi negoziati

Il Gruppo di Minsk dell’OSCE rimane l’unico format ufficiale per le negoziazioni di pace. Negli ultimi anni non ha portato a grandi novità.

La leadership dell’Azerbaijan continua nell’insistere sul rispetto dell’integrità territoriale del paese e sul fatto che l’Armenia debba ritirare le proprie forze armate dal Nagorno Karabakh e dalle regioni circostanti.

Dal cambio di potere avvenuto in Armenia lo scorso maggio, il nuovo primo ministro Nikol Pashinyan ha insistito sull’includere anche le autorità del Nagorno Karabakh nel processo negoziale come parte in causa, direttamente coinvolta nel conflitto.

L’Azerbaijan ha rifiutato la proposta. Ciononostante in un recente incontro del Gruppo di minsk, tenutosi lo scorso 27 settembre ai margini della 73sima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, diplomatici dell’Armenia e dell’Azerbaijan di alto livello si sono detti d’accordo nel continuare le negoziazioni.

Le speranze in un progresso sono poi state alimentate da un incontro informale tra Pashinyan e il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev avvenuto a Dushanbe lo scorso 28 settembre. L’incontro ha rappresentato la prima interazione tra i due paesi dopo il cambio di potere in Armenia.

Dopo l’incontro entrambi i leader hanno concordato di essersi messi d’accordo sull’apertura di una linea diretta di comunicazione tra loro, attraverso i rispettivi ministri della Difesa, per prevenire incidenti lungo la linea di contatto in Nagorno Karabakh.

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Il popolo armeno e il primo genocidio del XX secolo: l’Università 50&Più ospita Letizia Leonardi (La Gazzetta di Lucca 08.11.18)

Interessante appuntamento, organizzato dalla 50&Più Università di Lucca, in programma sabato 10 novembre presso la Sala Tobino della Provincia di Lucca.

Facendo seguito al grande interesse suscitato dagli incontri che 50&Più Università ha dedicato negli ultimi due anni all’immane tragedia della martoriata terra d’Armenia, sarà nuovamente ospite dell’Associazione la dottoressa Letizia Leonardi che presenterà il suo ultimo libro “Il chicco acre della melagrana”. scritto con il protagonista della storia, Kevork Orfalian.

La dottoressa Leonardi è una giornalista professionista, docente di Diritto, Economia e Scienza delle Finanze ed ha tradotto dal francese “Mayrig”, il libro autobiografico del regista Henri Verneuil, dal quale è stato tratto l’omonimo film, interpretato da Claudia Cardinale e Omar Sharif.

“Il chicco acre della melagrana” è la storia vera di un figlio della diaspora armena che racconta la sua vita dolorosa e rocambolesca allo stesso tempo, dai massacri subiti dai suoi avi, la sua infanzia e adolescenza fino all’ ingiusta prigionia in Turchia, con l’accusa di sospetta attività sovversiva, e poi finalmente l’affermazione nel campo lavorativo.

Oltre all’aspetto della rilevanza storica, si evidenziano due argomenti di grande attualità: il problema dei migranti e l’atteggiamento della Turchia nei confronti degli oppositori o presunti tali. La presentazione del libro sarà accompagnata dalla lettura di toccanti poesie e l’ascolto di suggestivi brani musicali. Appuntamento sabato 10 novembre alla Sala Tobino – Cortile Carrara.

La presentazione si svolgerà in collaborazione con la Scuola per la Pace ed il patrocinio della Provincia di Lucca.

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Giovani turchi (e dintorni), ci scrive la Comunità Armena di Roma (Ticinonotizie.it 07.11.18)

Egregio direttore,
ci sia consentita una doverosa precisazione all’articolo pubblicato oggi su Ticino Notizie, dal titolo “Magenta, i ‘giovani turchi’ del Pd provano a rilanciare la sinistra cittadina”, segnalatoci da alcuni lettori.

Non abbiamo alcuna intenzione di entrare nelle dinamiche interne del Partito Democratico ma in passato abbiamo ripetutamente cercato di far capire che i “Giovani Turchi” sono stati un movimento nazionalista che ha pianificato e attuato il genocidio armeno.
L’uso di tale nome (affibbiato a dire il vero negli anni Cinquanta anche al movimento di Cossiga) provoca negli armeni italiani e in tutti coloro che hanno un minimo di conoscenza storica un sentimento di repulsione e di rabbia. È come se un partito politico decidesse di chiamare (o accettare che venga chiamata) una propria corrente interna con il nome di “Hitler Jugen”.

(Photo credit should read STR/AFP/Getty Images)

Nel 1915 un milione e mezzo di armeni vennero massacrati in quello che è comunemente riconosciuto come il primo genocidio del Novecento; i sopravvissuti dovettero abbandonare la propria terra natale e tutti i beni. Ancora oggi, il “Sultano” Erdogan e la Turchia continuano a perseguire una politica negazionista.
E, comprenderà, è per noi davvero penoso leggere o ascoltare il termine “Giovani Turchi” sia pure ad altro riferito.

Nei mesi scorsi abbiamo ricevuto rassicurazioni da parte di autorevoli esponenti del Partito a Roma, a cominciare dall’on. Orfini, che tale denominazione sarebbe stata abbandonata proprio per rispetto alla nostra Storia. Evidentemente in qualche sezione locale non deve essere giunto ancora il messaggio…

Le saremmo grati se potesse pubblicare questa precisazione a beneficio dei lettori (e dei politici) che ancora non conoscono quelle tragiche vicende di un secolo fa.

Cordiali saluti e buon lavoro

CONSIGLIO PER LA COMUNITA’ ARMENA DI ROMA
www.comunitaarmena.it

 

Gentili signori, anzitutto grazie per la vostra precisazione di natura storica che pubblichiamo integralmente. E’ ovvio, e siete i primi a capirlo, che contesto giornalistico e volontà di ‘raffigurare’ qualcosa che succede a Magenta nel 2018 non ha NULLA a che vedere con la benché minima volontà di offendere la memoria degli armeni e del loro genocidio. Nel nostro piccolo (siamo solo un giornale on line di provincia, per quanto molto letto) abbiamo sempre difeso e sempre difenderemo i diritti di autodeterminazione dei popoli. Pertanto ci impegniamo a NON usare più questa espressione, ricollegata- è bene ribadirlo- al solo perimetro di azione della politica democratica di questo Terzo Millennio. Grazie ancora per averci scritto.

Fabrizio Provera

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Jacques Kébadian, cinquant’anni di cinema politico (Il manifesto 08.11.18)

All’edizione 2018 da poco conclusasi di Doclisboa sono state riproposte alcune delle opere dedicate all’Armenia dal regista francese Jacques Kébadian, nato nel 1940 da genitori sopravvissuti al genocidio. Kébadian è stato uno degli ospiti del festival, dandoci l’occasione di una conversazione che partendo dal cinquantenario del 1968 ha ripercorso cinque decenni di un cinema politico e poetico realizzato in modo spesso indipendente. Assistente alla regia di Robert Bresson, è stato tra gli animatori del collettivo ARC (Atelier de Recherche Cinématographique), che ha realizzato alcuni dei film simbolo del Maggio francese (Ce n’est qu’un début, Le joli mois de mai, Le droit à la parole).

Trotskista, poi maoista – «non m’interessava costruire il partito rivoluzionario» – sul finire degli anni ’60 entra in fabbrica come operaio nello stabilimento di vernici Valentine a Gennevilliers di cui denuncia le condizioni di lavoro nel corso di manifestazioni violente che nel 1969 gli valgono l’arresto e due mesi di carcere. Nel suo primo lungometraggio, Trotsky (1967), compaiono Patrice Chéreau, Guy e Joani Hocquenghem e lui stesso ha recitato in Les baisers de secours (1989) di Philippe Garrel. Quest’estate, al Cinema Ritrovato, la retrospettiva sul ’68 ha incluso il recente L’île de Mai co-firmato con Michel Andrieu, un film di montaggio che raccoglie il vasto repertorio sulle rivolte studentesche e operaie filmato da ARC e da altri cineasti militanti.

Negli anni, ha raccontato le lotte dei sans-papiers (D’une brousse à l’autre, 1998), degli zapatisti (La Fragile Armada, 2002) ma si è anche dedicato a ritratti: del regista Sergej Paradjanov, dello scrittore Pierre Guyotat, di Germaine Tillon e Geneviève de Gaulle Anthonioz. L’«io» è però un pronome poco presente nel vocabolario di Kébadian, che usa la prima persona quasi solo al plurale.

Come è nato il collettivo ARC?
Da alcuni compagni di studi dell’IDHEC (l’Institut des Hautes Études Cinématographiques, poi Fémis), uniti dalla lotta contro la guerra in Vietnam. Iniziammo riprendendo con le cineprese della scuola il grande sciopero dei minatori del marzo-aprile 1963 nel Nord-Pas-de-Calais. Il film è conosciuto con il titolo La grande grève des mineurs. Tra noi c’erano alcuni registi più esperti come Jean-Denis Bonan e Mireille Abramovici che frequentavano il gruppo di ricerca CERFI presso la clinica psichiatrica sperimentale La Borde, dove c’erano Félix Guattari e Jean-Claude Polack e dove ci ritrovammo regolarmente sul finire del 1967. Nel febbraio del 1968 andammo a Berlino per filmare Rudi Dutschke e il movimento dell’Università critica, con i trotskisti della Gioventù comunista rivoluzionaria. Ma c’erano anche gli studenti di Nanterre e Daniel Cohn Bendit. È stata l’occasione per firmare il nostro primo film come ARC, intitolato Berlin 68. Quando siamo tornati abbiamo ripreso le manifestazioni a Nanterre fino all’occupazione. Eravamo antistalinisti, antimperialisti, anticapitalisti e con noi c’erano anche dei situazionisti: il maggio 1968 fu la nostra «rivoluzione d’ottobre».

Quando ha incontrato Robert Bresson?
Alla fine dell’IDHEC. Anche se mi sono diplomato in regia, mi piaceva molto il montaggio e lavoravo come montatore nel programma per bambini Bonne nuit les petits il cui sceneggiatore e produttore era Claude Laydu, che era stato protagonista di Diario di un curato di campagna. Lui voleva affidarmi la regia del programma, ma un giorno che parlavamo di Bresson venne fuori che aveva in preparazione un nuovo film. Ci ha presentati e ho lavorato con lui tra il 1966 e il 1969 per Au hasard Balthazar, Mouchette e Così bella, così dolce in cui ho anche una parte. Lavorare con Bresson è stato formidabile. Avevamo una relazione piuttosto stretta anche perché come non amava gli attori professionisti, così non voleva un assistente professionista. Tra noi c’era complicità e mi affidava vari compiti: per Au hasard abbiamo curato insieme il lavoro sul suono. Per Mouchette mi mandò nel Nord come attrezzista. Uno dei miei compiti era anche quello di trovare gli interpreti giusti. Per esempio, Jean-Claude Guilbert, che lavorò sia in Au hasard sia in Mouchette, era un muratore ma anche un intellettuale. Loro due si capivano.

Quando ha iniziato a lavorare sull’Armenia?
All’inizio degli anni ’80, quando l’impegno politico sembrava diventato difficile. Ho intrapreso quella strada per ritrovare le mie radici. In quegli anni ci fu chi scelse di mostrare attraverso la violenza di non aver dimenticato quanto accaduto al popolo armeno, per esempio i «Giustizieri del genocidio armeno» oppure l’ASALA, l’esercito segreto armeno per la liberazione dell’Armenia che nel 1981 condusse l’Operazione Van, l’attacco all’ambasciata turca di Parigi. Dopo tanto silenzio si ricominciava a parlare del genocidio, che la Francia non aveva ancora riconosciuto. Con un gruppo di persone decidemmo di creare l’Association audiovisuelle arménienne perché volevamo raccogliere e diffondere testimonianze sul genocidio.

Nella vostra famiglia si parlava di quella pagina di storia?
Mia madre parlava quasi solo turco e nel 1915 aveva quattro anni. Né lei né mio padre ne facevano parola. Io non sapevo come intraprendere il discorso, non era un tema di discussione. Per questo il mio film Arménie 1900 è il risultato di un processo di scoperta di una storia e di una terra che non si possono limitare alla formula «un milione di cadaveri». C’era stata una vita prima del massacro e ho cercato di raccontarla, di immaginarla attraverso le cartoline d’inizio Novecento.

In «Arménie 1900» la vita che viene raccontata è in parte anche una vita ipotizzata, sognata, è cinema, è scrittura…
Sì, il film è un adattamento di un libro di Yves Ternon in cui attraverso cartoline e fotografie d’epoca, un orfano cerca di ricostruire la memoria del padre morto durante il genocidio e così facendo racconta la storia di una città armena, con i suoi paesaggi e la vita quotidiana degli abitanti, poco prima della strage. Ho voluto riprendere l’idea di un racconto e rivolgerlo direttamente a qualcuno, quindi il film inizia e termina con le immagini di mio figlio da piccolo.

Una delle presenze importanti nei suoi film «armeni» è l’attore e regista Serge Avedikian. Come l’ha conosciuto?
Ho incontrato Serge ai tempi dell’Association audiovisuelle arménienne. Con lui all’inizio degli anni ’80 ho fatto Colombe et Avédis sulla storia dei suoi nonni, e Sans retour possible, film televisivo in due puntate con testimonianze dei sopravvissuti al massacro. È stato trasmesso per due domeniche di fila alle 20 in armeno con sottotitoli in francese, cosa abbastanza straordinaria. L’ambasciata turca a Parigi ha protestato ma anche molti armeni hanno lamentato il fatto che mostrassimo la povertà, le vittime e non celebrassimo storie di successo e di integrazione. Lo abbiamo realizzato prendendo in prestito l’attrezzatura dal CNR perché sapevamo che non avremmo potuto conservare nel montato finale tutte le interviste ma desideravamo che fossero archiviate. Abbiamo filmato circa 15 ore di racconti sia su pellicola sia in video. Il video ci permetteva di non dover economizzare e di registrare a lungo. Con quel materiale d’archivio, che è disponibile alla Biblioteca nazionale, nel 1993 è nato il film Mémoires armeniennes. Quello fu anche il titolo della grande installazione che concepii con Jean-Claude Kebabdjian e fu in mostra alla Villette di Parigi nel 2006-2007, in occasione dell’anno dell’Armenia in Francia. Quindici schermi, distribuiti su una grande mappa della presenza armena tra Caucaso e Turchia prima del 1915, trasmettevano le interviste che avevamo filmato nel 1982 in corrispondenza della città natale dei testimoni. Molte di quelle persone erano ormai decedute ma restava la loro memoria. In quell’occasione ci fu anche una rassegna cinematografica in cui si proiettò pure Ritorno a Khordociur di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi.

L’Armenia continua a essere presente nel suo lavoro e nella sua vita?
Il mio ultimo film armeno è Dis-moi pourquoi tu danses… del 2015, su una compagnia che attraverso la danza racconta la storia di quel popolo: la coreografa è originaria dell’Armenia sovietica, ci sono armeni provenienti dalla Francia, dall’Iran, dall’Egitto. Ho cominciato a girarlo nel 2006/2007 ma non avevo fondi così l’ho terminato per il centenario del genocidio.

Ultimamente si è anche occupato della questione abitativa.
Qualche anno fa è nata una collaborazione con l’architetto Patrick Bouchain che a Boulogne-sur-Mer studia modi alternativi di costruire e di progettare con gli abitanti. Per tre anni ho filmato la trasformazione di una via, gli interni delle case insieme ai residenti, ed è nato Construire ensemble la rue Auguste Delacroix, codiretto con Sophie Ricard.

Non ha mai pensato di realizzare un film totalmente di finzione?
Sì ma è molto difficile. Ho scritto una sceneggiatura dal titolo Phébus che racconta la storia di una famiglia di origine armena tra anni ’30 e ’80 ed è ispirata ad un romanzo. Ma finché non trovo un produttore il progetto è fermo.

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Il popolo armeno protagonista di A Cena con l’Autore, il Circolo Sportivo Fondazione Carisap ospita la scrittrice Letizia Leonardi (Tmnitizie 06.11.18)

ASCOLI PICENO – Il genocidio armeno visto dagli occhi di Kefork Orfalian, importante rappresentante della comunità armena di Roma, sarà protagonista del prossimo appuntamento con “A Cena con l’Autore“, che si terrà il prossimo mercoledì 14 novembre al Circolo Sportivo Fondazione Carisap.

Per l’occasione, infatti, verrà presentato il libro “Il chicco acre della melagrana” che la giornalista e scrittrice Letizia Leonardi ha scritto insieme allo stesso Orfalian. Un romanzo autobiografico che ripercorre la travagliata storia del popolo armeno e della vita del coautore, che in questo testo si mette a nudo rivelando le sue sensazioni e i suoi stati d’animo, tra vicende personali e quelle storiche del suo popolo, segnate dal genocidio perpetrato dai Giovani Turchi all’inizio del secolo scorso.

La narrazione, sotto forma di confessione, riprende episodi di un’infanzia  scapestrata, i racconti del nonno materno, le turbolenze adolescenziali nel periodo trascorso al collegio armeno Moorat Raphael di Venezia. La parabola della sua vita, fitta di aneddoti ed episodi, prosegue con i primi passi nel mondo del lavoro, culminando con gli otto terribili mesi di prigionia nelle carceri turche per sospetta attività sovversiva, raccontati in pagine senza censure, colme di orrori e crudeltà.

La sospirata scarcerazione coinciderà con la rinascita e un nuovo inizio denso di occasioni e avventure di un’esistenza a tratti rocambolesca che alternerà periodi di stenti ad altri di grande brillantezza. Alle drammatiche esperienze sul fronte del Nagorno Karabakh e al volontariato nelle zone terremotate di Spitak, fanno riscontro slanci passionali e avventure sentimentali.

Letizia Leonardi, giornalista professionista e esperta di cultura armena, dopo aver presentato il suo lavoro a Milano alla fiera “Tempo di Libri” , porta al Circolo Sportivo Fondazione Carisap una pubblicazione che apre al lettore gli occhi su di una vicenda ancora troppo poco conosciuta. Radio Ascoli e il Circolo Sportivo propongono, dunque, un altro evento da non perdere, non solo di intrattenimento ma anche di stimolo alla riflessione.

L’incontro sarà trasmesso in diretta sulle frequenze di Radio Ascoli ed in streaming su www.radioascoli.it a partire dalle 21,15 con la trasmissione “Un mondo di libri” . Nel corso della serata saranno estratti premi offerti da “Il rifugio dei Marsi” e “La rosa Scarlatta”. Appuntamento alle 19,45 per l’apericena, con prenotazione obbligatoria ai numeri 0736.341250 o 339.49.25.860 entro martedì 13 novembre.

Il menù dell’apericena, pensato dagli chef del Green Park, prevede zuppa di farro ai profumi del bosco, insalata di finocchi, spinaci, noci e melagrana (simbolo del popolo armeno), tris di salami di Norcia, bastoncini di polenta fritti, risotto alla melagrana e taleggio, pizza Deluxe ai porcini, salsiccia e castagne, mousse alla vaniglia con crumble di pasta sfoglia e caramello. Vini della Cantine di Castignano. Il tutto a 17 euro

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Missione internazionale per gli scout di Peccioli (Iltirreno 02.11.18)

Dalla Valdera alla Grecia per un servizio presso la Caritas in aiuto dei migranti e delle famiglie elleniche in difficoltà. È l’esperienza vissuta dal Clan/Fuoco Piedi-Fuori del Gruppo Scout Peccioli 1.

La Chiesa Armena Cattolica

«Il primo impatto con la terra ellenica è stato il caldo secco dell’aeroporto che ci ha accolto a notte inoltrata – dicono i giovani – Con un autobus abbiamo raggiunto quella che è stata stata la nostra casa per otto giorni: la Chiesa Armena Cattolica di Neos Kosmos. Nonostante l’ora tarda abbiamo trovato gli abitanti ad attenderci sulla porta; primo assaggio della estrema e incondizionata ospitalità con la quale abbiamo avuto a che fare per tutta la settimana. La prima giornata è stata dedicata alla pianificazione del nostro servizio e a un incontro con le realtà dove poi siamo andati a svolgerlo respirando in ogni nostro incontro ospitalità e cordialità. Per prima cosa siamo stati ospiti della simpatia toscana di Fabiola e Filippo, i quali gestiscono la casa famiglia “Divina Provvidenza” della comunità intitolata a Papa Giovanni XXIII».

La casa famiglia

«Qui, accolti calorosamente – raccontano ancora gli scout – abbiamo ascoltato la storia della famiglia che ha avuto il coraggio, la voglia e la vocazione di lasciare tutte le comodità italiane per volare in un Paese straniero in difficoltà e mettersi al servizio della poèpolazione cercando di fare del bene per tutti, indistintamente. La casa famiglia si trova in una grande struttura, precedentemente gestita da suore e poi donata alla Caritas e ristrutturata che adesso ospita l’allargata famiglia di Filippo e Fabiola e il Neos Kosmos Social House (Nksh), l’altro centro di aiuto che ci ha ospitato».

Neos Kosmos Social House

«Siamo stati tutti messi alla prova con l’inglese – raccontano ancora gli scout – in modo da coinvolgere tutti gli inquilini. Abbiamo conosciuto molti volti e molte storie cariche di nostalgia e voglia di riscatto, in particolare quando tutti i residenti, anche quelli di passaggio, ci hanno raccontato il proprio sogno. La Nksh, come ci è stata presentata, è una struttura che accoglie circa quaranta famiglie provenienti da diversi Paesi tra i quali la Siria, il Congo, il Marocco e altri, famiglie in attesa di permessi per lasciare la Grecia e raggiungere qualche parente che attende loro in Europa, oppure famiglie greche in difficoltà a causa della crisi. Dopo aver conosciuto queste due realtà ci siamo messi in gioco; il nostro servizio ha toccato gli ambiti più disparati, dal giardinaggio all’animazione dei bambini presenti nella Social House e nella casa famiglia, da interventi elettrici al montaggio e smontaggio di letti e mensole, dalla creazione di una stanza per esposizione alla pulizia di magazzini. Ci siamo inseriti a pieno in quella grande famiglia che aiuta, soprattutto grazie alla loro cordialità e al loro entusiasmo. Con questi sentimenti siamo stati invitati ad andare al mare con loro, dove abbiamo giocato con i bambini, divertendoci insieme e condividendo usanze e abitudini diverse, ballando e cantando sulla spiaggia greca. L’ammirazione e la gioia che abbiamo provato erano tali da farci dimenticare la stanchezza. Due di noi hanno poi avuto la possibilità di cenare alla Capanna di Betlemme, struttura che accoglie per due notti a settimana i senzatetto di Atene».

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Csto: segretario generale Khatchaturov sotto processo in Armenia, rimosso dall’incarico (2) (Agenzianova 02.11.18)

Erevan, 02 nov 14:37 – (Agenzia Nova) – Stando a quanto riportato dall’agenzia di stampa “Interfax” all’inizio del mese di settembre, l’Armenia intende nominare il generale Vagharshak Harutyunyan, che è stato ministro della Difesa armeno nel 1999 e nel 2000, alla carica di segretario generale. Il viceministro russo Aleksander Fomin ha smentito le indiscrezioni pubblicate da alcuni media russi secondo cui Mosca potrebbe sospendere la fornitura di armi all’Armenia in base all’accordo per un prestito di 100 milioni di dollari. “Questa informazione non è vera”, ha detto il viceministro. Alla domanda su come valuta la situazione su Khatchaturov, Fomin aveva affermato che l’Armenia “sta applicando la legge”. (segue) (Res)

Armenia: la capitale Yerevan celebra il 2800° anniversario della fondazione, anche un Food Festival (Turismoitalianonews 01.11.18)

Giovanni Bosi, Yerevan / Armenia

E’ sorta trenta anni prima di Roma e quest’anno celebra il suo 2800° anniversario della fondazione, anche se in realtà potrebbe essere ben più antica. In onore della città di Yerevan, capitale dell’Armenia, sono stati organizzati in tutto il Paese una ventina di festival, incluso quello che mette in vetrina la gastronomia della nazione.

(TurismoItaliaNews) La storia è lunga e gli armeni ne sono consapevoli e orgogliosi, anche perché la storia di questo Paese ex sovietico non è mai stata facile. Yerevan fiorì come una città intorno alla fortezza di Erebuni, fondata dal re urartiano Argishti il Primo, nel 782 a.C. Lo stesso nome Yerevan è una trasformazione evolutiva di “Erebuni”. Scavi archeologici e ricerche hanno documentato che la fortezza di Erebuni è, in realtà, il pilastro fondatore della capitale essendo collocata nella parte sud-orientale della città.

 

Una delle prove sbalorditive scoperte durante gli scavi è una scrittura cuneiforme riconducibile proprio ad Argishti il Primo, il fondatore di Erebuni: “Grazie alla grandezza del Dio Khaldi, Argishti, figlio di Menua, costruì questa possente roccaforte e la proclamò Erebuni per la gloria di Biainili (Urartu) e per instillare la paura tra i nemici del re. Argishti dice: La terra era un deserto, prima delle grandi opere che ho compiuto su di esso. Per la grandezza di Khaldi, Argishti, figlio di Menua, è un potente re, re di Biainili, e sovrano di Tushpa”.

Il particolare più sorprendente è che Yerevan, in effetti, è più vecchia di 2.800 anni. Gli archeologi hanno prove concrete per argomentare che nel territorio di Erebuni-Yerevan c’è stato un insediamento molto precedente. Insediamenti fortificati risalenti al IV millennio a.C. includono Shengavit, Tsitsernakaberd, Teishebaini (Karmir Blur), Arin Berd e Berdadzor, che costituiscono una parte inseparabile della totalità di Yerevan. Per tutto il 2018, in Armenia si sono svolti una ventina di festival, come parte del calendario collettivo di Yerevan 2800.

E il 20 e 21 ottobre scorsi c’è stato il culmine di tutti gli eventi. In ogni angolo del centro, in particolare negli snodi centrali come North Avenue, Opera House, Cascade e altri, si sono tenute feste ed iniziative con canti, balli, mostre di artigianato e competizioni. E poi, dal 1° al 6 novembre, lo Yerevan Food Festival con forum, cooking show e masterclass.

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L’Arca di Noè e il monte Ararat sulla banconota da 500 dram dell’Armenia votata come “la migliore dell’anno”

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