Dopo 46 anni riapre la chiesa di San Gregorio. Al suo interno la pala d’altare di Siciolante (Centropagina.it 09.09.18)

ANCONA – Dopo 46 anni la chiesa di san Gregorio Illuminatore riaprirà a dicembre. Chiusa in seguito al terremoto del 1972, riaprirà con una mostra di tre fotografi (Olivo Barbieri, Paola De Pietri e Petra Noordkamp) chiamati dalla Soprintendenza a fotografare il territorio marchigiano sconvolto dal sisma del 2016.

Chiesa di san Gregorio Illuminatore ad Ancona (Foto: Regione Marche)

I lavori di restauro iniziati all’inizio degli anni ’90 e, interrotti e ripresi negli anni, sarebbero agli sgoccioli. «È stato eseguito un restauro importante che permetterà di riaprire la chiesa – spiega il soprintendente Carlo Birrozzi – anche se desidero che in futuro vengano eseguiti altri lavori all’interno della struttura. Il sagrato è stato sistemato e presto sarà posizionata una pavimentazione. La chiesa riaprirà sicuramente a dicembre e ospiterà almeno fino a gennaio la mostra dei tre fotografi. In seguito sarà utilizzata per eventi culturali».

Chiesa san Gregorio (Foto: Vista Mare)

La Soprintendenza ha deciso di ricoprire, al momento, i resti sottostanti del portale romano e del muro esterno dell’anfiteatro romano, scoperti anni fa sotto il sagrato. I continui rinvii sulla riapertura della chiesa sono infatti in parte legati alla scoperta di questi resti, ma dopo averli studiati, ripuliti e aver approfondito gli scavi e completato i rilievi, l’Ente ha deciso di ricoprirli. La stessa cosa vale per i resti dell’anfiteatro scoperti sotto il pavimento della navata della chiesa. Qui piccole e grandi botole mostrano i resti e potranno essere utilizzate solo dagli studiosi, perché Birrozzi ha deciso di non renderli visibili. «Sono stati fatti i rilievi e lo scavo è stato completato – spiega – ma non credo siano indispensabili. La parte di anfiteatro che già è visibile è sufficiente».

«È molto importante che siamo riusciti ad ottenere i finanziamenti per il recupero di tutto il complesso di san Gregorio – continua il soprintendente – e la parte più impegnativa riguarda le case canoniche che si trovano intorno alla chiesa, iniziate nel ‘700  e poi abbandonate. Dobbiamo per forza consolidarle perché pregiudicano la sicurezza della chiesa. La stessa cosa vale per palazzo Birarelli, alla sinistra dell’edificio religioso». Gli interventi di messa in sicurezza delle case e di palazzo Birarelli sono in fase di progettazione, mentre presto tornerà nella chiesa la cinquecentesca pala d’altare di Girolamo Siciolante da Sermoneta. Portata a Milano dai commissari del Regno Italico nel 1811 e, poi trasferita a Calcinate, vicino a Bergamo, dove si trova attualmente, potrà di nuovo essere ammirata ad Ancona.

Paolo Marasca, assessore alla Cultura

«Abbiamo ricevuto da poco l’ok formale e definitivo dal direttore della Pinacoteca di Brera – dichiara Paolo Marasca, assessore alla Cultura – la pala tornerà definitivamente ad Ancona. Sarà un evento molto importante per la città e, più in generale, per l’Italia perché la restituzione definitiva di un dipinto asportato in epoca napoleonica non è un fatto che accade tutti i giorni». Dopo tanti anni di confronti e richieste, la Vergine con il Bambino in trono e santi del 1570 di Siciolante, dedicata a San Bartolomeo, protettore degli armeni, dal mercante armeno Giorgio Morato, tornerà dunque nella chiesa vicina all’anfiteatro romano. La pala, alta oltre 5 metri e larga quasi tre metri, è una testimonianza della presenza storica della comunità armena ad Ancona.

Pala d’altare di Girolamo Siciolante da Sermoneta (Foto: Beni Culturali)

«Ora stiamo verificando le questioni logistiche – continua Marasca – come il trasporto, il restauro della pala e i tempi esatti del ritorno dell’opera». La pala necessita infatti di un restauro e, considerato che le strutture vicine alla chiesa subiranno in futuro alcuni interventi di messa in sicurezza, è probabile che la pala venga posizionata momentaneamente in un’altra location (forse in Pinacoteca) prima di tornare nella chiesa di san Gregorio, la sua collocazione originaria.

CHIESA SAN GREGORIO: La chiesa di San Bartolomeo venne eretta intorno al 1520, con l’annesso convento, in sostituzione di quella duecentesca che franò in mare per un cedimento della rupe nel XV o XVI secolo. Caratterizzata da una pianta rettangolare, fu rimaneggiata nel 1760 dall’architetto Francesco Maria Ciaraffoni, il quale realizzò la volta a botte lunettata e la zona absidale. Gli stucchi settecenteschi sono, invece, opera dello scultore anconitano Gioacchino Varlè. Nel 1847 il complesso fu acquistato dalle monache benedettine armene e assunse la denominazione di San Gregorio Illuminatore. Per quanto riguarda il convento, questo fu adibito, dopo il 1860, a sede delle carceri e poi successivamente demolito nel 1975 per recuperare il sottostante anfiteatro romano.

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Tricase, a chiudere il Salento International Film Festival c’è il ministro della cultura d’Armenia (Piazzasalerno.it 09.09.18)

Tricase – Si chiude oggi, domenica 9 settembre, la 15esima edizione del Salento International Film Festival, che sin dal primo del mese ha portato in città uno sguardo dal mondo, fra proiezioni di pellicole indipendenti, mostre e dibattiti.

Ospite il ministro della Cultura d’Armenia, per la prima volta in Italia – Dopo la festa swing che ha fatto rivivere le atmosfere dell’America anni ’30 e l’Hong Kong Business Meeting di giovedì 6, che ha rappresentato una vetrina per aziende e imprenditori salentini desiderosi di aprirsi alle possibilità offerte dai mercati orientali, nell’ultima giornata del festival ancora un evento dal respiro internazionale: domenica 9 settembre in piazza Pisanelli, alle ore 20,30, per la cerimonia di premiazione dei film in gara arriva Lilit Makunts, ministro della Cultura della Repubblica d’Armenia, alla sua prima visita ufficiale in Italia. La presenza del ministro è legata alla venuta dell’ensamble di 31 musicisti della Naregatsi Folk Orchestra (anche loro per la prima volta in Italia), che dopo la cerimonia di premiazione saliranno sul palco per un concerto di musica tradizionale armena. Presenti per l’occasione anche l’ambasciatrice straordinaria e plenipotenziaria della Repubblica d’Armenia in Italia Victoria Bagdassarian, e il console Aghvan Ayvazyan. L’ingresso all’evento è libero, posti a sedere fino a esaurimento.

Prosegue la mostra “Cinema & arte visiva” – Nella sala stucchi di Palazzo Gallone resterà aperta al pubblico fino al 15 settembre la mostra fotografica “Cinema & arte visiva”, inaugurata venerdì 31 agosto e inserita nel programma del festival. In esposizione opere di Vivien Liu, fotografa e architetto di Hong Kong; Sergio Premoli, che fra le altre cose ha creato il poster per il film “The Doors” di Oliver Stone; e Domenico Giglio, che indaga il tema del “Fine pena mai”.

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Olanda, in fuga i due ragazzini a rischio espulsione (Ilmanifesto.it 09.09.18)

Howick e Lili possono rimanere nei Paesi Bassi. Lo ha deciso ieri pomeriggio Mark Harbers, il sottosegretario olandese alla Giustizia e alla Sicurezza, che ha concesso loro il permesso di restare in Olanda, evitandone l’espulsione verso l’Armenia. Howick e Lili sono i nomi dei due fratelli, rispettivamente di tredici e dodici anni, la cui storia, nei giorni scorsi, è diventata un caso nazionale nei Paesi Bassi, fino alla felice conclusione di ieri. Figli di una donna armena, Armina Hambartsjumian, già espulsa dall’Olanda l’anno scorso dopo il rigetto della domanda di asilo, i due erano irregolari per le autorità olandesi, che volevano allontanarli dall’Europa e spedirli in Armenia. «Paese sicuro», secondo quanto stabilito da diversi tribunali. Peccato che loro, nel paese caucasico, non ci abbiano mai messo piede né ne conoscano la lingua. Da qui la madre, più di dieci anni fa, era partita verso l’Europa per un futuro migliore. Si era fermata prima in Russia, dove Howick e Lili sono nati, per poi trasferirsi nei Paesi Bassi nel 2008. Qui i due fratelli vivono da più di dieci anni, frequentando regolarmente la scuola e imparando la lingua. Unico problema il respingimento della domanda d’asilo che la madre aveva presentato non appena entrata nel paese. Risultato? Armina è stata rimandata in Armenia l’anno scorso, le corti olandesi volevano imporre lo stesso destino anche a Howick e Lili, prima dell’intervento del ministro Harbers che dopo le pressioni dell’opinione pubblica ha ribaltato quanto deciso fino a ieri dai giudici. Da ultimo quelli di Amsterdam che, venerdì sera, hanno escluso qualunque ripensamento: l’Armenia è un paese sicuro, gli accordi sono già stati presi e i due bambini vanno espulsi.

Ieri mattina però, il colpo di scena che ha messo i bastoni fra le ruote ai programmi del governo, guidato dal liberale Mark Rutte: Howick e Lili sono scomparsi dalla casa della famiglia affidataria, facendo perdere le loro tracce. Non è la prima volta che i due non si fanno trovare dalla polizia olandese, in una triste, ma alla fine efficace, partita a guardie e ladri.

A inizio settimana i due fratelli sono stati nascosti da un’amica della madre che, nel frattempo, ha pubblicato un appello indirizzato alle autorità olandesi per interrompere la procedura di espulsione. Niente da fare, «coloro che non possiedono i requisiti, non possono rimanere qui» è stata la risposta del primo ministro Rutte. Nonostante la mobilitazione di associazioni, partiti e singole personalità, il loro destino sembrava segnato e l’appello a favore di un kinder pardon, una amnistia per i minori da tempo nel paese, destinato a cadere nel vuoto. A nulla era servito anche l’intervento del Garante per l’infanzia olandese che, venerdì, aveva accusato le autorità olandesi di infrangere i diritti dei minori. La scomparsa improvvisa dei bambini ieri mattina e la crescente indignazione, hanno però convinto il governo a cambiare idea: viste le «mutate circostanze», Howick e Lili possono rimanere.

Russia-Armenia: premier Pashinyan arrivato a Mosca, previsto incontro con Putin (Agenzianova 08.09.18)

Russia-Armenia: premier Pashinyan arrivato a Mosca, previsto incontro con Putin
Mosca, 08 set 13:18 – (Agenzia Nova) – Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan è arrivato a Mosca per incontrare il presidente russo Vladimir Putin al Cremlino. Lo riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress”, secondo cui durante il suo soggiorno Pashinyan incontrerà anche una delegazione di uomini d’affari armeni in Russia. “Entrambe le parti hanno diverse questioni da sollevare, quindi ci aspettiamo un confronto sincero e serio su tutti i temi legati alla cooperazione bilaterale e alle interazioni nell’Unione economica eurasiatica e l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva”, ha affermato il consigliere presidenziale russo Juri Ushakov, alla vigilia della visita di Pashinyan. Le forniture di armamenti russi all’Armenia, nel quadro dell’accordo di prestito da 100 milioni di dollari, proseguiranno come previsto, ha spiegato nei giorni scorsi il ministro della Difesa di Erevan, Davit Tonoyan. (segue) (Res)

L’Arcivescovo armeno Athesyan elogia la politica del governo verso le minoranze religiose (Agenzia Fides 07.09.18)

In alcune dichiarazioni rilanciate dai media turchi, l’Arcivescovo ha insistito sul fatto che prima dell’ascesa al potere dell’Akp “certe cose in Turchia erano tabù”, e invece “adesso stiamo ripristinando i nostri santuari e alcune delle nostre comunità stanno ricevendo anche le autorizzazioni per costruire nuove chiese”, mentre molte restrizioni sono già scomparse e abbiamo iniziato a percepire in maniera positiva la nostra condizione in questo Paese “.
Alla fine dello scorso marzo, come riferito dall’Agenzia Fides (vedi Fides 4/4/2018), in alcuni quartieri di Istanbul erano stati affissi manifesti anonimi che attaccavano proprio l’Arcivescovo Aram Athesyan, già “locum tenens” del Patriarcato armeno apostolico di Costantinopoli, che nell’agosto precedente era stato sostituito in quel ruolo dall’Arcivescovo Karekin Bekdjian, e che in seguito era tornato a giocare un ruolo chiave nelle vicende interne del Patriarcato, dopo che le autorità turche avevano di fatto azzerato l’intero processo elettorale avviato nel 2016 per scegliere il successore del Patriarca Mesrob II Mutafyan, colpito fin dal 2008 da una malattia neurologica invalidante. (GV) (Agenzia Fides 7/9/2018)

Europa League, Mkhitaryan out con il Qarabag: l’armeno a Londra per ragioni di sicurezza (Calcio.fanpage.it 02.09.18)

A causa del decennale conflitto tra Armenia e Azerbaijan, il giocatore armeno dell’Arsenal potrebbe non partecipare alla trasferta del prossimo 4 ottobre ad Agdam. Per evitare l’assenza nel match contro il Qarabag, il club londinese ha chiesto aiuto anche all’Uefa. “La sicurezza generale e quella di tutti i nostri giocatori è sempre una priorità assoluta per noi”, ha fatto sapere un portavoce dei “Gunners”.

Arrivato fino alla semifinale della scorsa edizione, poi persa con l’Atletico Madrid, l’Arsenal di Unai Emery ripartirà da un girone di Europa League tutto sommato alla sua portata. Dal sorteggio di Montecarlo, i “Gunners” sono infatti usciti con l’iscrizione al Gruppo E: raggruppamento che vede protagoniste anche Sporting Lisbona, Qarabag e Vorskla. Dopo l’esordio casalingo contro gli ucraini, l’Arsenal dovrà invece volare il 4 ottobre in Azerbaijan per la sfida contro il Qarabag: un match che i londinesi potrebbero affrontare senza Henrikh Mkhitaryan. Come evidenziato dai tabloid britannici, il giocatore armeno potrebbe rimanere a Londra per ragioni politiche e di sicurezza. A causa del decennale conflitto tra Armenia e Azerbaijan, iniziato negli anni ’90 per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh, per i cittadini armeni è infatti diventato un rischio passare il confine azero: una situazione che Mkhitaryan ha già vissuto sulla propria pelle nel 2015, quando evitò di prendere parte alla trasferta del Borussia Dortmund contro il Gabala, altro club della massima divisione del calcio azero.  Il lavoro diplomatico dell’Uefa
Nelle scorse ore la diplomazia si è già messa in moto per evitare l’assenza del giocatore armeno, al quale potrebbe essere negato il visto per entrare in Azerbaijan. Un problema che la società inglese povrebbe affrontare anche in caso di arrivo a Baku: sede della finale di Europa League del prossimo maggio. A mediare tra i due paesi è quindi scesa i campo anche l’Uefa. “E’ una procedura standard per noi inviare lettere di supporto a federazioni, club o ambasciate per ottenere visti per i calciatori, in modo che possano viaggiare in un altro paese e giocare partite di competizioni Uefa”, hanno fatto sapere dal quartier generale di Nyon. “La sicurezza generale e quella di tutti i nostri giocatori è sempre una priorità assoluta per noi – ha invece dichiarato un portavoce dei Gunners – Daremo un’occhiata a questa situazione, parleremo con il giocatore e prenderemo una decisione dopo”.

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Mkhitaryan, trasferta (ed eventuale finale) vietata: in Azerbaijan niente armeni (Ilposticipo.it 31.08.18)

L’Arsenal guarda al sorteggio di Europa League pensando che in fondo, viste le squadre pericolose in seconda e terza fascia, poteva decisamente andare peggio. L’urna ha messo di fronte alla squadra di Emery lo Sporting Lisbona, il Qarabag e il Vorskla Poltava. Avversari decisamente alla portata, ma viaggi sempre abbastanza lunghi per i Gunners, considerando che la trasferta più breve è quella in Portogallo. Per motivi logistici spaventano un po’ i soggiorni in Ucraina e in Azerbaijan, ma la partita con il Qarabag crea anche un problema diplomatico. Il Sun riporta infatti che i londinesi rischiano di non poter schierare Henrik Mkhitaryan per la partita di Europa League.

TENSIONI POLITICHE – Problemi…di passaporto per l’ex Manchester United, che già nel 2015 aveva dovuto rinunciare a una trasferta in Azerbaijan, quando il suo Borussia Dortmund ha incrociato il Gabala sempre nei gironi di Europa League. Un’assenza dettata da motivi politici e di sicurezza. Semplicemente, da quelle parti gli armeni non sono i benvenuti. Colpa di un contenzioso, quello del Nagorno-Karabakh, che da ormai un trentennio avvelena la zona del Caucaso. La regione, dopo la dissoluzione dell’URSS, è contesa tra armeni e azeri e il rischio di un conflitto è sempre dietro l’angolo. E di conseguenza, le due popolazioni hanno rapporti per nulla cordiali. Anzi, potendo evitare di entrare in contatto, lo fanno volentieri.

FINALE – In teoria, Mkhitaryan potrebbe fare richiesta di un visto come hanno fatto alcuni suoi connazionali nel 2015 per la prima edizione dei Giochi Europei, ma essendo forse l’atleta armeno di maggior rilievo, sorgerebbero comunque problemi legati alla sicurezza che potrebbero convincere l’Arsenal a non convocarlo per la trasferta. Del resto, finchè si tratta di una partita del girone, la presenza del ventinovenne capitano dell’Armenia può non essere necessaria. Il problema potrebbe però porsi…se i Gunners arrivassero in finale. L’ultimo atto dell’Europa League si giocherà infatti proprio a Baku. Per Emery e soci sarebbe una questione spinosa. Ma forse, dato che significherebbe essere arrivati in fondo, forse il problema se lo porrebbero anche volentieri.

 

 

Armin Wegner. Occhi sul popolo armeno (Laregione.ch 01.09.18)

Un approfondimento della Scuola media di Breganzona dedicato all’uomo che documentò il genocidio con le sue immagini

Lo scorso anno scolastico la Scuola media di Breganzona ha promosso degli atelier nei quali gli allievi erano chiamati ad approfondire temi legati ai genocidi e alle molte forme di discriminazione. Pubblichiamo il lavoro che alcune alunne hanno dedicato a un Giusto, come quelli ricordati nel «Giardino» presente al Parco Ciani di Lugano. È apparso questa settimana su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana

Lo scorso aprile è stato inaugurato al Parco Ciani di Lugano il primo Giardino dei Giusti della Svizzera. Questi giardini intendono mantenere viva la memoria di coloro che hanno avuto il coraggio di difendere i perseguitati, rifiutandosi di piegarsi alle logiche dei totalitarismi e delle discriminazioni.

Armin Wegner (1886–1978) è stato riconosciuto dagli armeni come Giusto per essere stato tra i primi a denunciare il dramma di questo popolo: il genocidio perpetrato nell’Impero Ottomano durante la Prima guerra mondiale. Armin ha ricevuto lo stesso riconoscimento anche dalla comunità ebraica per una lettera che aveva spedito ad Adolf Hitler denunciando le politiche antisemite.

Giusti e ingiustizie

A scuola abbiamo avuto l’occasione di conoscere il figlio di Wegner, Mischa, e ci siamo anzitutto domandati se il padre gli avesse mai raccontato le sue esperienze: «Non mi ha mai parlato dei momenti tragici della sua vita. Chi ha subito grandi ingiustizie non ne parla», spiega Mischa Wegner. «Perché tanti Giusti stanno emergendo dal passato solo oggi?», ci domanda indirettamente. «Perché è il mondo che li va a cercare, loro non si espongono, non cercano meriti e fama per quanto hanno fatto. Ho potuto scoprire la storia di mio padre documentandomi dopo la sua morte, in occasione di un’esposizione delle sue fotografie, nel 1995. Tenendo il discorso di apertura mi hanno sorpreso le lacrime; con il tempo ho dovuto imparare ad affrontare queste emozioni, per non piangere più», ci confida Wegner. Raccontando, Mischa ripercorre la vita di suo padre: «È riuscito a raggiungere una certa notorietà come scrittore e poeta ancor prima di arruolarsi come infermiere nell’esercito tedesco durante la Prima guerra mondiale. Inviato in Anatolia è stato testimone oculare della tragedia subita dal popolo armeno». Di fronte alle esecuzioni sommarie, alle marce forzate nel deserto, ai campi in cui vennero costretti i sopravvissuti, Armin Wegner non ha distolto lo sguardo, «a differenza degli altri tedeschi non è rimasto indifferente e nonostante i divieti ha scattato quelle fotografie che costituiscono il nucleo della testimonianza storica del genocidio armeno, ancora oggi non ufficialmente riconosciuto o addirittura negato in alcuni paesi», spiega il figlio Mischa.

Una caratteristica particolare distingue gli scatti di suo padre: «Non sono le foto di un fotografo ma di un poeta, ossia di un uomo capace di cogliere con particolare profondità l’istante vissuto». Il figlio di Armin ci mostra la foto divenuta simbolo del genocidio: «Sembra un’immagine in movimento e al suo interno racchiude tutto il dramma subito dal popolo armeno». «Al termine del conflitto mio padre ha continuato a battersi per far conoscere al mondo la tragedia armena: ha organizzato conferenze e scritto una lettera al presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson facendo presente che il popolo armeno aveva sofferto enormemente e avrebbe avuto diritto a una nazione indipendente».

Mischa spiega come Armin dovette scontrarsi con un generale clima di indifferenza. Ben presto si smise di parlare del genocidio armeno: «Quando nel 1965 mio padre riprese a scrivere di questa tragedia, pochissimi giornali accettarono di pubblicare il suo articolo. Tra le poche testate giornalistiche che ebbero il coraggio di rompere il silenzio vi fu la Weltwoche in Svizzera».

Nuovi drammi

Nel frattempo la storia aveva seguito il suo corso, ripetendosi. «Mio padre, trovandosi in Germania negli anni dell’ascesa del nazismo, si accorse che ciò che era successo agli armeni stava accadendo di nuovo.

Di fronte alle politiche antisemite del regime decise di scrivere una lettera ad Hitler per denunciare questi atti disumani e prevenire la catastrofe che in seguito venne chiamata Shoah». Un atto coraggioso, una delle prime proteste aperte di un intellettuale tedesco contro il Führer, pensiamo noi. «Non era un eroe», precisa Mischa, «lui vedeva il pericolo imminente, perché lo aveva già conosciuto altrove, vedeva il ripetersi della tragedia, che questa volta invece di abbattersi sugli armeni avrebbe colpito gli ebrei, portando alla rovina anche la Germania». Mischa precisa che per comprendere a fondo il genocidio ebraico si deve conoscere quello armeno: «Il meccanismo è il medesimo; le dinamiche iniziali, il modo di procedere, le giustificazioni addotte sono gli stessi».

La storia che non c’è

«Per il resto della sua vita mio padre tentò di scrivere un’opera interamente dedicata agli armeni. Ed è questo che si è sempre rimproverato: di non essere riuscito a dare agli armeni la storia del loro popolo», ci racconta il figlio di Wegner. «Ma sono le fotografie a costituire il contributo maggiore dato da Armin alla memoria storica; esse lo hanno reso un Giusto», conclude
Mischa, constatando che oggi è difficile trovare persone in grado di anteporre la modestia e l’umiltà al desiderio di fama e di denaro: «È questa la grande differenza dei Giusti. I Giusti non hanno fatto nulla per rendere sé stessi importanti, il destino li ha posti nella condizione di aiutare i perseguitati, testimoniare e trasmettere ai posteri».

E lì termina il loro compito poiché, secondo Mischa, spetta a noi, alle nuove generazioni, impedire che queste tragedie si ripetano: «Coloro che vi portano a conoscere queste tragedie vi stanno aiutando ad aprire gli occhi, perché voi impariate fin da ora a capire gli eventi e il mondo che vi circonda, interessandovi e partecipando in modo responsabile e autonomo alle decisioni politiche».

 

***

Armin Wegner nasce in Germania nel 1886. Allo scoppio della Prima guerra mondiale si arruola come infermiere e nel 1915,
a seguito dell’alleanza tra Germania e Impero Ottomano, viene inviato in Anatolia. Qui è testimone dello sterminio del popolo armeno. Scatta numerose fotografie e raccoglie testimonianze che riesce ad inviare all’estero. Scoperta la sua attività viene richiamato in Germania. Al termine del conflitto scrive una lettera al presidente degli Stati Uniti, nella quale chiede la creazione di uno Stato indipendente per gli armeni. Dopo aver sposato la scrittrice ebrea Lola Landau, nell’aprile del 1933 Wegner scrive una lettera a Hitler nella quale denuncia la politica di persecuzione anti-ebraica e i comportamenti inumani dei nazisti. Ciò costa a Wegner l’arresto: la Gestapo lo interroga e lo tortura; viene trasferito in tre campi di detenzione. Quando viene rilasciato si rifugia in Italia, allora sotto il regime fascista: riesce a sottrarsi alle persecuzioni del regime vivendo nell’ombra. In quegli anni nasce il figlio Mischa. Negli anni Sessanta il suo ruolo di testimone del genocidio armeno e difensore dei diritti dei popoli oppressi, degli armeni e degli ebrei, viene riconosciuto a livello internazionale.

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“Frammenti di Bellezza” racconta l’Armenia: l’incontro con la scrittrice Antonia Arslan (IlGiunco 31.08.18)

MARINA DI GROSSETO – Sarà la scrittrice e saggista Antonia Arslan a concludere l’edizione 2018 di “Frammenti di Bellezza”, la rassegna con cui la diocesi di Grosseto, attraverso l’ufficio per la pastorale culturale, offre momenti di riflessione, approfondimento e spiritualità durante il periodo estivo.

Antonia Arslan venerdì 31 agosto terrà un incontro pubblico all’hotel Terme Marine Leopoldo II, a Marina di Grosseto, dal titolo: “Armenia, la terra delle pietre urlanti”.

Già presente all’edizione 2017 della “Settimana della Bellezza” dedicata al tema della speranza, Arslan torna volentieri in Maremma per continuare ad offrire uno spaccato dell’Armenia, terra delle sue origini familiari. Laureata in archeologia, è stata professore di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova. È autrice di saggi sulla narrativa popolare e d’appendice e sulla galassia delle scrittrici italiane.

Attraverso l’opera del grande poeta armeno Daniel Varujan, del quale ha tradotto le raccolte “II canto del pane” e “Mari di grano”, ha dato voce alla sua identità armena. Ha curato un libretto divulgativo sul genocidio armeno e una raccolta di testimonianze di sopravvissuti rifugiatisi in Italia. Il suo primo romanzo “La masseria delle allodole” è del 2004: in esso racconta il dramma del genocidio del popolo armeno ispirato ai ricordi familiari.

L’opera si è aggiudicata il premio Stresa di narrativa e il premio Campiello, mentre nel 2007 i fratelli Taviani ne hanno fatto la trasposizione cinematografica. A questo primo romanzo sono seguiti “La strada di Smirne” (2009) e “Ishtar 2. Cronache dal mio risveglio”, scritto dopo una drammatica esperienza di malattia. Nel 2010 esce “Il cortile dei girasoli parlanti”; due anni più tardi “Il libro di Mush”, sulla strage degli armeni di quella valle.

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A 30 anni dal terremoto in Armenia (resegoneonline.it 31.08.18)

Correva il mese di dicembre del 1988, quando un terribile terremoto scosse la provincia armena di Lori, nella allora Unione Sovietica. Un disastro dalle proporzioni apocalittiche con un numero di morti che come ordine di grandezza raggiunse le dimensioni dell’intera popolazione residente a Lecco, un evento luttuoso che non mancò di muovere la macchina solidale lecchese coordinata dall’allora sezione locale dell’associazione Italia – URSS.

Alla costituzione presso il Comune di Lecco di un comitato per gli aiuti all’Armenia che coinvolse le organizzazioni sindacali e imprenditoriali lecchesi seguì una raccolta fondi che procurò alla causa ben 300 milioni di lire. Il frutto del contributo lecchese alla ricostruzione post terremoto fu la realizzazione di una scuola nell’allora comprensorio di Kirovakan, oggi Vanadzor, città capoluogo della provincia di Lori, un edificio di circa 300 mq in grado di ospitare fino a 80 studenti.

Del mese di giugno è la visita di una piccola delegazione lecchese guidata da Marina Ghislanzoni dell’Ufficio Scolastico per la Lombardia, calorosamente accolta nella struttura scolastica, del tutto simile ai nostri istituti comprensivi, mentre in questi giorni un gruppo di famiglie di Comunione e Liberazione guidato da Maria Grazie Colombo sta visitando quei luoghi ed è in programma un “viaggio di amicizia e conoscenza” promosso dalla CGIL di Lecco, che prevede un tour della Georgia e dell’Armenia, sempre in occasione dei 30 anni dall’evento catastrofico.

“Ricordare episodi come questo, ma anche interventi importanti di concreta solidarietà attivati a partire da situazioni tragiche come quella del terremoto del 1988, significa sia rendere omaggio al ricordo di chi ha perso la vita, sia sottolineare l’importanza della sensibilità e della solidarietà che diventano azione, contribuiscono alla rinascita e creano legami . La scuola di Vanadzor, ne è un esempio”, commenta il sindaco Brivio.

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Qamishli, le autorità curde chiudono quattro scuole cristiane (Asianews 30.08.18)

Le critiche delle associazioni cristiane e del governo armeno. Ieri, fedeli e sacerdoti sono scesi in strada per protestare. I siriaci accusano i curdi di violare i diritti umani nel silenzio della comunità internazionale.

Qamishli (AsiaNews) – Le forze curde hanno chiuso quattro scuole siriaco-ortodosse e armeno-ortodosse nelle città di Qamishli, Darbasiya e Derik (nord-est della Siria). Lo afferma il Consiglio Mondiale degli Aramei (Wca), accusando le milizie curde Ypg di aver agito in maniera illegale.

La decisione, messa in atto due giorni fa e annunciata il mese scorso, ha suscitato le critiche delle organizzazioni armene e aramee (siriache), e del governo armeno. Ieri, a Qamishli i sacerdoti hanno guidato i fedeli aramei in una protesta, scendendo in strada e fermandosi di fronte alla scuola chiusa e occupata dai soldati della milizia Ypg e dell’organizzazione filo-curda Sutoro Mfs (Consiglio militare siriaco). Secondo fonti locali, i soldati avrebbero sparato in aria per cacciare i manifestanti.

Dura la condanna del Wca. Sarah Bakir, direttrice del gruppo per gli affari alle Nazioni Unite, afferma che il governo del Ypg “autoproclamato e non riconosciuto” non ha l’autorità per attuare una simile decisione. Bakir accusa i gruppi curdi di macchiarsi di abusi sui diritti umani, protetti dal silenzio della comunità internazionale.

Melki Toprak, presidente della Federazione degli Aramei in Svizzera, sostiene che le autorità curde conducono una campagna discriminatoria contro le minoranze cristiane. “Un’altra immagine vergognosa – afferma Toprak – ritrae dei giovani che calpestano il cartello d’entrata della scuola aramea: è un segno di ripudio della nostra cultura e volontà di pulizia etnica”.

La città di Qamishli (in aramaico “Zalin”) è stata fondata dagli aramei nel 1926. Al tempo, i siriaci erano circa 40mila, cifra ora dimezzata. Le città di Darbasiya e Derik (“monastero” in aramaico), insieme a migliaia di altri villaggi, sono state stabilite nello stesso periodo da aramei e armeni provenienti dalla Turchia.

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