Dopo le trattative con Putin la Merkel ha cercato aiuto in Caucaso (Sputnik 30.08.18)
Una settimana dopo le trattative con Putin a Berlino Angela Merkel si è rivolta ai Paesi del Caucaso meridionale. Il viaggio è stato definito storico prima ancora che la cancelliera tedesca arrivasse nella regione.
La Merkel ha visitato la Georgia 10 anni fa, mentre in Armenia e in Azerbaigian non era mai stata. Ai presidenti dei tre Paesi sono state poste numerose domande, ma solo una ha messo in difficoltà la Merkel: può l’Europa fare affidamento sul gas caspico come alternativa a quello russo? Sputnik vi rivelerà se la Merkel ha ricevuto una risposta a questa domanda.
Delle rose e un binocolo georgiani per la Merkel
Il tema principale per i media occidentali quando la Merkel ha toccato il suolo georgiano è stato il bouquet di rose. A consegnarglielo è stato il primo ministro Mamuka Bakhtadze. La settimana prima a regalare dei fiori alla cancelliera tedesca era stato Vladimir Putin. In Occidente Putin è stato più volte criticato perché accoglie le politiche donne donando dei fiori. Ma apparentemente questa tradizione vige anche in Caucaso.La Russia comunque è stata citata più volte durante le trattative tra Germania e Georgia ma non riguardo ai fiori. Le autorità georgiane hanno chiesto alla Merkel quando Mosca ritirerà le sue truppe dall’Ossezia del Sud e dall’Abcasia. In risposta la Merkel ha definito “iniqua” la situazione creatasi intorno a quel territorio che Tbilisi ha sempre considerato proprio. E per comprendere la situazione si è recata sul posto con osservatori della missione di monitoraggio dell’UE. Nel villaggio di Odzisi, al confine con l’Ossezia del Sud, la cancelliera ha guardato con il binocolo la base militare russa. E ha constatato: “Il processo di risoluzione del conflitto sarà lungo”.
“Dopo gli scontri dell’agosto del 2008 la Merkel si è recata in visita a Tbilisi e ha richiesto il ritiro delle truppe russe dalle “secolari terre georgiane”. Tale definizione come minimo presupponeva la presenza di un particolare status dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia”, afferma Sergey Markedonov, studioso della regione del Caucaso e docente di Studi geopolitici presso l’Università Statale Russa per le discipline umanistiche. Anche in quest’occasione la cancelliera tedesca ha rinnovato la sua richiesta, ha precisato l’esperto. Ma ha dimenticato che allora aveva parlato di ritiro in particolare dal “nucleo della nazione georgiana”, ma questa richiesta è stata da tempo soddisfatta.
La Merkel ha risposto in modo elusivo alla domanda relativa a un futuro ingresso della Georgia nella NATO e nell’UE. “Queste cose richiedono molto tempo. Al momento si stanno preparando ad entrare nell’UE i Paesi dei Balcani occidentali. Fra non molto la Gran Bretagna abbandonerà l’UE. Tenuto conto di questi fattori, è difficile prendere delle decisioni sull’ingresso della Georgia”, ha spiegato la Merkel.
Molto più importante per lei è stata la discussione relativa alla realizzazione del progetto del Corridoio meridionale del gas. Questo gasdotto, che dovrebbe garantire forniture di gas proveniente dal giacimento azero Shah Deniz 2, è per l’Europa l’alternativa al gasdotto russo North Stream 2. La posa del gasdotto è cominciata nel 2015 e tre mesi fa hanno messo a regime il primo dei tre tratti: il gas viene trasportato in Turchia attraverso la Georgia e poi arriva in Grecia. I partecipanti al progetto hanno deciso di costruire un luogo per la conservazione del gas in Georgia. In estate sarà possibile riempirlo per evitare interruzioni delle forniture durante l’inverno. La Germania si è detta pronta a finanziarne la costruzione. La Merkel ha sottoscritto a Tbilisi un accordo per il finanziamento del progetto del valore di 150 milioni di euro.Andrey Devyatkov, ricercatore senior dell’Istituto di Economia presso l’Accademia nazionale russa delle scienze ritiene che sulle trattative abbia influito il recente ripristino dei contatti commerciali tra Russia e Germania. “La Merkel doveva dimostrare alla NATO, all’UE e al Partenariato orientale che il dialogo con Mosca non viene portato avanti a loro discapito. Da qui derivano il sostegno alla questione dell’unità territoriale georgiana e la discussione sul Corridoio meridionale del gas che molti in Occidente interpretano come un mezzo per combattere il diktat russo sul gas”, ha osservato.
Senza inutili giri di parole in Armenia
Anche in Armenia ad aspettare la Merkel vi era un bouquet di fiori. Ad accoglierla il primo ministro Nikol Pashinyan. Già dai suoi primi minuti in Armenia su Internet hanno cominciato a confrontare a chi la Merkel sorridesse più benevolmente: a Pashinyan o al premier georgiano. In Armenia si è deciso che a Yerevan la cancelliera sorridesse in modo più sincero.Dopo aver espletato tutte le formalità di protocollo, la Merkel ha proposto a Pashinyan di aiutarlo nell’attuazione dell’Accordo di partenariato globale e rafforzato con l’UE che le autorità armene hanno sottoscritto a novembre a condizioni semplificate. Pashinyan non ha avuto niente in contrario. Tuttavia, ha fatto subito capire che “non avrebbe fatto grandi inversioni di marcia nella politica estera” e che avrebbe continuato a intrattenere rapporti sia con la Russia sia con l’Europa.
Secondo Mikael Zolyan, rappresentante del Centro di Studi regionale di Yerevan, le trattative hanno dimostrato che l’Armenia non è intenzionata a cambiare il proprio approccio di politica estera sull’esempio della Georgia, anche se Berlino è un partner economico importante per Yerevan. “È il terzo partner per fatturato dopo la Russia e la Cina”, ha specificato l’esperto.
Zolyan ha sottolineato il fatto che la Merkel abbia accordato gli aiuti per la risoluzione della Guerra del Nagorno-Karabakh, ma afferma: “Nessun passo concreto è stato fatto proprio come la Germania desiderava”. “La Merkel ha provato a non promettere niente non solo sulla questione del Nagorno-Karabakh. Anche quando si è parlato della liberalizzazione del regime dei visti tra Armenia e UE la Merkel è stata eccessivamente prudente”, ha aggiunto Zolyan.
La Merkel e Pashinyan, terminati i discorsi ufficiali, hanno passeggiato per il centro di Yerevan e si sono fatti fotografare con alcuni passanti. Ad un certo punto il premier armeno ha preso il cellulare di una persona tra la folla e si è fatto un selfie. “La fotografia diventata virale sui social media è la conferma migliore del fatto che in UE sono pronti a dialogare con le nuove autorità armene”, ha concluso Zolyan.
Il pragmatismo alla maniera azera
La visita della Merkel in Azerbaigian è stata oscurata da uno scandalo. Le autorità azere hanno vietato l’ingresso nel Paese al deputato del Bundestag Albert Weiler facente parte della delegazione tedesca. La ragione? Il parlamentare tedesco aveva visitato il Nagorno-Karabakh senza il permesso di Baku.
Dopo questo fatto alcuni politici tedeschi hanno invitato la Merkel a disdire la visita. Ma il prezzo del viaggio era molto più alto di questo scandalo. “L’Azerbaigian è importante per la diversificazione delle forniture di gas in Europa”, ha ripetuto più volte la Merkel.Un’atmosfera negativa intorno a questa visita è stata creata anche dal fatto che alla vigilia della visita i media azeri hanno comunicato il possibile ingresso di Baku nell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, CSTO (una sorta di “NATO russa” secondo gli occidentali). Questo ha sorpreso gli europei poiché della CSTO fa parte il principale nemico dell’Azerbaigian, cioè l’Armenia. Inoltre, l’anno scorso Baku ha adottato un progetto di partenariato con la NATO.
Nurlan Gasymov, studioso del Caucaso, non vede in questo sviluppo una contraddizione. Gasymov interpreta le dichiarazioni relative all’ingresso nella CSTO come un tentativo di bilanciamento della politica estera di Baku. E ha forti dubbi sul fatto che questo accadrà davvero. “Nel caso più estremo l’Azerbaigian entrerà nella CSTO come Paese osservatore. Ma questo non porterà Baku ad abbandonare la politica di non allineamento ai vari blocchi politico-militari e non impedirà a Baku di prendere parte ai programmi della NATO”.
All’incontro con Ilham Aliyev la cancelliera tedesca ha parlato subito del gas. La Merkel ha riconosciuto che il combustibile russo è più conveniente, ma per diversificare l’Europa è pronta a pagare. Il presidente azero, a sua volta, ha invitato Berlino a investire più attivamente nel settore del petrolio e del gas.
Inoltre, la Merkel e Aliyev hanno discusso delle prospettive relative alle forniture di gas turkmeno lungo il Corridoio meridionale del gas. Fino a poco tempo fa importare dal Turkmenistan era difficile a causa dell’indeterminatezza dello status del Mar Caspio. Ma dopo la recente sottoscrizione della convenzione su tale materia Ashgabat può unirsi al gasdotto.Secondo Devyatkov, in grado di congelare le forniture di gas turkmeno potrebbero essere eventuali trattative su grandi volumi di gas tra Baku e Ashgabat e ingenti spese nella costruzione e nella sistemazione dei giacimenti del tratto turkmeno.
“Il progetto del Corridoio meridionale del gas è stato avviato nel 2013 quando il prezzo del gas era alto. Oggi il prezzo si è quasi dimezzato. Per questo, le spese infrastrutturali potrebbero non rientrare. Non a caso Aliyev ha dichiarato che ora è il Turkmenistan ad avere il coltello dalla parte del manico”, ha osservato l’esperto.
L’Europa considera il Corridoio meridionale del gas come un modo per ridurre la dipendenza dal gas russo, ma Mosca non teme la concorrenza. Il consumo annuale di gas dell’UE raggiunge i 500 miliardi di m3. La potenza iniziale del gasdotto non supererà i 16 miliardi di m3.
Dopo la messa a regime completa il gasdotto potrà rifornire l’Europa di 31 miliardi di m3 di gas all’anno. La potenza del North Stream 2 è di quasi due volte superiore: 55 miliardi di m3. Dunque, alla sua domanda la Merkel ha trovato risposta, ma molto probabilmente non ne è soddisfatta.
Armenia-Cina: Pechino dona 200 ambulanze a Erevan (Agenzianova 30.08.18)
Accadde Oggi: Armenia, terrore vendicativo (L’indro 27.08.18)
Atilla Altikat era un addetto militare presso l’ambasciata turca in Canada, ex ufficiale dell’aviazione turca. Il 27 agosto del 1982 era in auto, a Ottawa. Erano le 9 del mattino e si stava recando al lavoro. Si fermò al semaforo rosso, quando un auto si affiancò alla sua. Rapidamente, un uomo uscì dalla macchina e, puntando un’arma da fuoco verso il diplomatico, aprì il fuoco, uccidendo Altikat. L’assassino rientrò nel veicolo e ripartì immediatamente.
La notizia arrivò subito al Primo Ministro canadese Pierre Trudeau (padre dell’attuale premier del Canada Justin), che condannò fermamente l’accaduto. Ma chi fu responsabile dell’omicidio contro Altikat?
La rivendicazione arrivò dal Commando di Giustizia del Genocidio Armeno (CGGA). La sigla non era sconosciuta, all’epoca: non era il primo attentato rivendicato da loro. Erano un gruppo terroristico armeno che lottava per la creazione di uno Stato armeno nei suoi territori storici e per il riconoscimento del genocidio armeno da parte della Turchia. Ritenuta la fazione armata del movimento nazionalista di sinistra Federazione Rivoluzionaria Armena, che ai tempi operava per l’ottenimento dell’indipendenza dell’Armenia dall’Unione Sovietica, il CGGA venne fondato nel 1975 e inaugurò la propria attività terroristica con l’uccisione dell’ambasciatore turco in Austria Danis Tunaligil, seguito, due giorni dopo, dall’attentato al suo omologo in Francia Ismail Erez, rimasto ucciso assieme al suo autista. L’attività di questo gruppo terroristico si svolgeva in tutto il mondo, dall’Europa al Nord America e gli obiettivi erano principalmente diplomatici o militari turchi.
Ribattezzata Esercito Rivoluzionario Armeno, la sua attività cessò nel 1985, anno del loro ultimo attentato: a Ottawa, tre membri dell’organizzazione assalirono l’ambasciata turca, la stessa in cui prestava servizio Atilla Altikat, uccidendo una guardia canadese e prendendo 12 ostaggi, non riuscendo tuttavia nell’obiettivo di uccidere l’ambasciatore. Gli attentatori vennero condannati all’ergastolo.
Ancora oggi, tuttavia, la Federazione Rivoluzionaria Armena celebra alcuni fra gli attentati compiuti dall’organizzazione terroristica.
Rifugiati, si all’espulsione in Armenia dei piccoli Howick e Lili. Il governo rifiuta l’asilo (31maggio.nl 26.08.18)
Rifugiati, si all’espulsione in Armenia dei piccoli Howick e Lili. Il governo rifiuta l’asilo
Howick -13- e Lili -12-, due bambini armeni che hanno vissuto nei Paesi Bassi per 10 anni possono essere espulsi nel loro paese di origine, benchè non abbiano mai vissuto lì e non parlino la lingua del posto. Lo ha stabilito il Raad van State, il principale organo amministrativo dei Paesi Bassi, respingendo il ricorso presentato dall’associazione a tutela dei minori rifugiati.
Il sottosegretario alla giustizia Mark Harbers non ha obbligo di concedere permessi di soggiorno per motivi umanitari a Howick e Lili perchè l’Armenia è considerata un Paese sicuro e lo Stato olandese si è impegnato ad aiutare economicamente la famiglia.
La madre dei bambini Armina Hambartsjumian è stata espulsa in Armenia lo scorso agosto, dopo aver nascosto i due bambini. Sono stati trovati una settimana dopo e ora vivono con una famiglia adottiva. I bambini sono nati in Russia e hanno vissuto in Olanda per oltre 10 anni.
Tuttavia, non hanno potuto beneficiare del “kinderpardon”, l’amnistia per i minorenni rifugiati. Il caso di Lili e Howick non è isolato: giovedì due bambini di origine ucraina, nati in Olanda ma espulsi con la famiglia lo scorso luglio, sono tornati nei Paesi Bassi con visto turistico per andare a scuola in attesa che le autorità si pronuncino, ad Ottobre, in via definitiva sul loro caso.
Armenia-Germania: Merkel, Erevan esempio di cooperazione positiva con Russia e Ue (Agenzianova 25.08.18)
Armenia-Germania: Merkel, Erevan esempio di cooperazione positiva con Russia e Ue
Erevan, 25 ago 09:17 – (Agenzia Nova) – L’Armenia può essere un esempio di come sia possibile cooperare con la Russia e allo stesso tempo avere ottimi rapporti con l’Unione europea: lo ha sottolineato il cancelliere tedesco Angela Merkel nella conferenza stampa congiunta a Erevan con il primo ministro armeno Nikol Pashinyan. “L’Unione economica euroasiatica è di fatto un’area di libero scambio. Certamente, ci sono opportunità economiche molto buone che possono essere utilizzate. E’ difficilmente possibile che nel prossimo futuro ci saranno colloqui formali tra Ue e Unione economica euroasiatica, ma penso che l’Armenia sia un esempio positivo a dimostrazione che è reamente possibile cooperare con entrambe le organizzazioni”, ha dichiarato Merkel come riportato dall’agenzia di stampa “Armenpress”. L’incontro di ieri sera tra Merkel e il premier armeno è avvenuto nell’ambito del primo tour caucasico di un cancelliere tedesco dal momento dell’indipendenza dei paesi dell’area dall’Unione sovietica, dopo la tappa in Georgia e prima di quella odierna in Azerbaigian. (segue) (Res) © Agenzia Nova – Riproduzione riservata
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Erevan, 25 ago 09:17 – (Agenzia Nova) – Il premier armeno ha infine elogiato gli ottimi rapporti tra i due paesi nel settore della cultura, ricordando la risoluzione del 2016 da parte del Bundestag tedesco che ha riconosciuto e condannato il genocidio armeno. Nel corso della visita a Erevan, Merkel è stata ricevuta anche dal presidente Armen Sarkissian, il quale dopo l’incontro ha parlato di legami tra Germania e Armenia basati “sulla comprensione reciproca e su profonda fiducia”. “Speriamo di dare il nostro contributo al processo di riforme dichiarato dall’Armenia e seguiamo attentamente i cambiamenti e il processo che ha avuto luogo nel vostro paese in primavera”, ha affermato Merkel aggiungendo che Berlino “è pronta a cooperare in questo momento difficile e importante”. (Res)
C’è libertà religiosa in Turchia? (Settimananews.it 24.08.18)
Ha suscitato una certa meraviglia e numerosi interrogativi il fatto che il 31 luglio scorso 18 capi spirituali e religiosi della Turchia abbiano reso pubblica una Dichiarazione in cui si afferma che in Turchia essi possono praticare liberamente la loro religione. «Come rappresentanti religiosi e leader di antiche comunità di varie religioni e fedi – scrivono – radicati in questa terra da secoli, siamo liberi nell’esercizio della nostra religione e delle nostre tradizioni, e le affermazioni che siamo oppressi sono del tutto false».
Tra i firmatari figurano in primo luogo il patriarca greco-ortodosso Bartolomeo I, il quale ha dovuto aspettare 47 anni per veder riaprire la sua scuola teologica, seguito dal patriarca armeno e arcivescovo Aram Atesyan, capo spirituale, facente funzione della comunità armena, che non può essere eletto patriarca per le interferenze del governo, dal rabbino rav Isaak Haleva e dal patriarca facente funzione della comunità siro-ortodossa Yusuf Cetin, il quale, tra l’altro, si è visto confiscare molte sue proprietà da parte dello stato – e da altri gruppi minori come la Chiesa bulgara-ortodossa e la Chiesa cattolica caldea.
È la prima Dichiarazione di questo genere nella storia della Turchia.
Perché questa Dichiarazione?
La prima reazione negativa è stata quella della rivista armena Agos che ha scritto ironicamente «Ah! eravamo liberi, e non lo sapevamo».
Ma cosa ha indotto questi capi a scrivere una Dichiarazione del genere in un momento in cui i loro dubbi e timori sono in aumento?
Il giornalista turco Fehim Taştekin, specialista in problemi di politica estera della Turchia, Caucaso, Medio Oriente ed Europa, ne ha tracciato un quadro in un articolo del 10 agosto scorso nel quotidiano Al-Monitor – un quotidiano online fondato da Jamal Daniel, con sede a Washington, negli Stati Uniti, circolante dal febbraio 2012.
Tuma Celik, un leader della comunità siriaca, diventato deputato HDP alle elezioni di giugno, ha dichiarato ad Al-Monitor che ai leader della Chiesa e delle fondazioni è stato chiesto di fare la Dichiarazione per contrastare i risvolti negativi della carcerazione di Brunson, un pastore protestante statunitense detenuto in Turchia, perché accusato di appoggiare il terrorismo.
La richiesta di questa Dichiarazione è giunta dallo stato turco attraverso un canale interno alle minoranze non musulmane. Mentre i rappresentanti della comunità discutevano la richiesta, il giorno successivo alla sua comunicazione, il portavoce della presidenza Ibrahim Kalin li invitò a una riunione prevista due giorni dopo. I leader non potevano presentarsi alla riunione senza prima avere soddisfatto la richiesta e hanno così pubblicato la Dichiarazione. L’incontro con Kalin ha avuto luogo a Istanbul il giorno successivo.
Celik, che era al corrente della discussione tra i leader delle comunità, ha affermato che la Dichiarazione è stata emessa perché, se non lo avessero fatto, avrebbero avuto dei problemi col governo. Ha sottolineato che non c’era un ordine diretto da Ankara, ma che «uno dei nostri» si era fatto portavoce della richiesta. «Lo Stato – ha detto – ha sempre avuto degli appoggi all’interno (delle minoranze) e alcune persone sono più stataliste dello stesso stato».
I leader messi con le spalle al muro
Secondo Celik, l’invito di Kalin ha messo i leader con le spalle al muro. «Temevano di essere tenuti a rendere ragione se fossero andati alla riunione senza avere pubblicato la Dichiarazione. E pensavano che, se l’avessero emessa dopo l’incontro, avrebbero dato l’impressione di agire sotto pressione».
Celik ha lamentato che «le minoranze sono utilizzate contro l’Occidente, mentre a casa loro sono considerate come un avamposto dell’Occidente anziché come cittadini».
Secondo il legislatore, la Dichiarazione aveva di mira l’opinione pubblica internazionale nel quadro della crescente escalation contro la detenzione del pastore americano. «Il presidente Recep Tayyip Erdoğan – ha sottolineato Celik – ha approfittato della Dichiarazione prima che l’inchiostro si seccasse».
Si riferiva alle affermazioni di Erdoğan del 1° agosto in cui aveva criticato l’acutizzarsi dell’atteggiamento di Washington contro Ankara terminato nelle sanzioni verso la fine di quel giorno.
«La Dichiarazione scritta dalle minoranze religiose della Turchia – ha detto Erdoğan – è molto significativa. La Turchia non ha alcun problema con le minoranze religiose… Il modo di pensare degli evangelisti e dei sionisti degli Stati Uniti è inaccettabile».
Il giornale della comunità armena Agos ritiene che la Dichiarazione costituisca la risposta all’affermazione del vice presidente americano Mike Pence, fatta durante una riunione internazionale sulle libertà religiose, secondo cui Brunson sarebbe «vittima di una persecuzione religiosa». Perciò (il messaggio) di questa Dichiarazione non si deve interpretare come se «noi fossimo sotto pressione», ma piuttosto nel senso che «avremo dei problemi se non lo firmiamo».
Secondo Rober Koptas, scrittore ed editore armeno, la Dichiarazione è un tentativo di influenzare le pubbliche relazioni sull’affare Brunson. In un momento in cui le minoranze hanno una lunga lista di lamentele e «persiste una discriminazione di ogni sorta, una Dichiarazione del genere non fa che illustrare il modo con cui queste persone sono oppresse», ha dichiarato Koptas al quotidiano Al-Monitor. Il partito della giustizia e dello sviluppo «ha scelto la via che giova ai regimi oppressivi, usando del loro potere per schiacciare le minoranze, ormai ridotte a un manipolo di persone», ha aggiunto.
Nonostante i loro leader dicano che «va tutto bene», le minoranze non musulmane stanno nuovamente attraversando «tempi cattivi». Per motivi di sicurezza, diversi cercano sempre più di rifugiarsi in Occidente, mentre le istituzioni religiose si trovano di fronte a interferenze nei loro affari interni e a tentativi di espropriazione.
Usurpazione delle proprietà
L’usurpazione delle proprietà costituisce uno dei problemi più acuti. In forza di un emendamento giuridico del 2012, numerosi villaggi sono stati integrati come quartieri nelle città, cosa che ha aperto la porta a nuovi sequestri di proprietà. È un problema che ha a lungo perseguitato le comunità non musulmane.
Nel 2016, alcune proprietà siriache come chiese, monasteri, cimiteri e terreni registrati nelle entità legali dei villaggi quali Mardin, Midyat e Nusaybin sono state trasferite al ministero del Tesoro. Una commissione di liquidazione avrebbe dovuto censire le proprietà della Chiesa e restituirle ai siriaci, ma le autorità non hanno mai mantenuto la promessa.
Inoltre, chiese, monasteri e cimiteri sono stati consegnati alla Direzione per gli affari religiosi (RAD), un organo governativo che si occupa degli affari musulmani. In seguito al clamore che ne è derivato, la decisione fu ritirata, le proprietà tornarono al Tesoro.
Gli sforzi legali e politici che ne sono seguiti hanno assicurato il ritorno di 56 proprietà. Ma, nonostante le promesse di Erdoğan, il monastero Mor Gabriel, un’icona siriaca di 1.600 anni vicino a Mydiat, non è riuscito a recuperare 18 delle sue 30 proprietà.
Secondo Celik, le proprietà restituite comprendono chiese, monasteri e cimiteri ma le terre coltivabili rimangono al ministero del Tesoro.
Un altro problema è costituito dalle macchinazioni legali che paralizzano le fondazioni delle minoranze. Nel 2013, Ankara ha cancellato un regolamento che disciplinava l’elezione degli organismi amministrativi di queste fondazioni, senza che ancora ne abbia emanato un altro. Perciò le fondazioni non sono in grado di tenere elezioni per colmare i posti vacanti dovuti alla morte, alla malattia o alle dimissioni di alcuni membri, cosa che in effetti le blocca.
Il caso dell’isola Heybeliada
Una recente controversia è sorta in seguito alla Dichiarazione perché le autorità hanno assegnato al RAD un’area protetta di primo grado e un edificio storico nell’isola di Istanbul, Heybeliada. Mentre la scuola ortodossa di teologia sull’isola rimane chiusa, il RAD sta progettando di costruire nelle vicinanze un complesso di educazione islamica.
La scuola di teologia, fondata nel 1844 per formare il clero per le Chiese ortodosse nelle varie parti del mondo, ha chiuso i battenti nel 1971 in seguito alle restrizioni legali riguardanti le istituzioni private di formazione superiore. Gli sforzi compiuti per riaprire il seminario si sono trasformati in una vera e propria saga politica, con l’intervento anche dell’Unione Europea e degli Stati Uniti. In questo contesto, il progetto del RAD non solo si fa beffe della sensibilità cristiana ma suona anche come un regolamento religioso.
Alcuni vi scorgono un tentativo più ampio per disfare il tessuto di Heybeliada e di diversi isolotti vicini dove vivono molti cristiani rimasti a Istanbul. Un membro di spicco della comunità cristiana – che ha chiesto l’anonimato – ha dichiarato: «L’ultimo sviluppo a Heybeliada è un’estensione degli sforzi per cambiare il tessuto sociologico e naturale delle isole. A causa di un turismo irregolare, negli ultimi sette o otto anni, si è creato anche un grave vuoto di sicurezza. I bilanci della municipalità sono stati soppressi. L’interruzione dei servizi è una misura che ostacola i diritti degli abitanti di beneficiare dell’isola e persino delle loro case. Inoltre, restrizioni edilizie stanno minacciando il tessuto naturale del territorio. L’abuso delle droghe non viene impedito, gettando così le basi per una degenerazione culturale. Il risultato di tutti questi problemi è che gli isolani se ne vanno».
Per questo, molti delle minoranze, specialmente i giovani, stanno sempre più cercando di farsi una nuova vita all’estero. Il numero di coloro che se ne sono andati è notevolmente cresciuto dopo il tentato colpo di stato del 2016.
Per quanto riguarda i siriaci – ha affermato Celik – circa 5.000 di essi vivono attualmente nelle loro terre ancestrali nel sud-est della Turchia e il 10% di essi era tornato dall’Europa negli anni 2000: «Avevano ricostruito le loro case e iniziato una nuova vita, ma alcuni di essi – circa 80/100 – sono già ritornati in Europa, perché «la loro situazione è allarmante», ha detto Celik.
In breve, il governo sta rendendo dura la vita sotto molti aspetti alle minoranze non musulmane, mentre la rende generosamente agevole per le entità musulmane. Per non avere problemi, un manipolo di rimasti è stato indotto a dichiarare di trovarsi «bene». Ma non è vero.
Armenia-Germania: presidente Sarkissian a Merkel, relazioni bilaterali basate su comprensione e fiducia (Agenzianova 24.08.18)
Armenia: premier Pashinyan, il popolo giudicherà il ritorno dell’ex presidente Kocharyan in politica (Agenzianova 22.08.18)
Armeni: un popolo e una strage dimenticata (Sputniknews.com 21.08.18)
“Sapete cosa disse Hitler ai suoi generali per convincerli che il suo piano non poteva suscitare obiezioni? Qualcuno al mondo si è accorto dello sterminio degli Armeni?” (Ararat – Il monte dell’Arca)
Questo sterminio iniziò circa cento anni fa a Costantinopoli (oggi Istanbul, Turchia) e fu diviso essenzialmente in due grandi fasi legate tra loro, una ottocentesca e una novecentesca. Purtroppo però, ancora oggi, questa strage è oggetto di grandi contestazioni da parte del Governo Turco e degli studiosi.
Il primo massacro armeno avvenne nel 1890, nei territori dell’Impero Ottomano, dove questo popolo era stanziato. All’epoca, gli armeni furono sostenuti dalla Russia nella lotta per l’ottenimento dell’indipendenza, ma il governo ottomano decise aizzare l’etnia curda a una guerra contro il popolo armeno, fomentando sentimenti di odio raziale. Iniziò così, un periodo di oppressioni sia dal punto di vista sociale sia fiscale, che portarono il popolo armeno a una rivolta, alla quale l’esercito dell’impero ottomano rispose con l’assassinio di migliaia di civili.
La situazione non migliorò affatto perché nel periodo precedente lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, si affermò il governo dei Giovani Turchi, i cui piani vennero alla luce nel 1909, quando, circa trentamila armeni vennero sterminati. Purtroppo però, i massacri attuati dal governo non erano ancora giunti al termine.Nella notte tra il 23 e il 24 aprile del 1915 ebbe inizio, se così si può dire, il secondo genocidio armeno. Vennero eseguiti degli arresti tra la classe agiata armena nella capitale. In un mese, più di mille intellettuali tra cui giornalisti, scrittori, poeti e delegati parlamentari furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e alcuni uccisi durante il tragitto. Quelle che furono create, passarono alla storia con il nome di Marce della Morte e videro il coinvolgimento di un milione di persone tra cui donne e bambini.
Migliaia di civili morirono di fame, malattia e stenti e tutto ciò avvenne sotto la supervisione dell’esercito del Governo dei Giovani Turchi e dell’esercito tedesco.
La maggior parte degli storici, anche oggi, tende a considerare questi massacri come semplice azione di propaganda attuata dal governo in carica, altri studiosi, invece, sostengono l’inesistenza del genocidio richiamando l’attenzione sul fatto che solo una parte di popolazione armena fu deportata in Anatolia.
Forse questi studiosi non sanno che nel 1896, in Turchia, furono registrati circa 1.440.000 armeni e la stima delle vittime dei genocidi di questo popolo è di circa 1.200.000 persone.
Purtroppo, come spesso accade, la storia viene scritta e rivista dai vincitori anche nei tempi moderni, ecco perché il Governo Turco non riconosce, ad oggi, il genocidio a danno del popolo armeno.
Questa è una delle cause di tensione tra l’Unione Europea e la Turchia per l’ingresso dello stato tra i membri d’Europa, ed è anche motivo di attrito tra il governo turco e la Santa Sede. Il 12 aprile 2015, infatti, Papa Francesco ha parlato esplicitamente di genocidio ed ha ricordato il popolo armeno, vittima dell’oppressione e dell’ingiustizia morale e sociale, causata dalla cieca ignoranza e dall’odio profondo che, ormai, sembrano aver preso le redini di questo nostro mondo.Fortunatamente però, come spesso accade, ci sono persone che non permettono a questi fatti tragici di andare perduti, e li fanno riemergere sotto varie forme.
Papa Francesco ne è un esempio e un altro lo si può trovare nella musica dei System of a Down.
Tutti i componenti di questa band discendono, infatti, da alcuni dei pochi superstiti del secondo genocidio armeno e le loro canzoni sono vere e proprie denunce contro l’oppressione e il velo di omertà che ancora aleggia sul loro popolo. Il negazionismo che si è formato negli anni, purtroppo, è presente ancora oggi e la posizione ufficiale del Governo Turco risulta essere veramente controversa e oltraggiosa. Questa corrente negazionista, sfortunatamente, è stata appoggiata da una lunga serie di giustificazioni, tutte divergenti e scostanti tra loro:
Le uccisioni non erano deliberate; Le uccisioni erano giustificate dalla minaccia filorussa costituita dagli armeni come gruppo culturale; gli armeni sono semplicemente dei morti di fame.
Quante volte e per quanto tempo dobbiamo ancora leggere giustificazioni simili per decidere di dire basta?
Il piano è stato svelato e chiamato Genocidio,
Presero tutti i bambini e poi morimmo,
I pochi che rimasero non furono mai trovati. (System of a Down)
