Proteste in Armenia – Intervista a Karen Harutyunyan (Ilcaffegeopolitico 07.05.18)
La recente ondata di proteste in Armenia ha colto di sorpresa sia l’establishment del Paese che la comunità internazionale. Abbiamo intervistato Karen Harutyunyan, direttore del sito giornalistico Civilnet, per capire cosa sta succedendo a Yerevan e come si svilupperà la situazione politica locale dopo l’inaspettata uscita di scena dell’ex presidente Sargsyan.
Colpisce il fatto che l’attuale “Rivoluzione” sia iniziata da Gyumri, una città che sembra non essersi interessata alla politica nazionale armena dal 1988, l’anno del grande terremoto. È questo il segno che stiamo affrontando una vera rivoluzione popolare?
Quello che lei dice non è corretto. Gyumri è sempre stata una delle città politicamente più attive in Armenia. Serzh Sargsyan e il suo Partito repubblicano hanno sempre perso le elezioni a Gyumri e nella regione di Shirak. Uno dei motivi per cui Gyumri era “all’opposizione” rispetto al Governo era l’alto livello di povertà e le scarse opportunità economiche. Rispondendo alla sua domanda, questa è davvero una rivoluzione popolare, supportata da oltre il 90% della popolazione.
Negli ultimi venti anni abbiamo assistito a molte rivoluzioni non solo in Armenia, ma anche in Asia centrale. Nulla è veramente cambiato (ad esempio in Kirghizistan) perché la situazione economica in quei Paesi è rimasta sostanzialmente la stessa. Come può l’Armenia ottenere un vero cambiamento e quali problemi dovrebbe affrontare il nuovo Primo Ministro?
Le rivoluzioni non sempre comportano un vero cambiamento della situazione. A volte i rivoluzionari cambiano le persone al potere, ma il sistema rimane intatto. Ecco perché è della massima importanza per il nuovo Governo dell’Armenia sostenere la costruzione di Istituzioni politiche ed economiche, fornendo pari opportunità economiche e diritti a ogni cittadino. È importante soprattutto garantire che il cambiamento del prossimo Governo avvenga attraverso elezioni libere ed eque e non per mezzo di rivoluzioni. Penso che l’energia popolare positiva e l’ascesa della coscienza civica aiuteranno l’Armenia a migliorare le proprie Istituzioni democratiche.
Qual è la posizione dell’Unione europea (comprese le sue diverse Agenzie e la missione in Armenia) sui futuri sviluppi politici nel Paese?
L’Ue ha invitato le parti, il Governo e l’opposizione, a trovare una soluzione pacifica. Penso che l’Ue accoglierà con favore il cambiamento pacifico e democratico nel Paese. Come probabilmente saprete, l’anno scorso l’Armenia ha firmato un accordo di partenariato globale e rafforzato con l’Ue, che supporterà l’ulteriore democratizzazione e lo sviluppo economico dell’Armenia.
In che modo Pashinyan intende costruire le relazioni dell’Armenia con la Russia?
Pashinyan ha dichiarato che non ci sarà alcuna inversione nella politica estera. Ha detto che l’Armenia manterrà la sua appartenenza all’Unione economica eurasiatica (Uee), così come all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto). I russi, a differenza di ciò che è accaduto durante le rivoluzioni ucraina e georgiana, si sono dichiarati neutrali e non hanno sostenuto nessuna delle due parti in lotta.
Come verranno rimodellati i rapporti con l’Unione eurasiatica nell’era post-Sargsyan?
L’appartenenza dell’Armenia all’Unione economica eurasiatica era condizionata da alcune questioni politiche e di sicurezza legate al ruolo della Russia nel Caucaso, in particolare nella regione del conflitto del Nagorno-Karabakh. L’Armenia manterrà la sua appartenenza all’Unione eurasiatica per ragioni economiche e politiche, allargando al contempo la sua cooperazione e il suo spazio di manovra con l’Ue e i Paesi occidentali. Ci sono sicuramente preoccupazioni tra i leader autoritari dell’Unione eurasiatica, i quali faranno di tutto per impedire che l’esperienza armena si ripeta nei rispettivi Paesi.
Che potenzialità e opportunità hanno i politici tradizionali (Ter-Petrosian, Kocharyan) dopo che Sargsyan ha lasciato il potere?
Sebbene abbiano ancora qualche influenza politica, penso che la loro epoca sia davvero finita. La rivoluzione è stata fatta da una generazione di ventenni capeggiata da un quarantaduenne, Nikol Pashinyan. Questa generazione si sente molto più libera delle precedenti ed è molto più decisa a proteggere il proprio futuro, senza non tornare al passato.
Quale delle parti in lotta viene sostenuta dalla diaspora armena?
La diaspora armena non è un soggetto omogeneo. Ci sono molte comunità in tutto il mondo e queste comunità sono strutturate attorno a organizzazioni tradizionali, come la Chiesa armena, l’Unione armena generale di benevolenza (la più grande associazione armena del mondo) e i partiti politici della diaspora: queste tre entità hanno sempre sostenuto i Governi in Armenia. Adesso non hanno espresso alcun supporto esplicito per il Governo, ma si sono anche astenute dall’appoggiare il movimento popolare. Contrariamente a questi attori tradizionali, gli armeni di tutto il mondo hanno organizzato manifestazioni di massa a sostegno della rivoluzione e del cambiamento di regime. Gli armeni all’estero si riuniscono ogni aprile nelle rispettive comunità per commemorare il genocidio del 1915. Questo aprile è stato completamente diverso. Uno degli armeni più famosi del mondo, Serj Tankian del gruppo System of a Down, ha espresso la propria vicinanza e conta di arrivare presto a Yerevan per sostenere Nikol Pashinyan e il popolo. Molti altri armeni che non fanno parte delle organizzazioni estere tradizionali hanno a loro volta chiesto a Serzh Sargsyan di dimettersi. Questa volta la pressione della diaspora è stata enorme, anche se sono stati i cittadini armeni a condurre il gioco.
Un chicco in più
Civilnet ha coperto costantemente le manifestazioni anti-governative delle scorse settimane. Nonostante le dimissioni di Sargsyan, l’Armenia resta però bloccata in una sorta di stallo politico: il Parlamento e le principali cariche di Governo sono infatti ancora controllati dal Partito repubblicano dell’ex Presidente, che ha finora resistito alle pressioni di Pashinyan per la formazione di un nuovo esecutivo composto dai leader del movimento di protesta. Negli ultimi giorni Pashinyan sembra avere accettato la possibilità di un “Governo di riconciliazione” con i repubblicani e spera di essere eletto Primo Ministro con il prossimo voto in Parlamento, l’8 maggio. In caso contrario è probabile che il Paese andrà verso nuove elezioni politiche. Intanto Pashinyan si è anche incontrato con i rappresentanti diplomatici di Russia, Stati Uniti e Unione europea, rassicurandoli del suo impegno per una risoluzione pacifica della crisi armena.
Le suggestioni verdiane al Festival di Malta (Euronews 07.05.18)
La musica classica protagonista, ancora una volta, sull’isola di Malta. Alla sua sesta edizione, il Festival Internazionale ha invitato a La Valletta, l’Orchestra Sinfonica di Stato dell’Armenia.
Wolfgang Spindler, euronews: “Il Malta International Music Festival si è concluso con l’esibizione del clarinettista austriaco Andreas Ottensamer insieme all’Orchestra sinfonica dell’Armenia. Direttore il Maestro Sergey Smbatyan. Tra i punti salienti di questa performance le variazioni sulle melodie delle opere di Giuseppe Verdi composte da Alexey Shor.”
29 anni, nato a Vienna, Andreas Ottensamer è il principale clarinettista della Filarmonica di Berlino. Sergey Smbatyan, 30 anni, è tra i talenti più promettenti del panorama musicale. Qui a Malta hanno eseguito “Verdiana”, una variazioni sulle melodie di Verdi composte da Alexey Shor. “Mi hanno rischiesto appositamente di scrivere qualcosa relativo a Verdi per un tour in America Latina”, ci ha raccontato il compositore. “Ho pensato che sarebbe stato divertente attingere alle famose melodie del compositore italiano e presentarle in stili sudamericani. L’opera è composta da tre generi musicali: il primo è una samba, il secondo un bossa nova, e il terzo, il più virtuoso, è un tango.”
Alexey Shor è un musicista autodidatta, prima di dedicarsi alla musica, ha studiato matematica. Andreas Ottensamer e Sergey Smbatyan si sono esibiti diverse volte in passato insieme. E ogni volta che si incontrano sul palco è un successo. Secondo i due musicisti tutto è più semplice se c’è un feeling, se ci si capisce. “Ogni tanto ci guardiamo e ci facciamo l’occhiolino o dei segni…”, sottolinea Sergey Smbatyan.
Questa è la complicità! E’ ciò che si chiama magia! In pratica è un mix di entrambi. “E’ la magia che si crea sul palco per capire come funziona con l’orchestra. Non c’era tanto tempo per provare ma è stato magico, parlo del contatto visivo, dell’atmosfera, dell’energia tra gli artisti.”, prosegue Sergey Smbatyan.
Il Malta International Music Festival è diventato uno dei più importanti eventi di musica classica. Ogni anno ospita star internazionali. Quest’anno La Valletta è la capitale europea della cultura e questo festival è stato un punto di riferimento ulteriore per la città. Dunque un finale grandioso per il Festival Internazionale di Musica di Malta: il concerto di Andreas Ottensamer e del suo meraviglioso clarinetto insieme all’Orchestra Sinfonica di Stato dell’Armenia, e diretta da Sergey Smbatyan.”
Un ospite speciale della classe 1943 a Sommacampagna (Larena 06.05.18)
Un ospite speciale, venuto dall’Armenia, siederà alla tavola della classe 1943 di Sommacampagna che martedì festeggerà i 75 anni di vita, iniziando alle 17.30 con un concerto di campane tenuto da alcuni «amici della classe». Seguirà la messa celebrata, nella parrocchiale del paese, da monsignor Boghos Levon Zekiyan, arcivescovo armeno di Istanbul, anch’egli nato nel 1943 e amico di famiglia di Luisa Albrigo Benedetti tra gli organizzatori della giornata. La festa si chiuderà alla tenuta Canova di Sacro Cuore di Lazise alle 19, con la visita delle cantine Masi e la cena. Ospite d’onore sarà appunto Zekiyan nominato nel 2014 da Papa Francesco amministratore apostolico dell’Arcieparchia di Istanbul degli armeni. È anche presidente della Conferenza episcopale di Turchia. Nato a Istanbul il 21 ottobre 1943, a 12 anni è entrato nel seminario minore della congregazione armena mechitarista a Venezia. Dal 1993 incardinato nel Patriarcato di Venezia, ha curato spiritualmente la piccola diaspora armena e la fraternità dei Santi Nicola e Sergio sempre nella città lagunare impegnandosi in campo ecumenico, soprattutto nei rapporti con la chiesa armeno-apostolica. Impegnato sui temi del dialogo tra le religioni e sulle categorie fondamentali della convivenza sociale, quali il rispetto per l’uomo, la democrazia, la libertà e la laicità, ha insegnato all’Università Ca’ Foscari di Venezia dal 1980 fino al 2011, occupandosi della cultura armena in tutti i suoi aspetti dalla storia alla letteratura, dalla filologia alla teologia e spiritualità. È accademico delle scienze della Repubblica di Armenia e consultore della congregazione per le chiese orientali. Monsignor Levon è già stato in precedenza a Verona: l’anno scorso ha partecipato a un incontro alla Società letteraria ed è stato presente al Festival biblico in Gran Guardia nel 2016. Nel maggio 2015 era, infine, alla messa pontificale a San Zeno. A Sommacampagna, martedì, sarà accolto anche dal sindaco Graziella Manzato e dal parroco don Tarcisio Soldà.
Il Patriarca per i trecento anni degli Armeni Mechitaristi: «A San Lazzaro si vive un nesso fecondo tra ragione e fede» (Genteveneta 04.05.18)
C’è un insegnamento di fondo che esce dall’opera dell’abate Mechitar e dalla storia lunga tre secoli dei padri Armeni Mechitaristi nell’isola di San Lazzaro, nella laguna di Venezia. Ed è il nesso fecondo fra ragione e fede.
Lo rileva il Patriarca Francesco, intervenendo, nella mattinata di venerdì 4 maggio, al convegno internazionale inserito nelle celebrazioni del Tricentenario del Monastero Mechitarista di San Lazzaro.Mechitar – afferma mons. Moraglia – inaugura di fatto “una Scuola dei Lumi cristiana”, perché la sua fiducia nella ragione si rivela come reale fiducia in una ragione illuminata dalla fede, in una ragione che non può perciò essere limitata in una chiave e in una visione riduttiva o parziale, legata all’esperienza storica dell’Illuminismo. Da sempre il magistero della Chiesa ci insegna, infatti, ad operare uno sguardo sulla realtà che è, ad un tempo, di fede e di ragione; ci si occupa dell’uomo affermandone e promuovendone le differenti dimensioni. L’uomo è persona, identità propria, irripetibile e insieme è relazione; nell’uomo non è possibile disgiungere la dimensione e il senso verticale (Dio) dalla dimensione e dal senso orizzontale (la relazione con il prossimo)».
In Mechitar tutto ciò ha portato ad una rivalutazione dell’intero ventaglio delle scienze, «secondo un vero spirito enciclopedico cristiano – prosegue mons. Moraglia – sorretto dalla consapevolezza che tutto ciò che nutre lo spirito dell’uomo non può che arricchirlo nel suo stesso spessore propriamente umano, e, perciò, cristiano. Al punto che Mechitar stesso incoraggia i suoi giovani ad assecondare le proprie inclinazioni là dove li vede versati in tale o talaltra disciplina, senza disdegnare le scienze pure, naturali e applicate. Tutto – rettamente inteso – concorre a portare a Dio e a rendere la fede cristiana, per dirla con le parole di Giovanni Paolo II, più “pienamente accolta, interamente pensata, fedelmente vissuta”».
In questo secolare e felice processo, conclude il Patriarca, «Venezia non è elemento accessorio ma è un ulteriore segno di continuità di sviluppo dell’identità profonda di questa città, ben ancora nel continente europeo ma sempre proiettata verso il Mediterraneo e l’Oriente in un costante e mai interrotto scambio culturale e scientifico, oltreché commerciale e di civiltà».
Nikol Pashinyan: un uomo, una causa e una t-shirt (Osservatorio Balcani e Caucaso 04.05.18)
Nikol Pashinyan, ex giornalista e leader di un piccolo partito di opposizione, in poche settimane è diventato l’icona di un’Armenia che vuole chiudere il conto con il torpore post-sovietico e voltare pagina. E che l’8 maggio potrebbe diventare il nuovo primo ministro del paese
La politica armena è passata da un’obsoleta Lada sovietica che perdeva colpi a una veloce Lamborghini nell’arco di un mese – e al volante, barba incolta e T-shirt mimetica – è saldamente incollato Nikol Pashinyan.
In poche settimane l’ex giornalista 42enne si è trasformato da marginale leader della coalizione all’opposizione, Yelk (Via d’Uscita), a un condottiero, capace di infiammare gli animi ma anche di contenerli per portare avanti quella che lui stesso ha detto doveva essere una rivoluzione sì, ma pacifica, “di velluto”.
Im K’ayly (Il mio passo), la marcia di protesta organizzata con i suoi compagni di partito, il Contratto civile, doveva segnare un atto di protesta contro il tentativo del Partito repubblicano (HHK dall’acronimo armeno) al potere di far nominare l’ex presidente Serzh Sargsyan quale nuovo primo ministro, alimentando così lo spettro di un “leader a vita”. La marcia ha mosso i primi passi il primo aprile dalla seconda città armena, Gyumri, tra l’indifferenza dei media. I più non sapevano chi fosse quel manipolo di manifestanti e quando sono arrivati nella capitale Yerevan il 13 aprile, quattro giorni prima del voto parlamentare per la nomina del premier, i giochi nelle stanze dei bottoni erano già fatti.
E’ stato allora che Pashinyan ha cambiato marcia.
Animo pasionario
Dieci anni fa nessuno sapeva dove si trovasse Pashinyan: era infatti latitante. Allora direttore del più letto, e critico, quotidiano armeno Haykakan Zhamanak (Tempi armeni), aveva preso parte alle proteste seguite alle elezioni presidenziali del 19 febbraio 2008 che avevano incoronato Sargsyan. Sul risultato pesava l’accusa di frodi e compravendita di voti e migliaia di persone scesero in piazza a sostegno dell’altro candidato, Levon Ter-Petrosian, già primo presidente dell’Armenia indipendente, dal 1991 al 1998. Tra la folla c’era Pashinyan.
Le proteste finirono nel sangue. Il 1° marzo la polizia passò alla carica: dieci persone morirono e decine furono arrestate. Il governo dichiarò lo stato di emergenza e Pashinyan fu condannato a sette anni di reclusione con l’accusa di fomentare disordini. Si diede alla macchia, scomparendo per oltre un anno. Quando riemerse, nel 2009, si costituì e finì dietro le sbarre fino al 2011 quando fu rilasciato grazie ad un’amnistia accordata ai prigionieri politici. Non ci fu nessuna indagine e, ad oggi, gli eventi del 2008 rimangono una ferita aperta. Nei giorni precedenti le sue dimissioni lo scorso 23 aprile Sargsyan ha dichiarato, incautamente, che Nikol “non aveva imparato la lezione del 1° marzo”. Molti vedono in quel commento la spinta finale per portare in piazza anche chi fino ad allora se ne era tenuto lontano.
Al momento della fuga il futuro pasionario aveva 32 anni e un curriculum già ricco di scontri con le autorità.
Giornalismo e politica
Carismatico, energetico, con un forte senso di giustizia e un fiuto naturale per creare problemi – così lo definisce chi lo conosce da anni e chi l’ha seguito nell’avventura politica, sbocco quasi naturale della sua lunga attività di giornalista.
Nato a Ijevan nel 1975 si trasferì a Yerevan per studiare giornalismo alla Yerevan State University, ma fu espulso – ufficialmente per aver saltato dei corsi, ufficiosamente per aver accusato alcuni accademici di corruzione in uno dei giornali universitari. Fatto sta che fresco di una laurea mancata Pashinyan passa a Haykakan Zhamanak e nel 1999 passa alla sua direzione. Sotto di lui il quotidiano diventa la principale voce critica di un sistema politico corrotto saldamente in mano a un gruppo di oligarchi, colpevoli di strangolare l’economia di un paese già provato dal conflitto con il vicino Azerbaijan e da due frontiere sigillate che ne rallentano lo sviluppo. Negli anni non mancano le denunce per diffamazione da parte di politici accusati di corruzione. Quando non è al giornale è in strada, nel cuore di manifestazioni, siano esse per denunciare frodi elettorali o per protestare contro l’aumento dei biglietti per il trasporto pubblico.
A parte i mesi della latitanza, Pashinyan non abbandona mai il suo giornale e, uscito di prigione, torna a guidarlo. Ma ormai aveva passato il Rubicone e il salto alla politica attiva è inevitabile. Nel dicembre 2013 fonda il Contratto Civile con altri sei attivisti – non un partito politico, bensì un movimento al quale aderirono migliaia di giovani.
Pashinyan non convince tutti – la sua iniziale affiliazione con il controverso Ter-Petrosyan è stato per molti un elemento di sospetto.
“Ero prevenuto verso di lui proprio per il suo legame con Ter-Petrosyan, ma si è guadagnato il mio rispetto sul campo, poco per volta”, spiega a OBCT Babken DerGrigorian, analista politico che nel 2016 ha corso per Yelk nelle elezioni per il rinnovo del consiglio municipale di Yerevan. “È un comunicatore incredibile, ma sa ascoltare, e ha un’abilità unica di riflettere su se stesso”.
È anche un pragmatico ed è la concretezza che spinge lui e gli altri fondatori del Contratto civile a trasformarlo da movimento a partito politico nel maggio del 2015. Se l’obiettivo era sradicare un sistema politico contaminato da corruzione e clientelismo era necessario combatterlo sullo stesso campo – bisognava entrare in Parlamento.
Pashinyan rimane nelle retrovie durante Electric Yerevan i moti di piazza dell’estate del 2015 contro l’aumento delle bollette della luce, e nel confronto armato tra la polizia e il gruppo radicale Sasna Tsrer dell’estate 2016 che si chiuse con la morte di due poliziotti. Si distanzia anche dalle critiche al referendum costituzionale del dicembre 2015 che sigilla il passaggio a una repubblica parlamentare, di fatto anticipando il tentativo passaggio di poltrone di Sargsyan.
Dalla giacca alla T-shirt
Poi nel 2017, il salto al voto. Il Contratto civile si unisce ad altri due gruppi minori – Lusavor Hayastan (Armenia luminosa) e Hanrapetutyun – nella coalizione Yelk nelle elezioni parlamentari del 2 aprile. I due seggi che la coalizione ottiene, su 131 dell’Assemblea nazionale, paracadutano Pashynian nel cuore politico del paese.
Im K’ayly sancisce un cambio di strategia dell’opposizione – Pashinyan si toglie la giacca parlamentare e s’infila la T-shirt mimetica che lo trasforma in un’icona. Quando Pashinyan indossa il cappellino nero con la scritta Dukhov (coraggio), il designer Ara Aslanyan è inondato di ordini, anche dal grande bacino della diaspora all’estero.
Per Richard Giragosian, analista e direttore del Centro di studi regionali, carisma e anni di manifestazioni hanno raffinato la sua conoscenza della piazza e delle sue dinamiche.
Per Pashinyan le sfide e i problemi del paese impongono una politica che va oltre l’obsoleta divisione tra destra e sinistra – un’opposizione che “non funziona più” – e si è tenuto su posizioni moderate per ottenere il più largo consenso possibile.
“Non è dogmatico, ascolta e si appoggia a chi è intorno a lui,” continua DerGrigorian, a sua volta tra gli organizzatori di Electric Yerevan, nonché la mente dietro all’omonimo hashtag virale nell’estate di tre anni fa.
Il 22 aprile il suo arresto, insieme con due colleghi dell’opposizione e decine di dimostranti, innesca una risposta inimmaginabile: la centrale Piazza della Repubblica è inondata da migliaia di persone che urlano il suo nome.
Ventiquattro ore dopo, il “nemico” Sargsyan, getta la spugna e abbandona dopo sei giorni la poltrona di premier – e l’annuncio delle dimissioni sigilla il ruolo di Pashinyan a condottiero della nuova Armenia.
“Nikol aveva ragione. Io Avevo torto”.
Sargsyan però era l’agnello sacrificale del partito repubblicano, non disposto ad abbandonare la presa al potere. E al voto del primo maggio scorso, dopo una maratona di discorsi durata nove ore, il PArtito repubblicano ha votato contro Pashinyan che ha mancato l’obiettivo della nomina a premier. Il popolo della rete, che ha sostenuto la protesta a colpi di post e tweet, si è allora adattato: l’hashtag #RejectSerzh è diventato #RejectHHK e gli armeni hanno fatto scudo intorno a Pashinyan che, rimessa la T-shirt mimetica, ha invocato alla calma e ha chiesto al paese una giornata di disobbedienza civile.
Il 2 maggio l’Armenia ha chiuso, per rivoluzione. Si sono sbarrate le strade, chiusi negozi, chiuse le frontiere, chiusa la metropolitana e i dipendenti pubblici e privati hanno abbandonato gli uffici. E a fine giornata i repubblicani hanno lasciato intendere che al secondo voto del prossimo 8 maggio non ostacoleranno il “candidato del popolo”.
Erevan, 04 mag 12:49 – (Agenzia Nova) – Vahram Baghdasaryan, capo del gruppo del Partito repubblicano (Pra) in parlamento armeno, assicura che il paese caucasico avrà un primo ministro eletto in base ai risultati della votazione che si svolgerà in parlamento l’8 maggio. “La nostra decisione sarà unita: avremo un primo ministro l’8 maggio”, ha detto il capogruppo citato dall’agenzia di stampa “Armenpress”. Particolare la dichiarazione di Baghdasaryan sul cambiamento di posizione rispetto al voto del primo maggio, quando il Pra aveva votato contro la candidatura di Nikol Pashinyan, leader del blocco Yelq e anima delle proteste che da settimane si svolgono nelle principali città armene. “In precedenza non abbiamo ostacolato il processo di voto, ma ora lo sosterremo”, ha detto il parlamentare repubblicano. Le dichiarazioni dei rappresentanti repubblicani restano sibilline e non chiariscono definitivamente le loro intenzioni. (segue) (Res) © Agenzia Nova – Riproduzione riservata
Erevan, 04 mag 08:24 – (Agenzia Nova) – Il presidente armeno Armen Sarkissian ha avuto una conversazione telefonica con il sottosegretario di Stato britannico per l’Europa e le Americhe Alan Duncan. Secondo quanto riferisce l’ufficio stampa della presidenza armena la conversazione si è concentrata sulla crisi politica in corso in Armenia. Le parti hanno concordato sul fatto che una soluzione deve essere trovata nel quadro di un dialogo costruttivo che rispetti la legge e la Costituzione armena. Ieri il parlamento armeno ha ufficialmente comunicato che Nikol Pashinyan, esponente del blocco Yelq e anima delle proteste iniziate lo scorso 13 aprile, è l’unico candidato all’incarico di primo ministro in vista del voto dell’8 maggio, l’ultimo appuntamento utile in base al calendario istituzionale armeno prima dello scioglimento della camera e l’organizzazione di nuove elezioni. (segue) (Res)
Prima giornata del meeting dedicata ai genocidi armeno e ruandese (Newstuscia.it 03.05.18)
NewTuscia – TARQUINIA – I genocidi dimenticati del Novecento. È questo il tema che aprirà il XII meeting internazionale Esploratori di Valori di Semi di Pace onlus, il 18 maggio (dalle ore 9.30), alla Cittadella, sede dell’associazione. La prima giornata dell’evento sarà incentrata sul genocidi armeno e ruandese. Tragedia d’inizio Novecento, il genocidio armeno è ancora oggi al centro di profonde tensioni tra la Turchia, che nega la storicità dei fatti, e le altre nazioni che hanno riconosciuto ufficialmente quanto accaduto durante e dopo la prima guerra mondiale.
A parlarne saranno Robert Attarian, del Consiglio per la Comunità Armena di Roma, e Gabriele Rigano, docente di storia contemporanea all’Università per Stranieri di Perugia. Avvenuto a metà degli anni Novanta in Ruanda, piccola repubblica dell’Africa Centrale, il genocidio dei tutsi è storia contemporanea. Ad affrontare il tema Françoise Kankindi, presidente dell’associazione Bene-Rwanda onlus. «Alla Cittadella abbiamo inaugurato il Memoriale della Shoah nel 2016 e lo scorso anno la mostra “La Shoah in Italia. Persecuzione e Deportazioni (1938-1945)” – dichiara Semi di Pace – L’installazione vuole, in senso più ampio, ricordare tutti genocidi del XX secolo. Per intraprendere questo percorso abbiamo quindi deciso di puntare l’attenzione su due drammi poco conosciuti, in cui sono morte milioni di persone». Il XII meeting internazionale Esploratori di Valori è patrocinato dal Senato della Repubblica, dalla Regione Lazio, dalla Provincia di Viterbo, dal Comune di Tarquinia, dallo Snadir, dall’Anteas Lazio e dalla Diocesi di Civitavecchia-Tarquinia.
La «Rivoluzione di Velluto» paralizza l’Armenia (Corriere della Sera 02.05.18)
Sciopero generale nello scontro tra l’opposizione e il governo. Che però ammette la sconfitta
Portano una finta bara davanti al Parlamento di Yerevan, l’adornano di fiori, inscenano un funerale: «Oggi muore questo regime!». Mettono di traverso trecento macchine sulle autostrade, isolano la capitale, bloccano i binari di treni e metrò: «Andiamo avanti finché i corrotti e i ladri non se ne vanno!». Fermano le auto verso l’aeroporto e fanno scendere tutti, si va a piedi, qualche volo viene cancellato e i piloti aderiscono alla protesta: «Sciopero generale!». Occupano i palazzi governativi delle altre città, da Gyumri a Maralik, e chiedono ai sindaci d’unirsi a loro: «Vogliamo la vittoria!».
Rivoluzione non violenta
La chiamano la Rivoluzione di Velluto, perché dura dal 13 aprile e non ha provocato morti, ma ieri sotto il morbido s’è temuto il pugno di ferro: «Non provate a mandare in piazza l’esercito — ha avvertito a un certo punto Nikol Pashinyan, leader dell’opposizione Yelq —, convinceremo i soldati a protestare con noi. Stavolta non si molla! E attenti: potrebbe diventare uno tsunami».
Armenia armata. Sei giorni per evitare (o scatenare) il caos. Sull’orlo di un’altra Ucraina. Uno dei Paesi più immobili del vecchio impero sovietico, dove dagli anni Novanta la benedizione di Mosca fa governare sempre gli stessi, martedì prossimo proverà a darsi un nuovo premier e una nuova politica: sull’autocandidatura di Pashinyan, 42 anni, t-shirt e berretto, ex giornalista già finito in galera per le sue contestazioni, alla fine della giornata di scioperi dice d’essere d’accordo anche il suo grande nemico Serzh Sargsyan. Il Partito repubblicano che comanda in Armenia, e che ha permesso a Sargsyan di regnare nell’ultimo decennio, alla fine accetta il cambio di stagione. Quasi inevitabile: con un contestato referendum il presidente Sargsyan aveva ritoccato i poteri presidenziali e in aprile (non potendosi dare un terzo mandato, vietato dalla Costituzione) li aveva riversati tutti sul primo ministro, cioè se stesso, perché a quella carica s’era poi fatto eleggere dal Parlamento (che il suo partito controlla). Un colpo di mano. Un mezzo golpe. Abbastanza per muovere le piazze e costringere l’eterno Sargsyan, improvvisamente mite e rassegnato, alle dimissioni: «E va bene. Pashinyan aveva ragione, io torto. Esaudisco le vostre richieste».
Il controllo di Mosca
La crisi è finita o è solo all’inizio? Protettorato putiniano, l’Armenia deve guardarsi da vicini ostili (i turchi del Medz Yeghern, il grande genocidio, più gli azeri del gas e del conteso Nagorno-Karabakh) e soprattutto dalle attenzioni russe. Le idee di Pashinyan non piacciono a Mosca: l’aspirante premier vuole un riavvicinamento all’Ue e alla Cina, più dialogo con gli Usa e qualche mese fa ha proposto di rivedere gli accordi economici coi russi.
Dal Cremlino sono arrivate telefonate preoccupate: «Spero in una soluzione rapida», ha raccomandato lo Zar. E i deputati della Duma si sono presentati subito a Yerevan in delegazione.
Il senso di Luca Argentero per la neve (Bestmovie.it 03.05.18)
In occasione dell’uscita di Hotel Gagarin, commedia sognante ambientata nella gelida Armenia, abbiamo incontrato l’attore torinese che ci ha raccontato di quanto si sia divertito a trasformarsi in un indolente fotografo stordito dalla cannabis…
«La molla è stata Simone Spada, il regista: Hotel Gagarin è il suo esordio dietro la macchina da presa. Conosco Simone da anni: lui ha una lunghissima carriera come aiuto regista e insieme abbiamo fatto almeno 4-5 film. Fin dal primo momento gli ho dato la mia disponibilità: lo avrei seguito ovunque, in Armenia, in Nuova Zelanda, in Perù. Sia a livello di attori sia di cast tecnico, Simone si è circondato di amici coi quali ha lavorato negli ultimi 30 anni e coi quali condivide una certa idea di cinema. Anche perché trascinare una troupe in Armenia, per due mesi, e girare a – 24° non è così scontato…».Quanto è stato bello e quanto è stato faticoso girare lì?
«Le riprese si sono svolte tra gennaio e febbraio, in pieno inverno, il loro inverno! C’erano temperature siberiane e distese infinite di neve: non abbiamo visto un filo erba. Quindi sì, è stato faticoso, ma è stato davvero un’esperienza di vita: per questo devo ringraziare Simone. Io amo viaggiare ma mai avrei pensato di depennare l’Armenia tra le mie tappe… Produttivamente è stata un’avventura più unica che rara: unica nel senso che lì non ci torno più! (ride, ndr)».
Ok, però di’ la verità: anche a voi, come alla troupe del film, un po’ è dispiaciuto andarvene dall’hotel Gagarin, no?
«Be’ un po’ sì. Da un lato non vedevamo l’ora di tornare verso un clima più temperato, dall’altro, però, sentivamo la commozione reale di questo gruppo di persone che aveva imparato a conoscersi davvero proprio come i protagonisti del film».
L’intervista completa è pubblicata su Best Movie di maggio, in edicola dal 30 aprile
Armenia, Pashinyan: “la rivoluzione vincerà in ogni caso” (Sputniknews 03.05.18)
Il leader dell’opposizione armena Nikol Pashinyan ha promesso oggi in un’intervista di continuare la sua “rivoluzione”, che si aspetta riesca in ogni caso.
Il partito repubblicano al governo ha detto ieri che avrebbe approvato un candidato nominato da un terzo dei legislatori durante un voto parlamentare la settimana prossima, dopo aver negato il sostegno all’aspirante primo ministro ad interim. Ciò ha causato proteste a livello nazionale, che hanno portato la capitale di Yerevan a un punto morto.
Alla domanda da parte dei media su quale azione avesse in programma, Pashinyan ha risposto: “Il piano è lo stesso, la rivoluzione continua”.
Il 42enne ex editore di un giornale e critico del governo da lungo tempo ha detto che voleva cambiare il “processo” politico nella nazione del Caucaso meridionale, ed era pronto per una rapida elezione parlamentare.
“Ci va bene, non c’è uno scenario con cui non siamo d’accordo, siamo in una posizione in cui la vittoria è garantita in ogni caso”, ha detto Pashinyan.
Interrogato sulla sua opinione sulla reazione della Russia alle turbolenze in Armenia in seguito alle dimissioni del primo ministro Serzh Sargsyan, suo alleato, il leader dell’opposizione si è detto soddisfatto di ciò e di non aspettarsi che Mosca interferisse con gli affari interni del paese.
