Perché tenere la Turchia lontana dall’UE e fuori dalla NATO (Articolo21 03.05.18)

Lo strenuo baluardo militare alleato dell’Occidente, la Turchia, con le ultime condanne contro i giornalisti e i media che “hanno osato” criticare il sultano Erdogan, autocrate islamista, si è messo fuori dalla cerchia delle nazioni democratiche e in quanto tale non ha più nessun diritto al momento di proseguire i negoziati per entrare nell’Unione Europea.

Cosa devono ancora aspettare per indignarsi formalmente l’opinione pubblica, i mass-media, i partiti politici rappresentati nell’imbarazzato Parlamento di Bruxelles, i governi reticenti dei 27/28 paesi aderenti all’EU? Un altro “contro-golpe di stato” costruito ad arte? Altre decine di migliaia di arresti indiscriminati? Altri martiri torturati nelle squallide prigioni turche? O ulteriori stragi di Curdi e Siriani ai suoi confini, nell’ottusa politica espansionistica del sultano di Istambul, intento a ricreare il rimpianto Impero Ottomano?

E’ di questi giorni la vergognosa sentenza di condanne pesanti contro 18 tra giornalisti, collaboratori e dirigenti dello storico quotidiano di opposizione Cumhuriyet (che dal 1924 ha resistito a 5 golpe e ad innumerevoli arresti, processi, torture e anche assassini di suoi redattori). Antonella Napoli, rappresentante di Articolo 21, è stata testimone diretta delle ultime fasi del processo e ha portato la solidarietà di tutte le organizzazioni sindacali dei giornalisti e per la difesa dei diritti civili: “È stato un processo farsa, senza prove, basato solo sulla linea editoriale di Cumhuriyet. È apparso chiaro da subito che sotto accusa ci fosse la libertà di informazione. Le imputazioni di terrorismo erano, sono e restano ridicole”, ha commentato la Napoli, “Ma mai prima d’ora si era vista una così intensa volontà di eliminare completamente Cumhuriyet. L’attacco contro il più longevo giornale della Turchia è stato puramente politico, seppur per via giudiziaria, un assalto diretto alla libertà di stampa e al diritto, che nessun paese democratico può accettare”.

Da 30 anni la Turchia ha chiesto di far parte dell’Unione Europea e dal 2013 anche la Francia, la più riottosa, si è convinta a riprendere i negoziati, pur in presenza nel suo territorio di 750 mila profughi armeni, discendenti della grande Diaspora seguita all’Olocausto di oltre 1 milione e 600 mila cristiani armeni avvenuto tra il 1915 e il 1916.

Nonostante la feroce repressione contro gli oppositori democratici e laici, Erdogan prosegue nella sua politica di trasformare la debole democrazia turca in una autarchia sullo stile degli stati sunniti del Golfo, suoi alleati: ha indetto le elezioni anticipate, sicuro di stracciare anche la debole opposizione dei partiti di sinistra e dell’etnia curda, dopo aver modificato a suo favore la costituzione laica, erede di quella disegnata dal “padre della patria” Ataturk.

E sta proprio in questa volontà di rinnegare ogni memoria del passato tragico della sua storia moderna, che alberga in  Erdogan, la sua forza e la sua debolezza. Si fa forte dell’appoggio strumentale e opportunistico della Russia del suo omologo autocrate Putin, interessato a estendere il suo dominio geopolitico fino a tutto il Medio Oriente e a controllare oleodotti e gasdotti, che trasportano energia verso l’Europa e fruttano miliardi di dollari. Il diktat di 3 mesi fa, ordito tramite la marina militare turca contro la piattaforma italo-cipriota della Saipem, che stava trivellando al largo delle acque territoriali, fa parte di questa sua strategia da “potenza imperialista regionale”. I media hanno dato poco risalto al gesto di sopraffazione turco, ma l’atto di pura pirateria è da ricondurre alle recenti scoperte di gas e petrolio sia nella terraferma della Siria, sia delle risorse energetiche al largo tra il Libano Cipro, che renderebbero questi due piccoli stati “cuscinetto” indipendenti dal ricatto russo/ turco per il petrolio e il gas, oltre che destinati ad arricchirsi sul mercato internazionale, attraverso altri accordi con la francese Total e l’americana Exxon.

Proprio per questi interessi, la Russia chiude anche gli occhi sulla politica di aggressione espansionistica delle forze armate turche contro i Curdi, i soli che sul terreno hanno sconfitto veramente i terroristi fondamentalisti sunniti dell’ISIS, e contro gli oppositori al dittatore siriano Assad.

L’ignavia dell’Unione Europea e della NATO nei confronti del regime autocratico di Istanbul si evidenzia anche con lo stendere una sorta di “sudario dell’oblio” sull’anniversario dello sterminio degli Armeni. Sono passati 103 anni e ancora le strade desertiche che portano ad Aleppo risuonano delle grida e grondano del sangue di oltre un milione di donne, bambini, vecchi e giovani cristiani armeni, costretti alle lunghe “marce della morte”, che facevano parte dell’aberrante strategia di annientamento.

La memoria storica a volte fa fatica a diventare anche “memoria ufficiale” degli stati. E’ già capitato con la Shoah ebraica, e stenta ad affermarsi per altri genocidi di comunità umane, diverse per religione, cultura e “radici razziali” in varie parti del mondo, per “resistenze” dovute ad opportunità diplomatiche, ad interessi economici, alla geopolitica.

Il “Medz Yeghern, il “grande crimine”, che tra il 1909 e il 1926 portò allo sterminio di oltre 2 milioni di cristiani armeni, segnò l’asse fondante su cui Ataturk e i suoi “giovani ufficiali” costruirono la Turchia moderna, tanto da vietarne ancora per legge (art. 301 del codice penale “Attentato alla turchicità dello stato”) la ricorrenza e il solo accenno, pena il carcere, l’esilio o persino l’attentato omicida. Solo 27 stati al mondo riconoscono l’Olocausto armeno e tra questi anche l’Italia. Addirittura la Francia e la Svizzera ritengono un crimine contro l’umanità il negazionismo e il revisionismo storico, come per la Shoah ebraica.

La strage degli Armeni fu una specie di “prova generale” delle tecniche di sterminio, cui si ispirò lo stesso Hitler. Da allora, nei libri di storia turchi è scritto solo di massacri di turchi ad opera degli armeni. Ancora oggi chi parla dello sterminio rischia di essere incarcerato, perseguitato, come lo scrittore Premio Nobel Orhan Pamuk, o addirittura ucciso, come successe a Istanbul il 19 gennaio del 2007, al giornalista armeno Hrant Dink, fondatore della rivista bilingue turco-armena Agos, per averne scritto in un articolo.

Ma perché la Turchia non vuole ancora riconoscere il genocidio armeno? La risposta l’ha data uno storico turco, Taner Akçam: “è il nazionalismo della Turchia a non permetterle di riconoscere il proprio passato. La Turchia di oggi, quella rifondata da Kemal Ataturk, non può e non vuole riconoscere che la fondazione del proprio stato sia sporcata da una così grande macchia di sangue… I turchi oggi imparano che sono stati gli armeni a massacrare i loro antenati”.

Ancora oltre si spinse l’ex-Presidente della Repubblica tedesca, Joachim Gauck, il 23 aprile 2015, quando ha riconobbe non solo il genocidio ma sottolineò la “corresponsabilità” tedesca. “Dobbiamo indagare nella nostra memoria”, disse Gauck, durante la cerimonia religiosa della comunità armena a Berlino per commemorare il centenario. E in merito ai consiglieri tedeschi che all’epoca aiutarono a pianificare le deportazioni, affermò: “La Germania ha avuto una responsabilità condivisa, forse anche una colpa condivisa, per il genocidio degli Armeni”.

A questo proposito, andrebbero ricordate le parole lucide e profetiche di Antonio Gramsci, che l’11 marzo del 1916, su “Il Grido del popolo” dedicò un articolo al genocidio:  “…Perché un fatto ci interessi, ci commuova, diventi una parte della nostra vita interiore, è necessario che esso avvenga vicino a noi, presso genti di cui abbiamo sentito parlare e che sono perciò entro il cerchio della nostra umanità… Così l’Armenia non ebbe mai, nei suoi peggiori momenti, che qualche affermazione platonica di pietà per sé o di sdegno per i suoi carnefici…Sarebbe stato possibile costringere la Turchia, legata da tanti interessi a tutte le nazioni europee, a non straziare in tal modo chi non domandava altro, in fondo, che di essere lasciato in pace. La guerra europea ha messo di nuovo sul tappeto la questione armena. Ma senza molta convinzione…E così quanti sanno che gli ultimi tentativi di rinnovare la Turchia furono dovuti agli armeni e agli ebrei?”.

La Turchia, secondo gli oppositori ad Erdogan, avrebbe anche intrapreso un progetto di negazionismo, una sorta di “genocidio culturale e artistico”. Uno degli ultimi episodi riguarda “The Promise”, primo film hollywoodiano che tratta dell’Olocausto armeno, uscito nel 2016 negli Stati Uniti e scarsamente programmato in Europa. Nonostante finora abbia ricevuto consensi critici in festival minori, ha avuto molti giudizi negativi in Rete, a quanto pare grazie ad una campagna creata dai negazionisti turchi. Intanto, alcuni finanziatori turchi hanno appoggiato la produzione del film “The Ottoman Lieutenant”, ambientato nello stesso periodo di “The Promise”, pellicola bollata dai critici come “propaganda turca”.

Vai al sito

Armenia, l’8 maggio il Parlamento dovrà eleggere il primo ministro o si andrà a nuove elezioni (Tpi.it 03.05.18)

Il capo del partito di maggioranza armeno, Vahram Baghdasaryan, ha assicurato che il paese avrà un nuovo primo ministro l’8 maggio 2018, dopo settimane di proteste.

Baghdasaryan ha incontrato nella giornata di oggi, 3 maggio 2018, Nikol Pashinyan, l’avvocato a capo delle manifestazioni che aveva annunciato l’inizio della “rivoluzione di velluto”, cioè non violenta.

Alla fine dell’incontro, Baghdasaryan ha riferito a Reuters  che il suo partito appoggerà chiunque riesca ad ottenere i voti favorevoli di un terzo del parlamento l’8 maggio.

Nikol Pashinyan potrebbe quindi diventare il prossimo primo ministro dell’Armenia, dopo che il primo maggio la sua investitura era stata ostacolata dallo stesso partito di maggioranza.

Se l’8 maggio 2018 il Parlamento non troverà un accordo sulla nomina del primo ministro, nel paese saranno indette nuove elezioni parlamentari.

Come siamo arrivati fin qui

Il 17 aprile 2018 il Parlamento armeno aveva approvato la nomina a primo ministro dell’ex presidente Serzh Sargsyan, leader del Partito repubblica d’Armenia.

Il leader repubblicano, 63 anni, ex ufficiale dell’esercito, aveva vinto le elezioni presidenziali nel 2008 ed era stato rieletto per un secondo mandato nel 2013. In passato era già stato premier a cavallo tra il 2007 e il 2008.

L’ex presidente ha di recente trasformato il paese in una Repubblica parlamentare per poter ottenere la carica di primo ministro e continuare a governare oltre i due mandati previsti dalla costituzione come presidente dell’Armenia.

Il leader partito di opposizione Elk, Nikol Pashinyan, ha guidato le manifestazioni iniziate il 13 aprile nel tentativo di impedire lo svolgimento del voto.

“In tutta la repubblica hanno luogo azioni di protesta, scioperi, vengono bloccate le strade. Io do l’annuncio dell’inizio della rivoluzione di velluto”, aveva dichiarato Pashinyan in un comizio durante le proteste.

L’avvocato ha più volte ribadito che le manifestazioni da lui guidate sono pacifiche e ha chiesto “la nomina di un primo ministro del popolo”, la formazione di un governo provvisorio e le elezioni anticipate.

Secondo gli osservatori, Pashinyan vorrebbe ricoprire la carica di premier, modificare il sistema elettorale per poi indire nuove elezioni democratiche anticipate.

I primi scontri tra i manifestanti e la polizia sono avvenuti lunedì 16 aprile. Dopo i primi giorni di proteste, almeno 46 persone sono rimaste ferite negli scontri con la polizia e numerosi manifestanti sono stati arrestati a Yerevan, capitale della città, dove si erano radunati circa 40mila cittadini.

Il 23 aprile Serzh Sargsyan si è dimesso dalla carica di primo ministro, dopo che anche le forze armate si sono schierate con gli insorti

A seguito  delle dimissioni di Sargsyan, il potere era passato nelle mani del primo ministro ad interim Karen Karapetya, ma Pashinyan aveva subito convocato nuove manifestazioni per chiedere la rimozione dal potere dell’intero Partito repubblicano, a cui appartiene lo stesso Sargsyan, erede del Partito comunista e a capo del paese dall’indipendenza dall’URSS.

Il primo maggio, dopo 3 settimane di manifestazioni, si credeva che Nikol Pashinyan sarebbe diventato il nuovo primo ministro dell’Armenia, ma l’avvocato non è riuscito a raggiungere la maggioranza parlamentare necessaria per ottenere l’incarico.

Dopo il deludente risultato, Pashinyan ha chiesto ai manifestanti di bloccare totalmente il paese.

In base alle dichiarazioni rilasciate oggi, 3 maggio, da Vahram Baghdasaryan, il candidato dell’opposizione Elk, Nikol Pashinyan, potrebbe ottenere la carica di primo ministro“Annunciamo che il Partito repubblicano non proporrà un proprio candidato per il ruolo di premier”, ha riferito Baghdasaryan alla fine dell’incontro.

“Daremo il nostro sostegno al candidato che otterrà il supporto di un terzo dei deputati del parlamento, che si tratti di Pashinyan o di qualcun altro, e l’8 maggio l’Armenia avrà un primo ministro”.

La scorsa settimana il partito di Baghdasaryan aveva detto che non avrebbe ostacolato l’elezione di Pashinyan, per poi opporsi in sede parlamentare durante le votazioni del primo maggio.

Se l’8 maggio 2018 il Parlamento non eleggerà un primo ministro, in Armenia saranno indette nuove elezioni parlamentari.

Reazioni internazionali

La crisi interna in Armenia ha delle conseguenze sulle relazioni del paese con Russia, Turchia e con l’Occidente in generale.

L’Armenia è un’ex repubblica sovietica, divenuta indipendente nel 1991. L’ex presidente Sargsyan è sempre stato accusato di essere vicino al presidente russo Vladimir Putin, soprattutto dopo che nel 2013 rifiutò  l’accordo di integrazione economica con l’Unione Europea.

Nel 2014, il paese è entrato nell’Unione Economica eurasiatica, di cui fanno parte Bielorussia, Kazakistan, Russia e Kirghizistan.

Mosca ha forti interessi economici in Armenia e nel paese è presente una base militare russa.

La posizione internazionale del paese ex sovietico è inoltre complicata dai difficili rapporti con la Turchia e l’Azerbaigian.

La Turchia non ha ancora riconosciuto il genocidio degli armeni, avvenuto nel 1915, mentre continua la disputa con l’Azerbaigian per il controllo del Nagorno Karabakh, una regione internazionalmente riconosciuta come parte dell’Azerbaigian ma ancora contesa tra quest’ultima e l’Armenia.

Vai al sito

Armenia: annullato boicottaggio Alleanza Tsarukian, parlamento riprende i lavori (Agenzianova 03.05.18)

Erevan, 03 mag 08:53 – (Agenzia Nova) – Il parlamento armeno è riuscito oggi ad avviare la seduta inizialmente rinviata e poi annullata ieri per la mancanza del quorum. Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress”, infatti, sono 66 i deputati che si sono regolarmente registrati alla seduta. La mancanza del quorum di ieri è stata determinata dal boicottaggio annunciato dall’Alleanza Tsarukian, principale schieramento dell’opposizione in termini di seggi; tuttavia, in seguito agli ultimi sviluppi di ieri sera quando il capogruppo in parlamento del Partito repubblicano armeno, Vahram Baghdasaryan, ha dichiarato che il suo schieramento l’8 maggio – data in cui il parlamento si riunirà nuovamente per eleggere un primo ministro – non presenterà un proprio candidato e sosterrà la personalità che verrà proposta da almeno un terzo dei parlamentari armeni. Il candidato sarà nuovamente il leader delle proteste ed esponente del blocco Yelq, Nikol Pashinyan, cui è stato ribadito il sostegno da tutti le forze all’opposizione. (Res)

Armenia, svolta nella crisi: il partito Repubblicano appoggerà il leader delle proteste (Tgcom24 02.05.18)

La crisi armena è a una svolta: il partito Repubblicano ha dichiarato che appoggerà il candidato dell’opposizione Nikol Pashinyan come nuovo primo ministro. Un’affermazione che sorprende: il primo maggio i repubblicani, che detengono la maggiornaza in Parlamento, si erano rifiutati di  votarlo. Una decisione che aveva portato a nuove proteste. Le elezioni saranno l’8 maggio e il risultato dovrebbe essere certo.

Le elezioniLe elezioni saranno il prossimo 8 maggio e questa volta il risultato dovrebbe essere già scritto: Nikol Pashinyan, membro del Congresso Nazionale Armeno e leader delle proteste che hanno portato alle dimissioni di Serzh Sargsyan, dovrebbe diventare il nuovo primo ministro. Il partito Repubblicano, che detiene la maggioranza dei seggi in Parlamento, ha infatti dichiarato che appoggerà la sua candidatura. Lo ha fatto sapere il capogruppo Vahram Baghdasaryan, il quale, come riporta Interfax, non ha nominato esplicitamente Pashinyan. A conti fatti, ora il candidato dell’opposizione dovrebbe avere dalla sua un terzo dei voti, la soglia richiesta dalla Costituzione per essere nominato. Una decisione, quella dei repubblicani, che arriva inaspettata: lo scorso primo maggio, infatti, si erano rifiutati di sostenere Pashinyan, in quanto aveva guidato i manifestanti a chiedere le dimissioni del premier repubblicano. “La discussione sull’elezione del primo ministro inizierà in una sessione speciale del Parlamento armeno l’8 maggio a mezzogiorno“, ha detto il presidente della camera Ara Babloyan.

Armenia, il Parlamento non elegge il leader delle proteste: i manifestanti bloccano le strade

Pashinyan aveva definito un “sucidio” la scelta del partito Repubblicano. In Armenia, infatti, erano ricominciate le proteste. I manifestanti avevano addirittura bloccato con automobili e camion le maggiori arterie della capitale, Yerevan, fra cui la strada che porta all’aeroporto. Un disagio anche per i turisti, che sono stati sorpresi dai mezzi pubblici fermi e dalle fermate delle metro chiuse, come parte dello sciopero generale. Pashinyan aveva intimato al Governo di non ricorrere all’esercito per disperdere i protestanti. “Se lo faranno”, aveva detto in un’intervista all’Associated Press, “i soldati si uniranno a noi”. In effetti, era già successo in occasione delle ultime mobilitazioni. Nel corso della giornata, con un messaggio su Facebook, ha poi chiesto ai suoi sostenitori di riaprire le strade e di spostarsi in piazza della Repubblica, dove in serata era prevista un’altra manifestazione.

“Voglio che sia chiaro”, ha poi detto alla Bbc, “che questa non è una lotta per far eleggere Nikol Pashinyan. E’ una lotta per i diritti umani, per la democrazia, per la legge e i regolamenti, ed è per questo che la gente non è e non sarà mai stanca di protestare”.


Svolta nella crisi politica: la mossa del partito di governo di appoggiare Pashinyan apre la via alla soluzione dello stallo nella Repubblica ex sovietica capo dell’opposizione e leader delle proteste in Armenia, Nikol Pashinyan, ha chiesto ai suoi sostenitori di interrompere la mobilitazione che ha bloccato la capitale Erevan, affermando di aver ottenuto il sostegno delle quattro forze politiche in Parlamento in vista della sua elezione a premier l’8 maggio. Attualmente tutti i gruppi hanno detto che sosterranno la mia candidatura. La questione è risolta”, ha affermato Pashinyan, “fermiamo la nostra azione e riposiamoci”. La svolta del partito di governo Il Partito repubblicano armeno al governo infatti ha fatto sapere che appoggerà il candidato dell’opposizione alla carica di primo ministro il prossimo 8 maggio. Ad annunciarlo è stato ill capogruppo in Parlamento del partito, Vahram Baghdasaryan. Baghdasaryan non ha comunque nominato esplicitamente Nikol Pashinyan, il leader delle proteste e capo della sigla Elk Erevan bloccata dai manifestanti Erevan e altre città dell’Armenia sono state bloccate dalle proteste dopo che il Parlamento non ha approvato (con 56 voti sfavorevoli e 45 favorevoli) il conferimento della carica di premier a Pashinyan. Manifestanti hanno impedito la circolazione delle auto sulla strada che collega la città con l’aeroporto di Zvarnots. Bloccate anche le strade dirette dalla capitale ai confini con l’Iran e con la Georgia, così come l’accesso alle stazioni della metropolitana di Erevan e alle stazioni ferroviarie. Pashinyan aveva guidato le proteste che hanno costretto il premier ed ex presidente Serzh Sargsyan a dimettersi. E’ stato il suo Partito repubblicano, che ha la maggioranza, a impedire la nomina di Pashinyan con una decisione annunciata all’ultimo momento prima del voto, ieri. “Nessuno scontro, nessuna aggressione. Comprendiamo tutti che questo processo non potrà non finire con una vittoria legittima. Tutte le nostre azioni devono essere pacifiche”, ha scritto Pashinyan invocando lo sciopero generale. Il leader dell’opposizione si propone come candidato del popolo per guidare un governo di transizione verso nuove elezioni.


Armenia: nuova elezione Primo ministro fissata per l’8 maggio

Erevan, 2 mag. (askanews) – Il Parlamento armeno ha annunciato oggi che procederà l’8 maggio ad un nuovo voto per eleggere il Primo ministro di questa repubblica ex sovietica del Caucaso che da due settimane versa in una delicata crisi politica.

Ieri il Parlamento ha votato una prima volta per scegliere il nuovo premier ma l’unico candidato, il capo dell’opposizione e punta di diamante della attuale contestazione, Nikol Pashinian, non ha ottenuto il numero di voti necessari. (fonte Afp)

È morte padre Giuseppe Behesnilian, decano degli Armeni dell’isola di San Lazzaro (Genteveneta.it 02.05.18)

Lutto per la Comunità Armena di Venezia. Si è spento, all’età di 91 anni, padre Giuseppe Behesnilian, nel 2005 premiato dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi con la Stella della Solidarietà Italiana, destinata a quanti si distinguono per la loro italianità.

Padre Giuseppe, il cui nome di battesimo era Krikor, è stato un punto di riferimento nel mondo della cultura e dell’impegno evangelico armeno. Uomo di cultura e autore di numerose pubblicazioni, era il decano della Congregazione.

Per anni anche Vicario generale della Congregazione, padre Behesnilian era stimato per santità personale e per il tratto affabile e solare.

I funerali di padre Giuseppe, cui spettava il titolo di Vardapet – cioè di Maestro, monaco teologo – saranno celebrati martedì 8, alle ore 11.30, nella chiesa dell’isola di San Lazzaro, sede della Congregazione Armena Mechitarista a Venezia. (L.M.)

Vai al sito

Le proteste in Armenia che preoccupano Mosca (Internazionale.it 02.05.18)

Sembrava fatta. Unico candidato in lizza, Nikol Pashinyan, l’uomo che incarna l’opposizione armena, il 1 maggio sarebbe dovuto diventare primo ministro dopo tre settimane segnate da grandi manifestazioni popolari.

Sembrava fatta, perché il presidente alla guida di questa ex repubblica sovietica indipendente dal 1991, Serž Sargsyan, si era inimicato la maggioranza dei tre milioni di armeni cercando di restare al potere oltre i due mandati consecutivi concessi dalla costituzione.

Sargsyan ha fatto passare l’Armenia da un regime presidenziale a un regime parlamentare per poi farsi nominare primo ministro dalla camera controllata dal suo partito. Tecnicamente la legge non è stata violata, ma il suo spirito è stato chiaramente calpestato. Così le manifestazioni di protesta avevano costretto Sargsyan a dimettersi il 23 aprile, lasciando via libera a Nikol Pashinyan, ex giornalista di 42 anni conosciuto per la sua eloquenza, il suo coraggio e la sua eleganza, una specie di Robin Hood maestro nell’arte di denunciare la corruzione, la disoccupazione, le enormi fortune di un gruppetto di eletti e la miseria della maggior parte della popolazione.

Appello al blocco totale
Sembrava fatta. Il partito di maggioranza avrebbe dovuto permettere a Pashinyan di andare al governo, perché era l’unico modo per ripristinare la calma. E invece no. Robin Hood non ha ottenuto la maggioranza parlamentare tanto attesa. Sorpreso e indignato quanto la folla che si preparava a festeggiarlo, ha immediatamente chiesto – a partire dal 2 maggio e invitando comunque alla non violenza – un blocco totale del paese, delle sue strade, delle sue stazioni e dei suoi aeroporti.

Un paese stretto tra l’Iran, la Turchia, la Georgia e l’Azerbaigian potrebbe essere sull’orlo della rivoluzione, animato da una volontà di ribellione contro l’ingiustizia sociale e dal rifiuto verso un uomo e un partito che non vogliono mollare la presa.

 -

Dato che la diaspora armena è molto presente in diversi paesi, tra cui la Francia, questa crisi non passerà inosservata e farà tanto più rumore considerando che rappresenta un vero dilemma per la Russia, ex potenza tutelare dell’Armenia e garante della sua sicurezza davanti all’occidente, alla Turchia che continua a non voler riconoscere il genocidio armeno di un secolo fa e all’Azerbaigian a cui gli armeni contendono dal 1988 l’enclave del Nagorno Karabakh.

L’Armenia ha troppo bisogno della Russia per allontanarsene. Nikol Pashinyan continua a ripeterlo, ma Vladimir Putin non vede di buon occhio un popolo, per giunta gravitante nell’area russa, che voglia sbarazzarsi dei suoi dirigenti accusandoli di aver diffuso la corruzione e aver provocato la miseria della gente. Questo tipo movimento, infatti, rischia di far venire idee strane a qualcuno, anche in Russia.

Vai al sito


Intervista a Taysaev: “Fermare le manovre imperialiste in Armenia, perché non si ripeta il copione ucraino” (Lantidiplomatico.it 02.05.18)
Si ripeterà in Armenia lo scenario ucraino? Avranno successo le manovre destabilizzanti in corso nell’ex repubblica sovietica, oggi tra le più vicine alla Federazione Russa? Andranno in porto le manovre sovversive delle solite forze (Ong per prime), finanziate dagli ambienti legati a Soros e al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, creando le premesse per un ulteriore rafforzamento dell’attuale assedio imperialista alla Russia? Sono le domande che si pone il dirigente comunista Kazbek Taysaev – che è anche membro del Comitato della Duma per gli Affari della Comunità deli Stati Indipendenti (CSI), chiedendo alle autorità del proprio paese l’energia e la determinazione che, a suo parere, era mancata nel momento in cui si andava preparando il colpo di stato nazista e filo-imperialista del 2014 in Ucraina? (MG)

E’ possibile che in Armenia si ripeta lo scenario ucraino?

Che la situazione ci possa sfuggire di mano, non è escluso. Anche in Ucraina tutto ebbe inizio con manifestazioni contro oligarchi e funzionari corrotti. Dobbiamo seguire da vicino gli sviluppi, senza nasconderci dietro dichiarazioni secondo cui si tratterebbe di affari interni all’Armenia. Occorre preservare il corso filo-russo dell’Armenia e non permettere che forze distruttive sconvolgano la situazione. Ciò che là si sta verificando ci riguarda direttamente. Siamo uniti dal comune accordo collettivo sulla sicurezza, da una storia comune, dalla cultura, ecc.

Ho paura che gli statunitensi stiano investendo molte risorse e mezzi per destabilizzare la situazione, provando a giocare la stessa carta dell’Ucraina. Grandi somme potrebbero essere gettate nelle cosiddette nuove elezioni parlamentari e per lo “sviluppo della democrazia” in Armenia. Non si sa ancora chi si occuperà dell’Armenia e chi avrà accesso al Parlamento. Oggi la maggioranza nel parlamento armeno è costituita da politici di orientamento filo-russo. La carica di primo ministro ad interim dell’Armenia è occupata dall’ex vice premier della repubblica, Karen Karapetyan, una persona degna e costruttiva, che ama molto il suo paese. Lo conosco personalmente e ritengo che dobbiamo sostenerlo quanto più è possibile. L’importante è non perdere tempo.

Quando in Ucraina tutto era appena all’inizio, per l’unione con la Russia si schierava il 90% e solo tra il 5 e il 10% si pronunciava per l’associazione con l’Unione Europea.

Nel 2013, i comunisti guidati dal loro leader Petro Nikolaevich Simonenko avevano raccolto oltre 3 milioni di firme per chiedere un referendum nazionale sull’ingresso o meno dell’Ucraina nell’Unione Europea. Noi lo avevamo sostenuto. Allora, oltre il 75% della popolazione dell’Ucraina era contro l’ingresso nell’UE. Ma ci è sfuggita di mano la situazione, e il potere è stato conquistato da un’aggressiva minoranza fascista. Risultato: le fiaccolate dei fascisti nel centro di Kiev, la beffa per i veterani della Grande Guerra Patriottica e per chi è animato da sentimenti filo-russi.

Ma soprattutto sono stati comunisti a soffrite delle azioni di questi fascisti, eredi di Bandera e Shukhevich. Ad esempio. La prima persona ad essere aggredita sul majdan fu il primo segretario del comitato cittadino di Lviv del PCU, Rostislav Vasil’ko. Gli furono spezzate le ossa e venne costretto a mangiare una croce ortodossa di fronte a tutti i giornalisti. E tutto ciò ha forse sollevato la minima indignazione della comunità mondiale e dei rappresentanti degli Stati che impongono la loro visione della democrazia all’Ucraina? No, nessuno lo ha fatto. Siamo riusciti solo noi a portarlo fuori da Kiev, a Mosca, dove gli è stata salvata la vita.

Perchè ha subito questa crocifissione?

Per il fatto che a Lviv si era pronunciato per l’unione con la Russia e perchè è un comunista.

E se la Russia non avesse sostenuto allora che quanto stava accadendo era un affare interno dell’Ucraina, ma avesse appoggiato la maggioranza filo-russa, non ci sarebbe stata una guerra civile in Ucraina, a mio avviso. Secondo l’OSCE, circa 15.000 persone sono morte, ma in realtà le vittime sono state 50.000. Andate nel Donbass, sulla linea di contatto, e capirete che la gente su entrambe le parti parla russo. Questa è una cosa terribile. La Russia deve riconoscere i risultati del referendum, riconoscere l’indipendenza della Repubblica Popolare di Donetsk e della Repubblica Popolare di Lugansk, contribuire a integrare le imprese del Donbass nell’economia russa, approvare una legge che permetta l’accelerazione dell’ottenimento della cittadinanza della Federazione Russa. Questò è ciò che la Russia deve fare nell’immediato futuro.

A differenza di noi, gli statunitensi non hanno esitato a dichiarare di avere speso 5 miliardi di dollari per condizionare la situazione in Ucraina.

Noi non abbiamo il diritto di trattare l’Armenia come abbiamo fatto con l’Ucraina: la politica dello “struzzo” ci costerrebbe molto cara. Il 9 maggio celebreremo il Giorno della Vittoria, che abbiamo ottenuto insieme ai popoli dell’Armenia. 106 armeni sono diventati Eroi dell’Unione Sovietica. E ora dovremmo fare un passo indietro e consegnare gli armeni alla follia degli statunitensi come è avvenuto con l’Ucraina? Questo sarebbe un crimine nei confronti del popolo fratello dell’Armenia.

Cosa dovrebbe fare il nostro governo?

La Duma di Stato sta per iniziare i suoi lavori. La prima questione che deve essere affrontata dalla Duma è quella relativa alla situazione in Armenia. I nostri deputati devono recarsi là al più presto e avviare consultazioni con tutti, aiutare la nostra ambasciata e tutte le forze filo-russe. In Armenia c’è anche un forte partito comunista.

C’è l’organizzazione che si chiama UPC-PCUS (Unione dei Partiti Comunisti-Partito Comunista dell’Unione Sovietica). Questa organizzazione è il successore del PCUS, che comprende i partiti comunisti di tutte le repubbliche dell’URSS e di tre nuovi stati: Ossezia del Sud, Abkhazia e Transnistria. Tutti questi partiti comunisti sono orientati solo verso la Russia e si pronunciano per la rinascita dell’unione dei popoli fratelli. Perchè il nostro governo non dovrebbe ora sostenere i comunisti dell’Armenia?

Sono sorpreso per la posizione dei nostri governanti, che non riescono a formulare con chiarezza il loro pensiero. Mentre occorrerebbe dichiarare a gran voce che l’Armenia rientra nella zona dei nostri interessi strategici, geopolitici, economici… Il nostro governo deve capire che la Russia non può vivere circondata da paesi che ci odiano e sono assetati di sangue. Guardate cosa sta accadendo in Ucraina, in Georgia. Vogliamo che accada lo stesso in Armenia? Proprio no!

Quali lezioni dovrebbero trarre le nostre autorità?

Secondo me, la lezione dovrebbe essere questa: occorre sostenere le forze che si battono contro gli elementi distruttivi e che stanno facendo di tutto per rafforzare la nostra secolare amicizia. Il nostro futuro è nell’unità. Se si unissero i tre Stati slavi – Russia, Ucraina e Bielorussia – avremmo un’alleanza potentissima, sul piano economico, politico e militare. Presto vi ritornerebbero tutte le ex repubbliche dell’Unione, che proprio questo stanno aspettando. E la rinascita dell’Unione dei popoli fratelli diventerebbe una realtà.

Credo che la prima riunione della Duma di Stato, e la prima riunione del Comitato per gli affari della CSI, per l’integrazione eurasiatica e per le relazioni con i compatrioti, che è direttamente incaricato di occuparsi di tali problemi, dovrebbero essere dedicate agli avvenimenti in corso in Armenia. E anche le altre strutture che si occupano della geopolitica dovrebbero affrontare per prima la situazione in Armenia.

Fallita investitura a Pashinyan, in Armenia è sciopero generale (Ilmanifesto 02.05.18)

La crisi politica in Armenia non trova soluzione e rischia di trascinare il paese verso il caos. Il primo maggio il parlamento si è finalmente riunito, ma non è riuscito ad eleggere il nuovo premier. Eppure per l’unico candidato Nikol Pashinyan (il leader dell’opposizione anti-corruzione che sta paralizzando il paese dal 13 aprile) le cose sembravano essersi messe bene.

IL 30 APRILE PASHINYAN infatti aveva dichiarato, ribaltando di 360 gradi le posizioni assunte in precedenza, che «non intende né adesso né nel futuro uscire dall’Alleanza militare guidata dalla Russia (presente con basi militari nel paese ndr) e neppure dall’Unione euroasiatica» la Ue in sedicesimi composta oltre che dalla Russia e dall’Armenia dal Kazakistan, dalla Bielorussia e dal Kirghizistan. Una presa di posizione che aveva fatto tirare un sospiro di sollievo al Cremlino.

Ma non solo. La Federazione rivoluzionaria armena (Dashnak), il più antico partito del paese fondato nel 1890 e di orientamento socialdemocratico, a questo punto decideva di uscire dalla coalizione con il partito repubblicano e di sostenere, con i suoi 7 deputati, Pashinyan. Tuttavia una volta in aula il partito repubblicano da 10 anni al potere e ancora in possesso della maggioranza assoluta dei mandati, ha dimostrato un’imprevedibile compattezza nel respingere la candidatura di Pashinyan. Le defezioni dal gruppo si sono limitate alla fine a soltanto tre. Risultato 45 voti a favore di Pashinyan e 55 contrari.

LA RITROSIA DEL PARTITO al potere a passare la mano è legata a motivazioni ben poco nobili. I deputati repubblicani a rischio di essere inquisiti per corruzione, hanno chiesto un salvacondotto-amnistia dopo elezioni anticipate da tenersi a breve. Pashinyan non avrebbe potuto accondiscendere, pena perdere credibilità tra i suoi sostenitori. «Boicotteremo le elezioni anticipate, torniamo subito in piazza!» è stato il suo appello dopo la bocciatura in aula. E così ieri le proteste si sono trasformate per la prima volta in sciopero generale. Il paese ieri era di fatto isolato dal resto del mondo: niente voli da e per Erevan, bloccate le linee ferroviarie, sit-in in tutte le arterie stradali del paese. Il capo dell’opposizione ha chiesto però «la massima calma» alla popolazione. «Nessuna violenza deve essere consentita, la nostra rivoluzione resta non violenta, «di velluto» ha fatto appello Pashinyan.

IL RISCHIO, come fa notare un deputato del Dashnak, è ora che la situazione si avviti su stessa. Da una parte la paralisi «potrebbe far rientrare in scena l’esercito come unico apparato capace di mettere fine alla confusione» afferma il parlamentare. Ma potrebbe condurre anche Pashinyan a rivedere nuovamente la sua posizione sulla delicata collocazione internazionale del paese. Facendo rientrare in gioco gli Usa. Non a caso proprio ieri il Dipartimento di Stato è tornato a dichiararsi «vicino agli amici armeni nella loro lotta per il cambiamento».

Vai al sito

Armenia, parlamento boccia leader opposizione come premier (Ansa 01.05.18)

(ANSA) – YEREVAN, 1 MAG – Sale ancora la tensione in Armenia: il parlamento a maggioranza ha bocciato il leader dell’opposizione e riferimento delle manifestazioni che riempiono le piazze da settimane, Nikol Pashinyan, come primo ministro. Un voto – 55 no e 45 sì – che avveniva mentre fuori dal parlamento di Yerevan decine di migliaia di persone sostenevano Pashinyan. Quest’ultimo, prima del voto in aula, ha affermato che se come leader dell’opposizione non fosse stato eletto premier, l’Armenia sarebbe stata travolta da uno “tsunami politico”, finirà nel caos.


Armenia, l’opinione di Simone Zoppellaro sulla “rivoluzione di velluto”.(Euronews.com 01.05.18)

Nelle scorse settimane, in Armenia, la cosiddetta “rivoluzione di velluto” ha posto fine allo strapotere del Repubblicano Serzh Sargsyan. Ora, gli occhi sono putati sul leader di quella rivoluzione, Nikol Pashinyan, che quasi certamente si appresta ad essere nominato primo ministro. Per saperne di più sulla sua figura e sulle ragioni soggiacenti alla protesta abbiamo intervistato Simone Zoppellaro, giornalista e scrittore (di recente autore di un acclamato libro sul genocidio degli Yazidi) che nella capitale armena Erevan ha vissuto per due anni, e il cui saggio “Armenia oggi- Drammi e sfide di una nazione vivente” (2016, Guerini e associati) è stato di recente pubblicato in un’edizione per il mercato armeno.

Zoppellaro, chi è dal suo punto di vista Nikol Pashinyan`?

“E’ il volto nuovo della politica armenia. Non è interamente nuovo, in realtà, perché già nel 2015 aveva preso parte, seppur con minor protagonismo, alla protesta denominata ‘Electric Erevan’, partecipando in seguito anche alla presa di una stazione di polizia. Viene dal giornalismo, oltre che da un piccolo partito d’opposizione, e nessuno immaginava potesse arrivare così lontano: se verrà nominato Premier, di fatto metterà fine a un decennio di strapotere repubblicano”.

L’ex presidente e premier Sargsyan, come il premier ad interim Karen Karapetyan, appartengono entrambi a una classe di oligarchi che per anni ha irregimentato la vita del paese: cosa esattamente rimprovera loro il popolo armeno?

“Innanzitutto la gestione familistica del potere economico e politico. In Armenia l’economia è strutturata in una serie di monopoli, e la politica funziona sulla base dei legami intrattenuti con i vari oligarchi. Sono inoltre biasimati per l’enorme corruzione che pervade ogni singolo aspetto della vita armena, dalle più alte sfere del potere politico all’ordinaria amministrazione degli ospedali o degli uffici amministrativi: anche per poter effettuare una semplice radiografia, in Armenia, è necessario corrompere un funzionario. La corruzione è presente anche nelle competizioni elettorali, dove brogli sono stati ripetutamente documentati in quasi tutte le ultime tornate. E sono incolpati infine per la debolezza di un paese la cui crisi economica si sta progressivamente aggravando con la guerra del Nagorno Karabakh. L’Armenia è un paese sempre più debole e povero, dal punto di vista economico, sociale e militare”.

Molto si è detto anche dei possibili risvolti geopolitici di questa protesta…

“Per quanto mi riguarda, credo che molte delle interpretazioni circolate nei media italiani ed europei fossero quantomeno forzate. La questione geopolitica è molto marginale nelle sollevazioni di questi giorni: lo stesso Pashinyan ha detto che la presenza russa nel paese non è in discussione e che le due basi russe con i loro 5mila soldati rappresentano un elemento di stabilità nel paese. Mosca, da parte sua, ha sottolineato come la “rivoluzione di velluto” sia una faccenda prettamente domestica e che il Cremlino non si sarebbe schierato. Ovviamente le cose potrebbero cambiare in futuro, ma l’egemonia russa – che è di certo l’elemento maggiormente caratterizzante dell’Armenia post-sovietica – al momento non è in discussione”.

Armenia: crisi politica, Ue ribadisce sostegno a Erevan per costruire società democratica (Agenzianova 30.04.18)

Erevan, 30 apr 08:40 – (Agenzia Nova) – L’Unione europea ribadisce il proprio sostegno all’Armenia nei suoi sforzi per costruire una società prospera e democratica. È quanto si legge in una dichiarazione congiunta rilasciata dalla delegazione dell’Ue e dalle ambasciate dei paesi membri in Armenia incentrata sulla situazione politica nel paese caucasico da settimane coinvolto in una complessa crisi politica. È fondamentale che tutte le parti si impegnino in un dialogo globale, in vista della formazione democratica di un nuovo governo in conformità con la Costituzione e nell’interesse di tutti gli armeni. L’Unione europea continua a sostenere gli sforzi del presidente Armen Sarkissian in questo senso”, si legge nella nota, secondo cui altrettanto importante è che “tutte le parti coinvolte, incluse le forze dell’ordine e coloro che esercitano il loro diritto alla libertà di riunione e di espressione, mostrino moderazione e responsabilità”. La nota dell’Ue giunge alla vigilia della riunione del parlamento fissata domani per eleggere il primo ministro dopo le dimissioni di Serzh Sargsyan dello scorso 23 aprile causata dalle proteste antigovernative che da settimane stanno animando il centro di Erevan e delle principali città del paese. (segue) (Res)

Armenia, in piazza a Erevan i sostenitori di Pashinian alla vigilia del voto in Parlamento (Rainews.it 30.04.18)

Il capo dell’opposizione armena Nikol Pashinian ha preso parte alla manifestazione da lui stesso convocata a Erevan, capitale dell’Armenia, dove domani il parlamento dovrà votare il nuovo capo del governo. Pashinian è stato formalmente candidato dalla sua coalizione Yelk al posto di premier, un passo che arriva alla vigilia di un voto cruciale per il futuro dell’ex repubblica sovietica del Caucaso. Dal 13 aprile infatti l’Armenia vive una crisi politica senza precedenti: un movimento di protesta – provocato dalle accuse di corruzione mosse contro la classe politica – ha portato alle dimissioni il 23 aprile di Serzh Sargsyan, l’ex presidente che era stato appena eletto premier. Pashinian ha annunciato alla stampa la sua nomina mentre si trovava in Parlamento per “consultazioni con tutte le forze politiche”. Tra la sua coalizione e il sostegno annunciato da altri due partiti più grandi, Pashinian può contare al momento sul voto di 47 deputati: per essere eletto, deve avere 53 voti (sui 105 complessivi). Questo significa che il capo dell’opposizione deve sperare di strappare qualche deputato al Partito repubblicano al potere, che ha 58 eletti, ovvero la maggioranza assoluta in seno all’assemblea. Tre fazioni parlamentari – l’alleanza Tsarukyan, Dashnaktsutyun ed Elk – hanno infatti promesso che voteranno a favore di Pashinian. Il Partito repubblicano ha invece annunciato che non nominerà un suo candidato. –

Dalla strada alla premiership? Nikol Pashinyan, capopopolo delle proteste di piazza in Armenia, è stato nominato dal partito Yelq (Via d’uscita) candidato primo ministro, ora manca il via libera del Blocco Tsarukyan, altro schieramento all’opposizione. Sono giorni caldi nel Paese, tra elezioni e folle di manifestanti che si sono riversate in strada anche ieri sera. Quante chanches ha il leader delle proteste Pashinyan di fare il premier?

Ieri intanto altra tensione con i sostenitori di Pashinian che hanno bloccato le strade della capitale Yerevan, a poche ore da un voto chiave. Domani infatti il Parlamento voterà il premier dopo le dimissioni di Serž Sargsyan che governava il Paese da 10 anni: costretto a lasciare dai moti di piazza.

PROTESTE

Da giorni si moltiplicano le proteste di piazza. Lo scorso 25 aprile la polizia armena proprio al fine di tentare di controllarle si era riversata nel centro di Yerevan dopo che centinaia di manifestanti avevano risposto all’ennesimo appello del leader di Elk, Nikol Pashinyan. Due giorni prima decine di migliaia di persone si erano date appuntamento a piazza della Repubblica per festeggiare le dimissioni del premier Serzh Sargsyan. In precedenza (il 17 aprile) l’ex presidente era stato eletto primo ministro, ottenendo la carica malgrado le fortissime proteste di piazza che avevano come obiettivo proprio quello di impedire la sua ascesa al nuovo governo per il decimo anno consecutivo.

SCENARI

Ma è già domani, perché lo stesso Pashinyan chiede addirittura elezioni anticipate di cui l’Armenia ha bisogno e “i cui risultati non causeranno alcun dubbio”. E traccia il perimetro del futuro governo: al primo posto non c’è più il ritiro dell’Armenia dall’Unione economica eurasiatica (Uee) “non sarà un tema all’ordine del giorno in caso di elezione”.

Il Paese è sotto osservazione di molti analisti anche per i rapporti disordinati con Baku e le relative implicazioni geopolitiche legate al Tap che riflette in sostanza lo scacchiere di influenza: l’Armenia è nell’orbita del Cremlino, ospita due basi militari russe e, nonostante il cambio di potere, mantiene un cordone ombelicale con Mosca.

PASHINYAN VS TSARUKIAN

Giornalista, editore, politico e anche clandestino. Il 43enne possibile premier è stato redattore del quotidiano liberal-americano più venduto in Armenia, The Armenian Times, sempre su posizioni ostili ai governi di Robert Kocharyan e Serzh Sargsyan. Nel 2008 si è schierato dalla parte di Levon Ter-Petrosyan nelle elezioni presidenziali per poi sparire dalla scena dopo i disordini che seguirono le urne, per questo fu ricercato anche dalla polizia armena con le accuse di omicidio e disordini di massa. Un anno dopo si consegnò ma venne amnistiato dopo due anni di carcere.

Nel suo “curricuculm” anche un tentativo di omicicio: nel 2004 il suo veicolo esplose dinanzi alla sede del sul giornale ma le autorità parlarono di un guasto all’impianto elettrico e non di altro.

Pashinyan però puntò subito il dito contro Gagik Tsarukian oligarca e fondatore del partito Armenia prosperosa, uomo chiave dell’ex presidente armeno Robert Kocharyan. Si tratta di un imprenditore dalle mani d’oro come dimostra la sua carriera: prima direttore esecutivo della compagnia “Armenia” e nel 1992 a capo di un’impresa di produzione casearia.

Da lì inizia la scalata: due anni dopo fonda Multi Group Concern che ora include una serie di società come Kotayk Brewery in ABovyan, Yerevan Chemical Pharmaceutical Company, “Mek” Network of Furniture Stores, Yerevan Ararat Brandy-Wine -Vodka Factory, Fabbrica di cemento “Ararat”, “Aviaservice” JSC, “Multi Stone” Processing Company, “Multi Rest House”, “Global Motors” CJSC, “Multi City House”.

Nel 2006 ha ceduto il 29% della Kotayk Brewery al magnate della birra francese Castel Group per circa 4 milioni di dollari.


Armenia, Erevan di nuovo in piazza per il leader d’opposizione Pashinyan (Euronews.com 30.04.18)


Armenia: candidato premier Pashinyan, organizzare elezioni parlamentari anticipate dopo incarico di governo (Agenzianova 30.04.18)

Erevan, 30 apr 13:02 – (Agenzia Nova) – Dopo l’elezione del primo ministro sarà necessario organizzare delle elezioni parlamentari anticipate in Armenia. Lo ha detto Nikol Pashinyan, candidato ufficialmente dal blocco Yelq all’incarico di premier e organizzatore delle proteste di piazza che da settimane animano il paese caucasico. “Prima delle elezioni anticipate, dobbiamo essere convinti di avere creato tutte le precondizioni per organizzare delle elezioni libere e trasparenti. Abbiamo bisogno di elezioni i cui risultati non causeranno alcun dubbio”, ha affermato Pashinyan. In attesa di incontrare la Federazione rivoluzionaria armena, come riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress”, l’esponente dell’opposizione ha avuto un breve briefing con la stampa in parlamento. Secondo Pashinyan il ritiro dell’Armenia dall’Unione economica eurasiatica (Uee) non sarà un tema all’ordine del giorno in caso di elezione “Se sei all’opposizione non si ha la possibilità di discutere delle questioni relative ai problemi in alcune strutture dell’esecutivo. Quando sei al timone, invece, hai la possibilità di documentarti sui problemi, discuterli con i paesi partner e risolvere pazientemente tutti i problemi in un’atmosfera del dialogo. Sono convinto che le discussioni porteranno a risultati positivi. Non porremo la questione del ritiro dall’Uee, ma questo non significa che diciamo che non ci siano dei problemi”, ha detto Pashinyan. (segue) (Res)