Papa Francesco all’Isola Tiberina: sull’altare maggiore della basilica di San Bartolomeo l’icona dei “nuovi martiri” (Agensir 22.04.17)

Nella basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, a Roma, dove oggi pomeriggio Papa Francesco presiederà una “preghiera per i nuovi martiri”, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio, sull’altare maggiore c’è un’icona dedicata ai martiri del Novecento, che rappresenta l’assemblea descritta dal libro dell’Apocalisse: “Dopo ciò apparve una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide e portavano palme nelle mani”. Nell’icona una folla di martiri si dirige festosamente verso il Cristo, portando palme nelle mani con Maria, Giovanni evangelista e Giovanni Battista, con gli apostoli Pietro, Paolo e Andrea, con i santi martiri Bartolomeo e Adalberto, cui è dedicata la basilica. Sotto, secondo la visione del libro dell’Apocalisse, gli angeli stendono la tenda di Dio sopra la terra. Sulla terra al centro è raffigurato il lager, come una grande basilica di filo spinato, il più alto luogo di preghiera e di unità delle Chiese d’Oriente e d’Occidente. Al di sotto, una città con le mura spezzate rappresenta la frattura della coabitazione: molti sono i testimoni della fede ricordati, dagli armeni, ai cristiani in Algeria, in India, in Libano. In una chiesa dissacrata vengono uccisi uomini e donne mentre pregano: figura centrale è un prete albanese ucciso per aver battezzato un bambino, mentre dalla porta della città escono coloro che sono morti a causa di marce estenuanti, come gli armeni.
In basso, a sinistra si ricorda la Chiesa Ortodossa russa, attraverso il lager delle isole Solovki, a destra le Chiese d’Occidente: tra gli altri Dietrich Bonhöffer, il beato Oscar Romero e il beato Giuseppe Puglisi. Risalendo sulla destra: i martiri vivono oggi la passione di Cristo. L’ingiusto processo (e la memoria principale è quella del vescovo anglicano ugandese Luwum); la tortura e lo scherno, l’esecuzione della condanna a morte. Tra i morti di spada i seminaristi hutu e tutsi che a Buta, in Burundi, furono uccisi perché non si vollero separare e padre Alexander Men’. Tra i fucilati il patriarca dei copti d’Etiopia Abuna Petros, i martiri di Spagna e Messico e il beato Zefirino, il martire zingaro ucciso durante la guerra civile spagnola. Risalendo sulla sinistra: le opere dei martiri. La preghiera: nel buio del carcere in Romania cattolici, ortodossi, battisti si dividono la Bibbia per impararla a memoria e poterla recitare gli uni agli altri. Un uomo solo nella cella ricorda i prigionieri in Cina. La carità: san Massimiliano Kolbe, e con lui chi ha dato la vita per i malati, per gli affamati, per aver accolto i nemici. La comunicazione del Vangelo, infine, ricorda tutti i missionari uccisi in ogni continente.

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Il Papa: “I campi profughi sono campi di concentramento” (Lastampa.it 22.04.17)

Molte sono le prove dei giusti, ma da tutte le salva il Signore; egli custodisce tutte le loro ossa, neppure uno sarà spezzato”. Il coro intona le strofe dell’“Inno dei martiri” mentre Bergoglio fa il suo ingresso nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, dove presiede nel pomeriggio la veglia di preghiera promossa dalla Comunità di Sant’Egidio per i “Nuovi Martiri” del XX e XXI secolo.

In questo luogo scelto da Giovanni Palo II dopo il Giubileo del 2000 come memoriale dei nuovi e antichi martiri, dove la testimonianza dei cristiani uccisi in odio alla fede nei secoli scorsi si intreccia con quella dei seguaci di Cristo perseguitati dalle ideologie del ‘900 o dalle più recenti follie estremiste, Papa Francesco entra come pellegrino e prega per tutti costoro che hanno «hanno avuto la grazia di confessare Gesù fino alla fine, fino alla morte».

«Alcuni sono stati nostri amici, o anche commensali» dice Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio, nel suo saluto iniziale, ricordando alcuni di loro: don Andrea Santoro, assassinato in Turchia; Shabbaz Bhatti, ucciso in Pakistan; Christian de Chergé, massacrato in Algeria; padre Jaques Hamel, sgozzato in Normandia; il vescovo Enrique Angelelli, perseguitato dai militari in Argentina. Di questi e di altri testimoni è conservato nelle cappelle laterali nella Basilica un oggetto personale: la stola, la patena, il breviario, il pastorale, il calice, la bibbia. «Siamo stati loro amici ma non ci siamo liberati dalla volontà tenace di salvare noi stessi», dice Riccardi, mentre loro «non hanno salvato sé stessi». Anzi hanno voluto ricordarci, attraverso la testimonianza usque ad sanguinis effusionem, che «come cristiani non siamo vincenti per potere, armi, denaro consenso, ma abitati dalla forza umile della fede e dell’amore». Cristiani che, al contrario del resto del mondo sconvolto dalla «guerra madre di dolori e povertà», «non rubano la vita ma la donano».

«Il ricordo di questi eroici testimoni antichi e recenti ci conferma nella consapevolezza che la Chiesa è Chiesa se è Chiesa di martiri», esordisce Papa Francesco nella sua omelia. E con un filo di voce aggiunge «un’icona di più in questa Chiesa»: «Una donna, non so il nome ma lei ci guarda dal cielo – dice a braccio -. Ero a Lesbo, salutavo i rifugiati e ho trovato un uomo trentenne, tre bambini, mi ha guardato e mi ha detto: “Padre, io sono musulmano, mia moglie era cristiana e nel nostro Paese sono venuti i terroristi, ci hanno guardato e ci hanno chiesto la regione e hanno visto lei col crocifisso e hanno chiesto di buttarlo giù. Lei non lo ha fatto: l’hanno sgozzata davanti a me. Ci amavamo tanto”. Questa è l’icona che porto oggi come regalo qui – afferma Francesco – Non so se quell’uomo è ancora a Lesbo o è riuscito ad andare altrove. Non so se è stato capace di uscire da quel campo di concentramento, perché i campi di rifugiati sono di concentramento per la folla di gente, sono lasciati lì e i popoli generosi che li accolgono devono portare avanti questo peso, perché gli accordi internazionali sembrano che siano più importanti dei diritti umani. Quest’uomo non aveva rancore, anche lui musulmano aveva questa croce del dolore portata senza rancore, si rifugiava nell’amore della moglie graziata dal martirio».

Il martire è infatti «un graziato», afferma Bergoglio. «Quante volte in momenti difficili della storia, si è sentito dire: “Oggi la patria ha bisogno di eroi”. E il martire può essere pensato come un eroe, ma la (caratteristica) fondamentale del martire è che è stato un graziato. La grazia di Dio, non il coraggio quello che ci fa martiri». I martiri, prosegue il Pontefice citando i passaggi dell’Apocalisse letti nella liturgia, «hanno avuto la grazia di confessare Gesù fino alla fine, fino alla morte. Loro soffrono, loro danno la vita, e noi riceviamo la benedizione di Dio per la loro testimonianza», dice il Papa. E ricorda anche i «tanti martiri nascosti» di oggi, quegli uomini e quelle donne «fedeli alla forza mite dell’amore, alla voce dello Spirito Santo, che nella vita di ogni giorno cercano di aiutare i fratelli e di amare Dio senza riserve».

Papa Bergoglio inquadra la «causa» delle loro persecuzioni: «L’odio del principe di questo mondo verso quanti sono stati salvati e redenti da Gesù con la sua morte e con la sua risurrezione». L’origine dell’odio è questa: «Poiché noi siamo salvati da Gesù, e il principe del mondo questo non lo vuole, egli ci odia e suscita la persecuzione, che dai tempi di Gesù e della Chiesa nascente continua fino ai nostri giorni. Quante comunità cristiane oggi sono oggetto di persecuzione! Perché? A causa dell’odio dello spirito del mondo».

Allora «di che cosa ha bisogno oggi la Chiesa?», domanda il Papa: «Di martiri, di testimoni, cioè dei santi di tutti i giorni, perché la Chiesa la portano avanti i Santi, eh! Senza di loro la Chiesa non può andare avanti. La Chiesa ha bisogno di Santi della vita ordinaria, portata avanti con coerenza; ma anche di coloro che hanno il coraggio di accettare la grazia di essere testimoni fino alla fine». Fino alla morte.

Tutti costoro sono, per il Papa, «il sangue vivo della Chiesa», i testimoni «che attestano che Gesù è risorto, che Gesù è vivo» e che «ci insegnano che, con la forza dell’amore, con la mitezza, si può lottare contro la prepotenza, la violenza, la guerra e si può realizzare con pazienza la pace».

Prima dell’omelia del Pontefice, momento toccante della celebrazione è stato quello delle tre testimonianze: per prima quella del figlio di Paul Schneider, pastore della Chiesa riformata, ucciso nel campo di sterminio di Buchenwald nel 1939: «Mio padre è stato scelto per testimoniare il Vangelo e questo mi consola», ha detto. È seguito l’intervento di Roselyne Hamel, sorella di padre Jacques, il parroco di Rouen sgozzato da due fondamentalisti nel luglio scorso durante la messa. Mio fratello «non ha mai voluto essere al centro, ma ha consegnato una testimonianza al mondo intero la cui larghezza non la possiamo ancora misurare. Con la sua morte è divenuto un fratello universale», ha affermato la donna. Infine, un amico di William Quijano, ucciso dalle Maras, le terribili bande armate in Salvador, che cercava di «spezzare la catena della violenza» attraverso l’educazione e la formazione dei bambini, nella certezza che «un Paese senza scuole e maestri è un paese senza futuro».

I loro nomi e quelli di tutti i cristiani martirizzati negli ultimi secoli – dalle vittime del genocidio armeno e rwandese, ai copti egiziani morti nelle stragi della Domenica delle Palme – sono stati ricordati nelle preghiere dei fedeli a fine celebrazione. Ad ogni nome o nazione ricordata, è stata accesa una candela. Una candela la accende pure il Papa nelle cappelle laterali che visita una ad una, prima di recarsi nei locali attigui alla Basilica e incontrare un gruppo di rifugiati giunti in Italia grazie ai corridoi umanitari realizzati da Sant’Egidio con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e la Tavola Valdese.

Di migranti il Papa ha continuato a parlare anche fuori dalla Basilica, prendendo il microfono sul piazzale dell’Isola Tiberina dove ad attenderlo c’era un bagno di folla: «Siamo una civiltà che non fa figli ma anche chiudiamo la porta ai migranti. Questo si chiama suicidio», ha ammonito, condannando anche la «crudeltà che si accanisce, allo sfruttamento della gente che arriva in barconi e poi restano lì nei Paesi generosi come l’Italia e la Grecia, ma poi i trattati internazionali non lasciano». «Se in Italia si accogliessero due migranti per municipio, ci sarebbe posto per tutti», ha detto a braccio. E ha concluso auspicando che «la generosità, nel Sud, in Sicilia, a Lampedusa, a Lesbo, salga un po’ su» e «possa contagiare anche il Nord».

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Sonig Tchakerian e l’Orchestra da camera di Mantova suonano Mozart a Mantova e a Torino

Martedì 25 aprile 2017, ore 19.00
Sala di Manto, Palazzo Ducale, Mantova

Sonig Tchakerian, violino
Orchestra da Camera di Mantova

Carlo Fabiano, primo violino concertatore
W. A. Mozart, Concerti per violino e orchestra K. 211, K. 218

Mercoledì 26 aprile 2017, ore 21.00
Conservatorio Giuseppe Verdi, piazza Bodoni, Torino
Sonig Tchakerian, violino
Orchestra da Camera di Mantova
Carlo Fabiano, primo violino concertatore
W. A. Mozart, Concerti per violino e orchestra K. 211, K. 216, K. 218 e divertimento per archi K. 136 (le cadenze dei Concerti per violino sono di Giovanni Sollima)

Sonig Tchakerian e l’Orchestra da camera di Mantova suonano Mozart a Mantova e a Torino

Martedì 25 aprile 2017, ore 19.00, a Palazzo Ducale a Mantova e mercoledì 26 aprile 2017, ore 21.00, al Conservatorio Giuseppe Verdi a Torino la violinista Sonig Tchakerian sarà protagonista in un concerto tutto mozartiano insieme all’Orchestra da Camera di Mantova.

Comunicato stampa

Doppio appuntamento mozartiano con la violinista Sonig Tchakerian e l’Orchestra da camera di Mantova, martedì 25 aprile, ore 19.00, nella splendida Sala di Manto di Palazzo Ducale a Mantova nell’ambito della rassegna“Assaggi di Festival” e mercoledì 26 aprile 2017 al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, ore 21, per la stagione concertistica dell’Unione Musicale di Torino.

Due concerti nel segno di un unico autore che prevedono l’esecuzione di tre Concerti per violino e un Divertimento per archi di Mozart con una straordinaria Sonig Tchakerian, artista di origine armena ma dalla vita italianissima, che ha legato la sua carriera principalmente ad autori come Bach e Paganini che rivelano la sua tecnica elegante e ricercata oltre all’intensa sensibilità interpretativa, e l’Orchestra da Camera di Mantova guidata dal suo primo violino Carlo Fabiano.

Interessante sarà ascoltare l’anima mediterranea della Tchakerian impegnata a destreggiarsi tra le cristalline frasi mozartiane e il virtuosismo delle cadenze, appositamente pensate da Giovanni Sollima per questi Concerti.

Mozart scrisse i Cinque concerti per violino e orchestra tra aprile e dicembre del 1775, nel giro di pochi mesi e, dalle prime prove ancora legate a formule e schemi barocchi, giunse ad esiti originali e compiuti.

Il secondo Concerto in re maggiore K. 211 è del giugno 1775 e viene solitamente accomunato al primo pur rappresentando per molti aspetti già un sostanziale passo in avanti. Il virtuosismo è più moderato e sul piano formale i tre tempi seguono schemi tradizionali precisi, la forma-sonata per i primi due e il rondò alla francese per il finale. Il Concerto in sol maggiore K. 216, del settembre 1775, è celebre per il suo Rondeau “arlecchinesco” dal carattere danzante, uno dei brani più bizzarri ed esuberanti composti da Mozart. Nella seconda parte, il Divertimento per archi K. 136, scritto a Salisburgo nel 1772 e strutturato in tre movimenti secondo la maniera italiana della sinfonia avanti l’opera.

A concludere il Concerto in re maggiore K. 218 dove nel terzo tempo, ancora nella forma di rondò, spicca una “strasburghese”, danza popolare trasformatasi in ballo di società con la quale Mozart rendeva omaggio a una moda francese, motivo per cui, nel viaggio che l’avrebbe condotto a Mannheim e poi a Parigi, portò con sé soltanto questo Concerto.

Per le informazioni riguardo al concerto di Mantova è possibile contattare l’ Orchestra da Camera di Mantova (Piazza Sordello 12, 46100 Mantova; Tel: 0376360476; e-mail: boxoffice@mantovachamber.com) ed i biglietti si possono acquistare presso la biglietteria oppure online sul sito www.vivaticket.it (Intero, 15 €; ridotto under30, 10€; ridotto under18, 5€)
Per il concerto di Torino ci si puù rivolgere all’Unione Musicale (Piazza Castello 29, 10123 Torino; tel. 011-5669811; e-mail: info@unionemusicale.it; orario: martedì e mercoledì 12.30-17; giovedì e venerdì 10.30-14.30): poltrone numerate, euro 30 (in vendita presso la biglietteria dell’Unione Musicale e online); ingressi non numerati, euro 20 (riduzioni per i giovani under 21 in vendita il giorno del concerto presso il Conservatorio dalle ore 20.30).

Info
Orchestra da Camera di Mantova
Piazza Sordello 12, 46100 Mantova
Tel: 0376360476, e-mail: boxoffice@mantovachamber.com
Acquista online www.vivaticket.it
Prezzo biglietti: Intero, 15 €; ridotto under30, 10€; ridotto under18, 5€

Unione Musicale
Piazza Castello 29, 10123 Torino
tel. 011-5669811
e-mail: info@unionemusicale.it
orario: martedì e mercoledì 12.30-17; giovedì e venerdì 10.30-14.30
Prezzo biglietti: poltrone numerate, euro 30 (in vendita presso la biglietteria dell’Unione Musicale e online); ingressi non numerati, euro 20 (riduzioni per i giovani under 21 in vendita il giorno del concerto presso il Conservatorio dalle ore 20.30)

Profili

Sonig Tchakerian, violino
Sonig,  vive l’infanzia ad Aleppo, dove da bimba comincia a suonare il violino con il padre, appassionato musicista.
Trasferita in Italia, si diploma a 16 anni con Giovanni Guglielmo con il massimo dei voti e la lode.
Si perfezionata con Salvatore Accardo, Franco Gulli, Nathan Milstein.
Premiata al Paganini di Genova, all’ARD di Monaco di Baviera e al Gui di Firenze, tiene recital per importanti società di concerti e, come solista, suona con la Royal Philharmonic di Londra, la Bayerischer Rundfunk di Monaco, la Verdi di Milano, le orchestre del San Carlo di Napoli e dell’Arena di Verona, i Solisti Veneti, l’Orchestra di Padova e del Veneto, con direttori quali Piero Bellugi, Daniele Gatti, Antonio Janigro, Daniel Oren, Claudio Scimone, Emil Tchakarov.
La sua discografia comprende ‘Seasons and Mid Seasons’ di Vivaldi (Decca 2015), le Sonate e Partite di J. S. Bach (Decca 2013), le Sonate 0p. 23, 24 e 47 di Beethoven, (Deutsche Grammophon 2010), Capricci op. 1 di Paganini (Arts 2003), il Concerto di Barber e la Serenata di Bernstein (Amadeus, 2006), i concerti di Haydn (Arts, 2001), il Concerto n. 5 di Vieuxtemps e il Rondo capriccioso di Saint- Saëns (Audiophile Sound, 1997), l’integrale per violino e pianoforte di Ravel (AS disc, 1991), l’integrale dei trii di Beethoven, Schumann e Schubert con il Trio Italiano.
È docente di violino nell’ambito dei corsi di Alto Perfezionamento dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma.
Suona un Gennaro Gagliano costruito a Napoli nel 1760.
Alle Settimane Musicali al Teatro Olimpico di Vicenza, è responsabile del progetto artistico della musica da camera e crea esperienze intense e coraggiose con musica e danza, elettronica, jazz, poesia, prosa, testi sacri e prime esecuzioni.
Vive un’inquieta voglia di cercare ed esplorare esperienze nuove, viaggi e concerti alla riscoperta delle origini armene. Radici e futuro, per lei due realtà da non tradire.

Orchestra da Camera di Mantova
Fondata nel 1981 da Carlo Fabiano, da sempre suo primo violino concertatore, l’Orchestra da Camera di Mantova s’impone da subito all’attenzione generale per brillantezza tecnica, assidua ricerca della qualità sonora, sensibilità ai problemi stilistici. Nel 1997 ha vinto il Premio “Franco Abbiati” della critica italiana come miglior complesso da camera, «per la sensibilità stilistica e la metodica ricerca sulla sonorità che ripropone un momento di incontro esecutivo alto tra tradizione strumentale italiana e repertorio classico».
L’Orchestra da Camera di Mantova ha sede al Teatro Bibiena di Mantova, autentico gioiello di architettura e acustica.

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Amicizia Pesaro-Yerevan nel segno della Renco, della solidarietà e della musica. Al Miralfiore donata la croce che commemora il genocidio armeno del 1915 (Pu24.it 21.04.17)

PESARO – “L’amicizia tra le due città nasce nel 2009 da un invito fatto da Renco SpA all’allora sindaco di Pesaro Luca Ceriscioli a visitare Yerevan, capitale dell’Armenia.” Così il consigliere comunale Ilaro Barbanti, già vicesindaco della giunta Ceriscioli, ha introdotto la cerimonia che si è svolta oggi (21 aprile) al parco Miralfiore. E’ stata scoperta la croce che commemora il genocidio del popolo armeno avvenuto nel  1915.

“È scattata empatia immediata fra i due sindaci – ha aggiunto Barbanti – oggi parecchi ragazzi da Yerevan vengono a studiare al Conservatorio Rossini. Motivo in più per stringere un’amicizia che nel tempo si è consolidata”.

“Nel 2014 inoltre in occasione della ricorrenza dalla fondazione di Yerevan – ha evidenziato Barbanti – il Comune di Pesaro chiese una croce da esporre a Pesaro per ricordare il genocidio della popolazione armena da parte dei Turchi, il cui anniversario dei 100 anni sarebbe accaduto l’anno dopo (2015)”.

Davide Gevorgian capo dipartimento relazioni estere città di Yerevan e Arman Hovhannisyan console dell’ambasciata della Repubblica Armena in Italia hanno sottolineato: “Oggi Pesaro annuncia la propria solidarietà al popolo armeno. Quella di Pesaro si aggiunge alle già 114 croci donate e simboleggia pace e amicizia tra le due città”.

Giovanni Gasparini presidente di Renco Spa ha dichiarato: “I rapporti tra Renco e l’Armenia sono di lunga data, siamo una delle più importanti aziende di costruzioni del paese. Ma gli scambi sono anche culturali. La grande risorsa dell’Armenia non è il petrolio ma sono le persone e la sua cultura.”

“Oggi abbiamo l’opportunità di ricordare uno degli avvenimenti più drammatici dell’umanità –  ha detto  Matteo Ricci sindaco di Pesaro –  che per tanti anni è stato nascosto. I rapporti di amicizia e gemellaggio funzionano se c’è la volontà di uno scambio culturale ed economico continuo. La Renco è partita dal secondo. E ha scoperto una delle culture più antiche del mondo con la quale abbiamo intenzione di rafforzare il nostro rapporto di amicizia grazie anche alla musica. Ci piacerebbe che l’Armenia sia, il prossimo anno, uno dei paesi in cui celebrare iniziative importanti per il 150mo di Rossini. Nel 2018 ci sarà l’ anniversario nazionale dalla morte del celebre compositore, Rossini sarà il testimonial della bellezza italiana nel mondo.”

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La Comunità di Sant’Egidio attende Francesco a San Bartolomeo all’Isola Tiberina (Romasette 21.04.17)

 Nel corso della liturgia saranno accese alcune candele per accompagnare ogni preghiera che verrà pronunciata in memoria dei testimoni della fede del XX secolo fino ai giorni nostri:dagli armeni e gli altri cristiani delle Chiese vittime dei massacri compiuti durante la prima guerra mondiale

La visita in programma per il 22 aprile alle 17. In programma le testimonianze di amici e parenti di alcuni “nuovi martiri”. L’incontro con un gruppo di profughi

 

Una liturgia della Parola, nella quale sono previsti interventi di partenti e amici di tre fra i tanti testimoni della fede di cui si conserva memoria nella chiesa dell’Isola Tiberina. È incentrata sulla preghiera la visita di Papa Francesco nella basilica di San Bartolomeo, affidata alla Comunità di Sant’Egidio e dedicata dal 1999, per volere di Giovanni Paolo II, alla memoria dei “Nuovi martiri”. L’appuntamento è per domani, sabato 22 aprile, alle 17. Davanti al pontefice, offriranno la loro testimonianza Karl Schneider, figlio di Paul, pastore della Chiesa Riformata, ucciso nel 1939 nel campo di Buchenwald perché aveva definito gli obiettivi del nazismo al potere «inconciliabili con le parole della Bibbia»; Roselyne, sorella di padre Jacques Hamel, assassinato a Rouen, in Francia, il 26 luglio dell’anno scorso alla fine della Messa; Francisco Hernandez Guevara, amico di William Quijano, un giovane di Sant’Egidio in Salvador, che venne ucciso nel settembre del 2009 perché, con le “Scuole della Pace” della Comunità, offriva agli adolescenti del quartiere in cui viveva un’alternativa alle Maras, le bande giovanili che seminano il terrore in questo Paese dell’America Centrale.

Dopo l’omelia, Francesco renderà omaggio alle sei cappelle laterali della basilica che conservano le reliquie dei martiri di Europa, Africa, America, Asia, del comunismo e del nazismo. Nel corso della liturgia saranno accese alcune candele per accompagnare ogni preghiera che verrà pronunciata in memoria dei testimoni della fede del XX secolo fino ai giorni nostri,:dagli armeni e gli altri cristiani delle Chiese vittime dei massacri compiuti durante la prima guerra mondiale ai martiri della pace e del dialogo, come i monaci trappisti di Notre Dame de l’Atlas in Algeria e don Andrea Santoro in Turchia; da chi è stato ucciso dalla mafia, come don Pino Puglisi fino ai tanti missionari che hanno dato, nel mondo, la loro vita per il Vangelo. Un ricordo che attraverserà tutti i continenti accomunando nomi più conosciuti, come quello dell’arcivescovo di San Salvador Oscar Arnulfo Romero, a tanti altri meno noti.

Si pregherà anche per i vescovi Mar Gregorios Ibrahim e Paul Yazigi e per il gesuita romano padre Paolo Dall’Oglio, sequestrati ormai da tempo in Siria, di cui non si hanno ancora notizie. Alla fine della preghiera poi Papa Francesco incontrerà, nei locali accanto alla basilica, un gruppo di profughi giunti in Italia con i corridoi umanitari, insieme a donne vittime della tratta e ad alcuni minori non accompagnati.

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The Promise: i “troll” turchi mobilitati contro il film con Christian Bale (Badtaste.it 21.04.17)

Oggi, negli Stati Uniti, debutterà nei cinema una pellicola abbastanza controversa, visto il tema che fa da sfondo alla vicenda.

Parliamo di The Promise, pellicola diretta da Terry George, regista di Hotel Rwanda e interpretato da Christian Bale e Oscar Isaac, ambientato durante il genocidio della popolazione armena avvenuto tra il 1915 e il 1916.

Come ha notato l’Hollywood Reporter però, la pagina di IMDB del film è già inondata da migliaia e migliaia di votazioni da una stella che hanno drasticamente abbassato la media di una pellicola da 100 milioni di dollari di budget che porterà il tema del genocidio degli armeni di fronte alle grandi platee cinematografiche. L’operazione di trolling e downvoting era già partita lo scorso settembre, dopo la presentazione della pellicola al Toronto Film Festival. Attraverso le operazioni di tracking delle votazioni è emerso come la campagna online contro il lungometraggio sia partita da siti come Incisozluk, la versione turca di 4Chan, dove gli utenti venivano invitati a far abbassare il rating di The Promise su YouTube e IMDB.

Il magazine di cinema americano ci propone anche una traduzione sommaria di uno dei “richiami all’azione”:

Ragazzi, Hollywood sta filmando una pellicola sul cosiddetto genocidio degli Armeni e il trailer è già stato visto 700k mila volte. Dobbiamo fare urgentemente qualcosa.

La ragione di questa mobilitazione è molto semplice: la Turchia non ha mai riconosciuto ufficialmente il crimine perpetrato ai danni degli armeni.

Come spiega Wikipedia:

Con il termine genocidio armeno, talvolta olocausto degli armeni o massacro degli armeni, si indicano le deportazioni ed eliminazioni di armeni, popolazione prevalentemente cristiana, perpetrate dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916, e che causarono circa 1,5 milioni di morti.

Anche se qualche storico ha avanzato ipotesi diverse sulla reale motivazione di queste stragi, è un dato di fatto che si sono svolte l’anno successivo alla proclamazione del jihād da parte del sultano-califfo Maometto V, avvenuta il 14 novembre 1914, e che la maggioranza degli armeni era di fedi diverse, in prevalenza Cristiani (religione dell’Armenia adottata sin dal I secolo e poi proclamata di Stato già nel 301 d.C.), da quella di stato del califfato ottomano.

Inoltre gli stessi Armeni avevano già subito anche i massacri hamidiani (ed altri ancora prima) per mano e dal nome di un altro precedente Califfo dell’islam turco. Nello stesso periodo storico l’Impero Ottomano aveva condotto (o almeno tollerato) attacchi simili anche contro altre etnie (come gli assiri e i greci), e per questo alcuni studiosi credono che ci fosse un progetto di sterminio.

Il centenario del genocidio armeno è stato commemorato, come ogni anno il 24 aprile, nel 2015.

Gli armeni usano l’espressione Medz Yeghern (in lingua armena Մեծ Եղեռն, “grande crimine”) o Հայոց Ցեղասպանութիւն (Hayoc’ C’eġaspanowt’yown), mentre in turco esso viene indicato come Ermeni Soykırımı “genocidio armeno”, a cui talvolta viene anteposta la parola sözde, “cosiddetto” o Ermeni Tehciri “deportazioni armeni” […]

Il governo turco continua a contrastare il riconoscimento formale del genocidio da parte di altri paesi e a mettere in discussione che un genocidio sia mai accaduto. Non solo: parlare di “genocidio” è un reato punibile con la reclusione da sei mesi a due anni, in base all’art. 301 del codice penale (“vilipendio dell’identità nazionale”). La legge è stata applicata anche nei confronti di personalità turche conosciute internazionalmente: nel 2005 fu incriminato Orhan Pamuk, il massimo scrittore turco vivente. Il processo a Pamuk è iniziato il 16 dicembre 2005 ma è stato successivamente sospeso in attesa dell’approvazione del ministro della giustizia turco; quello invece al giornalista Hrant Dink si è concluso nello stesso 2005 con la condanna a sei mesi.

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Turchia: Consiglio Piemonte, riconoscere genocidio armeno (Lospiffero.com 20.04.17)

“La Turchia non può continuare a rifiutarsi di discutere, ciò che le chiediamo è di accettare di confrontarsi col proprio passato”. Così il presidente del Consiglio regionale del Piemonte, Mauro Laus, al convegno “La voce delle pietre urlanti” promosso dal Comitato Regionale per i Diritti Umani e dall’Associazione Solidale (Asso) per ricordare il genocidio armeno in occasione del 102° anniversario. “Oggi – ha detto Laus – vogliamo ricordare quegli adulti e quei bambini stritolati dalla macchina implacabile della guerra e dei nazionalismi, vittime di un genocidio deciso e organizzato perché in quel momento era utile alla politica turca”. Il presidente dell’assemblea di Palazzo Lascaris e del Comitato Regionale Diritti Umani ha ricordato che “ancora oggi in Turchia si mette il bavaglio a chiunque voglia parlare di genocidio e si antepongono alla realtà tesi proprie di un certo revisionismo storico. E se è vero – ha aggiunto – che la questione armena e’ rimossa dalla coscienza collettiva turca è altrettanto vero che è rimasta sepolta nella soffitta del perbenismo. Una cicatrice – ha concluso – che per interessi ed egoismi continua a indurirsi tra le ingiustizie dell’umanità”.

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Armenia, la terra delle pietre urlanti: convegno a Torino (Torinooggi.it 20.04.17)

Nonostante il genocidio del popolo armeno per mano dei turchi sia avvenuto a più riprese, prima, durante e dopo la Prima guerra mondiale, il 24 aprile è la data in cui si è soliti commemorarlo. Eppure, nonostante il massacro abbia spazzato via un milione e mezzo degli armeni che vivevano all’epoca in territorio ottomano, ovvero i due terzi di quella popolazione, ancora oggi in Turchia vi sono leggi restrittive della libertà di espressione che di fatto mettono il bavaglio a chiunque voglia parlare di genocidio”. Con queste parole il presidente del Consiglio regionale e del Comitato piemontese per i Diritti umani Mauro Laus ha aperto, giovedì 20 aprile a Palazzo Lascaris, i lavori del convegno “La voce delle pietre urlanti”, promosso dal Comitato in collaborazione con Associazione solidale (Asso) in occasione del 102° anniversario del genocidio armeno.

Il titolo, ispirato alla definizione dell’Armenia coniata dal poeta simbolista russo Osip Mandel’štam per rendere l’idea del destino di un popolo pesantemente segnato dal dolore, dalla separazione e dalla negazione ha rappresentato un’occasione per riflettere sul passato e sul presente. La definizione di Mandel’štam – infatti – è ancora oggi tremendamente attuale se si considera che quegli stessi orrori e quelle stesse “marce della morte” continuano a ripetersi, un secolo dopo, nel deserto siriano.

“I fatti di questi giorni, che vedono il reporter italiano Gabriele Del Grande tenuto agli arresti in Turchia senza ragione, dimostrano quanto ci sia ancora tanto da fare e quanto sia necessario non abbassare la guardia sul fronte della tutela e della difesa dei diritti umani”, ha dichiarato il vicepresidente del Comitato Giampiero Leo.

Con la presidente di Associazione solidale Silvana Zocchi che ha letto i telegrammi a sostegno dell’iniziativa pervenuti dall’ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia Victoria Bagdassarian e dal consigliere comunale Silvio Magliano, primo firmatario della mozione per l’assegnazione della cittadinanza onoraria di Torino alla scrittrice di origine armena Antonia Arslan – sono intervenuti i giornalisti del Tg Rai Piemonte Matteo Spicuglia e del quotidiano Avvenire Nello Scavo.

Spicuglia ha ricostruito il contesto del genocidio armeno, in cui – nel giro di pochi mesi – venne fatto sparire oltre un milione di persone, a cominciare dagli intellettuali, e le responsabilità della Turchia, che non nega che ci siano stati i morti ma, ancor oggi, non riconosce che esse siano state pianificate.

Scavo ha sostenuto che la storia dimostra che la religione e la cultura non sono quasi mai il vero motivo scatenante delle persecuzioni ma un innesco funzionale e ha ricordato che la verità è spesso la prima vittima della guerra anche perché è spesso difficile comprendere realtà complesse come quella che si sta vivendo attualmente in Siria con 92 gruppi combattenti islamici indipendenti e 12 governi.

All’evento è intervenuta – tra gli altri – la consigliera regionale Gianna Gancia.

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Epifanio Troina: “Ricordo e Chiedo” – il 24 aprile gli Armeni di tutto il mondo ricordano le vittime del Genocidio del loro popolo nell’Impero Ottomano (Smtvsanmarino 20.04.17)

Il 24 aprile si avvicina e, come ogni anno, anche quest’anno gli Armeni di tutto il mondo e l’umanità progressista ricordano le vittime del Genocidio del Popolo Armeno, il primo genocidio del XX secolo e ogni anno, senza speranza, sono in attesa che il presidente turco chieda perdono per i crimini contro l’umanità, ma nuovamente i 100.000 Armeni che vivono e lavorano in Turchia sono in pericolo: i quotidiani turchi Zaman e Hurriyet riportano le parole del presidente: “possiamo deportarli, ma non l’abbiamo ancora fatto”.

Le uccisioni di massa non hanno giustificazioni e non possono essere in alcun modo ignorate. È d’altronde un fatto che il genocidio Armeno fosse universalmente noto, nei suoi tratti di fondo se non nei particolari, già dopo la prima guerra mondiale: Hitler citava i casi degli Armeni per convincere i suoi collaboratori più riluttanti che una politica di sterminio, una volta portata a termine, finisce sempre con l’essere dimenticata dall’opinione pubblica mondiale. Il che peraltro, nella stragrande maggioranza dei casi che conosciamo, purtroppo è del tutto vero. Ciò non toglie che, in materia di genocidi dimenticati, la nostra memoria sia straordinariamente corta e la nostra visuale vergognosamente parziale.
Lo sterminio di massa e le deportazioni furono effettuate nei territori dell’Impero Ottomano (oggi Turchia), abitati prevalentemente da Armeni che professavano il Cristianesimo. A metà del XIX secolo, nell’Impero Ottomano circa il 56% della popolazione non professava l’Islam; gli Armeni erano circa 3 milioni; la politica dell’Impero Ottomano si distingueva per l’intolleranza verso i popoli non turchi. Vennero bruciate e saccheggiate più di 60 città ed oltre 2500 villaggi Armeni; circa 1 milione di loro fuggirono o vennero deportati; più di mezzo milione di civili vennero uccisi, mutilati, mentre oltre 600mila vennero cacciati dalle proprie case e sottoposti a repressione. Furono distrutti monumenti e santuari religiosi e furono bruciati libri e manoscritti di valore inestimabile.
I nostri cuori si stringono al popolo Armeno, che ha vissuto una delle peggiori tragedie della storia dell’umanità. Gli eventi del 1915 hanno sconvolto il mondo intero; l’annientamento degli Armeni nell’Impero Ottomano è considerato il primo genocidio del XX secolo: Medz Yeghern !
Il Genocidio degli Armeni è purtroppo il prototipo del genocidio moderno, con tutte le caratteristiche richieste dalla definizione dell’Onu del 1948: intenzionalità, sistematicità, coordinamento fra strage, deportazione, limitazione coatta delle nascite e via dicendo.

Occorre fare di tutto affinché i tragici eventi del passato non si ripetano e che tutti i Popoli possano vivere in pace e armonia, senza conoscere gli orrori che derivano dall’incitamento all’odio religioso, al nazionalismo aggressivo e alla xenofobia. I rapporti tra i Popoli devono sempre essere distinti per la vicinanza e il rispetto reciproco.

Comunicato stampa
Epifanio Troina

Clero diocesano in Armenia (Tusciaweb 20.04.17)

Civita Castellana – Riceviamo e pubblichiamo – Proseguono i viaggi culturali promossi dal vescovo Romano Rossi per il clero Diocesano.

Quest’anno sarà la volta dell’Armenia, il paese che per primo ha abbracciato il cristianesimo e che per il cristianesimo ha dovuto soffrire persecuzioni anche in tempi recenti.

Da questo spirito è stata ispirata l’iniziativa del vescovo della diocesi di Civita Castellana, coinvolgendo 30 sacerdoti perché si mettessero in pellegrinaggio con lui sulle tracce di una spiritualità profonda e tutta da scoprire. Tracce silenziose di una teologia e di una fede che si fa pietra. Testimonianze “profumate” di santità che con il loro passaggio umile e nascosto hanno illuminato la storia della Chiesa e del mondo.

Il viaggio si svolgerà dal 23 al 29 aprile e sarà piuttosto complicato per la mancanza di comunicazioni aeree dirette tra l’Italia e l’Armenia.

La prima tappa sarà a Yerevan con visite a Garni e a Ghegard. Il secondo giorno porterà la comitiva a visitare i monasteri di Novarank e di Tatev e pernotterà a Goris. Mercoledì 26 il gruppo si sposterà a Sevan visitando il monastero “costruito da Mariam” e godendo di uno stupendo panorama sul lago. Giovedì 27, partendo da Dilijan, si visiterà la fortezza Nera e in serata si rientrerà a Yerevan. Il giorno successivo sarà la volta di Echmiadzin, antica capitale dell’Armenia e centro spirituale del popolo Armeno.

Si sosterà anche presso la chiesa dedicata alla Santa Hripsime, una martire cristiana dei primi secoli. A Yerevan il tour si concluderà con la visita alla bellissima biblioteca.

Un viaggio tra le testimonianze di una fede antica e nuova capace di far gustare la bellezza di essere cristiani veri.

Il vescovo Rossi trascorrerà questo viaggio insieme ai suoi presbiteri, accomunati nella preghiera, nell’esperienza di fraternità che abbatte qualsiasi barriera anagrafica, di cultura e formazione. È il ritorno all’origine mistica della vita, con il richiamo a ciò che unisce, nell’unità e nella semplicità, dove il luogo trasmette e favorisce la comunione con l’infinito.

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Carloforte, presentazione di ‘Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio’ il 24 aprile (Cagliaripad.it 19.04.17)

In occasione del 102esimo anniversario del primo genocidio del Novecento, quello del popolo armeno nel 1915, lunedì 24 aprile alle 18 a Carloforte, presso la Sala conferenze del Centro polifunzionale Exme, Alessandro Aramu presenterà il saggio Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio. Lo straordinario racconto degli ultimi sopravvissuti di Alessandro Aramu, Anna Mazzone e Gian Micalessin, con una prefazione di Raimondo Schiavone.

La notte del 24 aprile 1915 iniziava l’orrendo sterminio del popolo armeno. In un solo mese, più di mille intellettuali – giornalisti, scrittori, poeti e politici – furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati. A loro si unirono altre centinaia di migliaia di persone uccise con ferocia inaudita. Alla fine gli armeni cristiani massacrati furono circa un milione e mezzo. A oltre cento anni da quel genocidio, parlano da Yerevan gli ultimi sopravvissuti di una tragedia che ancora oggi la Turchia si rifiuta di riconoscere.
Alessandro Aramu è giornalista e direttore della Rivista di geopolitica “Spondasud”. Gian Micalessin, giornalista, inviato di guerra, scrive per “Il Giornale”. Anna Mazzone, giornalista freelance, è anche direttore della rivista “Formiche” e del semestrale in lingua inglese “Anthill.eu” assieme a Jean-Paul Fitoussi, collabora quotidianamente con il sito di “Panorama” e per la rubrica dedicata agli esteri. Raimondo Schiavone, giornalista professionista, già direttore di testate giornalistiche e blog, ha collaborato per Arkadia alla stesura di Lebanon. Attualmente riveste l’incarico di presidente di Assadakah –  Centro italo-arabo e del Mediterraneo.