Armenia: amb. Ferranti con Procuratrice Generale Anna Vardapetyan (Giornalediplomatico 13.11.25)

GD – Jerevan, 13 nov. 25 – L’ambasciatore d’Italia in Armenia, Alessandro Ferranti, è stato ricevuto dalla Procuratrice Generale della Repubblica d’Armenia, Anna Vardapetyan.
La Procuratrice Generale Vardapetyan ha espresso il proprio vivo apprezzamento per l’eccellente cooperazione in corso tra i vari Organi giudiziari e investigativi dei due Paesi.
Nel corso del colloquio la Procuratrice Generale ha voluto evidenziare con gratitudine l’importanza della sua recente visita in Italia il 6 e il 7 novembre scorsi, culminata con la firma di un Memorandum d’Intesa tra la Procura Militare armena e la Procura Generale Militare della Repubblica presso la Corte Suprema di Cassazione italiana.
La Procuratrice Generale Vardapetyan ha inoltre menzionato con particolare soddisfazione i colloqui intrattenuti con il Procuratore Generale Militare, Maurizio Block, e il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Piero Gaeta.
La Procuratrice Generale ha poi voluto ricordare il Memorandum d’Intesa precedentemente firmato il 30 giugno 2023 con l’allora Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Luigi Salvato, volto ad ampliare la cooperazione nei settori della giustizia penale, della tutela dei diritti umani e del rafforzamento dello Stato di diritto.
Durante l’incontro è stata inoltre trattata un’ampia gamma di ulteriori tematiche di reciproco interesse.

Il grande gioco del Caucaso e gli interessi economici europei (IARI 13.11.25)

L’accordo preliminare Armenia-Azerbaijan dell’agosto 2025 apre prospettive per la stabilizzazione dei corridoi energetici caucasici, cruciali per la diversificazione europea dal gas russo.

La mediazione statunitense e il controllo del corridoio TRIPP rivelano un paradosso geoeconomico: l’Unione Europea, principale cliente del gas azerbaigiano, si trova priva di leverage negoziale. La dipendenza energetica post-2022 e i vincoli normativi sui diritti umani impediscono a Bruxelles di tradurre il potere economico in influenza strategica. Gli Stati Uniti, liberi da tali costrizioni, mediano la pace e controllano i corridoi commerciali, relegando l’Europa a ruolo di importatore pagante.

L’8 agosto 2025 è stato siglato dalla Repubblica Armena e da quella dell’Azerbaijan un testo preliminare in previsione di una pace che metterebbe fine al susseguirsi di scontri e violenze risalenti ad almeno l’inizio del XX secolo, connesse e legate alla complessa storia del Caucaso e delle sue popolazioni autoctone. I due paesi del Caucaso meridionale si sono scontrarti più volte nel corso della storia, ragion per cui le loro popolazioni sono permeate da narrazioni storiche reciprocamente opposte, e le tensioni per la regione del Nagorno-Karabakh si sono progressivamente intensificate fino a degenerare in violenze e guerre, ciò sin dagli anni ’80 del Novecento, quando le repubbliche erano ancora sotto il controllo dell’Unione Sovietica. Dopo tre guerre (1988-1994, 2016, 2020), nel 2023 l’Azerbaigian ha preso il controllo della regione contesa del Nagorno-Karabakh, costringendo più di 100.000 persone di etnia armena alla fuga.

La prospettiva di pace, da un punto di vista di relazioni internazionali, prospetterebbe quindi la normalizzazione di una regione estremamente importante, anche  in termini di scambi di materie prime, quali petrolio e gas. Nello specifico, la Repubblica dell’Azerbaijan, data la sua posizione geografica e la sue capacità estrattive, potrebbe diventare un nuovo hub centrale di approvvigionamento. Da segnalare infatti che la centralità del Caucaso nella mappa geografica rende la regione un corridoio di incontro tra il mondo europeo e quello asiatico in termini non solo fisici, ma anche economici e culturali. La stabilità dell’area implicherebbe dunque maggiore sicurezza energetica per i paesi importatori, che guarderebbero all’Azerbaijan come a un’alternativa alle rotte del gas russo.

L’accordo di pace, concordato presso la Casa Bianca il 13 marzo 2025 in un draft agreement prevede 17 punti di cui si segnalano i seguenti:

  • Il riconoscimento reciproco della sovranità, indipendenza politica, integrità territoriale e relativa inviolabilità dei confini (i quali però non sono ancora del tutto definiti);
  • Impegno a non avanzare rivendicazioni territoriali in futuro;
  • Impegno al principio di non usare la forza;
  • Apertura verso cooperazione economica, transito, cooperazione culturale.

Inoltre l’Azerbaijan richiede che l’Armenia modifichi la propria Costituzione affinché venga rimossa qualsiasi rivendicazione verso la sovranità o integrità territoriale dell’Azerbaijan, e che venga dismesso il Gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) – ufficialmente sciolto il 1 settembre 2025.

Congiuntamente all’accordo preliminare di pace, è stato approvato un piano per un nuovo collegamento stradale e ferroviario  il quale sarà denominato Trump Route for International Peace and Prosperity(TRIPP – Percorso Trump per la pace e la prosperità internazionale) – che unirà l’Azerbaigian al Nakhichevanexclave azera confinante con Armenia, Iran e Turchia. L’Armenia ha concesso di sviluppare questo corridoio di trasporto, lungo circa 43 chilometri, che attraversa il suo territorio a un consorzio disocietà private americane, il quale avrà la gestione dello stesso per 99 anni. Nello specifico, è previsto che l’Armenia manterrà il controllo sovrano del passaggio e all’Azerbaigian sarà concesso “libero accesso” da e verso il Nakhichevan. Il piano TRIPP sostituisce un accordo del 2020 tra Aliyev, Pashinyan e Putin che avrebbe concesso alla Russia il controllo della rotta.

In questo panorama si colloca anche l’Unione europea (UE), che ha stretto nel 2022 con l’Azerbajan un memorandum di intesa volto al potenziamento dell’approvvigionamento di gas nell’ambito della strategia di diversificazione energetica promossa dalla Commissione europea (CE) a seguito dell’aggressione russa in Ucraina e del piano di eliminazione delle importazioni di gas naturale dalla Russia entro il 2027. L’accordo siglato ad agosto 2025 apre dunque nuove opportunità per i corridoi energetici, ma la mancata ratifica finale crea incertezza per gli investimenti europei. Il coinvolgimento di nuovi attori, quali gli USA, pone dubbi sul futuro della presenza europea nella regione.

L’Azerbaijan è a tutti gli effetti definibile come un rentier state, per cui la sua economia ruota intorno al commercio di gas naturale, che il paese estrae principalmente dal giacimento di Shah Deniz. Come mostrato dal grafico è necessario sottolineare come il Paese non è un “gigante” del gas – può vantare infatti riserve modeste – la sua importanza è infatti posizionale, non quantitativa.

Dati tratti da: Global Energy Monitor

Le principali pipeline che interessano il Paese in questione sono tre:

  • Verso l’Europa il corridoio meridionale (o Southern Gas Corridor) che a sua volta comprende il South Caucasus Pipeline (SCP) – noto anche come Baku-Tbilisi-Erzurum –, il Trans-Anatolian Pipeline (TANAP) e il Trans Adriatic Pipeline (TAP).
  • Verso l’Iran il Hajiqabul–Astara–Abadan pipeline;
  • E la nuova connessione Iğdır–Nakhchivan, inaugurata nel 2025 in cooperazione tra Turchia e Azerbaijan (BOTAŞ e SOCAR) e volta a garantire una fornitura stabile al Nakhchivan senza passare attraverso altre rotte complesse.

A queste rotte operative si aggiungo progetti futuri che coinvolgono, a occidente, i paesi dell’UE e del Mar nero (White Stream), ma anche la Turchia, la Georgia, il Turkmenistan, il Kazakistan, l’Uzbekistan e l’Iran. Di particolare rilevanza fra i progetti in discussione è il Trans-Caspian Gas Pipeline (TCP / TCGP), collegamento sottomarino che dovrebbe collegare Turkmenistan e Azerbaijan attraversando il fondale del Mar Caspio, per trasportare il gas turkmeno verso l’Europa tramite il Southern Gas Corridor.

Per quest’ultimo progetto, già discusso senza successo negli anni ’90, si sono moltiplicate le consultazioni tra Baku, Ashgabat, Bruxelles e Ankara nel 2024–2025 al fine di definire possibili schemi di cooperazione o mini-TCP (collegamenti più piccoli). L’intensificarsi del dialogo mostra quindi l’enorme interesse europeo per il Caucaso, che permetterebbe all’UE di raggiungere i mercati dell’Asia centrale. L’iniziativa renderebbe quindi Azerbaijan un hub di fondamentale importanza per l’Unione europea.

È in atto un “grande gioco” in cui i partner tradizionali del Paese faticano a mantenere la loro posizione e nuovi attori, prima nemici, reclamano un ruolo. Infatti, l’Azerbaijan, e più in generale il Caucaso, non è interesse solo europeo ma vede coinvolti altri attori, primo fra tutti la Federazione Russa, la cui presenza egemonica sulla regione si è ridotta drasticamente negli ultimi anni, soprattutto a seguito del conflitto in Ucraina. L’obiettivo russo è quello di cercare di rimanere rilevanti nell’area (intenzione dimostrata in occasione delle elezioni georgiane la cui regolarità è stata fortemente messa in dubbio).

Similmente anche l’Iran (culturalmente legato all’Azerbaijan per ragioni “etniche” e religiose) assiste a un progressivo ridimensionamento della propria influenza nel Paese come dimostrato dall’attacco all’ambasciata azera a Teheran del 2023. Infatti, con l’apertura delle nuove rotte energetiche l’Iran rischierebbe di perdere una leva geopolitica assai rilevante. Inoltre vivono in Iran circa 20 milioni di azeri etnici (circa il 25% della popolazione) che potrebbero mobilitarsi, ispirati da una spinta di Baku di matrice nazionalista, contro l’Iran.

Al contrario Turchia e Israele stanno stringendo rapporti sempre più stretti con l’Azerbaijan proprio grazie allo strumento energetico e ad accordi militari. Baku mantiene stretti legami sia con Turchia che con Israele, posizionandosi come mediatore tra i due paesi.

Infine il nuovo attore entrato in gioco sono proprio gli Stati Uniti di Trump i quali, in contrasto con la Sezione 907 della legge del 1992 che limita l’assistenza USA all’Azerbaijan (retaggio del conflitto del Nagorno-Karabakh), vedono il Paese come un perno fondamentale per il controllo della zona. Il controllo del Caucaso significherebbe per gli Stati Uniti avere un alleato alle porte dell’asia centrale capace di contenere la Russia, le potenze medio-orientali nonché la Cina e la sua Belt and Road Initiative (BRI). Questo interesse spiega il coinvolgimento americano nel conflitto. Il TRIPP si inserisce nel più ampio Middle Corridor, che collega la Cina all’Europa attraverso Asia Centrale e Caucaso, bypassando Russia e Iran. Questo posiziona l’Azerbaijan come snodo strategico non solo per l’energia, ma anche per i flussi commerciali terrestri, in diretta competizione con la Belt and Road Initiative cinese.

Migliori console per videogiochi

Si osserva dunque come i corridoi energetici siano l’arma diplomatica migliore per l’Azerbaijan per ritagliarsi un ruolo nell’area. L’UE, che ha investito politicamente e economicamente nell’area non solo potrebbe diventare un attore marginale, ma rischia di essere esclusa dalla zona perdendo il ruolo di mediatore politico che negli anni si era ritagliata.

Nello specifico, appare dunque che l’Europa non ha alcune leverage negoziale, specialmente dal 2022. Ciò è dovuto a due ragioni principali:

  1. L’insicurezza energetica fa si che l’UE sia costretta ad accettare condizioni subottimali e non gli permette di avere alcun potere negoziale.
  2. Dover dar conto all’opinione pubblica obbliga l’UE ha dover seguire strade non ottimali e molto più complesse. A titolo esemplificativo si segnala il report del 2024 di “freedom house che valuta l’Azerbaijan come un paese autoritario e non libero, caratteristiche assai lontane dal messaggio politico che l’UE tenta di trasmettere ai suoi cittadini.

Importazioni trimestrali dell’UE per fonte (ultimo aggiornamento 2/10/2025)

Fonte: Bruegel based on ENTSOG, GIE and Bloomberg

Di conseguenza, il memorandum europeo del 2022 pone l’UE nella condizione di dover assolutamente fare i conti con la crescente centralità dell’Azerbaijan, porta d’ingresso verso l’Oriente – sia persiano che cinese (infatti i paesi a Est del Mar Caspio ruotano sotto l’orbita di Pechino); ma l’ideale dei diritti umani, che è alla base non solo dei principi ma anche della legittimazione politica e giuridica stessa dell’UE, impone cautela nel dialogare con l’Azerbaijan. Gli Stati Uniti, al contrario, non sono affatto soggetti a tali vincoli e, dalla loro posizione di “isola” rispetto all’Eurasia riescono a muoversi molto più agilmente.

In altri termini, se per gli USA la pace fra Azerbaijan e Armenia è un traguardo politico, per l’UE risulta essere una condizione economica e il costo della stabilità diventa il prezzo della sicurezza energetica europea.

La grande quantità di attori in gioco nel contesto caucasico e l’imprevidibilità relativa alla concreata pace fra Azerbaijan e Armenia aprono a diversi scenari per la futura azione dell’UE.

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Scenario USA: Il maggiore coinvolgimento Statunitense potrebbe essere funzionale al raggiungimento della Pace fra Armenia e Azerbaijan e la conseguente normalizzazione della regione. Inoltre, l’interesse geostrategico statunitense per il Caucaso e l’indebolimento degli attori principali dell’area (Russia e Iran) da una parte, dal punto di vista economico, garantirebbe all’UE un partenariato con un attore destinato a diventare sempre più centrale in ambito di sicurezza energetica; ma, dall’altra parte, implicherebbe anche una dipendenza politica e diplomatica nei confronti degli Stati Uniti.

Tale scenario quindi garantirebbe all’UE dei vantaggi in termini economici, ma richiederebbe anche uno sforzo di politica estera collettiva per poter ritagliare una posizione di rilievo nelle negoziazioni, aumentando il leverage negoziale e limitando la dipendenza da attori esterni.

Scenario russo: La Russia – sebbene ora sia impegnata nella guerra in Ucraina – attraverso interferenze e azioni ibride potrebbe riacquisire il controllo dell’area impedendo la pace tra i due paesi del Caucaso, probabilmente spingendo l’Armenia a non implementare le richiesti azere propedeutiche alla pace. In questo caso non solo la stabilizzazione della regione non avrebbe seguito, ma inoltre l’Europa si troverebbe senza un partner (e una rotta) importante in termini di approvvigionamento. Inoltre, qualora lo scenario si avverasse, gli investimenti finora stanziati dall’UE andrebbero perduti dal momento che i rapporti tra Europa e Russia risultano essere ridotti al minimo.

In questo scenario l’Europa si troverebbe in forte difficoltà, la strategia da adottare sarebbe dunque quella di cercare un nuovo hub di approvvigionamento che possa mettere in contatto l’Eurasia; tuttavia l’instabilità nell’area mediorientale e del Asia centrale renderebbero certamente molto ardua tale sfida.

Worst case scenario– orientalizzazione: In questo scenario si assisterebbe ad un “reindirizzamento” delle politiche estere dei paesi del Caucaso, nello specifico dell’Azerbaijan, verso i grandi mercati asiatici. Il consolidarsi della pace con l’Armenia — favorito da mediazioni extra-europee, principalmente statunitensi e turche — garantirebbe la stabilità necessaria per attrarre investimenti e infrastrutture orientate a Est, legate alla BRI e al corridoio transcaspico. Questo scenario renderebbe irrisoria ogni iniziativa europea nella zona e significherebbe l’effettiva perdita degli investimenti nonché degli approvvigionamenti. L’Europa, priva di un proprio spazio d’influenza autonoma, sarebbe quindi rilegata a diventare una “penisola dell’Eurasia”.

L’UE per poter reagire in questo scenario dovrebbe quindi potenziare la propria credibilità in termini di politica estera, implementare una diplomazia energetica proattiva e influire tramite un Soft power mirato, capace di combinare incentivi economici e sostegno alla modernizzazione politica dell’area.

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I ricercatori di “Ucraina Incognita” hanno scoperto una targa commemorativa armena unica del XVII secolo nella regione di Ternopil (Pragmatika 13.11.25)

Il team di ricercatori del progetto “Ucraina Incognita” ha fatto una vera scoperta: nella città di Yazlovets (oggi comunità di Buchach, regione di Ternopil), hanno rinvenuto una targa commemorativa unica del XVII secolo, dedicata alla costruzione di un pozzo armeno.

Questo pozzo si trova vicino all’ex tempio armeno del 1551 e, esteriormente, sembra una normale sorgente “tsyurkach” di Podolsk: un basso muro di pietra con un tubo di ghisa da cui sgorga acqua costantemente. Tuttavia, in realtà, come segnalato Il fondatore del progetto è Roman Malenkov: si tratta di una complessa struttura idraulica costruita dalla comunità armena di Yazlovets nel XVII secolo.

Foto: Roman Malenkov

La parte sotterranea del pozzo rimane nascosta all’occhio umano: l’acqua si raccoglie prima in una grande cisterna sotterranea, da dove proviene da una sorgente nascosta in una piccola struttura in mattoni che ricorda una cantina di villaggio.

“La porta è chiusa a chiave e pochi sanno cosa si nasconde all’interno. E pochi sono interessati: dopotutto, sembra una normale cantina”, osserva Roman Malenkov.

Foto: Roman Malenkov

Fu lì che i ricercatori riuscirono a trovare una lastra di pietra scolpita con iscrizioni in latino e armeno.

La parte superiore della tavoletta è decorata con l’immagine di un uccello (aquila o colomba) con le ali spiegate, sotto il quale si trova una croce decorata con una bizzarra decorazione floreale. Seguono due iscrizioni:

  • In latino:
    “L’armeno Hakob lo costruì nel 1611 per il bene della società.”
  • In armeno:
    “Questa croce e la sorgente costruita sono opera di Hakob e di suo fratello Stepan. Completate nel calendario armeno tra il 1000 e il 60. Abram [il maestro scalpellino] le eseguì con devozione.”

Sulla lastra è inoltre riportata la data 1787, che probabilmente indica l’epoca della ricostruzione della struttura.

Foto: Roman Malenkov

I ricercatori hanno osservato che le tavolette di fondazione si trovano solitamente su templi o castelli, ma una tavoletta simile su un pozzo è un fenomeno unico.

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Ad Aquileia la preghiera per i 1700 anni del Concilio di Nicea (Il Goriziano 13.11.25)

Che cos’è un Sinodo? In sé è una forma di razionalità dialogica e comunitaria inscritta nell’ontologia relazionale della Chiesa. Derivando dal greco sýn-hodos (“cammino insieme”), esso rappresenta non soltanto un evento deliberativo, ma una categoria epistemologica e ontologica che esprime la coappartenenza tra verità e comunione. Nel sinodo la conoscenza ecclesiale non è concepita come possesso individuale o proposizionale, bensì come processo dinamico di discernimento comunitario, in cui la verità emerge dall’interazione delle coscienze illuminate dallo Spirito.

È, dunque, un’epifania della Chiesa come communio viatorum, nella quale il logos divino si fa evento condiviso di ascolto e corresponsabilità. In questa prospettiva, il sinodo non è un semplice strumento di governo, ma un atto di autocomprensione ecclesiale, un momento in cui la Chiesa riflette su sé stessa nel suo essere comunità di senso, di parola e di verità.

Ed è così che, martedì 11 novembre, la millenaria Basilica di Santa Maria Assunta di Aquileia ha ospitato una preghiera ecumenica in occasione dei 1700 anni dal Concilio di Nicea, avvenuto nel 325 d.C. L’evento ha visto la partecipazione dei vescovi cattolici del Triveneto insieme a rappresentanti di altre Chiese cristiane, incluse quelle ortodossearmene riformate. Un incontro organizzato dalla Commissione per l’Ecumenismo e dialogo Interreligioso della Conferenza Episcopale del Triveneto.

Il Concilio di Nicea del 325 fu fondamentale perché rappresentò il primo tentativo della Chiesa di definire in modo universale la propria dottrina e la propria unità. Convocato dall’imperatore Costantino, segnò l’incontro tra autorità imperiale e autorità ecclesiale, inaugurando la dimensione “cattolica” della fede come comunione globale. Sul piano teologico, il concilio pose le basi della cristologia ortodossa, affermando la consustanzialità del Figlio con il Padre contro l’arianesimo, e stabilì che Cristo è «Dio vero da Dio vero». In termini filosofici e storici, Nicea costituì un momento decisivo di razionalizzazione del mistero cristiano, in cui la fede fu espressa con il linguaggio concettuale della filosofia greca, unificando così teologia, metafisica e politica nella definizione dell’identità della Chiesa universale.

La scelta di Aquileia non è stata casuale: la basilica, custode di una delle più antiche comunità cristiane dell’Italia nord-orientale, diventa simbolo della memoria di un’unità della Chiesa che, pur tra diversità e divisioni, è chiamata ancora oggi a camminare insieme.

Durante la celebrazione, iniziata davanti al Battistero con il rinnovo delle promesse battesimali, i partecipanti hanno accompagnato i vescovi in processione all’interno della basilica, ove sono susseguiti brani tratti dal Vangelo e dalla tradizione apostolica, momenti di riflessione e la professione comune del Credo niceno-costantinopolitano.

Nel suo intervento introduttivo, il direttore del servizio diocesano per l’ecumenismo, Marco Soranzo, ha ricordato che «sono iniziate due anni fa le preparazioni di questo momento di preghiera, affinché potesse coinvolgere quante più comunità cristiane del Triveneto». E ha aggiunto: «Si tratta di un’occasione preziosa per celebrare l’unità della Chiesa, pur nelle sue diversità. È un segno di speranza».

All’evento hanno preso parte fra gli altri il metropolita Polykarpos del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, il vescovo Siluan della Chiesa ortodossa romena, il vescovo Khajag Barsamian della Chiesa apostolica armenapadre Dusan Djukanovic della Chiesa ortodossa serba e il pastore valdese Davide Ollearo.

La preghiera ecumenica s’inserisce in un contesto più ampio di iniziative per commemorare il grande anniversario del Concilio di Nicea, che pose le basi del simbolo della fede recitato ancora oggi da milioni di cristiani nel mondo.

In un tempo segnato da tensioni e divisioni, questo incontro ha voluto essere un segno tangibile che le differenze tra le tradizioni cristiane non escludono la fraternità e il cammino comune. La scelta della basilica aquileiese – luogo antico, ricco di memoria e testimone della presenza cristiana fin dalle origini oltre che cornice di vari sinodi – ha reso il momento ancora più suggestivo e significativo nella serietà della contingenza.

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Armenia: amb. Ferranti con Alto Commissario per Affari Diaspora, Sinanyan (Giornale Diplomatico 13.11.25)

GD – Jerevan, 13 nov. 25 – L’ambasciatore d’Italia in Armenia, Alessandro Ferranti, ha incontrato l’Alto Commissario per gli Affari della Diaspora della Repubblica d’Armenia, Zareh Sinanyan.
L’Alto Commissario Sinanyan, nel dare il benvenuto all’ambasciatore italiano, ha espresso grande apprezzamento per le relazioni in continuo sviluppo tra Italia e Armenia, sottolineando il ruolo dei consolidati legami nazionali e culturali tra i due Popoli nello sviluppo delle relazioni bilaterali.
L’amb. Ferranti, che ha partecipato alla Conferenza Nazionale dei Giovani del 2025 organizzata dall’Ufficio, ha condiviso le sue impressioni positive e ha molto apprezzato il programma della conferenza, volto a promuovere la cooperazione tra le diverse comunità della diaspora armena.
Durante l’incontro, gli interlocutori hanno discusso una serie di questioni relative all’agenda della cooperazione tra Italia e Armenia.
L’Alto Commissario Sinanyan e l’Ambasciatore Ferranti hanno affrontato le peculiarità della cooperazione con la diaspora e le comunità all’estero e le relative politiche adottate dai due Paesi e hanno approfondito le opportunità di cooperazione tra Italia e Armenia in settori quali il turismo, l’istruzione e la cultura.
L’Alto Commissario ha inoltre voluto presentare all’Ambasciatore l’Istituto dei Commissari per gli Affari della Diaspora e le attività svolte dal Commissario nominato in Italia.
Le parti hanno infine espresso la volontà di proseguire gli sforzi congiunti a beneficio della promozione della cooperazione tra i due Paesi e del continuo sviluppo dei legami interculturali.

Armenia-Azerbaigian: Khandanyan, non si parla scambio territori, prima demarcazione confini (Agenzia Nova 11.11.25)

Erevan, 11 nov 11:08 – (Agenzia Nova) – Lo scambio di territori tra Armenia e Azerbaigian non può essere preso in considerazione in questa fase. Lo ha dichiarato il presidente della Commissione parlamentare per le relazioni estere, Sargis Khandanyan, commentando le ipotesi circolate in merito. Secondo quanto riferito da “Armenpress”, Khandanyan ha precisato che la questione dei territori dev’essere affrontata esclusivamente nel quadro del processo di demarcazione dei confini. “Non c’è alcun argomento da nascondere. I territori devono essere demarcati. Non si sa quando ciò accadrà, perché il processo deve ancora proseguire e ha una sua logica”, ha affermato Khandanyan, ricordando che la procedura prevede diverse fasi: la demarcazione, l’approvazione dei protocolli pertinenti, la firma e ratifica di un accordo sul confine di Stato, e infine l’attuazione dei lavori sul terreno. Qualora in futuro si decidesse uno scambio di territori, ha aggiunto il parlamentare, “secondo la legislazione armena, sarà necessario un referendum”. Rispondendo a una domanda sulle basi giuridiche avanzate dall’Azerbaigian, Khandanyan ha spiegato che queste dovranno essere presentate nel contesto delle commissioni tecniche congiunte, che si sono riunite l’ultima volta a settembre per discutere, tra l’altro, del progetto Trump Route for International Peace and Prosperity (Tripp). “La questione è interamente di competenza delle commissioni, non ha alcuna connotazione politica o geopolitica”, ha sottolineato Khandanyan. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, in precedenza, aveva ricordato che attualmente vi sono territori armeni sotto controllo azerbaigiano e territori azerbaigiani sotto controllo armeno, e che la soluzione di questa controversia passa attraverso il processo di demarcazione.
(Rum)

La parata di Baku che umilia gli armeni (L’antidiplomatico 10.11.25)

Si è svolta sabato scorso a Baku una parata militare congiunta di Azerbaidžan, Turchia e Pakistan, dedicata all’anniversario della fine delle ostilità in Nagorno-Karabakh e considerata una «grave ingiustizia» nei confronti degli armeni da parte del deputato della Duma russa Konstantin Zatulin, che la giudica non solo come l’ambizione della leadership azera di «consolidare il proprio posto nella storia e prolungare l’euforia della vittoria», ma soprattutto la dimostrazione che tutti i discorsi di pace dei leader azeri, armeni e turchi non sminuiscono il fatto che «la nuova fase delle relazioni si basa su una grave ingiustizia».

La questione dei rifugiati del Nagorno-Karabakh e dei leader di Artsakh gettati in galera, ha detto Zatulin, conferma da sola che non si tratta di una nuova pace o di una nuova fase nelle relazioni: «é in gioco la rinuncia agli interessi dell’Armenia, perseguita dal governo Pašinjan a vantaggio di un percorso ben lontano dal rispetto della memoria delle persone che hanno perso la vita e di coloro che oggi soffrono».

D’altra parte, Igor Korotcenko, giornalista russo direttore della rivista “Difesa Nazionale”, ha definito la conquista dell’Artsakh da parte dell’Azerbaidžan «una guerra patriottica, che ha portato alla completa liberazione del territorio occupato dal nemico e al ripristino dell’integrità territoriale».

L’operazione “Pugno di ferro”, condotta sotto la guida del Presidente Il’ham Aliev, è «entrata nella storia dell’arte militare moderna come la prima guerra ad alta tecnologia con l’uso su larga scala di droni e l’attivo coinvolgimento di forze speciali» ha detto Korotcenko su “Baku TV”, aggiungendo che si è trattato di un «trionfo strategico sull’Armenia, che occupava il territorio azero da quasi 30 anni e aveva ignorato tutti i mezzi politici e diplomatici per risolvere il conflitto». A detta di Korotcenko, sarebbe stato proprio il «nazionalismo armeno e le sue rivendicazioni sull’integrità territoriale della RSS Azera a essere la causa principale del conflitto. È stata proprio questa politica miope e criminale dei nazionalisti armeni a innescare il crollo dell’Unione Sovietica, accompagnato da una serie di guerre che hanno portato dolore e sofferenza a molti popoli».

Da notare che Erevan è partner di Mosca nella Unione economica euroasiatica e nel Trattato di difesa collettiva (ODKB) ed è dunque quantomeno strano che tali affermazioni vengano da un giornalista russo, mentre lo scorso agosto, come ricorda Elena Ostrjakova su PolitNavigator, per dichiarazioni simili a quelle di Korotcenko, il politologo Serghej Markov era stato etichettato come “agente straniero”. Tra l’altro, nemmeno le relazioni fattesi “più calorose” tra Mosca e Baku, menzionate da Korotcenko, hanno significativamente mutato la retorica di Aliev che, intervenendo alla parata di sabato scorso, non ha menzionato direttamente la Russia, che si era impegnata per una risoluzione pacifica, ma vi ha alluso in modo piuttosto negativo. I risultati di lunghi negoziati sono stati pari a zero, ha detto; la ragione principale è che «l’Armenia non aveva alcuna intenzione di liberare volontariamente un solo palmo di terra. E alcuni stati che sostenevano l’Armenia le hanno fornito supporto politico, economico e militare. Volevano strappare la nostra terra ancestrale del Karabakh all’Azerbaidžan e annetterla all’Armenia», ha detto il presidente azero, che ha invece definito il presidente turco Recep Erdogan, presente alla parata, suo «caro fratello, il cui sostegno politico e morale ha dato forza e ispirazione al popolo azero».

In sostanza, dice però l’editorialista Boris Rožin sul videoblog armeno “Alpha News”, la sconfitta nella guerra del Karabakh mette in discussione la sopravvivenza dell’Armenia entro i suoi attuali confini. L’Armenia sta perdendo non solo «territorio, ma anche le posizioni che deteneva in Transcaucasia prima di Pašinjan. Ha perso non solo il Karabakh, ma anche le regioni di confine. È stata di fatto «costretta ad aprire un corridoio transfrontaliero che rafforzerà Azerbaidžan e Turchia. L’Armenia ha poco da guadagnarci, perché l’obiettivo primario è il rafforzamento degli scambi commerciali tra la Turchia e i paesi che fanno parte dell’Unione degli Stati Turchi», dice Rožin, osservando come il termine “Azerbaidžan occidentale” continui a essere utilizzato da Baku in relazione ai territori armeni, il che rende l’Armenia «uno Stato debole con confini non garantiti… la debolezza della realtà attuale minaccia sia l’esistenza dell’Armenia entro i suoi attuali confini sia, di conseguenza, le prospettive del popolo armeno».

E, d’altronde, è proprio il regime di Nikol Pašinjan che cala un pugno repressivo sulle forze d’opposizione armene. Uccisioni e  arresti di sindaci e capi di comunità, come avvenuto a Parakar, Gyumri o Musis; arresti di rappresentanti dei movimenti d’opposizione, quale “Mer Dzev”. Le accuse, apertamente fabbricate, parlano di “critica della politica estera” armena e “dichiarazioni filo-russe”. Evidente, come in vista delle elezioni del 2026 e facendo da reggicoda ail tandem turco-azero, Pašinjan sia ora impegnato in una purga totale. Le elezioni a Gyumri e Parakar del marzo scorso avevano dimostrato come il partito al governo “Accordo civile” non sia più in grado di mantenere il potere a livello locale con metodi legali: da qui, arresti e omicidi, che fanno da battistrada al prossimo ritiro della 102ª base militare russa a Gyumri, finora unica garanzia, per quanto labile, di protezione per gli armeni da una possibile aggressione azera sostenuta dalla Turchia.

Una repressione interna che fa il paio, a detta dell’ex ambasciatore con incarichi speciali e leader del partito “Armenia Illuminata”, Edmon Marukjan, con gli sforzi di Erevan per insabbiare i crimini dell’Azerbaidžan nel Nagorno-Karabakh, cui Baku e Ankara rispondono con il comune auspicio a che alle elezioni del 2026 si conservi l’attuale leadership armena. Su questa linea, i parlamentari filogovernativi presenti alla sessione di “Euronest” a Erevan si erano espressi contro una risoluzione sui diritti del popolo del Karabakh e, secondo Artur Khachatrjan, parlamentare della fazione di opposizione “Armenia”, i membri del partito governativo “Accordo Civile” hanno invitato gli eurodeputati a non votare a favore della risoluzione in difesa del popolo del Karabakh.

Il sostegno armeno a Baku, a detta di Marukjan, consiste nel mettere a tacere i problemi, ignorare le massicce violazioni dei diritti umani da parte dell’Azerbaidžan nel Nagorno-Karabakh e affermare che “la questione dell’Artsakh è chiusa”. L’ex diplomatico si dice sicuro che l’attuale leadership armena non solleverà più le questioni riguardanti gli armeni del Karabakh, rendendosi con ciò complice dei crimini dell’Azerbaidžan.

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Per gli ostaggi armeni dell’Artsakh neanche un po’ della giustizia di Sharm (Tempi 10.11.25)

La “tregua” a Gaza apre squarci di speranza anche per i miei fratelli arrestati nel Nagorno-Karabakh e tenuti in condizioni infami (torture?) nelle carceri azere? Purtroppo no

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Firma del Memorandum d’Intesa tra la Procura Generale Militare presso la Corte di Cassazione e la Procura Generale della Repubblica d’Armenia (Ministero Difesa 10.11.25)

Il Procuratore Generale Militare presso la Corte di CassazioneDott. Maurizio Block, ha ricevuto a Palazzo Cesi una delegazione di magistrati armeni guidati dal Procuratore Generale Anna Vardapetyan.

Nel quadro della cooperazione giudiziaria internazionale iniziata nel 2023 con la firma di una dichiarazione d’intenti con la Procura Generale presso la Corte di Cassazione, è stato firmato un Memorandum d’Intesa tra le magistrature militari dei due Paesi, in base al quale viene sottolineata l’unità di intenti nella persecuzione di obiettivi comuni quali l’indipendenza della magistratura, la lotta alla criminalità e il miglioramento dei rispettivi ordinamenti giuridici.

È stata, quindi, condivisa la necessità e l’utilità di una concreta forma di cooperazione tecnico-giuridica, per favorire la realizzazione di future progettualità comuni, definendo in particolare le modalità attuative in vari settori relativi alla formazione dei magistrati, all’approfondimento di tematiche di comune interesse e al confronto delle esperienze maturate nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, anche mediante scambi di informazioni e visite dirette che possano rafforzare la conoscenza dei rispettivi sistemi giuridici.

La delegazione armena si è recata in visita anche alla Corte Militare d’Appello, al Consiglio della Magistratura Militare e alla Corte di Cassazione.

Hanno presenziato agli eventi l’Ambasciatore della Repubblica d’Armenia, Vladimir Karapetyan, il Vicepresidente del Consiglio della Magistratura Militare, Pietro Laffranco, e il Console d’Armenia, Gagik Sarucanian.

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L’Armenia calabrese (TGR 10.11.25)

Esattamente un secolo fa fuggirono in migliaia dal genocidio in Armenia e trovarono rifugio in Calabria. Qui portarono anche l’arte dei tappeti.

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