L’Armenia pronta a cedere i villaggi contesi per avere la pace, e non una guerra che non potrebbe sostenere (Scenari Economici 22.03.24)

Il Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan ha detto che il suo Paese potrebbe affrontare una guerra con il vicino Azerbaigian se non scenderà a compromessi e non restituirà quattro villaggi azeri che detiene dall’inizio degli anni Novanta.

Nel video pubblicato martedì, Pashinyan parlava durante un incontro con i residenti della regione Tavush, nel nord dell’Armenia, vicino a una serie di villaggi azeri abbandonati che l’Armenia controlla dall’inizio degli anni ’90. Cercava di convincere gli abitanti dell’area della necessità di restituirli per impedire una guerra che, in questo momento, senza l’appoggio militare diretto russo, l’Armenia avrebbe già perso.

Ecco dove si trova la regione di Tavush:

Armenia, regione di Tavush

I quattro villaggi, disabitati da oltre 30 anni, hanno un valore strategico per l’Armenia, poiché si trovano a cavallo della strada principale tra Yerevan e il confine georgiano.

L’Azerbaigian ha affermato che la restituzione delle sue terre, che comprendono anche diverse piccole enclavi interamente circondate dal territorio armeno, è una condizione necessaria per un accordo di pace che ponga fine a tre decenni di conflitto sulla regione del Nagorno-Karabakh, che le forze dell’Azerbaigian hanno ripreso lo scorso settembre.

Pashinyan ha detto alla gente del posto lunedì, nella clip video diffusa dal suo governo, che il mancato compromesso sui villaggi potrebbe portare alla guerra con l’Azerbaigian “entro la fine della settimana”, ha riferito l’agenzia di stampa statale russa TASS.

“Ora possiamo andarcene da qui, andiamo a dire [all’Azerbaigian] che no, non faremo nulla. Questo significa che alla fine della settimana inizierà una guerra”, ha dichiarato l’autore citato dalla TASS.

L’Armenia ha subito una grave sconfitta a settembre, quando le forze dell’Azerbaigian hanno ripreso il Nagorno-Karabakh con un’offensiva lampo, spingendo quasi tutti i circa 100.000 armeni della regione a fuggire in Armenia.

Sebbene il Nagorno-Karabakh sia riconosciuto a livello internazionale come territorio azero, l’etnia armena della regione gode di un’indipendenza de facto dall’Azerbaigian dalla guerra dei primi anni Novanta.

Trattato di pace

L’Azerbaigian e l’Armenia hanno dichiarato di voler firmare un trattato di pace formale, ma i colloqui si sono impantanati in questioni che includono la demarcazione del loro confine condiviso di 1.000 km, che rimane chiuso e pesantemente militarizzato.

Nelle ultime settimane Pashinyan ha segnalato di essere disposto a restituire i terreni azeri controllati dall’Armenia e ha suggerito di deviare la rete stradale armena per evitare il territorio azero, pur di concludere una pace vera fra i due paesi.  Il problema però rischia di essere la pubblica opinione armena che ptrebbe intendere la cessione dei territori come una resa all’Azerbaigian

L’Azerbaigian, a maggioranza musulmana, continua a controllare aree riconosciute a livello internazionale come parte dell’Armenia a maggioranza cristiana.

Il Presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, ha detto domenica che il suo Paese è “più vicino che mai” alla pace con l’ArmeIl nia, nelle osservazioni fatte dopo aver avuto colloqui con il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, a Baku.

Stoltenberg ha avuto colloqui martedì con Pashinyan in Armenia, che è nominalmente un alleato della Russia, anche se le sue relazioni con Mosca si sono deteriorate negli ultimi mesi a causa di ciò che l’Armenia afferma essere la mancata protezione della Russia dall’Azerbaigian.

Di conseguenza, l’Armenia ha orientato la sua politica estera verso l’Occidente,  e ha congelato il trattato militare CSI con la Russia .

Parlando ad una conferenza stampa a Yerevan con Pashinyan, Stoltenberg ha accolto con favore quella che ha definito la solidarietà dell’Armenia con l’Ucraina.

Commentando la visita di Stoltenberg, il Cremlino ha detto che è improbabile che gli sforzi del blocco per espandersi in quel Paese contribuiscano a portare stabilità.

In una dichiarazione pubblicata martedì sull’applicazione di messaggistica Telegram, la portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha suggerito che i legami sempre più stretti dell’Armenia con l’Occidente sono il motivo per cui deve fare concessioni all’Azerbaigian. In realtà proprio il mancato appoggio russo è stato alla base della perdita del Nagorno Karabakh.

Vai al sito

Armenia premiata a Berlino dalla Parwa come “migliore destinazione storica” (Travelquotidiano 22.03.24)

L’Armenia è stata premiata durante la recente Itb di Berlino in qualità di migliore destinazione nella categoria “Storia” dalla Pacific Area Travel Writers Association (Patwa).

«Questo riconoscimento – ha commentato Susanna Hakobyan, vicedirettrice del Tourism Committee of Armenia – evidenzia il patrimonio culturale e il significato storico dell’Armenia. Estendiamo la nostra gratitudine a Patwa per questo premio e restiamo impegnati a condividere la nostra ricca storia con viaggiatori provenienti da tutto il mondo».

L’Armenia ha una storia di quasi tre millenni che si è preservata fino ad oggi attraverso un ricco patrimonio storico e culturale, che ha forgiato l’identità dei suoi abitanti. Primo stato al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di stato nel 301, l’Armenia conserva siti archeologici, monumenti e monasteri medievali che testimoniano il suo importante passato. Alcuni dei principali luoghi storici sono parte dei tre siti patrimonio Unesco: i due monasteri di Haghpat e Sanahin, il monastero di Geghard e l’Alta Valle dell’Azat, e la cattedrale e le chiese di Etchmiatzin insieme al sito archeologico di Zvartnots.

I premi di viaggio internazionali Patwa sono stati istituiti in modo indipendente e sono giunti alla loro 24° edizione. I premi riconoscono governi, organizzazioni, brand, ministri e individui che si sono distinti nella promozione del turismo. Il segretario generale dell’associazione, Yatan Ahluwalia, ha affermato: «Quest’anno l’attenzione della giuria si è concentrata sulla regione del Mediterraneo e del Sud America, oltre all’India. La sostenibilità è stata un fattore chiave per la nostra selezione. Oltre a riconoscere organizzazioni e individui, la nostra eccellenza nella categoria governance includeva premi per otto ministri del turismo di tutto il mondo che hanno avuto un impatto con le loro politiche e visione».

 

Armenia, un passo verso l’UE (Osservatorio Balcani e Caucaso 21.03.24)

Una risoluzione del Parlamento europeo sottolinea l’avvicinamento dell’Armenia all’UE. L’Unione europea pensa che Yerevan potrebbe presentare domanda di adesione, ma rimangono molti interrogativi

21/03/2024 –  Onnik James Krikorian

Venerdì scorso, il portavoce dell’Unione europea Peter Stano ha annunciato che l’Armenia potrebbe presentare domanda di adesione. La dichiarazione segue una risoluzione non vincolante del Parlamento europeo del 13 marzo, che aveva invitato gli organi superiori a prendere in considerazione un’eventuale richiesta di adesione di Yerevan.

“Se l’Armenia fosse interessata a richiedere lo status di paese candidato e a continuare il suo percorso di consolidamento della democrazia tramite riforme durature, ciò potrebbe gettare le basi per una fase di trasformazione nelle relazioni UE-Armenia”, si legge nella risoluzione.

Il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan si è mostrato più cauto: “Quando l’Armenia avrà intenzione di chiedere l’adesione all’UE, sarete i primi a saperlo”, ha detto. Ciononostante, e sebbene la maggior parte degli analisti armeni respinga questa possibilità, la risoluzione ha evidenziato i crescenti rapporti tra Armenia e UE a fronte del peggioramento delle relazioni tra Yerevan e Mosca, il tradizionale partner politico, economico e di sicurezza dell’Armenia.

Tuttavia, la prospettiva di una richiesta di adesione all’UE rimane discutibile. La settimana scorsa il primo ministro Nikol Pashinyan ha incontrato i parlamentari del suo partito del Contratto civile per discutere la questione, ma alcuni nutrirebbero serie riserve.

Yerevan, si sa, è infastidita dalla posizione di Mosca nel conflitto armeno-azerbaijano, ma la diversificazione della sua politica di sicurezza è necessaria dato che la Russia, impegnata in Ucraina, è difficilmente in grado di fornire sicurezza o armi. L’economia, tuttavia, è un’altra questione. La Russia non solo possiede e controlla settori chiave in Armenia, ma è anche il principale mercato per le esportazioni.

Molte famiglie in Armenia fanno affidamento sulla Russia per le rimesse. In ottobre, in un discorso al Parlamento europeo, Pashinyan si era limitato a dichiarare che l’Armenia voleva avvicinarsi all’UE solo “nella misura in cui l’UE lo ritiene possibile”. La sua attuale adesione all’Unione economica eurasiatica (EAEU) guidata dalla Russia sarebbe un grosso ostacolo da superare.

Nel 2013, ad esempio, l’allora presidente Serzh Sargsyan scelse di non firmare un accordo di associazione con l’UE (AA UE) e un accordo di libero scambio globale e approfondito (DCFTA) a favore di uno con l’EAEU. Da allora, anche con Pashinyan, l’importanza della EAEU per l’Armenia non è cambiata. Pochi credono che l’UE potrebbe sostituirla nel prossimo futuro.

L’Armenia fa affidamento anche sul gas russo, fortemente sovvenzionato e venduto a prezzi ben inferiori a quelli di mercato, cosa che potrebbe rivelarsi impossibile da sostituire o compensare. Inoltre, il nuovo ministro dell’Economia armeno, Gevorg Papoyan, ha citato solo l’Egitto come esempio di potenziali nuovi mercati, e comunque senza dati a sostegno di tali affermazioni.

Secondo Eurasianet, lo scorso anno circa il 40% delle esportazioni armene è andato in Russia, che è anche il principale riferimento per le importazioni di grano e petrolio. Nel 2022, i trasferimenti di denaro dei lavoratori migranti dalla Russia all’Armenia hanno raggiunto i 3,6 miliardi di dollari.

Per ora, non è nemmeno chiaro se ci si aspetta che l’Armenia metta fine alle sue relazioni con l’EAEU prima, durante o dopo eventuali colloqui sullo status di candidato. C’è anche il fattore tempistiche. La vicina Georgia ha firmato l’accordo di associazione con l’UE nel 2014, ma solo alla fine dello scorso anno ha finalmente ricevuto l’ambito status di paese candidato, e anche con probabile riluttanza.

Tuttavia, Pashinyan ha accolto con favore la risoluzione non vincolante e annunciato l’intenzione di fare dell’adesione all’UE un “oggetto di discussione pubblica in Armenia”, cosa che sarà cruciale prima che si possa prendere qualsiasi decisione ora o in futuro.

L’ambasciatore dell’Armenia presso l’UE, Tigran Balayan, si è espresso in termini più chiari durante una conferenza a Bruxelles il 16 marzo. “La politica estera armena non è né una svolta verso l’Occidente, né una svolta verso l’Oriente”, ha affermato. “La politica estera armena è una svolta verso gli interessi statali degli armeni”.

Vai al sito

48 ore in Armenia, la Pasqua in una culla del Cristianesimo (Lastampa 21.03.24)

L’Armenia è una destinazione ideale per Pasqua perché in quest’isola di cultura europea nel Caucaso nel 303 fu fondata la prima Chiesa nazionale cristiana. L’Apostolica Armena, detta anche Gregoriana in onore del suo fondatore San Gregorio Illuminatore (240-332), una chiesa autonoma con riti cantati, croci scolpite nella pietra, occasionali sacrifici di animali sugli altari e simboli zoroastrici (antica fede persiana) nei templi. Sacerdoti armeni sono tra i custodi del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

Bistrattata dalla storia, oggi è un piccolo Paese: grande come Piemonte e Liguria con meno di 3 milioni di abitanti. L’Armenia fu però una culla della civiltà occidentale. Nell’antichità andava dal Caspio al Mediterraneo su un territorio undici volte maggiore dell’attuale che comprendeva Caucaso, Anatolia orientale, Libano e Siria settentrionali. Il suo principale interlocutore era la Grecia classica.

Gli armeni condividono molti caratteri con i greci: dalla cucina all’avversione per i turchi, dal calore umano al cristianesimo in una regione dominata dall’islam. Atene fu la prima capitale a riconoscere l’Armenia indipendente nel 1991 (era una repubblica dell’Unione Sovietica). Povero ma dignitoso con forte carattere nazionale – ha lingua e alfabeto propri – il Paese è rinato dalla crisi seguita alla fine dell’Unione Sovietica, anche grazie alla diaspora armena che investì a Yerevan e creò un fondo per il recupero del patrimonio artistico. Tra Europa e Stati Uniti sono 7 milioni i cittadini di origine armena.

 

Yerevan, piazza della Repubblica (foto Marco Moretti)

 

PRIMO GIORNO
Il fulcro di Yerevan è piazza della Repubblica, ellittica e circondata da monumentali edifici in tufo e basalto rosa in cui si mescolano gli stili architettonici armeno e Soviet Empire, il neoclassico staliniano. Qui c’è la Galleria Nazionale di Arte con molte tele che raffigurano Venezia. Nasi importanti su volti familiari, gli armeni erano mercanti sulla Via della Seta, trafficavano tra Venezia e India, tra Baltico e Africa orientale. Fabbricano ancora preziosi tappeti: li si acquista nei negozi di Abovyan, la via dello shopping. Il volto più orientale di Yerevan è lo Shuka, il mercato alimentare con banchi di miele, spezie e frutta secca: noci, albicocche, fichi, pere e pesche sono interpreti di colorate creazioni gastronomiche. Il fulcro dell’identità è il Museo del Genocidio, eretto nel 1967 per non dimenticare il primo olocausto del Novecento. L’Armenia venne annessa dagli Ottomani nel 1502. Ai desideri d’indipendenza, seguiti alla crisi dell’Impero, i nazionalisti turchi risposero nel 1909 con massacri in Cilicia. All’entrata in guerra della Turchia, nel 1915, un milione di uomini furono uccisi e mezzo milione di donne e bambini deportati a morire di stenti nel deserto siriano.

 

Yerevan, mercato Shuka (foto Marco Moretti)

 

Il suo cuore antico è invece al Matenadaran, il Museo dei Manoscritti di Yerevan: custode di 17.500 opere autografe tra cui i primi Vangeli illustrati del V secolo. A 22 km dalla capitale si trova

Echmiadzin, il centro spirituale del Paese con frotte di seminaristi che sfilano davanti alla più antica cattedrale del mondo. Qui San Gregorio fondò la prima chiesa cristiana, motivo per il quale in Armenia cristianesimo fa rima con identità. A 20 km da Yerevan, a Garni, si trova invece un intatto tempio ellenistico del I secolo d.C.

 

Tempio di Garni (foto Marco Moretti)

 

CENA, VINI E LIQUORI
Il brandy Ararat, distillato dal 1887, era il liquore più pregiato nell’Unione Sovietica. Stalin lo offrì a Truman e Churchill al meeting di Yalta che segnò la fine della Seconda Guerra Mondiale. Da allora fu sempre presente nel bar del premier inglese. La distilleria Ararat di Yerevan (2 Isakov Poghots) è aperta al pubblico per la degustazione: si sorseggiano brandy a 42 gradi di 3 anni, 10 anni e 20 anni. Si produce anche vino rosso, ma di qualità inferiore ai nettari della vicina Georgia. Ben più infuocata la vodka (70 gradi), erede del lungo rapporto con i russi. A tavola, brandy e vodka innaffiano mezzé (stuzzichini) in stile mediorientale: foglie di vite farcite con riso, insalate, melanzane alla griglia, peperoni, olive, salse allo yogurt, sfoglie al formaggio. Segue una zuppa di verdura: la più comune è la vellutata di zucca. E carne – ovina, suina, bovina e pollame – allo spiedo con erbe aromatiche. I pasti terminano con frutta fresca, soprattutto i melograni.

Tra i migliori ristoranti di Yerevan. Ayas-Kilikia (Hanrapetutyan 78): cucina tradizionale innaffiata da vini locali e accompagnata da band di musica tipica. The Club in Tumanyan 40: cucina armena rivisitata in chiave moderna.

 

Armenia, mezzè (foto Marco Moretti)

 

SECONDO GIORNO
La meraviglia dell’Armenia sono il centinaio di chiese romaniche in tufo sparse per il Paese. Viaggiando tra rilievi, laghi e altopiani del Caucaso, in un paesaggio corrugato, tra montagne brulle, su strade tortuose che attraversano valli e canyon si scoprono magnifici monasteri in pietra. Tatev dell’XI secolo affacciato sulla Gola del Vorotan: spettacolare la strada che lo raggiunge al confine con l’Iran. Geghard, il ‘monastero della lancia’ in riferimento all’arma che ferì Gesù sulla croce, con la cappella principale costruita nel 1215 nel luogo dove San Gregorio fondò nel IV secolo il monastero in una grotta con una sorgente sacra. Noravank del XIII secolo con la chiesa a due piani di Santa Astvatsatsin (Madonna in armeno), importante centro religioso fino al Cinquecento: si sale al secondo piano su una stretta scala di pietre sporgenti dalla facciata. Haghartsin, significa ‘danza delle aquile’, costruito nel XII secolo con due chiese: quella di San Gregorio ha meridiane sui muri e nel refettorio un incrocio di travi arcuate in pietra.

 

Monastero di Noravank (foto Marco Moretti)

 

E soprattutto Khor Virap, legato alle vicende di San Gregorio: è ciò che resta di Artashad, capitale armena fino al II secolo d.C. Il campanile di Khor Virap si staglia contro i 5165 metri del monte Ararat: simbolo dell’Armenia ma in Turchia. Per la Bibbia sulla sua vetta s’incagliò l’arca di Noè, mentre ai suoi piedi sorgeva il Giardino dell’Eden. I vigneti sul versante armeno richiamano le sacre scritture e Noè che qui piantò le prime viti dopo il Diluvio universale.

Vai al sito

Armenia, un altro passo verso la NATO (Casadelsole 21.03.24)

di Gionata Chatillard

L’offensiva lampo dello scorso settembre, grazie alla quale l’Azerbaigian ha recuperato il controllo del Nagorno-Karabakh spingendo oltre 100.000 persone ad abbandonare le proprie case per rifugiarsi in Armenia, non è bastata a mettere un punto finale all’annoso conflitto fra questi due paesi. Per arrivare alla firma di un accordo di pace duraturo, Baku esige infatti a Erevan la restituzione di altri quattro villaggi. Una richiesta presa molto sul serio dal Governo armeno, che si è detto disposto ad accontentare le pretese territoriali azere per evitare di indispettire ulteriormente il paese vicino, attualmente in netta posizione di forza a livello militare. Secondo il primo ministro Nikol Pashinyan, se i villaggi non dovessero essere restituiti nelle prossime ore, Baku potrebbe scatenare una nuova offensiva prima della fine di questa settimana.

Il Governo armeno, in sostanza, dice quindi di non avere scelta sul da farsi: o cede i territori, o verrà di nuovo attaccato dal potente esercito azero, fortemente sostenuto dalla Turchia. Ma la responsabilità di quanto sta succedendo, per Erevan, è anche di Mosca, storico alleato dell’Armenia accusato più volte dalle autorità di questo paese di non aver saputo o voluto difenderlo dall’offensiva lanciata da Baku la scorsa estate.

Per il Cremlino, ovviamente, le cose stanno in modo diverso, e quello che sta succedendo risponde semplicemente a manovre occidentali volte a destabilizzare il Caucaso per portare un’ennesima guerra alle porte della Russia. Ipotesi, questa, che sembrerebbe confermata dalla presenza, ieri, a Erevan, di Jens Stoltenberg. Il segretario generale della NATO, alla sua prima visita ufficiale nell’ex repubblica sovietica, non ha perso l’occasione di ringraziare personalmente il Governo armeno per la solidarietà mostrata nei confronti dell’Ucraina. Una solidarietà che sta portando Erevan sempre più nell’orbita occidentale. Prova ne sia la decisione appena annunciata dal Governo Pashinyan di non accettare più il sistema di pagamento russo MIR a partire dalla fine di questo mese.

La scelta di campo, insomma, sembra ormai già essere stata presa, nonostante il precedente ucraino non inviti a pensare a esiti particolarmente felici per il futuro dell’Armenia. Per questa ragione, Mosca ha ripetutamente avvisato Erevan che l’espansionismo della NATO non è in genere foriero di stabilità. Anzi, se  l’Armenia si vede adesso costretta a cedere territori all’Azerbaigian, è secondo la Russia proprio a causa dei legami sempre più profondi che uniscono il Governo di Pashinyan all’Occidente.

Vai al sito

Binario 7, il Sorrentino di Giuseppe Scoditti e la musica armena in programma (MonzaNews 21.03.24)

I prossimi appuntamenti il 22 e il 23 marzo al teatro monzese

L’altro Binario venerdì 22 marzo arriva in sala Picasso Giuseppe Scoditti: Paolo Sorrentino vieni devo dirti una cosa, produzione Teatri di Bari, è il tentativo disperato di un uomo disposto a tutto pur di incontrare il suo mito.

Sabato 23 ci si sposta invece in sala Chaplin per un nuovo appuntamento della stagione musicale Terra, dedicato alla (ri)scoperta della musica armena.

…….

Musiche di Bagdarassian, Komitas e Khachaturian 
per il prossimo appuntamento di Terra
Il ricco retaggio culturale della musica popolare armena ha generato un influsso importante sulla tradizione classica che si è andata creando nel ventesimo secolo, grazie all’impulso instancabile di Padre Komitas, il “padre” della musica classica armena, che ha avuto straordinari eredi come Bagdasarian e Khachaturian. In arrivo per Terra la scoperta (meglio: la riscoperta) di una cultura affascinante capace di offrire emozioni profonde.

Il programma

Komitas, È primavera, nel mio cuore nevica

Babagianian, Melodia

Babagianian, Improvviso

Babagianian, Elegia
Bagdassarian, Preludio
Hovhannissian, Preludio

Harutiunian, Quattro stati d’animo 

Khaciaturian, Ninna nanna
Khaciaturian, Toccata

 

**

 

Komitas, Krunk

Eduard Bagdassarian, Nocturne

Khaciaturian, Danza delle ragazze (dal balletto Gayané)

Khaciaturian, Valse (dal balletto Gayané)

Khaciaturian, Adagio (dal balletto Spartacus)

Khaciaturian, Valse (dal balletto Masquerade)

Scopri gli ultimi appuntamenti di Terra 2023/24

TEATRO BINARIO 7
LA MUSICA ARMENAcon
Ani Martirosyan, pianoforte
Nobuko Murakoshi, violino

data concerto
sabato 23 marzo 2024 alle 21

sala Chaplin

biglietti disponibili online
intero 15 euro | ridotto 12 euro |under 18 6 euro

biglietti disponibili con prenotazione
allievi Binario 7 10 euro

Per info e prenotazioni:

Teatro Binario 7

via Filippo Turati 8, Monza

039 2027002 | biglietteria@binario7.org

 

Vai al sito

48 ore in Armenia, la Pasqua in una culla del Cristianesimo (La Stampa 21.03.24)

L’Armenia è una destinazione ideale per Pasqua perché in quest’isola di cultura europea nel Caucaso nel 303 fu fondata la prima Chiesa nazionale cristiana. L’Apostolica Armena, detta anche Gregoriana in onore del suo fondatore San Gregorio Illuminatore (240-332), una chiesa autonoma con riti cantati, croci scolpite nella pietra, occasionali sacrifici di animali sugli altari e simboli zoroastrici (antica fede persiana) nei templi. Sacerdoti armeni sono tra i custodi del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

PUBBLICITÀ

Bistrattata dalla storia, oggi è un piccolo Paese: grande come Piemonte e Liguria con meno di 3 milioni di abitanti. L’Armenia fu però una culla della civiltà occidentale. Nell’antichità andava dal Caspio al Mediterraneo su un territorio undici volte maggiore dell’attuale che comprendeva Caucaso, Anatolia orientale, Libano e Siria settentrionali. Il suo principale interlocutore era la Grecia classica.

Gli armeni condividono molti caratteri con i greci: dalla cucina all’avversione per i turchi, dal calore umano al cristianesimo in una regione dominata dall’islam. Atene fu la prima capitale a riconoscere l’Armenia indipendente nel 1991 (era una repubblica dell’Unione Sovietica). Povero ma dignitoso con forte carattere nazionale – ha lingua e alfabeto propri – il Paese è rinato dalla crisi seguita alla fine dell’Unione Sovietica, anche grazie alla diaspora armena che investì a Yerevan e creò un fondo per il recupero del patrimonio artistico. Tra Europa e Stati Uniti sono 7 milioni i cittadini di origine armena.

PRIMO GIORNO
Il fulcro di Yerevan è piazza della Repubblica, ellittica e circondata da monumentali edifici in tufo e basalto rosa in cui si mescolano gli stili architettonici armeno e Soviet Empire, il neoclassico staliniano. Qui c’è la Galleria Nazionale di Arte con molte tele che raffigurano Venezia. Nasi importanti su volti familiari, gli armeni erano mercanti sulla Via della Seta, trafficavano tra Venezia e India, tra Baltico e Africa orientale. Fabbricano ancora preziosi tappeti: li si acquista nei negozi di Abovyan, la via dello shopping. Il volto più orientale di Yerevan è lo Shuka, il mercato alimentare con banchi di miele, spezie e frutta secca: noci, albicocche, fichi, pere e pesche sono interpreti di colorate creazioni gastronomiche. Il fulcro dell’identità è il Museo del Genocidio, eretto nel 1967 per non dimenticare il primo olocausto del Novecento. L’Armenia venne annessa dagli Ottomani nel 1502. Ai desideri d’indipendenza, seguiti alla crisi dell’Impero, i nazionalisti turchi risposero nel 1909 con massacri in Cilicia. All’entrata in guerra della Turchia, nel 1915, un milione di uomini furono uccisi e mezzo milione di donne e bambini deportati a morire di stenti nel deserto siriano.

Il suo cuore antico è invece al Matenadaran, il Museo dei Manoscritti di Yerevan: custode di 17.500 opere autografe tra cui i primi Vangeli illustrati del V secolo. A 22 km dalla capitale si trova

Echmiadzin, il centro spirituale del Paese con frotte di seminaristi che sfilano davanti alla più antica cattedrale del mondo. Qui San Gregorio fondò la prima chiesa cristiana, motivo per il quale in Armenia cristianesimo fa rima con identità. A 20 km da Yerevan, a Garni, si trova invece un intatto tempio ellenistico del I secolo d.C.

CENA, VINI E LIQUORI
Il brandy Ararat, distillato dal 1887, era il liquore più pregiato nell’Unione Sovietica. Stalin lo offrì a Truman e Churchill al meeting di Yalta che segnò la fine della Seconda Guerra Mondiale. Da allora fu sempre presente nel bar del premier inglese. La distilleria Ararat di Yerevan (2 Isakov Poghots) è aperta al pubblico per la degustazione: si sorseggiano brandy a 42 gradi di 3 anni, 10 anni e 20 anni. Si produce anche vino rosso, ma di qualità inferiore ai nettari della vicina Georgia. Ben più infuocata la vodka (70 gradi), erede del lungo rapporto con i russi. A tavola, brandy e vodka innaffiano mezzé (stuzzichini) in stile mediorientale: foglie di vite farcite con riso, insalate, melanzane alla griglia, peperoni, olive, salse allo yogurt, sfoglie al formaggio. Segue una zuppa di verdura: la più comune è la vellutata di zucca. E carne – ovina, suina, bovina e pollame – allo spiedo con erbe aromatiche. I pasti terminano con frutta fresca, soprattutto i melograni.

Tra i migliori ristoranti di Yerevan. Ayas-Kilikia (Hanrapetutyan 78): cucina tradizionale innaffiata da vini locali e accompagnata da band di musica tipica. The Club in Tumanyan 40: cucina armena rivisitata in chiave moderna.

SECONDO GIORNO
La meraviglia dell’Armenia sono il centinaio di chiese romaniche in tufo sparse per il Paese. Viaggiando tra rilievi, laghi e altopiani del Caucaso, in un paesaggio corrugato, tra montagne brulle, su strade tortuose che attraversano valli e canyon si scoprono magnifici monasteri in pietra. Tatev dell’XI secolo affacciato sulla Gola del Vorotan: spettacolare la strada che lo raggiunge al confine con l’Iran. Geghard, il ‘monastero della lancia’ in riferimento all’arma che ferì Gesù sulla croce, con la cappella principale costruita nel 1215 nel luogo dove San Gregorio fondò nel IV secolo il monastero in una grotta con una sorgente sacra. Noravank del XIII secolo con la chiesa a due piani di Santa Astvatsatsin (Madonna in armeno), importante centro religioso fino al Cinquecento: si sale al secondo piano su una stretta scala di pietre sporgenti dalla facciata. Haghartsin, significa ‘danza delle aquile’, costruito nel XII secolo con due chiese: quella di San Gregorio ha meridiane sui muri e nel refettorio un incrocio di travi arcuate in pietra.

E soprattutto Khor Virap, legato alle vicende di San Gregorio: è ciò che resta di Artashad, capitale armena fino al II secolo d.C. Il campanile di Khor Virap si staglia contro i 5165 metri del monte Ararat: simbolo dell’Armenia ma in Turchia. Per la Bibbia sulla sua vetta s’incagliò l’arca di Noè, mentre ai suoi piedi sorgeva il Giardino dell’Eden. I vigneti sul versante armeno richiamano le sacre scritture e Noè che qui piantò le prime viti dopo il Diluvio universale.

Vai al sito

L’Armenia spolpata. Restituisce quattro villaggi all’Azerbaigian, per evitare la guerra (Huffigntonpost 20.03.24)

Il paese, non più sostenuto dai russi, torna ai confini dell’era sovietica. Baku non concede nulla in cambio, forte del sostegno turco. Il premier Pashinyan: “Non vogliamo un conflitto, so come finirebbe”. Il sogno, anche per motivi di sicurezza, resta l’adesione europea

Il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ha annunciato la restituzione di quattro villaggi di frontiera all’Azerbaigian come parte di un incentivo per arrivare ad una pace tra i due Stati. L’alternativa, secondo quanto affermato da Pashinyan, sarebbe una nuova serie di combattimenti nel Caucaso meridionale. L’occasione era una visita avvenuta nella giornata di lunedì presso le aree di confine nella regione del Tavush, situata nella parte settentrionale dell’Armenia e vicina ad una serie di villaggi azeri abbandonati che Erevan controlla dall’inizio degli anni Novanta. L’Armenia ritornerebbe quindi ai confini risalenti all’era sovietica. “La nostra politica è volta a prevenire una guerra, non dobbiamo permettere che inizi”, ha avvertito il primo ministro, sostenendo come l’Armenia potrebbe subire un attacco “entro la fine della settimana” se si rifiutasse di cedere i villaggi. “So come finirebbe una guerra del genere“, ha aggiunto Pashinyan, secondo quanto riportato dall’agenzia di stato russa Tass.

Avvisaglie di una possibile escalation si erano già registrate in seguito agli ultimi scontri del 12 e 13 febbraio scorso avvenuti al confine tra i due Paesi, esasperati dalla morte di quattro soldati armeni. Riferendosi al rifiuto da parte dell’Azerbaigian delle ultime proposte inoltrate dall’Armenia su una nuova demarcazione dei confini, e il conseguente raggiungimento di una pace, Pashinyan aveva giustificato tale scelta con l’intenzione “di lanciare operazioni militari in alcune aree del confine per trasformarle in una guerra su larga scala contro la Repubblica di Armenia”.

All’inizio del mese di marzo, il capo della squadra dei negoziatori dell’Azerbaigian aveva esplicitato la richiesta di restituzione “immediata” dei quattro villaggi, inabitati da trent’anni eppure di valore strategico per l’Armenia in quanto a cavallo tra la strada principale che collega Erevan con il confine georgiano. Nelle intenzioni armene, tale cessione sarebbe dovuta essere corredata da un parallelo ritiro delle truppe azere dai circa 215 chilometri quadrati di territorio armeno conquistati durante una breve invasione avvenuta a settembre 2022. Secondo Pashinyan, tale proposta è stata rifiutata.

L’evento a cui si fa riferimento riguarda gli scontri al confine tra i due Stati coincisi con la morte di quasi 300 persone, iniziata, secondo varie organizzazioni per i diritti umani e governi, incluso il Parlamento europeo e gli Stati Uniti, dall’Azerbaigian attraverso attacchi ad insediamenti ed infrastrutture civili armene. Baku aveva giustificato l’intervento additando “atti sovversivi su larga scala” da parte degli armeni al confine, consistenti nel posizionamento di mine antiuomo. Tali affermazioni non avevano però trovato riscontri. I combattimenti erano terminati con la presa, da parte delle truppe azere, dei territori sopra citati, che portarono allo sfollamento di circa 7.600 civili. L’Armenia aveva richiesto l’intervento a suo sostegno da parte del Collective Security Treaty Organization (Csto), un’alleanza militare facente capo a Mosca, la quale, tuttavia, non si era mobilitata a sostegno di Erevan.

Un preludio di ciò che era accaduto lo scorso settembre, quando l’Azerbaigian aveva lanciato una nuova offensiva volta a riconquistare la regione separatista del Nagorno-Karabakh – ufficialmente riconosciuta come facente capo da Baku, ma con una popolazione, al tempo, prevalentemente di etnia armena e un governo locale dagli stretti legami con Erevan – e il contingente di pace russo schierato, storicamente alleato dell’Armenia, si era tenuto in disparte, non interferendo nella contesa. Tale scelta era stata interpretata come una sorta di ripicca di Mosca per la volontà esplicitata dallo stesso primo ministro Pashinyan in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, di smarcarsi dall’influenza del Cremlino ambendo ad una possibile richiesta di adesione all’Unione Europea. Non a caso, in una dichiarazione pubblicata martedì sull’applicazione Telegram, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha suggerito come i legami sempre più stretti di Erevan con l’Occidente sarebbero la ragione per cui l’Armenia ha dovuto fare concessioni all’Azerbaigian.

Il Cremlino non avrà poi visto di buon occhio l’incontro, avvenuto alla fine dello scorso febbraio, tra il ministro delle Forze armate francese Sébastien Lecornu con il suo omologo armeno Suren Papikyan, tenutosi ad Erevan per discutere una più stretta collaborazione tra i due Paesi in termini di difesa militare. L’aereo di Lecornu trasportava visori notturni da consegnare all’esercito armeno e l’incontro ha portato alla firma di un contratto per l’acquisto di fucili d’assalto da parte di Erevan dall’azienda francese Pgm.  L’Armenia è alla ricerca di rinnovate intese per modernizzare il suo esercito ancora eccessivamente dipendente dalle tecnologie sovietiche al fine di “ristabilire l’equilibrio militare” con l’Azerbaigian, secondo quanto dichiarato da Tigran Grigoryan, direttore del Centro regionale per la democrazia e la sicurezza di Erevan. “Questa cooperazione, che dura ormai da un anno e mezzo, è di grande importanza per l’Armenia. Abbiamo fatto progressi, il che significa che possiamo guardare alla pianificazione a lungo termine nei prossimi anni”, ha dichiarato al termine dell’incontro diplomatico Papikyan. A tali affermazioni aveva fatto eco il ministro transalpino, definendo una “priorità assoluta” il sostegno all’Armenia.

Ad esplicitare, nel caso ce ne fosse bisogno, la volontà di Erevan di raffreddare i rapporti con Mosca è stata anche la decisione, comunicata venerdì, di sospendere l’adesione al già citato Csto. In un’intervista rilasciata a Politico, il Pashinyan aveva rimproverato alla Russia proprio l’incapacità di agire come un “poliziotto” nel Caucaso. Un distacco da Mosca che rappresenta un importante punto di svolta per il Paese, che dal crollo dell’Unione sovietica ha delegato a Mosca gran parte del controllo delle sue ferrovie, del suo settore energetico, e dei suoi confini.

Il primo dispiegamento delle truppe russe nella contesa si registrò nel 2020, in quella che viene definita la seconda guerra del Nagorno-Karabakh, la quale causò più di 6,000 morti. Fu proprio la Russia a mediare il cessate il fuoco e a disporre circa 1,960 soldati all’interno della regione, anche nei pressi del Corridoio di Lachin, l’unica infrastruttura che connette il Nagorno-Karabakh con l’Armenia. Gli scontri durarono 44 giorni, con le forze azere che potevano godere anche del sostegno della Turchia. “A seguito degli eventi in Ucraina, le capacità della Russia sono cambiate”, aveva dichiarato ancora a Politico Pashinyan, riconoscendo come Mosca stesse già all’epoca cercando di evitare di alienarsi l’Azerbaigian e, di conseguenza, proprio la Turchia, essendo entrambi i Paesi divenuti di importanza strategica per il Cremlino dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina.

Sono quindi, ad oggi, numerosi gli attori in gioco nelle trattative di pace, inauguratesi in seguito alla riconquista del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian, avvenuta lo scorso settembre. L’intenzione di stabilizzare la situazione, seppur biunivoca, è stata finora rallentata ed oscurata proprio dai dubbi sulla demarcazione del confine, lungo circa 1.000 chilometri, e in questo senso rientra l’ultima concessione di Erevan, che già aveva espresso la possibilità di deviare la propria rete stradale per evitare il territorio azero. Tuttavia, qualcosa sembra muoversi, e le concessioni dell’Armenia potrebbero essere la chiave per sbloccare le trattative. Potrebbe non essere un caso che nella giornata di domenica, il presidente Ilham Aliyev ha dichiarato come la pace sia “più vicina che mai” in seguito ad un colloquio con il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, avvenuto a Baku.

Vai al sito

Dimenticare l’Artsakh, dimenticare la storia (Rasi 20.03.24)

Sei mesi fa l’esercito dell’Azerbaijan, complice l’immobilismo russo nella regione, attaccò l’Artsakh-Nagorno Karabakh, l’enclave di etnia armena in territorio azero. In pochi giorni la quasi totalità della popolazione lasciò le proprie case, i monumenti, i cimiteri, la storia per cercare rifugio in Armenia.

Finiva così una disputa territoriale che dal 1991 – dal momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica – aveva portato a tensioni gravissime e conflitti tra Armenia e Azerbaijan. Ma se la popolazione ha abbandonato quel territorio, che fare ora dei monumenti e delle tracce millenarie che ricordano senza ombra di dubbio la presenza armena nella regione? Le ruspe hanno abbattuto in diretta televisiva il parlamento dell’autoproclamata repubblica dell’Artsakh (mai riconosciuta da nessun governo) ma secondo storici, archeologi e ricercatori è già cominciata la cancellazione della cultura armena in territorio azero.

Vai al sito e ascolta la puntata

Storie di donne, letteratura di genere/ 530 – Di Luciana Grillo (Ladigetto 20.03.24)

Sara Maino, «Quaderno armeno – Hotel Praha, Yerevan» – Un diario-racconto di straordinaria efficacia descrittiva e insieme capace di andare in profondità

image

Titolo: Quaderno armeno. Hotel Praha, Yerevan
Autrice: Sara Maino

Editore: Nous Editrice, 2023
Genere: Letteratura di viaggio

Pagine: 168, Brossura
Prezzo di copertina € 16

La prefazione del Console onorario della Repubblica di Armenia, Pietro Kuciukian, ci introduce nel mondo armeno, presentato secondo punti di vista diversi: il Console ha incontrato armeni in ogni continente, ha vissuto «la devastazione del terremoto, la conquista della libertà e insieme le ferite della guerra…», mentre Sara parte spinta dall’interesse per i canti liturgici nelle chiese armene, dalla sensazione che «la musica armena sembra portarmi indietro nel tempo… è una sensazione che mi fa sentire autentica».

Dopo un lungo viaggio aereo, Sara atterra a Yerevan ed è accolta da Oxana, una signora armena conosciuta in Italia.
La giovane viaggiatrice sapeva che Oxana si sarebbe presa cura di lei, forse l’avrebbe ospitata a casa sua, ma in taxi, mentre vanno verso la città, le spiega confusamente che la casa è in subbuglio e dunque che non può ospitarla.
L’accompagna all’Hotel Praha, un vecchio desolato albergo, dove tutto odora di unto e di sporco.

È qui che Sara incontra un gruppo di giovani prevalentemente donne tra cui Violet, che parla un ottimo inglese e diventa la sua «guida», una sorta di angelo custode, in un ambiente che le sembra losco e dove si sente a disagio.
In realtà, l’hotel è un albergo di rifugiati provenienti da Hadrut, città del Nagorno-Karabakh, e da Baku, capitale azera, sistemati qui dallo Stato armeno.
Violet, che ha studiato giornalismo e parla varie lingue, non trova lavoro perché gli armeni considerano «meno armeni» coloro che provengono dal Karabakh.

Conoscendo i familiari di Violet, Sara sente di essere «entrata in modo diretto, imprevedibile, in un mondo a me totalmente estraneo… i rifugiati hanno creato un microcosmo di solidarietà e di reciproca assistenza».
Forse Violet risulta un po’ invadente, vuole decidere dove accompagnare Sara, le fa capire che la musica che piace a Sara per gli armeni è troppo malinconica, perché «hanno voglia di voltare pagina».

Eppure insieme attraversano la città, vanno al Parco della Vittoria, scoprono da lontano il profilo del gigante bianco, il monte Ararat, e finalmente Violet confessa a Sara che il suo nome armeno è Manushak, «un nome armeno dal suono bellissimo… un canto».
Poi, per Manushak c’è la scoperta di internet, e «la posta elettronica è una rivelazione» che la lascia senza parole.
Sara vorrebbe essere più libera, eppure comprende l’espansività di Manushak, «mi commuove la sua vivacità, così spontanea, brillante, la freschezza dei suoi ricordi, il sorriso che li immortala, la tenerezza con cui parla delle pere e delle albicocche» e la semplicità con cui le racconta che vorrebbe un uomo al suo fianco.

Sara è invitata a cena dalla famiglia di Manushak, che traduce i suoi racconti, le esperienze di viaggio in luoghi lontani… e si emoziona quando Diana e Sarkis, fratello di Manushak, le chiedono di essere la loro testimone di nozze.
Passano i giorni, Sara deve fare i conti con il tempo che ha a disposizione, con il nervosismo di Manushak, i rinvii di Oxana che avrebbe dovuto ospitarla… forse c’è un accordo tra queste due donne? Forse Manushak ha il compito di controllarla? potrebbe darsi che le chieda del denaro alla fine del «servizio»?

L’ospitalità dei karabakiani è quasi soffocante, sembra celare «degli interessi mascherati da presunte preoccupazioni».
L’incontro con Padre Hagop un po’ la rasserena, sa che potrà registrare i canti liturgici in breve tempo ma in qualche modo è «avvertita» da questo Padre che sentenzia: «L’altro lato dell’ospitalità è la prigionia…».
Sara riesce ad abbandonare l’hotel Praha e i suoi abitanti, trova una camera in un albergo normale, eppure – riassaporata la libertà – ha nostalgia di tutti quegli sventurati costretti a vivere in un luogo sordido, controllati da un custode sgarbato, obbligati ad uscire scendendo lungo le scale di sicurezza per evitare controlli.

Per loro compra gli ingredienti per preparare, nella polvere dell’hotel, una vera pasta al pomodoro, «con un unico fornello da campo…sessanta occhi su di me e sul soffritto che sfrigola».
E Diana le fa sapere che se avrà una bimba, la chiamerà Sara!
«…in quella miseria ho trovato un’accoglienza autentica, una dimensione umana vera».
Per Sara, il giro delle chiese continua, raggiunge Echmiadzin, ascolta i racconti dolorosi di Manu, un bimbo perduto e un padre violento, segue l’ordinazione di quattro sacerdoti, «il rito stupisce, affascina anche un occidentale, non lascia mai indifferenti…».

Sara ascolta e registra, anche Manushak che canta in un tempio antichissimo alcune melodie del Nagorno-Karabak, «con un’innocenza bambina».
E parla con Fratello Bohdan di cerimonie religiose, di canti e strumenti e con la professoressa Anahit di intonazione del canto e di accordatura dell’orecchio.
Ma per compiere ancora una visita fuori città, invita Manushak, Sarkis e Diana e va a prenderli con un’auto a noleggio davanti all’hotel Praha e poi registra anche il canto di Manu e Diana, felici, libere.

Altro giorno, l’ultimo per Sara in Armenia, una gita con Manu e via, verso casa, carica di ricordi e di suoni, ma indebolita e stanca.
Qualche tempo dopo, Manu le partecipa la nascita della piccola Sara.