La scelta dell’Armenia. Una scossa europeista nel Caucaso che irrita russi e azeri, turchi e iraniani (Haffingtonpost 06.04.24)

L’Armenia stringe legami sempre più forti con l’Occidente, tanto che potremmo dire che si sta “ucrainizzando”. Ciò fa irritare non poco la Russia, l’Iran, l’Azerbaigian e la Turchia. L’incontro di alto livello che si è tenuto a Bruxelles venerdì 5 aprile tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, il segretario di Stato americano Antony Blinken e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e l’Alto Rappresentante per la politica estera europea Josep Borrell, è stato per certi versi storico. L’Unione europea diventa partner di fiducia dell’Armenia che prende sempre più le distanze da Mosca, mentre Washington rafforza la sua cooperazione anche militare con Yerevan.

Bruxelles vuole togliere dal cortile di casa della Russia il suo alleato della regione caucasica e dare inizio con Yerevan ad un partenariato molto stretto al quale potrebbe seguire la richiesta armena del riconoscimento di paese candidato. È pronta a stanziare 270 milioni di euro per un Piano di resilienza e crescita per Yerevan per il periodo 2024-27, secondo quanto annunciato dalla presidente Ursula von der Leyen al premier armeno durante il vertice trilaterale con gli Usa. Il Piano sosterrà l’economia e la società armena, le sue piccole e medie imprese e finanzierà progetti infrastrutturali e commerciali. L’Ue si è anche impegnata a soddisfare le esigenze dei centomila armeni costretti a fuggire dal Nagorno Karabakh dopo l’assalto azero del 19 settembre 2023. “Oggi manteniamo una promessa fatta all’Armenia lo scorso ottobre: stabilire una visione per il futuro del nostro partenariato economico”, ha detto Ursula von der Leyen durante la conferenza stampa congiunta.

L’obiettivo di Washington e di Bruxelles è di staccare l’Armenia dall’orbita della Russia e sostenere la sua economia di fronte alle crescenti tensioni nella regione. Per questo è necessario che l’economia e la società armena diventino più robuste e stabili di fronte agli shock energetici stanziando fondi per l’elettrificazione e nuovi progetti di energia rinnovabile. A sua volta Yerevan lavora per tagliare i legami con la Russia, che possiede gran parte della sua rete energetica e delle sue infrastrutture, ma che non è riuscita a garantire sicurezza agli armeni nelle dispute con il vicino Azerbaigian, diventato in quest’ultimi mesi sempre più minaccioso.

Armenia, Stati Uniti e Ue hanno rilasciato una dichiarazione congiunta ufficiale che riassume l’incontro di Bruxelles. Nel documento finale si riafferma il sostegno alla sovranità, alla democrazia, all’integrità territoriale e alla resilienza socioeconomica dell’Armenia. L’Ue e gli Usa sostengono un futuro stabile, pacifico, sicuro, democratico e prospero per l’Armenia e la regione. Inoltre, Bruxelles e Washington hanno riconosciuto i progressi sostanziali compiuti da Yerevan dal 2018 con le riforme democratiche del suo sistema giudiziario, sulla lotta alla corruzione e l’impegno preso dal governo Pashinyan teso a rafforzare ulteriormente la sua democrazia e lo Stato di diritto in linea con i princìpi e gli ordinamenti comunitari. L’Ue continuerà a sostenere l’Armenia nel suo percorso di riforma attraverso l’attuazione dell’accordo di partenariato globale e rafforzato (Cepa). L’amministrazione Biden prevede di fornire oltre 65 milioni di dollari a Yerevan. Infine, l’Ue e gli Usa hanno accolto con favore l’impegno dell’Armenia per una migliore connettività con il mondo esterno grazie all’iniziativa denominata “Crocevia della Pace”, un corridoio attraverso il quale promuovere la prosperità condivisa e la diversificazione economica e commerciale regionale.

L’incontro tra Pashinyan, Blinken e von der Leyen ha suscitato tensioni nel Caucaso meridionale.

L’Azerbaigian aveva accusato l’Armenia di ammassare truppe lungo il suo confine con l’exclave azera del Nakhchivan situata in territorio armeno, ma sia il governo armeno che la missione di monitoraggio dell’Ue, schierata lungo il confine tra Armenia e Azerbaigian dalla fine del 2022, hanno respinto questa notizia come infondata. Baku critica Bruxelles e Washington contestando l’organizzazione di questo vertice che a suo dire traccerebbe “linee di divisione geopolitica” nel Caucaso meridionale alimentando le dispute locali. Stati Uniti e Ue hanno risposto cercando di tranquillizzare il presidente azero İlham Aliyev precisando che l’incontro era incentrato su questioni economiche e che non avrebbe incluso le questioni relative al processo di pace in corso tra l’Armenia e l’Azerbaigian. Sia Blinken che von der Leyen, prima del vertice, hanno avuto su tale questione un colloquio telefonico con Aliyev. Anche la Turchia non ha salutato con favore questo incontro perché considerato una interferenza sul tentativo in corso di soluzione delle dispute tra i due vicini del Caucaso meridionale.

L’Armenia ha di fatto sospeso la sua adesione all’alleanza militare dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto) guidato dalla Russia e aveva invitato le truppe statunitensi ad addestrarsi nel suo paese, ha inviato aiuti militari all’Ucraina e ora sta manifestando l’intenzione di aderire all’Ue. L’Armenia, dalla rivoluzione di velluto del 2018, è una democrazia, certamente imperfetta, ancora incompiuta, ma della quale bisogna riconoscere gli enormi passi in avanti compiuti grazie a un leader filoccidentale come Pashinyan che Mosca vorrebbe rovesciare. In Armenia si svolgono libere elezioni, mentre in Azerbaigian vi è un’autocrazia feroce, sul modello moscovita, dove la dinastia Aliyev (padre e figlio) è al potere da un quarto di secolo, dove Aliyev vince le elezioni con oltre il 90%, dove i partiti d’opposizione in realtà non esistono, dove oppositori e giornalisti sono in galera, ecc. Pashinyan è uno scrittore, poeta e giornalista, oltre che il primo ministro dell’Armenia. Sta attuando una politica progressista e di anticorruzione e ha ottenuto grandi risultati negli ultimi anni. È un pacifista, convinto di dover e poter risolvere le dispute con il dialogo e la trattativa. L’attacco azero del settembre scorso nel Nagorno Karabakh, che ha costretto tutta la popolazione armena a fuggire da quella enclave, è visto a Yerevan con preoccupazione come un primo passo di Baku per altre rivendicazioni territoriali. Si teme infatti che, forte del supporto militare della Turchia, l’esercito azero possa occupare quell’area cuscinetto situata tra l’Azerbaigian e la sua exclave del Nakhchivan a maggioranza azera situata in territorio armeno.

Tra Armenia e Azerbaigian è in corso un processo di dialogo bilaterale che dovrebbe portare alla normalizzerebbe delle relazioni tra i due paesi dopo trent’anni di conflitto, ma c’è ancora la minaccia di violenza dentro e intorno all’Armenia meridionale, nella regione chiamata Syunik, storicamente nota come Zangezur, ancora teatro di scaramucce tra i due eserciti e dove agli osservatori della missione di frontiera dell’Ue (Euma) viene negato l’accesso da parte delle guardie di frontiera russe. Il 7 febbraio, il presidente İlham Aliyev si è fatto rieleggere in elezioni farsa per un quinto mandato forte della vittoria militare dello scorso settembre, quando le sue forze occuparono il Nagorno Karabakh con un’operazione lampo, nonostante un negoziato in corso con Ue e Stati Uniti che avrebbe risolto le dispute pacificamente e in maniera equa. Invece Aliyev ha voluto ribaltare la questione tutta a suo favore con la forza delle armi nonostante gli impegni presi con Bruxelles e Washington. L’esercito azero ha di fatto costretto l’intera popolazione armena alla fuga dal Nagorno Karabakh risolvendo così, con la violenza brutale, la disputa decennale riguardante l’enclave armena in territorio azero.  Baku ha ritenuto che quello fosse il momento giusto per tornare a mostrare i muscoli a Yerevan, anche perché la sua influenza sulla Russia era aumentata a causa della necessità di Mosca di assicurarsi l’apertura di rotte di transito verso l’Iran, cosa che poteva e che può avvenire solo attraverso l’Azerbaigian.  Inoltre, Baku si fa forte anche del fatto che pensa di essere diventata sempre più una fonte di gas naturale preziosa per l’Europa a causa del crollo dell’erogazione del gas russo nel continente.

L’atteggiamento di laissez-faire di Mosca nei confronti di Yerevan è legato a due fattori principali. Uno è l’ostilità viscerale del dittatore Putin nei confronti delle rivoluzioni colorate che in Armenia hanno determinato la vittoria del filoccidentale Nikol Pashinyan. L’altro fattore è l’attuale dipendenza di Mosca dall’Azerbaigian attraverso la quale la Russia venderebbe il suo petrolio all’Europa confezionato come azerbaigiano. Le relazioni dell’Armenia con il suo tradizionale benefattore, la Russia, si sono deteriorate dopo la rivoluzione democratica del 2018 che scosse l’oligarchia filorussa e portò al potere Pashinyan, l’attuale leader. Ora la Russia minaccia il leader armeno per la “direzione “occidentale verso cui sta indirizzando il suo paese. Mosca vede questa crisi come un’opportunità per sbarazzarsi di un’Armenia che guarda sempre più all’Occidente e per questo cerca di provocare un cambio di regime a Yerevan. Dall’ascesa al potere di Pashinyan con la Rivoluzione di velluto nel 2018, la rivoluzione pacifica che segnò la fine dei regimi autoritari e fortemente corrotti, l’Armenia si è avvicinata a Washington e si è rifiutata di sostenere l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Il Parlamento armeno ha recentemente ratificato lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, ciò comporterebbe che Putin, ricercato dal tribunale dell’Aia per crimini di guerra, se si dovesse recare in Armenia, potrebbe essere arrestato e consegnato alla Corte penale internazionale.

Quello azero-armeno rimane ancora un conflitto aperto perché è ancora irrisolta la disputa sui corridoi e sui confini e non è un caso adesso che molti osservatori nel mondo arabo e in Iran guardino da vicino gli sviluppi nel Nagorno Karabakh e le varie dispute. In altre parole, gli eventi nel Caucaso meridionale ora sono visti anche come un’estensione della politica del Medio Oriente.

L’Iran aveva interessi in questa parte del Caucaso, ma il suo ruolo era piuttosto marginale. La seconda guerra del 2020 ha cambiato tutto questo. La Turchia ha dato pieno sostegno militare all’Azerbaigian, rivelatosi cruciale per ottenere una vittoria sugli armeni. Le forze di pace russe, duemila peacekeepers, furono schierate lungo la linea di contatto del Nagorno Karabakh. Il formato dell’Osce è crollato e l’Occidente è stato emarginato.  In questo contesto, dopo il 24 febbraio 2022, il conflitto si è intrecciato con la guerra d’invasione dell’Ucraina e con le più ampie dinamiche mediorientali. L’Iran ha iniziato a sostenere più da vicino l’Armenia, perché teme che l’Azerbaigian e la Turchia prendano il controllo del suo confine settentrionale. Israele sostiene l’Azerbaigian per contenere l’Iran. Il Pakistan fornisce armi a Baku e l’India le fornisce a Yerevan. Le dimensioni delle annose dispute territoriali del Nagorno Karabakh, dunque, andavano ben oltre l’enclave etnicamente armena in territorio azero. Le loro dimensioni ora si estendono. La propaganda nazionalista, da sempre presente su entrambi i lati, è adesso massicciamente diffusa da parte azera in proporzione inquietante. Basti pensare che anche recentemente il presidente azero İlham Aliyev ha usato una inquietante retorica irredentista definendo l’Armenia meridionale come “Azerbaigian occidentale” chiamata da Baku come regione del “Zangezur”, che aveva una consistente popolazione azera all’inizio del XX secolo. Lo scorso dicembre Aliyev ha annunciato la creazione di una “comunità dell’Azerbaigian occidentale” e ha affermato che quella regione è il luogo dove gli azeri “devono poter tornare nelle loro terre natali”.

L’operazione in Karabakh del settembre 2023 ha accelerato il raffreddamento delle relazioni tra l’Azerbaigian e l’Occidente, che fino all’ultimo momento aveva cercato di mediare una soluzione pacifica del conflitto. Ora le relazioni Armenia-Russia sono giunte a un punto di rottura spettacolare e l’Ue sta intensificando il suo impegno con Yerevan. Aliyev si sente forte di una doppia polizza assicurativa con i suoi due grandi vicini: una stretta alleanza con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e una partnership reciprocamente vantaggiosa con il leader russo Vladimir Putin. I tre leader parlano lo stesso linguaggio autoritario e revanscista.

I percorsi negoziali facilitati dall’Occidente a Bruxelles e a Washington e i documenti prodotti sono stati ridotti da Baku a carta straccia e sono stati di fatto archiviati nella scorsa estate. Ciò che resta è un processo bilaterale, guidato dai consiglieri per la sicurezza nazionale armeno e azerbaigiano, che lavorano per stilare un testo di un accordo di pace. Si tratta di un processo serio che ha prodotto un buon esito il 7 dicembre, quando detenuti armeni sono stati rilasciati in cambio della caduta del veto armeno alla candidatura dell’Azerbaigian all’ospitalità del vertice sul clima COP-29 che si terrà alla fine del 2024. Un processo di pace bilaterale senza mediatori ha il vantaggio che nessun programma o nessuna entità straniera potrà ostacolare l’accordo. Ma la parte armena, che si trova indubbiamente in una situazione di debolezza, teme che Baku spinga per ottenere concessioni con la minaccia dell’uso della forza come è avvenuto nell’autunno scorso.

Vi sono tre principali punti critici che si frappongono al raggiungimento di un accordo.

Il primo è quello della demarcazione dei rispettivi confini. Le mappe di epoca sovietica danno interpretazioni diverse su dove tracciare le linee di confine.
Il secondo punto critico è rappresentato dalle garanzie e dai meccanismi internazionali necessari per il monitoraggio e il rispetto degli accordi. Gli armeni chiedono il più ampio sostegno delle istituzioni internazionali, mentre gli azeri preferirebbero semplicemente la garanzia di paesi amici.
Il terzo punto critico è quello altamente controverso ed è rappresentato dalla riapertura di un corridoio di transito in territorio armeno, al confine con l’Iran, di 43 chilometri rimasto a lungo chiuso, che collega l’Azerbaigian alla sua exclave di Nakhchivan, situata al confine con la Turchia. L’Azerbaigian ha interesse a ricollegare le due parti del suo territorio con rotte che abbiano il minor controllo armeno possibile su di esse. Yerevan dal canto suo non vuole cedere la sovranità o la sicurezza sulla sua zona di confine meridionale che è strategicamente vitale.

L’Azerbaigian insiste affinché siano le guardie di frontiera del Servizio di sicurezza federale russo (Fsb) a controllare i collegamenti ferroviari e stradali di quel corridoio in virtù della dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco firmata tra Armenia, Azerbaigian e Russia il 10 novembre del 2020, dopo la sconfitta militare armena nella seconda guerra per il Nagorno Karabakh, che menziona esplicitamente questo punto. Ma quell’accordo è ormai diventato lettera morta dopo la guerra lampo di Baku nel Karabakh del settembre scorso. Tuttavia, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov insiste affinché questa parte dell’accordo venga comunque applicata.  Yerevan sta lavorando per liberarsi della tutela di Mosca compresa la presenza delle guardie di frontiera russe schierate lungo i confini armeno-azeri dopo la caduta dell’Unione sovietica.

Il governo armeno teme che vi sia già un accordo tra Baku e Mosca sulla permanenza militare russa su quel confine al quale Ankara avrebbe tacitamento aderito. Per i russi infatti il controllo di quella via di transito è strategicamente importante soprattutto dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Per Mosca, acquisire il controllo di un tratto ferroviario e autostradale che collega la Russia all’Iran e alle rotte verso il Golfo Persico, per la prima volta dopo decenni, è di fondamentale importanza strategica perché rappresenta la principale linea ferroviaria nord-sud che ha collegamenti con il Medio Oriente e l’Asia centrale, preziosi per sostenere la guerra contro l’Ucraina e la contesa con l’Occidente.

Sono dunque fondate le preoccupazioni di Bruxelles sul fatto che l’Azerbaigian non firmerebbe alcun accordo di pace se non avrà ottenuto ciò che vuole nell’Armenia meridionale. Yerevan certamente subirà sempre più forti pressioni sia da Baku che da Mosca affinché aderisca a un piano per il corridoio di Zangezur che non favorirebbe né l’Armenia né i paesi occidentali.

L’espansione del conflitto nel Caucaso meridionale rimane dietro l’angolo. L’Armenia ora sembra essere sempre più convinta della necessità del completamento del suo percorso di integrazione con l’Occidente e si prepara a presentare a Bruxelles la richiesta di riconoscimento dello status di paese candidato all’ingresso nell’Unione europea.

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Classica: Venti dell’Est, musiche dall’Ungheria e dall’Armenia e concerto di Primavera (Arezzo24 06.04.24)

ASSOCIAZIONE CULTURALE D.I.M.A. PRESENTA Renata LACKO, violino, Lilit KHACHATRYAN, pianoforte. SABATO 6 APRILE, ORE 18:00 IN CASA PETRARCA (Arezzo). Domenica 7 aprile il concerto di primavera

Dopo il successo dei Concerti degli scorsi mesi, che ha visto protagonisti in Casa Petrarca i maltesi Pierre Louis Attard e Colin Attard al pianoforte (Gaulitana Festival Of Music di Gozo), il FORTE TRIO, trio di Stato della Repubblica del Kazakistan e Trio InBreve dalla Francia, prosegue la stagione concertistica con il DUO LACKO-KHACHATRYAN, violino e pianoforte – sabato 6 aprile, ore 18:00 nella Sala Concerti DIMA sede Casa Petrarca, via dell’Orto n. 30 Arezzo.

Il duo, formato da musiciste dalla carriera internazionale, propone un programma ricco e variegato: Venti dell’Est. Musiche dall’Ungheria e dall’Armenia è un viaggio musicale nella cultura ungherese e quella armena con l’esecuzione di alcuni compositori che le rappresentano. In particolare Bartok (ungherese) e Komitas (armeno) si accomunano per il grande lavoro etnomusicologico svolto nella loro vita. Un lavoro di ricerca dei canti della tradizione popolare armena per Komitas e dell’Europa orientale per Bartok. Il programma prevede l’esecuzione delle famosissime Danze rumene di Bartok nella versione per violino e pianoforte e Tre Danze ungheresi di Leo Weiner. Dell’Armenia verranno eseguite due danze del balletto Gayaneh di Khachaturian e una serie di brani di Komitas nella versione per violino e pianoforte. Komitas, emblema della cultura armena, ma figura poco conosciuta al mondo occidentale, svolse un lavoro etnomusicologico importantissimo tramandando la musica popolare attraverso una serie di registrazioni e trascrizioni realizzate da lui stesso. Raccolse un patrimonio immenso che comprendeva canti legati alla coltivazione dei campi, canti patriottici, canti d’amore, canti rituali per nozze, danze e anche ninna nanne.

Renata Lacko ha collaborato con diverse orchestre in Ungheria, Svizzera, Germania e Italia. Si è esibita in più di 20 paesi nelle sale più celebri del mondo quali: Prag Dvorak Hall, Mosca SalaTschaikowski, Kiev Philharmonie, Minsk Grande Sala del Concerto, London Royal Albert Hall, Berliner Filharmonie, Wiener Musikverein, Rotterdam De Doelen, Manila Cultural Center of the Philipines, Sejong Cultur Center, Lucerna KKL. Ha svolto attività cameristica in Ungheria, in Svizzera, in Germania, in Polonia, in Repubblica Ceca in Israele e in Italia. E’ un’appassionata di musica Klezmer, musica popolare e Jazz che suona in diverse formazioni. Si esibisce anche con il violino elettrico con la viola e con il violino barocco. Dal 2019 collabora con ERT in diverse produzioni del regista Claudio Longhi in scena nei maggiori teatri italiani. Nel giugno 2020 per la riapertura dei Teatri viene chiamata da ERT e Radio3 per curare la parte musicale ed eseguire l’accompagnamento al monologo di Lino Guanciale su testo di Bertold Brecht. La produzione è stata ripresa a Bologna al Teatro del Sole e nel dicembre 2020 va in onda su Rai 3 nello speciale ‘Ripartiamo da Rai 3’ per la regia di Stefano Massini. Collabora con il Teatro Piccolo. Fondatrice del gruppo Sviolinando e della manifestazione MUSIC HUG, due realtà che collegano fra loro giovani musicisti di tutto il mondo con il fine di superare attraverso la musica le barriere di distanza, lingua, estrazione sociale e vivere le diversità come una ricchezza e non come motivo di divisione.

Lilit Khachatryan pianista armena, nel 1996 si diploma con il massimo dei voti in pianoforte presso la Scuola Musicale Speciale “P. I. Ciajkovskij” di Yerevan e successivamente nel 2002, sempre con il massimo dei voti, consegue la Laurea in Pianoforte ad indirizzo Concertistico e Didattico presso il Conservatorio Statale  “Komitas” di Yerevan sotto la guida del M° Robert Shugarov. Nel 1995 si perfezionata con il M° Villi Sargsyan approfondendo così la letteratura pianistica armena. Attualmente svolge attività concertistica sia in veste di solista che in formazioni da camera. Ha suonato per varie associazioni armene quali: “Compositorneri Tun”, “Golden Apricot Festival”, “Camerain Tun”. In Italia si è esibita presso il Teatro Comunale di Cavriglia, il “Gruppo Donatello” di Firenze, la Chiesa San Gregorio degli armeni a Napoli per le celebrazioni del centenario del genocidio armeno, l’auditorium Leonardo Da Vinci di Marciano, la Filarmonica Romana per il Festival delle Nazioni di Roma, il Teatro Morlacchi di Perugia, il Teatro dei Rozzi di Siena, ecc. Da anni collabora con il soprano Agnessa Gyurdzhyan proponendo un programma dedicato interamente alla letteratura armena per voce e pianoforte. Il repertorio spazia dalla musica sacra fino al ‘900 concentrandosi particolarmente sulla figura del compositore Komitas. Nel 2012 ha conseguito con il massimo dei voti, sotto la guida del M° Marco Albrizio, la Laurea Specialistica di II livello in Pianoforte ad indirizzo concertistico presso il Conservatorio di Musica di Perugia. Attualmente affianca all’attività concertistica anche quella didattica, ricoprendo la cattedra di Pianoforte principale presso l’Istituto di Musica Hans Werner Henze della Fondazione Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano e presso la Scuola Comunale di Musica “U. Cappetti” di Monte San Savino.

INGRESSO LIBERO FINO A ESAURIMENTO POSTI.

Concerto di Primavera a cura degli allievi dell’Accademia DIMA Arezzo
DOMENICA 7 APRILE, ORE 18:00 IN CASA PETRARCA (Arezzo)

Masterclass di Alto Perfezionamento pianistico con Luigi Tanganelli

III edizione
13 – 14 e 20 – 21 APRILE IN CASA PETRARCA (Arezzo)

DOMENICA 7 APRILE, ORE 18:00 IN CASA PETRARCA (Arezzo) – Concerto di Primavera a cura degli allievi dell’Accademia DIMA Arezzo. Un pomeriggio musicale con i migliori allievi delle classi di pianoforte, chitarra e musica d’insieme dell’Accademia DIMA dei maestri Sebastian Maccarini, Matteo Guasconi, Roberto Rossi, Serena Meloni, Alice Anikstejn, Apolline Leveque, Gianmarco Boncompagni. Si esibirà anche il DIMA Ensemble, eterogeneo gruppo orchestrale formato da chitarre, violino, flauti e sassofono. Con la partecipazione straordinaria degli studenti delle classi di pianoforte del Liceo Musicale “F. Petrarca” di Arezzo.

13 – 14 e 20 – 21 APRILE IN CASA PETRARCA (Arezzo) – Masterclass di Alto Perfezionamento pianistico con Luigi Tanganelli (III edizione).

Per il terzo anno consecutivo l’Associazione Culturale D.I.M.A. ospita il corso di alto perfezionamento d’interpretazione pianistica. Un’opportunità per approfondire la tecnica, la prassi esecutiva e interpretativa al pianoforte, aperta ad allievi e pubblico. Le lezioni saranno tenute dal M° Luigi TANGANELLI, docente al Conservatorio Statale di Musica “F. Morlacchi” di Perugia, per due fine settimana: sabato 13 e domenica 14 aprile, poi sabato 20 e domenica 21 aprile, p.v., dalle ore 10.00 alle ore 18.30, presso Casa Petrarca, sede dell’Associazione, in via dell’Orto 30 ad Arezzo.

“Con il maestro Tanganelli c’è una storia che viene da lontano – afferma Giorgio Albiani, direttore artistico di D.I.M.A. – una collaborazione che ci ha visto insieme all’interno di importanti istituzioni italiane di alta formazione, di collaborazioni concertistiche e didattiche. Questo mi ha permesso di apprezzare le doti di un grande maestro e di profonda umanità, con una visione della musica che affondando le radici nel passato si proietta nel futuro. Un’offerta formativa ricchissima per gli allievi che parteciperanno”.

Info: www.dimamusicarezzo.com e canali social Facebook – Instagram

Turkiye: “L’incontro Armenia-USA-UE minerà l’approccio di neutralità nel Caucaso meridionale” (Trt 05.04.24)

La Turkiye ha dichiarato che l’incontro che verrà organizzato tra l’Armenia, gli Stati Uniti (USA) e l’Unione Europea (UE) minerà l’approccio di neutralità che dovrebbe essere assunto come base per la soluzione dei complessi problemi della regione.

Il Ministero degli Esteri turco ha rilasciato una dichiarazione scritta sull’incontro trilaterale tra Armenia, Stati Uniti e Unione Europea che si terrà il 5 aprile a Bruxelles, capitale del Belgio.

Nella dichiarazione si afferma che a seguito della liberazione da parte dell’Azerbaigian dei territori occupati in seguito alla seconda guerra del Karabakh (novembre 2020) e del ristabilimento della sovranità in tutti i territori del Paese con l’operazione antiterrorismo in Karabakh, del 19-20 settembre, è emersa un’opportunità storica per una pace e una stabilità durature nella regione.

“In un periodo in cui questa opportunità storica è molto vicina al successo, è ancora più importante che le terze parti, in particolare gli attori extra-regionali, affrontino il processo in modo equo e imparziale ed evitino accuratamente di danneggiarlo.

In questo contesto, è una questione di responsabilità affermare chiaramente che l’incontro trilaterale previsto per il 5 aprile 2024 tra l’Armenia, l’UE e gli Stati Uniti minerà l’approccio di neutralità che dovrebbe essere assunto come base per la soluzione dei complessi problemi della regione. Questa iniziativa, che esclude l’Azerbaigian, aprirà la strada alla trasformazione del Caucaso meridionale in un’area di rivalità geopolitica piuttosto che al servizio della pace”, si legge nella dichiarazione.

Inoltre, nella dichiarazione si ribadisce l’invito ai Paesi terzi a prendere in considerazione i parametri della regione e ad avvicinarsi alle parti in modo equo nei passi che intraprenderanno nel contesto del processo, e si esprime piena fiducia nel fatto che il Caucaso meridionale si risolleverà sulla base della pace permanente e della stabilità che si stabilirà nella regione e raggiungerà la prosperità regionale che merita.

In fine, nella dichiarazione si sottolinea che la Turkiye è sempre pronta a fare la sua parte in questo senso e continuerà a incoraggiare l’utilizzo dell’opportunità storica di una pace duratura tra Azerbaigian e Armenia.

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L’Armenia si avvicina sempre più velocemente all’Occidente (AgenziaNova 05.04.24)

Unione europea e Stati Uniti sono pronte a dare sostegno all’Armenia, al fine di garantire al Paese del Caucaso “un futuro democratico e prospero” e una prospettiva di stabilità alla regione nel suo insieme. Questo il messaggio trasmesso dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e dal segretario di Stato Usa Antony Blinken, che oggi a Bruxelles hanno incontrato il premier armeno Nikol Pashinyan. Von der Leyen ha annunciato un piano di crescita e resilienza per l’Armenia del valore di 270 milioni di euro, “mantenendo una promessa fatta lo scorso ottobre”. L’Ue intende offrire “una visione per il futuro del nostro partenariato”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea, specificando che i 270 milioni di euro saranno stanziati in sovvenzioni nei prossimi quattro anni. “Investiremo per rendere l’economia e la società armene più solide e resistenti agli shock. Sosterremo le vostre imprese, i vostri talenti, in particolare le piccole e medie imprese, per aiutarle a crescere, innovare e accedere a nuovi mercati. E investiremo in progetti infrastrutturali chiave. Per esempio, nel cavo elettrico del Mar Nero, una via di trasmissione ricca di opportunità, che può portare in Europa energia pulita e rinnovabile”, ha spiegato von der Leyen. La presidente della Commissione Ue ha citato poi gli investimenti nella produzione di energia rinnovabile in Armenia e in migliori interconnessioni con la Georgia e le nuove misure “per la sicurezza aerea e nucleare e per la diversificazione del commercio”.

Politiche giovanili. In Armenia si discute sulle soluzioni basate sulla natura. (Sardegnagol 05.04.24)

Si terrà nella fantastica location dell’Università statale di Yerevan (Armenia), nei pressi del Lago Sevan, la prossima mobilità internazionale alla quale parteciperà l’Associazione ABICI. Dal 14 al 19 maggio i giovani partecipanti, provenienti dall’Italia, Slovenia, Moldova, Armenia e Georgia, si incontreranno per fare il punto sulle cosiddette soluzioni basate sulla natura (NBS), ovvero alla gestione e all’uso sostenibile della natura per affrontare le sfide socio-ambientali come il cambiamento climatico, il rischio idrico, l’inquinamento dell’acqua, la sicurezza alimentare e la gestione del rischio di calamità ambientali.

L’iniziativa, inserita all’interno del programma Erasmus+, è aperta a giovani sardi/e senza limite di età con buona conoscenza della lingua inglese e interesse per il tema delle NBS.

I costi di partecipazione, fanno sapere dall’organizzazione giovanile sarda, membro del Comitato CASMI, “saranno interamente a carico dei promotori della mobilità. Per presentare la propria candidatura basterà mandare una email all’indirizzo associazione@associazioneabici.eu”.

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A Erevan una Pasqua di tensioni tra la Chiesa e il primo ministro (Asianews 05.04.24)

Pašinyan “predica” utilizzando salmi e immagini el Vangelo per difendere la sua politica. Karekin II e il clero gli rispondono che il suo compito è “guarire le ferite del suo popolo che subito gravi perdite”. Dietro allo scontro la ferita della rinuncia al Nagorno Karabakh mentre è tornata a salire la tensione con l’Azerbaigian.

Erevan (AsiaNews) – Molti sacerdoti della Chiesa Apostolica armena hanno reagito alla “predica politica” del primo ministro Nikol Pašinyan durante le celebrazioni della Pasqua, che in armeno è chiamata Zurb Zatik, “Liberazione dalla Sofferenza” e si celebra secondo il calendario gregoriano, in quanto gli armeni non hanno seguito gli ortodossi di tradizione bizantina nel difendere il “vecchio calendario”. Lo stesso patriarca, il katholikos Karekin II, nel suo messaggio pasquale ha ammonito i fedeli che “ci troviamo in tempi difficili e pieni di imprevisti per l’Armenia”.

La sera della vigilia pasquale, il Čragalujts, Pašinyan ha incontrato i membri del suo partito dell’Accordo Civile nella città di Artašat, centro amministrativo della regione di Ararat, e nel corso della discussione ha fatto ricorso inaspettatamente al Discorso della Montagna di Gesù, dichiarando che “la dimensione politica delle fondamenta del cristianesimo per me non è meno importante di quella spirituale”, in quanto “Gesù Cristo non è soltanto il Figlio di Dio, ma anche la figura ideale del leader”. Il Signore era anche “un grandissimo rivoluzionario, che per un certo periodo è andato in giro per il mondo, cambiandolo profondamente con le sue azioni”. Il premier ha quindi paragonato il destino del Salvatore con quello del suo partito, che diverse volte “era morto” e poi “è sempre risorto”, vedendo un particolare significato nelle parole del Vangelo che proclamano “Beati i perseguitati per la giustizia, poiché di essi è il Regno dei Cieli”, parole “che mi hanno sempre dato tanta forza nei momenti più difficili”, ha concluso Pašinyan.

In questi giorni diversi membri del clero hanno commentato queste parole, a cominciare dal capo del servizio informativo della curia di Ečmjadzin, la sede patriarcale, il sacerdote Esai Artenyan, che ha ricordato come “Cristo fu crocifisso proprio perché non voleva essere un rivoluzionario, e prendere il potere… nel Vangelo ci sono molte testimonianze del fatto che gli ebrei volessero che Gesù diventasse re, ma il Signore si è rifiutato, speravano che li guidasse alla rivolta contro l’imperatore e li liberasse dal giogo dei romani, ma Cristo è il re celeste, come Lui stesso più volte ha spiegato”. P. Esai non ha fatto il nome di Pašinyan, ma i suoi follower sulle reti social hanno capito a chi si riferiva.

Del resto non è la prima polemica che nasce tra il premier e la Chiesa armena, e Pašinyan ha perfino rifiutato di partecipare alle celebrazioni pasquali, limitandosi a rivolgere un saluto a tutti i credenti in un breve video pubblicato nei giorni precedenti, in cui invece di congratularsi ha letto il testo del salmo 25, “Signore, fammi giustizia, nell’integrità ho camminato”. Il premier ha cominciato nei suoi discorsi a citare passi di letteratura religiosa da alcuni anni, senza spiegarne le motivazioni.

Mentre Pašinyan teneva il suo “discorso della montagna” ai piedi dell’Ararat, il patriarca Karekin II guidava i fedeli nel corteo della veglia con le lampade accese al cero pasquale, e anche nella sua omelia non sono mancati i commenti alla situazione politica, esortando i fedeli a “dare la giusta risposta alle realtà che ci affliggono, il compito del nostro popolo è quello di superare le divisioni interne e l’incomunicabilità, guarire le ferite del popolo che ha sofferto di gravi perdite, rafforzando la Patria unendo le forze”. La grazia del Risorto deve fare in modo che “non ci riduciamo a essere una nazione debole e sconsolata, che mette in pericolo il futuro e l’indipendenza della nostra Patria”.

La Chiesa ha sempre criticato l’arrendevolezza del governo sulla questione dell’Artsakh, la “terra dei nostri guerrieri e dei nostri martiri”, ha ricordato il katholikos. Nel Nagorno Karabakh stanno “le tombe scavate per noi malvagi, ma la tomba di chi vince l’angoscia della morte insieme a Cristo è vuota, noi crediamo nella risurrezione”. Le parole del capo dei cristiani armeni sono risuonate come un appello a riprendere la lotta contro il nemico, proprio nei giorni in cui si rinnovano i conflitti di frontiera con l’Azerbaigian. In Armenia i politici parlano con i versi dei salmi e dei vangeli, mentre i preti usano la lingua della politica e della guerra.

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ARMENIA. Yerevan nuova cerniera tra Oriente e Occidente (Agcnews 05.04.24)

Gli Stati Uniti e l’UE stanno rapidamente pianificando un nuovo processo di sostegno per preparare l’Armenia all’adesione all’UE e alla NATO. Secondo indiscrezioni stampa, il segretario di Stato americano Antony  Blinken e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen discuteranno i passi da compiere in questa direzione, nonché il processo di unificazione dell’Occidente e dell’Armenia.

Secondo le indiscrezioni, Europa e NATO avvieranno un sostegno economico e finanziario e grandi volumi di assistenza al fine di recidere completamente i legami economici armeni con la Russia. Tra le idee sul tavolo, c’è quella di mettere infrastrutture di telecomunicazioni dell’Armenia sotto il controllo degli Stati Uniti. Inoltre è in fase di sviluppo un nuovo progetto per la ricostruzione della centrale nucleare di Metsamor e per questo sono previsti fondi.

Vi sono in piedi sforzi per espandere l’addestramento militare e le esercitazioni congiunte con l’Armenia, nonché donare al Paese sistemi militari nuovi e moderni soprattutto da parte della Francia. L’obiettivo è far sì che l’Armenia si sviluppi, soprattutto nel campo dei sistemi di difesa aerea e nella lotta agli UAV, in modo che l’Armenia sia pronta per una eventuale nuova guerra con l’Azerbaigian, paese inviso alla Francia. 

La Francia sarà pioniera in questo senso e dovrebbe essere sostenuta dagli Stati Uniti e da vari paesi dell’UE. Tra gli altri paesi che si affacciano all’Armenia c’è l’India che aumenterà la sua assistenza militare in funzione anti-Pakistan, partner strategico dell’Azerbaigian. Infine c’è il ruolo della Turchia che potrebbe sostenere l’adesione dell’Armenia alla NATO e contribuirà alla sua difesa in cambio dell’apertura del corridoio Zangezur. Un corridoio che l’Iran non appoggia in quanto taglierebbe fuori dal commercio Teheran. La Turchia è anche uno stretto alleato dell’Azerbaijan ma ha mostrato avere come unico interesse, negli ultimi anni: vendere armi e avere strade per il commercio.

Secondo alcuni specialisti geopolitici dell’area del Caucaso, il miglior scenario occidentale nel Caucaso è quello di stabilire una presenza diretta di intelligence militare in tre paesi caucasici contemporaneamente, creare una linea che mescoli il fronte settentrionale dell’Iran con il fronte meridionale della Russia e, se tutto va bene, rendere l’Armenia un membro della NATO.

Una delle cose più interessanti è che recentemente sono circolate voci secondo cui l’esercito armeno viene addestrato dalle forze speciali statunitensi, soprattutto per quanto concerne cecchini, sabotaggio, infiltrazione e guerra non convenzionale. In un post messo nella rete social di analisti esperti del Caucaso settentrionale si legge: “Tutti questi sforzi in materia di armamenti portano all’occupazione dell’Armenia da parte dell’Azerbaigian o alla trasformazione della regione in una zona di guerra a lungo termine. Il nuovo tipo di addestramento fornito all’Armenia, vale a dire l’avvio della ribellione e della guerriglia, e l’organizzazione dell’addestramento in questo stile richiamano direttamente il problema dell’invasione dell’Armenia da parte dell’Azerbaigian e l’invio della maggior parte della popolazione in Turchia”.

Tra gli “spoiler” sull’annunciato incontro trilaterale tra Nikol Pashinyan e Ursula von der Leyen e Antony Blinken, il principale è la questione del coordinamento di un piano per fornire all’esercito armeno “campioni” di armi occidentali e la sua integrazione nel programma americano di finanziamento militare esterno.

Secondo le indiscrezioni la fase addestramento sarà finanziata dall’European Peace Foundation e servirà per adeguare l’addestramento armeno a quello NATO.

E ancora c’è in ballo la ricostruzione della centrale nucleare di Metsamor e quella di una nuova centrale nucleare, soprattutto perché il governo Pashinyan ha già espresso il suo interesse nell’installazione di dispositivi e reattori di accumulo dell’energia. Questo renderà Yerevan più indipendente da Mosca ma de facto dipendente dall’Occidente. 

Una questione a parte saranno le misure a sostegno di Yerevan: l’intero pacchetto dovrebbe essere adottato nel caso in cui la Russia applichi misure restrittive nei confronti dell’Armenia per violazioni di accordi con Mosca e altri organismi quali il CSTO.

Anna Lotti

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L’Ue sta preparando un Piano di resilienza e crescita per l’Armenia da 270 milioni di euro (Eunews 05.04.24)

Bruxelles – L’Unione Europea cerca di diventare il partner di fiducia dell’Armenia, per togliere alla Russia anche l’ultimo alleato nella regione caucasica. “Stiamo rispettando la promessa fatta a ottobre di stare a fianco dell’Armenia e di fornire una visione per il nostro partenariato”, ha assicurato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel corso di un punto stampa con il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della riunione di alto livello di oggi (5 aprile) a Bruxelles.

Pashinyan Armenia von der Leyen Blinken Borrell
Da sinistra: il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken (5 aprile 2024)

Un partenariato che “sarà plasmato su un Piano di resilienza e crescita da 270 milioni di euro in sovvenzioni per i prossimi quattro anni“, è l’annuncio di von der Leyen, che ha promesso che l’Unione investirà su “economia e società armena”. A partire dalle piccole e medie imprese, fino a “progetti di infrastrutture-chiave, produzione di rinnovabili in Armenia e migliori interconnessioni con la Georgia”. Come rende noto lo stesso esecutivo Ue, il Piano di resilienza e crescita per l’Armenia sosterrà la diversificazione degli scambi commerciali, rafforzerà la cooperazione settoriale con l’Unione Europea e “contribuirà a soddisfare le esigenze a lungo termine degli sfollati” dal Nagorno-Karabakh. Proprio su questa “priorità” si è soffermata anche la presidente von der Leyen, ricordando che “dallo scorso settembre abbiamo erogato oltre 30 milioni di euro a sostegno dei rifugiati e siamo pronti a fare di più per sostenere l’integrazione a lungo termine”.

L’esodo della popolazione di etnia armena verso Yerevan (oltre 100 mila profughi riversatisi in un Paese di 2,8 milioni di abitanti) è iniziato dopo la presa dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh da parte dell’esercito azero il 20 settembre 2023. Da allora non hanno fatto progressi i contatti tra Bruxelles, Yerevan e Baku per arrivare a quell’accordo di pace generale che il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, dall’Aula di Strasburgo aveva prospettato per fine 2023 se solo il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, avesse deciso di non ostacolare il processo come aveva invece fatto al terzo vertice della Comunità Politica Europea del 5 ottobre in Spagna (quando aveva disertato il quintetto con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron). La tensione è rimasta sempre alta, fino all’episodio più grave lo scorso 13 febbraio, quando quattro soldati armeni sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con le forze di Baku lungo il confine.

Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian

Nagorno Karabakh Armenia AzerbaijanTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.

La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre 2022. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio 2023 è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev.

Nagorno-Karabakh Azerbaijan e Armenia
Esplosioni in Nagorno-Karabakh

L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dal 20 febbraio 2023 in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che – per la sproporzione di forze in campo – ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert, con la presa totale del controllo da parte dei soldati di Baku.

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Classica: Venti dell’Est, musiche dall’Ungheria e dall’Armenia e concerto di Primavera (Quotidiano Nazionale)


“Ue al fianco dell’Armenia”, von der Leyen annuncia aiuti per 270 mln (Askanews)


 

L’origine dei genocidi (Lincontronews 05.04.24)

Assai numerosi sono stati, nella storia dell’Umanità, i genocidi messi in atto da popoli o etnie contro altri con le più disparate motivazioni. Sino a quelli più recenti del XX secolo. Ricordiamo innanzitutto che per “genocidio” si intende (Gabrielli – Gran Dizionario della Lingua Italiana) “… la sistematica distruzione di un gruppo etnico, religioso, razziale o di una intera stirpe”.

L’Accordo Internazionale ne sancì la condanna

Il termine, creato dal giurista polacco Raphael Lenkin nel 1945, venne ufficialmente usato per la prima volta nell’ “Accordo Internazionale” siglato a Londra l’8 agosto 1945 nel corso del quale venne istituito il Tribunale Militare Internazionale.  Tribunale istituito con rappresentanti degli Stati Uniti, del Regno Unito , della Russia e della Francia. Lo scopo era quello di giudicare i grandi criminali della Seconda guerra mondiale, imputati di “crimini contro l’umanità”( ai quali il genocidio era assimilato). Il termine “genocidio” venne usato nel corso del Primo Processo di Norimberga (novembre 1945/ottobre 1946) contro i principali capi nazisti. E da allora entrò nell’uso comune. Nel dicembre 1948 venne fondata da 123 Paesi (assenti Usa, Russia e Cina) la “Corte penale internazionale” (I.C.C.) all’Aja (Paesi Bassi) competente a indagare e giudicare crimini internazionali (compreso genocidio) compiuti da singole organizzazioni.

L’O.N.U stabilì la sua punibilità

Contestualmente l’Assemblea Generale dell’O.N.U., con la Risoluzione 260 A (III) , stabilì la “Convenzione internazionale per la prevenzione e la punizione del delitto di genocidio” sia in tempo di pace che in tempo di guerra. Nell’art. 2 la definizione di “genocidio” veniva estesa. Comprendeva “le lesioni gravi dell’integrità fisica o mentale di gruppi di individui, la loro sottomissione a condizioni di vita estreme. Nonché le misure tese a impedire nuove nascite nel loro seno (ad esempio l’ aborto obbligatorio e la sterilizzazione femminile). E inoltre il trasferimento forzato di fanciulli minori fuori dai gruppi”. Gli assunti di questa Convenzione sono stati immessi nell’art. 6 dello Statuto della Corte penale Internazionale firmato a Roma il 17/7/1988.

L’Italia li ha introdotti nel suo Codice penale con la legge 153 del 11/3/1952 e la Francia nel suo stesso Codice nel 1994. Nell’Occidente i genocidi più orrendi del XX secolo furono quelli compiuti dal Governo della Germania nazista (1939/1945) contro gli ebrei in alcune Nazioni europee. E quelli del Governo ottomano (1915/1916) contro il popolo armeno in Turchia.

I disastri dai primi secoli dopo Cristo

La “Shoah” (catastrofe, disastro) del popolo ebraico è stata ampiamente descritta, studiata e condannata dalla comunità internazionale alla fine della II Guerra mondiale. Mentre meno noto è il “Medz Yegern” (Grande Male) del popolo armeno. In merito ricordiamo innanzitutto che oggi l’Armenia è – dal 21/9/1991 – una Repubblica parlamentare indipendente, ammessa all’O.N.U. nel 1992. Dal 2001, fa parte del Consiglio d’Europa. Ha una popolazione di circa 3.000.000 di abitanti con capitale Yerevan. Vahan Khachaturyan ne è il Presidente e Nikol Pashinyan come Primo Ministro. In precedenza gli Armeni erano vissuti per secoli nell’Anatolia orientale (attuale Turchia), primo Stato al mondo ad aver adottato nel 310 d.C. – con San Gregorio e il Re Trididate III – il Cristianesimo.

Quel territorio venne conquistato dagli Ottomani nel XV secolo ed essi lo tennero sino al 1920, allorchè fu invaso da truppe dell’U.R.S.S.. In quell’anno vi fu proclamata la Repubblica socialista sovietica armena. Nel 1922, andò a formare – con la Georgia e l’Azerbaijan – la Repubblica federativa sovietica di Transcaucasia. Questa venne divisa, nel 1930, in tre Repubbliche distinte facenti tutte parte dell’U.R.S.S.. Caduta quest’ultima nel 1991, l’Armenia si proclamò Repubblica indipendente.

Genocidi dall’Armenia alla Shoa

La “Questione armena” si era posta per la prima volta nell’Impero ottomano alla fine del XIX secolo quando la popolazione armena cristiana cominciò a manifestare intenti separativi dall’Impero a favore di un avvicinamento alla Russia. La “Sublime Porta” ottomana reagì con una serie di massacri di armeni perpetrati tra il 1894 e il 1896 dal Sultano Abdul Hamid II. A Istanbul e a Urfan (30.000 Armeni uccisi) e ad Adana in Cilicia (20.000 Armeni uccisi) noti come “Massacri hamidiani”. Ma fu dall’inizio della Prima guerra mondiale (luglio 1914) che ebbe inizio in Turchia il sistematico”Medz Yegern” , Grande Male, genocidio armeno.

La trasformazione della Turchia

In quel momento la Turchia si era alleata alla “Triplice Alleanza “ (Germania, Italia, Austria) contro la “Triplice Intesa “(Russia, Francia e Regno Unito). Molti Armeni disertarono dalle file dell’esercito turco aggregandosi a quello russo. Il loro intento era quello di riuscire a ottenere – a guerra finita -un appoggio da Mosca per conseguire l’autonomia dalla Turchia. Il Sultano Mehemet V, succeduto a Abdul Hamid, diede allora inizio a un nuovo progetto che prevedeva l’organica soppressione dell’intera etnia armena nell’Impero.

Nel 1914, al Governo della Turchia c’era il Partito”Unione e Progresso” (“Itthad ve Terraki Comijeti”) retto dai “Tre Pascià Djemal, Enver e Talat, quest’ultimo alla direzione del movimento modernista dei “Giovani Turchi”. Sorto nel 1889, questo movimento proponeva di trasformare l’Impero in una monarchia costituzionale, liberale e moderna. E nel 1908 aveva contribuito in modo fondamentale alla costituzione del Partito “Unione e Progresso”.

Il Panturchismo, le lotte interne, gli arresti e i genocidi taciuti

Il Governo diede origine a un Organismo speciale” (“O.S.”) dipendente dai Ministeri della Guerra, dell’Interno e della Giustizia al comando di due medici Nazim e Behaeddin Chakir. E con l’assistenza di Consiglieri militari dell’alleata Germania (Baroni von der Golz e von Ditfurth). Il suo scopo era quello di raggiungere in Turchia una omogeneità etnica, politica e religiosa su base nazionalistica (“Panturchismo”) alla quale gli Armeni cristiani erano estranei. Il 29/5/1914 il Comitato Centrale del Partito al potere fece approvare dal Parlamento una legge (“Techir”) che autorizzava la deportazione (“Aksor”) di chiunque fosse percepito come “minaccia per lo Stato”, indirizzata elettivamente contro gli Armeni.

Ma già nella notte tra il 23 e il 24 aprile avevano avuto inizio a Istanbul i primi arresti di personaggi eminenti e di intellettuali (giornalisti, scrittori, poeti) armeni. Gli arresti erano stati effettuati da truppe dell’esercito turco agli ordini del generale tedesco Frederich Bronsart von Schellendorf . Fu lui che provvide anche a disarmare tutti i militari armeni che militavano nell’esercito.

A caccia degli Armeni

Tra il dicembre 1914 e il febbraio 1915 vennero istituiti i “Creati Tchetè”, battaglioni speciali incaricati di eseguire la cattura di tutti gli Armeni a qualunque categoria appartenessero. E inoltre di consegnarli ai membri della “Teksilat i Mahusa” (Organizzazione speciale), gruppi formati da criminali comuni prelevati dalle carceri statali. Costoro erano incaricati – con la promessa di essere successivamente liberati – di uccidere tutti gli Armeni che venivano loro consegnati.

Ebbe così inizio il “Grande genocidio” armeno ( “Medz Yegern” noto come “Ermeni Soykirimi” massacro armeno, dai turchi). Gli Armeni venivano inviati, con appositi convogli controllati dai criminali liberati, ai lavori forzati nella costruzione della ferrovia Konya (Turchia) – Bagdad (Iraq) . Poi vennero deportati – con marce estenuanti note come “marce della morte” – in campi di raccolta situati nell’Anatolia interna. Il più tristemente famoso era quello di Dar es Zor nel cuore del deserto.

Milioni di persone massacrate e mai più ritrovate

Durante le marce della morte e la prigionia nei campi morirono centinaia di migliaia di prigionieri per sfinimento, denutrizione, malattie, sevizie e annegamenti. Altre centinaia di migliaia morirono uccisi direttamente dai carcerieri. Complessivamente si calcola che, tra il 1915 e il 1916, vennero uccisi dai Turchi 1.500.000 Armeni. Pari a circa i 2/3 di tutti gli Armeni presenti all’epoca nell’Impero ottomano. Arnold J.Toynbee, agente dell’Intelligence britannica in Anatolia (1916) calcola tale massacro tra 1.200.000 e 2.000.000 individui. E  l’“Enciclopedia britannica” (2010) in 1.750.000. Alla vigilia della Prima Guerra mondiale gli Armeni in Turchia assommavano a circa 2.000.000 e nel censimento del 1922 risultavano solo 400.000. Questo massacro viene ricordato dagli Armeni ogni anno il 24 aprile, giorno dell’inizio del “Medz Yegern” a Istanbul.

Un Monumento mausoleo è stato eretto nel 1967 a Yerevan sulla “Dzidzernagapert ” (Collina delle rondini) con una cuspide alta 42 metri e con un museo sotterraneo in memoria del genocidio. Altro Monumento si trova, formato da una corolla di 12 colonne – a ricordo delle 12 Provincie turche nelle quali ebbe luogo il genocidio – nel Sunset Park di Las Vegas (Nevada). Eretto dagli emigrati armeni negli Stati Uniti nel 2023.

‘Operazioni di sicurezza nazionale contro gruppi di ribelli’

I fatti che vennero a costituire la definizione di “Genocidio Armeno” sono stati, nel tempo, variamente interpretati. Numerosi interventi hanno sostenuto che i massacri del 1915/1916 in Turchia non rientrano nella categoria dei crimini definiti come “Genocidio”, ma sono da considerarsi come “Operazioni di sicurezza nazionale contro gruppi di ribelli”. In tal senso si sono espressi lo storico negazionista Bernard Lewis della “British Academy”(2010) e l’arcivescovo cattolico Boghos Levon Zekiyan (1997 e 2000), ma soprattutto i rappresentanti dei vari Governi succedutisi in Turchia dal 1915 ad oggi.

Tra questi ricordiamo il Ministro degli Interni ottomano Pascià Ahmed Talat (“ Gli armeni vanno distrutti come microbi tubercolotici di danno ai turchi onesti”- 1918), il Presidente turco Mustafà Kemal Ataturk (“Nessuna responsabilità governativa può essere dimostrata nella tragedia armena”-1925) e l’attuale Presidente della Turchia Recer Tayyip Erdogan ( “Non si dicano stupidaggini sulla questione armena del 1915” – 2015).

Giornalisti e scrittori incarcerati perchè contro il genocidio

Gli scrittori Orhan Pamuk e Taner Akam sono stati incarcerati e il giornalista Hrgnt Dink è stato ucciso per aver scritto che “ in Turchia nel 1915 venne perpetrato un eccidio”. Ancor oggi, in base all’articolo 301 del Codice penale turco, vengono puniti con la reclusione sino a 3 anni coloro che menzionano la parola “genocidio” nei loro scritti in quanto il fatto rientra nel reato di “vilipendio dell’identità nazionale”. Quanto accaduto nel biennio 1915/1916 in Turchia è stato riconosciuto come “genocidio” da 29 Stati del mondo. Ricordiamo fra questi l’Italia ( 17/11/2000 – Presidente Giuliano Amato), la Francia ( 6/2/2001 Presidente Francois Hollande) , la Germania ( 22/4/ 2015 – Presidente Angela Merkel, gli Stati Uniti (6/10/2019 – Presidente Barak Obama).

La condanna della S.Sede, con Papa Bergoglio

Anche la S.Sede, con Papa Bergoglio (20/4/2915), ha condannato apertamente il genocidio armeno come primo del XX secolo citando la stessa condanna espressa in precedenza nel 2001 da Papa Giovanni Paolo II. Questa presa di posizione del Vaticano aveva portato al richiamo in Patria dell’Ambasciatore turco presso la S.Sede. Papa Bergoglio parlò tuttavia ancora di “genocidio armeno” nel corso del suo viaggio apostolico in Armenia (2016), provocando le rimostranze del Vice Primo Ministro turco Canikli Nurettin. Questa persistente negazione di genocidio a carico della popolazione armena da parte del Governo turco è una delle cause che ostacola il procedimento di ingresso della Turchia nell’Unione Europea.

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Monza: al Binario 7 per il popolo armeno (Ilcittadinomb 05.04.24)

Domenica 7 aprile al Binario 7 di via Turati 8 a Monza, in sala Picasso, alle 17.30, lo spettacolo di musica e poesia armena “Il canto spezzato del popolo armeno: ieri e oggi”.

Monza: al Binario 7 per il popolo armeno, «storia e memoria»

Una serata dedicata «alla storia e alla memoria del popolo armeno, fino alla recente pulizia etnica compiuta in Nagorno K.-Artsakh, spiegando in dettaglio attraverso letture, musica e gli interventi dei relatori, la questione armena e i pericoli della destabilizzazione del Caucaso, uno dei punti più critici e a rischio del pianeta».

Monza: al Binario 7 per il popolo armeno, in scena

Intervengono l’ambasciatore Bruno Scapini, diplomatico, già ambasciatore d’Italia in Armenia, Cristina Carpinelli, CESPI – Centro Studi Problemi Internazionali; Ani Balian, Unione Armeni d’Italia.
In scena Luca D’Addino, reading, Ani Balian, canto, il maestro Gianfranco Iuzzolino al pianoforte.

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