La scrittrice Antonia Arslan alla Malatestiana per ripercorrere la storia del popolo armeno Eventi a Cesena (Cesenatoday 05.02.16)

La scrittrice Antonia Arslan alla Malatestiana per ripercorrere la storia del popolo armeno Eventi a Cesena

Il Centro culturale “Campo della Stella” propone venerdì 5 febbraio alle 17.30 nell’Aula Magna della Biblioteca Malatestiana un incontro con Antonia Arslan sul tema “Gli Armeni. Dal genocidio alla speranza” a un secolo dai tragici eventi che segnarono in modo così drammatico la storia del popolo armeno e che furono a lungo oscurati nella ricostruzione storica.

La scrittrice, figlia di profughi armeni in Italia è stata docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova. Attraverso l’opera del grande poeta armeno Daniel Varujan — del quale ha tradotto le raccolte II canto del pane e Mari di grano — ha dato voce alla sua identità armena. Ha poi curato un libretto divulgativo sul genocidio armeno (Metz Yeghèrn, Il genocidio degli Armeni di Claude Mutafian) e una raccolta di testimonianze di sopravvissuti rifugiatisi in Italia (Hushèr. La memoria. Voci italiane di sopravvissuti armeni).

Nel 2004 ha raggiunto il grande pubblico con il suo primo romanzo, La masseria delle allodole, che ha vinto il Premio Stresa di narrativa, è stato finalista del Premio Campiello e che tre anni dopo è stato portato sul grande schermo dai fratelli Taviani. Ha poi pubblicato nel 2009 La strada di Smirne e nel 2015 Il rumore delle perle di legno, dedicato alla sua infanzia in Italia e  alla madre.

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L’Azerbaijan condannato a Strasburgo per maltrattamenti contro un giornalista (Osservatorio Balcani e Caucaso 05.02.16)

La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Azerbaijan per trattamenti inumani e degradanti e mancanza di indagini effettive nel caso di Hilal Mammadov (no. 81553/12), giornalista maltrattato dalla polizia durante la detenzione in attesa di giudizio.
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Il 21 giugno 2012 Mammadov, direttore del giornale bilingue in azero e taliscio Tolishi Sado (La voce dei talisci), venne attaccato da poliziotti in borghese, che secondo il suo racconto lo pestarono, gli infilarono in tasca della droga, quindi lo infilarono in un’auto, insultandolo per le sue origini etniche e per un video che aveva caricato su Youtube. Mammadov si rese conto di essere stato preso in custodia dalle forze dell’ordine solo quando si ritrovò al dipartimento narcotici del ministero dell’Interno, dove venne arrestato per possesso di droga. Nonostante avesse dichiarato che la droga non gli appartenesse, Mammadov venne accusato di possesso illegale di grandi quantità di sostanze stupefacenti, oltre che di tradimento dello stato e di incitamento all’odio etnico, razziale, sociale o religioso, e venne messo in detenzione in attesa di giudizio.

I suoi ricorsi contro la detenzione preventiva vennero rigettati. Il 27 settembre 2013 venne condannato per tutti i capi d’imputazione a cinque anni di carcere, sentenza confermata in appello nel giugno 2014. Mammadov denunciò alle autorità investigative di essere stato maltrattato dalla polizia, ma nell’agosto 2012 e di nuovo nel novembre 2012 il vice procuratore generale rifiutò di aprire un’indagine sul caso. A Mammadov venne inoltre impedito di parlare in prigione con il suo legale, al quale venne sospesa la licenza d’avvocato.

Nel caso di Mammadov, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto la violazione degli articoli 3 (trattamenti inumani e degradanti, e diritto ad un’indagine) e 34 (diritto ad un ricorso individuale). Il governo di Baku dovrà pagare a Mammadov 15.500 euro per danni morali e spese legali. La sentenza di Strasburgo non è definitiva; il governo azero può richiederne una revisione presso la Gran Camera della Corte entro tre mesi.

Intanto Mammadov resta in carcere, nella prigione numero 17 di Baku. Secondo Human Rights Freedoms, Mammadov era stato coinvolto in attività a difesa dei diritti umani e aveva dato voce ad opinioni critiche, tanto sulla carta stampata quando sulle reti sociali, riguardo alle politiche delle autorità di governo. Amnesty International l’ha riconosciuto come uno dei tanti prigionieri di coscienza in Azerbaijan. Appelli per il suo rilascio sono venuti dal rappresentante dell’OSCE per la libertà dei media e dal rapporto del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa.

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Vaticano, torna ambasciatore turco dopo nota su eventi del 1915 (Vatican Insider 03.02.16)

In seguito ad una nota del Vaticano che stamane ha espresso apprezzamento per «il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori» relativamente al «dolore» e alle «sofferenze» sostenute, «indipendentemente dalla propria identità religiosa o etnica», «da tutte le parti coinvolte in guerre e conflitti, inclusi i tragici eventi del 1915», la Turchia, stasera, ha deciso il rientro in servizio del proprio ambasciatore presso la Santa Sede, Mehmet Pacaci, congelato dopo che, ad aprile scorso, il Papa aveva parlato apertamente del «genocidio» armeno.

Questa mattina, al termine dell’udienza generale, ha informato il Vaticano in una nota della sala stampa ripubblicata integralmente dall’Osservatore Romano, «il Signor Rinaldo Marmara ha presentato a Sua Santità Papa Francesco una copia del suo libro “La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657 / Ilk Canakkale Zaferi 1657”.

Questo volume è una traslitterazione italiana e turca di un manoscritto dal fondo Chigi della Biblioteca Apostolica Vaticana, ed è un resoconto della flotta pontificia che partecipò nella seconda battaglia dei Dardanelli nel 1657. Ieri sera, nel corso della presentazione del libro– prosegue la nota – l’Autore ha dichiarato che il suo obiettivo era di rendere accessibile agli storici e ai ricercatori turchi un’importante documentazione archivistica contenuta negli archivi vaticani e nella Biblioteca Vaticana. Il libro, nonostante le dolorose memorie della storia, illustra l’importanza delle ricerche erudite e dell’apertura degli archivi alle investigazioni storiche al servizio della verità e della costruzione di ponti di cooperazione e di mutua comprensione. Alla luce di ciò, è stato notato e apprezzato il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori delle parti interessate, con l’intenzione di arrivare congiuntamente ad una migliore comprensione degli eventi storici, del dolore e delle sofferenze sostenute, indipendentemente dalla propria identità religiosa o etnica, da tutte le parti coinvolte in guerre e conflitti, inclusi – sottolinea la nota – i tragici eventi del 1915. I dolorosi fatti della storia non dovrebbero essere dimenticati; essi invece richiedono un attento esame e riflessione in modo da poter condurre alla guarigione e purificazione della memoria così necessaria per la riconciliazione e il perdono per gli individui e i popoli (Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti al Convegno per commemorare il centenario della morte del Papa Leone XIII, 28 ottobre 2003).

La memoria della sofferenza e del dolore, sia del lontano passato che di quello più recente, come nel caso dell’assassinio di Taha Carim, Ambasciatore della Turchia presso la Santa Sede, nel giugno del 1977, per mano di un gruppo terroristico, ci esorta a riconoscere anche la sofferenza del presente e a condannare ogni atto di violenza e di terrorismo, che continua a causare vittime ancor oggi. Particolarmente odiosa e offensiva è la violenza e il terrorismo commesso in nome di Dio e della religione. Come Sua Santità ha affermato durante la sua visita nella Repubblica Centroafricana: “Tra cristiani e musulmani siamo fratelli… Insieme, diciamo no all’odio, no alla vendetta, no alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio” (Papa Francesco, Discorso alla Comunità Musulmana nella Moschea centrale di Koudoukou, Bangui, Repubblica Centroafricana, 30 novembre 2015). Possano queste parole – conclude la nota vaticana – ispirare tutte le persone di buona volontà a ricordare e ad affermare la loro fratellanza, solidarietà, compassione e umanità condivisa e a reiterare la loro posizione comune contro ogni violenza». A quanto riferito dallo stesso Marmara alla stampa anatolica, il Papa ha tenuto a far arrivare al popolo turco il suo affetto e apprezzamento.

In serata il ministero degli Esteri turco, per bocca del portavoce Tanju Bilgic, ha dichiarato, in risposta alle domande dei cronisti, che la dichiarazione della sala stampa vaticana è stata accolta come uno sviluppo positivo ed ha annunciato che torna in servizio a Roma l’ambasciatore turco presso la Santa Sede Mehmet Pacaci.

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13/04/2015

Presentato al Papa il libro “La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657″ (Radiovaticana.it 03.02.16)

Questa mattina, al termine dell’Udienza generale, è stato donata a Papa Francesco una copia del volume “La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657 / İlk Çanakkale Zaferi 1657”, da parte dell’autore, Rinaldo Marmara. Il libro è una traslitterazione italiana e turca di un manoscritto dal fondo Chigi della Biblioteca Apostolica Vaticana, ed è un resoconto della flotta pontificia che partecipò nella seconda battaglia dei Dardanelli nel 1657. Ieri sera, nel corso della presentazione del libro l’Autore ha dichiarato che il suo obiettivo era di rendere accessibile agli storici e ai ricercatori turchi un’importante documentazione contenuta negli archivi vaticani e nella Biblioteca Vaticana. “Il libro – si legge in una nota ufficiale – nonostante le dolorose memorie della storia, illustra l’importanza delle ricerche erudite e dell’apertura degli archivi alle investigazioni storiche al servizio della verità e della costruzione di ponti di cooperazione e di mutua comprensione”.

Alla luce di ciò, si precisa, “è stato notato e apprezzato il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori delle parti interessate, con l’intenzione di arrivare congiuntamente ad una migliore comprensione degli eventi storici, del dolore e delle sofferenze sostenute, indipendentemente dalla propria identità religiosa o etnica, da tutte le parti coinvolte in guerre e conflitti, inclusi i tragici eventi del 1915”.

“La memoria della sofferenza e del dolore, sia del lontano passato che di quello più recente, come nel caso dell’assassinio di Taha Carım, Ambasciatore della Turchia presso la Santa Sede, nel giugno del 1977, per mano di un gruppo terroristico, ci esorta a riconoscere – prosegue la nota – anche la sofferenza del presente e a condannare ogni atto di violenza e di terrorismo, che continua a causare vittime ancor oggi”. La nota conclude definendo “particolarmente odiosa e offensiva” la violenza e il terrorismo “commesso in nome di Dio e della religione” e citando le parole di Papa Francesco nella Repubblica Centroafricana: “Tra cristiani e musulmani siamo fratelli… Insieme, diciamo no all’odio, no alla vendetta, no alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio”.

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Ambasciatore turco torna in Vaticano dopo nota su nodo Armenia (First online 03.02.2016)

Città del Vaticano, 3 feb. (askanews) – In seguito ad una nota del Vaticano che ha espresso apprezzamento per “il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori” relativamente al “dolore” e alle “sofferenze” sostenute, “indipendentemente dalla propria identità religiosa o etnica”, “da tutte le parti coinvolte in guerre e conflitti, inclusi i tragici eventi del 1915”, la Turchia ha deciso il rientro in servizio del proprio ambasciatore presso la Santa Sede, Mehmet Pacaci, congelato dopo che, ad aprile scorso, il Papa aveva parlato apertamente del “genocidio” armeno.

“Questa mattina, al termine dell’Udienza Generale – informa il Vaticano in una nota ripubblicata integralmente dall’Osservatore Romano – il Signor Rinaldo Marmara ha presentato a Sua Santità Papa Francesco una copia del suo libro La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657 / ?lk Çanakkale Zaferi 1657. Questo volume è una traslitterazione italiana e turca di un manoscritto dal fondo Chigi della Biblioteca Apostolica Vaticana, ed è un resoconto della flotta pontificia che partecipò nella seconda battaglia dei Dardanelli nel 1657. Ieri sera, nel corso della presentazione del libro l’Autore ha dichiarato che il suo obiettivo era di rendere accessibile agli storici e ai ricercatori turchi un’importante documentazione archivistica contenuta negli archivi vaticani e nella Biblioteca Vaticana. Il libro, nonostante le dolorose memorie della storia, illustra l’importanza delle ricerche erudite e dell’apertura degli archivi alle investigazioni storiche al servizio della verità e della costruzione di ponti di cooperazione e di mutua comprensione. Alla luce di ciò, è stato notato e apprezzato il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori delle parti interessate, con l’intenzione di arrivare congiuntamente ad una migliore comprensione degli eventi storici, del dolore e delle sofferenze sostenute, indipendentemente dalla propria identità religiosa o etnica, da tutte le parti coinvolte in guerre e conflitti, inclusi – sottolinea la nota – i tragici eventi del 1915. I dolorosi fatti della storia non dovrebbero essere dimenticati; essi invece richiedono un attento esame e riflessione in modo da poter condurre alla guarigione e purificazione della memoria così necessaria per la riconciliazione e il perdono per gli individui e i popoli (Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti al Convegno per commemorare il centenario della morte del Papa Leone XIII, 28 ottobre 2003). La memoria della sofferenza e del dolore, sia del lontano passato che di quello più recente, come nel caso dell’assassinio di Taha Car?m, Ambasciatore della Turchia presso la Santa Sede, nel giugno del 1977, per mano di un gruppo terroristico, ci esorta a riconoscere anche la sofferenza del presente e a condannare ogni atto di violenza e di terrorismo, che continua a causare vittime ancor oggi. Particolarmente odiosa e offensiva è la violenza e il terrorismo commesso in nome di Dio e della religione. Come Sua Santità ha affermato durante la sua visita nella Repubblica Centroafricana: “Tra cristiani e musulmani siamo fratelli… Insieme, diciamo no all’odio, no alla vendetta, no alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio” (Papa Francesco, Discorso alla Comunità Musulmana nella Moschea centrale di Koudoukou, Bangui, Repubblica Centroafricana, 30 novembre 2015). Possano queste parole ispirare tutte le persone di buona volontà a ricordare e ad affermare la loro fratellanza, solidarietà, compassione e umanità condivisa e a reiterare la loro posizione comune contro ogni violenza”. A quanto riferito dallo stesso Marmara, il Papa ha tenuto a far arrivare al popolo turco il suo affetto e apprezzamento.

In serata il ministero degli Esteri turco, per bocca del portavoce Tanju Bilgic, ha detto, in una risposta scritta ad una domanda dei giornalisti, che la dichiarazione della sala stampa vaticana è stata accolta come uno sviluppo positivo ed ha annunciato che torna in servizio a Roma l’ambasciatore turco presso la Santa Sede Mehmet Pacaci.

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Andate in Armenia ma non a gennaio (huffingtonpost 03.02.16)

Volevamo la neve, il freddo, il ghiaccio. E andare a colpo sicuro. Certo, c’era anche il rischio di finire a meno venti in un Paese paralizzato dalle bufere, con i passi montani chiusi e le strade impraticabili. Ma ci siamo andati lo stesso, e ne siamo rimasti entusiasti: anche perché di turisti in Armenia, a inizio gennaio, c’eravamo solo noi.

In Armenia siamo entrati dalla Georgia, con un pulmino scassato preso nella stazione di Tbilisi. Là c’era il sole e non c’era nemmeno un millimetro di neve. Tutto il contrario dell’Armenia, dove a gennaio il cielo è color ghiaccio e il raro sole è breve e incapace di scaldare. A Yerevan abbiamo deciso di affittare una macchina: l’unica abbordabile era una Lada Niva che sembrava prodotta negli anni Settanta, e invece era del 2009.

Abbiamo passato tanti bei momenti insieme. Tipo quando abbiamo oltrepassato il passo di Vorotan, a 2344 metri sul livello del mare. È stata una giornata memorabile: eravamo così contenti che abbiamo fatto anche un video.

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San Biagio, vescovo e martire (blog.graphe.it 03.02.16)

3 febbraio: santo del giorno è san Biagio, venerato come vescovo e martire.

Le notizie storiche su san Biagio sono poche: secondo una tradizione fu vescovo di Sebaste in Armenia e morì martire sotto Licinio (320-324). Anche il Martirologio Romano è avido di informazioni: «San Biagio, vescovo e martire, che in quanto cristiano subì a Sivas nell’antica Armenia il martirio sotto l’imperatore Licinio». A dispetto di questa scarsità di informazioni, san Biagio ha goduto di molta venerazione nelle Chiese d’Oriente e d’Occidente, anche per i miracoli a lui attribuiti.

La tradizione vuole che fosse un medico e poi vescovo della sua città. Durante le persecuzioni non rinnegò la propria fede in Cristo e per questo venne condannato a morte. Come ogni passione dei martiri, anche quella di san Biagio è ricca di dettagli nati dalla pietà popolare: mentre andava al martirio salvò un bambino da morte certa, visto che aveva ingoiato una lisca di pesce; venne prima scarificato con un pettine di ferro ma, visto che non moriva, venne gettato in un lago che ghiacciò e ne impedì l’annegamento. Alla fine gli venne tagliata la testa.

I dettagli della sua vita ritornano nella devozione popolare: san Biagio è patrono della gola ed evita problemi con le lische di pesce; è patrono dei cardatori per via del pettine di ferro con cui fu martirizzato; la vicinanza con la Candelora fa sì che in molte parti si usino le candele per benedire la gola con una formula che, pur variando da zona a zona, è fondamentalmente la seguente: “Per intercessione di san Biagio il Signore ti liberi dal mal di gola e da ogni altro male”. In diverse parti d’Italia, poi, in occasione della festa di san Biagio si usa benedire del pane che si mangia con devozione. A Milano è tradizione mangiare un ultimo pezzo di panettone avanzato dal Natale.

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Turchia, altre due condanne a Strasburgo (Osservatorio Balcani e Caucaso 02.02.16)

Ennesime condanne per la Turchia presso la Corte europea dei diritti umani (organo del Consiglio d’Europa). Secondo i giudici di Strasburgo le autorità turche hanno violato libertà di espressione ed equo processo in due casi distinti, nel 1998 e 2002.

Nel caso di Yücel Erdener (no. 23497/05), la Corte ha riscontrato una violazione della libertà di espressione. Erdener, allora deputata del DSP (Partito della sinistra democratica) era stata perseguita civilmente per diffamazione nel 2002, dopo aver commentato in una discussione privata con un giornalista sulle cure fornite all’allora premier Bülent Ecevit in un ospedale universitario privato. Secondo la Corte europea, la condanna civile di Erdener per diffamazione era stata sproporzionata, in quanto si trattava di un’opinione personale con una sufficiente base fattuale, e che la sentenza aveva certamente avuto un effetto di deterrenza sul libero dibattito di questioni di interesse pubblico.

Nel caso di Ramazan Sodan (no. 18650/05), la Corte ha riconosciuto una violazione del diritto ad un equo processo e al rispetto della vita privata. Sodan, vice prefetto di Ankara nel 1998, era stato trasferito a Gaziantep (nel sud est del paese) dopo che un’ispezione lo aveva trovato inadatto al ruolo a causa del “carattere introverso” e del fatto che sua moglie portava il velo, in base a due circolari ministeriali sulla prevenzione del separatismo e del fondamentalismo tra gli alti funzionari pubblici. Sodan non era mai stato ascoltato durante la procedura, e i suoi ricorsi amministrativi erano stati rigettati. Secondo la Corte europea, l’intromissione nella vita privata di Sodan, benché prevista dalla legge, non era necessaria in una società democratica, e i ricorsi interni (durati oltre sei anni) erano andati oltre la durata ragionevole di un processo.

Nessuna violazione dei diritti umani da parte delle autorità turche è stata invece trovata nel caso di Cavit Tınarlıoǧlu (no. 3648/04), che riguardava un incidente navale.

Entrambe le sentenze non sono definitive; il governo turco può richiederne una revisione presso la Gran Camera della Corte entro tre mesi.

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Quanti sono gli armeni? (Agccomunication 31.01.16)

ARMENIA – Yerevan 31/01/2016. La popolazione armena, sulla base di censimento 2011, al 1 gennaio 2016 è pari a 2.998.600 persone.

Riporta il dato ‘agenzia Arka che riporta dati del Servizio Statistico Nazionale dell’Armenia. Secondo le statistiche, nel 1977 la popolazione armena era 2,9 milioni. nel 1978 aveva superato i 3 milioni, fino a raggiungere nel 1992, i 3,6 milioni di persone. La popolazione armena al 1 gennaio 2016 rispetto al 1 Gennaio 2015 è diminuita di 12 mila unità. La popolazione urbana nel 2015 è diminuita di 5.500 unità. Il più grande deflusso della popolazione è stato registrato a Yerevan e nelle regioni di Lori e Shirak. Nelle zone rurali, la popolazione è diminuita di 6.500 unità. Secondo il Servizio nazionale di statistica, il numero di bambini nati nel paese nel 2015 è diminuito del 2,8% rispetto al 2014.

Turchia: i profughi cristiani vivono nella paura (Imolaoggi 30.01.16)

  • Agli occhi di molti musulmani devoti, la tolleranza sembra essere una strada a senso unico.
  • “Nelle terre dei kuffar [gli infedeli], i musulmani possono e devono godere di tutti i tipi di libertà e privilegi; però, ai non musulmani non sono garantiti gli stessi diritti e privilegi, se vivono nel Dar al-Islam [il territorio dell’Islam, i paesi governati da musulmani]. … Nel nostro mondo globalizzato, una situazione del genere non può continuare.” – Jacob Thomas.
  • L’Occidente, che affonda le sue radici nella cultura giudaico-cristiana fondata sull’amore e la compassione, sembrerebbe avere la responsabilità morale di soccorrere anzitutto i cristiani, che sono i più minacciati e innocui dei migranti.

Secondo il quotidiano Hurriyet, i circa 45.000 cristiani armeni e assiri (noti anche come siriaci e caldei) che sono fuggiti dall’Iraq e dalla Siria e si sono stabiliti nelle piccole città anatoliche della Turchia sono costretti a nascondere la loro identità religiosa.

Da quando lo Stato islamico (Isis) ha invaso le città irachene e siriane, i cristiani e gli yazidi sono diventati il bersaglio principale del gruppo, trovandosi a dover affrontare un altro possibile genocidio per mano dei musulmani.

Anonis Alis Samcyan, un’armena che ha lasciato l’Iraq per la Turchia, ha raccontato a Hurriyet che in pubblico finge di essere musulmana.

“Un anno fa, mio marito ed io siamo fuggiti con i nostri due figli, insieme a una ventina di altre famiglie. “Ci hanno fatto pressioni in Iraq”, ha detto la donna, affermando che il marito – che in Iraq aveva una gioielleria – ora è disoccupato. “Abbiamo parenti in Europa. È solo grazie al loro aiuto che tiriamo avanti. I nostri bambini non possono andare a scuola qui perché non parlano turco.”

A rendere ancor più tragica la difficile situazione dei profughi cristiani in Turchia è il fatto che gli antenati di alcuni di questi profughi furono cacciati dall’Anatolia un secolo fa dalle autorità ottomane e dai musulmani del luogo, nel corso del cosiddetto genocidio armeno e di quello assiro del 1915.

Anche Linda e Vahan Markaryan sono fuggiti in Turchia con i loro due bambini. La loro casa a Baghdad è stata rasa al suolo dai jihadisti dell’Isis.

“Mia figlia Nuşik, di 7 anni, da quel giorno ha smesso di parlare. Lavoriamo sodo per poterle pagare le cure, ma lei non accenna a dire una parola”, ha raccontato Linda Markaryan, aggiungendo che gli è stato difficile professare la loro religione. “Dobbiamo pregare in casa”.

A partire dal VII secolo, gli eserciti jihadisti islamici invasero il Medio Oriente e il Nord Africa. Le popolazioni autoctone e non musulmane di quelle terre hanno certamente dimenticato che cosa significano incolumità, sicurezza e libertà religiosa.

In ogni paese che ora è a maggioranza musulmana, ci sono storie orribili di sottomissioni violente, stupri, schiavitù e omicidi di non musulmani per mano dei jihadisti.

I cristiani sono presenti in Siria fin dagli albori del Cristianesimo, oggi però, dopo le incursioni dell’Isis, fuggono per salvarsi la vita.

Le invasioni musulmane della Siria bizantina avvennero nel VII secolo sotto i successori di Maometto. i califfi Abu Bakr e Umar ibn al-Khattab. Nel 634, Damasco, che allora era per lo più cristiana, fu la prima grande città dell’Impero bizantino a cadere sotto il controllo del califfato dei Rashidun.

In seguito, Damasco divenne la capitale del califfato omayyade, il secondo dei quattro grandi califfati islamici, e l’arabo diventò la lingua ufficiale.

L’Iraq, da dove arrivano molti dei profughi cristiani presenti in Turchia, fu anche teatro di una campagna di islamizzazione.

Nel 636, gli arabi musulmani invasero quello che oggi viene chiamato “Iraq” e che all’epoca era una provincia dell’Impero persiano dei Sasanidi; bruciarono i testi sacri dello Zoroastrismo, giustiziarono i preti, saccheggiarono le città e fecero schiavi gli abitanti – proprio come l’Isis fa oggi.

Quando gli eserciti musulmani conquistarono le terre non musulmane, i cristiani e gli ebrei dovettero scegliere se convertirsi, essere uccisi o vivere come “dhimmi“, cittadini di terza classe, a malapena “tollerati” nella propria terra espropriata e costretti pagare una tassa (la jizya), in cambio della cosiddetta “protezione”.

Ora, nel XXI secolo, i cristiani in Turchia dicono di vivere ancora nella paura.

Il 28 dicembre 2012, ad esempio, Maritsa Kucuk, una donna armena di 85 anni, è stata picchiata e accoltellata a morte nella sua casa nel quartiere di Samatya (che accoglie una delle più grandi comunità armene di Istanbul), dove viveva da sola. Suo figlio, Zadig Kucuk, che ha trovato il cadavere della madre, ha raccontato che sul petto della donna era stata incisa una croce.

Nel dicembre 2012, sempre a Samatya, un’altra donna, T.A., 87 anni, è stata aggredita, picchiata e soffocata nella sua abitazione. E ha perso un occhio.

“La stampa, la polizia, i politici e le autorità non hanno rivolto la loro attenzione a questo problema”, ha scritto Rober Koptas, che allora era direttore responsabile del quotidiano bilingue armeno, Agos. “Essi preferiscono tacere, come se queste aggressioni non fosse mai avvenute. E aumenta l’apprensione di tutti gli armeni che vivono in Turchia”.

A gennaio 2013, Ilker Sahin, 40 anni, un insegnante di una scuola armena di Istanbul, fu decapitato in casa sua.

Nel 2011, un tassista turco a Istanbul dette un pugno a una cliente armena dicendole: “Il tuo accento è pessimo. Sei una kafir [infedele]“.

Agli occhi di molti musulmani devoti, la tolleranza sembra essere una strada a senso unico. Parecchi musulmani pare che non abbiano ancora imparato a trattare gli altri con rispetto. I non musulmani del “mondo musulmano” vengono uccisi o sono costretti a vivere nella paura. Molti musulmani a quanto pare pensano ancora che i non musulmani siano i loro dhimmi e che possono trattarli male.

Nei paesi occidentali, i musulmani sono considerati cittadini come gli altri con pari [doveri e] diritti. Ma alcuni di loro spesso chiedono di avere più “diritti” – privilegi da parte dei governi – come i tribunali islamici della sharia con un sistema giuridico parallelo. Se le loro richieste non vengono soddisfatte, essi accusano la gente di “islamofobia” o “razzismo”.

Nei paesi a maggioranza musulmana, tra cui la Turchia, i non musulmani vengono di continuo insultati, minacciati o persino uccisi – e la maggior parte dei musulmani, comprese le autorità statali, non sembrano affatto curarsene.

“La relazione intercorrente tra l’Islam e il resto del mondo è asimmetrica”, ha scritto l’autore Jacob Thomas,

Nelle terre dei kuffar [gli infedeli], i musulmani possono e devono godere di tutti i tipi di libertà e privilegi; però, ai non musulmani non sono garantiti gli stessi diritti e privilegi, se vivono nel Dar al-Islam [il territorio dell’Islam, i paesi governati da musulmani]. I politici occidentali non sembrano accorgersi di questa anomalia; mentre la maggior parte degli accademici occidentali non sembrano preoccupati della mancanza di questa contropartita nel mondo musulmano. Nel nostro mondo globalizzato, una situazione del genere non può continuare.”

Purtroppo, l’odio verso gli ebrei è diventata una regola nei paesi musulmani, e questa regola non scomparirà presto. Questo significa che i cristiani in Medio Oriente continueranno a soffrire o anche a essere uccisi, e finiranno per estinguersi se il mondo civilizzato non li aiuterà.

Come ha detto Linda Markaryan, la profuga cristiana che ora vive in Turchia dopo essere fuggita dall’Isis in Iraq: “Non abbiamo un futuro qui. Tutto è incerto nella nostra vita. Il nostro unico desiderio è quello di offrire un futuro migliore ai nostri figli, in un luogo dove siano al sicuro”.

“Svolgiamo solo lavori precari nei cantieri edili”, ha precisato suo marito, Vahan Markaryan. “Gli altri lavoratori [che sono cittadini turchi] guadagnano 100 lire turche al giorno, mentre noi per lo stesso lavoro ne prendiamo solo 25. Non possiamo invocare i nostri diritti”.

Il quotidiano Hurriyet ha riportato che i profughi cristiani in Turchia hanno chiesto alle Nazioni Unite di poter recarsi negli Stati Uniti, in Canada o in Austria, e in attesa del permesso di partire potranno restare in Turchia solo fino al 2023.

Tutti i paesi occidentali dovrebbero concedere subito lo status di rifugiati ai cristiani in fuga dai paesi musulmani. L’Occidente, che affonda le sue radici nella cultura giudaico-cristiana fondata sull’amore e la compassione, sembrerebbe avere la responsabilità morale di soccorrere anzitutto i cristiani, che sono i più minacciati e innocui dei migranti.

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