PADOVA -dal 26 novembre al 2 dicembre – III Edizione del Dessaran festival: settimana della cultura armena

Padova la III Edizione del Dessaran festival: settimana della cultura armena
(da lunedì 26 novembre a domenica 2 dicembre).
Le manifestazioni inizieranno 
LUNEDì 26 NOVEMBRE 
presso il Piccolo teatro Don Bosco, 
Via Asolo 2 (zona Paltana), Padova 
alle ore 21.00 
con lo spettacolo teatrale 
“UNA BESTIA SULLA LUNA”
(allestito in collaborazione con 
il CTB, Centro teatrale bresciano)
 

DESSARAN FESTIVAL

settimana della cultura armena

III EDIZIONE

 

Padova, 26 novembre – 2 dicembre 2018

________________________________________________________

 

Lunedì 26 novembre 2018 – ore 21

Piccolo Teatro Don Bosco – via Asolo, 2

UNA BESTIA SULLA LUNA

in collaborazione con CTB Centro Teatrale Bresciano, Fondazione Teatro Due Parma

 

di Richard Kalinoski
con Elisabetta Pozzi
e con Fulvio Pepe, Alberto Mancioppi e Luigi Bignone
traduzione di Beppe Chierici – scene Matteo Patrucco – luci e video Cesare Agoni – costumi Ilaria Ariemme – musiche Daniele D’Angelo
regia di Andrea Chiodi

Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti, prenotazione obbligatoria alla mail dessaran@nairionlus.org

 

 

Martedì 27 novembre – ore 18

Museo della Padova Ebraica, Palazzo Antico Ghetto – via Delle Piazze, 26

TRA SOTTOMISSIONE E RESISTENZE.

CONGIUNZIONE FRA ARMENI ED EBREI IN ORIENTE

Ad accompagnare gli ascoltatori Antonia Arslan e Vittorio Robiati Bendaud

Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti, prenotazione obbligatoria alla mail dessaran@nairionlus.org

 

Mercoledì 28 novembre – ore 21

Auditorium Centro Culturale Altinate San Gaetano – via Altinate, 71

DA ISMENE A JOLE: VIAGGI CHE DURANO UNA VITA

Con Antonia Arslan e Matteo Righetto

Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti, prenotazione obbligatoria alla mail dessaran@nairionlus.org

 

Giovedì 29 novembre – ore 18

Sala dei Giganti, Palazzo Liviano – piazza Capitaniato, 7

UN CANTO ANTICO DALL’ARMENIA

Con Anais Rebecca Heghoyan e Kristina Arakelyan

Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti, prenotazione obbligatoria alla mail dessaran@nairionlus.org

 

Venerdì 30 dicembre – ore 18

Caffè Pedrocchi, Sala Rossini – via VIII Febbraio, 15

UN VIAGGIO TRA I PROFUMI E I SAPORI NELLE TERRE DI NAIRI

Con Antonia Arslan e Anna Maria Pellegrino

Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti, prenotazione obbligatoria alla mail dessaran@nairionlus.org

 

Sabato 1 dicembre – ore 17.30

Musei Civici agli Eremitani, Sala del Romanino – piazza Eremitani, 8

L’ARTE DELLA CALLIGRAFIA ARMENA: IL PASSATO E IL PRESENTE

Antonia Arslan presenta Ruben Malayan

Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti, prenotazione obbligatoria alla mail dessaran@nairionlus.org

 

Domenica 2 dicembre – ore 20.45

Multisala MPX Sala Petrarca – via Bonporti, 22

PROIEZIONE DEL FILM HOTEL GAGARIN DI SIMONE SPADA

Biglietto speciale Euro 5,00 in occasione del Dessaran Festival

 
N.B. 
Le PRENOTAZIONI per tutti gli eventi del Dessaran festival  saranno accolte a partire 
DAL 12 NOVEMBRE al seguente indirizzo di posta elettronica: 
 

“La bellezza sia con te” il nuovo libro di Antonia Arslan in libreria dal 20 novembre

“Nel cuore dell’uomo la speranza è come una fiammella: e uno dei più grandi peccati contro lo spirito avviene proprio quando viene cancellata o spenta. Ci vuole molto coraggio per cercare sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno, per osare la ricerca del cane che salva l’uomo e non di quello che lo azzanna.”È questo l’augurio di Antonia Arslan: che la fiammella della speranza non si spenga mai. In tempi troppo spesso bui, la segreta bellezza dell’altro è la sola fonte di salvezza, l’unica luce che possa liberarci dalle tenebre dell’intolleranza. E così non esiste crescita interiore senza condivisione, non c’è cammino senza incontro, non c’è amore per il Paese senza memoria delle origini.Lo sa bene la testimone diretta dello scambio tra popoli: lei che attendeva nella sua casa di Padova i parenti sparsi e divisi dalla diaspora, davanti ai quali spalancava gli occhi incuriosita dai racconti dei cibi armeni e dei colori vivaci delle miniature. O sempre lei che scopriva che il nonno Yerwant aveva dato ai suoi figli quattro nomi armeni ciascuno, nonostante avesse compreso che l’antica patria era perduta per sempre e avesse deciso di dedicarsi a quella nuova con inesauribile energia.Dopo esili e diaspore, partenze e abbandoni che hanno segnato indelebilmente il destino di Oriente e Occidente, navigare verso la tregua è l’unica direzione accettabile; e proprio attraverso queste pagine che narrano di meravigliosi mondi lontani, ancora una volta la scrittrice della Masseria delle allodole ci conduce verso l’intimo equilibrio degli affetti e la scoperta dell’altro.

Borse di studio per stranieri offerte dall’Università degli Studi del Molise

Siamo stati informati della opportunità offerta dall’Università degli Studi del Molise di ottenere delle borse di studio per stranieri per il biennio accademico 2019-2020.
Le domande devono pervenire entro dicembre.
Qui sotto la descrizione della richiesta. 
L’Università degli Studi del Molise, (http://www.unimol.it/) offre per l’anno 15 borse di studio per studenti stranieri. La borsa include un contributo monetario, l’alloggio e le tasse universitarie.
La Unimol è una università in forte espansione, in una regione tre le più belle d’Italia con un basso costo della vita.
I 6 dipartimenti della università organizzano 32 corsi per un’offerta formativa tra le più complete in Italia.
-Dipartimento Agricoltura, Ambiente e Alimenti(1a in Italia)
-Dipartimento Bioscienze e Territorio
-Dipartimento di EconomiaDipartimento Giuridico
-Dipartimento di Medicina e Scienze della Salute “Vincenzo Tiberio”
-Dipartimento Scienze Umanistiche, Sociali e della Formazione

NOVITA’ IN LIBRERIA – I peccati dei padri – Negazionismo turco e genocidio armeno

IN LIBRERIA

I peccati dei padri

Negazionismo turco e genocidio armeno

di Siobhan Nash-Marshall
con una nota introduttiva di Antonia Arslan
traduzione di Vittorio Robiati Bendaud

Pubblicato negli Usa a fine 2017, I peccati dei padri è considerato da diversi studiosi il massimo contributo filosofico sul genocidio armeno. La ricerca di Siobhan Nash-Marshall, docente di teoretica a NY, scopre le oscure origini di ideologie e comportamenti aberranti, di cui non riusciamo a comprendere la ragione profonda. Scavando alla radice del problema del genocidio armeno e del negazionismo turco, si rappresenta l’emblema della crisi del pensiero occidentale, una crisi culturale e sistemica che secondo l’autrice ha origine nel pensiero di Cartesio.

«I filosofi evitano di parlare di genocidi. Ed è per questo che I peccati dei padri è un libro di cui molto si sentiva il bisogno. Un contributo essenziale nel campo degli studi sul genocidio armeno».

Taner Akҫam

Nel 1915 il governo dell’Impero Ottomano cominciò a scacciare gli armeni dalle terre dove i loro antenati avevano vissuto da tempi immemorabili. Gli uomini furono uccisi; donne, vecchi e bambini furono deportati nella parte più inospitale del deserto siriano, del tutto inadatta al vivere umano.

Ma la pulizia etnica nell’Armenia occidentale era solo una parte del progetto dei Giovani Turchi per l’intera Anatolia. Lo scopo finale era in realtà di trasformare quelle terre nella «terra avita del popolo turco» (il cosiddetto vatan), un luogo dove la cultura, l’economia e la gente fossero tutti turchi. Questo progetto fu attuato su larga scala in ogni direzione, con impressionante determinazione e violenza. La Turchia odierna sta ancora cercando di costruire il suo vatan, proseguendo così il genocidio iniziato dai turchi ottomani, e continuando a negare, di fatto, che questo abbia avuto luogo. Coprire un crimine vuol dire prolungarne gli effetti.

Usando le più recenti ricerche accademiche, Nash-Marshall riesce a indagare con successo le profonde radici intellettuali dell’idea di genocidio nelle teorie filosofiche occidentali.

In I peccati dei padri Nash-Marshall mette in rapporto l’assoluto disprezzo dei fatti e delle genti, del territorio e della storia che è caratteristica comune sia del genocidio nel 1915 che dell’attuale negazionismo turco, con la vacua sprezzante indifferenza alla realtà fattuale che si diffonde sempre di più nel mondo moderno.

SIOBHAN NASH-MARSHALL è titolare della Mary T. Clark Chair of Christian Philosophy al Manhattanville College di New York. Autrice di libri e articoli accademici di filosofia teoretica (come il fondamentale testo su Severino Boezio), negli ultimi anni ha dedicato particolare attenzione, con articoli e conferenze in tutto il mondo, allo studio dei genocidi e del negazionismo.

  1. Nash-Marshall, I peccati dei padri.Negazionismo turco e genocidio armeno, con nota introduttiva di Antonia Arslan, traduzione di Vittorio Robiati Bendaud, pag. 274, euro 18,50, ISBN 9788862507240, collana Frammenti di un discorso mediorientale, Guerini e Associati, Milano 2018.

Edizioni Angelo Guerini e Associati è una Casa Editrice indipendente specializzata in saggistica fondata a Milano nel 1987. Ad oggi sono stati editati oltre tremila titoli su temi quali la ricerca scientifica, il dibattito politico e culturale, l’evoluzione della didattica universitaria, lo sviluppo professionale.

 

Novità in libreria: “Operazione Akhtamar – Bruno Scapini”

La “Grande Tragedia” che ha colpito il popolo armeno, rimasto così vittima del primo genocidio del XX secolo, è oggetto di un piano vendicativo ordito dal capo di Stato Maggiore dell’Esercito armeno. Questi, appoggiandosi alle forze dell’eversione curda in Turchia e a gruppi ultranazionalisti greci, mette in atto una provocazione che serve all’Armenia da pretesto per intervenire militarmente a propria difesa e occupare le antiche terre dell’Anatolia Orientale dove esisteva un tempo il Regno di Armenia. Il piano, chiamato segretamente Operazione Akhtamar sulla base di una antica leggenda armena, prevede l’intervento militare di Yerevan approfittando di vari eventi: attacchi seriali dei curdi sul fronte orientale, un attentato al Ponte Selim sul Bosforo e un tentativo di golpe contro il regime turco. All’inizio il piano sembra riuscire. Gli armeni riescono a issare sulla fortezza di Kars la loro bandiera riappropriandosi così delle terre che i Trattati di Sèvres e di Losanna all’inizio del ’900 avevano rispettivamente prima previsto e poi negato. Tuttavia, l’esito nefasto del golpe militare e le complicazioni a livello internazionale della crisi, per la quale interviene, ma senza successo, lo stesso Consiglio di Sicurezza dell’ONU, influiscono negativamente sulla posizione dell’Esercito armeno che, trovandosi a fronteggiare le forze armate turche, ormai ricompattatesi, riesce ad evitare il peggio grazie all’intervento dell’aviazione russa.

 

Bruno Scapini è nato a Roma nel 1949. Laureato in Scienze politiche, ha iniziato la sua carriera diplomatica nel 1975, ricoprendo tra il 1978 e il 2014 diversi incarichi sia all’estero che in Italia. Ha svolto funzioni di console generale a Capodistria in Slovenia e a Losanna in Svizzera, venendo nel corso della carriera assegnato come consigliere presso le ambasciate d’Italia in Ghana, Turchia, Lussemburgo e Atene. In Italia, presso il Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale è stato capo ufficio del Servizio del contenzioso diplomatico ed ispettore del Ministero e, presso il Dipartimento degli italiani nel mondo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, tra il 1995 e il 2000, è stato capo ufficio dei diritti politici degli italiani all’estero e, successivamente, capo del Dipartimento medesimo. Da ultimo, ha ricoperto l’incarico di ambasciatore e ministro plenipotenziario in Armenia dal 2009 al 2013. Ha lasciato la carriera diplomatica nel 2014, ma continua ad occuparsi di relazioni con l’Armenia, in qualità di presidente onorario dell’Associazione italo-armena per il commercio e l’industria.

 

  • Genere: Narrativa
  • Listino: € 15,90
  • Editore: Albatros
  • Collana: Nuove Voci Confini
  • Pagine: 290
  • Lingua: Italiano
  • EAN: 9788856793529

Novità in libreria. Il viaggio di una promessa

Il viaggio di una promessa. Attraverso la storia di un popolo dimenticato. Gli armeni nascosti dell’Anatolia di Fatemeh Sara Gaboardi Maleki Minoo

Descrizione

“…Ho vissuto e condiviso le storie quotidiane del popolo curdo e del popolo armeno, entrambi martoriati da interessi politici ed economici, ma sempre fieri e pronti a rialzarsi. Per questa ragione ho voluto ricordarli attraverso il racconto della mia esperienza, facendo conoscere le loro vicende… Fatti come questi servono a ricordarci quanto sia precaria e fuggevole la vita. Tutti siamo concentrati sull’inessenziale, fingiamo di essere ciò che in realtà non siamo… Oggi ripercorro quegli anni, trascorsi accarezzando pagine e pagine di libri, che con le loro storie di popoli e uomini mi hanno fatto comprendere il senso della vita…” (Dalla prefazione dell’autrice)

Dopo aver letto il libro Il viaggio di una promessa. Attraverso la storia di un popolo dimenticato. Gli armeni nascosti dell’Anatolia di Fatemeh Sara Gaboardi Maleki Minoo ti invitiamo a lasciarci una Recensione qui sotto: sarà utile agli utenti che non abbiano ancora letto questo libro e che vogliano avere delle opinioni altrui. L’opinione su di un libro è molto soggettiva e per questo leggere eventuali recensioni negative non ci dovrà frenare dall’acquisto, anzi dovrà spingerci ad acquistare il libro in fretta per poter dire la nostra ed eventualmente smentire quanto commentato da altri, contribuendo ad arricchire più possibile i commenti e dare sempre più spunti di confronto al pubblico online.

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ROMA – dal 31 ottobre al 11 novembre 2018 – “LA BASTARDA DI ISTANBUL” – Sala Umberto

Dal 31 ottobre al 11 novembre 2018

LA BASTARDA DI ISTANBUL 

Sala Umberto

Dall’omonimo romanzo di ELIF SHAFAK

con SERRA YILMAZ, VALENTINA CHICO, RICCARDO NALDINI, MONICA BAUCO, MARCELLA ERMINI, FIORELLA SCIARRETTA, DILETTA OCULISTI, ELISA VITIELLO

Riduzione e regia ANGELO SAVELLI

Dopo il grande successo della scorsa stagione, torna a grande richiesta lo spettacolo che ha registrato 12 sold out e 6000 spettatori.

Un’affascinante saga familiare multietnica, popolata da meravigliosi personaggi femminili, da storie brucianti e da segreti indicibili che legano Istanbul all’America e la Turchia all’Armenia.

Elif Shafak, indiscussa protagonista della letteratura turca, grande conoscitrice del passato e profonda osservatrice del presente del suo Paese; Serra Yilmaz, attrice amatissima e fascinosa affabulatrice nonchè testimone vivente della fecondità del dialogo interculturale; Angelo Savelli autore di un’audace riduzione del complesso romanzo e saldo timoniere di un cast attoriale di grande spessore; tutti insieme affrontano questo viaggio teatrale nella cattiva coscienza di una famiglia e di un popolo, navigando tra gli scogli della tragedia e le onde dell’ironia, mentre all’orizzonte scorrono le mobili e colorate video-scenografie di Giuseppe Ragazzini..

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PREZZO SPECIALE RIDOTTO 

riservato ai membri della comunità armena di Roma

per le date del 1-2 e 3 novembre (Spettacolo serale ore 21.00)

PLATEA  prezzo ridotto a 23 euro (invece di 34)     –   GALLERIA prezzo ridotto a 16.50 euro (invece di 24)

Per gli altri giorni (da martedì a giovedì ore 21.00)

PLATEA  prezzo ridotto a 26 euro (invece di 34)     –    GALLERIA prezzo ridotto a 19.50 euro (invece di 24)

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Coloro che sono interessati ad usufruire della riduzione di cui sopra   

sono pregati di inviare il nominativo dei partecipanti segnalando la data, l’orario ed il posto scelto a

“email@comunitaarmena.it”

entro e non oltre sabato 29 ottobre 2018.

 

BOLOGNA – dal 7 novembre – Seminari su “The Armenian Church: history, doctrine, canon law”

Quattro seminari su The Armenian Church: history, doctrine, canon law che il dott. Garnik Harutyunyan terrà all’Università di Bologna a partire da mercoledì 7 novembre,

 

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Adieu, Charles (Rassegna 02.10.18)

Quotidianocontribuenti.com

di Patrizia Orofino

Chahnourth Varinag Aznavourian, in arte Charles Aznavour è passato a miglior vita ieri, all’età di 94 anni. Nacque a Parigi nel 1924 da genitori armeni, la madre scampò al genocidio armeno del 1915,  quel massacro che fu causa della, deportazione obbligata degli armeni, verso prigioni controllate dai turchi e la morte di 1.500.000 persone, uno sterminio degli inizi del novecento.

Un miracolo che i genitori di Aznavour riuscirono a salvarsi, per poi ritrovarsi da immigrati  a vivere in Francia; il padre faceva il cuoco, la madre  era figlia di commercianti armeni. Da ragazzino fu introdotto nel mondo teatrale e dello spettacolo proprio dai suoi genitori che, intravedevano in lui doti e talenti artistici da coltivare. Nel 1946 la meravigliosa Edit Piaf, lo nota e lo porta con lei per una tournèe in Francia e all’estero che, gli diede l’opportunità di farsi conoscere, ma anche di fare la sua prima vera esperienza di chansonnier della canzone francese.

Negli anni Cinquanta del Novecento, diviene una star. Numerose furono le sue esibizioni nei più famosi palcoscenici  di tutta Parigi e della Francia, prediligendo tuttavia l’Olympia. Le sue interpretazioni, nel corso della sua lunghissima carriera lasciavano il segno negli spettatori che andavano a sentire i suoi concerti; mai banali i suoi spettacoli, la buona musica e gli eccellenti testi scritti proprio da lui, gli permisero di entrare nel cuore di milioni di persone in tutto il mondo.

Il suo talento andava oltre la canzone d’amore. Fu uno dei primi ad intrerpretare nel 1972 una canzone dedicata agli omosessuali: “Che si dice”, infatti, attacca i preconcetti omofobi molto pesanti e presenti, all’epoca nella vita di coloro i quali non erano liberi di amare ufficialmente persone dello stesso sesso.

Il suo immenso talento camaleontico gli consentì di cantare in sette lingue: inglese, francese, italiano, spagnolo, tedesco, russo e napoletano (quest’ultima considerata una vera e propria lingua unica ed inimitabile). Vendette oltre 300 milioni di dischi in tutto il globo, il suo repertorio evergreen ancora oggi è riproposto da tanti artisti di nuova generazione. Ha duettato con la crème dei cantanti di fama mondiale come: Liza Minnelli, Compay Segundo, Cèline Dion, e con artisti italiani del calibro di: Mia Martini, Iva Zanicchi e Laura Pausini. Altrettanti omaggi, resi ad Aznavour da cantautori italiani che, da Modugno a Battiato, da Enrico Ruggieri a Gino Paoli, Renato Zero, Mina, Milva e tanti altri, hanno cantato in italiano le sue opere.

Canzoni come: “Ed io tra di voi”, ” L’Istrione”, ” Com’è triste Venezia”, ” La Boheme”, sono solo alcuni esempi di come il  cantautore gentiluomo, ha lasciato la sua arte ai posteri.

Ha conosciuto e vissuto la vita, ed i suoi valori più intimi, riportando tutto questo in poesia d’amore e di vita. In 94 anni di cose ne ha viste Aznavour, attraversando generazioni e tuttavia anticipandone spesso i suoi mutamenti sociali. La sua carriera ricca di percorsi, ci ha insegnato come l’arte arrivi all’animo più intimo e personale di un individuo; la sua vita personale, quella di un figlio di immigrati scampati ad un genocidio, ci riporta ai giorni nostri, a ciò che viviamo. Storie uguali di guerre, di dolore di violenza, cui gli immigrati cercano di sfuggire e che spesso, si ritrovano isolati perchè “diversi”.

La diversità il 22 Maggio del 1924 portò una ricchezza in più alla Francia ed al mondo, la nascita  di Charles Aznavour, esempio di un’opportunità di vita migliore, in un paese straniero;  quella della realizzazione di un sogno realizzato che, non poteva essere compiuto se quel paese straniero non avesse accolto i genitori di Aznavour.

Arrivederci e non addio maestro, perchè ogni qualvolta  che, riascolteremo una tua chanson, tu sarai lì a farcela rivivere interamente come sempre. Grazie straordinario chansonnier per averci regalato un pezzo della tua anima. 


Il rifugio svizzero di un cantante popolare in tutto il mondo (Swissinfo 02.10.18)

Charles Aznavour viveva in Svizzera dal 1972. Una scelta che non era motivata solo dalla pressione del fisco francese. “La Svizzera è un’oasi di pace”, aveva dichiarato a swissinfo.ch il cantante, i cui genitori erano fuggiti dal genocidio armeno un secolo fa.

“La Svizzera è un’oasi di pace. Tutto è più calmo, più pudico, anche i semafori rossi diventano più lentamente verdi e viceversa. È un paese che rispetto e amo molto. Ho fatto naturalizzare i miei figli”, dichiarò nel 2011 Charles Aznavour a Bernard Léchot, all’epoca giornalista di swissinfo.ch e tuttora musicista.

E il poeta delle parole e delle melodie aggiunse: “Io ho rinunciato per una questione di fedeltà. La Francia ha dato ai miei genitori la possibilità di avere una vita normale e crescere i loro figli. Non potevo tradire questo. Ho lasciato la Francia molto adirato, perché mi ha ferito molto. Ho subito un vero e proprio linciaggio”.

È nel 1972 che si trasferisce in Svizzera con la famiglia. Dapprima nel Vallese. Il “blocco aznavouriano”, secondo le sue parole al quotidiano La Tribune de Genève, trasloca in seguito nel cantone di Ginevra, sulle rive del lago Lemano, dal quale non stacca gli occhi nel 2012 cambia di nuovo casa e si trasferisce a Saint-Sulpice nel cantone di Vaud.

Ambasciatore dell’Armenia in Svizzera

Lo scorso aprile ha fatto la sua ultima apparizione pubblica in Svizzera. A Ginevra, l’ambasciatore – in Svizzera e all’ONU – Charles Aznavour partecipa all’inaugurazione dei “Lampioni della memoria”, un memoriale dedicato agli armeni massacrati un secolo fa in Turchia e ai tanti svizzeri che si erano allora mobilitati in loro favore.

“L’ho trovata di una sublime bellezza. Più svizzera che armena, anche se è un giovane armeno che l’ha concepita. Non è un monumento ai morti, è un luogo formidabile: sembra una Rambla, dove ci si avventurerebbe per incontrare una futura sposa…”, aveva detto a swissinfo.ch nel 2011, in merito all’opera.

Un progetto che ha avuto grandi difficoltà a concretizzarsi, a causa delle pressioni del governo turco.

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Il genocidio armeno mette in luce la crisi attuale in Medio Oriente

Di Frédéric Burnand, Ginevra

I Lampioni della Memoria rendono omaggio agli armeni uccisi oltre un secolo fa in Turchia e agli svizzeri che si sono mobilitati in loro favore.

Qual è stato il suo legame tra le canzoni che ha scritto e la tragedia vissuta dagli armeni? “Ciò che mi ha avvicinato alle difficoltà delle persone è questo. Il dolore di vivere è lì. Troviamo tutto ciò negli armeni, ma anche negli spagnoli, negli ebrei, nei maghrebini, oggi, come ieri nei neri americani. Ho letto poesie di donne armene, anonime, sono molto vicine al mio modo di scrivere”, aveva risposto a Bernard Léchot.

Charles Aznavour è stato un cantautore popolare per eccellenza per la sua capacità di trovare le parole e le melodie per cantare la vita quotidiana, a volte drammatica, della gente comune.

Nell’intervista a swissinfo.ch del 2011, aveva dichiarato: “Ho appena scritto una canzone sulla Shoah. Ma è una canzone d’amore. Perché? Perché? Perché un giorno ho incontrato una persona che aveva incontrato sua moglie in un campo di concentramento. E che aveva dunque trovato l’amore nel campo di concentramento. La mia canzone è questo. L’amore è nato in un luogo che è un disastro, un orrore”.

Un’esaltazione della vita e un’empatia che ha coltivato con il suo amato pubblico: “Incontro regolarmente il mio pubblico al di fuori del palcoscenico: faccio la spesa da solo, non ho guardie del corpo, conduco una vita normale, in un’atmosfera amichevole. Siccome parlo diverse lingue, posso comunicare con persone provenienti da luoghi molto diversi. Incontrando questo pubblico tutti i giorni, si acquista una vicinanza che traspare quando si scrivono le canzoni anche per lui, il pubblico”.


Charles Aznavour che lasciò la Francia per la Svizzera (Caratteriliberi.it)

di Frédéric Burnand –
“La Svizzera è un’oasi di pace. Tutto è più calmo, più pudico, anche i semafori rossi diventano più lentamente verdi e viceversa. È un paese che rispetto e amo molto. Ho fatto naturalizzare i miei figli”, dichiarò nel 2011 Charles Aznavour a Bernard Léchot, all’epoca giornalista di swissinfo.ch e tuttora musicista.

E il poeta delle parole e delle melodie aggiunse: “Io ho rinunciato per una questione di fedeltà. La Francia ha dato ai miei genitori la possibilità di avere una vita normale e crescere i loro figli. Non potevo tradire questo. Ho lasciato la Francia molto adirato, perché mi ha ferito molto. Ho subito un vero e proprio linciaggio per essermi espresso su politica e immigrazione”.

È nel 1972 che si trasferisce in Svizzera con la famiglia. Dapprima nel Vallese. Il “blocco aznavouriano”, secondo le sue parole al quotidiano La Tribune de Genève, trasloca in seguito nel cantone di Ginevra, sulle rive del lago Lemano, dal quale non stacca gli occhi nel 2012 cambia di nuovo casa e si trasferisce a Saint-Sulpice nel cantone di Vaud.

Ambasciatore dell’Armenia in Svizzera:

Lo scorso aprile ha fatto la sua ultima apparizione pubblica in Svizzera. A Ginevra, l’ambasciatore – in Svizzera e all’ONU – Charles Aznavour partecipa all’inaugurazione dei “Lampioni della memoria”, un memoriale dedicato agli armeni massacrati un secolo fa in Turchia e ai tanti svizzeri che si erano allora mobilitati in loro favore.

“L’ho trovata di una sublime bellezza. Più svizzera che armena, anche se è un giovane armeno che l’ha concepita. Non è un monumento ai morti, è un luogo formidabile: sembra una Rambla, dove ci si avventurerebbe per incontrare una futura sposa…”, aveva detto a swissinfo.ch nel 2011, in merito all’opera.

Un progetto che ha avuto grandi difficoltà a concretizzarsi, a causa delle pressioni del governo turco.

Qual è stato il suo legame tra le canzoni che ha scritto e la tragedia vissuta dagli armeni? “Ciò che mi ha avvicinato alle difficoltà delle persone è questo. Il dolore di vivere è lì. Troviamo tutto ciò negli armeni, ma anche negli spagnoli, negli ebrei, nei maghrebini, oggi, come ieri nei neri americani. Ho letto poesie di donne armene, anonime, sono molto vicine al mio modo di scrivere”, aveva risposto a Bernard Léchot.

Charles Aznavour è stato un cantautore popolare per eccellenza per la sua capacità di trovare le parole e le melodie per cantare la vita quotidiana, a volte drammatica, della gente comune.

Nell’intervista a swissinfo.ch del 2011, aveva dichiarato: “Ho appena scritto una canzone sulla Shoah. Ma è una canzone d’amore. Perché? Perché? Perché un giorno ho incontrato una persona che aveva incontrato sua moglie in un campo di concentramento. E che aveva dunque trovato l’amore nel campo di concentramento. La mia canzone è questo. L’amore è nato in un luogo che è un disastro, un orrore”.

Un’esaltazione della vita e un’empatia che ha coltivato con il suo amato pubblico: “Incontro regolarmente il mio pubblico al di fuori del palcoscenico: faccio la spesa da solo, non ho guardie del corpo, conduco una vita normale, in un’atmosfera amichevole. Siccome parlo diverse lingue, posso comunicare con persone provenienti da luoghi molto diversi. Incontrando questo pubblico tutti i giorni, si acquista una vicinanza che traspare quando si scrivono le canzoni anche per lui, il pubblico”.

(Traduzione dal francese – fonte:  tvsvizzera.it)


Aznavour, l’ultimo chansonnier che aveva la passione per l’Italia (Messaggeroveneto.it)

«Io sono un istrione. E l’arte, l’arte sola è la vita per me. Se mi date un teatro e un ruolo adatto a me il genio si vedrà», cantava Shahnourh Varinag Aznavourian, per tutti Charles Aznavour, lo chansonnier francese di origine armena mancato ieri nel sonno all’età di 94 anni nella sua casa a Mouriès, in Provenza. La notizia della morte è stata data dal suo ufficio stampa. Aznavour era la Francia, quella dalla vocazione internazionale, quella dell’accoglienza che ne ha fatto un precursore della contaminazione musicale. «Mi sono interessato a tutti gli stili della musica – ebbe a dire a Le Monde – sono orgoglioso di essere stato in qualche modo il primo a farlo in Francia. Ecco perché ho avuto successo nei paesi del Maghreb, tra gli ebrei, i russi». In settant’anni di carriera “l’istrione”, probabilmente il cantante francese più famoso al mondo, scoperto da Edith Piaf, ha scritto oltre 1400 canzoni e ne ha incise più di 1200, in sette lingue (francese, inglese, italiano, spagnolo, tedesco e russo) e ha recitato in un’ottantina di film e telefilm. In Italia numerosi suoi pezzi, da “Come è triste Venezia” a “La Bohème” ne hanno fatto un’icona della musica. Un gigante nonostante arrivasse a fatica a un metro e sessantacinque d’altezza.

Aznavour ha partecipato a due edizioni di Sanremo, sempre fuori gara, nel 1981 con “Poi passa” e nel 1989 con “Momenti sì, momenti no”, ha duettato con grandi artiste italiane come Milva, Mia Martini e Laura Pausini, così come ha fatto con star internazionali come Nana Mouskouri, Liza Minnelli, Compay Segund e Céline Dion.

Molti interpreti della musica leggera italiana hanno inciso canzoni da lui scritte e cantate nei più grandi teatri del mondo, a cominciare dall’Olympia a Parigi dove era di casa: Domenico Modugno, Mina, Ornella Vanoni e Gino Paoli, solo per citarne alcuni. Nel 1971 lo chansonnier scomparso ieri vinse il Leone d’oro a Venezia per la canzone “Morire d’amore”, utilizzata come colonna sonora per l’edizione italiana dell’omonimo film diretto da André Cayatte. Nel 2009 la città di Firenze gli rese omaggio consegnandogli il Giglio d’argento «per la sua straordinaria carriera artistica tra cinema e musica, per l’impegno a sostegno del popolo armeno, della pace e della libertà». Memorabile il concerto del 23 luglio dello scorso anno all’Auditorium Parco della Musica di Roma per celebrare i 70 anni della sua straordinaria carriera. Sul palco a 90 anni passati, la classe di sempre e fu davvero un peccato, quest’estate, l’annullamento del concerto in programma a Palmanova, cancellato a causa di un infortunio.

Nato il 22 maggio 1924 a Parigi da genitori armeni immigrati dalla Turchia e dalla Georgia, sfuggiti al genocidio perpetrato all’Impero ottomano, Aznavour si è sempre battuto per la causa armena, con un’intensa attività diplomatica che nel 2009 lo portò anche a diventare l’ambasciatore del proprio Paese d’origine in Svizzera, dove negli anni Settanta siera trasferito per problemi con il fisco francese.

Per la stessa causa nel 1989 riunì a Milano una sessantina di artisti per registrare il brano da “Per te Armenia” in supporto del progetto “Fondazione Aznavour per l’Armenia” per aiutare i bambini orfani armeni.


Aznavour e la sua Armenia. Storia breve di un amore doloroso e mai tradito (AGI.it)

La casa di Charles Aznavour a Erevan ha la vista sul Monte Ararat, quello che segnò la fine del Diluvio Universale sostenendo il peso dell’Arca di Noè. Luogo caro agli ebrei, segnati nella storia del secolo scorso dal più grande genocidio della storia, così come lo erano stati gli armeni qualche anno prima della Soluzione Finale. Uno sterminio voluto da un gruppo di ufficiali nazionalisti turchi, che fecero fare il lavoro sporco ai curdi per non avere troppi imbarazzi: tipico di ogni impero multietnico come lo era quello ottomano. Secondo alcune stime i morti furono un milione e mezzo, ma è impossibile dare cifre certe.

Due identità in una sola anima

La storia personale di Aznavour iniziava proprio con quella orribile strage, e la fuga dei superstiti in ogni angolo d’Europa e del mondo. Proprio come gli ebrei. Lui non era ancora nato, ma sua madre gli trasmise in quel di Parigi dove si era rifugiata con il padre, armeno anche lui, due cose. La prima il senso dell’identità, per cui si possono avere due patrie ed essere fedeli a entrambi; la seconda il senso di una presenza cupa di violenza e dolore che pervade le esistenze.

Forse è per questo che lui, Aznavour, una piega amara nell’espressione l’ha sempre mantenuta, anche se per sua stessa ammissione la parte piacevole della vita non gli era per nulla estranea. Francese e armeno, tutta la vita senza concessioni alle facili argomentazioni dei sovranisti per cui sei una cosa o dei un’altra: l’animo umano è troppo stretto per comprendere due continenti.

Quando è bene sapere

Ora, non è che Aznavour abbia fatto una bandiera della sua doppia identità culturale. Parlava francese (e altre quattro lingue) ed in francese cantava. Ma soprattutto dopo il 1989, quando il crollo dell’Urss fece scoprire agli occidentali l’altra metà del mondo scongelando antiche culture e vecchie rivalità, sentì la voce dell’altra metà dell’Io che lo chiamava suadente come se stesse cantando “Devi sapere”: “La dignità devi salvare / malgrado il male che senti … ”. Sarà stata anche una canzone d’amore del 1962, ma sembrano le sensazioni di qualcuno a cui la Storia torna addosso, tutta in una volta con il suo peso schiacciante.

Le vicende dell’Armenia da quel momento diventano quasi un’ossessione, come se lui, scampato al massacro, cercasse di farsi perdonare da chi non era riuscito a mettersi in salvo.

La riscoperta dell’antica masseria

In realtà l’impegno risale a poco tempo prima: era il 1988 – piena era gorbacioviana, quando nessuno nemmeno immaginava cosa sarebbe successo di lì a pochi mesi – e la Repubblica Sovietica d’Armenia venne sconvolta da un terremoto. Venticinquemila morti, forse il doppio, intere città distrutte e Gorbaciov in persona che si deve umiliare a chiedere aiuto all’America di Ronald Reagan. Lui canta (in francese) “Pour toi Armenie”, e la fa interpretare a 90 suoi colleghi di ogni cultura e lingua. I proventi serviranno alla ricostruzione. Lui ha ritrovato la sua prima casa. Parafrasando un libro che ha fatto conoscere anche all’Italia il massacro degli armeni, la sua prima masseria.

Un ponte aereo privato

Il salto di qualità, comunque, viene spiccato quando l’Urss già non esiste più: l’Armenia è indipendente da appena un anno e si scatena la guerra con il vicino Azerbaigian, a causa di un’enclave in territorio azero chiamata Nagorno Karabakh. Di nuovo, come settant’anni prima, l’incubo della pulizia etnica. Lui, senza dire niente a nessuno, paga il biglietto per fuggire in Occidente a migliaia di persone. Un ponte aereo privato.

A Erevan non se lo dimenticano: lo nominò rappresentante permanente presso l’Unesco, poi ambasciatore in Svizzera (lui vi vie per alcuni anni; si dice anche a causa di problemi con il fisco francese, ma l’uomo è essere molto complicato, alle volte), poi “eroe nazionale”. Gli intitolano una piazza: è l’immagine dell’Armenia nel mondo e al tempo stesso quella di una identità nazionale che non ha bisogno del nazionalismo per affermarsi. Anche se la lingua prediletta resta sempre quella, il francese.

Undici fuggiaschi in tre stanze

Una lingua, per l’appunto, imparata da piccolo, armeno errante, sulle strade di Parigi vivendo la condizione psicologica (ancora una volta la Masseria delle Allodole di Antonia Arslan) di chi cerca “il caldo nido di una volta: non estranea, non ospite, ma passeggera in attesa di un treno di cui non conosco l’orario”.

Forse è anche per questo che, quando nella Parigi occupata dai nazisti inizia la caccia all’ebreo, nelle tre stanze della casa degli Aznavourian (il vero nome della famiglia Aznavour) vivevano madre, padre, due figli e 11 uomini e donne in fuga dall’Olocausto. Due popoli, un unico dolore. Anche se lui, verso la fine della vita, annoterà con mestizia: “Mi duole molto che Israele non abbia riconosciuto il genocidio degli Armeni: fu quello il modello a cui i nazisti si rifecero per la Soluzione Finale degli Ebrei”.