L’Armenia offre sostegno alla Slovenia per superare le conseguenze delle inondazioni (Notiziedaest 29.08.23)

L’Armenia offre sostegno alla Slovenia per superare le conseguenze delle inondazioni. L’incontro si è svolto a margine del Forum strategico di Bled in Slovenia.

L’Armenia offre sostegno alla Slovenia per superare le conseguenze delle inondazioni. Il 28 agosto il Ministro degli Affari Esteri dell’Armenia Ararat Mirzoyan ha avuto un incontro con Tanja Fajon, Vicepresidente e Ministro degli Affari Esteri della Slovenia. L’incontro si è svolto a margine del Forum strategico di Bled in Slovenia. Durante l’incontro gli interlocutori hanno toccato i temi della cooperazione bilaterale tra Armenia e Slovenia, i programmi in corso, esprimendo la volontà di adottare misure per attivare il dialogo politico bilaterale.

 

Riferendosi ai danni causati in Slovenia dalle inondazioni – la peggiore catastrofe naturale dall’indipendenza del paese, il ministro Mirzoyan ha espresso la solidarietà dell’Armenia al popolo sloveno e si è detto pronto a fornire sostegno per superare le conseguenze della catastrofe naturale. Ha sottolineato l’importanza di una risposta adeguata e di misure adeguate per affrontare le catastrofi naturali e provocate dall’uomo. Si è inoltre proceduto ad uno scambio di opinioni sul partenariato Armenia-UE e sulla cooperazione nell’ambito delle organizzazioni internazionali.

All’ordine del giorno dell’incontro dei ministri degli Esteri di Armenia e Slovenia figuravano anche le questioni legate alla sicurezza regionale. Ararat Mirzoyan ha informato il suo omologo sull’aggravarsi della crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh derivante dal blocco illegale del corridoio Lachin da parte dell’Azerbaigian e ha sottolineato che la politica dell’Azerbaigian di tenere 120.000 persone sotto assedio, mirata alla pulizia etnica degli armeni del Nagorno-Karabakh, non dovrebbe essere tollerato nel 21° secolo.

 

Il ministro Mirzoyan ha sottolineato l’imperativo di attuare gli ordini giuridicamente vincolanti della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite del 22 febbraio e del 6 luglio 2023, revocare immediatamente il blocco del corridoio Lachin e prevenire l’imminente catastrofe umanitaria nel Nagorno-Karabakh. È stata sottolineata l’importanza di appelli e iniziative mirate da parte dei partner internazionali, tra cui l’UE e i suoi Stati membri.

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L’Azerbaijan blocca i collegamenti tra Armenia e il Nagorno Karabakh: una catastrofe umanitaria (Il Fatto Quotidiano 29.08.23)

L’Azerbaijan blocca i collegamenti tra Armenia e il Nagorno Karabakh: una catastrofe umanitaria
Un genocidio lento. E’ quanto sta avvenendo ormai da mesi nel Nagorno Karabakh, un’enclave armena di 120.000 abitanti bloccata dall’Azerbaijan. Il corridoio di Lachin, chiamato la strada della vita, è l’unica a collegare Karabakh all’Armenia ed è anche l’unica via per trasportare cibo, medicine e beni di prima necessità che però non passano il confine da mesi.

Il corridoio è chiuso dal 12 dicembre, invece dal 15 giugno gli armeni che vivono in questo territorio non ricevono nessun tipo di rifornimento. In tutto il territorio del Karabakh mancano i generi di prima necessità e le scorte sono finite da tempo. Rimanere vivi sembra una sfida insuperabile e definire drammatiche le conseguenze di questo assedio significa non dire nulla. Si tratta di un vero e proprio genocidio e per descriverlo non dobbiamo usare mezzi termini. Stiamo di fronte ad un invito a morire di fame, di fronte allo sterminio dell’intera popolazione armena che vive in quel fazzoletto di terra da sempre. La politica di Baku è ben premeditata e pianificata: fu messa in atto mesi fa. Un genocidio che ricorda quello del 1915 progettato e realizzato dall’lmpero ottomano durante il quale 1.500.000 armeni furono massacrati o lasciati morire di fame.

Secondo l’ufficio dei diritti umani di Nagorno Karabakh la penuria di pane è molto acuta, la popolazione soffre di carenza di vitamine e le persone aspettano ore e ore per riuscire a recuperare del pane spesso facendo la fila per tutta la notte. Giorni fa le autorità del Karabakh hanno riferito che un abitante di 40 anni è morto di fame specificando che l’uomo era morto di “malnutrizione cronica” e “carenza di proteine ed energia”. Da notare che il corridoio continua a rimanere chiuso dalle autorità azere nonostante la decisione della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite che aveva ordinato l’immediata revoca del blocco. Baku ignora anche gli appelli della comunità internazionale che hanno esortato l’Azerbaijan a riaprire il corridoio di Lachin e a consentire il passaggio degli aiuti umanitari.

Luis Moreno Ocampo, ex procuratore capo della Corte penale internazionale, avverte che “non si tratta di una crisi, ma di un genocidio e senza un cambiamento drastico immediato, questo gruppo di armeni sarà distrutto in poche settimane”. Non usa mezzi termini Ocampo, precisando che “il blocco del Corridoio di Lachin da parte delle forze di sicurezza azere che impediscono l’accesso a cibo, forniture mediche e altri beni essenziali dovrebbe essere considerato un genocidio ai sensi dell’Articolo II, (c) della Convenzione sul genocidio: Infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate in modo da causare la sua distruzione fisica”.

In questi mesi il blocco del corridoio viene accompagnato da numerose violazioni dei diritti umani. Da ricordare che circa un mese fa, il 29 luglio, i servizi della frontiera azera hanno rapito e detenuto Vagif Khachatryan, un armeno che veniva trasferito in Armenia dal Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) per cure mediche. Le autorità azere avevano approvato il suo trasferimento in Armenia, invece alla frontiera è stato rapito con l’ordine di Baku violando gravemente la legge internazionale. La spiegazione di Baku suona come una condanna anticipata, Vagif Khachatryan viene accusato di aver ucciso abitanti azeri durante la prima guerra di Karabakh. Una falsa accusa di reato senza fornire prove che la sostengano.

Tutto ciò fa parte dell’armenofobia presente in Azerbaijan da decenni e l’odio verso l’etnia armena diventa sempre più incontrollabile. Il rischio che quanto accaduto possa ripetersi è enorme ed è evidente che le autorità azere non si fermeranno davanti a nulla, ogni qualvolta decidessero di rapire e punire gli uomini armeni. Sossi Tatikyan, consulente di politica estera e di sicurezza, avverte che “questo potrebbe trasformarsi in una privazione della popolazione maschile del Nagorno Karabakh simile allo scenario di Srebrenica in quanto tutti gli uomini nel Nagorno Karabakh prestano servizio militare e la maggior parte di loro hanno combattuto durante la guerra contro l’Azerbaijan”. Tatikyan nota che “dopo questa detenzione arbitraria nessun uomo e forse nessuno si sentirà sicuro di passare attraverso il posto di blocco messo illegalmente al confine tra l’Armenia e Nagorno Karabakh, compresi coloro che sono gravemente malati e hanno bisogno di cure mediche in Armenia”.

Inoltre Baku ha bloccato le forniture di gas e elettricità, impossibile trovare benzina, è fermo il trasporto pubblico. Gli abitanti sono costretti a percorrere decine di chilometri a piedi per comprare pane o per andare all’ospedale. Ancor di più sono colpiti i gruppi più vulnerabili della popolazione come bambini e anziani, donne incinte e persone con disabilità.

Stiamo di fronte ad una catastrofe umanitaria senza precedenti. Giorni fa il Presidente di Nagorno Karabakh, Arayik Harutyunyan ha dichiarato che ”l’Azerbaijan sta trasformando Nagorno Karabakh in un campo di concentramento”. Parole che non hanno bisogno di essere interpretate e non lasciano spazio ai sentimenti. Si tratta dell’ennesimo appello alla comunità internazionale ad agire con tutti i mezzi possibili per porre fine a questa tragedia prima che sia troppo tardi.

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Amministrative a Yerevan sullo sfondo del Karabakh (Osservatorio Balcani e Caucaso 29.08.23)

Il 17 settembre si terranno le amministrative a Yerevan, una sfida importante perché nella capitale vi abita un terzo della popolazione dell’Armenia, e poi perché sarà un test per il governo Pashinyan, in un momento in cui il dibattito politico armeno è dominato dalla questione del Karabakh

29/08/2023 –  Onnik James Krikorian

La scorsa settimana, senza grande clamore, è iniziata la campagna elettorale per le elezioni amministrative a Yerevan, fissate per il prossimo mese di settembre. Nonostante un avvio infelice, la tornata elettorale potrebbe però rivelarsi movimentata, anche se le problematiche locali, come il trasporto pubblico e la raccolta dei rifiuti, sicuramente resteranno in secondo piano rispetto a problemi più grossi con cui il paese si trova a dover fare i conti – nello specifico, la questione del Karabakh e il destino del primo ministro Nikol Pashinyan.

Considerando che le elezioni politiche dovrebbero tenersi solo nel 2026, alcuni oppositori del premier vedono nelle elezioni per il rinnovo dell’amministrazione comunale di Yerevan un’occasione per cavalcare l’onda del crescente malcontento nei confronti del governo di Pashinyan. Tra gli obiettivi di chi si oppone all’attuale premier è anche quello di impedire il raggiungimento di un accordo di pace tra Armenia e Azerbaijan in un momento in cui i negoziati sono giunti ad un punto critico, che però potrebbe portare anche ad una svolta.

La questione del controllo della capitale Yerevan – dove vive almeno il 35 per cento della popolazione dell’Armenia – ha sempre tenuto sulle spine i governi armeni susseguitisi negli anni. Se fino al 2009 la città era stata governata da sindaci nominati senza elezioni, con le modifiche costituzionali approvate nel 2005  – come parte degli impegni assunti nei confronti del Consiglio d’Europa in quello stesso anno – il sistema elettorale è completamente cambiato.

Anche queste modifiche si sono però rivelate controverse. Invece di eleggere direttamente il sindaco, negli ultimi decenni gli abitanti di Yerevan venivano chiamati alle urne per eleggere il consiglio comunale composto da 65 membri, che poi nominavano il sindaco, cercando così di evitare che le elezioni si trasformassero in una lotta per il potere politico ed economico. Le cose però sono cambiate dopo il devastante conflitto tra Armenia e Azerbaijan sull’ex regione autonoma del Nagorno Karabakh (NKAO).

Nel dicembre del 2021 il consiglio comunale di Yerevan ha rimosso il sindaco Hayk Marutyan, un ex alleato di Pashinyan, eletto nel bel mezzo dell’euforia della rivoluzione [di velluto del 2018], il quale però aveva rotto i rapporti col premier all’indomani dalla sconfitta dell’Armenia nella guerra contro l’Azerbaijan. Temendo un eventuale ritorno di Marutyan sulla scena politica, l’anno scorso  le autorità hanno avviato un’indagine contro di lui per presunta corruzione.

I critici di Pashinyan sostengono che sotto il suo governo simili tentativi di controllare l’amministrazione locale siano diventati una prassi abituale  .

In questo contesto, l’annuncio di Marutyan di volersi candidare nuovamente alla carica di sindaco, questa volta però tra le fila dell’opposizione, ha aggiunto una nuova dimensione alle imminenti elezioni amministrative, aprendo la strada a quella che potrebbe rivelarsi una resa dei conti di cruciale importanza. Tra le forze dell’opposizione (tredici partiti e una coalizione) che alle elezioni di settembre sfideranno il candidato proposto da Pashinyan, l’attuale vice sindaco Tigran Avinyan – c’è anche un altro ex alleato del premier, Mane Tandilyan.

Marutyan ha già accusato Pashinyan di aver tradito la rivoluzione del 2018 sulla scia della quale era salito al potere. Aprelu Yerkir – partito fondato da Tandilyan e sponsorizzato da Ruben Vardanyan, l’ex de facto ministro di Stato del Karabakh – sembra invece puntare più in alto. Il controverso politico, di origini russo-armene, ha fatto appello  affinché le elezioni amministrative vengano sfruttate per rimuovere dal potere “i traditori” e impedire la firma di un accordo di pace con l’Azerbaijan.

L’opposizione parlamentare legata ai due ex presidenti dell’Armenia, Robert Kocharyan e Serg Sargsyan, ha invece deciso di boicottare l’imminente tornata elettorale a Yerevan. Alle elezioni parteciperà solo un deputato dell’opposizione, Andranik Tevanyan che, pur non appartenendo ad alcun partito, è vicino al gruppo Hayastan, guidato da Kocharyan. Anche Tevanyan ha affermato che il suo obiettivo è rovesciare Pashinyan e porre fine alla sua controversa politica sul Karabakh.

Tevanyan si è dimesso da parlamentare per potersi candidare alle elezioni comunali, e Kocharyan ha già annunciato il suo sostegno. Nel frattempo, un altro partito legato ai precedenti regimi, Armenia prospera, ha deciso di boicottare il voto perché, come sostengono i suoi rappresentanti, in un momento in cui il dibattito politico armeno è quasi completamente dominato dalla questione del Karabakh, risulta impossibile condurre una campagna elettorale incentrata sulle problematiche locali.

Resta da vedere quanto questa resa dei conti influenzerà gli elettori.

Ad esempio, in un recente sondaggio  , solo il 9,3% degli intervistati ha affermato di voler votare Avinyan e appena il 3,6% si è detto pronto a dare i proprio voto a Marutyan. Dal sondaggio è emerso che altri partiti e candidati dell’opposizione godono di un sostegno ancora minore. Inoltre, il 19% degli intervistati non ha alcuna intenzione di recarsi alle urne, mentre il 55% non crede che le elezioni saranno eque e libere.

Alcuni hanno infatti già accusato Avinyan di aver abusato delle risorse pubbliche  . C’è poi chi ritiene che il movimento Civic Contract possa conquistare oltre il 50% dei voti, suscitando grande sorpresa. Nel frattempo, la popolarità di Pashinyan è in caduta libera. Ad ogni modo, il 33,6% degli intervistati è ancora indeciso su chi votare, quindi la campagna elettorale, iniziata lo scorso 23 agosto, sarà fondamentale per tutti i candidati per mobilitare e influenzare gli elettori.

Non vi è però dubbio che molti percepiranno le elezioni del prossimo 17 settembre esclusivamente nel contesto del conflitto del Karabakh, soprattutto se l’opposizione dovesse rendere questa questione parte integrante della propria campagna elettorale.

Se vincesse il candidato proposto da Pashinyan sarebbe una tacita approvazione della soluzione del conflitto con l’Azerbaijan che si protrae da ormai tre decenni. Lo stesso vale in caso di un’eventuale bassa affluenza. Se invece Avinyan dovesse perdere – oppure uscire vincitore da una tornata elettorale truccata – sarebbe il segnale di un diffuso dissenso verso la politica di Pashinyan.

In molti avevano interpretato la rielezione di Pashinyan nel 2021 come espressione del continuo sostegno alla sua politica. Tuttavia, Pashinyan non ha mantenuto la sua promessa elettorale – quella di battersi per un’indipendenza del Karabakh inspirata al modello di secessione riparatoria – e ora è favorevole al riconoscimento della regione separatista, abitata principalmente da armeni, come parte integrante dell’Azerbaijan, pur sostenendo la necessità di garantire i diritti e la sicurezza della popolazione armena.

Staremo a vedere cosa ne pensano gli elettori.

Al momento nella capitale non c’è traccia di alcuna grande contestazione popolare, nonostante il perdurare del blocco del corridoio di Lachin che collega l’Armenia al Karabakh. Se però dovessero scoppiare proteste, il futuro politico di Pashinyan sarebbe messo in discussione in vista delle elezioni politiche previste per il 2026. Date queste premesse, le imminenti elezioni a Yerevan potrebbero rivelarsi un vero banco di prova per la democrazia armena.

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Il Canada intende aprire un’ambasciata in Armenia e unirsi alla missione UE (CorrierePL 29.08.23)

Il Canada sta intensificando il suo coinvolgimento diplomatico in Armenia mentre considera la possibilità di revocare l’embargo militare sulla Turchia, nel contesto dei negoziati sulla NATO e sulla sicurezza regionale. L’interesse del Canada per la sicurezza del Caucaso meridionale sembra connesso ad un conflitto diplomatico in corso con la Turchia. Funzionari canadesi hanno annunciato la loro decisione di unirsi alla missione di monitoraggio dell’UE pochi giorni dopo il vertice annuale della NATO in Lituania, dove Ottawa avrebbe riaperto i colloqui con la Turchia sull’esportazione della tecnologia di difesa canadese. Il Canada ha annullato i permessi di esportazione militare verso la Turchia nel 2021, dopo aver ricevuto “prove credibili” che la Turchia aveva trasferito tecnologia di fabbricazione canadese all’Azerbaijan che è stata poi utilizzata con grande efficacia nella guerra del Nagorno-Karabakh del 2020. Pertanto il Canada spera, a quanto pare, che unendosi alla missione di monitoraggio delle frontiere dell’UE in Armenia, possa proteggersi da qualsiasi potenziale ricaduta politica della revoca dell’embargo. Il governo del primo ministro Justin Trudeau non vuole creare complicazioni alla NATO mantenendo l’embargo, ma non vuole nemmeno alienare un piccolo ma influente elettorato interno, la comunità armena della diaspora del paese.

Il Canada intende aprire un’ambasciata in Armenia e a unirsi alla missione UE

In precedenza, le autorità canadesi avevano annunciato l’intenzione di aprire un’ambasciata a tutti gli effetti in Armenia. Questo tema, in particolare, è stato discusso lo scorso autunno dai primi ministri di Armenia e Canada Nikol Pashinyan e Justin Trudeau. Attualmente ci sono due consolati canadesi a Yerevan (il secondo è stato aperto a novembre 2022). I poteri dell’ambasciatore del Canada in Armenia sono conferiti ad Alison Leclaire, capo della missione diplomatica del Canada in Russia. Quindi, il ministro degli Esteri canadese Mélanie Joly visiterà l’Armenia a settembre per partecipare alla cerimonia di apertura dell’ambasciata a Yerevan. Lo ha annunciato il Comitato nazionale armeno del Canada in seguito all’incontro di Joly con i rappresentanti della comunità armena locale tenutosi presso il Centro armeno di Montreal. Durante l’incontro inoltre, si è discusso della situazione critica nell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) e del conseguente blocco del corridoio Lachin, che minaccia la sicurezza della popolazione dell’Artsakh. Il Comitato Nazionale Armeno del Canada ha sottolineato l’importanza dell’esercizio del diritto del popolo dell’Artsakh all’autodeterminazione nazionale, poiché è l’unica garanzia per la vita sicura e pacifica del popolo dell’Artsakh e che l’Artsakh non potrà mai essere subordinato all’Azerbaigian e diventare vittima di un genocidio.

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Armenia, Export e Sanzioni nelle Dinamiche Geopolitiche Eurasiatiche (Specialeeurasia 28.08.23)

Geopolitical Report ISSN 2785-2598 Volume 33 Issue 12
Author: Emanuele Aliprandi

Nel contesto geopolitico attuale, caratterizzato dal conflitto ucraino e dallo scontro tra Bruxelles e Mosca, l’incremento dell’export europeo verso l’Armenia ha sollevato dubbi sulla possibilità che questo permetta di aggirare le sanzioni, dilemma che però non coinvolge il vicino Stato azerbaigiano la cui politica estera sfrutta il supporto europeo, ma non tralascia gli accordi commerciali con la Russia.

Nelle ultime settimane sono apparsi su alcune testate italiane articoli che ponevano dubbi sui dati dell’export italiano verso alcuni Paesi dell’area euro-asiatica, lasciando intendere che questi Stati svolgano un ruolo di ponte per aggirare le sanzioni comminate dall’Unione europea alla Russia in conseguenza del conflitto in Ucraina.

Titoli e contenuti di questi articoli meritano alcune riflessioni al fine di dare ai numeri forniti la loro esatta cornice, in special modo nel contesto del Caucaso meridionale, regione che detiene una importanza strategica nello scacchiere geopolitico eurasiatico fungendo da ponte tra l’Europa e l’Asia.

Rapporti commerciali Italia-Armenia nel contesto economico armeno

Analizzando il caso dell’Armenia è possibile constatare che l‘export italiano verso questa repubblica caucasica è sensibilmente aumentato rispetto ai dati del 2021 (138 milioni di euro) e quest’anno oscillerà fra i 250 e i 350 milioni di euro.

In percentuale l’incremento è certamente significativo, ma nel calcolo complessivo non sarà difficile notare come le cifre in questione siano risibili rispetto all’export italiano verso la Federazione Russa che nel 2021 ha superato gli otto miliardi di euro (99 invece i miliardi dell’export complessivo dei Paesi dell’Unione Europea verso la Federazione russa nello stesso anno).

Parliamo, dunque, di un incremento di circa 200 milioni, max 250 milioni di euro, rispetto a due anni fa; numeri modesti i quali permettono di dissentire o almeno mettere in dubbio la tesi secondo la quale le aziende italiane stiano sfruttando il mercato armeno per aggirare le sanzioni.

Non va peraltro tralasciato di ricordare come il prodotto interno lordo (PIL) armeno sia cresciuto a doppia cifra negli ultimi mesi grazie a un’economia che si sta riprendendo dal disastro della guerra con l’Azerbaigian del 2020 e dalle conseguenze del Covid.

La presenza, poi, di diverse migliaia di giovani russi e ucraini arrivati in Armenia per sfuggire all’obbligo  della leva e della coscrizione nel conflitto in corso ha determinato un sostanziale, inevitabile, arricchimento dell’economia armena (e lo si intuisce dai prezzi degli affitti nella capitale Yerevan) sicché non è peregrino immaginare che una parte del surplus di export arrivato nel Paese (che non dimentichiamo fa parte dell’Unione Economica Euroasiatica) sia finito proprio nelle tasche della nuova ricca immigrazione.

Andrebbe altresì dato atto che il governo armeno ha comunque promesso di vigilare su eventuali dati anomali e, in tale ottica, il 25 maggio ha emesso il provvedimento n° 808 (“Approvazione dell’elenco delle merci sensibili esportate dalla repubblica di Armenia e transitate attraverso il territorio della repubblica di Armenia”).

A ben vedere, quel che manca nelle analisi in questione è una valutazione a tutto campo senza quelli che appaiono come “favoritismi”: ad esempio la mancanza di riflessioni sul ruolo dell’Azerbaigian (“partner affidabile” secondo la presidente Von der Leyen) rischia di apparire come un trattamento privilegiato al fine di tutelare comunque gli interessi europei.

Non è infatti errato esprimere perplessità sull’aumento quantitativo di gas in arrivo in Italia via TAP dal 2022. Ed è notizia di pochi giorni fa anche di un nuovo accordo di fornitura di gas tra Azerbaigian e Ungheria per un miliardo di metri cubi annui.

Sarebbe dunque opportuno eliminare dalla politica estera europea quell’ipocrisia di fondo che porta a differenti valutazioni di “forma” pur in presenza della medesima “sostanza”.

Conclusioni

L’Armenia sta attraversando, nonostante i buoni dati dell’economia, un periodo difficile: l’aggressività dell’Azerbaigian, le ripetute minacce di un nuovo conflitto, il palese boicottaggio di ogni iniziativa di sviluppo (a titolo di esempio, il forzato blocco della costruenda acciaieria di Yeraskh a causa dei colpi sparati dai cecchini azeri dalle vicine postazioni di confine) si fanno ogni giorno più forti.

A ciò si aggiunga la grave crisi umanitaria che sta attanagliando il Nagorno Karabakh-Artsakh a causa del blocco azero sul corridoio di Lachin, ovvero sull’unico collegamento tra la regione e l’Armenia stessa.

L’Unione Europea sta cercando attivamente di portare le parti a un accordo di pace, ma a rischio di sacrificare i 120.000 armeni del Nagorno Karabakh che, intanto, stanno morendo di fame per la penuria di cibo e materie prime. C’è invero il sospetto che Bruxelles, nella sua azione diplomatica, preferisca privilegiare i buoni accordi commerciali ed energetici con Baku piuttosto che le relazioni con Yerevan.

E certe “grida di allarme” su presunti aggiramenti delle sanzioni antirusse, oltre a essere a senso unico e limitate a poche risibili decine di milioni di euro, sembrano quasi mirate a colpevolizzare politicamente una parte rispetto all’altra con la conseguenza aggiuntiva di avvilire ulteriormente l’export italiano già duramente colpito.

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Nagorno-Karabach: Mijatovic (Consiglio d’Europa), “riaprire Lachin, situazione preoccupante. Avanzare sulla via della riconciliazione” (AgenSir 28.08.23)

Dalla Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, giunge oggi un nuovo, ennesimo appello a ripristinare la libera circolazione lungo il corridoio Lachin, il cui blocco, dal dicembre 2022, ha generato una preoccupante situazione umanitaria nel Nagorno-Karabakh. “Nonostante i miei appelli e quelli di numerosi altri stakeholder internazionali, la situazione umanitaria e dei diritti umani nell’area si è ulteriormente deteriorata, colpendo in particolare i più vulnerabili”, afferma Mijatović. Tagliato l’accesso alle forniture alimentari e alle cure mediche urgenti, “la popolazione si trova ad affrontare la mancanza di medicinali e di beni di prima necessità salvavita”, riferisce dal territorio il Comitato internazionale della Croce Rossa, che è rimasta l’unica organizzazione umanitaria su quella striscia di terra. Come Mijatović aveva già indicato nel Memorandum del 2021, “Armenia e Azerbaigian dovrebbero compiere sforzi per avanzare sulla via della riconciliazione e garantire una pace duratura per tutte le persone”, ribadisce la commissaria, che rinnova anche la propria disponibilità e il proprio impegno a “dialogare con tutti gli interlocutori rilevanti” e a recarsi nel Nagorno-Karabakh “per contribuire a superare le sfide esistenti in materia di diritti umani”.

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Giovedì Maya Oganyan in concerto al teatro Sant’Antonio di Tonfano (Lagazzettadilucca 28.08.23)

Giovedì 31 agosto sempre alle ore 21.30, nello spazio aperto del teatro Sant’Antonio di Tonfano, in cia Verdi 17 (in caso di maltempo al chiuso) si esibirà, in un altro prestigioso concerto di musica da camera, la giovane pianista affermata a livello internazionale e vincitrice del Premio pianistico Schumann 2023, Maya Oganyan con un programma ricco di contenuti espressivi musicali.

Maya Oganyan, diciassettenne, nasce a Mosca e dal 2011 vive e studia a Venezia. Inizia a prendere lezioni di pianoforte all’età di 4 anni e per 2 anni studia con il M° Alexander Maykapar, celebre clavicembalista, organista e pianista russo e professore all’Accademia di Musica “Gnessin”. Nel 2015 entra al Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia, dove studia per 7 anni sotto la guida del M° Massimo Somenzi. Inizia successivamente gli studi accademici con M° Muriel Chemin e dal 2022 prosegue nella classe del M° Olaf John Laneri. Maya è vincitrice di numerosi concorsi nazionali ed internazionali per giovani musicisti, tra cui il “Premio Schumann” del “Concordo Rospigliosi”, aggiudicandosi anche il premio del pubblico, “Vienna Grand Prize Virtuoso Competition”, “Orbetello Piano Competition”, “La Palma D’Oro”, vincendo anche il Premio Pettini “al miglior talento messosi in evidenza tra tutti i Primi Premi di tutte le sezioni”. Inoltre, si è esibita in molte sale italiane ed estere, in numerosi festival, tra cui l’Unione Musicale di Torino, in duo con il violoncellista Ettore Pagano, Musikamera nelle Sale Apollinee del Teatro La Fenice, Ascoli Piceno Festival, Cremona International Music Festival, partecipando ad un concerto in onore del compositore Valentin Silvestrov. Il 3 giugno 2021 si esibisce per la prima volta in un concerto come solista accompagnata dall’Orchestra Filarmonica Armena diretta dal M° Eduard Topchjan nella celebre sala “Aram Khachaturian” di Yerevan, eseguendo il Concerto n. 3 di Beethoven, in onore del M° Riccardo Muti, presente in sala, e del Ravenna festival in occasione del passaggio a Yerevan per il progetto “Le vie dell’amicizia” 2021. Il programma viene replicato al Teatro Toniolo di Mestre accompagnata dall’Orchestra di Padova e del Veneto e al Teatro Verdi di Firenze con l’Orchestra Filarmonica Armena. Nel 2023 ritorna a suonare a Yerevan eseguendo il Concerto per due pianoforte di Mozart con la pianista Eva Gevorgyan e l’Orchestra Filarmonica Armena. Nell’ottobre 2021 Maya suona il Concerto n. 23 di Mozart con l’Orchestra Filarmonica Armena nella Cappella Paolina del Quirinale in presenza del Presidente Sergio Mattarella e del Presidente della Repubblica d’Armenia Armen Sarkissian. Al giorno d’oggi prosegue i suoi studi, sotto la guida del M° Roberto Prosseda all’Accademia di Prato, segue il corso di Musica da Camera con il M° Marco Zuccarini presso l’Accademia Internazionale di Imola e frequenta il corso di alto perfezionamento con M° Lilya Zilberstein presso l’Accademia Chigiana.

L’appuntamento concertistico, straordinario per il tema ed i contenuti,  non può essere veramente perso! Per qualsiasi informazione telefonare al numero 335/5439579.

Nagorno-Karabakh. IS, situazione insostenibile (Avantionline 28.08.23)

 

Il Nagorno-Karabakh, alta e florida regione montana del Caucaso rischia di trasformarsi da giardino rigoglioso in un deserto. La regione enclave a maggioranza etnica armena nel territorio Azero ha una storia peculiare. Ed è stata attraversata da vicende estremamente complesse che, intersecandosi, ne hanno plasmato una specificità geopolitica.
La storia che coinvolge il Nagorno è alquanto articolata. Dopo l’Età moderna, a seguito delle due rivoluzioni russe del 1917, il Karabakh divenne parte della Repubblica Federale Democratica Transcaucasica, dissoltasi in poco tempo in Armenia, Azerbaigian e Georgia. Nel corso dei due anni successivi (1918-1920), si susseguirono una serie di brevi conflitti tra Armenia e Azerbaigian in diverse regioni. Successivamente, le truppe turco-ottomane entrarono nel Karabakh, incontrando la resistenza degli armeni (si ricorda che dal 1915 al 1919 ebbe luogo un terribile genocidio degli Armeni nel territorio ottomano). Con la sconfitta dell’Impero Ottomano nella prima guerra mondiale, le truppe britanniche occuparono la regione in attesa di una decisione finale da parte della Conferenza di pace di Parigi.
Nel 1920 in Azerbaigian prevalse la fazione rivoluzionaria che portò ad un’occupazione militare russa e, nello stesso anno, si consumò un feroce conflitto tra il Movimento Nazionale Turco e la Repubblica di Armenia, che si concluse con il tracollo armeno, la perdita di territori occupati dalla Turchia, un’insurrezione popolare e l’occupazione dell’armata rossa dell’Armenia. Nel giro dei seguenti due anni gli stati caucasici si ritrovarono nuovamente riuniti in Unione sovietica, prima come un’unica Repubblica federativa sovietica transcaucasica e successivamente come repubbliche di Armenia, Azerbaigian e Georgia. Il Nagorno-Karabakh fu incorporato nell’Azerbaigian, ma data la peculiarità culturale fu istituito un Oblast Autonomo del Karabakh (che indica una regione a vasta autonomia) a maggioranza armena all’interno della repubblica azera.
Al crollo dell’Unione Sovietica nell’esacerbarsi delle identità religiose e nazionalistiche degli ex stati sovietici riemerse la questione del Nagorno-Karabakh che ha portato ad un primo sanguinoso conflitto tra Azeri e Armeni tra il 1992 e il 1994 conclusosi con un difficile percorso di pace; e a partire dal 2001 sia la Repubblica d’Armenia che la Repubblica dell’Azerbaigian sono entrate nel Consiglio d’Europa. Il conflitto si riaccende nuovamente tra settembre e novembre del 2020, creando una nuova emergenza umanitaria alla quale ha fatto fronte una forza di pace e la Croce Rossa internazionale che garantiva l’approvvigionamento di beni di primaria importanza attraverso il corridoio di Lachin, un piccolo lembo territoriale che consente agli aiuti umanitari di giungere al Nagorno-Karabakh.
L’accorato appello dell’Internazionale socialista si rivolge alle forze internazionali, ai leader progressisti e ai due partiti membri dell’Internazionale Socialista dei due paesi coinvolti, dunque la Federazione Rivoluzionaria Armena e il Partito social Democratico Azero. Di seguito la traduzione della dichiarazione dell’Internazionale sulla crisi umanitaria in corso.

 

Benedetto Ligorio

Ph.D.

 

 

Internazionale Socialista: Dichiarazione sulla crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh

 

L’Internazionale Socialista è profondamente preoccupata per la crescente crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh. Il continuo blocco del corridoio Lachin da parte dell’Azerbaigian ha causato per diversi mesi una situazione insostenibile e una crisi umanitaria. La privazione di cibo, medicine, gas ed elettricità fornite dall’Armenia sta rapidamente provocando fame e una catastrofe umanitaria nella regione.
La politica azera volta alla chiusura del corridoio Lachin dal 12 dicembre 2022, l’interruzione dell’unica linea elettrica ad alta tensione che alimenta il Nagorno-Karabakh l’Armenia dal 9 gennaio 2023, l’interruzione della fornitura di gas dal 21 marzo 2023 e inoltre la il blocco totale dal 15 giugno 2023 ha un impatto disastroso sulle condizioni di vita della popolazione armena autoctona del Nagorno-Karabakh.
Notiamo che dal 15 giugno 2023 le forniture di cibo, medicinali e altri beni essenziali, precedentemente effettuate dalle forze di mantenimento della pace russe e dal Comitato internazionale della Croce Rossa, sono state interrotte a causa del blocco del corridoio Lachin da parte dell’Azerbaigian. Il blocco continuo viola le decisioni giuridicamente vincolanti riguardanti il corridoio Lachin adottate dalla Corte internazionale di giustizia e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
L’Internazionale Socialista è inoltre estremamente preoccupata per i rapporti e gli allarmi sull’imminente minaccia di genocidio della popolazione del Nagorno-Karabakh, sollevati da eminenti esperti internazionali e da istituzioni competenti, come il Lemkin Institute for Genocide Prevention e Luis Moreno Ocampo, il primo procuratore della Corte Penale Internazionale.
L’Internazionale Socialista esorta il governo della Repubblica dell’Azerbaigian ad aprire il corridoio Lachin per garantire il trasporto di persone e merci in entrambe le direzioni immediatamente in conformità con i suoi obblighi internazionali e le decisioni giuridicamente vincolanti adottate dai tribunali internazionali.
Esortiamo inoltre i nostri partiti membri dell’Armenia e dell’Azerbaigian a lavorare insieme per garantire una risoluzione sostenibile del conflitto del Nagorno-Karabakh.
Chiediamo inoltre alla comunità internazionale di accelerare i suoi sforzi per chiedere alle autorità azerbaigiane di porre fine al blocco del corridoio Lachin.

 

Crisi in Nagorno Karabakh, l’enclave armena da due mesi senza assistenza umanitaria. “Genocidio in atto” (Il Fatto Quotidiano 28.08.23)

Si riaccende la crisi in Nagorno Karabakh, l’enclave armena in territorio azero che da aprile vive in stato di isolamento dopo che le truppe azere hanno chiuso il passaggio dal corridoio di Lachin, l’unico accesso dall’Armenia ai territori dell’Alto KarabakhSergey Ghazaryan, ministro degli Esteri dell’autoproclamata repubblica, denuncia che è in atto “una politica del genocidio” da parte di Baku, che vuole “eliminare la popolazione indigena armena dalla loro patria. L’obiettivo dell’Azerbaigian non è altro che la ‘de-armenizzazionè del Nagorno Karabakh”. Ghazaryan sottolinea inoltre quanto la popolazione dell’enclave si trovi “vicina a una catastrofe umanitaria” e che la vita di “120mila persone è a rischio”. “Il Corridoio Lachin, la cui sicurezza è stata stabilita dalla dichiarazione trilaterale del cessate il fuoco del 2020, non è solo necessario per l’arrivo degli aiuti umanitari, è un elemento essenziale per la sicurezza del nostro popolo e per il nostro sviluppo socio-economico”, continua il rappresentante della repubblica non riconosciuta, sottolineando come “la sicurezza di tale passaggio sia un tassello fondamentale per raggiungere una pace duratura”.

Le proteste in Armenia – Una situazione che è sfociata anche in proteste nella capitale armena Yerevan, dove il 24 agosto i manifestanti hanno bloccato la città per esprimere il loro dissenso nei confronti dell’esecutivo del premier armeno Nikol Pahinyan e la sua gestione del negoziato di pace con l’Azerbaigian. L’opposizione accusa il premier di usare una linea troppo debole e chiede un azione rapida contro il blocco azero agli accessi al Nagorno Karabakh che sta determinando una crisi umanitaria nell’enclave armena lasciata da oltre due mesi senza assistenza umanitaria. Pashinyan a sua volta ha risposto alle proteste facendo sapere in un messaggio pubblico che “il negoziato verso la pace è l’unica strada per garantire all’Armenia una vera indipendenza”.

Le criticità nella zona di Lachin – Stando agli accordi di cessate il fuoco del 2020, il passaggio nella zona di Lachin doveva essere sotto il controllo delle forze d’interposizione russe, ma le truppe di Mosca hanno di fatto passato il controllo del posto di frontiera alle forze azere da questo aprile. Il rappresentante delle autorità del Karabakh non risparmia critiche all’Ue accusandola di “interagire regolarmente con l’Azerbaigian nonostante la azioni genocide che Baku sta attuando contro di noi”. Ghazaryan chiede infatti “sanzioni contro Baku”, e lamenta la lentezza dell’Ue nell’approvare misure contro l’Azerbaigian sottolineando come “questo comportamento dà all’Azerbaigian la fiducia nella propria impunità”. Intanto Euma, la missione civile di monitoraggio dell’Ue in Armenia, è partita a febbraio 2023.

Riguardo alle garanzie di sicurezza per gli armeni del Karabakh, punto fondamentale del processo di pace in corso tra Armenia e Azerbaigian, Ghazaryan insiste sulla necessità di “mediatori internazionali e un meccanismo internazionale ben progettato sul terreno”. In mancanza di garanzia di sicurezza per gli armeni del Karabakh, l’intero negoziato sarebbe infatti a rischio fallimento e tornerebbe “il pericolo di una ripresa delle ostilità, possibilità resa evidente dalle provocazioni, le violazioni del cessate il fuoco e le quotidiane minacce di ricorrere alla forza da parte dell’Azerbaigian“.

La missione europea – Nata da pochi mesi sullo stampo della vicina missione di monitoraggio in GeorgiaEuma conta attualmente circa 100 impiegati europei tra cui un’italiana e 6 basi nelle regioni più esposte, tra cui il quartier generale nella cittadina di Yeghegnadzor. La missione rappresenta di fatto gli occhi dell’Ue sul campo e opera sulle basi di un accordo bilaterale con il governo armeno con il mandato di osservare e riportare a Bruxelles gli sviluppi su tutta la linea di contatto tra Armenia e Azerbaigian. Un mandato esteso a tutto il confine perché ciò che minaccia la fragile tregua tra i due Paesi non è solo più la questione del Nagorno Karabakh, che rimane fuori dal mandato della missione. Dal conflitto del 2020 le tensioni infatti si sono allargate a tutti i villaggi di confine con incursione azere in territorio armeno, allargando la tensione anche nelle regioni ad est o quelle ad ovest adiacenti all’exclave azera del Nakhichevan. Un mandato che inizialmente voleva garantire l’accesso a entrambi i fronti ma che ha incontrato il no secco di Baku, contraria alla presenza di qualsiasi missione internazionale sul suo territorio.

Gli osservatori Ue non sono però gli unici: i russi sono ancora presenti nella regione con oltre mille uomini armati, i cosiddetti ‘russian peacekeepers’, che è facile vedere sui loro camion verdi percorrere le stesse strade battute dagli europei. Dopo aver facilitato la firma del cessate il fuoco del 2020, l’Ue ha però progressivamente sfilato a Mosca il ruolo di mediatore nel conflitto caucasico ospitando a Bruxelles i negoziati di pace. Le truppe russe fino al 2020 erano percepite come garanzia di sicurezza per gli armeni ma dopo l’escalation non sono più viste di buon occhio da chi vive a ridosso delle trincee.

260° giorno del #ArtsakhBlockade. Cronaca dal campo di concentramento della soluzione finale di Aliyev in Artsakh. Non ci vuole tutta questa intelligenza o tre lauree per capire cosa sta succedendo (Korazym 28.08.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 28.08.2023 – Vik van Brantegem] – Mai avrei pensato nei primi giorni di arrivare al giorno 260° – vuol dire che sono un ottimista – ma presto avevo capito che lo psicopatico di Baku faceva sul serio. L’aveva detto per decenni e il 27 settembre 2020 l’ha mostrato e poi l’ho ripetuto con ogni esternazione e con ogni atto e azione. Se il mondo non lo fermerà, lui ha intenzione di fermare il mondo civilizzato, come avevano intenzione di fare Stalin, Hitler, Mao, Pol Pot, ecc. Non ci vuole tutta questa intelligenza o tre lauree per capirlo.

È difficile sopravvalutare questa frase del The Azeri Times, medium statale azero. Il genocidio armeno è accettato come un fatto in ogni Paese al di fuori dell’Azerbaigian e della Turchia. Il dibattito sull’argomento è praticamente finito. Il fatto che la narrazione sia andata nella direzione opposta in Azerbajgian e Turchia li isola dal resto del mondo. Alcuni “ignoranti ostinati” (“ignorante” non è una parola offensiva, indica qualcuno che ignora; “ostinato” indica invece qualcuno che si ostina a non riconoscere verità e giustizia), ovvero i negazionisti del genocidio armeno, sembrano ad aver difficoltà a comprendere la connessione tra la negazione del genocidio e il #ArtsakhBlockade. Nessuna sorpresa qui, perché la negazione vuol dire: “Va bene uccidere centinaia di migliaia di persone (se non milioni) a causa della loro etnia, non c’è niente di sbagliato nello stuprare donne, uomini e bambini, va bene confiscare le loro proprietà e i loro conti bancari. Lo rifaremo quando le condizioni saranno mature”.
Dal momento che sono troppo pigri per “pensare” e grazie al livello di lavaggio del cervello a cui sono stati sottoposti dalla macchina di propaganda di Aliyev, non hanno idea del significato della negazione e del fatto che sia una fase determinante di un genocidio.

Infine, la società azera non si pone neanche la domanda perché il loro fratello maggiore (due nazioni, un fascismo) abbia aiutato l’Azerbajgian nella guerra dei 44 giorni contro l’Artsakh e perché lo sostiene con armi, formazione e assistenza militare (è accertato che l’esercito dell’Azerbajgian non sapeva come utilizzare i drone turchi, che son stati operati da militari turchi che successivamente hanno istruito l’esercito azero).

«Cos’è questa se non una catastrofe? Capite che le persone non hanno cibo da mangiare? (Personalmente non riesco a comprare un solo pagnotta di pane da 4/5 giorni). Questa è semplicemente una prigione a cielo aperto. Probabilmente in prigione si nutrano tre volte al giorno a differenza del Nagorno-Karabakh» (Marut Vanyan, giornalista freelance di Artsakh – Email).

In chiara violazione del diritto alla libertà di parola e con un passo contro la democrazia, Facebook ha cancellato il profilo del Presidente della Repubblica di Artsakh, Arayik Harutyunyan dopo le denunce del governo dell’Azerbaigian

Dopo aver tagliato il cavo in fibre ottiche per ostacolare l’accesso a Internet, Aliyev ha bloccato anche la presenza su Facebook del Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Arayik Harutyunyan. Il 26 agosto 2023, la pagina Facebook ufficiale di Harutyunyan è stata oscurata a seguito delle persistenti denunce da parte dell’Azerbajgian, ha riferito il Dipartimento di informazione dell’Ufficio del Presidente dell’Artsakh. Per mesi sono stati presentati reclami contro la pagina, a seguito dei quali sono state gradualmente imposte forti restrizioni alla pagina sotto forma di diminuzione della visibilità dei post e del blocco di varie funzioni. A seguito di recenti reclami, dal 26 agosto la pagina non è più raggiungibile. I responsabili della pagina hanno presentato il reclamo a Facebook secondo le procedure stabilite, chiedendo le motivazioni per la decisione di oscurare la pagina, che contava 459.000 follower ed è stata determinante nel garantire la trasparenza delle attività del Presidente dell’Artsakh.

Lo Staff del Presidente dell’Artsakh ritiene inaccettabile la decisione di Facebook, soprattutto nelle attuali difficili condizioni, in cui l’Azerbajgian sottopone il popolo dell’Artsakh all’isolamento e al blocco assoluto, anche nel campo dell’informazione.

Il fatto che i giganti dei media favoriscano gli affari con regimi autoritari rispetto ai diritti umani non è una novità, ma considerando il #ArtsakhBlockade in corso, la decisione di Meta può essere visto come un crimine di complicità nel genocidio, fornendo sostegno diretto al regime autocratico di Baku in questo crimine.

E non venire a ripetere che Meta è una società privata e – “quindi” – può fare quello che vuole, fino a censurare. Si tratta di un’affermazione fallace e non merita neanche una risposta. Chi lo dice dimostra di ignorare in che mondo viviamo.

Dopo la recita dell’Angelus Domini con i pellegrini in Piazza San Pietro ieri, Papa Francesco ha detto: «Restiamo sempre vicini anche al popolo ucraino, che soffre per la guerra, e soffre tanto: non dimentichiamo l’Ucraina!» Continuiamo con fiducia e speranza attendere che il Papa si accorge del popolo armeno dell’Artsakh che soffre per la guerra, soffre tanto, per dimostrare di non dimenticare l’Artsakh.

Domenica nella cattedrale della Santa Madre di Dio della Chiesa Apostolica Armena a Stepanakert (Foto di Marut Vanyan, giornalista freelance di Artsakh – Email mailto:marutvanyan@gmail.com).

L’insediamento illegale nel villaggio di Talish con coloni azeri da parte dell’Azerbajgian dopo la pulizia etnica dalla popolazione armena nel 2020 è un vivido esempio di come l’Azerbajgian vede l’integrazione. “Integrano” i territori dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh in Azerbajgian, non la popolazione armena.

«Khankendi, 25.08.23. Un bel matrimonio degli Armeni del Karabakh Liana e Suren ieri in un ristorante con numerosi ospiti, tavole apparecchiate e musica. Sono disponibili cibo, elettricità e carburante. Non c’è fame, né crisi umanitaria» (un troll abituale su Twitter – con filmati e foto di gente che balla e posta foto, senza ombra di cibo, senza indicazione di data e luogo).

Il livello delle falsità diffuse dai “diplomatici” e troll turco-azeri sul libro paga di Ilham Aliyev mostra più immaginazione del miglior romanzo di fiction scritto da un autore rinomato. Diffondere una narrativa menzognera e di disinformazione è la strategia del regime autocratico di Aliyev dell’Azerbajgian.

«Insieme a medicine, latte artificiale, zucchero, sale, prodotti per l’igiene e altri elementi essenziali, i genitori sono alla ricerca di articoli di cancelleria e vestiti scolastici. Questi sono gli scaffali vuoti in una delle più grandi librerie di Stepanakert. #ArtsakhBlockade, giorno 259» (Siranush Sargsyan, giornalista freelance a Stepanakert).

«I sacchetti di polietilene si stanno asciugando. Nell’Artsakh, le persone lavano e riutilizzano gli oggetti usa e getta» (Irina Hayrapetyan (giornalista della Repubblica Invisibile).

«Giorno 259 dell’assedio del Nagorno-Karabakh/Artsakh. Fila notturna per il pane a Stepanakert. Le persone sono così stanche che si sdraiano per terra. Non è possibile trovare alcun cibo vitale in città. Questa è semplicemente una situazione insopportabile che ci è apparsa. Inferno…» (Marut Vanyan, giornalista freelance di Artsakh – Email).
«La fila per il pane, iniziata di notte, non è ancora finita. E molte persone non riusciranno a comprare oggi il pane che è limitato. La popolazione dell’Artsakh/Nagorno Karabakh sta morendo di fame a causa della politica genocida dell’Azerbajgian e con il consenso della comunità internazionale» (Vahagn Khachatryan, giornalista di Artsakh).

Fila per il pane a Stepanakert (Foto di Liana Margaryan, giornalista freelance di Artsakh).

Nell’Artsakh, le persone stanno in fila per il pane non per ore, ma per giorni

Lo ha detto Mary Asatryan, Assistente del Difensore dei Diritti Umani della Repubblica di Artsakh, in una conversazione con Sputnik Armenia. «Le persone fanno la fila e trascorrono sia la notte che il giorno in fila. Le persone passano l’intera giornata a risolvere il problema del pane», ha detto Asatryan.

Asatryan ha anche detto che ci sono anche casi in cui i genitori mandano a fare la fila per il pane loro figli, che dormono per strada. E gli anziani molto spesso proprio non ce la fanno, svengono.

L’Assistente del Difensore dei Diritti Umani dell’Artsakh ha anche detto che le scorte di farina nell’Artsakh sono praticamente finite e che ora le autorità locali stanno cercando di organizzare il raccolto estivo, essiccarlo e macinarlo per fare il pane.

«Anche le interruzioni di corrente influiscono sul lavoro dei panifici. Abbiamo elettricità per 6 ore al giorno, il che non è sufficiente per produrre del pane a sufficienza per le persone. Nel caso degli asili nido, a motivo della stagionalità, è ancora possibile procurarsi frutta e verdura dai villaggi e fornirle ai bambini piccoli», ha sottolineato Asatryan.

Ha anche ricordato che non sempre è possibile raccogliere il nuovo raccolto di grano, perché gli Azeri sparano in modo mirato sulle macchine da raccolta e sugli abitanti dei villaggi.

In risposta alla domanda dell’agenzia di stampa Artsakhpress, il Fondo di sostegno ai villaggi e all’agricoltura della Repubblica di Artsakh ha smentito le voci, secondo cui la farina non verrebbe più fornita ai panifici nei prossimi tre giorni. Il Fondo ha assicurato che nonostante vi siano diversi problemi legati all’organizzazione del raccolto, ad ottenere il volume di grano necessario, al funzionamento dei mulini e alla disponibilità di combustibile, nei prossimi giorni sarà possibile mantenere stabile almeno al livello degli ultimi giorni l’approvvigionamento di farina e del volume di produzione del pane. «Giornalmente vengono raccolte le scorte di grano e la farina risultante viene inviata direttamente ai panificati, secondo le possibilità. Attualmente a Stepanakert viene fornita ai panifici farina pari al 70% della domanda di pane”, ha dichiarato il Fondo.

Il Ministero dell’Agricoltura della Repubblica di Artsakh ha informato che il governo è pronto a raccogliere il raccolto di grano, esortando i proprietari dei terreni di collaborare al processo di fornitura del pane ai connazionali e che il governo è pronto ad acquistare il grano raccolto al prezzo di mercato, indipendentemente da la quantità: «Esortiamo i capi delle comunità a raccogliere e completare le informazioni sulle scorte di grano nelle loro comunità e a presentarle al Ministero dell’Agricoltura in modo che il governo possa organizzare la questione del trasporto del grano il prima possibile. Cari leader comunitari, vi preghiamo di mostrare la massima collaborazione, coerenza e responsabilità nel risolvere il problema, contribuendo ad alleviare in una certa misura la crisi del pane», si legge nella nota rilasciata dal Ministero dell’Agricoltura.

Le autorità competenti dell’Artsakh fanno continuamente tutti gli sforzi per soddisfare, almeno parzialmente, il bisogno di pane della popolazione, date le limitate riserve di grano e di carburante, sia a Stepanakert che nelle regione, si legge nella nota.

Tra sabato e domenica sono stati terminati i preparativi per la vendita equa di determinati prodotti per alcuni gruppi sociali di Stepanakert, che inizierà oggi. Lo ha scritto il Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh, Gurgen Nersisyan, sulla sua pagina Facebook: «Negli ultimi giorni il governo ha svolto alcuni lavori preparatori per organizzare la distribuzione di prodotti a base di carne, patate e cereali ai rappresentanti di diversi gruppi sociali di Stepanakert (anziani, disabili, sfollati, madri single, famiglie con tanti bambini, ecc.) dalla prossima settimana. Un ulteriore comunicato chiarificatore verrà rilasciato dagli organi competenti in merito alla procedura».

Secondo informazioni provenienti da diverse fonti, non confermate, ci sono indicazioni di un cambio di comando all’interno del contingente di mantenimento della pace russo nell’Artsakh. Sondo gli stessi fonti, il Colonello Generale Aleksander Lentsov ha lasciato già l’Artsakh e il nome del nuovo comandante dovrebbe essere reso noto presto. «Gli obiettivi sono passati di male in peggio e ciò richiede una maggiore incompetenza da parte del fronte ucraino impegnando gli avanzi» (Cit.).

«Vediamo come risponderà la Russia alla richiesta del Nagorno-Karabakh di organizzare un incontro con l’Azerbajgian. Stepanakert si aspetta che Mosca organizzi un incontro con Baku in un luogo neutrale e sicuro. Gurgen Nersisyan, Ministro di Stato del Nagorno-Karabakh, si è rivolto alla Russia con una “proposta-richiesta per organizzare un incontro con l’Azerbajgian sul tema della catastrofica situazione umanitaria”.
Nersisyan ha affermato che nessuno può garantire la sicurezza fisica della popolazione dell’Artsakh nel territorio dell’Azerbaigian. “L’incontro può svolgersi nel luogo in cui si trovano le forze di pace russe o in qualsiasi altro luogo sicuro con la partecipazione di terzi, che garantiranno la costruttività della discussione e l’inviolabilità degli accordi”, ha detto Nersisyan. Il responsabile del governo del Nagorno-Karabakh ha detto che le decisioni verranno prese dopo l’incontro con l’Azerbajgian.
Secondo le mie informazioni, il Nagorno-Karabakh è costretto a rivolgersi alla Russia dopo che Baku e Mosca hanno ostacolato l’incontro tra Karabakh e Azerbaigian che l’Occidente stava cercando di organizzare. Sicuramente la proposta occidentale sarebbe più vantaggiosa per il Nagorno-Karabakh, perché l’incontro verrebbe organizzato in un Paese neutrale e dovrebbero essere presenti mediatori internazionali. Gli Stati Uniti sono stati due volte molto vicini all’organizzazione di un incontro in un Paese neutrale (Sofia, Bucarest), ma la distruttività e il massimalismo dell’Azerbajgian hanno ostacolato gli sforzi occidentali.
L’Azerbajgian si è detto contrario alla presenza di osservatori internazionali, come diplomatici americani o europei, all’incontro Karabakh-Azerbajgian. Baku si offrì addirittura di pagare i servizi dell’hotel per il luogo dell’incontro. Penso che il Nagorno Karabakh non possa partecipare all’incontro con l’Azerbajgian senza osservatori internazionali.
È ovvio che durante un incontro faccia a faccia, l’Azerbajgian minaccerebbe di guerra il Nagorno-Karabakh e chiederebbe di accettare il programma di “reintegrazione” dell’Azerbajgian. Non sarebbe un negoziato, ma sarebbe un ricatto da parte dell’Azerbajgian.
E su quali basi Stepanakert doveva aspettarsi minacce di guerra da Baku? Il 1° marzo 2023 si è svolto un incontro Karabakh-Azerbajgian a Khojaly/Ivanyan del Nagorno-Karabakh, con la mediazione del comando di mantenimento della pace russo. In quell’incontro, l’Azerbajgian minacciò che ci sarebbero state dure operazioni militari se il piano azerbajgiano non fosse stato accettato.
Alcuni giorni dopo l’incontro del 1° marzo, l’Azerbajgian ha ucciso quattro poliziotti del Nagorno-Karabakh, ha conquistato le alture del Karabakh, ha istituito un posto di blocco illegale nel Corridoio di Lachin con l’aiuto dei Russi e ha vietato l’ingresso di beni umanitari nell’Artsakh.
Ora la situazione umanitaria in Karabakh è critica e ritardre l’incontro potrebbe avere conseguenze tragiche. Ecco perché Stepanakert è ora costretto a rivolgersi a Mosca. Se l’Occidente riuscisse a superare la pressione russo-azerbaigiana e ad organizzare un incontro, il Nagorno-Karabakh vi avrebbe partecipato.
L’altra parte che ha ostacolato l’incontro tra Karabakh e Azerbajgian alla presenza di mediatori internazionali in un Paese neutrale è la Russia. Mesi fa Mosca ufficiale ha diffuso una menzogna secondo cui avevano informazioni secondo cui gli USA stavano facendo pressioni sul Nagorno-Karabakh affinché si incontrasse con l’Azerbaigian in un Paese terzo. Stepanakert ha negato quella calunnia russa. Cosa risponderà oggi la Russia a Stepanakert?
C’è un’alta probabilità che la Russia offra nuovamente al Nagorno-Karabakh un incontro con i rappresentanti di Baku nelle città azere di Yevlakh o Barda. La Russia ha già fatto un’offerta del genere l’ultima volta. Tuttavia, Artsakh ha rifiutato di incontrarsi a Yevlakh dopo il rapimento di Vagif Khachatryan da parte dell’Azerbajgian. C’è il grosso rischio che questa volta la Russia offra un incontro in qualche città dell’Azerbaigian, promettendo alcune garanzie di sicurezza. Penso però che la Russia non soddisferà l’altra richiesta del Nagorno-Karabakh, ovvero il coinvolgimento di mediatori internazionali. La Russia proporrà la presenza della forza di mantenimento della pace russe all’incontro. Tuttavia, l’Azerbajgian ha rapito Vagif Khachatryan al checkpoint nel Corridoio di Lachin in presenza delle forze di mantenimento della pace russe. I Russi non possono garantire la sicurezza della delegazione del Nagorno-Karabakh in Azerbajgian.
Finora la Russia non ha risposto alla richiesta del Nagorno-Karabakh» (Robert Ananyan – Nostra traduzione italiana dall’inglese).

Gli esami forensi hanno confermato la morte di Prigozhin durante l’incidente aereo

Il comitato investigativo russo ha annunciato che sono stati identificati tutti i passeggeri morti nello schianto dell’aereo Embraer-135 nella regione di Tver, compreso Yevgeny Prigozhin, il capo della compagnia militare privata Wagner. Secondo i risultati degli esami del comitato investigativo russo, l’identità di tutte e dieci le persone morte è stata rivelata, corrispondondente all’elenco dei passeggeri del volo, con l’aggiunta dei tre membri dell’equipaggio.

Segnaliamo

– Betty Arslanian: “La cuestión de la defensa de Artsakh sigue siendo la línea roja para la sociedad armenia” di Angelo Nero – Nuervarevolucion.es, 27 agosto 2023 [QUI]

NOI PREGHIAMO IL SIGNORE PER QUESTO MIRACOLO
NON DOBBIAMO SPERARE CHE VENGA DAGLI UOMINI,
QUELLO CHE SOLO IL SIGNORE POTREBBE DARCI

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI