Caucaso meridionale, geografia dei voli (Osservatorio Balcani e Caucaso 24.05.23)

Armenia e Azerbaijan non hanno voli diretti dalla prima guerra del Nagorno Karabakh. Da maggio le compagnie aeree armene hanno perso il diritto di sorvolare lo spazio aereo turco. Nel 2019 sono stati interrotti i voli fra Georgia e Russia, ma dal 10 maggio Mosca ha riaperto ai voli con la Georgia. La complicata geografia dei voli del Caucaso meridionale

24/05/2023 –  Marilisa Lorusso

La geografia dei voli da e per il Caucaso meridionale è un quadro complesso da anni. Armenia e Azerbaijan non hanno voli diretti dalla prima guerra del Nagorno Karabakh, nei primi anni ’90, e anche i confini terrestri sono chiusi. Nello stesso periodo e per lo stesso motivo, con la Turchia a sostegno dell’Azerbaijan nella disputa per il Nagorno Karabakh, si sono chiusi i confini terrestri fra Armenia e Turchia, ma – seppur con discontinuità – sono continuati i voli e le compagnie aeree dei due paesi avevano il reciproco diritto di sorvolo. Nel 2019 sono stati interrotti i voli fra Georgia e Russia. A questo quadro si sono aggiunte le criticità dei voi per il Caucaso settentrionale, con la Russia e le sue compagnie o sotto sanzioni, o con problemi legati alle assicurazioni per effetto delle sanzioni.

Nel giro di poche settimane, questa complessa geografia è cambiata, con nuovi colpi di scena.

Armenia-Turchia

Continuano le negoziazioni per la riapertura di un confine terrestre fra Armenia e Turchia. Ci sono due rappresentanti speciali che lo negoziano, e la prima apertura dovrebbe riguardare i cittadini di paesi terzi che potrebbero passare il confine, e i membri della diplomazia. I negoziati sono fortemente ipotecati dai contemporanei negoziati armeno-azeri e dalle alterne vicende di tenuta del cessate il fuoco. Di nuovo a maggio si sono registrate nuove perdite lungo il confine armeno-azero e questo non può che avere una risonanza sul disgelo armeno-turco.

Ma la novità, e negativa, riguarda i voli. Da maggio le compagnie aeree armene hanno perso il diritto di sorvolare lo spazio aereo turco. Il casus belli che ha portato a questa sospensione è stata l’inaugurazione a fine aprile di una fontana commemorativa  voluta dal Consiglio Comunale della capitale Yerevan. La fontana è dedicata agli autori dell’Operazione Nemesis, e i loro nomi sono incisi sulla fontana.

Nemesis è la dea greca della vendetta, ed è il nome che era stato scelto dal congresso della Federazione Rivoluzionaria Armena per l’operazione punitrice dei perpetratori del genocidio armeno e dei massacri di Baku  all’inizio del ‘900. L’operazione si tenne fra il 1920 e il 1922 e portò all’uccisione di cinque sudditi ottomani e due azeri, ambedue ministri degli Interni dell’Azerbaijan uccisi uno nell’allora Costantinopoli, l’altro a Tbilisi. Anche Cemal Pasha fu ucciso dagli uomini di Nemesis a Tbilisi, mentre l’altro triumviro degli ultimi anni del governo ottomano, Talaat Pasha, fu ucciso a Berlino, dove Nemesis uccise anche altri due politici turchi. Un ultimo fu ucciso a Roma.

L’inaugurazione di una fontana commemorativa di quegli eventi e di quella operazione è per la Turchia un affronto. Il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha dichiarato che la Turchia ha compiuto dei passi verso la normalizzazione dei rapporti con l’Armenia e che, nella consapevolezza che il genocidio non può trovare un quadro interpretativo comune, il tema per il momento è stato accantonato. Ma secondo Çavuşoğlu  l’inaugurazione di questo monumento è una prova della mancanza di buona fede negoziale degli armeni, perché per la controparte turca è un monumento che celebra degli atti di terrorismo, e il processo di negoziazione finché rimane il monumento non può proseguire.

Armen Grigoryan del Consiglio di Sicurezza nazionale armeno ha definito le parole di Çavuşoğlu inappropriate e un’interferenza in questioni interne armene. Ha aggiunto che l’Armenia ha ripetutamente affermato  di voler normalizzare le relazioni con la Turchia senza precondizioni. L’amministrazione di Yerevan, che ha la competenza rispetto alla posa e la preservazione del monumento, ha dichiarato  di non aver intenzione di rimuoverlo.

Georgia-Russia

Per uno spazio aereo che si chiude, un altro se ne apre. Nel 2019 la Russia aveva interrotto i voli con la Georgia per la “notte di Gavrilov” e sconsigliato il paese ai russi come destinazione pericolosa.

Il 10 maggio con un decreto presidenziale è cambiato tutto: Mosca ha riaperto ai voli con la Georgia e ha tolto l’obbligo di visto per i cittadini georgiani che intendono visitare il paese. Le due misure coincidono con un periodo in cui sono state discusse nuove sanzioni contro la Russia, e in cui la Georgia è sorvegliata speciale per quanto riguarda il suo allineamento alle sanzioni.

Immediatamente la presidente Salomè Zourabishvili ha identificato  la misura di Mosca come una provocazione, una trappola per allontanare il paese dal percorso europeo  . L’opposizione ha condiviso l’opinione della presidente, mentre il partito di maggioranza – il Sogno Georgiano – si è felicitato  della decisione di Mosca, ricordando che l’abolizione del regime di visti era a lungo stata negoziata, e che la sospensione dei voli era stato un atto unilaterale russo.

Secondo il Sogno Georgiano i voli diretti renderanno la vita più facile per i georgiani che vivono in Russia, i cui numeri in verità risultano essere molto ridotti rispetto a un tempo. Il governo cita la cifra di un milione di georgiani, ma il censimento russo del 2021  indica che i georgiani e i parlanti georgiano di altra etnia sono 112.765.

La Delegazione dell’Unione Europea in Georgia si è così espressa  : “Abbiamo preso atto della decisione delle autorità russe di revocare il divieto di viaggio aereo per la Georgia. A causa dell’aggressione russa illegale contro l’Ucraina, l’UE e una serie di altri paesi hanno sanzionato l’aviazione russa e non consentono voli da, verso o sopra la Russia. L’UE incoraggia la Georgia, che aspira a diventare un paese candidato all’adesione all’UE, ad allinearsi con l’UE e altri paesi nelle loro sanzioni contro la Russia anche nel settore dell’aviazione, e a rimanere vigile riguardo a qualsiasi possibile tentativo di eluderle. Inoltre, alla luce delle significative preoccupazioni per la sicurezza notificate alla Russia dall’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale (ICAO) delle Nazioni Unite, la Georgia non dovrebbe consentire l’ingresso nel suo territorio ad aerei russi non sicuri. A causa delle sanzioni dell’UE, il 95% della flotta aerea russa non è in grado di aggiornare i propri aerei, il che è essenziale per mantenere i necessari standard tecnici e di sicurezza internazionali”.

Il governo georgiano tira dritto  , e dal 19 maggio si è ricominciato a volare da e per la Russia, nonostante le proteste. Per la Russia vola Azimuth, oggetto specifico di sanzioni ucraine, che farà collegamenti quotidiani. Per la Georgia, volerà la compagnia di bandiera Georgian Airways che pure effettuerà collegamenti quotidiani.

L’allineamento  della Georgia alle decisioni e alle dichiarazioni di politica estera e di sicurezza dell’UE è sceso dal già basso 44% del 2022 a solo il 31% nel 2023.

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L’Armenia, abbandonata da tutti, offre il Nagorno-Karabakh a Baku (Rassegna stampa 22,23 e 24.05.23)

l premier Pashinyan è pronto a cedere il territorio storicamente armeno in cambio di una pace duratura e garanzie internazionali. È la mossa della disperazione

L’Armenia pronta a cedere all’Azerbaigian

Le dichiarazioni del premier non costituiscono una novità di per sé. Contro il sentimento di parte della popolazione armena, Pashinyan ha più volte dichiarato di essere pronto a sacrificare il Nagorno-Karabakh per ottenere una pace duratura con il regime di Ilham Aliyev e preservare il territorio armeno davanti alla minaccia di un’invasione congiunta turco-azera. «L’Armenia è pronta a riconoscere gli 86.600 chilometri quadrati di integrità territoriale dell’Azerbaigian», ha dichiarato il premier lunedì. «E ci sembra di capire che Baku è pronta a riconoscere i 29.800 chilometri quadrati di integrità territoriale dell’Armenia».

La possibilità di raggiungere un simile piano di pace dipenderà dal «nodo dei diritti e della sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh, che potrebbero essere dimenticati. L’Azerbaigian potrebbe infatti continuare la sua politica di pulizia etnica e genocidio contro gli armeni attraverso l’utilizzo della forza».

Come prevedibile il governo dell’Artsakh, nella persona di Artak Beglaryan, consigliere del ministro di Stato, ha rigettato questa possibilità: «Qualsiasi documento e dichiarazione che riconosca l’Artsakh come parte dell’Azerbaigian è inaccettabile. Solo il nostro popolo ha voce in capitolo sul nostro futuro».

Chi garantirà la sicurezza degli armeni?

A 164 giorni dall’inizio del blocco illegale da parte dell’Azerbaigian del corridoio di Lachin, che ha isolato i 120 mila armeni del Nagorno-Karabakh scatenando una crisi umanitaria, e dopo ripetuti attacchi armaticon i quali l’esercito di Baku ha rosicchiato diversi chilometri quadrati di territorio dell’Armenia, Erevan sembra intenzionata a cedere un territorio storicamente armeno al nemico in cambio della pace.

Resta da capire chi garantirà la sicurezza degli armeni sotto il regime di Aliyev, dal momento che l’Azerbaigian ha sempre attuato una politica di discriminazione di Stato e pulizia etnica nei confronti degli armeni, con l’appoggio e il sostegno della Turchia.

Addio all’alleanza con la Russia?

Importanti in questo senso sono le dichiarazioni con cui Pashinyan si è detto pronto ad abbandonare l’alleanza militare che lega l’Armenia alla Russia. L’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Otsc), in vigore dal 1992, prevede infatti che Mosca intervenga in difesa di Erevan qualora il paese subisca un attacco militare. Negli ultimi due anni l’Azerbaigian, anch’esso firmatario del trattato, ha più volte attaccato direttamente il territorio dell’Armenia, ma la Russia, distratta dalla guerra in Ucraina e troppo interessata a mantenere un buon rapporto con la Turchia, non è mai intervenuta.

L’appartenenza dell’Armenia all’Otsc ha impedito a Erevan negli ultimi anni di acquistare armi da altri paesi. Le dichiarazioni del premier armeno avvengono in un momento in cui gli Stati Uniti potrebbero essere interessati a strappare un alleato alla Russia. «Se l’Armenia dovesse uscire dall’Otsc con una decisione de jure, lo farebbe soltanto dopo aver constatato che l’Otsc ha deciso di abbandonare l’Armenia».

L’Armenia è sola e disperata

Non è da escludere che Pashinyan, che il 9 maggio in occasione del Giorno della vittoria in Russia è volato a Mosca, stia cercando disperatamente di fare il doppio gioco per attirare l’attenzione di Vladimir Putin, dal quale Erevan resta dipendente dal punto di vista energetico ed economico.

Di sicuro le ultime scelte del premier armeno, disposto perfino a sacrificare un pezzo di terra armena contesa pur di salvare il resto della Repubblica, mostrano un leader solo, quasi disperato, senza alleati e inferiore militarmente rispetto al nemico che gode dell’appoggio di un paese Nato.

Se Unione Europea e Stati Uniti si interessassero anche solo per un attimo alla vicenda armena, vittima di un’aggressione e di un’invasione in piena regola, Pashinyan non sarebbe costretto a tanto. Ma l’Armenia è sola e anche se per ragioni storiche non può in alcun modo fidarsi dell’Azerbaigian (oggi mi prendo il Nagorno-Karabakh, domani chissà), ha sempre meno carte da giocare nel suo mazzo.

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Il primo ministro armeno Pashinyan sarebbe pronto a rinunciare al Karabakh (Corriere della Sera 23.05.23)

Nagorno-Karabakh, prove di pace tra armeni e azeri. La tela di Mosca (La Repubblica 23.05.23)

ArmeniaArmenia riconoscerà la sovranità azera sul Nagorno-Karabakh

Putin mediatore di pace: l’Armenia riconosce l’integrità territoriale dell’Azerbaigian, compreso il Karabakh

Nagorno-Karabakh, Armenia pronta al riconoscimento all’Azerbaigian (Il Mondo 22.05.23)

Azerbaigian: Armenia riconosce Nagorno-Karabakh come parte integrità territoriale (La Sicilia 22.05.23)

Nagorno-Karabakh, la resa dell’Armenia? Il premier: “Riconosceremo sovranità Azerbaigian”. Cosa succede ora (Ilprimatonazionale 22.05.23)

Nagorno-Karabakh: Armenia pronta a riconoscerlo come parte Azerbaigian (La Presse 22.05.23)

L’Armenia apre sul Nagorno-Karabakh: “Lo riconosceremo territorio azero se garantiranno la sicurezza degli armeni” (Haffingtonpost 22.05.23)

 

Pashinyan vuole guardare a occidente ma non è arrivato il momento (Il Foglio 20.05.23)

Dal 2020 il rapporto tra Armenia e Russia si è fatto sempre più complesso, vitale il ruolo dell’Europa nella mediazione del conflitto nel Caucaso meridionale. Erevan vuole chiudere con Mosca ma ne è ancora troppo dipendente

Dopo i negoziati Ue l’Armenia guarda sempre più a ovest, ma non riesce a rompere con MoscaBruxelles. L’Armenia guarda sempre più a occidente ma il tempo di rompere con Mosca non è ancora arrivato. Il round di negoziati mediati lo scorso fine settimana dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilmar Aliyev conferma il ruolo primario dell’Ue nella mediazione del conflitto nel Caucaso meridionale. A piccoli passi, si chiude la partita sulla sovranità territoriale sul Nagorno Karabakh. La bizzarra formula scelta dal vertice di Bruxelles per il “riconoscimento reciproco delle rispettive dimensioni territoriali” (Azerbaigian 86.600 km² e Armenia 29.800 km²), conti alla mano è solo un modo per girare intorno a una dichiarazione indigesta: la capitale Yerevan ammette che l’enclave armena è territorio azero. La questione della sovranità però non risolve il problema dell’autodeterminazione e la sicurezza degli armeni che vivono nella zona: per garantire la loro incolumità Yerevan è alla ricerca di un garante che sappia tenere a freno l’Azerbaigian, ruolo tradizionalmente ricoperto dal Cremlino ma messo in crisi dall’evidente mancanza di risultati.

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164° giorno del #ArtsakhBlockade. Artsakh patria di tutti gli Armeni. La pace non può essere raggiunta solo con documenti. Dopo Artsakh Azerbajgian vuole Armenia (Korazym 24.05.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 24.05.2023 – Vik van Brantegem] – Riportiamo di seguito l’importante, accorato e fermo messaggio del Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Arayik Harutyunyan L’Artsakh è la patria di tutti gli Armeni, nella traduzione italiana a cura di Iniziativa italiana per l’Artsakh, seguito dall’articolo Può un pezzo di carta portare una pace duratura? di Tatevik Hayrapetyan pubblicato da EVN Report: “Il regime di Aliyev è abbastanza franco riguardo alle sue intenzioni, e finché non lo riconosciamo tutti, ci sono poche speranze di pace per coloro che vivono in Armenia, Artsakh e Azerbajgian”.

Il Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, Arayik Harutyunyan.

L’Artsakh è la patria di tutti gli Armeni

Cari compatrioti,

l’Artsakh vive da 163 giorni sotto l’intensificarsi del blocco criminale dell’Azerbajgian. Ci sono eventi in continua evoluzione intorno a noi, che influenzano direttamente o indirettamente la regione e, in particolare, la Repubblica di Artsakh e il nostro popolo. Nonostante la situazione creatasi e le sfide che aumentano di giorno in giorno, il popolo dell’Artsakh sta lottando per i propri diritti e libertà collettivi nella propria terra, continuando il sacro lavoro dei propri antenati.

Oltre ai rischi causati dal blocco e da altri fattori esterni, c’è anche l’aggravarsi dei problemi della vita interna dell’Artsakh e dell’instabilità politica interna. E qui nella regione più ampia e nel processo finalizzato alla regolamentazione delle relazioni interstatali Armenia-Azerbajgian, si stanno verificando nuovi sviluppi, che approfondiscono notevolmente le sfide e i pericoli ontologici dell’Artsakh. Questi fatidici sviluppi mi hanno spinto a parlare ai cittadini dell’Artsakh e all’intero popolo armeno sotto forma di messaggio.

Ora ci sono una serie di fattori nelle direzioni politiche e di sicurezza estere che influenzano direttamente il presente e il futuro del popolo dell’Artsakh. Vorrei evidenziare quanto segue:

• Il blocco di oltre cinque mesi dell’Artsakh, con crescenti sfide umanitarie e politiche e minacce alla sicurezza.
• Il deterioramento della situazione umanitaria e l’aumento dei rischi dovuti al continuo cedimento delle infrastrutture vitali dell’Artsakh.
• Il continuo aumento del rischio di una nuova aggressione militare dell’Azerbajgian contro l’Artsakh e le non celate ambizioni di effettuare la pulizia etnica.
• La grave violazione delle garanzie russe sulla sicurezza del popolo dell’Artsakh, fissata dalla dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020.
• L’aumento delle tensioni geopolitiche nella regione e dell’aggressività dell’Azerbajgian a causa del conflitto russo-ucraino.
• Il continuo indebolimento del sistema legale internazionale e l’incapacità della comunità internazionale di garantire la sicurezza e i diritti fondamentali del popolo dell’Artsakh, nonché l’attuazione delle decisioni dei tribunali internazionali.
• Il continuo indebolimento delle posizioni dell’Armenia nel processo di regolamentazione delle relazioni Armenia-Azerbajgian ei passi volti a riconoscere l’Artsakh come parte dell’Azerbajgian.
Considerando quanto sopra e altri fattori importanti, mi rivolgo:
• Ai miei compatrioti dell’Artsakh, che non si scoraggino e siano pronti a continuare la lotta, lasciando da parte le differenze interne al fine di servire risolutamente lo stesso obiettivo, rafforzando e sviluppando l’Artsakh. Sono lieto che in Artsakh ci sia un approccio completamente unificato a questo problema. In tal senso, accogliendo la dichiarazione di ieri dell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Artsakh in merito ai pensieri espressi dal Primo Ministro della Repubblica di Armenia, Nikol Pashinyan, sottolineo che qualsiasi dichiarazione e documento che ignori la sovranità della Repubblica di Artsakh, il diritto all’autodeterminazione della nostra gente e il fatto della sua realizzazione è per noi inaccettabile. L’Artsakh non faceva e non farà parte dell’Azerbajgian, perché questa è la volontà del nostro popolo, che ha abbastanza determinazione per lottare per i propri diritti e interessi. Sono sicuro che il combattente non è solo, e non solo tutti gli Armeni continueranno a sostenere la nostra lotta, ma si troveranno anche preziosi sostenitori nell’arena internazionale. Sì, la situazione è difficile, ma non senza speranza, e le autorità dell’Artsakh stanno prendendo e prenderanno possibili passi concreti per affrontare le sfide esterne e interne.
• Al popolo della Repubblica di Armenia, affinché dimostri attivamente e con decisione che l’Artsakh non può essere riconosciuto come parte dell’Azerbajgian e continui a sostenere questo pezzo più importante della patria armena unita. Dopotutto, l’Artsakh è la patria di tutti gli armeni, con il suo significato unico sia per lo stato armeno che per la nazione armena. Il popolo armeno è il proprietario della Repubblica di Armenia e deve decidere tali questioni nazionali e più importanti.
• Ai nostri connazionali della diaspora, che si scrollino di dosso il sentimento di delusione, impotenza e indifferenza e chiedano passi concreti da parte dei governi dei Paesi di cittadinanza e della Repubblica di Armenia nella direzione di garantire il diritto dell’Artsakh all’autodeterminazione e alla sicurezza. Ci aspettiamo che ogni individuo e organizzazione armena della diaspora adotti tutte le misure possibili per sostenere l’Artsakh e frenare le attività criminali azere. La diaspora ha un enorme potenziale non realizzato, che è in grado di garantire un serio successo in questioni fatali per la Patria.
• Alle autorità della Repubblica di Armenia di astenersi da qualsiasi azione e dichiarazione per riconoscere l’Artsakh come parte dell’Azerbajgian, aderendo agli obblighi assunti dai documenti nazionali e internazionali e dai desideri e interessi nazionali. Consapevoli della situazione vulnerabile della Repubblica di Armenia nel dopoguerra, ci siamo avvicinati a vari sviluppi con comprensione e abbiamo coscientemente sofferto e continuiamo a soffrire molte difficoltà per neutralizzare tutti i tentativi di imporre concessioni alla Repubblica di Armenia sopprimendoci. Tuttavia, esistono principi chiari e linee rosse, le cui violazioni consideriamo inaccettabili e inammissibili.
E riconoscere l’Artsakh come parte dell’Azerbajgian è una di quelle linee rosse, che, ne siamo certi, rimane tale per la maggior parte di tutti gli Armeni. Nelle azioni e posizioni relative all’Artsakh, il punto di riferimento principale per la Repubblica di Armenia dovrebbe essere l’espressione della volontà del popolo dell’Artsakh, che è stata inequivocabilmente dimostrata dall’indipendenza e dai referendum costituzionali, con il sostegno incondizionato della Repubblica di Armenia e tutto il popolo armeno. E la risoluzione delle relazioni interstatali Armenia-Azerbajgian non può avvenire con una logica completamente separata dal conflitto Azerbajgiano-Karabakh e a scapito dei diritti e degli interessi vitali del popolo dell’Artsakh, che, tra l’altro, sono parte integrante e importante parte dei diritti e degli interessi vitali dell’intera nazione armena.
• Alle autorità della Federazione Russa e allo stesso Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, affinché assicurino gli obblighi assunti dalla dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, aprendo il Corridoio di Lachin (Kashatagh), eliminando tutti gli ostacoli azeri, liberando le 120.000 persone dell’Artsakh da ostaggi terroristici e impediscano azioni aggressive dell’Azerbajgian contro il popolo dell’Artsakh. Indipendentemente dalle azioni delle altre parti della Dichiarazione tripartita, la Russia ha assunto obblighi chiari, che costituivano la base più seria per garantire il ritorno del popolo dell’Artsakh dopo la guerra. Pertanto, ci aspettiamo un adempimento costante e decisivo di questi obblighi per il bene del popolo dell’Artsakh e degli interessi della Federazione Russa, nonché per la secolare amicizia dei popoli armeno e russo.
• Al popolo e alle autorità dell’Azerbajgian per porre fine all’odio e alla politica di genocidio nei confronti del popolo dell’Artsakh, per essere pronti ad accettare veramente il principio dell’uguaglianza dei popoli e il titolo e i diritti del popolo armeno nativo dell’Artsakh. Siamo pronti per il dialogo, la risoluzione dei conflitti e la pace in un formato internazionale, ma sulla base delle norme e dei principi del diritto internazionale, in particolare i diritti dei popoli all’uguaglianza e all’autodeterminazione, al non uso della forza e alla minaccia della forza, alla risoluzione pacifica delle controversie e principi di integrità territoriale. Non rappresentiamo alcuna minaccia per l’Azerbajgian, ma, d’altra parte, il popolo dell’Artsakh ha il diritto all’autodifesa e la Repubblica di Artsakh ha l’obbligo di proteggere il proprio popolo. Nonostante le continue minacce dall’Azerbajgian, ne sono certo.
• A tutti gli attori della comunità internazionale, e in particolare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, affinché diano priorità alla Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite del 2023 per la corretta attuazione della decisione del 22 febbraio da parte dell’Azerbajgian, nonché garantiscano la sicurezza del popolo dell’Artsakh utilizzando gli strumenti necessari, in conformità con i principi e gli obiettivi delle Nazioni Unite.

Cari compatrioti,
vorrei anche toccare alcune questioni relative alla vita interna.

Dopo la guerra, l’Artsakh si trova occasionalmente nel vortice di conflitti interni, ma durante questo periodo siamo generalmente riusciti a garantire un certo livello di solidarietà interna e stabilità. Forze e attori politici diversi presentano richieste diverse, a volte giustificate, a volte no. Durante questo periodo, le mie attività sono state criticate da vari circoli, alcuni oggettivamente e sinceramente, altri soggettivamente e direttamente. È importante notare che a volte varie forze esterne cercano anche di promuovere sconvolgimenti interni nell’Artsakh, il che provoca ulteriore tensione.

Tuttavia, indipendentemente dal contenuto e dagli obiettivi delle critiche e delle richieste, nel quadro delle normative legali nazionali, ho fatto del mio meglio per garantire un ambiente politico di rispetto e dialogo reciproci e la tanto necessaria stabilità interna per noi. Sì, a volte l’ho fatto con un grado di tolleranza inaspettato per molti, ma di conseguenza siamo riusciti a proteggere la Repubblica da shock distruttivi e da una forte polarizzazione interna.

Negli ultimi giorni in Artsakh sono stati fatti tentativi per creare tensioni politiche interne. Varie forze politiche e individui, con le loro dichiarazioni e azioni, volenti o nolenti, creano condizioni aggiuntive di disunione interna e instabilità.

Sono state discusse questioni relative agli emendamenti costituzionali, all’organizzazione delle elezioni, il Presidente dell’Assemblea Nazionale ha espresso la proposta di indire un referendum sulla fiducia del Presidente e di creare un nuovo organo dell’amministrazione statale.

Non sono affatto attaccato alla carica di Presidente, per il bene della sicurezza del popolo della Repubblica di Artsakh, sono pronto a collaborare con qualsiasi forza e individuo capace e durante la mia attività ho cercato di fare tutto così che tali fenomeni siano valutati come normali processi caratteristici dei paesi democratici. Ma, d’altra parte, l’ordine costituzionale stabile nell’Artsakh, la solidarietà intra-sociale e lo spirito di lotta universale sono valori non negoziabili, della cui protezione sono il primo responsabile.

È chiaro che sono anche il più informato sui processi che si svolgono intorno a noi, il che mi dà un vantaggio comparativo nel sottoporli a una valutazione multiforme e più completa. È questa circostanza che spesso, per amore della pace interna e della solidarietà del Paese, mi spinge a compiere tali passi di cooperazione che, ripeto, a molti sembrano incomprensibili. Tuttavia, in nessun caso permetterò al desiderio distruttivo interno di potere, tentativi di soddisfare le ambizioni personali. Ho adottato questo approccio, tenendo conto della situazione creatasi, delle consultazioni politiche, delle istanze da loro presentate durante gli incontri con molti rappresentanti della società nei giorni scorsi, delle sagge valutazioni e della particolare importanza della stabilità e della forza interne.

In relazione a tutto ciò, dichiaro quanto segue:
• L’amministrazione nella Repubblica di Artsakh può essere svolta esclusivamente attraverso gli organi previsti dalla Costituzione della Repubblica di Artsakh.
• Sono disponibile alla collaborazione con tutte le forze parlamentari ed extraparlamentari che abbiano opinioni, idee e proposte in merito alla politica interna ed esterna dello Stato. La principale piattaforma istituzionale per tale cooperazione è il Consiglio di Sicurezza, dove, come in passato, come adesso, possono essere invitati da me rappresentanti di tutti i poteri, nessuno escluso.
• In tali difficili condizioni di crisi, interrompo ogni tipo di discussione sull’organizzazione di elezioni presidenziali e parlamentari straordinarie, nonché lo scambio di idee sull’organizzazione di un referendum di fiducia proposto dal Presidente dell’Assemblea Nazionale nei giorni scorsi. Vi esorto a porre fine a tali processi politici interni, che possono mettere in pericolo la stabilità della vita interna del nostro Paese, per formare nuovamente dei campi, il che è inaccettabile nelle condizioni odierne. Allo stesso tempo, confermo nuovamente alla mia promessa pubblica fatta a dicembre di dimettermi non appena ci saranno le condizioni favorevoli e di organizzare elezioni presidenziali e parlamentari anticipate.
• Limiterò la libertà di riunione. Considero inaccettabile, soprattutto nelle condizioni di tali pericoli, senza bilanciamento politico, senza valutare appieno le conseguenze per il popolo dell’Artsakh e l’impatto sugli interessi del nostro Paese, azioni di questa o quella forza politica o gruppo diretto contro soggetti di grande importanza per la sicurezza dell’Artsakh. Gli organi statali agiscono liberamente, sono governati esclusivamente dagli interessi del popolo della Repubblica di Artsakh e, in caso di necessità di tali dichiarazioni e appelli, sono pronti ad assumersi tale responsabilità.
• Incarico le forze dell’ordine della Repubblica di Artsakh, in particolare il Servizio di Sicurezza Nazionale e la Polizia, di intensificare gli sforzi volti a proteggere la sicurezza pubblica e di mostrare una risposta adeguata in caso di violazione della legge, trattenendo i trasgressori responsabile. La disciplina interna dovrebbe essere parte integrante del comportamento di ciascuno di noi, che le forze dell’ordine sono responsabili di garantire.
Garantire le condizioni specificate nella procedura speciale per la pubblicazione di informazioni sotto la legge marziale. E assicurare alla giustizia coloro che commettono violazioni e pubblicano informazioni relative alla sicurezza del Paese e assicurano la necessaria pubblicità del processo in modo che diventi chiaro a tutti che tali azioni sono inaccettabili, illegali e riprovevoli.

Cari connazionali,
è noto ed innegabile che nel 2020 dopo la guerra dei 44 giorni, ho avuto la responsabilità maggiore, ma, nonostante ciò, non mi sono mai sottratto alla responsabilità e ho lavorato continuamente nella direzione della protezione dello stato. Anche oggi continuo ad assumermi la mia parte di responsabilità con il voto forte del popolo, non ho alcuna intenzione di evitarlo e sono aperto a tutte le forze e persone disposte a collaborare, che sono pronte e in grado di assumersi e sopportare la loro parte di responsabilità.

In queste difficili circostanze, dobbiamo tutti concentrare la nostra attenzione esclusivamente sugli sforzi per superare le sfide esterne e non contribuire alla realizzazione degli obiettivi dei nostri avversari attraverso alcun processo interno. Vi assicuro che dipendendo da noi, stiamo facendo tutto il possibile per revocare il blocco e mitigarne le conseguenze, e le autorità statali informano regolarmente il pubblico su questi sforzi il più possibile.

Sono certo che con l’unità, la solidarietà interna e il duro lavoro, con il sostegno della Repubblica di Armenia e di tutti gli Armeni alle nostre spalle, saremo in grado di prevenire sviluppi minacciosi esterni e interni e garantire all’Artsakh un futuro libero, sicuro e dignitoso.

La forza del popolo dell’Artsakh sta nella sua volontà, unità e saggezza.
Cerchiamo di essere degni dei nostri santi antenati.
Siamo responsabili verso le nostre prossime generazioni.
Forza e prudenza al nostro popolo.

Arayik Harutyunyan
Stepanakert, 23 maggio 2023


Può un pezzo di carta portare una pace duratura?
di Tatevik Hayrapetyan
EVN Report, 23 maggio 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Checkpoint sul Corridoio di Lachin: quali sono le prospettive?

Il 23 aprile 2023, l’Azerbajgian ha istituito un posto di blocco sul Corridoio Lachin al ponte Hakari. Così, dopo un blocco di quattro mesi del Corridoio di Lachin da parte dei cosiddetti “eco-attivisti”, l’Azerbajgian ha compiuto un altro passo in totale contraddizione con il sesto punto della dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020.

La questione di un posto di blocco è stata portata ufficialmente sul tavolo dal Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, durante l’incontro con il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, a München il 18 febbraio 2023 durante le discussioni con il Segretario di Stato americano Antony Blinken. Pochi giorni dopo, il 22 febbraio, il Ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan ha respinto la proposta dell’Azerbajgian annunciando che l’eventuale rinegoziazione della regolamentazione del Corridoio di Lachin stabilita dalla dichiarazione tripartita “non è e non può essere una soluzione accettabile per noi” soprattutto se è fatto attraverso l’uso della forza.

Alla fine di febbraio, Sergey Lavrov, Ministro degli Esteri russo, si è pubblicamente opposto alla proposta dell’Azerbajgian durante la sua visita a Baku, affermando: “L’operazione del Corridoio di Lachin dovrebbe essere pienamente in linea con la prima dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, che implica la necessità di garantire la libera circolazione dei civili e dei beni umanitari. Questo è esattamente ciò che vogliamo ottenere, prima di tutto, con l’aiuto del contingente di mantenimento della pace russo. Non prevede l’istituzione di posti di blocco».

Due firmatari della dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020 hanno annunciato pubblicamente il loro rifiuto categorico all’istituzione di un posto di blocco. Tuttavia, l’Azerbajgian, la terza parte, ha completamente ignorato le loro obiezioni e ha istituito un posto di blocco nel Corridoio di Lachin. L’Azerbajgian non sta semplicemente ignorando la dichiarazione trilaterale firmata da Aliyev circa tre anni fa; Baku sta attivamente cambiando la situazione sul campo per rinegoziare un nuovo status quo in cui la questione del Nagorno-Karabakh è completamente fuori discussione. L’Azerbajgian non solo ha minato la dichiarazione del 9 novembre 2020, ma ha anche ignorato tutte le richieste internazionali per il rispetto della dichiarazione trilaterale, nonché la decisione della Corte Internazionale di Giustizia che ordinava l’apertura del Corridoio di Lachin.

Subito dopo una sessione urgente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite tenutasi il 23 aprile 2023, il Presidente Arayik Harutyunyan dell’Artsakh ha rivolto un appello diretto alla Russia per impedire l’istituzione di un checkpoint lungo il Corridoio di Lachin. “Facciamo appello alle parti della Dichiarazione tripartita, e in particolare alla Federazione Russa, affinché avviino immediatamente discussioni sulla revoca del blocco dell’Artsakh, impedendo l’istituzione di un check point azero e fornendo garanzie reali per la sicurezza del popolo dell’Artsakh. Ci aspettiamo misure efficaci per risolvere i problemi umanitari e di sicurezza che affliggono la popolazione dell’Artsakh nel più breve tempo possibile, la cui assenza consentirà alle autorità e alla popolazione dell’Artsakh di decidere cosa fare dopo”.

Dopo l’istituzione di un posto di blocco da parte dell’Azerbajgian, la Russia ha prontamente sostituito Andrey Volkov, il comandante della missione di mantenimento della pace russa, con Aleksandr Lensov. Non è chiaro se questa decisione sia stata semplicemente un modo per usare Volkov come capro espiatorio o se la Russia ritenga che la nomina di Lensov possa aiutare a prevenire ulteriori pericolosi sviluppi nell’Artsakh. Lensov è attualmente impegnato in trattative, ma finora non è stato raggiunto alcun risultato.

È interessante notare che subito dopo l’istituzione del checkpoint, la comunità di esperti dell’Azerbajgian ha generato due narrazioni principali. Il primo suggerisce che l’istituzione di un posto di blocco faciliterà la realizzazione del cosiddetto “Corridoio di Zangezur”. Secondo l’esperto di politica Farhad Mamedov, “l’installazione del checkpoint porterà probabilmente a rimettere all’ordine del giorno la questione del ‘Corridoio di Zangezur’”.

«Questo individuo è tra quegli Azeri che tengono 120.000 Armeni nel blocco da 100 giorni chiudendo il Corridoio di Lachin. Promette di “uccidere tutti gli Armeni in occasione del Nowruz e aggiungere il loro sangue al kebab che fanno”. Follia sovraccarica, davvero» (Tatevik Hayrapetyan, aprile 2023) [QUI].

Il secondo presupposto più comune è che gli Armeni dell’Artsakh abbandoneranno presto la loro patria, chiudendo di fatto la questione del Nagorno-Karabakh per sempre. Uno di questi sostenitori di questa teoria è il giornalista Fardin Isazade, un noto portavoce del regime di Aliyev, che promuove ciò che è generalmente accettato come politica statale ed è noto per fare dichiarazioni provocatorie come suggerire scherzosamente di “uccidere gli Armeni e versare il loro sangue sul kebab” e dicendo: “Devono avere un certo tempo e un corridoio verde per uscire dal Karabakh…”, sul suo canale Telegram.

Queste narrazioni che sono mainstream nei media azeri sono totalmente in linea con la dichiarazione di Aliyev del 10 gennaio 2023, quando ha fatto due punti significativi:

“La realizzazione del Corridoio di Zangezur è una necessità storica. Ecco perché ho detto che sarebbe successo, che l’Armenia lo volesse o no”.

“Quindi, chi non vuole diventare nostro cittadino, la strada non è chiusa; è aperta. Possono andarsene quando vogliono; nessuno li fermerebbe”.

Queste narrazioni non sono nuove, sono state attivamente diffuse dall’Azerbajgian negli ultimi tre anni. Tuttavia, l’istituzione di un posto di blocco apre una finestra per nuovi e pericolosi sviluppi nella regione. Da un lato, l’Azerbajgian utilizzerà tutti i mezzi possibili per spopolare l’Artsakh e sbarazzarsi della popolazione armena. D’altra parte, ora si concentreranno sulla regione meridionale dell’Armenia di Syunik con una forte possibilità di una nuova escalation.

L’Azerbajgian vuole solo l’Artsakh?

Il 1° maggio 2023 è iniziata a Washington un’altra tornata di trattative tra le delegazioni del Ministero degli Esteri di Armenia e Azerbajgian con la mediazione del Segretario di Stato Blinken. Secondo la dichiarazione rilasciata dal Dipartimento di Stato, “le parti hanno negoziato l’accordo sulla normalizzazione delle relazioni”. Tuttavia, la dichiarazione prosegue affermando che le discussioni sono molto ampie e coprono un’ampia gamma di questioni, compresi i diritti e la sicurezza delle minoranze etniche. Ciò suggerisce che l’accordo a cui si riferiscono i funzionari statunitensi nei loro commenti potrebbe classificare gli Armeni del Nagorno-Karabakh come una minoranza etnica sotto la giurisdizione dell’Azerbajgian. Questa narrazione è preoccupante e potrebbe essere uno dei risultati derivanti dall’annuncio di Pashinyan nell’aprile 2022, quando disse che la comunità internazionale aveva consigliato all’Armenia di abbassare il suo punto di riferimento sullo status del Nagorno-Karabakh e di cercare un maggiore sostegno internazionale per l’Armenia e Artsakh. Sembra che anche la comunità internazionale abbia abbassato il proprio punto di riferimento, spostando il discorso sulla necessità di colloqui diretti Baku-Stepanakert all’interno dei meccanismi internazionali su una questione di diritti delle minoranze etniche.

Questa narrazione non solo rappresenta una seria minaccia per gli Armeni dell’Artsakh, ma solleva anche diversi problemi per la Repubblica di Armenia. Se la questione del Nagorno-Karabakh è considerata “chiusa”, l’Azerbajgian potrebbe sentirsi incoraggiato a prendere di mira i territori all’interno dell’Armenia vera e propria, portando a ulteriori complicazioni perché Baku vedrà che l’uso della forza e dell’aggressione produrrà risultati.

L’intero processo negoziale per il Nagorno-Karabakh si è basato su tre principi fondamentali: l’integrità territoriale, il diritto all’autodeterminazione e l’esclusione della minaccia o dell’uso della forza. Tuttavia, nel settembre 2020, l’Azerbajgian ha violato uno di questi principi e ha avviato una nuova guerra. Di conseguenza, ora cercano di negare il diritto all’autodeterminazione, stabilendo potenzialmente la guerra e l’aggressione come mezzo per “risolvere” i conflitti. Non affrontare la questione dell’autodeterminazione e relegare gli Armeni dell’Artsakh allo status di minoranza etnica senza adeguati meccanismi di protezione mette in pericolo la vita di 120.000 persone. È abbastanza noto che la politica statale dell’Azerbajgian si fonda sulla retorica anti-armena, come sostenuto da numerosi rapporti internazionali.

Il disprezzo di Aliyev per gli accordi, come la dichiarazione del 9 novembre 2020, e la sua capacità di alterare unilateralmente la situazione sul campo impunemente hanno reso il perseguimento della pace regionale significativamente più impegnativo.

Il recente ordine di Aliyev di promuovere attivamente il concetto di “Azerbajgian occidentale” (che implica l’intero territorio della Repubblica di Armenia) è la prova che i piani aggressivi dell’Azerbajgian non si limitano al solo Artsakh. Questo sviluppo suggerisce che l’Azerbajgian potrebbe avere ulteriori ambizioni territoriali oltre il Nagorno-Karabakh.

Le rivendicazioni territoriali contro la Repubblica di Armenia non sono un fenomeno nuovo; tuttavia, la loro recente rinascita suggerisce che non si limitano a scopi di propaganda. Potrebbero anche far parte di una strategia per preparare basi storiche per ulteriori azioni aggressive contro l’Armenia. Aliyev ha ammesso che dopo la guerra dell’Artsakh del 2020, si sente incoraggiato a fare nuove rivendicazioni territoriali. Questa ammissione suggerisce che la recente ripresa delle rivendicazioni territoriali contro l’Armenia potrebbe non essere limitata alla retorica, ma potrebbe anche far parte di un atteggiamento più aggressivo dell’Azerbajgian nei confronti del suo vicino. A dicembre, Aliyev ha dichiarato: “L’Armenia non era mai stata presente in questa regione prima. L’Armenia di oggi è la nostra terra… Parallelamente, lavoriamo insieme per tornare nell’Azerbajgian occidentale. Ora che il conflitto del Karabakh è stato risolto, questo è il tema all’ordine del giorno. Certo, era prematuro parlarne prima che il conflitto del Karabakh fosse risolto. Ma non dovremmo perdere altro tempo adesso. Dovrebbe essere sviluppato un concetto di ritorno”.

Dopo il discorso di Aliyev, i media azeri hanno iniziato a pubblicare attivamente materiali volti a dimostrare che l’Armenia è “l’antico Azerbajgian”. I materiali sponsorizzati dallo stato includono numerosi video che mostrano Syunik, Gegharkunik, Vayots Dzor e altre regioni dell’Armenia, nonché la capitale Yerevan come territorio azero. Questa propaganda mira a influenzare il popolo azero e alla fine provocare un’altra guerra con l’Armenia.

La conclusione è che il raggiungimento di una vera pace nella nostra regione non può essere ottenuto chiudendo il Corridoio di Lachin e tagliando 120.000 Armeni dal resto del mondo. Né può essere raggiunto cambiando radicalmente l’essenza del conflitto, che può essere risolto solo attraverso il diritto all’autodeterminazione delle persone che vivono in Artsakh. Se i mediatori internazionali e il governo armeno riconoscessero il Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbajgian e gli Armeni come minoranza etnica a causa dell’aggressione iniziata dall’Azerbajgian nel 2020 contro l’Artsakh, ciò potrebbe essere visto come un “semaforo verde” per ulteriori escalation nella nostra regione. L’Azerbajgian ha già preparato il terreno per quello scenario.

Ignorando completamente la propaganda anti-armena sponsorizzata dallo stato e mettendo a rischio 120.000 persone, una vera pace nella regione diventa altamente improbabile. La leadership dell’Azerbajgian non ha mai nascosto le sue intenzioni di sradicare la popolazione armena nell’Artsakh. Pertanto, se il destino di questi 120.000 Armeni è trattato esclusivamente come una preoccupazione internazionale dell’Azerbajgian, rappresenta una minaccia significativa per le loro vite.

Durante la sua conferenza stampa del 23 maggio 2023, Pashinyan ha annunciato che “l’Armenia è pronta a riconoscere l’integrità territoriale di 86.600 kmq dell’Azerbajgian. Ed è nostra comprensione che l’Azerbajgian è pronto a riconoscere l’integrità territoriale di 29.800 km quadrati dell’Armenia”.

Per quanto riguarda il Nagorno-Karabakh, ha affermato che è molto importante creare garanzie internazionali per i colloqui diretti tra Stepanakert e Baku sui diritti e la sicurezza degli Armeni nel Nagorno-Karabakh. Tuttavia, l’Azerbajgian ha costantemente rifiutato questa offerta, indicando la sua riluttanza a fare concessioni anche minime per raggiungere un accordo di pace. Suggerisce che l’Azerbajgian stia cercando di modellare l’intero testo dell’accordo secondo la propria agenda, senza considerare i compromessi proposti.

La verità ultima è che la pace non può essere raggiunta solo attraverso i documenti, come la storia del mondo ha dimostrato molte volte. La vera pace si ottiene quando è in atto un processo di pace. Ciò implica prendere in considerazione la volontà delle persone che vivranno secondo i termini dell’accordo di pace e affrontare le gravi minacce alla sicurezza che affrontano quotidianamente. Purtroppo, più di 120.000 persone, 30.000 delle quali sono bambini, sono intrappolate in un blocco e, nonostante gli appelli internazionali, l’Azerbajgian si rifiuta di fermare le sue politiche disumane. Sembra che l’Azerbajgian non abbia un genuino desiderio di pace, e potrebbe solo cercare un accordo cartaceo per considerare “chiusa” la questione del Nagorno-Karabakh espellendo gli Armeni che vi risiedono.

Il processo di negoziazione non può produrre nulla di sostanziale se il trattato di pace che si sta negoziando non ha meccanismi di applicazione sostanziali e concreti da parte di attori terzi e strumenti internazionali. Senza un solido riconoscimento della realtà sul campo, in particolare del comportamento ostruzionista dell’Azerbajgian, e senza sostanziali strumenti di applicazione forniti da attori internazionali, un pezzo di carta non può servire da vero accordo di pace.

Il regime di Aliyev è abbastanza franco riguardo alle sue intenzioni, e finché non lo riconosciamo tutti, ci sono poche speranze di pace per coloro che vivono in Armenia, Artsakh e Azerbajgian.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI] http://www.korazym.org/83192/indice-artsakhblockade-in-aggiornamento/

Gli USA valutano la possibilità di installare reattori nucleari modulari in alcuni paesi (TRT 24.05.23)

Gli Stati Uniti (USA) stanno valutando la possibilità di installare reattori nucleari modulari in alcuni paesi, tra cui l’Armenia.

Alla riunione della Sottocommissione per il bilancio europeo della Commissione per le operazioni statali ed all’estero per l’anno fiscale 2024, tenutasi presso la Commissione per gli Affari esteri della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, la coordinatrice dei programmi di sostegno del Dipartimento di Stato americano per l’Europa, l’Eurasia e l’Asia centrale, Maria Long ha rilevato che si sta valutando la possibilità di fornire sostegno all’energia nucleare a diversi paesi, tra cui l’Armenia,

“Stiamo valutando la possibilità di installare piccoli reattori nucleari modulari costruiti con tecnologia statunitense, che potrebbero aiutare diversi paesi, tra cui l’Armenia, a ridurre la loro dipendenza energetica dalla Russia e dalla Repubblica Popolare Cinese”, ha dichiarato Long.

L’Armenia soddisfa la maggior parte del suo fabbisogno energetico attraverso le importazioni dalla Russia, mentre circa il 40% viene fornito dalla centrale nucleare di Metsamor, che si trova vicino al confine con la Turkiye.

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Çavuşoğlu avverte Armenia per Monumento Nemesi (TRT 24.05.23)

Il ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu, sul Monumento Nemesi aperto in Armenia ha detto che la Türkiye aspetta che l’Armenia corregga questo “errore”.

“È un passo inaccettabile per loro erigere una statua per i terroristi che hanno martirizzato i nostri soldati e diplomatici in Armenia. Ci aspettiamo che l’Armenia corregga questo  atteggiamento sbagliato”, ha detto Çavuşoğlu a Antalya.

“Abbiamo anche preso alcune misure, abbiamo chiuso il nostro spazio aereo agli aerei diretti in paesi terzi. Ci aspettiamo che l’Armenia corregga questo errore. Non abbiamo imposto alcuna precondizione all’Armenia.:  Non li abbiamo detto “Lasciate parlare di queste false accuse di genocidio per un dialogo”Anche loro non possono imporci condizioni.ci dicendo “riconoscerete questo””, ha affermato.

“Costruire una statua di terroristi è un passo inaccettabile. Abbiamo anche fatto qualche contropasso in quella direzione. Se non lo risolvono, faremo delle contromisure. Ma per una pace duratura qui, anche l’Armenia deve essere sincera.  È necessario abbandonare attività e provocazioni come l’invio illegale di soldati o armi in Karabakh”, ha concluso.

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ECO DI TERRASANTA 3/2023 Gerusalemme, i tesori del nuovo Museo armeno (Terrasanta.net 23.05.23)

Nel seminario ottocentesco che ospitò i bambini armeni rimasti orfani durante il genocidio di inizio Novecento è ospitata una ricca raccolta museale. Specchio della storia e della cultura di un popolo che per primo aderì al cristianesimo.


Accanto ai quartieri cristiano, musulmano ed ebraico della città vecchia di Gerusalemme, un quarto settore, anch’esso cristiano, è racchiuso nelle mura cinquecentesche: il quartiere armeno, che dal VII secolo con il Patriarcato della Chiesa apostolica armena, segna una presenza ininterrotta. Tra i luoghi del quartiere che meritano di essere visitati c’è un prezioso museo, da pochi mesi riaperto al pubblico dopo un profondo rinnovamento, che testimonia la storia e la cultura di questo popolo, tra architettura, manufatti e opere d’arte. Un popolo cristiano da più di 1700 anni, da quando il re Tiridate si convertì e proclamò il cristianesimo religione di Stato, prima dell’imperatore Teodosio nell’Impero Romano.

La presenza armena in Terra Santa, con la costruzione delle prime chiese oggi scomparse, risale al IV-VII secolo. Da una di queste chiese proviene lo spettacolare mosaico, scoperto nell’Ottocento e conservato nel Museo, definito il «il primo monumento al milite ignoto» di cui si abbia conoscenza. Tra ceramiche, croci, mitre, ricami, tappeti, monete, piastrelle, libri illustrati e mappe antiche, l’itinerario del Museo si sviluppa all’interno di un magnifico edificio ottocentesco costruito in origine per ospitare il seminario teologico armeno.

Quegli spazi testimoniano anche un altro passaggio cruciale della storia del popolo armeno: un secolo fa diede infatti riparo a oltre seicento orfani scampati al genocidio perpetrato nell’Impero Ottomano nella Prima guerra mondiale. Dopo un lungo intervento di restauro e riorganizzazione, finanziato dalla Fondazione dei filantropi armeno-statunitensi Edward e Helen Mandrigian, cui è intitolata la raccolta, questo tesoro finora poco conosciuto della storia cristiana di Gerusalemme è di nuovo aperto ai visitatori e ai pellegrini.

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L’Armenia minaccia di abbandonare l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva guidata da Mosca (Metadefense 23.05.23)

Parlando in vista di un incontro programmato con il suo omologo azero Ilham Aliyev che si terrà giovedì a Mosca, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha appena sganciato una bomba diplomatica nella piazza del Cremlino, l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva. Creata nel 2002 per unire alcune ex repubbliche sovietiche intorno alla Russia in termini di politica estera nel quadro della CSI, la CSTO si basa su un trattato di difesa che comprende in particolare una difesa antiaerea estesa, uno stato maggiore unificato, nonché forze di intervento rapido dovrebbero intervenire a sostegno di uno dei suoi membri se dovesse essere attaccato.

La CSTO oggi raggruppa Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Armenia, mentre Azerbaigian, Georgia, Moldavia e Ucraina appartengono a un’organizzazione che può essere descritta come un antagonista designato GUAM, che però non include una componente militare. Durante l’offensiva azera contro il Nagorno-Karabakh sotto il controllo armeno, Mosca ha rifiutato di intervenire a fianco di Yerevan, affermando che i territori contesi non erano propriamente armeni. Ci è voluto un elicottero da combattimento russo abbattuto da un missile azero per Mosca alza la voce e pone fine a questo conflitto.

Le forze armene hanno subito pesanti perdite contro gli eserciti armeni nella seconda guerra del Nagorno Karabakh

Naturalmente, la mancanza di appoggio di Mosca è stata accolta molto male dalla popolazione armena così come dalla sua classe politica, tanto più che la Russia ha da allora mantenuto una posizione neutrale tra i due belligeranti, mentre le tensioni rimangono molto alte lungo la linea di contatto. Paradossalmente, mentre Yerevan è militarmente legata a Mosca da un’alleanza, sono gli Stati Uniti e gli europei che sono intervenuti maggiormente a fianco dell’Armenia negli ultimi mesi per dissuadere Baku, come il suo alleato turco, dallo spingere il proprio vantaggio militare nel Nagorno-Karabakh e al di là.

È proprio così questo il punto che è stato sollevato dal Presidente del Consiglio in un convegno tenutosi ieri. “Abbiamo iniziato a discutere di questioni di sicurezza con i nostri partner occidentali perché vediamo che il sistema di sicurezza della regione non funziona”, ha detto, aggiungendo “non escludo che l’Armenia prenda la decisione di ritirarsi dalla CSTO”. Ovviamente, l’obiettivo di queste dichiarazioni è soprattutto quello di esercitare una forte pressione su Mosca per rafforzare il suo sostegno a Yerevan contro Baku, sapendo che una defezione dalla CSTO oggi costituirebbe un grave affronto internazionale per il Cremlino, mentre altri paesi caucasici, soprattutto il Kazakistan, sembra anch’esso pronto a fare il grande passo, questa volta avvicinandosi a Pechino.

Le forze russe in Armenia si sono schierate solo dopo che un elicottero da combattimento russo è stato abbattuto dalla difesa antiaerea azera

Tuttavia, la porta è ora aperta, soprattutto agli occidentali, per una possibile rottura del divieto da parte dell’Armenia, che potrebbe potenzialmente portare all’inaridimento della CSTO e quindi a un significativo indebolimento della Russia sulla scena internazionale, e in particolare senza il suo ambiente vicino. In un certo senso, con questa dichiarazione, Nikol Pashinyan intende mettere all’asta la sua fedeltà, con l’obiettivo di mettere al sicuro il suo Paese contro un avversario 4 volte più popolato e 3,5 volte più ricco. Se il metodo manca probabilmente di eleganza, ha il merito di essere chiaro, e condizionato da un imperativo di sicurezza imprescindibile.

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163° giorno del #ArtsakhBlockade. Non c’è Armenia senza Artsakh e l’Artsakh è del suo popolo, autodeterminato e indipendente (Korazym 23.05.23)

Korazym.org/Blog dell’Editore, 23.05.2023 – Vik van Brantegem] – È ora più importante che mai ricordare le parole di Monte Melkonian, il comandante della guerra d’indipendenza dell’Artsakh [*]: «Se perdiamo l’Artsakh, allora voltiamo l’ultima pagina della nostra storia». dire dopo: «Non lo sapevamo». Più volte l’autocrate dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha confermato la verità delle parole di Melkonian: «L’Armenia di oggi è la nostra terra. Quando l’ho detto ripetutamente prima, hanno cercato di obiettare e affermare che ho rivendicazioni territoriali. Lo dico come un fatto storico. Parallelamente a questo, dobbiamo sviluppare congiuntamente il concetto di ritorno nell’Azerbaigian occidentale [=l’Armenia di oggi]. Ora che il conflitto del Karabakh è stato risolto, questo è il tema della nostra agenda» [QUI].

[*] Potete leggere su di lui un articolo della sua vedova, Seta Kabranian-Melkonian, che abbiamo riportato [QUI]: «Monte si è unito alla lotta per il Nagorno-Karabakh, l’Artsakh armeno dei tempi antichi. Fin dai suoi primi vent’anni, era stato determinato ad aiutare a ripristinare i diritti del suo popolo a vivere nelle loro terre ancestrali. Nel processo, è stato associato sia agli eroi che ai cattivi dell’epoca. Fu anche il primo a denunciare pubblicamente i cattivi e a prendere le distanze da loro. Monte rappresentava tutti gli oppressi e credeva nel diritto di combattere, che è il titolo di un libro di suoi saggi, pubblicato nel 1993».

Rinunciare all’Artsakh e metterlo nelle mani dei sanguinari autocrati dell’Azerbajgian e della Turchia non porterà la pace per Armenia. I prossimi Aliyev ed Erdoğan, se non già loro stessi, cancelleranno la stessa Armenia dopo aver conquistato l’Artsakh.

Oggi 31 anni fa, il 23 maggio 1992 fu ucciso nella strage di Capaci per mano mafiosa il giudice Giovanni Falcone, con la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta. Un giornalista chiese una volta a Falcone: «Ma chi glielo fa fare?». E Falcone risponde: «Lo spirito di servizio». Ecco, la mia risposta a chi me lo chiede, perché continua a difendere una “causa persa”: «La spirito di verità e di libertà. Lo spirito di resilienza democratica contro l’autocrazia».

Nikol Pashinyan.

Ieri, 22 maggio 2023 il Primo Ministro della Repubblica di Armenia, Nikol Pashinyan, ha affermato in conferenza stampa – come abbiamo riferito [QUI] – che l’Armenia è pronta a riconoscere l’integrità territoriale di 86.600 km2 dell’Azerbaigian, che include il Nagorno Karabakh, ma che i diritti e la sicurezza degli Armeni dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh devono essere discussi attraverso il dialogo Baku-Stepanakert, con garanzie internazionali.

La dichiarazione di Pashinyan di ieri, con cui ha ribadito la sua disponibilità a riconoscere l’Artsakh come parte dell’Azerbajgian, come era prevedibile, ha provocato grande indignazione e rabbia nell’Artsakh.

Questa immagine spiega il tutto, meglio di mille parole. Abbiamo ripetuto questa immagi per tre giorni consecutivi, con le tre foto qui sopra, dopo l’incontro trilaterale del 14 maggio 2023 a Brussel: Michel ride, Aliyev sorride sotto i baffi e Pashinyan è scuro in volto. Il vertice di Brussel sembra segnare il destino degli Armeni dell’Artsakh lasciati al loro destino di sfollati o sudditi dell’autocrazia azera. Lo chiede l’Europa? Diritti umani calpestati.

La giornalista Sam Martirosyan ha dichiarato: «Questo governo non vuole nemmeno parlare del diritto all’autodeterminazione per l’Artsakh. Ho la sensazione che siano d’accordo con tutto ciò che Mosca e Baku dicono loro. È come assistere al riduzionismo storico…».

Ruben Vardanyan, l’ex Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Pashinyan non ha l’autorità di prendere decisioni per conto del popolo di Artsakh/Nagorno-Karabakh. La sua dichiarazione riflette la sua opinione personale, che sta cercando di imporre alla gente. Sono fiducioso che la maggioranza delle persone si unirà e chiederà un referendum per riaffermare che il popolo dell’Armenia e dell’Artsakh non è d’accordo con le sue proposte».

Il diritto all’autodeterminazione di un popolo è un diritto insito. Il popolo dell’Artsakh ha esercitato questo diritto e ha istituito lo Stato indipendente dell’Artsakh nel 1991, proprio come l’hanno fatto l’Armenia e l’Azerbajgian. E l’ha fatto prima ancora dell’Azerbajgian. Non ha mai fatto parte dell’Azerbajgian indipendente. Nessuno può parlare per l’Artsakh tranne il popolo dell’Arzakh e coloro che eleggono per parlare al suo nome. Nessuno può cancellare la sua storia.

Qualsiasi dichiarazione di Nikol Pashinyan che ignori la sovranità della Repubblica dell’Artsakh e il diritto all’autodeterminazione del popolo dell’Artsakh, a parte di essere illegale, è inaccettabile, ha dichiarato l’Assemblea Nazionale della Repubblica di Artsakh, convocata dai legislatori ieri notta in sessione straordinaria. Nel contempo, le forze armate dell’Azerbajgian continuavano ad aprire il fuoco sulle postazioni militari armeni nei villaggi di confine. La convocazione straordinaria del Parlamento della Repubblica di Artsakh ha avuto come principale argomento discusso, la dichiarazione di Pashinyan. Il Presidente dell’Assemblea Nazionale, Arthur Tovmasyan, e i leader delle fazioni rappresentati nel Parlamento, hanno tenuto discorsi di condanna della dichiarazione di Pashinyan. E alla fine, i parlamentari hanno approvato all’unanimità la dichiarazione proposta da Vahram Balayan, il Presidente del Comitato permanente per le relazioni estere dell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Artsakh. Di seguito riportiamo la dichiarazione nella nostra traduzione italiana.

In una dichiarazione congiunta con i principali gruppi di opposizione armeni rilasciata la scorsa settimana, i cinque partiti politici rappresentati nel Parlamento della Repubblica di Artsakh hanno messo in guardia Pashinyan dal riconoscere formalmente l’Artsakh/Nagorno-Karabakh come parte dell’Azerbajgian. Hanno detto che un tale accordo sarebbe “privo di base giuridica”. Nonostante questo avvertimento, Pashinyan ha dichiarato che spera di firmare il trattato di pace armeno-azerbajgiano “il prima possibile”. Ha detto che Yerevan ha presentato a Baku nuove proposte riguardo ai restanti punti critici dopo i colloqui maratona tenuti dai Ministri degli Esteri armeno e azero a Washington all’inizio di maggio. “Stiamo ora aspettando la loro reazione”, ha aggiunto Pashinyan. Non ha rivelato quelle proposte. Pashinyan e Aliyev si incontreranno a Mosca questo giovedì e terranno il 1° giugno un altro incontro in Moldavia a cui parteciperanno il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, il Presidente francese Emmanuel Macron e il Cancelliere tedesco Olaf Scholz.
Pur esprimendo disponibilità al dialogo con Baku, le autorità di Stepanakert hanno ripetutamente rifiutato qualsiasi accordo che ripristinerebbe il controllo azero sull’Artsakh/Nagorno-Karabakh.

Artsakh non rinuncerà mai alla sua lotta incrollabile
Dichiarazione dell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Artsakh
22 maggio 2023

La dichiarazione rilasciata dal Primo Ministro della Repubblica di Armenia, Nikol Pashinyan, nella conferenza stampa odierna, in cui ha ribadito la sua volontà di includere l’Artsakh in Azerbajgian, ha causato grande indignazione e rabbia nella Repubblica di Artsakh. Infatti, con quel suo impegno, Nikol Pashinyan viola gravemente la Dichiarazione di Indipendenza della Repubblica di Armenia e le disposizioni della Costituzione sull’Artsakh, in particolare il principio imperativo della decisione dell’8 luglio 1992 del Consiglio Supremo della Repubblica di Armenia che recita “considerare inaccettabile per la Repubblica di Armenia qualsiasi documento internazionale o nazionale in cui la Repubblica del Nagorno-Karabakh sarà menzionata come parte dell’Azerbajgian”.
Ancora una volta, riaffermiamo che lo status dell’Artsakh è già stato determinato dalla Dichiarazione popolare del 10 dicembre 1991 e nessuna autorità ha il diritto di annullarlo.
Per noi, qualsiasi dichiarazione di Nikol Pashinyan che ignori la sovranità della Repubblica di Artsakh e il diritto all’autodeterminazione del nostro popolo, e qualsiasi documento redatto sulla sua base, è inaccettabile e priva di valore. Artsakh non rinuncerà mai alla sua lotta incrollabile.
Profondamente preoccupata per la pericolosa realtà esistente, l’Assemblea Nazionale della Repubblica di Artsakh invita tutti gli Armeni a non consentire alle attuali autorità della Repubblica di Armenia a compiere passi disastrosi per cedere una parte della patria armena, la Repubblica dell’Artsakh e i territori sovrani della Repubblica di Armenia, in Azerbajgian sotto il nome di enclavi, che porterà inevitabilmente alla perdita della statualità armena.
Allo stesso tempo, facciamo appello agli ex e attuali presidenti della Repubblica di Armenia e della Repubblica di Artsakh, chiedendo di condannare le dichiarazioni rilasciate da Nikol Pashinyan il 22 maggio 2023. In caso contrario, considereremo il vostro silenzio come un segno di accordo con il Primo Ministro della Repubblica di Armenia.

Il governo dell’Armenia si consulta con le autorità del Nagorno Karabakh prima e dopo i negoziati

Il governo dell’Armenia si sta consultando con le autorità dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh prima e dopo ogni negoziato con l’Azerbajgian, ha dichiarato oggi il membro del parlamento armeno, Artur Hovhannisyan, che rappresenta il partito al governo del Contratto Civile. “Per la cronaca, prima e dopo ogni negoziazione ci consultiamo con le autorità dell’Artsakh, e le autorità dell’Artsakh sono sempre state a conoscenza di tutto”, ha detto Hovhannisyan ai giornalisti.

“Per quanto riguarda le dichiarazioni del Parlamento dell’Artsakh, comprendiamo che il parlamento è un organo rappresentativo composto da diverse entità politiche, e trovo che le varie dichiarazioni siano molto normali”, ha aggiunto, riferendosi all’ultima dichiarazione del Parlamento dell’Artsakh che critica il Primo Ministro Pashinyan per i suoi commenti del 22 maggio secondo cui l’Armenia è pronta a riconoscere l’integrità territoriale di 86.600 chilometri quadrati dell’Azerbajgian, che include il Nagorno-Karabakh.

Il legislatore ha osservato che l’obiettivo delle autorità armene è garantire i 29.800 chilometri quadrati di territorio armeno sovrano e riconosciuto a livello internazionale e garantire i diritti e la sicurezza degli Armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh. “I nostri compatrioti che vivono nel Nagorno-Karabakh devono vivere nella loro terra in sicurezza ed esercitare i propri diritti. Vediamo questa strada attraverso il dialogo Baku-Stepanakert nell’ambito di meccanismi internazionali, dove il popolo dell’Artsakh – come espresso ieri dai legislatori nel parlamento dell’Artsakh – può esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione e tutti gli altri diritti, mentre la Repubblica di Armenia sosterrà i nostri compatrioti dell’Artsakh attraverso tutti i canali diplomatici in questo senso”, ha detto Hovhannisyan.

«Il patrimonio culturale e religioso dell’Artsakh nei territori sotto l’occupazione dell’Azerbajgian è costantemente a rischio di distruzione e cancellazione. È anche responsabilità della comunità internazionale proteggerla. Azerbajgian continua la sua politica criminale di albanizzazione del patrimonio religioso e culturale armeno dell’Artsakh falsificando la sua storia, distorcendo e profanando i suoi siti. Questo comportamento vandalico è inaccettabile. Ancora una volta stiamo chiamando l’UNESCO di agire immediatamente» (Difensore dei diritti umani della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh).

Nagorno-Karabakh, la resa dell’Armenia? Il Premier: “Riconosceremo sovranità Azerbaigian”. Cosa succede ora
di Eugenio Palazzini
Il Primato Nazionale, 22 maggio 2023

“L’Armenia riconosce 86,6 mila chilometri quadrati dell’Azerbajgian, partendo dal fatto che l’Azerbajgian è pronto a riconoscere 29,8 mila chilometri quadrati dell’integrità territoriale dell’Armenia. E 86,6 mila chilometri quadrati dell’Azerbaigian includono il Nagorno-Karabakh”. È quanto dichiarato dal Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, citato dall’agenzia russa Tass. La notizia è di quelle bomba, perché se il governo di Erevan dovesse confermare la svolta annunciata da Pashinyan, si arriverebbe a sancire la fine di uno storico conflitto. Ammesso però che gli Armeni approvino la decisione, rinunciando a una terra che da sempre ritengono parte integrante della loro nazione.

Il Premier Pashinyan ha comunque specificato che il riconoscimento ufficiale avverrà soltanto previa salvaguardia della sicurezza degli Armeni che vivono nella regione autonoma. “La questione dei diritti e della sicurezza degli Armeni del Nagorno-Karabakh dovrebbe essere discussa tra Baku e Stepenakert (capitale della Repubblica di Artsakh)”, ha dichiarato il Primo Ministro. Nello specifico, Pashinyan ha chiesto anche garanzie internazionali per la sicurezza e i diritti degli Armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh, temendo una possibile pulizia etnica da parte dell’Azerbajgian. Sta di fatto che le sue parole suonano come una resa improvvisa, dalle conseguenze al momento imprevedibili anche relativamente all’opinione pubblica armena.

Nagorno-Karabakh, terra ancestrale che l’Armenia sta per cedere

La provincia autonoma che l’Azerbajgian sta per inglobare è un montuoso giardino nero incastonato nella terra del fuoco. Non è una metafora, ma il significato letterale e tristemente profetico di Nagorno-Karabakh (Nagorno in russo significa “montagna”, Karabakh in turco sta per “giardino nero”), provincia autoproclamatasi autonoma nel cuore dell’Azerbajgian (azer vuole dire “fuoco”) e a due passi dall’Armenia. Un ampio limes martoriato da trent’anni, ovvero da quando è in atto il più lungo conflitto dalla caduta dell’Unione Sovietica. Anzi, a dirla tutta la prima tempesta di fuoco nel giardino nero rimbombò nel 1988, prima che evaporasse il comunismo in Russia e cadesse il Muro di Berlino. Tutto iniziò quando i circa 140mila Armeni che vivevano in quest’area, grande più o meno quanto l’Umbria, si ribellarono all’azerificazione imposta da Stalin dichiarando la nascita della Repubblica del Karabakh Montagnoso.

Gli abitanti di questa terra caucasica erano e sono per lo più Armeni, ma l’Azerbajgian ne rivendica da sempre la sovranità. Una guerra mai davvero spenta, nonostante qualche anno di relativa quiete. Cristiani contro Islamici, Armeni contro Azeri e le solite potenze a muovere i fili. Da una parte la Russia, tiepido tutore della causa armena, dall’altra la Turchia che soprattutto dal 1993 punta tutto sull’Azerbajgian – nazione turcofona ricca di petrolio – e parla di “provocazioni” dell’atavico nemico armeno. Nel mezzo, tra i due litiganti, c’è l’Iran, che si è sempre posto come mediatore tra le parti. E se guardiamo la carta geografica tutto questo ha un senso, a prescindere dallo scontro etnico-religioso.

Tre anni fa siamo giunti a una nuova escalation del conflitto che ha generato la deflagrazione. L’Armenia di fatto è stata abbandonata al proprio destino dai governi europei, con la Russia che nell’autunno 2020 si è limitata a mediare un accordo che a ben vedere accontentava soltanto l’Azerbajgian. L’accordo prevedeva che gli Armeni, in cambio della ritirata delle truppe azere da Stepanakert, restituissero alcuni territori a Baku. Nella regione contesa vennero inoltre inviati quasi duemila soldati russi e le parti belligeranti decisero di mantenere unicamente “le posizioni attualmente occupate”.

In pratica, l’Azerbajgian inglobò già tre anni fa i territori occupati durante il conflitto, durato circa sei settimane. Ora l’Armenia sta per cedere tutto, o quasi.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

Putin, il fallimento della «Mini Nato»: cos’è il Csto e perché l’Armenia minaccia la Russia di andare via (Il Messaggero 23.05.23)

Putin è in crisi anche con i suoi alleati più stretti? Sembra proprio di sì. Lo zar ora deve affrontare un nuovo problema: il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan ha dichiarato lunedì che il suo Paese potrebbe uscire dall’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) guidata proprio da Mosca, poiché il leader continua ad allontanarsi dalla Russia.