Erevan rilancia l’amicizia con Teheran (Asianews 09.08.21)

di Vladimir Rozanskij

Incontro tra il premier armeno Pašinyan e neoeletto presidente iraniano Raisi. Le due parti vogliono lavorare per la pace nella regione. Nessun riferimento al conflitto tra azeri e armeni nel Nagorno Karabakh. Gli iraniani attenti a non irritare l’Azerbaijan.

Mosca (AsiaNews) – Il giorno dell’insediamento del neoeletto presidente iraniano Ebrahim Raisi, a Teheran si è tenuta anche una visita di Stato del primo ministro dell’Armenia, Nikol Pašinyan, anch’egli da poco rieletto dopo due anni di contrastata leadership e conflitti.

Secondo la sala stampa del premier armeno, Raisi ha accolto Pašinyan assicurando che “l’Iran accorda grande importanza al continuo sviluppo delle relazioni amichevoli con l’Armenia, in campo politico, economico e umanitario”. Il nuovo presidente iraniano ha sottolineato che il mantenimento della pace nella regione ha un significato cruciale anche per Teheran, e che l’Iran ritiene indispensabile risolvere tutte le questioni attraverso il dialogo.

Pašinyan ha assicurato la volontà di proseguire il dialogo bilaterale, per rendere ancora più efficace la collaborazione con l’Iran “al massimo livello”. Le parti hanno discusso di varie questioni legate al rafforzamento delle relazioni economiche e commerciali.  Al centro dei colloqui l’attività della zona di commercio libero “Megri”, creata dal governo armeno nel 2017 per attirare aziende straniere da tutto il mondo, a cominciare da quelle russe.

L’Armenia sostiene anche la partecipazione dell’Iran all’Unione Economica Eurasiatica, attiva dal 2015: oltre e Erevan, ne fanno parte Russia, Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan. Iraniani e armeni hanno valutato anche alcuni piani di rafforzamento delle vie di comunicazione della cooperazione energetica dal Golfo Persico al Mar Nero. Vi sono compresi la costruzione di un’autostrada nord-sud e della terza linea ad alto voltaggio per lo scambio di energia elettrica  e gas tra i due Paesi.

Secondo Rubik Minasyan di Radio Svoboda, dall’indipendenza dell’Armenia nel 1991 la politica dell’Iran nei suoi confronti è rimasta immutata: ciò anche durante la “guerra dei 44 giorni”, come viene chiamato il conflitto nel Nagorno Karabakh dell’autunno 2020. “Noi capiamo che gli interessi dell’Iran sono più dalla parte dell’Armenia, che non da quella dell’Azerbaijan, ma ancora non distinguiamo i passi concreti di questa sintonia, contrastata del resto dalla forte lobby turcofona presente nel governo iraniano”, afferma Minasyan.

Nel loro incontro del 5 agosto, Raisi e Pašinyan hanno fatto riferimento alla “pace nella regione”, ma senza nominare il Nagorno Karabakh e le situazioni critiche sui confini armeno-azeri, come quella dei prigionieri di guerra armeni ancora trattenuti in Azerbaijan. Il 3 novembre scorso, durante il conflitto nel Caucaso, il leader supremo iraniano Alì Khamenei era intervenuto con una dichiarazione secondo la quale “i territori azeri occupati dall’Armenia devono essere liberati, poiché queste terre appartengono all’Azerbaijan, che ha il diritto di controllare il suo territorio”. L’attuale presidente Raisi aveva ribadito questa posizione lo scorso 14 luglio, rispondendo agli auguri del presidente azero Ilham Aliyev in vista delle elezioni del 18 luglio.

L’Iran cerca di giocare tra il sostegno all’Azerbaijan, Paese più affine per la sua fedeltà all’islam, e le rassicurazioni all’Armenia in quanto “vicino di casa”. Né Raisi né il suo predecessore Hassan Rouhani avevano fatto le loro congratulazioni per la rielezione di Pašinyan dello scorso 20 luglio, e per la sua nomina a primo ministro del 2 agosto. La visita di Pašinyan a Teheran intende superare le ombre rimanenti, e rilanciare l’amicizia con l’Iran per sostenere il ruolo dell’Armenia nella regione.

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Ravenna Festival: Il concerto dell’Amicizia in Armenia diretto da Muti su Rai 1 (Piunotizieravenna 05.08.21)

Nella notte fra venerdì 6 e sabato 7 agosto, alle 00.15, gli schermi di RAI 1 accolgono una volta ancora Le vie dell’Amicizia, lo speciale progetto di Ravenna Festival che quest’anno ha visto l’Armenian State Chamber Choir unirsi ai musicisti dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini per due concerti, a Lugo (Ravenna) ed Erevan, diretti da Riccardo Muti. È infatti da sempre il gesto generoso di Muti a guidare artisti italiani e stranieri negli indimenticabili concerti-pellegrinaggio che dal 1997 visitano luoghi simbolo della storia antica e contemporanea. Con la trasmissione del concerto al Pavaglione del 1° luglio si rinnova anche quest’anno la collaborazione con RAI 1, che percorre Le vie dell’Amicizia al fianco del Festival sin dalla nascita del progetto. Per il programma musicale – l’Incompiuta di Schubert e pagine sacre di Haydn (il Te Deum), Mozart (il Kyrie in re minore K. 341) e di nuovo Schubert, con la Messa n. 2 in sol maggiore D. 167 – si sono uniti a coro e orchestra anche il tenore Giovanni Sala e gli armeni Nina Minasyan e Gurgen Baveyan, rispettivamente soprano e baritono.

Vent’anni dopo il primo concerto a Erevan – nel 2001, in occasione dei 1700 anni del Cristianesimo in Armenia – il Festival ha scelto nuovamente il “regno delle pietre urlanti”, come l’ha descritto il poeta russo Osip Mandel’stam, come propria destinazione nella mappa di fratellanza che negli anni ha toccato città quali Sarajevo, Beirut, Gerusalemme, Mosca, New York, Nairobi, Teheran, Kiev, Atene…e, nel 2020, nel Parco Archeologico di Paestum, gemellato con il sito di Palmira, per ricordare il popolo siriano. Mentre vent’anni fa il programma che univa italiani e armeni era interamente verdiano, il 1 luglio l’impeto celebrativo che pervade il Te Deum haydniano ha riassunto lo sguardo fiducioso i concerti dell’Amicizia vogliono rivolgere al futuro, un gesto di solenne gioia e speranza. Quella speranza, oggi più che mai necessaria, che trova espressione compiuta nella musica sacra, al di là di ogni credo o dottrina; quella speranza che, intrecciando il quotidiano desiderio del singolo con l’universale anelito al bene, risuona appunto nella religiosità serena e razionale di Haydn. Ma anche nella scrittura densa di sfumature cromatiche e nella strumentazione opulenta del Kyrie di Mozart, detto “di Monaco” perché in quella città composto. E innerva la Messa del giovane Schubert scritta, si dice, in soli sei giorni, eppure nel timbro delicato e dolce capace di richiamare ognuno al raccoglimento più intimo.

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Nikol Pashinyan per un secondo periodo come primo ministro del paese (TRT 02.08.21)

Il presidente dell’Armenia ha nominato Nikol Pashinyan per un secondo periodo come primo ministro del paese a seguito delle elezioni parlamentari a giugno.

Pashinyan, 46 anni, ha 15 giorni per formare un governo.

Pashinyan, come primo ministro, aveva indetto elezioni anticipate per cercare di porre fine a una crisi politica iniziata quando le forze armene sono scnfitte in Karabagh.

Nikol Pashinyan aveva ottenuto il 53,91% dei voti.

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Nikol Pashinyan nominato nuovamente Primo ministro dell’Armenia (Global Voices 13.08.21)

Mkhitaryan: “Quel che successe con Mourinho resta a Manchester. Scudetto? Fate i conti con la Roma” (90min 31.07.21)

C’è stato un momento in cui Henrikh Mkhitaryan sembrava lontano dalla Roma, dopo l’arrivo di José Mourinho e la proposta di rinnovo di contratto presentata da Tiago Pinto. Ma alla fine, per la gioia di tutti, l’attaccante armeno ha deciso di restare nella Capitale nonostante la corte di diverse squadre (tra cui il Milan) per restare al centro del progetto targato Mourinho. Del rapporto col tecnico, in particolare, Mkhitaryan ha parlato in un’intervista esclusiva rilasciata al Corriere dello Sport direttamente dal ritiro portoghese in Algarve.

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Tensioni nel Caucaso: l’Armenia vuole i Russi lungo il confine (L’opinione 30.07.21)

Sale la tensione nel Caucasomercoledì 28 luglio tre soldati armeni sono morti e due azeri sono rimasti feriti in uno scontro a fuoco lungo il confine. È l’incidente più sanguinoso dalla guerra dell’anno scorso, durata sei settimane, in cui le truppe di Baku sono riuscite ad occupare parte del Nagorno Karabakh, Repubblica indipendente abitata in maggioranza da armeni (e sostenuta da Erevan), ma reclamata dall’Azerbaijan.

I due Paesi si sono accusati reciprocamente di aver aperto il fuoco per primi, quindi non è ben chiaro chi abbia rotto la tregua. Nello specifico, Erevan ha dichiarato che gli azeri hanno aperto il fuoco contro le postazioni armene a Gegharkunik, mentre Baku sostiene che gli armeni abbiano attaccato con mitragliatricilancia-granate e bombe a mano un villaggio nella regione di Kelbajar. La Russia, che mantiene una forza di pace in Nagorno Karabakh, è intervenuta ed è riuscita a mediare un cessate il fuoco, accettato da entrambe le parti, anche se l’esercito azero continua ad accusare gli armeni di bombardare le sue postazioni.

Nell’ultimo conflitto, l’esercito di Baku ha dimostrato la sua superiorità, bombardando con droni di fabbricazione turca e israeliana le retrovie e le postazioni fortificate armene, ed è probabile che un nuovo conflitto armato arriderebbe sempre agli azeri. Il mantenimento della tregua è nell’interesse dell’Armenia: proprio per questo il primo ministro Nikol Pashinyan ha avanzato una proposta che potrebbe sbilanciare i già delicati equilibri della regione. Ovvero lo schieramento di truppe russe lungo tutto il confine tra i due Stati.

“Data la situazione attuale – ha dichiarato ieri Pashinyan durante una riunione del Governo – penso che abbia senso considerare la possibilità di schierare avamposti di guardie russe lungo tutto il confine armeno-azero”. Il suo staff, ha aggiunto, si sta preparando per discutere della proposta con Mosca, e che la sua attuazione avrebbe permesso la demarcazione e delimitazione del confine senza il rischio di scontri armati. Il Cremlino ha affermato di essere in contatto con entrambi gli Stati, ma si è rifiutato di commentare la proposta di Pashinyan.

La situazione tra Armenia e Azerbaijan è attentamente monitorata: è d’interesse internazionale sventare qualunque minaccia agli oleodotti di Baku ed evitare il coinvolgimento diretto delle due potenze regionali, Turchia e Russia. Il primo ministro armeno, però, sembra curarsi poco degli equilibri dell’area e del futuro della sua Nazione. Una massiccia presenza delle truppe di Mosca sicuramente scatenerebbe una dura risposta di Ankara, che pretenderebbe il diritto di schierare anche i propri soldati nell’area, per non perdere la propria influenza politico-militare. A quel punto, i due Paesi caucasici, già militarmente e (in parte) economicamente dipendenti dai loro potenti alleati, diverrebbero poco più di Stati-fantoccio, strangolati dalla morsa degli eserciti dei garanti della loro integrità territoriale.

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Armenia e Azerbaijan: appetiti, interessi e scontro sulla provincia di Syunik (Osservatorio Balcani e Caucaso 30.07.21)

La provincia armena di Syunik è al centro di nuove tensioni tra Armenia e Azerbaijan: la sua posizione strategica stimola appetiti e rivendicazioni contrastanti, creando nuove tensioni tra Yerevan e Baku dopo il conflitto armato in Nagorno Karabakh

30/07/2021 –  Marilisa Lorusso

La crisi intorno all’area di Syunik è iniziata con il contenzioso transfrontaliero del 12 maggio. Si inserisce nel quadro di problemi di demarcazione di confine che recentemente hanno anche causato un ritorno alle armi. Il cessate-il-fuoco è minacciato da questioni irrisolte, e gli incidenti di scambio di fuoco che causano feriti e morti – tre armeni solo nella giornata del 28 luglio – sono ormai più frequenti lungo il confine armeno-azero che nell’area contesa del Nagorno-Karabakh. La delimitazione del confine è divenuta una crisi a sé stante, e all’interno di questo quadro Syunik ha una posizione particolare.

 

Il fronte meridionale

Syunik si insinua fra la exclave azera del Nakhchivan e le aree tornate sotto il controllo azero con l’ultima guerra. Inizialmente le tensioni hanno riguardato il lato est, dove il confine non è delimitato. Da fine maggio la sicurezza è andata deteriorandosi anche lungo il confine con il Nakhchivan, da sud, Syunik, fino alla zona di Ararat e sono iniziati una serie di incidenti non sempre confermati da ambo le parti. In genere è il ministero della Difesa dell’Azerbaijan che lamenta più provocazioni da parte armena. In alcuni casi invece gli episodi di violazione del cessate-il-fuoco sono confermati da entrambe le parti. È il caso dei numerosi incidenti segnalati nella seconda metà di luglio intorno a Yeraskh, dove il 20 luglio un militare azero e un civile armeno sono rimasti feriti.

Syunik è insomma presa, letteralmente, fra due fuochi, per via dei confini. Ma anche il suo nome e l’uso che si intende fare del suo territorio sono fonte di grande tensione.

 

Rivendicazioni storiche

Per l’Azerbaijan Syunik è lo Zangezur occidentale. Così lo ha definito anche recentemente in un discorso ufficiale  il Presidente Ilham Aliev, indicandolo come storica terra dell’Azerbaijan, dove gli azeri dovranno tornare a vivere. Gli armeni, ovviamente, vedono queste rivendicazioni storiche come fumo negli occhi, e temono che i presidi militari che gli azeri hanno creato in aree di confine a demarcazione ancora non concordata non siano altro che il preludio di una nuova aggressione azera.

Non sono solo parole, per quanto la retorica incendiaria sia un problema tangibile nella risoluzione del conflitto. A marzo una delegazione della Turchia ha presenziato ai lavori di inaugurazione del cosiddetto “corridoio di Zangezur”, e a maggio – durante la visita del ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture turco Adil Karaismailoğlu in Azerbaijan – il presidente Erdoğan ha ribadito l’importanza del progetto, che la Turchia inserisce nella Nuova Via della Seta  . Molto diversa la posizione armena, che non accetta che Syunik sia solo un corridoio, uno spazio passivo di transito fra Turchia e Azerbaijan, ma sostiene che debbano riaprire tutte le vie di comunicazione e che i territori che ne saranno attraversati debbano essere protagonisti per trarne quanto più benessere possibile.

 

Fra tensioni e interessi

La questione butta la benzina sul fuoco, in un quadro in cui la sfiducia reciproca continua ad aumentare, e proporzionalmente alla sfiducia i motivi di contesa e rancore. Oltre al recente conflitto – con tutte le ferite che questo ha comportato – rimangono le questioni dei prigionieri di guerra, dei campi minati, dei processi ai prigionieri che sono in corso, dei confini da demarcare, degli spostamenti di militari non concordati e dei successivi, conseguenti, nuovi scontri.

A causa di questa sfiducia e del peggioramento del quadro della sicurezza è stata sospesa una parte sostanziosa degli accordi che hanno messo fine ai combattimenti. Oltre all’accordo trilaterale del 9-10 novembre 2020, c’è quello dell’11 gennaio che ha previsto la creazione di un gruppo di lavoro trilaterale incaricato di concordare l’apertura delle vie di comunicazione e di tutte le infrastrutture che dovrebbero comportare una fitta rete di trasporti e scambi regionali. Gli incontri del gruppo si tengono sia in formato di tecnici, sia in una dimensione politica a livello di vice-premier russo, armeno e azero. Il vice-premier russo ha recentemente cercato di sollecitare un nuovo impulso al lavoro del gruppo trilaterale  , le cui attività si sono interrotte a causa degli scontri di inizio giugno. Non sono solo la Russia e la Turchia a premere in questo senso. Anche l’Iran è sceso energicamente in campo per quella che gli pare un’inattesa e tempestiva opportunità per ridurre il proprio isolamento, incrementare le proprie esportazioni e far ripartire l’economia per un paese che ha subito in modo pesante l’impatto della pandemia.

Intorno a Syunik, insomma, pullulano vasti interessi, e la regione armena può diventare uno snodo pivotale nelle direzioni nord-sud ed est-ovest.

 

La pace avvelenata

L’Azerbaijan preme in questo senso e si dichiara disposto a trasformare questa seconda fase post-bellica in una pace duratura. Questa proposta per l’Armenia appare però come un frutto avvelenato: firmare la pace vuol dire riconoscere reciprocamente l’integrità territoriale e i confini, che potrebbe voler dire per l’Armenia mettere fine alle dispute di confine e facilitare l’opera di demarcazione, ma allo stesso tempo mettere una pietra tombale sulla questione del Nagorno Karabakh, riconoscendolo de jure parte dell’integrità territoriale azera. La pace quindi per l’Armenia arriva dopo la definizione dello status del Karabakh. Per l’Azerbaijan lo status è stato invece deciso con la guerra. Come già ricordato, per Aliyev la questione dell’indipendenza/autonomia del Karabakh non esiste più. Esiste un presidio militare temporaneo russo, in attesa che la popolazione locale accetti di venire riannessa all’interno dello stato azerbaijano. Il 7 luglio è nata per decreto la zona economica Karabakh-Zangezur orientale, e questa è l’unica peculiarità amministrativa che Baku vuole concedere all’area secessionista.

Inutile dire che per l’Armenia questa è una non opzione. Di pace il primo ministro armeno Pashinyan non vuole sentire parlare fino al ritiro dei militari azeri – stimati un migliaio – che dal cessate-il-fuoco ad oggi si sono insediati in aree che l’Armenia considera proprie, e fino a quando non si sarà trovata una soluzione politica per lo status del Karabakh. L’Armenia ne insegue ancora la secessione, l’Azerbaijan dice che non esiste più.

Se possibile, le posizioni sono ancora più lontane e incompatibili di prima della guerra. E come uno scoglio fra onde contrastanti sta Syunik, esposto alle bramosie di chi ha fretta di cominciare a costruire anche là dove ancora non si è bonificato.

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Tre soldati armeni uccisi in scontri di confine con le forze azere (Euronews e altri 28.07.21)

Tre soldati armeni sono stati uccisi in uno scontro con le forze azere al confine, il più letale dalla fine della guerra dello scorso anno nel Nagorno-Karabakh.

A darne notizia è stato il ministero della Difesa armeno, che in una nota rende noto come anche altri due soldati sono rimasti feriti.

In una dichiarazione rilasciata alle 09:20 ora locale (07:20 CET), il Ministero ha aggiunto che “i combattimenti continuano”.

Il ministero della Difesa dell’Azerbaigian ha affermato che anche due dei suoi soldati sono rimasti feriti negli scontri, ma che “non c’è pericolo per la loro vita”.

Entrambi i paesi si sono accusati l’un l’altro per la riacutizzazione della tensione lungo il confine.

Yerevan e Baku hanno combattuto una micidiale guerra di 44 giorni in autunno, ultimo capitolo del lungo conflitto in Nagorno-Karabakh, che si è concluso a novembre con una tregua mediata dalla Russia.

Le tensioni tra i due paesi nella regione stanno ribollendo dalla fine di una guerra negli anni ’90 e l’escalation di violenza dello scorso anno è stata la più mortale degli ultimi due decenni. Più di 5.000 persone hanno perso la vita e decine di migliaia sono state sfollate.

L’accordo di pace mediato da Mosca ha visto l’Armenia costretta a cedere un territorio significativo all’Azerbaigian.

Entrambi i paesi si sono ripetutamente accusati a vicenda di aver violato i termini dell’accordo da quando è entrato in vigore il 10 novembre.

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Armenia, tre soldati uccisi in uno scontro al confine con le truppe azere (Sputniknews 28.07.21)


Scontri a fuoco al confine, risale la tensione nel Nagorno-Karabakh (Insiderover 28.07.21)


Armenia-Azerbaigian, sale di nuovo la tensione: scontri a fuoco al confine (Ilprimatonazionale 28.07.21)


Nagorno-Karabakh, nuovi scontri Armenia-Azerbaigian: 3 morti e 4 feriti (Cronachedi 28.07.21)

GLI 80 ANNI DEL MAESTRO RICCARDO MUTI, LA MUSICA COME MISSIONE (Famigliacristiana 28.07.21)

Il grande direttore d’orchestra, nato a Napoli il 28 luglio 1941, ha annunciato di voler festeggiare il compleanno in famiglia. E’ reduce da una tournée in Armenia e dall’Arena di Verona. Domani sarà al Quirinale: in diretta su Rai 1, alle 20.30 per il G20 della cultura, la “Sinfonia dal nuovo mondo di Dvorak”. Ripubblichiamo un’ampia intervista realizzata nel 2020

“Adda passa ‘a nuttata”, sospira Riccardo Muti mentre cita Eduardo De Filippo per commentare questa fase in cui, causa Covid, la vita musicale  e culturale si è rallentata. “In realtà”, racconta il maestro, “non mi sono del tutto fermato. Ancora non posso dirigere a Chicago, perché le orchestre americane stanno ferme, però ho diretto al  Ravenna Festival, a Paestum, a Salisburgo tre concerti con i Wiener Philarmoniker e il 3 ottobre ho avuto l’onore di dirigere al Quirinale l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini per le celebrazioni dedicate a Dante Alighieri”. Questi concerti sono raggi di luce nella “nuttata”, ma resta la preoccupazione. “Questo virus”, prosegue Muti, “uccide le persone, l’economia e anche la cultura. Mi fa pensare a una riflessione di Cassiodoro citata dal cardinale Ravasi: una delle più grandi punizioni per l’umanità è restare senza musica”.

Il virus ha ritardato anche l’uscita del libro “Le sette parole di Cristo” in cui Muti dialoga con il filosofo Massimo Cacciari. Pubblicato da Il Mulino, il testo fa parte della collana “Icone: pensare per immagini”. L’immagine ispiratrice è quella di un capolavoro di Masaccio (1401-1428) , la “Crocifissione” esposta nel Museo di Capodimonte, a Napoli. Nel loro dialogo Muti e Cacciari riflettono sul dipinto e sulla composizione di Franz Joseph Haydn (1732-1809) intitolata “Sette ultime parole del nostro Redentore in croce”, che sembra dare un suono a quella immagine.

Maestro, come è nata la sua conoscenza con Cacciari?

“Ho conosciuto Massimo quando ricevetti una laurea honoris causa dalla Università San Raffaele di Milano, dove lui insegna, poi è venuto spesso al Festival di Ravenna. Cacciari è una persona straordinaria, un filosofo che cerca sempre la verità in ogni cosa. La sua è una mente superiore e io ho cercato di mettermi alla sua altezza in un dialogo dove siamo  riusciti a trovare un punto di contatto fra la filosofia, arte dei concetti, e la musica, arte dei suoni. Abbiamo trovato molte consonanze fra il capolavoro di Masaccio e quello di Haydn, espressioni straordinarie di una umanità, creatività e spiritualità con una tendenza irrefrenabile verso l’alto”.

Che cosa la colpisce nel dipinto di Masaccio?

“Le diverse espressioni del dolore che troviamo nei quattro personaggi. La Madre raccolta in un angolo con le mani giunte. Giovanni in un atteggiamento di grande tenerezza. La  Maddalena che sembra irrompere nel dipinto con il suo manto porpora, la chioma dorata le braccia alzate verso il crocifisso. Cristo spogliato della sua divinità, raffigurato come un uomo che soffre. Sono quattro figure unite dalla sofferenza”.

Haydn che suono dà a questa sofferenza?

“L’ immenso capolavoro di Haydn parte con una introduzione musicale, seguono le varie sonate ispirate da una frase di Cristo in croce, infine c’è un terremoto che in due minuti chiude in maniera tempestosa la composizione. Ogni parola di Cristo ispira la fantasia compositiva di Haydn a creare una situazione sonora che non descrive, ma evoca lo stato d’animo di una persona sul punto di morire in maniera così atroce”.

Lei spiega che eseguire questa musica rappresenta una esperienza interiore molto forte.

“Sì, ho eseguito molte volte questa composizione, una volta anche presso la tomba di Haydn. L’ho incisa tre volte con i Wiener Philarmoniker, i Berliner Philarmoniker  e con l’Orchestra della Scala., Spesso ho chiesto a un sacerdote di introdurre brevemente ogni sezione dell’opera di Haydn. L’ho fatto anche con il cardinale Ravasi e con gli arcivescovi di Chicago e Ravenna, ogni volta è stato interessante ascoltare la spiegazione del significato profondo delle parole di Cristo”.

Dialogando con  Cacciari lei dice che esiste un’armonia dell’universo, come la spiega?

“Sì, ho sempre pensato che l’universo abbia un suo suono che noi non possiamo cogliere, non è possibile che l’universo sia completamente muto”.

Chi o che cosa muove il tutto?

“Chiamiamolo Dio, natura, creato, ma immagino questo movimento che genera suoni. E ho sempre pensato che un musicista come Mozart ha potuto scrivere una musica così sublime proprio perché attraversato da questi raggi sonori. L’esistenza di Mozart è una prova dell’esistenza di Dio”.

Lei nel libro lascia in sospeso una domanda: la musica del Paradiso è quella di Mozart?

“Lo penso e ne ho parlato anche con il papa emerito Ratzinger, che sono andato a trovare tempo fa con mia moglie. Nella sua breve vita Mozart ha espresso in musica l’anima dell’uomo in tutti i suoi aspetti  con un livello di bellezza che raggiunge la perfezione assoluta. Lui non ha mai scritto nulla che risulti accademico o di routine, Mozart si è sempre posto al livello del sublime. Come è stato possibile? Non è qualcosa di umano. Pensiamo all’ Ave Verum Corpus, quella musica l’ha scritta una mano guidata da Dio”.

Nella sua formazione contano moltissimo le musiche delle bande che accompagnavano le processioni, che ricordi ha?

“ Sì, da ragazzo a Molfetta seguivo le processioni del Venerdì e del Sabato Santo che partivano dalla chiesa di Santo Stefano, accompagnate dal suono della banda. Erano processioni molto composte e silenziose, con le statue che ondeggiavano seguendo il passo cadenzato di chi le sorreggeva. La musica accompagnava questo incedere con delle marce funebri dal carattere fortemente lirico e appassionato. Quelle marce funebri sono state il mio primo cibo musicale  e ringrazio quelle bande, un patrimonio della cultura popolare che sarebbe un peccato abbandonare o lasciar morire”.

Citando un suo grande collega, Carlos Kleiber, lei dice che certe musiche sono così belle che non andrebbero eseguite. Come è possibile?

“Sì, il mio amico Kleiber diceva che ci sono  musiche talmente sublimi e inarrivabili che è meglio lasciarle sulla carta, lasciando che prendano vita nella nostra mente senza farle passare nell’elemento limitante di uno strumento o dell’interprete, che non può essere perfetto, perché ciò sprecherebbe la bellezza e la purezza della musica. La trovo  una straordinaria intuizione e penso che le Sette ultime parole del nostro Redentore in croce di  Haydn sia una di quelle composizioni che Kleiber avrebbe considerato intoccabili”.

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Chiara Picchi: «Dall’Armenia approdo al concerto dal Quirinale» (Giornaledibrescia 28.07.21)

«Quando, nella sala del Teatro Nazionale di Erevan, capitale dell’Armenia, sono svanite nell’aria le ultime note che chiedevano pace e invocavano insistentemente Dio, Padre Nostro e di tutti gli esseri viventi, mille spettatori si sono fermati, in un istante di commosso silenzio. Poi è esplosa una interminabile standing ovation».

Così la flautista di Padenghe, Chiara Picchi, primo flauto dell’Orchestra “Cherubini” diretta da Riccardo Muti, racconta il finale di «Purgatorio», brano del maggiore compositore vivente armeno, l’82enne Tigran Mansurian, eseguito il 4 luglio scorso nel «Paese delle pietre urlanti», per «Le vie dell’amicizia», progetto che dal 1997 visita luoghi-simbolo della storia antica e contemporanea, in un programma di collaborazione, dialogo e solidarietà fra i popoli attraverso la musica.

Laura Ephrikian ha presentato il suo nuovo libro dove narra la storia del nonno, armeno, fuggito dalla Turchia (Lanazione 28.07.21)

di Roberto Oligeri

Un’autentico anfiteatro creato da Madre Natura, sotto la Chiesa parrocchiale, nato grazie all’intuizione di Padre Dario Ravera e che ha preso forma grazie al Cmune a alle associazioni di volontariato del territorio, è stato inaugurato sabato scorso a Comano. “Il merito è della Polisportiva San Giorgio, di Mario Strano della Pubblica assistenza Croce Azzurra, e della Pro Loco Castello – dicono all’unisono il sindaco Antonio Maffei e il suo vice Francesco Fedele – che hanno concretizzato l’idea, il sogno di Padre Dario, nel passato parroco della Valle del Taverone”. E per l’occasione, in un tramonto con luci smaglianti e struggenti armonie musicali, Laura Ephrikian, attrice di teatro, cinema e tv, ha presentato il suo nuovo libro “Una Famiglia Armena“. Nel testo Laura parla del passato della sua famiglia: il nonno, che fugge dalla follia fratricida del Genocidio Armeno nel 1915-1916. Il racconto si intreccia con la storia d’amore a cui dà vita con la giovane donna conosciuta in Italia, che diverrà poi sua moglie e l’ amata nonna della scrittrice. “Si,mi riferisco al popolo armeno che si distingue per capacità e cultura-racconta la Ephrikian- che oltre un secolo fa, fu sterminato al 70%: 1.500.000 persone di tutte le età furono uccise nei modi più brutali, anche deportandole e abbandonandole nel deserto facendole morire di fame e sete. L’Armenia, è un paese bellissimo dove il cristianesimo è radicato grazie alla fede ferrea dei suoi abitanti e vorrei che per noi l’Armenia, non fosse solo una parola nell’atlante geografico ma una nazione di cui ricordare la storia tragica, accaduta dopo lo scoppio della Grande Guerra. Nella Turchia odierna, e siamo nel 2021 – ricorda Laura – tutt’ora è proibito menzionare il termine genocidio armeno: si rischia il carcere. E non c’è stata una nazione che abbia zittito Erdogan”.

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