Fosse comuni di bambini: Dal Canada al Libano (Gariwo 29.06.21)

Recentemente, come riportato dalla stampa, è venuta alla luce una scoperta sorprendente in Canada in una scuola, la Kamloops Indian Residential School nella British Columbia, aperta nel 1890 e rimasta attiva fino al 1978. I bambini indigeni, inuit e di altre etnie venivano strappati dalle loro case, portati con la forza nella residenza gestita da cattolici dove venivano convertiti, era vietato loro parlare nella propria lingua, erano costretti ai lavori forzati e soggetti ad abusi fisici e sessuali. Regnavano malnutrizione ed epidemie. Una cultura e un agire genocidario che hanno provocato la morte o la scomparsa di almeno 4100 bambini indigeni. Papa Francesco ha denunciato il crimine e ha parlato di “colonizzazione ideologica”. Nel giardino della scuola è stata scoperta una fossa comune con i resti di 215 bambini indigeni. Più recentemente sono state trovate altre 751 tombe senza nome nei pressi della scuola cattolica nel Saskachewan. Secondo il National Center for Truth and Reconciliation dell’Università di Manitoba almeno 150.000 bambini indigeni furono sottratti alle famiglie di origine per essere allevati e istruiti nella cultura occidentale. Una vera e propria rieducazione forzata. Nella notte di sabato scorso, per ritorsione, sono state date alle fiamme due chiese cattoliche nella British Columbia.

In un mio recente viaggio in Libano, per l’inaugurazione del Giardino dei Giusti di Kfaranabrakh, iniziativa di Gariwo, la foresta dei Giusti, promossa con il padre greco-melchita Abdo Raad, ho attraversato passi, colline e villaggi, per lo più abitati da maroniti e drusi i cui militi sembravano presidiare la zona e ho raggiunto il villaggio di Antoura. Attraversato il paese, mi sono trovato di fronte a tre grandi caseggiati moderni e a un antico edificio perfettamente restaurato: l’imponente istituto Lazarista tuttora funzionante.

Ad Antoura nel 1915 era stato messo in opera un piano di turchizzazione forzata degli orfani armeni sopravvissuti al genocidio. L’istituto dal 1657 era un collegio francese dei Gesuiti, poi passato ai Lazaristi, ma nel 1915, allo scoppio della Prima guerra mondiale, i religiosi furono scacciati e il collegio requisito dal governo ottomano dei Giovani Turchi.

Gemal Pascià, uno dei triumviri del governo dei Giovani Turchi che ha attuato il genocidio degli armeni, requisì l’istituto trasformandolo in un orfanotrofio per i bambini armeni e nominando direttrice Halide Edib Adivar, una nazionalista turca, nota per i suoi atteggiamenti sadici, incaricata di turchizzare e costringere alla religione islamica gli orfani armeni.

Nel 1915 la scuola ospitava 800 orfani e 30 soldati di guardia. I maschi furono circoncisi e furono imposti loro nomi turchi, conservando solo le iniziali armene: ad esempio, il nome Haroutiun Najarian, divenne Hamid Nazim, Boghos Merdanian divenne Bekim Mohammed, e Sarkis Sarafian Safwad Suleyman. Lavoro forzato, condizioni sanitarie pessime, tifo e malattie, scarsità di cibo fecero molte vittime. Quattrocento nuovi orfani dai 3 ai 15anni vennero portati ad Antoura dallo stesso Gemal Pascià nel 1916, strappati dall’orfanotrofio armeno di Aleppo diretto dalla missionaria svizzera Beatrice Rohner, una Giusta per gli armeni, onorata al Giardino del Monte Stella a Milano nel 2014. Beatrice Rohner li aveva salvati strappandoli dalle carovane della morte nel deserto di Deir es Zor.

Assieme a Gemal Pascià arrivarono 15 giovani donne turche nazionaliste esponenti di famiglie elitarie di Costantinopoli che dovevano aiutare Halide nel sovvertimento culturale degli orfani cristiani. Nell’orfanotrofio si doveva parlare solo turco, il mullah chiamava alla preghiera cinque volte al giorno, le punizioni erano severissime, si arrivava fino alla bastonade, sferzate sulle piante dei piedi. Ogni sera la banda suonava un inno: “Lunga vita a Gemal Pascià”. Migliaia di orfani armeni durante gli anni della guerra furono internati in questo istituto. Nell’estate del 1918 Halide Hanum e il suo staff abbandonarono la scuola a causa della ritirata dell’esercito turco e i ragazzi armeni turchizzati iniziarono a combattersi fra loro; una ribellione sedata dai soldati turchi ancora presenti. C’erano ancora 1200 orfani armeni quando gli ottomani nel 1918 furono sconfitti e i francesi e gli inglesi invasero la regione trovando la scuola in una condizione caotica. Quando il padre lazarista Sarlout ritornò ad Antoura si rese conto che la situazione era ingovernabile. Vi erano ancora 670 bambini armeni. Furono radunati e per prima cosa furono restituiti loro, a fatica, i nomi armeni. Furono chiamati insegnanti armeni e lentamente i bambini si riappropriarono della cultura armena e della religione cristiana.

Più tardi fu la Near East Relief Society americana dell’Ambasciatore Henry Morgenthau, un grande Giusto per gli armeni, che assunse la direzione della scuola fino al 1919, quando i maschi superstiti furono inviati ad Aleppo e le femmine all’orfanotrofio femminile di Ghazir diretto dai coniugi Kunzler, altri missionari Giusti per gli armeni. Nel periodo della turchizzazione erano morti migliaia di orfani per maltrattamenti, malattie e uccisioni. Altri erano stati affidati a famiglie turche che li hanno utilizzati come schiavi domestici o adottati per potere impossessarsi dei beni ereditati dai loro genitori eliminati. Ancora oggi gli armeni superstiti turchizzati vengono chiamati in Turchia i “resti della spada”.

Poco tempo fa furono accidentalmente scoperti nel giardino annesso alla scuola 300 cadaveri in una fossa comune. Oggi sul luogo del ritrovamento vi è un monumento a ricordo dei bambini morti a causa del “genocidio” , un crimine contro l’umanità, un genocidio culturale, ideologico e materiale subito dagli armeni, il primo del Novecento. La turchizzazione forzata di migliaia di bambini e di donne non fu altro che un capitolo del piano generale di annichilimento della nazione armena. Fare i conti con il passato e documentare la verità degli eventi storici è il primo passo per elevare, con la prevenzione, una barriera contro il male.

Ho deposto un fiore ai piedi del monumento eretto a ricordo dei 300 bambini e ho continuato il mio viaggio sulle strade del Libano alla ricerca di Giusti per gli armeni, ma insieme pensando all’importanza del lavoro di Gariwo che onora i Giusti e cerca di formare le nuove generazioni a cogliere, oggi, i segni del male al loro sorgere per prevenire altri crimini contro l’umanità e altre cancellazioni di gruppi umani e della loro cultura, che costituiscono una perdita per tutta l’umanità.

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Definito il reato di Ecocidio al Tribunale Penale Internazionale, passaggio storico per l’ambiente (Il Mattino 27.06.21)

Alla Corte Penale Internazionale si sta definendo nei dettagli il reato di ecocidio. In questi giorni un pool di giuristi ha elaborato una definizione definita storica perché è destinata ad essere adottata dal Tribunale Penale Internazionale, mettere fine al vuoto normativo finora esistente e perseguire i reati più gravi e devastanti contro l’ambiente, la natura, il suo equilibrio. Reati che finora sono sempre passati in secondo piano. 

Ecocidio, cosa è?

Il progetto di legge definisce «atti illegali o sconsiderati» quelli «commessi con la consapevolezza di una sostanziale probabilità dei danni diffusi prodotti a lungo termine all’ambiente». Se il testo normativo verrà adottato dagli stati membri diventerebbe il quinto reato che la Corte persegue oltre ai crimini di guerra, crimini contro l’umanità, il genocidio, il crimine dell’aggressione. Si tratta, hanno affermato i giuristi, del primo nuovo crimine internazionale introdotto dagli anni ’40, quando i nazisti furono perseguiti a Norimberga.

Fu in quella circostanza che nel 1948 fu adottato il termine di ‘genocidio’ grazie allo studio di un giurista ebreo di origini polacche, Lemkin: per provare l’abisso della Shoah e le colpe del Terzo Reich, prese ad esempio il genocidio armeno (1915-1917) costato la vita a un milione e mezzo di cristiani armeni sotto l’impero ottomano. Uno dei ministri del Triumvirato che pianificarono le deportazioni e le marce della morte, Talat, fu assassinato nel 1923 a Berlino da uno studente armeno che fu subito arrestato ed accusato di assassinio. Lemkin, prese come base quel processo, per fare affiorare il paradosso: lo studente armeno era colpevole di avere ucciso Talat anche se quest’ultimo per la giustizia non era incriminabile. 

L’ecocidio così come è stato elaborato sarà elencato accanto al genocidio come un crimine internazionale. Il professor Philippe Sands dell’University College di Londra, membro della commissione che ha trascorso gli ultimi sei mesi a lavorare al testo  ha spiegato al Guardian che «gli altri quattro crimini si concentrano tutti esclusivamente sul benessere degli esseri umani. Anche l’ecocidio procede in tal senso anche se introduce un nuovo approccio non antropocentrico, mettendo l’ambiente al centro del diritto internazionale, e questo è originale e innovativo».

«La cosa più importante è che fa parte di quel più ampio processo di cambiamento della coscienza pubblica, che riconosce che siamo in relazione con il nostro ambiente, che dipendiamo dall’equilibrio dell’ambiente e che dobbiamo usare vari strumenti, politici, diplomatici ma anche legali per ottenere la protezione dell’ambiente» ha spiegato.

Una legge sull’ecocidio era stata proposta dal defunto primo ministro svedese, Olof Palme, nel 1972. Più recentemente, l’ecocidio è stato considerato per l’inclusione nello statuto di Roma del 1998.

Diverse piccole nazioni insulari, tra cui Vanuatu, nel Pacifico, e le Maldive hanno invocato attenzione a questo crimine già nel 2019. Anche Papa Francesco nella enciclica Laudato Sì affronta la questione dei reati da riconoscere per tutelare il creato. Per esempio le grandi fuoriuscite di petrolio, la deforestazione amazzonica, l’uccisione delle specie protette, gli incidenti nucleari.

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Armenia, commissione elettorale conferma la vittoria di Pashinyan (Sputniknews 27.06.21)

La formazione di Pashinyan entrerà in parlamento insieme ad Alleanza Armenia di Robert Kocharyan e a Ho l’onore dell’ex preisdente Serž Sargsyan
Il comitato elettorale centrale armeno ha annunciato quest’oggi i risultati definitivi delle elezioni parlamentari anticipate del 20 giugno, confermando che il partito Contratto Civile del primo ministro Nikol Pashinyan ha vinto con il 53,91% dei voti, seguito da Alleanza Armenia dell’ex presidente armeno Robert Kocharyan con il 21,9%.

“2.595.512 persone sono state iscritte nelle liste elettorali, 1.281.997, pari al 49,39% degli elettori, hanno partecipato alle votazioni. Il numero di persone che hanno votato per il Partito del Contratto Civile è stato di 688.761 persone pari al 53,91%, per Alleanza Armenia 269.481 pari al 21,9%; e per il blocco “Ho l’onore” 66.650 pari al 5,22%”, ha affermato Tigran Mukuchyan, il capo del comitato elettorale centrale.

Sebbene il blocco “Ho l’onore” non abbia superato la soglia del 7%, avrà seggi in parlamento, poiché la legge armena richiede la presenza di almeno tre forze politiche.
La percentuale di voti si traduce in 71 seggi in parlamento per il partito del Contratto Civile di Pashinyan, 29 seggi per Alleanza Armenia di Kocharyan e 7 per il blocco Ho l’onore di Sargsyan, ha affermato Mukuchyan.
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Armenia: Cec conferma vittoria elezioni del Partito del Contratto civile del premier Pashinyan
Erevan, 27 giu 10:23 – (Agenzia Nova) – La Commissione elettorale centrale armena ha annunciato i risultati definitivi delle elezioni parlamentari anticipate svoltesi il 20 giugno. I dati pubblicati confermano la vittoria del Partito del Contratto civile del primo ministro ad interim Nikol Pashinyan ha vinto con il 53,91 per cento dei voti, mentre l’Alleanza Armenia dell’ex presidente Robert Kocharyan si è fermata al 21,9 per cento. “2.595.512 persone sono state incluse nelle liste elettorali alle elezioni, e 1.281.997, ovvero il 49,39 per cento degli elettori, hanno preso parte al voto. 688.761 persone, ovvero il 53,91 per cento, hanno votato per il Partito del Contratto civile, mentre 269.481, ovvero il 21,9 per cento, per l’Alleanza Armenia; 66.650, pari al 5,22 per cento, per la coalizione Io ho l’onore”, ha detto il presidente della Commissione, Tigran Mukuchyan. Secondo la legge armena, sebbene Io ho l’onore non abbia superato lo sbarramento del 7 per cento, sarà comunque rappresentata nella prossima legislatura in quanto è prevista la presenza di almeno tre formazioni politiche. (Rum)

L’Azerbajgian, noto per la mancanza dello Stato di diritto, viola il diritto umanitario internazionale. A Ginevra la denuncia dei rappresentanti dell’Armenia (Korazym 25.06.21)

L’Azerbajgian – un Paese notorio per la mancanza dello Stato di diritto e di indipendenza della magistratura, tribunali corrotti, tortura e sistema penitenziario abusivo – ha inventato procedimenti penali e condotto processi simulati di prigionieri di guerra armeni, a seguito della sua guerra di aggressione contro la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, in violazione del diritto umanitario internazionale.

Seguono – nella nostra traduzione italiana di lavoro dall’inglese – le dichiarazioni durante la 47a Sessione del Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra il 22 giugno 2021, dell’Ambasciatore Andranik Hovhannisyan, Rappresentante Permanente della Missione Permanente della Repubblica di Armenia presso l’Ufficio delle Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali a Ginevra durante il dialogo interattivo sul Rapporto Annuale dell’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite; e il 24 giugno 2021 presentate dalla Sig.ra Armine Petrosyan e dal Sig. Arsen Kotanjyan, Secondi Segretari.

L’Armenia ringrazia l’Alto Commissario per la relazione e la leadership profusa.
Abbiamo preso atto delle attività dell’ Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani nei settori della pace e della sicurezza. È nostra convinzione che i diritti umani dovrebbero essere integrati attraverso la risposta delle Nazioni Unite ai conflitti.
Abbiamo inoltre preso atto del monitoraggio a distanza dell’Ufficio dell’Alto Commissario del conflitto del Nagorno-Karabakh. È deplorevole che l’Ufficio non sia riuscito a visitare il Nagorno-Karabakh, nonostante la sua continua determinazione a chiedere l’accesso. Il Portavoce del Segretario Generale delle Nazioni Unite ha recentemente chiarito forte e chiaro che l’Azerbajgian ha ostacolato l’accesso delle Nazioni Unite al Nagorno-Karabakh. Un altro appello dell’Alto Commissario e dei titolari del mandato per la procedura speciale sul trattamento umano e sul pronto rilascio dei prigionieri di guerra e di altri prigionieri del recente conflitto del Nagorno-Karabakh rimane insoddisfatto, poiché l’Azerbajgian si rifiuta di rimpatriarli.
Inoltre, l’esecuzione extragiudiziale di Armeni identificati dall’Alto Commissario e dai titolari del mandato per la procedura speciale, così come altri crimini di guerra, rimangono irrisolti.
La resistenza dell’Azerbajgian alla responsabilità per gravi violazioni del diritto internazionale rafforza l’impunità nel modello della violenza. Per romperlo è necessaria un’azione urgente della comunità internazionale e della macchina delle Nazioni Unite per i diritti umani.
Andranik Hovhannisyan

Diritto di replica
La mia delegazione ha chiesto la parola per esprimere il proprio sgomento per il modello di abusi di questo augusto Consiglio esercitato dall’Azerbajgian, che costantemente avanza accuse faziose e politicamente motivate contro il mio Paese che sono lontane dall’agenda, dal mandato e dallo spirito dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. L’Azerbajgian cerca di fuorviare la comunità internazionale distorcendo le cause profonde del conflitto del Nagorno Karabakh e le recenti ostilità avviate con l’intenzione di annientare la popolazione armena.
In primo luogo, due giorni fa si sono svolte in Armenia le elezioni parlamentari anticipate. Il partito di governo armeno rimarrà in carica con circa il 54% dei voti.
In secondo luogo, gli osservatori internazionali, compreso l’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani, hanno concluso che le elezioni sono state competitive e ben gestite. L’amministrazione elettorale ha svolto il proprio lavoro in modo trasparente e professionale e ha goduto della fiducia delle parti interessate. Agli elettori è stata offerta un’ampia gamma di opzioni e sono stati rispettati i diritti e le libertà fondamentali, con la possibilità per i concorrenti di fare campagna elettorale liberamente. Anche il giorno delle elezioni, compreso il conteggio dei voti, è stato valutato positivamente [*].
Terzo, in netto contrasto, le ultime elezioni in Azerbajgian sono state qualificate dalla stessa agenzia internazionale specializzata nei seguenti termini (e cito): “La legislazione e il contesto politico restrittivi hanno impedito una vera concorrenza”; “Ad alcuni potenziali candidati è stato negato il diritto di candidarsi”; “Agli elettori non è stata fornita una scelta significativa a causa della mancanza di una vera rappresentanti”; “Significative violazioni procedurali durante lo scrutinio e la tabulazione ha sollevato dubbi sulla correttezza dei risultati”.
Quindi, lo sfruttamento della piattaforma dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati da parte dell’Azerbajgian non è una sorpresa per noi. L’Azerbajgian è lungi dall’essere uno Stato che si sforza di contribuire alla promozione dei diritti umani. Al contrario, è un Paese autoritario che cerca di nascondere le sue pratiche scorrette e violazioni delle libertà fondamentali e gravi violazioni dei diritti umani. L’Azerbajgian ha inventato le famigerate pratiche di “lavanderia a gettoni” e “diplomazia del caviale” che da allora sono state iscritte nella lista dei casi più eclatanti di corruzione e appropriazione indebita. L’Azerbajgian si riferisce alla sua opposizione come a una “quinta colonna”, rapisce e attacca i suoi critici all’estero, falsifica sfacciatamente le elezioni e mantiene voci di dissenso dietro le sbarre. Difficilmente un Paese del genere può predicare sui diritti umani in questo Consiglio.

Ringraziamo il Relatore Speciale per la sua relazione e accogliamo con favore la priorità dell’equità sanitaria e della non discriminazione.
A questo proposito vorremmo sottolineare che l’Azerbajgian continua a discriminare il diritto della popolazione del Nagorno-Karabakh a ricevere aiuti umanitari internazionali, compresa l’assistenza necessaria per garantire il più alto livello possibile di salute fisica e mentale. Recentemente il Portavoce dell’Segretario Generale delle Nazioni Unite ha nuovamente confermato che l’Azerbajgian ostacola l’accesso delle organizzazioni umanitarie internazionali nel Nagorno-Karabakh.
Questa posizione dell’Azerbajgian è la continuazione della sua politica di pulizia etnica della popolazione armena del Nagorno-Karabakh, culminata lo scorso autunno quando l’Azerbajgian ha scatenato un’aggressione devastante. Dal primo giorno della guerra, l’Azerbajgian ha deliberatamente preso di mira gli ospedali civili, compresi i reparti per l’infanzia e la maternità. L’uso di munizioni a grappolo e di armi incendiarie contro i civili è stato confermato dalle strutture internazionali. L’Azerbajgian non ha risparmiato nemmeno le ambulanze e il personale medico. La popolazione del Nagorno-Karabakh continua a soffrire di numerose ordinanze di guerra inesplose. Alcuni prigionieri di guerra armeni e prigionieri civili sono morti durante la custodia dell’Azerbajgian a causa della tortura, della mancanza di assistenza medica e delle condizioni di detenzione insopportabili.
Tali gravi violazioni dei diritti umani non dovrebbero restare impunite.
Armine Petrosyan

Diritto di replica
La Missione dell’Armenia fa questa dichiarazione in risposta alle accuse infondate della Missione dell’Azerbajgian e ai suoi sforzi per distorcere l’essenza del conflitto del Nagorno-Karabakh.
Il conflitto del Nagorno-Karabakh non è risolto. Come hanno recentemente ribadito i mediatori internazionali, i Copresidenti del Gruppo OSCE di Minsk – Russia, Francia e Stati Uniti, “un’attenzione particolare dovrebbe essere prestata al raggiungimento di una soluzione definitiva, globale e sostenibile sulla base di gli elementi e i principi ben noti alle parti”. “I copresidenti hanno sottolineato la loro disponibilità a riprendere le visite di lavoro nella regione, compreso il Nagorno-Karabakh”.
Inoltre, i Copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE hanno ricordato che sono necessari ulteriori sforzi per creare un’atmosfera di fiducia reciproca favorevole a una pace duratura, compreso il ritorno di tutti i prigionieri di guerra e di altri detenuti. In questo contesto, il maltrattamento dei prigionieri di guerra armeni la dice lunga sul fallimento dell’Azerbajgian nel compiere sforzi per la pace.
L’Azerbajgian si rifiuta di rimpatriare i detenuti armeni nonostante i numerosi appelli della comunità internazionale, sottoponendoli a trattamenti crudeli, disumani e degradanti. Inoltre, l’Azerbajgian continua a nascondere il vero numero dei prigionieri e nega di aver detenuto decine di prigionieri la cui posizione è stata documentata da filmati o testimonianze dei prigionieri di guerra rimpatriati. L’Azerbajgian ha inventato procedimenti penali e condotto processi simulati di prigionieri di guerra armeni in un Paese noto per la mancanza di stato di diritto e indipendenza della magistratura, tribunali corrotti, sistema penitenziario abusivo.
L’Armenia è sempre stata impegnata nella soluzione politica diplomatica del conflitto. Come gesto di buona volontà, l’Armenia ha fornito all’Azerbajgian le informazioni sulle mine nel Nagorno-Karabakh.
Il pesante bombardamento condotto lo scorso anno dall’Azerbajgian, anche con munizioni a grappolo, ha contaminato quasi tutto il territorio del Nagorno-Karabakh con numerosi ordigni bellici inesplose. La popolazione civile soffre molto di questo flagello. Secondo le organizzazioni specializzate, come l’Halo Trust, il Nagorno-Karabakh era una delle aree più minate del mondo. Ci sono voluti molti anni perché il Nagorno-Karabakh ripulisse il suo territorio dai campi minati piantati dall’Azerbajgian negli anni ’90. Come negli anni ’90, anche ora l’Azerbajgian continua a ostacolare l’assistenza internazionale per lo sminamento e le ordinanze di guerra inesplose nel Nagorno-Karabakh. L’Azerbajgian abusa di questa azione puramente umanitaria per i suoi scopi politici.
Armine Petrosyan

L’Armenia concorda con il Relatore Speciale che le istituzioni educative sono essenziali per resistere alla violenza e alla discriminazione e per creare la pace e non devono essere utilizzate in modo improprio per la divisione, la propaganda e il disprezzo. Siamo inoltre d’accordo che l’istruzione dovrebbe promuovere la comprensione, la tolleranza e l’amicizia tra tutte le nazioni e promuovere le attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.
Pertanto, è deplorevole che l’Azerbajgian sfrutti l’istruzione per coltivare l’odio anti-armeno. Come riportato dalla Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa, “i leader politici, le istituzioni educative e i media hanno continuato a usare incitamenti all’odio contro gli armeni; un’intera generazione di azeri è ormai cresciuta ascoltando questa odiosa retorica”.
I libri di testo in Azerbajgian dicono che gli Armeni sono “nemici genetici”. Un video sui social network mostrava un’insegnante della scuola materna di Baku che insegnava ai bambini che gli Armeni sono i loro nemici, mentre un altro insegnante azero è stato licenziato dalla scuola dopo aver chiesto la pace con l’Armenia.
Il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale nelle sue osservazioni conclusive sull’Azerbajgian ha espresso preoccupazione per l’uso ripetuto e impunito di un linguaggio infiammatorie per quanto riguarda il conflitto del Nagorno-Karabakh.
È questa generazione cresciuta nell’odio estremo che ha perpetrato deprecabili atrocità contro gli Armeni durante la recente guerra nel Nagorno-Karabakh.
Arsen Kotanjyan

[*] Elezioni in Armenia dopo la sconfitta con l’Azerbajgian: vince il primo ministro Nikol Pashinyan

Il voto indetto anticipatamente, sulla scia della sconfitta dell’Armenia dopo l’aggressione dell’Azerbjigian contro la Repubblica di Artsakh/ Nagorno-Karabakh, premia il partito del Primo ministro uscente, Nikol Pashinyan, che ha vinto con il 59,3% dei voti. L’alleanza del principale sfidante, l’ex Presidente Robert Kocharyan, si è fermata al 21%.

Circa 2,6 milioni di elettori armeni sono stati chiamati alle urne per eleggere almeno 101 deputati per cinque anni.

“Il popolo armeno ha dato al ‘Contratto civile’ il mandato di guidare il Paese e personalmente a me di guidare il Paese come premier”, ha dichiarato Pashinyan, rivendicando la vittoria per il suo partito alle elezioni legislative. “Sappiamo già che abbiamo ottenuto una vittoria convincente alle elezioni e avremo una maggioranza convincente in Parlamento”, ha continuato il riconfermato Primo ministro durante un discorso trasmesso in diretta da Erevan il 21 giugno 2021. Il risultato già superato il 61% dello spoglio mostravo una forchetta piuttosto ampia tra i candidati. Pashinyan alla vigilia del voto aveva esortato i suoi connazionali a dargli un “mandato d’acciaio” e aveva avvertito sui rischi di “una guerra civile”. “Il popolo ci ha dato un mandato per l’imposizione della legge e del diritto, e dobbiamo usarlo immediatamente”, ha commentato. La Commissione elettorale centrale ha assicurato che “nel complesso, le elezioni si sono svolte nel rispetto della legge”. L’affluenza alle urne ha raggiunto il 49,4%, rispetto al 48,6% del 2018.

Gli osservatori internazionali dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), compreso l’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani, responsabili del monitoraggio della trasparenza del voto, presentando i loro risultati preliminari, hanno concluso che le elezioni sono state competitive e ben gestite.

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Il primo luglio in Vaticano ‘il grido’ del popolo libanese (Asianews 25.06.21)

I rappresentanti delle Chiese cristiane libanesi “cammineranno insieme” con papa Francesco per chiedere l’aiuto di Dio per il Paese e pregare per la pace. Tre sessioni di lavoro a porte chiuse. La preghiera conclusiva vedrà la possibilità di partecipazione del corpo diplomatico e sono state invitate tutte le comunità religiose maschili e femminili oltre che i fedeli laici libanesi presenti in Roma.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Porteranno “il grido di un popolo” i rappresentanti delle Chiese cristiane libanesi che il 1mo luglio si riuniranno in Vaticano e “cammineranno insieme” con papa Francesco per chiedere l’aiuto di Dio per il tormentato Paese dei cedri e pregare per la pace.

All’incontro, presentato stamattina in Vaticano, è prevista la presenza di tutte le componenti del cristianesimo orientale: cattolici, ortodossi, armeni e protestanti.

Trent’anni fa, ha ricordato il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, quando Giovanni Paolo II convocò un’Assemblea speciale per il Libano del Sinodo dei Vescovi, “la situazione era drammatica, ma sembra di leggere una cronaca dei nostri giorni”. “La comunità cristiana, in tutte le sue componenti – ha aggiunto – si interroga, riflette e prega”.

Nell’illustrare il programma, il cardinale ha sottolineato che “in più di un’occasione” il Papa e i capi delle Chiese e Comunità ecclesiali si vedranno “‘camminare insieme’: lo faranno per recarsi dalla Domus Sancta Martha alla Basilica Vaticana, all’inizio della giornata, dopo il momento di accoglienza e saluto nella hall della residenza che li vedrà tutti insieme ospiti dalla sera del 30 giugno alla mattina del 2 luglio. Dopo la preghiera del Padre nostro scenderanno le scale della Confessione dell’Apostolo Pietro, e ciascuno porrà una candela come segno della preghiera che arde chiedendo l’intercessione dell’Apostolo. Durante la giornata non li potremo vedere né ascoltare, perché le porte della Sala Clementina del Palazzo Apostolico resteranno chiuse”.

A porte chiuse, dunque, ci saranno tre sessioni di lavoro, ciascuna delle quali introdotta dalle parole di un relatore. La preghiera conclusiva in Basilica vedrà la possibilità di partecipazione al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede e sono state invitate tutte le comunità religiose maschili e femminili oltre che i fedeli laici libanesi presenti in Roma. “Sarà la nostra preghiera di intercessione, che potrebbe essere lanciata nelle parrocchie e nelle comunità religiose non solo del Libano lungo quella giornata a farci sentire vicino a loro e sostenerli nel momento di ascolto reciproco e discussione”.

Il testo della preghiera ecumenica per la pace vedrà la proclamazione di alcuni brani della Parola di Dio, alternati con preghiere di invocazione e canti delle diverse tradizioni rituali presenti in Libano, con testi in arabo, siriaco, armeno, caldeo. “Verso la fine della celebrazione, il segno della pace non sarà scambiato nel modo tradizionale – nel rispetto delle normative legate alla pandemia – ma alcuni giovani consegneranno ai leader cristiani una lampada accesa, che verrà poi collocata su un candelabro: è la speranza di pace che le giovani generazioni consegnano chiedendo l’aiuto perché essa non venga spenta dalle tribolazioni del presente”.

Il tavolo dell’incontro sarà rotondo, ed intorno ad esso siederanno insieme a Francesco, il nunzio in Libano, mons. Joseph Spiteri, che fungerà da moderatore, e i dieci Capi delle comunità cristiane: per parte cattolica, il Patriarca maronita card. Bechara Boutros Raï, quello Siro-cattolico Ignace Youssef III Younan, quello Melkita Youssef Absi, il vescovo Caldeo Michel Kassarj e il vicario apostolico latino mons. Cesar Essayan.

Per i non cattolici ci saranno: la Chiesa greco-ortodossa del Patriarcato di Antiochia, di tradizione bizantina, guidata dal patriarca Youhanna X Yazigi. In proposito, mons. Brian Farrell, L.C., segretario del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ha sottolineato che è una Chiesa con “una grande importanza storica, sociale e culturale in Medio-oriente. I fedeli del Patriarcato greco-ortodossa di Antiochia sono generalmente di origine e di lingua araba”.

Ci sarà il Catholicossato della Chiesa Armena Apostolica di Cilicia, guidata dal Catholicos Aram I. “Sostanzialmente, la presenza della comunità armena in Libano risale al tempo del genocidio armeno agli inizi del XX secolo”. L’attuale Catholicos di Cilicia, Sua Santità Aram, “è una personalità di spicco del movimento ecumenico, essendo stato moderatore del Comitato centrale del Consiglio ecumenico delle Chiese dal 1991 al 2006. Egli ha avuto un ruolo di primaria importanza nello sviluppo del Consiglio delle Chiese di Medio-oriente”.

Attesa la Chiesa Siro-ortodossa, con a capo, dal 2014, il Patriarca Ignazio Aphrem II. E’ una Chiesa “erede della grande tradizione siriaca, poco conosciuta in Occidente ma molto importante nella storia del cristianesimo, nella teologia e nella liturgia, e nell’espansione missionaria in Oriente”.

Gli evangelici, ossia The Supreme Council of the Evangelical Community in Syria and Lebanon, sarà rappresentato dal suo presidente, il rev.do Joseph Kassabhas. “La comunità evangelica in Libano trae origine dal risveglio intellettuale avvenuto nella parte dell‘Impero Ottomano di lingua araba nel 19.mo secolo; esso porta avanti oggi in Libano un intenso impegno nel campo educativo”.

Al termine dell’incontro, Francesco rivolgerà una parola conclusiva e prima del congedo donerà una formella a ricordo della giornata recante il logo.

E infine, rispondendo a una domanda, mons. Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha sostenuto che una visita di papa Francesco in Libano difficilmente ci sarà quest’anno, forse all’inizio del prossimo.

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Giornata per il Libano: mons. Farrell (Pont. Cons. unità cristiani), “superamento di ogni visione di parte per costruire il bene di tutti e salvaguardare la vocazione specifica” del Paese (Sir 25.06.21)

Papa Francesco: alla Roaco appello per Etiopia, Georgia e Armenia (Sir 24.06.21)

“Seguo con apprensione la situazione che si è generata con il conflitto nella regione del Tigray, in Etiopia, sapendo che la sua portata abbraccia anche la vicina Eritrea”. Lo ha detto il Papa, al termine del discorso rivolto ai partecipanti all’assemblea della Roaco, ricevuti oggi in udienza. “Al di là delle differenze religiose e confessionali, ci rendiamo conto di quanto sia essenziale il messaggio della Fratelli tutti, quando le differenze tra etnie e le conseguenti lotte per il potere sono erette a sistema”, ha osservato Francesco: “Al termine del mio Viaggio Apostolico in Armenia, nel 2016, insieme al Catholicos Karekin II abbiamo liberato in cielo delle colombe, come segno e auspicio della pace nell’intera regione del Caucaso. Purtroppo, essa negli ultimi mesi è stata un’altra volta ferita, e per questo vi ringrazio per l’attenzione che avete posto alla realtà della Georgia e dell’Armenia, affinché la comunità cattolica continui ad essere segno e fermento di vita evangelica”.

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Sul palco il suono dell’antica Armenia con The Naghash Ensemble (Ravennatoday 24.06.21)

Sabato 26 giugno, alle 21.30, alla Rocca Brancaleone si viaggia attraverso il suono dell’antica Armenia reinventato per il XXI secolo con The Naghash Ensemble. Biglietti: 20 euro.

“Sono diffidente rispetto alle etichette e mi trovo in difficoltà a descrivere la musica del Naghash Ensemble. Folk o classica? Etnica o cosmopolita? Antica o moderna? In sostanza è il prodotto naturale di chi è cresciuto ascoltando in casa solo musica armena, in gioventù ha studiato la musica classica europea, si è guadagnato da vivere come improvvisatore jazz, ma come tutti noi, era costantemente circondato dalla musica rock contemporanea”.

John Hodian, compositore, pianista e fondatore dell’ensemble dedicato al poeta armeno medievale Mkrtich Naghash, così parla della sua arte. Musicalmente frutto della diaspora, i brani ispirati agli antichi poemi sono meditazioni sul rapporto con Dio secondo la prospettiva di un sacerdote e artista del XV secolo, costretto all’esilio per aver rifiutato di demolire il campanile della chiesa da lui fondata.

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Musica: Naghash Ensemble reinventa suono dell’antica Armenia (Ansa 25.06.21)

Musica armena alla Porta d’Oriente (Sanmarinotv 26.06.21)

 

Armenia-Italia: Mattarella invia auguri all’omologo armeno per il suo compleano (Agenzianova 23.06.21)

Erevan, 23 giu 18:39 – (Agenzia Nova) – Il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella ha inviato una lettera di congratulazioni all’omologo armeno, Armeni Sarkissian, per il suo compleanno. Lo ha riferito l’ufficio stampa presidenziale di Erevan. “Vorrei riaffermare la mia intenzione di sviluppare ulteriormente e approfondire i sinceri legami di amicizia che uniscono i nostri Paesi. Sono certo che la vostra prossima visita di Stato in Italia sarà una buona occasione per riflettere sui risultati registrati insieme e sulle possibilità di sviluppare ulteriormente le relazioni bilaterali”, ha scritto Matatrella nella missiva. “Con lo spirito di amicizia e i ricordi di guerra dei nostri incontri sia a Erevan che a Roma, vi rivolgo ancora una volta le mie più calorose congratulazioni e gli auguri di benessere personale e familiare”, ha affermato il presidente della Repubblica. (Rum)

Armenia: anche dopo la guerra, vince ancora Nikol Pashinyan (Osservatorio Balcani e Caucaso 23.06.21)

Si è chiusa domenica scorsa con il voto una campagna elettorale infuocata in Armenia, durante la quale i candidati hanno viaggiato per tutto il paese, anche nelle aree di confine dove i cittadini hanno paura e dove la guerra ha cambiato tutto. Il finale della campagna è stato ovviamente a Yerevan, nella capitale, dove Robert Kocharyan e Nikol Pashinyan hanno raccolto rispettivamente due piazze gremite. Più forse quella di Kocharyan, ma come spesso accade la piazza e le urne sono cose diverse.

Gli elettori armeni hanno infatti riconfermato il governo uscente. Il Contratto Civico di Pashinyan – di cui lui è capolista e premier in pectore – ha ottenuto il 53,97% dei voti, l’Alleanza Armenia di Kocharyan è al 21% delle preferenze.

L’esito del voto va letto sia in rapporto allo storico del paese sia attraverso la lente della nuova legge elettorale, solo così si può dare una prima immagine della legislatura e del governo che verranno.

Innanzitutto l’affluenza alle urne si è confermata bassa, al di sotto del 50% degli aventi diritto. Questa è una tendenza che si conferma e che ridimensiona sempre il livello di consenso dei partiti nel paese, anche quelli con numeri di preferenze rilevanti.

Nelle elezioni politiche del 2018 Contratto Civico aveva raccolto il 70% delle preferenze. Pashinyan ha perso quindi più del 15% dei consensi, equivalente a 16 seggi nella nuova Assemblea nazionale. La nuova legge elettorale prevede che ad un partito che ottiene più del 50% dei voti, ma non il 54%, vengano dati seggi sufficienti per raggiungere il 54%, e quindi i numeri per formare un governo da solo. Da questo punto di vista la legge elettorale cambia poco la situazione sul campo, dato che Contratto Civico aveva già alle urne raggiunto quella soglia. Entro sei giorni Pashinyan presenterà quindi, senza doversi confrontare con alcun alleato, una nuova squadra di governo.

Nei banchi dell’opposizione siederanno “Alleanza Armenia” coalizione dell’ex primo ministro ed ex presidente armeno Robert Kocharyan e “Onore”, sostenuta da un altro ex primo ministro ed ex presidente, Serž Sargsyan. Quest’ultima formazione politica non ha raggiunto il 7%, soglia per le coalizioni, ma la nuova legge elettorale – per tutelare il pluralismo dell’Assemblea – prevede che siano almeno tre le forze politiche rappresentate, per cui Onore, con il suo 5.23% di preferenze, avrà 6 seggi. Degli altri seggi, 27 vanno ad “Alleanza Armenia”, 72 a “Contratto” e 4 sono riservati ai rappresentanti delle minoranze (assiri, curdi, russi e yazidi).

I partiti che siederanno in parlamento rappresentano circa l’80% dei voti espressi. La grande frammentazione del panorama politico ha fatto sì che il 20% dei voti si siano dispersi in partiti che sono risultati minori, e che quindi non hanno raggiunto la soglia di sbarramento. Dopo diverse legislature lascia l’Assemblea Armenia Prospera del discusso oligarca Tsarukyan. La legislatura sarà formata dal primo partito del paese e da due coalizioni, ognuna con almeno un partito armeno con una storia consolidata alle spalle: in “Alleanza Armenia” la Federazione Rivoluzionaria Armena, in “Onore” il Partito Repubblicano.

La legittimità del voto

Il voto è stato monitorato da telecamere in ogni seggio nonché da 8 missioni internazionali e 19 organizzazioni locali. I media accreditati sono stati 49 quelli stranieri e 68 quelli locali.

Durante la campagna elettorale la Procura della Repubblica ha ricevuto circa 400 segnalazioni di violazioni, di cui molte emerse sui social media, alcune di privati cittadini, due del Mediatore Civico – l’Ombudsperson, altre pubblicate dai media, e una sessantina su indicazione delle forze dell’ordine. Sei persone sono state tratte in arresto. Nella data – unica – del voto, svariati partiti di opposizione hanno lamentato intimidazioni. Secondo Sargsyan nei due giorni precedenti al voto la sua coalizione elettorale avrebbe ricevuto minacce, c’è stata una sparatoria in un seggio e sono stati sparati colpi di proiettile verso la macchina di un candidato, Arman Babajanyan.

Quando la Commissione Elettorale Centrale ha reso pubblici i primi exit poll, Kocharyan ha subito negato la legittimità del voto indicando numerose segnalazioni di violazioni che sarebbero state segnalate alla sua coalizione. Posizione mantenuta anche durante lo spoglio e nelle ore seguenti, posizione che si è trovata però sempre più isolata. L’Ombudsperson ha riconosciuto alcune violazioni, ma per lo più imputabili al blocco di Sargsyan. E poi sono arrivate le conferenze stampa delle organizzazioni internazionali che hanno concordato sulla legittimità del voto: prima la missione di monitoraggio elettorale della Comunità degli Stati Indipendenti  , poi quella dell’ODIHR  che da sempre ha grande visibilità.

La legittimazione internazionale

Ulteriore legittimazione è arrivata con le congratulazioni per il voto dagli alleati storici di Kocharyan: il portavoce del Cremlino Peskov ha parlato da subito di una evidente vittoria di Pashinyan.

Anche l’Unione europea si è espressa in questa direzione. In un comunicato  , la presidente della delegazione per le relazioni con il Caucaso meridionale, l’eurodeputata Marina Kaljurand, e il relatore permanente del Parlamento europeo sull’Armenia, l’eurodeputato Andrey Kovachev si sono attenuti alle valutazioni delle missioni elettorali confermando la legittimità del voto e appellandosi alle forze politiche perché “riconoscano i risultati elettorali e si astengano da qualsiasi retorica e azione divisive. Eventuali accuse di irregolarità non devono essere utilizzate per alimentare la tensione, ma devono essere trattate secondo le appropriate procedure di reclamo e ricorso”.

Con il passare delle ore sono arrivati numerosi messaggi di congratulazioni a Pashinyan per la vittoria elettorale: si va dalla vicina Georgia, al Consiglio dell’UE per finire con le congratulazioni fatte personalmente, dal ministro della Difesa russo Sergey Shoygu al ministro della Difesa uscente armeno Vagharshak Harutyunyan. Anche questa una legittimazione, ma molto personale e che fa supporre una prossima riconferma di Harutyunyan nel nuovo governo.

La squadra di governo dovrà concentrarsi su specifici ministeri per affrontare le difficili sfide future. Fra questi il ministero degli Esteri, andato letteralmente in frantumi con una catena di dimissioni nell’ultimo periodo della legislatura uscente.

Le sfide

Ci sono vari cocci da ricomporre oggi in Armenia: l’opposizione di Kocharyan che intende rivolgersi alla Corte Costituzionale per i presunti brogli, una campagna elettorale profondamente divisiva da lasciarsi alle spalle – come ha detto Pashinyan deporre l’ascia di guerra della retorica di odio reciproco di cui lui stesso riconosce di essersi reso colpevole -, e un paese indebolito da guerra, pandemia, fratture interne, isolamento regionale e dipendenza dall’alleato russo.

Spetterà alla nascente legislatura dimostrarsi all’altezza di ricomporre questi cocci, auspicabilmente con la partecipazione di tutte le forze elette e rappresentative delle varie anime del paese.

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ELEZIONI ARMENIA/ “Ecco perché il premier che ha perso una guerra ha vinto col 59%” (Ilsussidiario 23.06.21)

Alle elezioni legislative in Armenia ha vinto il partito di Pashinyan, il premier uscente. Nonostante la sconfitta nella guerra con l’Azerbaijan il popolo gli ha ridato fiducia

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Al centro, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan (LaPresse)

In Armenia, piccolo paese cristiano di tre milioni di abitanti stretto tra potenze islamiche come l’Azerbaijan (da cui è appena stato sconfitto dopo l’ennesima guerra) e la Turchia, le cose cambiano alla velocità della luce. A lungo contestato, addirittura con una invasione del Parlamento, per la sconfitta subita nella recente guerra con gli azeri, il premier Nikol Pashinyan ha stravinto le nuove elezioni politiche, anticipate proprio in seguito al caos suscitato dalla sconfitta.

Il suo maggior oppositore, l’ex presidente della Repubblica, Robert Kocharyan, ha ottenuto solo il 21% dei voti contro il suo 59,3%. “Va detto” ci ha spiegato Pietro Kuciukianconsole onorario della Repubblica di Armenia in Italia, “che l’opposizione intera ha raggiunto il 47% dei voti, purtroppo è tutta frazionata e l’unico partito che poteva concorrere sperando di vincere era quello di Kocharyan”.

Per Kuciukian la situazione si sta svolgendo in positivo, perché la maggior preoccupazione degli armeni è la sicurezza contro il potente nemico azero, appoggiato dalla Turchia, “che continuano a fare la voce grossa e a minacciare un nuovo genocidio. Fortunatamente sono già stati presi accordi con la Russia, che ha schierato truppe di interposizione al confine nord, quello più minacciato dagli azeri”.

Era prevista una vittoria di Pashinyan con così largo vantaggio?

Era una vittoria prevista ma non con questo ampio margine, ci si aspettava una competizione molto più serrata. Va precisato che ha vinto con il 59%, mentre tutte insieme le forze di opposizione raggiungono il 47%. C’era quindi una situazione di instabilità e una grande aspettativa, l’opposizione però è frazionata e l’unico partito che poteva competere era quello di Kocharyan, che ha raggiunto il 21%. Pashinyan potrà tranquillamente mettere in piedi un governo capace di portare avanti le ultime questioni importanti sulle quali già si è cominciato a lavorare.

Ad esempio?

Al confine nord dell’Armenia, che veniva continuamente attaccato dagli azeri, adesso è stata interposta l’armata russa: è un primo tassello positivo nel quadro della stabilizzazione dell’Armenia.

Pashinyan però, premier durante la guerra persa con l’Azerbaijan, era stato molto criticato. Come mai ha raccolto questo grande successo?

Certo, era il premier, ma la gente ha capito che era ancora l’unica soluzione. Gli armeni hanno compreso le ragioni profonde. Del resto, cosa può fare un popolo di 3 milioni di persone contro 90?

Ci sono state manifestazioni e scontri non da poco contro Pashinyan…

Quando si perde una guerra non è che tutto poi va avanti tranquillamente: con i parenti dei morti, i parenti dei prigionieri non rilasciati, quasi 50mila profughi arrivati dal Nagorno, è ovvio che arrivino caos e malumore.

Nella sua campagna elettorale Pashinyan ha agitato, come suo maggiore slogan, il rischio di una guerra civile. È il desiderio di stabilità che ha portato il popolo armeno a votarlo?

Durante questa campagna elettorale se ne sono dette di tutti i colori da una parte e dall’altra, come peraltro succede anche in Italia. Dipende da tanti fattori, nelle democrazie è normale esprimersi pubblicamente anche in termini poco pacifici.

Il tema a cui oggi si tiene di più è la sicurezza. Si temono altre tensioni con l’Azerbaijan?

Azerbaijan e Turchia continuano a fare propaganda in modo eccessivo e violento, cosa che spaventa gli armeni. Ogni giorno dicono di voler portare a termine il genocidio, di voler trasformare l’Azerbaijan nel centro operativo dei Lupi grigi (organizzazione semi-terroristica turca, ndr) e di voler trasferire in Azerbaijan un nucleo armato turco: però sono solo parole. Alla resa dei conti c’è di mezzo la Russia, che non permetterà che alzino la voce più di tanto.

Quindi lei è fiducioso che l’Armenia abbia imboccato una strada verso la stabilità?

Sì, sono fiducioso. In Armenia circola una barzelletta che dice: c’è una notizia cattiva e una buona. Quella cattiva è che ha vinto Pashinyan, quella buona è che ha perso Kocharyan.

Questo la dice lunga su una realtà divisiva?

Raccoglie l’umore della gente, il male minore. Gli armeni da 3mila anni sono abituati a vivere così, e non hanno mai fatto una guerra di conquista, hanno preso sempre grandi bastonate, ma si sono sempre ripresi con l’arte e la cultura, e adesso con la tecnologia. Poi c’è la diaspora che li aiuta e li sostiene moralmente, una cosa molto importante.

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