L’Unione europea al fianco dell’Armenia (Euronews 18.07.21)

Un messaggio potente per confermare il supporto dell’Unione europea all’Armenia. “Siamo al vostro fianco”. Lo ha detto il presidente del Consiglio europeo Charles Michel durante il suo incontro a Yerevan con il primo ministro armeno Nikol Pashinyan. “L’Unione europea vuole essere un partner leale e attivo per la stabilità e la sicurezza del Paese e conferma ancora una volta il pacchetto finanziario senza precedenti di 2,6 miliardi di euro”.


Aliyev incontra il presidente del Consiglio dell’Unione europea Charles Michel (TRT 19.07.21)


MICHEL “CONQUISTA” IL CAUCASO

Tre giorni nel Caucaso meridionale tra Armenia ed Azerbaigian sono trascorsi abbastanza serenamente per il presidente Charles Michel che proprio nei giorni scorsi ha incontrato i leader di cinque dei sei paesi del partenariato orientale.
Tra il 17 e il 19 luglio, il rappresentante Ue ha dibattuto e rafforzato le relazioni  con queste realtà, dopo il primo summit di dicembre scorso e ribadito “il sostegno dell’UE alla sicurezza, alla stabilità e alla prosperità della regione”, si legge in una nota diffusa da Bruxelles.
Inoltre, in Georgia, è intervenuto esortando “i partiti politici a impegnarsi per la piena attuazione dell’accordo del 19 aprile e ha sottolineato il ruolo centrale che i diritti e le libertà fondamentali svolgono nelle relazioni UE-Georgia”.
Il primo incontro, in Armenia, ha suscitato grande interesse.
Nel meeting con il Primo Ministro Nikol Pashinyan, Michel ha infatti confermato l’impegno preso dall’Ue e concretizzato in un sostegno finanziario dell’UE pari a 2,6 miliardi di euro per progetti riguardanti le infrastrutture, la digitalizzazione, l’azione per il clima, i trasporti nonché le riforme democratiche e la governance.

Carniarmonie, doppio appuntamento a Tolmezzo con la Fvg Orchestra diretta dal maestro armeno Sergey Smbatyan (Nordest24.it 17.07)

TOLMEZZO – Prosegue Carniarmonie, il festival musicale della montagna friulana promosso da Fondazione Bon e diretto da Claudio Mansutti.

Domenica 18 luglio dopo l’avvio di giornataad Ampezzo (Malga Pura, ore 11.00) con in concerto en plen air con di eccellenze friulane – il fisarmonicista Sebastiano Zorza e il sassofonista Alex Sebastianutto, atteso al Teatro Candoni di Tomezzo alle 20.30 un nuovo concerto della FVG Orchestra, diretta da Sergey Smbatyan, nell’ambito di “Accordi Musicali festival”con la star mondiale del violoncello, uno dei due soli violoncellisti viventi a essere presente nella Gramophone Hall of Fame: il britannico Steven Isserlis che si esibirà su grandi opere di Beethoven e di Shor.

Acclamato in tutto il mondo per la sua profonda musicalità e maestria tecnica, Isserlis gode di una carriera unica e variegata come musicista da camera, educatore, e autore di trasmissioni. Come solista di concerto, si esibisce con molte delle principali orchestre e dei direttori del mondo, tra cui la Filarmonica di Berlino, l’Orchestra Sinfonica Nazionale di Washington, la Filarmonica di Londra e le orchestre della Tonhalle di Zurigo. Cosa inusuale, dirige anche orchestre da camera dal violoncello.

Lunedì 19 luglio Carniarmonie prosegue a Preone (ore 20.30 Chiesa di San Giorgio Martire) con il concerto di due giovanissimi talenti, due musiciste che stanno ultimando gli studi accademici ma sono già in grado di affrontare eccellentemente il palcoscenico, Yuxuan Jin alviolino e Vera Cecino al pianoforte. Si torna, invece a Tolmezzo martedì 20 luglio, sempre al Candoni alle 20.30, ancora con la FVG Orchestra e il violoncellista, tedesco di nascita ma di origine Peruviana-Uruguaiana, Claudio Bohorquez uno dei musicisti più ricercati nel suo campo

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Laura racconta il nonno e il padre armeni (QUinewsvaldera.it 17.07.21)

Nel giardino del Sacro Cuore l’attrice-scrittrice-pittrice ha ‘incantato’ con i suoi fatti e avventure, anche al servizio di chi ha più bisogno

 

PONTEDERA — Il vicesindaco Alessando Puccinelli, la saggista e critica letteraria Mariana PraticiAlessandra Landi scrittrice e poetessa, Luigi Cioni e il giornalista Mario Mannucci hanno presenziato all’incontro con Laura Ephirikian, o Efrikian, che nel giardino della chiesa del Sacro Cuore dei Villaggi ha presentato il suo libro su “Una famiglia armena”.

Il padre, Angelo Ephrikian, di origine armena, fu violinista, direttore d’orchestra e compositore, un personaggio che Laura Ephirikian ha riscoperto in un libro che sta facendo il giro nell’Italia con contatti con le varie comunità armene. Comunità che il genocidio degli armeni falcidiati dai turchi ridusse a pochi sopravvissuti.

Nel ’66 Laura sposò Gianni Morandi con cui ebbe i figli Serena (prematura, vissuta 9 ore), Marianna e Marco (che l’hanno resa nonna di cinque nipoti, due di Marianna avuti con Biagio Antonacci e tre di Marco). Il matrimonio col contante durò soltanto fino al ’79.

A Pontedera Laura ha raccontato le sue storie familiari ma anche il suo forte impegno per i bambini africani, alcuni dei quali salvati da Laura. E l’uditorio ha ascoltato con grande tensione il suo dibattito con Alessandra Landi.

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Diana Markosian mette in scena la (sua) storia familiare dal punto di vista della madre ed è poesia (Elle 17.07.21)

L’influenza del piccolo schermo continua a cambiare la vita di generazioni, ma la trama del reale resta più avvincente dei programmi popolari che l’hanno segnata, ispirata e influenzata. Santa Barbara di Diana Markosian nasce così, insieme a nuove prospettive di viaggio e documentario, condensate nelle pagine della monografia di debutto edita da Aperture, un cortometraggio e una mostra omonima esposta al terzo piano del San Francisco Museum of Modern Art (SFMOMA).

Nasce rievocando la storia della sua famiglia, arrivata nella Santa Barbara Californiana, lasciando l’Armenia e le ceneri dell’Unione Sovietica, per inseguire il sogno americano, esportato nelle tv di tutto il mondo dalla celebre Soap Opera statunitense che ne ha ispirato bel più del nome. Usando la finzione per mettere in scena la realtà, scovata in vecchie foto e la parte più profonda di se, Diana Markosian mette in scena la storia familiare dal punto di vista della madre. Guardando per la prima volta Svetlana, non solo come figlia, ma come donna, fotografa, regista e artista, in grado di valutarne da nuove prospettive i sacrifici e dolorose scoperte, Markosian riscrive la trama del viaggio che ha portato sua madre e tutta la sua famiglia a Santa Barbara.

Insieme alla scrittrice della soap Lynda Myles, la fotografa sensibile al cambiamento, documentato per testate come The New YorkerThe New York Times e National Geographic Magazine, riscrive la sceneggiatura della memoria di famiglia e ne dirige il cortometraggio, ripartendo dalle case della sua infanzia con l’accurata ricostruzione scenografica di Freyja Bardell, il guardaroba della costumista Callan Stokes e un selezionato cast di attori. L’attrice Ana Imnadze, con background, spirito e natali perfetti per interpretare al meglio Svetlana, come neanche la fotografa da sola sarebbe riuscita a fare, insieme a sua figlia (Maro Imnadze) scelta per interpretare Diana, aiutano Diana Markosian a colmare le lacune del suo passato e capire le scelte che lo hanno determinato. Tornano nell’Armenia e le sue file per il pane, lasciate per studiare e lavorare a Mosca. La capitale russa dove l’economista con un dottorato di ricerca e due figli, sopravvive al collasso economico e sociale della dissoluzione dell’Unione Sovietica, vendendo al mercato nero vestiti fatti in casa per le bambole Barbie, insieme a quelle matrioska nella Piazza Rossa

La sceneggiatura del cortometraggio che intreccia fotogrammi del serial televisivo a nuovo girato, come le vecchie foto di famiglia e quelle nuove, scattate con una Polaroid degli Anni 80, una Olympus del 1996 e i meccanismi sfuggenti della memoria, amplificati nelle pagine del progetto editoriale che ne moltiplica letture e prospettive, ritornano indietro nel tempo con Svetlana. Rivivono i giorni in cui la prima soap opera americana trasmessa nella tv russa, con la sua saga d’intrighi e amori (interrazziali) tra due potenti famiglie rivali, è tra i pochi confronti della madre di due figli piccoli, mentre il marito Arsen, ingegnere con un dottorato di ricerca, lascia tutti per un’altra donna. Sono i bagliori della tv a rischiarare l’oscurità che ingoia gli attori che interpretano i piccoli Diana e suo fratello David, nel loro minuscolo appartamento a Mosca. Tradita dall’uomo con cui ha sognato un futuro, dal miraggio della Russia post-sovietica e dal destino che continua a perseguitare il popolo Armeno, con i figli a dargli forza e la soap a suggerire barlumi di speranza, Svetlana insegue il suo sogno americano.

Sono una giovane donna di Mosca e vorrei incontrare un uomo gentile che possa mostrarmi l’America“. A rispondere all’annuncio di questa ‘sposa per corrispondenza’ che un’agenzia locale ha tradotto per i giornali americani, tra tanti uomini anche il destino che ha sognato, o meglio l’uomo che vive a Santa Barbara e la invita a raggiungerlo. Nell’ottobre del 1996, Svetlana sveglia i suoi figli nel cuore della notte e si imbarcano in un volo per l’America. Il pensionato in giacca a vento, jeans e New Balance che li accoglie all’aeroporto di Los Angeles, non somiglia al bel cinquantenne della foto che ha spedito a Svetlana. In compenso offre alla donna trentacinquenne e i suoi figli, una casa spaziosa a Santa Barbara, insieme all’orizzonte dorato della California e del sogno americano.

Scatti e fotogrammi di ieri e di oggi, immaginano il risveglio di Svetlana nella sua nuova vita, il suo primo giorno di lavoro e quello successivo al ritorno a scuola dei figli, il velo che svolazza sul nuovo matrimonio e quello che scende su altre solitudini, insieme agli immancabili segreti e incomprensioni. Il valore aggiunto del progetto, Diana Markosian lo raggiunge però lavorando a stretto contatto con sua madre, fino a comprenderne meglio le scelte difficili che sono costrette a fare molte donne, insieme alla storia di migrazione che condividono con moltissime altre famiglie. Santa Barbara affronta le scoperte dolorose di una figlia, nata a Mosca mentre crollava il muro di Berlino, da genitori che avevano già lasciato i natali Armeni e la sua storia negata. Arrivata in California con la madre che, inseguendo il sogno americano di una soap opera, lo ha raggiunto e superato, come fa spesso la realtà. Offrendo a tutti l’occasione di scegliere una vita diversa da quella a cui sembravano destinati e forse a Diana Markosian gli strumenti giusti per coltivare il suo grande talento.

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Reportage da Şuşa, in Azerbaigian (Euronews 17.07.21)

Şuşa, piccola città di soli cinque chilometri quadrati, si trova a un’altitudine di 1600 metri ed è spesso definita un “gioiello della corona del Karabakh”. Euronews è la prima televisione occidentale ad avere accesso senza restrizioni a questa città strategica.

La città è stata campo di battaglia chiave nel lungo conflitto del Nagorno-Karabakh. Ora appartenente all’Azerbaigian, fino alla breve e sanguinosa guerra dello scorso anno era sotto controllo armeno. Nel cuore dela citta sorge un’antica cattedrale, danneggiata durante il conflitto in quello che per gli armeni è stato un “attacco deliberato” mentre per gli azeri un “errore”.

“Questa chiesa, Kazanchi, è stata costruita alla fine del XIX secolo. Negli ultimi cento e più anni è stata ricostruita più volte. Ha subito alcuni danni durante i recenti combattimenti”, afferma l’esperto Unesco Rizvan Huseynov.

Lo scenario è simile anche nel resto della città, con ovunque cantieri di ricostruzione post bellica. “I lavori sono in corso qui al Karabach Hotel, uno dei numerosi siti in fase di ricostruzione. Molti altri aspettano il turno”, spiega il corrispondente di Euronews, Emin Ibrahimov.

“Abbiamo iniziato a lavorare a questo sito a maggio – dichiara Elchin Bashirli, responsabile di progetto – e contiamo di terminare entro settembre. Al nostro arrivo ci si sono presentate numerose difficoltà, mancavano le infrastrutture, l’acqua e l’elettricità. Ora i problemi sono risolti e le infrastrutture sono migliorate”.

“La città porta ancora le cicatrici della recente guerra – conclude Ibrahimov -. Speriamo che azeri e armeni imparino a coesistere pacificamente in questa meravigliosa regione”.

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Inuit e armeni. Quelle fosse comuni di bimbi di cui quasi nessuno sa (Avvenire 16.07.21)

Caro direttore,
recentemente, come puntualmente riportato da ‘Avvenire’, una sconcertate e tragica scoperta è stata fatta in una scuola canadese, la Kamloops Indian Residential School nella British Columbia (aperta nel 1890 e rimasta attiva fino al 1978) e gestita da religiosi cattolici. All’interno di un grande piano di omologazione del governo del Canada i bambini indigeni, inuit e di altre etnie, strappati dalle loro case, venivano portati con la forza in questo e in altri istituti analoghi di diverse confessioni, dove venivano convertiti, dove era vietato parlare la loro lingua, costretti ai lavori forzati, soggetti persino ad abusi fisici e sessuali.

Regnavano malnutrizione ed epidemie. Nel giardino della scuola è stata scoperta una fossa comune con i resti di 215 bambini indigeni. Ma si stima che questa cultura e questo agire genocidario abbiano provocato la morte di almeno 3mila bambini indigeni. Papa Francesco ha denunciato il crimine e ha parlato di «colonizzazione ideologica». In un mio recente viaggio in Libano, per l’inaugurazione del Giardino dei giusti di Kfaranabrakh, iniziativa di Gariwo, la foresta dei Giusti, promossa con il padre greco-melchita Abdo Raad, ho attraversato passi, colline e villaggi, per lo più abitati da maroniti, i cui militi sembravano presidiare la zona e ho raggiunto il villaggio di Antoura. Attraversato l’abitato, mi sono trovato di fronte a tre grandi caseggiati moderni e a un antico edificio perfettamente restaurato: l’imponente Istituto Lazarista, tuttora funzionante.

Ad Antoura nel 1915 era stato messo in opera un piano di turchizzazione forzata degli orfani armeni sopravvissuti. L’istituto dal 1657 era un collegio francese dei Gesuiti, poi passato ai Lazaristi, ma nel 1915, allo scoppio della prima guerra mondiale, i religiosi furono scacciati e il collegio requisito dal governo ottomano dei Giovani Turchi. Gemal Pascià, uno dei triumviri del governo che ha attuato il genocidio degli armeni, requisì l’istituto trasformandolo in un orfanotrofio per i bambini armeni e nominando direttrice Halide Edib Adivar, una nazionalista turca, nota per i suoi atteggiamenti sadici, incaricata di turchizzare e costringere alla religione islamica gli orfani armeni. Nel 1915 la scuola ospitava 800 orfani e 30 soldati di guardia. I maschi furono circoncisi e furono imposti loro nomi turchi, conservando solo le iniziali armene: ad esempio, il nome Haroutiun Najarian, divenne Hamid Nazim, Boghos Merdanian divenne Bekim Mohammed, e Sarkis Sarafian Safwad Suleyman. Lavoro forzato, condizioni sanitarie pessime, tifo e malattie, scarsità di cibo fecero molte vittime.

Quattrocento nuovi orfani dai 3 ai 15anni vennero portati dallo stesso Gemal Pascià nel 1916, deportati dall’orfanotrofio armeno di Aleppo diretto dalla missionaria svizzera Beatrice Rohner, una ‘Giusta per gli armeni’, onorata al Giardino di Monte Stella a Milano nel 2014, che li aveva salvati dalla morte strappandoli dalle carovane nel deserto di Deir es Zor. Assieme a Gemal Pascià arrivarono 15 giovani donne turche nazionaliste, esponenti di famiglie elitarie di Costantinopoli che dovevano aiutare Halide nel sovvertimento culturale degli orfani cristiani. Nell’orfanotrofio si doveva parlare solo turco, il mullah chiamava alla preghiera 5 volte al giorno, le punizioni erano severissime, si arrivava fino alla ‘bastonade’, sferzate sulle piante dei piedi. Ogni sera la banda suonava un inno: ‘Lunga vita a Gemal Pascià’. Nell’estate del 1918 Halide Hanum e il suo staff abbandonarono la scuola a causa della ritirata dell’esercito turco e i ragazzi armeni turchizzati iniziarono a combattersi fra loro; una ribellione sedata dai soldati turchi ancora presenti. C’erano ancora 1.200 orfani armeni quando gli ottomani nel 1918 sono stati sconfitti e i francesi e gli inglesi hanno invaso la regione e hanno trovato la scuola in una condizione caotica.

Quando il padre lazarista Sarlout ritornò ad Antoura si rese conto che la situazione era ingovernabile. Vi erano ancora 670 bambini armeni. Furono radunati e per prima cosa furono restituiti loro, a fatica, i nomi armeni. Furono chiamati insegnanti armeni e lentamente i bambini si riappropriarono della cultura armena e della religione cristiana. Più tardi fu la Near East Relief Society americana dell’ambasciatore Henry Morgenthau che assunse la direzione della scuola fino al 1919, quando i maschi superstiti furono inviati ad Aleppo e le femmine all’orfanotrofio femminile di Ghazir diretto dai coniugi Kunzler, altri missionari ‘giusti’ per gli armeni. Nel periodo della turchizzazione erano morti migliaia di orfani per maltrattamenti, malattie e uccisioni. Poco tempo fa furono accidentalmente scoperti nel giardino annesso alla scuola 300 cadaveri in una fossa comune. Oggi sul luogo del ritrovamento vi è un monumento a ricordo dei bambini morti a causa del ‘genocidio’, un crimine contro l’umanità, un genocidio culturale, ideologico e materiale subito dagli armeni, nel primo Novecento.

La turchizzazione forzata di migliaia di bambini e di donne non fu altro che un capitolo del piano generale di annichilimento della nazione armena. Ho deposto un fiore ai piedi del monumento eretto a ricordo dei 300 bambini e ho continuato il mio viaggio sulle strade del Libano alla ricerca di giusti per gli armeni, ma insieme pensando all’importanza del lavoro di Gariwo che onora i giusti e cerca di formare le nuove generazioni a cogliere, oggi, i segni del male al loro sorgere per prevenire altri crimini contro l’umanità e altre cancellazioni di gruppi umani e della loro cultura, che costituiscono una perdita per tutta l’umanità.

Cofondatore di Gariwo La Foresta dei Giusti

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“Fare affari non vuol dire svendere i nostri princìpi democratici” Appello alle imprese italiane (Politicamentecorretto 16.07.21)

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” ha inviato ad alcune importanti aziende italiane, che sono coinvolte in progetti industriali in Azerbaigian o potrebbero esserlo a breve, una nota con la quale rimarca la necessità di separare gli aspetti economici da quelli politici.

Come cittadini italiani di origine armena, siamo contenti che le imprese italiane facciano affari in giro per il mondo e aumentino il PIL del nostro Paese.

Sappiamo che l’interesse economico prevale spesso su questioni di principio e infatti scambi commerciali avvengono con molti Paesi anche a basso profilo democratico” si legge nella missiva.

La nota invita tuttavia le imprese italiane a lasciare distinti affari e politica evitando così di fare da cassa di risonanza alla propaganda del regime azero che spesso utilizza le partnership commerciali per presentarsi agli occhi dell’opinione pubblica internazionale come soggetto “affidabile”.

Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” sottolinea come il livello di democrazia in Italia sia tra i più alti al mondo e sia quindi necessario che determinati princìpi e valori non vengano svenduti in cambio di qualche commessa avendo cura le imprese italiane di mantenere sempre un profilo superiore rispetto al regime di Aliyev.

Alla nota è allegato un breve documento (vedi allegato) che sintetizza l’attuale situazione nel Caucaso meridionale.

CONSIGLIO PER LA COMUNITA’ ARMENA DI ROMA

               www.comunitaarmena.it

NOTA sintetica sull’attuale situazione nel Caucaso meridionale

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Il 27 settembre 2020 l’Azerbaigian, con l’aperto sostegno politico e militare della Turchia e con l’ausilio di terroristi jihadisti provenienti dal Medio Oriente, ha scatenato una guerra su larga scala contro la pacifica popolazione del Nagorno Karabakh (Artsakh), che è costata 5.000 vittime da parte armena, sia civili sia militari, migliaia di invalidi permanenti e 50.000 sfollati le cui case sono ora sotto il controllo dell’Azerbaigian. In seguito alla guerra, anche i territori intorno al Nagorno Karabakh, che servivano come cuscinetto di sicurezza, sono passati sotto il controllo dell’Azerbaigian.

Si parla dei territori, che:

  • sono stati presi dagli azeri con l’aiuto di migliaia di terroristi, che bruciavano le foreste con fosforo bianco, mutilavano, tagliavano le teste, giravano i video e li mostravano sulla rete;
  • sono oggetto di attività di distruzione e dissacrazione dell’eredità culturale e religiosa cristiana armena col fine di eliminare ogni traccia della prima nazione cristiana da quelle terre[i];
  • sono stati oggetto di intense attività di minamento da entrambi le parte. Per oltre trenta anni, il rifiuto dell’Azerbaigian di cooperare nello sminamento si è tradotto in 747 incidenti derivanti dall’esplosione di mine in quei territori durante questi anni;
  • da cui militari e civili armeni sono stati presi in ostaggio, sono ancora trattenuti e torturati nelle prigioni dell’Azerbaijan le cui autorità hanno messo in piedi procedimenti penali fasulli contro di loro, usandoli come merce di scambio[ii].

Terminata la guerra, purtroppo la situazione non è migliorata.

Il 16 giugno, è divenuto virale sui social media un video che riprendeva una discussione tra il presidente turco e quello azero. I sottotitoli tradotti riportano il presidente dell’Azerbaigian Aliyev che conferma di trattenere ancora prigionieri armeni, mentre la moglie di Erdogan gli consiglia di non rilasciarli e di riconsegnarli solo in cambio delle mappe dei campi minati.[iii]

L’Azerbaigian e la Turchia agiscono di mutuo accordo, come “due stati, ma una nazione” (come dichiarano sempre). La loro unione finora ha avuto solo scopi deplorevoli e ha prodotto “progetti” disumani.

A tutto ciò si aggiungano le dichiarazioni di Aliyev sulla possibilità di fare ricorso nuovamente all’uso della forza nel caso le sue richieste non dovessero essere soddisfatte. Ogni ulteriore passo fatto dall’Azerbaijan getta solo altra benzina sul  fuoco in una situazione già esplosiva, tenendo in considerazione il fatto che unità militari dell’Azerbaigian si sono infiltarte nel territorio sovrano dell’Armenia dal 12 maggio u.s., continuando le loro azioni provocatorie su più fronti.

Aldilà di questo, grazie al regno indiscusso della famiglia Aliyev che continua dagli anni ’60, l’Azerbaigian oggi si attesta nelle posizioni finali dei ranking internazionali per i livelli di tutela delle libertà fondamentali e di democrazia, essendo solo poco sopra la Corea del Nord. Non dimentichiamo che per anni l’Azerbaigian ha speso miliardi di dollari non solo per armarsi, ma anche per “comprare” una buona reputazione nel mondo occidentale.

Basterebbe menzionare il danno alla reputazione del parlamentare italiano Luca Volonté[iv], dei suoi colleghi tedeschi Karin Strenz, Eduard Lintner, Danske Bank e di altri coinvolti nelle investigazioni e nel riciclaggio azero.

Più recentemente, la reputazione di due aziende italiane è stata posta in gioco dopo che l’Azerbaigian ha annunciato che queste erano coinvolte nel vergognoso “parco dei trofei” a Baku, che è altro non è che un’aberrazione di stampo fascista. Il coinvolgimento delle aziende italiane si è scoperto essere in realtà nient’altro che un altro bluff e una manipolazione azera[v].

Sarebbe stato davvero imbarazzante se, come riportato dall’agenzia azera “Trend”, due aziende italiane, la G Group e la 120lab avessero partecipato alla progettazione e/o alla realizzazione del parco dell’orrore, voluto dal dittatore Aliyev per celebrare la vittoria nella guerra contro l’Artsakh. E le risposte di queste due aziende alle nostre domande hanno in effetti negato ufficialmente in maniera decisa qualsiasi loro coinvolgimento sia nell’ideazione, sia nella realizzazione di questo vergognoso progetto.  Come sempre, una manipolazione degli azeri, che però ha intaccato la reputazione delle aziende.

Se gli interessi economici dell’Italia sono compresi e rispettati, alla luce delle realtà sopra rappresentate, l’eccitamento delle aziende italiane rispetto alla prospettiva di fare business con l’Azerbaigian viene percepito come un riconoscimento del regime criminale di Aliyev.

Che userà la cooperazione con esse per ripulire la sua reputazione alle spese della vostra.

L’altro lato della medaglia del profitto.

 

[i] https://www.youtube.com/watch?v=MJc8LFxVtUE

[ii] https://www.amnesty.org/en/latest/news/2020/12/armenia-azerbaijan-decapitation-and-war-crimes-in-gruesome-videos-must-be-urgently-investigated/

[iii]  https://www.facebook.com/Armenianombudsman/videos/140398018071794

[iv] – https://www.ilmessaggero.it/italia/luca_volonte_corruzione_condannato_azerbaijan-5699280.html

https://www.transparency.org/en/press/transparency-germany-welcomes-investigation-into-karin-strenz-and-eduard-li

https://www.vice.com/en/article/m7ejgq/azerbaijan-affair-germany-bundestag-interns?utm_source=VICEWorldNews_twitter&utm_medium=social&fbclid=IwAR0FmGrTLYenvVrHKaHIyiv0I56wrCHn9vfrtoyvSveQcl6w51Ppd32Fc8c

[v] https://jam-news.net/war-trophies-park-in-baku-sparks-controversy-domestically-and-abroad/

 

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In Armenia, con i volontari di Solid Onlus al fronte – Reportage (Il primato nazionale 15.07.21)

In Armenia, al confine con l’Azerbaigian. Prima parte del nostro reportage

Erevan, 15 luglio – Nonostante l’interesse dei media internazionali sulla questione armena sembra si sia dissolto con la tregua di novembre, dopo 40 giorni di conflitto tra Armenia e Azerbaigian per l’eterna contesa del Nagorno Karabakh, in questi ultimi giorni è tornata la tensione lungo il confine dei due stati. Arrivando alcuni giorni fa nella capitale Erevan con i volontari della missione umanitaria franco-italiana guidata da Solid Onlus e Solidarité Arménie, parlando con la gente e seguendo i media locali, abbiamo potuto apprendere fin da subito che la situazione tra Armenia e Azerbaijan è tutt’altro che tranquilla. Mentre il Nagorno Karabakh è ormai una sempre più ridotta e isolata enclave armena, completamente circondata dalle milizie azere che ne stanno devastando siti sacri e archeologici e con i soldati russi a tutelare uno stretto corridoio umanitario per gli armeni, salendo il confine verso nord, il conflitto non sembra terminare.

In Armenia, nella regione del Tavush

Nella regione del Tavush, confinante a nord con la Georgia e a est con l’Azerbaijan, ospitati nella caserma dell’esercito armeno a Ijevan, i vertici militari ci hanno spiegato i continui torti subiti in questa guerra mai spenta e le grandi difficoltà nel difendere un confine sempre più debole. Come a ovest il leggendario monte Ararat divide Armenia e Turchia, con quest’ultima che lo ha occupato militarmente ormai per intero, tutto il confine ad est, verso nord, è una lunga muraglia naturale di monti che si stagliano imponenti a separare le due diverse culture caucasiche di armeni e azeri.

Qua e là sono ben visibili ovunque le rovine moderne dell’Unione Sovietica e le tracce di povertà di una zona altamente depressa che accusa una grande crisi economica e lavorativa. In questo scenario di fabbriche dismesse e ruggine, i volontari della missione internazionale di solidarietà al popolo armeno hanno consegnato diversi quintali di aiuti alla caserma di Ijevan tra la curiosità e i ringraziamenti dei soldati.

Incontrando il comandante e il vicecomandante del Battaglione Ijevan nel corso di un accogliente colloquio riservatoci dai militari, sono emerse le più gravi problematiche legate a questo conflitto mai del tutto cessato. Tra le domande che abbiamo posto agli ufficiali, due in particolare hanno scosso l’animo degli armeni. La prima riguarda l’impiego di droni israeliani da parte del fronte azero, in grado di infliggere migliaia di perdite umane tra le trincee cristiane. La seconda, invece, dipinge sui volti dei combattenti un velo di rabbia mista a rassegnazione… Dalle parole dei soldati percepiamo infatti la momentanea sconfitta armena nella contesa del Nagorno Karabakh. Per la regione armena dell’Artsakh, da anni intrappolata all’interno dei confini azeri, le speranze di riconquistare l’indipendenza politica e ricongiungersi alla propria patria perduta, sono ormai nelle mani delle grandi potenze politiche militari.

Quel tremendo senso di impotenza

Mentre Turchia e Israele sostengono militarmente l’Azerbaigianla Russia difende l’Armenia, ex colonia Urss. All’esercito di Putin si deve oggi, infatti, una tregua nella zona che, seppur operando di prepotenza con entrambi i fronti, tutela la popolazione armena consentendo il passaggio di viveri e rifugiati rimasti privi delle proprie case, confiscate e bombardate dall’esercito dell’Azerbaigian. I militari ci spiegano che per quanto ringrazino l’operato dei soldati di Mosca, riconoscendo loro l’importante ruolo di mediatori in questo continuo “gioco di forza” orientale, rimane però all’Armenia un tremendo senso di impotenza per essere stata mutilata del proprio territorio dell’Artsakh. 

Consegnando farmaci e diverso materiale utile alle zone del Tavush,  confinanti a nord con la Georgia e ad est con il pericoloso Azerbaijan, i volontari di Sol.Id hanno raccolto il ringraziamento dei soldati. “Per quanto i governi europei siano politicamente lontani dal sentimento nazionale armeno, predicando pace e umanità ma facendo morire migliaia di armeni nel più completo disinteresse – ci dice il comandante di Battaglione – riconosciamo la millenaria fratellanza che lega la nostra cultura al popolo francese e italiano. E voi, qui, oggi, ne siete la prova più incoraggiante”.

Un popolo in guerra

Arrivati al grande lago Sevan, nella regione orientale del Gegharkunik, costeggiandone le rive per oltre un’ora tra antichi monasteri e paesini rurali, saliamo notevolmente di altitudine raggiungendo i duemila metri della città di Vardenis. Qui, in periferia, incontriamo la famiglia di Vadim (nome di fantasia), il giovane soldato armeno che ci accompagna dall’inizio del nostro viaggio. Il padre e molti suoi amici fanno parte delle milizie volontarie armene. Cittadini, alcuni dei quali riservisti dell’esercito o militanti dei movimenti nazionalisti armeni, perennemente impegnati nella difesa del confine. Nonostante la località di frontiera disti solo pochi chilometri dal ricco e turistico lago Sevan, qui la vita scorre molto più lenta tra il lavoro nei campi e la pastorizia di mucche, capre e montoni che invadono le strade dissestate.

Una madre patria ferita 

Nella periferia di Vardenis incontriamo famiglie di rifugiati alle quali il governo armeno ha concesso una casa in seguito alla fuga dai territori dell’Artsakh occupati dagli azeri. Piccoli profughi che giocano spensierati lungo la strada insieme ai bambini locali, figli di una madre patria comune ferita da innumerevoli battaglie e genocidi. C’è chi indossa la maglietta da calcio della Roma, con il numero del giocatore armeno Mkhitaryan, e palleggia con un pallone insieme a un coetaneo che indossa i colori del Paris St. Germain. Tra la comitiva dei volontari italo-francesi si azzardano inevitabilmente pronostici e toto-scommesse sulla competizione degli ignari giovanissimi calciatori. Anche a Vardenis riscontriamo problematiche legate a una situazione di povertà lavorativa in cui vige l’antica arte dell’arrangiarsi con ciò che il territorio offre a questa altitudine. Se il riscaldamento qui è un bene non da poco, lo è ancora di più l’energia elettrica che, dalle case alle piazze, genera lunghi blackout durante i quali gli abitanti si arrangiano con generatori di corrente a gasolio.

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In Armenia, al confine con l’Azerbaigian. Seconda parte del nostro reportage

Leggi anche: In Armenia, con i volontari di Solid Onlus al fronte – Reportage/1

Erevan, 16 lug – Salendo ancora sui monti dell’altipiano carsico, zigzagando lungo le strade serrate che si diramano tra i ruderi delle guerre degli anni Novanta, giungiamo in uno sperduto villaggio del comune di Ayrk. Distante solo una manciata di chilometri dal confine, anche questo villaggio, continuamente minacciato dall’invasione azera, vive unicamente di coltivazione ad alta quota e allevamenti di bestiame. Ad Ayrk oggi abitano sessanta famiglie in umilissime case e baracche improvvisate, sorte tra le rovine del vecchio abitato distrutto dalla guerra del 1990/1992. In passato il comune contava oltre 400 abitanti, ridotti oggi a meno della metà.

Armenia, studenti e soldati tra le rovine

Facciamo subito visita a un edificio scolastico diroccato e veniamo ospitati da un piccolo contingente di militari in riserva per il fronte. Ad accoglierci è Tharek (nome di fantasia), un giovane ufficiale che parla perfettamente l’inglese e che, con mia grande sorpresa, conosce la città di Bolzano in quanto alcuni suoi amici studiano nell’università internazionale altoatesina. Il militare ci spiega che in questa scuola elementare, attualmente chiusa per le festività estive, studiano 40 studenti con mezzi poverissimi. Oltre alle lavagne e ai banchi semi-nuovi, infatti, l’intero edificio versa in condizioni degradate con bagni e pavimentazione completamente da ristrutturare, e le vetrate e gli infissi da sostituire con nuove finestre. I volontari di Sol.Id Onlus e Solidarité Arménie si appuntano quindi parte dell’occorrente per portare, nelle future missioni, il proprio contributo al rifacimento di questa unica e importantissima scuola di confine.

A pochi metri dalla scuola veniamo accolti nella fattoria di Vasilii (nome di fantasia), un contadino delle milizie popolari. Con estrema tranquillità l’uomo ci spiega che, su queste montagne, gli scontri a fuoco con gli azeri sono abbastanza frequenti e ci fa vedere alcune foto di cadaveri in uniforme, sia azeri che armeni, orribilmente gonfiati dalla morte e in cui può capitare di imbattersi tra le rocce di questo altipiano controllato dai cecchini dei due fronti. Oltre alle insidie belliche, Vasilii ci spiega le difficoltà tecniche con le quali i rurali del luogo si scontrano quotidianamente.

Guardandoci intorno e seguendo i discorsi del contadino tradotti in francese, comprendiamo immediatamente l’urgenza di implementare il numero di animali per il fabbisogno alimentare. Quassù, infatti, le temperature rigide dell’inverno caucasico impediscono la cova delle uova di galline, oche, tacchini e faraone. Seppur in forma minore, lo stesso vale anche per l’allevamento di bovini e ovini essenziali per la vita a queste quote. Anche in questo caso i volontari italiani e francesi programmano, direttamente sul campo, il sostegno che verrà portato nei prossimi giorni a questo villaggio.

Le anime degli antenati

Dopo averci offerto un ricco pranzo a base di formaggi e verdure, di produzione orgogliosamente propria, e aver brindato diverse volte alle rispettive nazioni, Vasilii ci invita a seguirlo alla scoperta delle due antichissime chiesette che da secoli proteggono questo alpeggio. Con fierezza devota il contadino ci racconta come la gente del posto ha risistemato questi piccoli edifici al termine di ogni guerra. Fin da tempi immemori in cui l’iconoclastia profanava nel nome di Dio. Circondate dai meravigliosi khachkar, le pietre tombali finemente incise con croci e intrecci in stile celtico di cui l’intera Armenia è disseminata, queste chiesette hanno ancora oggi il pregio di raccogliere le preghiere dei fedeli e mantenere un forte contatto spirituale con i propri antenati. Sono proprio i khachkar infatti, a rievocare le anime degli antenati di questo popolo eternamente in lotta. Qui, dall’alba dei tempi in cui la tradizione narra che l’arca di Noè si incagliò sul Monte Ararat dando origine a una nuova civiltà. Qui, dove gli spiriti dei padri rimangono a guardia perpetua del confine patrio.

“Combattiamo per la patria, da soli”

Accompagnati al fronte dal nostro nuovo amico di Ayrk, incontriamo i soldati qui accampati che ci squadrano con aria incuriosita. Giovanissime reclute e graduati veterani ci ospitano in un presidio militare della seconda linea, offrendoci caffè e cognac quasi increduli che, dalla lontana e ricca Europa, ci sia qualcuno venuto qui a interessarsi di loro. I volontari di Sol.Id spiegano ai presenti la nostra vicinanza culturale e ideale in questo conflitto come anche nelle origini indoeuropee dei nostri popoli. I due ufficiali al comando, un colonnello e un maggiore, confermano sottolineando però, giustamente, il vergognoso disinteresse dei governi europei per le sorti dell’Armenia. “Tutti tacciono sui crimini turchi o azeri. Tutti temono la prepotente Turchia… Noi invece la combattiamo da soli. Come da soli combattiamo gli azeri e ogni nemico della patria. I vostri governi sono purtroppo schiavi dei grandi potenti della terra. Siamo felici di vedere italiani e francesi venuti a sostenere la causa armena. Per noi è un onore avere oggi qui la parte sana dell’Europa“. Parole indubbiamente forti. Parole che gratificano e lasciano il segno, rafforzando lo spirito dei volontari in questa missione.

Al fronte, tra cecchini azeri e droni israeliani

I soldati ci fanno vedere le postazioni azere distanti pochi chilometri e, sparsi qua e là tra le rocce e la steppa che arrampica sulle montagne, i cecchini azeri sono sempre pronti a mietere vittime, laddove fino a pochi mesi fa era ancora territorio armeno. Negli ultimi mesi le milizie azere sono avanzate infatti di 4/5 chilometri conquistando terreno nel silenzio internazionale e, lo stesso, si è verificato anche in altri settori di confine tra i due stati. Muovendoci con cautela tra le barricate, ci spiegano che qui, tra i cecchini azeri e i droni di Israele, il pericolo è sempre in agguato e il livello di sicurezza muta ogni giorno assieme alla situazione bellica.

Se gli azeri oggi hanno a disposizione droni israeliani, armi automatiche moderne e visori notturni, le milizie armene impugnano ancora i vecchi Kalashnikov e altre armi di fabbricazione sovietica, chiarissimo segno del poco sostegno internazionale di cui questi cristiani di oriente godono. In questa zona agli estremi margini della società armena, a oltre 2.000 m.s.l.m., una delle maggiori difficoltà è sicuramente quella legata alle risorse energetiche. Destinati alla prima e alla seconda linea del fronte, i volontari di Sol.Id Onlus e Solidarité Arménie scaricano cinque generatori di corrente, acquistati a Erevan con i soldi raccolti nelle campagne solidali effettuate in Italia e in Francia, in modo che i soldati riescano a ricaricare apparecchiature militari e smartphone personali per rimanere in contatto con le proprie famiglie.

Il giubilo dei soldati per l’importante donazione effettuata dai volontari delle associazioni umanitarie, viene però interrotto dall’ennesima triste notizia ricevuta via radio. Un soldato armeno è rimasto ucciso in uno scontro a fuoco con i cecchini azeri nel Nakhchivan, al confine meridionale del paese. Con l’ultimo brindisi in onore ai caduti, stretti in un caloroso abbraccio di reciproco ringraziamento, salutiamo i patrioti armeni augurandogli, ancora una volta, di vedere presto la vittoria per la libertà di questa antica terra forgiata nel sangue dei suoi martiri.

Andrea Bonazza 

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Laura Ephrikian a Comano presenta “Una famiglia armena” (Cittadellaspezia 15.07.21)

Lunigiana – Dopo la seguita ospitata della sua autrice sugli schermi di RaiUno, sabato 17 luglio farà tappa a Comano il tour di presentazione del nuovo libro di Laura Ephrikian, intitolato “Una famiglia armena”, che si avvale della prefazione di Walter Veltroni. Un grande evento patrocinato dal Comune lunigianese di Comano, che avrà come primo ospite Laura Ephrikian in occasione dell’inaugurazione dell’anfiteatro naturale in piazza G. Marconi. Infatti, la presentazione del libro sarà preceduta, alle ore 19, dall’inaugurazione di questo nuovo spazio, con il taglio del nastro e i saluti delle autorità: il sindaco di Comano, Antonio Maffei; il parroco della valle del Taverone, don Tommaso Forni; il presidente della polisportiva San Giorgio Comano, Federico Bestazzoni; il presidente della Croce Azzurra Comano, Mario Strano; il presidente della Pro Loco Castello di Comano, Andrea Toracca.

Un’idea, quella dell’anfiteatro naturale a Comano, che nasce nei primi mesi del 2015 proprio grazie alla conformità naturale del luogo e con l’ambizione di poter ospitare ed organizzare eventi culturali di un certo rilievo. Dopo anni di lavori, finalmente il battesimo ufficiale sabato 17 luglio con Laura Ephrikian, che illustrerà la sua nuova fatica letteraria subito dopo l’inaugurazione. Ad introdurre la presentazione sarà il vice sindaco di Comano, Francesco Fedele, mentre a
conversare con l’autrice sarà il critico letterario e presidente del Cenacolo internazionale Le nove muse, Marina Pratici, e a moderare l’evento la presidente dell’associazione Culturalmente Toscana e dintorni, Gaia Greco; il tutto con le suggestioni musicali di Monica Granai. “Una famiglia armena” racconta, con passione e amore, delle origini armene di Laura Ephrikian. Nel libro troviamo, infatti, la storia della sua famiglia dalle origini: la travagliata e meravigliosa storia d’amore dei nonni Akop e Laura, vissuta attraverso le poetiche lettere che si scrivevano; il rapporto di Laura con il padre, con la madre, con il fratello e con le zie. E poi la partenza di Laura dalla sua Treviso per amore dell’arte, il suo matrimonio con Gianni Morandi e la favola a cui tutti e due hanno dato vita, il grande amore, la dolorosa separazione, i
figli, i nipoti e la Laura di oggi, donna generosa, sempre presente e “mamma amorevole” per i suoi adorati bimbi che vivono in Kenya, in Africa, dove si trova il suo cuore. Da anni si batte per far costruire pozzi, per creare piccoli ospedali – nelle zone più isolate –, per far curare i bambini che, grazie a lei, non muoiono di fame. Anche loro amano ‘mama Laura’ e non vedono l’ora di riabbracciarla forte.

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L’anfiteatro inaugura con Laura Ephrikian (Il Tirreno 16.07.21)

Dopo la seguita partecipazione della sua autrice sugli schermi di RaiUno, domani farà tappa a Comano il tour di presentazione del nuovo libro di Laura Ephrikian, intitolato “Una famiglia armena”, che si avvale della prefazione di Walter Veltroni.

Un grande evento patrocinato dal Comune lunigianese di Comano, che avrà come primo ospite Laura Ephrikian in occasione dell’inaugurazione dell’anfiteatro naturale in piazza Marconi. Infatti, la presentazione del libro sarà preceduta, alle ore 19, dall’inaugurazione di questo nuovo spazio, con il taglio del nastro e i saluti delle autorità: il sindaco di Comano, Antonio Maffei; il parroco della valle del Taverone, don Tommaso Forni; il presidente della polisportiva San Giorgio Comano, Federico Bestazzoni; il presidente della Croce Azzurra Comano, Mario Strano; il presidente della Pro Loco Castello di Comano, Andrea Toracca. Un’idea, quella dell’anfiteatro naturale a Comano, che nasce nei primi mesi del 2015 proprio grazie alla conformità naturale del luogo e con l’ambizione di poter ospitare ed organizzare eventi culturali di un certo rilievo.

Dopo anni di lavori, finalmente il battesimo ufficiale domani con Laura Ephrikian, che illustrerà la sua nuova fatica letteraria subito dopo l’inaugurazione. Ad introdurre la presentazione sarà il vice sindaco di Comano, Francesco Fedele, mentre a conversare con l’autrice sarà la critica letterario e presidente del Cenacolo internazionale Le nove muse, Marina Pratici, e a moderare l’evento la presidente dell’associazione Culturalmente Toscana e dintorni, Gaia Greco; il tutto con le suggestioni musicali di Monica Granai. “Una famiglia armena” racconta, con passione e amore, delle origini armene di Laura Ephrikian. Nel libro troviamo, infatti, la storia della sua famiglia dalle origini: la travagliata e meravigliosa storia d’amore dei nonni Akop e Laura, vissuta attraverso le poetiche lettere che si scrivevano; il rapporto di Laura con il padre, con la madre, con il fratello e con le zie. —

Cooperazione militare Italia-Armenia: 11 attività congiunte nel secondo semestre 2021 (Sputnik15.07.21)

Italia e Armenia hanno firmato un’intesa per la cooperazione militare. Lo riporta il servizio stampa del ministero della Difesa armeno.
Secondo un comunicato del dicastero, le consultazioni politico-militari si sono svolte a Yerevan con la partecipazione di delegazioni dei due paesi guidati da:

Levon Ayvazyan (Armenia), il capo della Direzione generale delle politiche difensive e della cooperazione internazionale del ministero della Difesa;

Colonnello David Morpurgo (Italia), il capo del Dipartimento per la cooperazione internazionale dello Stato Maggiore della Difesa.

Alle consultazioni sono stati discussi i temi di sicurezza regionale e sviluppi internazionali, nonché la cooperazione tra i ministeri della Difesa di Armenia e Italia. Le parti hanno convenuto, a prescindere dalla pandemia del coronavirus, sul riavvio delle attività nell’ambito di contatti bilaterali interrotte l’anno scorso.
“Sulla base degli accordi raggiunti è stato firmato il piano di cooperazione militare bilaterale tra Armenia e Italia per il 2021. Secondo il piano, sono previsti 11 attività che si terranno in due paesi nella seconda metà dell’anno”, afferma un comunicato a disposizione di Sputnik.
L’ufficio stampa del ministero armeno fa notare che le attività riguardano lo scambio di esperienze in ambiti di reciproco interesse, la formazione del personale e il proseguimento delle consultazioni politico-militari.
Al momento Roma non ha fornito dettagli sulla visita del colonnello Morpurgo a Yerevan. I colloqui della delegazione italiana seguono la visita del ministro della Difesa Lorenzo Guerini in Grecia e Turchia di due giorni terminata mercoledì. Il ministro ha avuto incontri con i colleghi greco, Nikolaos Panagiotopoulos, e turco, Hulusi Akar, con cui oltre alla cooperazione nell’ambito della NATO ha discusso della situazione nel Mediterraneo, del ritiro delle truppe dall’Afghanistan e della strategia per la Libia.