A Roma, presso la sala ODEION del Museo d’arte classica (facoltà di Lettere e Filosofia) dell’Università “La Sapienza”, il 16 maggio 2023 ha avuto luogo la presentazione di due volumi dedicati a uno dei maggiori esponenti della letteratura armena: Yeghishe Charents. L’evento, promosso ed organizzato dall’Ambasciata della Repubblica l’Armenia in Italia e dall’Università “La Sapienza”, ha visto la partecipazione del Rettore dell’Ateneo romano Antonella Polimeni – che ha sottolineato l’impegno di dare maggiore visibilità e spazio alla questione armena e alla cultura che appartiene al popolo armeno, finora piuttosto trascurate sotto un profilo storico; dell’Ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia Tsovinar Hambardzumyan, del Direttore del Dipartimento di Archeologia de “La Sapienza” Giorgio Piras, di Domenico Polito della casa editrice Leonida, che ha pubblicato il volume “Io della mia dolce Armenia”, del traduttore delle opere di Charents Alfonso Pompella, dell’autrice del libro “Yeghishe Charents – Vita inquieta di un poeta” Letizia Leonardi, di Filippo Orlando per la casa editrice “Le Lettere”, oltre all’apprezzata presenza dell’attore, regista e sceneggiatore Carlo Verdone, figlio di Mario Verdone, appassionato studioso della cultura armena, che nel suo intervento ha raccontato alcuni aneddoti legati alla figura paterna.
Nel corso della manifestazione è stata presentato il primo volume dell’antologia “Io della mia dolce Armenia”, che racchiude le traduzioni in italiano delle poesie del famoso poeta armeno del XX secolo Charents, affiancate ai testi originali in armeno. Nell’ambito dello stesso evento si è svolta la presentazione dell’opera “Yeghishe Charents – Vita inquieta di un poeta” della scrittrice e giornalista Letizia Leonardi, con prefazione di Carlo Verdone. Le traduzioni in italiano della suddetta antologia sono di Mario Verdone, Poghos Levon Zekiyan, Alfonso Pompella, Anush Torunyan, Mariam Eremian, Grigor Ghazaryan, Hasmik Vardanyan.
Hanno presenziato all’evento anche varie personalità del mondo accademico, della comunità armena in Italia, dell’informazione, oltre che numerosi studenti iscritti presso l’Università “La Sapienza”, che hanno dimostrato forte interesse verso la causa armena.
a cura di Daniela Cecchini
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-05-18 17:13:082023-05-19 17:15:02A ROMA L’ATENEO LA SAPIENZA ONORA LA CULTURA ARMENA (StreetNews 18.05.23)
Il Nagorno Karabakh e un parte di Azerbaijan dipendono dall’approvvigionamento idrico del bacino di Sarsang, il primo per l’energia elettrica, il secondo per l’irrigazione dei campi agricoli. La siccità di questo periodo ma soprattutto il blocco del corridoio di Lachin hanno causato uno sfruttamento intensivo del bacino idrico
Il bacino idrico di Sarsang si trova in Nagorno Karabakh tra Tartar e Kalbajar nella provincia di Martakert. Il bacino è stato creato nel 1976 con la costruzione di una diga alta 125 metri sul fiume Tartar. Il volume complessivo dell’invaso è di 575 milioni di m³, l’area è di 14,2 km2. Quando è aperto, il bacino fornisce acqua per l’irrigazione a 100.000 ettari nei distretti di Tartar, Agdam, Barda, Goranboy, Yevlakh e Aghjabadi. La centrale idroelettrica di Sarsang ha una capacità di 50 megawatt.
Dal 1992 la diga, la centrale elettrica e il bacino sono sotto il controllo dei separatisti armeni. La centrale, gestita dalla Artsakh HEK OJSC, è la fonte del 40-60% dell’elettricità della regione secessionista , in condizioni normali. Ma dal 12 dicembre 2022 le condizioni sono fuori dalla norma. Il blocco di Lachin iniziato con la protesta degli ambientalisti azeri e continuato con la creazione di un check point di Baku è stato accompagnato da frequenti episodi di interruzione delle forniture elettriche e di gas. La conseguenza è stata che Sarsang è stato messo sotto stress perché fornisse più elettricità all’area che si è trovata recisa delle proprie forniture.
Dall’eco-protesta alla crisi idrica
I campanelli di allarme sulle conseguenze dello sfruttamento intensivo di Sarsang sono suonati ancora in pieno inverno. Il 27 febbraio il consigliere ministeriale del Karabakh Artak Beglaryan ha twittato : “A causa dell’#ArtsakhBlockade [il blocco del Nagorno Karabakh, chiamato Artsakh in Armeno, ndr] e in particolare dell’interruzione della fornitura di energia elettrica dal 9 gennaio 2023, 96.000 ettari di terra azerbaijana non avranno acqua di irrigazione sufficiente da Sarsang durante la stagione. Dobbiamo utilizzare gran parte di quelle risorse idriche per la produzione di elettricità”. Pochi giorni prima il Presidente de facto del Karabakh parlando al Consiglio dei ministri aveva fatto una analisi molto simile, sostenendo che “[…] le risorse idriche dell’invaso di Sarsang sono fortemente diminuite. In primavera e in estate, ciò creerà una grave crisi per gli agricoltori azeri, poiché non ci saranno risorse idriche sufficienti per irrigare decine di migliaia di ettari di terra”.
L’allarme invernale si è materializzato con l’arrivo della primavera. A metà marzo l’agenzia di stampa armena Armenpress ha citato la dichiarazione di Ararat Khachatryan del Comitato per l’acqua del Karabakh: “Il livello dell’acqua nel bacino di Sarsang continua a scendere di 50 cm al giorno con il blocco operato dall’Azerbaijan. Dal 9 gennaio 2023 l’Azerbaijan ha impedito alle autorità del Nagorno Karabakh di accedere e riparare la linea di trasmissione elettrica danneggiata che fornisce elettricità al Nagorno Karabakh dall’Armenia. Sarsang è l’unica fonte di energia elettrica che abbiamo al momento. Il livello dell’acqua è di circa 8 metri più basso rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. (…) Ci auguriamo che i livelli dell’invaso aumentino in primavera, ma se anche ciò dovesse accadere, i risultati non sarebbero soddisfacenti. (…) Prima del blocco, soprattutto in inverno, quando l’elettricità fornita dall’Armenia era insufficiente, utilizzavamo il bacino idrico di Sarsang. Dopo la guerra, nell’Artsakh ci sono rimaste solo cinque piccole centrali idroelettriche, che funzionano solo al di sotto del 20% della loro capacità. (…) Se la linea elettrica non viene riparata presto, il livello dell’acqua nel bacino idrico di Sarsang sarà insufficiente”.
La secca
A inizio aprile l’impoverimento della risorsa idrica aveva già raggiunto un punto per cui la valutazione è che ci vorranno anni per ripristinare il volume idrico pre-blocco. Il Karabakh aveva già affrontato un autunno poco piovoso e un inverno poco nevoso, per cui la riserva idrica era già sotto il proprio potenziale, e le prospettive non promettono una primavera altamente piovosa. Questo ingenera una serie di preoccupazioni, sia relative alla crisi idrica, sia a una possibile presa con la forza dell’area della centrale elettrica e dell’invaso di Sarsang. Le distanze sono ridotte: Sarsang si trova a solo una trentina di chilometri dalla linea di contatto dell’esercito karabakhi e azero, e Martakert è la regione più remota dall’Armenia. Il Karabakh è consapevole che la riduzione dell’invaso non renderà possibile onorare l’accordo stipulato con Baku la scorsa primavera sulle quantità di acqua da rilasciare da Sarsang.
A maggio la situazione veniva così descritta : “Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, dal 9 gennaio ad oggi, è stata rilasciata 3 volte più acqua e l’afflusso di acqua è stato 2 volte inferiore a causa del clima secco. Ora le risorse idriche di Sarsang hanno raggiunto un limite critico – 88 milioni di m³ (15% del totale), avvicinandosi al volume inutilizzabile – 70 milioni di m³. Questa situazione non solo mette a rischio la prospettiva dell’approvvigionamento di elettricità per l’Artsakh e aggrava la sua sofferenza quotidiana, ma ha anche provocato un enorme impatto negativo sull’ambiente, tra cui il prosciugamento delle sorgenti, il deterioramento del microclima, il declino di flora e fauna.” Le immagini satellitari mostrano che la superficie del bacino è scesa di più di 30 metri, e metà del letto risulta in secca.
Arbitrato internazionale
Baku si è mossa per il controllo dello sfruttamento delle risorse, incluse quelle idriche, in mano ai separatisti. Si ricorda che il blocco degli ambientalisti è stato dichiarato proprio per lo sfruttamento delle risorse minerarie.
L’Azerbaijan ha avviato oggi un arbitrato contro l’Armenia ai sensi del Trattato sulla Carta dell’Energia in cui chiede riparazione e compensazione finanziaria per la violazione da parte dell’Armenia dei diritti sovrani azeri sulle sue risorse energetiche dal 1991 al 2020. In particolare si solleva un contenzioso sullo sfruttamento delle ricche risorse karabakhi, visto che la regione ha il 25% delle risorse idriche azere. L’Armenia è accusata di aver costruito almeno 37 impianti idroelettrici non autorizzati sul territorio azero. Sarsang è menzionata nella richiesta di arbitrato, insieme a una serie di altre infrastrutture sia idroelettriche, sia minerarie, di cui l’Azerbaijan si ritiene depredato. La controparte è indicata come Yerevan, poiché Baku non riconosce alcun ruolo ai secessionisti karabakhi, che peraltro non sono riconosciuti internazionalmente come rappresentanti di uno stato de jure.
Domenica 14 maggio, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev si sono incontrati a Bruxelles per un nuovo round di colloqui mediati dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Ancora molti i punti irrisolti ma compare qualche piccolo progresso
Domenica 14 maggio, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev si sono incontrati a Bruxelles per un nuovo round di colloqui mediati dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. È stato il quinto incontro di questo tipo organizzato da Michel e ha segnato una ripresa del cosiddetto Processo di Bruxelles.
L’anno scorso, i colloqui per normalizzare le relazioni tra i due paesi sembravano essersi bloccati all’inizio di dicembre, quando l’Armenia voleva che fosse incluso anche il presidente francese Emmanuel Macron. L’Azerbaijan aveva respinto la richiesta e i colloqui non hanno avuto luogo.
L’incontro ha anche recepito i progressi riportati nei colloqui tra i ministri degli Esteri armeno e azerbaijano, Ararat Mirzoyan e Jeyhun Bayramov, ospitati dal Segretario di Stato americano Antony Blinken ad Arlington, in Virginia, dal 1 al 4 maggio. Entrambe le serie di colloqui arrivano nel mezzo di quella che sembra essere una nuova ondata di sforzi per risolvere il conflitto di lunga data tra Armenia e Azerbaijan sulla regione separatista del Karabakh. A due anni e mezzo dalla guerra dei 44 giorni (2020) che ha lasciato oltre 6.000 morti da entrambe le parti e una situazione di sicurezza totalmente nuova sul campo, gli incontri sono stati tempestivi.
Entrambe le parti hanno sottolineato che durante i colloqui con gli Stati Uniti sono rimaste differenze su questioni chiave, di conseguenza non ci si aspettava molto dall’incontro di Bruxelles, ma in una dichiarazione rilasciata in seguito, Michel ha descritto l’incontro come “orientato ai risultati” e sono sembrati esserci progressi in aree chiave. I leader hanno convenuto di intraprendere ulteriori sforzi per delimitare l’instabile confine tra Armenia e Azerbaijan. Pochi giorni prima dell’evento di Bruxelles, scaramucce avevano provocato morti e feriti.
Michel ha sottolineato che il territorio dell’Armenia comprende 29.800 km² e quello dell’Azerbaijan 86.600 km². Sebbene Pashinyan avesse usato la prima cifra per sottolineare nei suoi discorsi l’integrità territoriale dell’Armenia, è la prima volta che viene citata anche quella dell’Azerbaijan, anche se pubblicamente lo ha fatto solo Michel. Le sue dichiarazioni, tuttavia, sarebbero state concordate da entrambe le parti, e molti le interpretano come un ulteriore riconoscimento da parte di Pashinyan del Karabakh come parte dell’Azerbaijan.
Anche il termine usato da Michel non è passato inosservato. L’uso di ex Nagorno Karabakh Autonomous Oblast (NKAO) anziché di “Nagorno Karabakh” è stato probabilmente un compromesso tra Yerevan e Baku per evitare ulteriori controversie sulla terminologia. Si ritiene inoltre che il futuro del Karabakh sarà discusso in un percorso negoziale a parte tra i rappresentanti della popolazione etnica armena e Baku attraverso un meccanismo “visibile a livello internazionale”, sebbene non necessariamente “mediato a livello internazionale”.
“Ho incoraggiato l’Azerbaijan a impegnarsi nello sviluppo di un’agenda positiva con l’obiettivo di garantire i diritti e la sicurezza di questa popolazione, in stretta collaborazione con la comunità internazionale”, ha affermato Michel nella sua dichiarazione. “Ho anche sollevato la necessità di un dialogo trasparente e costruttivo tra Baku e questa popolazione”.
Ci sono stati anche evidenti progressi su un’altra questione chiave che divide le parti: lo sblocco dei trasporti e dei collegamenti economici nella regione. La recente istituzione di un posto di blocco da parte dell’Azerbaijan sul “Corridoio di Lachin“, come definito nella dichiarazione di cessate il fuoco trilaterale del 2020, può essere considerata nel contesto della facilitazione del transito dall’Azerbaijan alla sua exclave di Nakhchivan attraverso l’Armenia, come menzionato nell’armistizio del 2020. I conflitti tra le parti sul fatto che i posti di blocco debbano essere su uno, ma non sull’altro hanno interrotto a lungo i negoziati.
La questione della reciprocità è stata nuovamente sottintesa da Michel.
“Le posizioni su questo tema sono ormai molto vicine tra loro, in particolare sulla riapertura dei collegamenti ferroviari da e per Nakhchivan”, ha affermato Michel. “I rispettivi team sono stati incaricati di finalizzare un accordo di principio sulle modalità per l’apertura dei collegamenti ferroviari e dei necessari lavori di costruzione insieme ad un calendario concreto. Hanno anche convenuto di avvalersi del sostegno dell’Organizzazione mondiale delle dogane per sostenere questo lavoro”.
Altre questioni erano di natura umanitaria, vale a dire le persone scomparse e le mine antiuomo. Sebbene siano un problema serio per entrambe le parti, sono particolarmente rilevanti per l’Azerbaijan, compreso il destino dei dispersi della prima guerra del Karabakh nei primi anni ’90. Anche il destino dei prigionieri armeni della seconda guerra che sono ancora detenuti a Baku sembra essere rientrato in gioco, ma anche quello dei “soldati che si sono semplicemente persi e sono passati dall’altra parte continuerebbero a essere rilasciati attraverso una procedura rapida”.
Uno dei due soldati azerbaijani che si è trovato proprio in questa situazione è stato condannato a 11,5 anni di carcere da un tribunale armeno all’inizio di questo mese. È anche possibile che alcuni detenuti armeni in Azerbaijan possano essere rilasciati “nelle prossime settimane”.
“Dopo i recenti colloqui positivi tenutisi negli Stati Uniti sul trattato di pace, si dovrebbe mantenere lo slancio per compiere passi decisivi verso la firma di un accordo di pace globale tra Armenia e Azerbaijan”, ha concluso Michel, aggiungendo che i due leader si incontreranno nuovamente il primo giugno a Chişinău, in Moldova, a margine del secondo Vertice della Comunità politica europea. Il primo vertice ha portato allo spiegamento della capacità di monitoraggio europea (EUMCAP), ora sostituita dalla più lunga missione di monitoraggio dell’Unione europea in Armenia (EUMA).
Nonostante l’ottimismo, tuttavia, permangono alcuni potenziali problemi, con Mosca infastidita dal coinvolgimento dell’UE nel processo Armenia-Azerbaijan che sostanzialmente annullerebbe la dichiarazione di cessate il fuoco trilaterale del 2020 sostenuta dalla Russia. Alcuni osservatori ritengono che sia gli Stati Uniti che l’UE vedano la normalizzazione come un modo per facilitare l’uscita di Mosca dal Karabakh e forse dalla regione, un punto di vista che Michel potrebbe aver cercato di affrontare. “L’UE non ha un’agenda nascosta”, ha detto, aggiungendo anche che un altro incontro tra i leader armeno e azerbaijano potrebbe aver luogo al vertice ECP in Spagna ad ottobre.
Altri, invece, rimangono scettici, ed è improbabile che Mosca prenda bene la menzione dell’Unione doganale mondiale che regola le modalità del collegamento ferroviario Azerbaijan-Nakhchivan. Nella dichiarazione di cessate il fuoco del 2020, la Russia prevedeva di esercitare il controllo sia sul collegamento ferroviario che sul corridoio di Lachin. Gli sviluppi nei prossimi giorni e settimane saranno quindi fondamentali per svelare il significato dell’incontro dello scorso fine settimana e le speranze di una svolta nella risoluzione del conflitto del Karabakh. Non mancheranno di avere anche un impatto sulle speranze di normalizzazione dei rapporti Armenia-Turchia.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-05-17 14:10:132023-05-18 14:11:19Armenia-Azerbaijan, possibili progressi dopo l’incontro di Bruxelles (Osservatorio Balcani e Caucaso 17.05.23)
L’Armenia ha rinviato l’adozione del documento sulla missione CSTO, nonostante la disponibilità a fornire assistenza.
Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, in un’intervista a Tsargrad, ha affermato che l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO) è pronta a fornire assistenza all’Armenia, ma Yerevan ha chiesto di posticipare l’adozione del relativo documento.
“La CSTO ha dimostrato la sua fattibilità quando il Kazakistan ha chiesto aiuto nel gennaio 2022. Eravamo pronti ad aiutare l’Armenia, membro della CSTO, allo stesso modo”– disse Lavrov.
Al vertice autunnale del 2022 a Yerevan, è stato preparato un documento sullo spiegamento della missione di osservatori della CSTO in Armenia su richiesta degli alleati armeni. Secondo Lavrov, il documento è stato concordato dai ministri degli esteri dei paesi CSTO.
“Tuttavia, all’ultimo momento, al vertice stesso, i nostri amici armeni hanno chiesto di rinviare l’adozione di questo documento”ha aggiunto il ministro.
Pertanto, la proposta di dispiegare la missione di osservazione della CSTO in Armenia rimane ancora sulla carta e non può essere attuata. Allo stesso tempo, Lavrov ha espresso fiducia che se Yerevan confermasse la decisione concordata e questa entrasse in vigore, ciò contribuirebbe a stabilizzare la situazione nel paese.
“Sono convinto che se Yerevan confermasse quanto concordato e questo entrasse in vigore, l’Armenia vincerebbe e otterrebbe una situazione più stabile”, – ha sottolineato il capo del ministero degli esteri della Russia.
Finora, Yerevan non ha risposto a tale dichiarazione di Lavrov.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-05-17 14:08:282023-05-18 14:09:54Lavrov: la stessa Armenia ha rifiutato di schierare osservatori CSTO (Avia 17.05.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 17.05.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi è il 157° giorno del #ArtsakhBlockade: 120.000 Armeni del’Artsakh tenuti in ostaggio nella loro stessa patria con l’assedio dall’Azerbajgian, che occupa con le sue forze armate già gran parte del suo territorio, nonché territori dell’Armena stesso. L’Azerbajgian, partner privilegiato dell’Unione Europea, con la pulizia etnica vuole estirpare qualsiasi presenza armena nel Caucaso meridionale.
Il Ministero della Difesa della Repubblica di Armenia riferisce che un militare armeno colpito dalle forze armate dell’Azerbajgian vicino alla città di Sotk è morto mentre è stato portato in ospedale. Nel mirino anche l’ambulanza che lo stava trasportando e un medico è stato ferito, ora in condizioni stabili.
Il Consiglio comunale di Los Angeles ha votato il 16 maggio 2023 per nominare l’intersezione di West L.A. tra Wilshire Boulevard e Granville Avenue “Republic of Artsakh Square”. Questo incrocio è stato scelto in quanto qui si trova il Consolato Generale dell’Azerbajgian.
Il bot “diplomatico” azero Nasimi Aghayev, megafono del suo padrone autocratico Aliyev, nonché suo Ambasciatore in Germania e precedentemente il suo Console Generale a Los Angele, nonché il Decano del Corpo Diplomatico di Los Angeles, ha risposto in un post su Twitter nel suo consueto stile: «Il Consiglio comunale di Los Angeles, finanziato e controllato dai Dashnaks armeni, si è trasformato di nuovo in uno zimbello. Potete anche rinominare l’intera Los Angeles come “Artsakh”. Ma non cambierà il fatto che il Karabakh è Azerbajgan. Fatevene una ragione».
«L’Azerbajgian diffonde disinformazione sul fatto che nuove armi vengano introdotte nell’Artsakh. Questa è una sciocchezza, perché l’Azerbajgian ha già messo un posto di blocco, quindi i suoi soldati sono ciechi o lavorano per gli Armeni. Mentre la realtà è che stanno preparando il terreno per una nuova aggressione nell’Artsakh» (Tatevik Hayrapetyan).
Come abbiamo riferito, l’11 e il 12 maggio 2023, le forze armate dell’Azerbajgian hanno lanciato un’aggressione militare contro il territorio sovrano della Repubblica di Armenia, vicino agli insediamenti di confine nella regione di Gegharkunik (Sotk, Verin Shorzha, Norabak e Kut), utilizzando artiglieria, mortai e droni. Di conseguenza, la parte armena ha riportato un morto e otto feriti. Le condizioni di salute di due degli otto militari feriti a Sotk sono critiche. Uno degli otto militari feriti a causa dell’aggressione dell’Azerbajgian contro le posizioni armene è stato dimesso dall’ospedale e ora sta ricevendo cure ambulatoriali. Gegham Pashikyan, il Capo del dipartimento medico militare delle forze armate della Repubblica di Armenia, ha condiviso queste informazioni con “Zinuzh”.
Come dovrebbe rispondere l’UE alla chiusura illegale del Corridoio di Lachin?
di Nariné Ghazaryan [*] EU Law Analysis, 16 maggio 2023
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Quando la guerra del Nagorno-Karabakh del 2020 si è conclusa con l’adozione della Dichiarazione trilaterale tra Russia, Armenia e Azerbajgian il 9 novembre, coloro che osservavano da vicino la regione erano convinti che la pace fosse ancora lontana. Entro la metà del 2021, è diventato evidente che il cessate il fuoco non reggeva quando gli attacchi contro il territorio armeno hanno avuto luogo all’inizio di maggio. È in questa fase che l’Unione Europea alla fine ha assunto la leadership nella promozione dei colloqui di pace tra Armenia e Azerbajgian. Questa leadership si è concretizzata attraverso la mediazione ad alto livello del Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, in relazione al rilascio dei prigionieri di guerra, agli sforzi diplomatici dietro le quinte e agli incontri trilaterali di alto livello che si sono svolti nel corso del 2021-2022. Con l’incontro trilaterale dell’agosto 2022 si sperava che l’Unione Europea potesse mediare un accordo per avvicinare le parti alla risoluzione delle loro divergenze di lunga data. In un affronto agli sforzi dell’Unione Europea, tuttavia, l’Azerbajgian ha intrapreso una vasta offensiva militare contro l’Armenia nel settembre 2022 occupando parti del suo territorio e provocando nuove accuse di crimini di guerra. Nonostante questi sviluppi, nessuna reazione immediata è seguita dall’Unione Europea. È stato invece preferito un impegno diplomatico continuo, con un altro incontro ad alto livello, tenuto al vertice di Praga nell’ottobre 2022.
A quel punto, l’Armenia aveva già fatto appello a varie organizzazioni internazionali chiedendo la presenza internazionale sul suo territorio (Consiglio dell’Unione Europea 2022; OSCE 2022). Con una mossa positiva, l’Unione Europea ha risposto rapidamente inviando una missione di frontiera temporanea sul territorio dell’Armenia. In un affronto agli sforzi di mediazione dell’Unione Europea, il Presidente dell’Azerbajgian Aliyev poco dopo ha dichiarato la sua opposizione alla missione, osservando inoltre che l’Azerbajgian non ha permesso che la missione fosse dispiegata sul suo territorio. Sebbene la missione sia stata successivamente prorogata per un periodo più lungo, la sua presenza nella regione non ha impedito ulteriori ostilità sul territorio dell’Armenia o nel Nagorno-Karabakh.
In base alla dichiarazione trilaterale del novembre 2020, la sicurezza degli Armeni del Nagorno-Karabakh doveva essere garantita da un contingente di mantenimento della pace russo. La presenza di quest’ultimo, però, non impedì da allora ulteriori attacchi. Piuttosto, questi ultimi eventi hanno confermato i dubbi sul genuino interesse della Russia nella risoluzione del conflitto. Quando nel dicembre 2022, gli “eco-attivisti” azeri hanno bloccato il Corridoio di Lachin, l’unica via terrestre che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia e l’unica ancora di salvezza per la sopravvivenza economica della regione, è seguita nessuna azione dalle forze russe. Questa è stata una palese violazione della dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020 secondo la quale il Corridoio di Lachin “rimarrà sotto il controllo del contingente di mantenimento della pace della Federazione Russa”, mentre “la Repubblica dell’Azerbajgian garantirà la circolazione sicura dei cittadini”.
È evidente che senza il “via libera” da parte russa il blocco della strada sarebbe stato impossibile. Mentre l’immagine della Russia come garante della sicurezza dell’Armenia è stata a lungo infranta, gli eventi del Corridoio di Lachin possono essere visti come un’esercitazione di pressioni sull’Armenia desiderosa di costruire legami più stretti con l’Unione Europea, gli Stati Uniti e la comunità internazionale più in generale. Qualsiasi minaccia agli Armeni del Nagorno-Karabakh può portare a turbolenze politiche in Armenia, che minacciano la posizione del suo governo filo-occidentale. Il destino degli Armeni del Nagorno-Karabakh è quindi lasciato nelle mani dell’esercito russo e del governo azero con la sua radicata armenofobia. Sebbene siano state rilasciate dichiarazioni dai rappresentanti dell’Unione Europea che invitano l’Azerbajgian a garantire il libero passaggio attraverso il Corridoio di Lachin, non vi sono stati suggerimenti secondo cui la mancanza di conformità sarebbe seguita da un’adeguata risposta dell’Unione Europea.
A pochi mesi dall’inizio del blocco, la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite ha confermato la responsabilità degli Azeri per il blocco del corridoio terrestre ordinando a quest’ultimo di “prendere tutte le misure a sua disposizione per garantire il movimento senza ostacoli di persone, veicoli e merci lungo il Corridoio di Lachin in entrambe le direzioni”. nel caso Armenia contro Azerbajgian. Come in passato, è seguito un invito all’Azerbajgian da parte del portavoce del Servizio diplomatico dell’Unione Europrea a conformarsi all’ordine della Corte Internazionale di Giustizia senza accennare alle possibili conseguenze della mancata conformità. Solo il Parlamento Europeo nella sua successiva risoluzione ha chiesto l’imposizione di sanzioni all’Azerbajgian se quest’ultimo non rispetta l’ordine della Corte Internazionale di Giustizia. Sfidando la sentenza della Corte e gli appelli della comunità internazionale, l’Azerbajgian non solo non ha sbloccato il corridoio, ma in un’ulteriore escalation ha abbandonato la pretesa di eco-attivismo e nell’aprile 2022 ha istituito un check-point militare nel Corridoio di Lachin. Inoltre, sono proseguiti gli attacchi contro il territorio armeno e i soldati armeni nonostante la presenza della missione di frontiera dell’Unione Europea. In modo allarmante, la missione di frontiera dell’Unione Europea non si trova mai nelle vicinanze di questi eventi. Ciò potrebbe essere spiegato dal fatto che la missione di frontiera dell’Unione Europea coordina in anticipo i suoi movimenti con l’Azerbajgian.
In questo contesto, è chiaro che l’Azerbajgian non ha alcun reale interesse a concludere un trattato di pace con l’Armenia. L’attenzione della comunità internazionale sulla guerra in Ucraina dà all’Azerbajgian il sopravvento nel capitalizzare la sconfitta della parte armena nella guerra del 2020 rivendicando il sud dell’Armenia e creando le condizioni per la potenziale pulizia etnica degli Armeni del Nagorno-Karabakh. Dati i suoi sforzi diplomatici degli ultimi due anni e il dispiegamento della missione dell’Unione Europea in Armenia, la domanda è: da che parte questo lascerà l’Unione Europea? Dovrebbe limitarsi ai suoi attuali sforzi di mediazione o dovrebbe avvalersi di altri strumenti politici e giuridici a sua disposizione, comprese le sanzioni?
Nonostante la guida dei colloqui trilaterali per far avanzare il processo di pace, l’approccio dell’Unione Europea è radicato nel suo passato cauto impegno e nella sua posizione di lunga data di “equidistanza”. In parole povere, quest’ultimo vede sia l’Armenia che l’Azerbajgian alla pari per quanto riguarda le cause del conflitto bilaterale, ma anche per la loro intransigenza nei tentativi di risoluzione del conflitto. Anche se si ritiene che tale percezione sia giustificata in passato, dopo la guerra del Nagorno-Karabakh del 2020 questa non regge più la verifica, data la posizione precaria dell’Armenia e degli Armeni del Nagorno-Karabakh. È proprio questa posizione vulnerabile che l’Azerbajgian desidera sfruttare, dati i suoi rapporti cordiali con la Russia, l’unica potenza internazionale con una presenza militare sul terreno. La sua posizione è stata inoltre rafforzata da un nuovo accordo energetico concluso tra l’Unione Europea e l’Azerbajgian nell’estate del 2022. Il comprensibile desiderio dell’Unione Europea di rompere con la sua dipendenza dai combustibili fossili russi sembra inevitabilmente spingerla tra le braccia di altri regimi autoritari. Nel suo discorso in occasione della chiusura dell’accordo che prometteva il raddoppio delle forniture di gas all’Unione Europea, il Presidente della Commissione Europea von der Leyen ha dichiarato che l’Azerbajgian è un “partner affidabile” nonostante i risultati politici di quest’ultimo e le minacce all’integrità territoriale dell’Armenia.
Il blocco degli Armeni del Nagorno-Karabakh ora affermato dall’istituzione del posto di blocco miliare in violazione dell’ordine della Corte Internazionale di Giustizia non dovrebbe passare inosservato all’Unione Europea. Il recente accordo sul gas che incoraggia l’Azerbajgian crea anche una leva significativa per l’Unione Europea che dovrebbe essere utilizzata per porre fine al blocco e prevenire la pulizia etnica degli Armeni del Karabakh. La guerra in Ucraina ha dimostrato la capacità dell’Unione Europea di rispondere a palesi violazioni del diritto internazionale applicando un’ampia gamma di sanzioni e assumendo una posizione chiara. Placare il regime autoritario in Azerbajgian dimostra che le lezioni non sono state apprese dalla precedente pratica dell’Unione Europea nel suo vicinato orientale, dove il suo placare il regime di Putin ha portato solo all’impunità e a un’ulteriore aggressione. Il partenariato dell’Unione Europea e le prospettive di concludere un nuovo accordo con l’Azerbajgian dovrebbero essere sospesi a meno che quest’ultimo non si impegni realmente nel processo di pace al fine di risolvere il conflitto radicato nella questione dell’autodeterminazione degli Armeni del Nagorno-Karabakh. L’Unione Europea non dovrebbe esimersi dall’affrontare la questione di come garantire la sicurezza ei diritti degli Armeni del Karabakh nel contesto della mancanza di governo democratico dell’Azerbajgian e dei suoi scarsi risultati in materia di diritti umani, nonché della sua decennale armenofobia. In particolare, grazie alle sue relazioni sia con l’Armenia che con l’Azerbajgian, l’Unione Europea si trova in una buona posizione per dispiegare un contingente di mantenimento della pace europeo, dati gli scarsi risultati delle forze russe sul terreno.
Soprattutto, il peso politico, giuridico ed economico dell’Unione Europea dovrebbe essere utilizzato per assumere una posizione in linea con i suoi valori quando si verificano chiare violazioni del diritto internazionale. Sorvolare su di loro per far avanzare i propri interessi energetici porterà solo a un nuovo doloroso episodio ai confini dell’Unione Europea che avrebbe potuto eventualmente prevenire.
[*] Professore associato di Diritto internazionale ed europeo, Università Radboud di Nijmegen.
Hadrut: una comunità in esilio impegnata nella conservazione culturale
di Siranush Sargsyan [*] Armenian Weekly, 16 maggio 2023
(Nostra traduzione italiana dall’inglese)
Quando Alexandra Avanesyan, un’insegnante di belle arti alla scuola d’arte di Hadrut, ha chiesto ai suoi studenti di disegnare la casa dei loro sogni, le sorelle Mane e Milena del villaggio di Togh hanno detto che avevano già perso la loro. Mane, che ha frequentato la prima elementare nel suo villaggio natale solo per tre settimane prima che la guerra del 2020 la costringesse a fuggire, non ricorda né la scuola né i compagni di classe. Ma i suoi occhi si illuminano per un attimo e poi si riempiono di lacrime quando parla della sua casa. “Era la casa più bella, a due piani, con fiori nel cortile e una staccionata”.
Durante la guerra di 44 giorni che l’Azerbajgian ha lanciato contro l’Artsakh nel 2020, la regione di Hadrut, insieme a Shushi, è stata violentemente conquistata dall’Azerbajgian, creando una popolazione di sfollati interni di 13.500 persone. Circa 5.380 di loro vivono in Artsakh; quasi lo stesso numero vive nella Repubblica di Armenia. Il resto è emigrato all’estero.
La propaganda politica dell’Azerbajgian spesso invoca il gran numero di rifugiati/sfollati azeri dalla guerra degli anni ’90, che in numero è quasi paragonabile agli Armeni sfollati della stessa epoca (un fatto che l’Azerbajgian opportunamente omette). Eppure raramente si parla degli Armeni indigeni di Hadrut sottoposti a pulizia etnica, che sono diventati senzatetto solo due anni fa.
Il 20 marzo, gli Armeni dell’Artsakh sfollati con la forza hanno chiesto all’UNHCR, Pashinyan, Putin e Aliyev di organizzare il loro ritorno alle loro case.
Oggi, più di due anni dopo la guerra, gli sfollati di Hadrut si sono per lo più stabiliti nella capitale dell’Artsakh, Stepanakert. Secondo Artur Baghdasaryan, capo dell’amministrazione della regione di Hadrut in esilio, il governo di Stepanakert sta costruendo alloggi per gli ex residenti di Hadrut. La costruzione di un quartiere residenziale con oltre 250 appartamenti era in corso fino al blocco dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian, che ha interrotto tutti i progetti di costruzione a causa della mancanza di materiali da costruzione importati. Se non fosse stato per il blocco, il primo gruppo di case sarebbe già stato completato.
Il perdurante blocco ha avuto ripercussioni anche sulle prospettive occupazionali, con massicci licenziamenti da parte di aziende che non hanno né forniture né mercati esterni con cui lavorare. Oltre ai problemi abitativi, occupazionali e sociali, gli sfollati di Hadrut affrontano anche sfide nella realizzazione del diritto all’istruzione e alla libertà di espressione creativa. Dopo aver perso la casa e la scuola, gli abitanti di Hadrut ora tengono le loro lezioni d’arte alla scuola di musica Komitas di Stepanakert. Inoltre, a causa dell’elevata domanda, gli insegnanti offrono lezioni d’arte anche nei fine settimana. Tutto ciò influisce sulla qualità dell’istruzione e sul benessere degli educatori.
Tatevik Mkrtchyan fu assunto per dirigere la scuola d’arte di Hadrut circa un mese prima della guerra dei 44 giorni. Dopo essersi rifugiata nella Repubblica di Armenia, Mkrtchyan tornò ad Artsakh subito dopo la guerra, nonostante avesse perso la sua casa ad Hadrut. Ha capito l’importanza di mantenere il sistema educativo di Hadrut in esilio come un modo per preservare la loro cultura e incoraggiare anche gli sfollati a tornare in Artsakh, nonostante abbiano perso i loro villaggi ancestrali.
Oggi, più di 100 studenti frequentano i dipartimenti di danza, teatro, belle arti, modellismo e arti decorative applicate presso la scuola d’arte Hadrut trasferita, che è una scuola extracurriculare. La maggior parte degli studenti sono sfollati da diversi insediamenti della regione di Hadrut.
“All’inizio rifiuti la realtà. Poi lo accetti e cerchi di superarlo”, dice Mkrtchyan. Poiché le condizioni dell’edificio non sono soddisfacenti, è costretta a unire il suo lavoro amministrativo nell’ufficio del direttore durante le prove del coro. “Facciamo persino lezioni di pittura in cucina. Ma non ci lamentiamo. Almeno in queste condizioni riusciamo a educare i ragazzi e ad avvicinarli al mondo dell’arte”, ha aggiunto.
Nonostante tutte le avversità, né gli amministratori né gli insegnanti hanno perso la speranza di tornare un giorno a Hadrut. Fino ad allora, vogliono vivere insieme come una comunità. Se costruiscono case vicine l’una all’altra, la scuola destinata ad Hadrutsis dovrebbe essere vicina.
“Se c’è speranza di tornare alle nostre case ad Hadrut, dobbiamo mantenere vive le nostre tradizioni. La mia bisnonna era originaria di Shushi. Dopo i massacri del 1920 a Shushi, la sua famiglia, insieme a quasi tutti i residenti armeni di Shushi, si disperse, invece di creare una comunità in esilio. Quando Shushi fu liberato nel 1992 durante la prima guerra del Karabakh, non tornarono nella loro città natale e altri Armeni sfollati vissero a Shushi al loro posto”. Mkrtchyan pensa che non dovrebbero commettere lo stesso errore. “Quando un giorno torneremo nelle nostre case ad Hadrut, noi, i nostri figli e nipoti dovremmo vivere lì”, ha aggiunto.
In questo ambiente, anche gli sfollati di Hadrut possono conservare il loro dialetto, i loro costumi e le loro memorie. Questo è importante non solo per loro, ma anche per gli Armeni e le popolazioni indigene di tutto il mondo. Nel corso dei secoli, le comunità armene sono state ripetutamente sfollate a causa di guerre o terremoti. Fino al 2020, Hadrut era uno dei pochi angoli della patria armena dove il popolo aveva vissuto nella stessa regione per molti secoli, se non millenni, senza spostamenti. Gli incontri tra e dopo le lezioni e le conversazioni nel dialetto dolce e unico di Hadrut possono alleviare leggermente il desiderio e il dolore. “Per noi, parlare del macellaio di Hadrut o condividere la storia di successo di Nora, che ha aperto un negozio di dolciumi a Yerevan, con il dialetto di Hadrut ha più valore”, ha aggiunto Mkrtchyan.
Al di fuori di questa comunità, c’è stato poco apprezzamento per il dialetto unico e la cultura duratura di Hadrut. Tra le eccezioni c’è il libro per bambini del 2022 dell’autore di Yerevan Arpy Maghakyan Shushi basciata dal sole, in cui viene presentata una poesia sul leggendario albero Tnjri in dialetto Hadrut. Ma il riconoscimento del posto unico di Hadrut nell’etnografia armena non è sufficiente per la sopravvivenza culturale. Gli abitanti di Stepanakert di Hadrut lo sanno fin troppo bene, motivo per cui si affidano consapevolmente l’uno all’altro non solo per la conservazione culturale, ma anche nella vita quotidiana. Se qualcuno ha bisogno di trovare un appartamento o un lavoro, tutti cercano di organizzarlo attraverso i propri conoscenti. Aiutarsi a vicenda e restare uniti è una scelta strategica, anche se può rendere la vita più difficile. “Non è che forniamo un’istruzione migliore rispetto ad altre scuole a Stepanakert. Non è nemmeno appropriato che nella scuola d’arte insegniamo insieme a bambini di età diverse negli stessi gruppi. Lavoriamo anche il sabato e la domenica, ma non abbiamo altra scelta”, ha detto Avanesyan. “Temo che perderemo anche noi stessi. Ci siamo già persi molto l’uno dell’altro e dobbiamo mantenere vivi quei ricordi, le tradizioni e il nostro dialetto, anche in esilio”. Nota che i bambini sono la chiave di questa sopravvivenza e ha motivi per sentirsi fiduciosa poiché “i bambini capiscono tutto e tutti i loro sogni sono legati al ritorno a casa”.
Gli abitanti di Hadrut oggi, che risiedono a Stepanakert, vivono a meno di 100 chilometri dalle loro case occupate e pulite etnicamente. Eppure fanno la scelta di mantenere in vita Hadrut, per il bene del proprio benessere e per le generazioni future. “Se non hai una casa, è come se fossi perso. Non riesci a trovare il tuo posto in questo mondo”.
[*] Giornalista a Stepanakert.
Il Vertice Armenia-Azerbaigian Di Bruxelles E La Questione Dei Confini Nazionali
di Emanuele Aliprandi Special Eurasia, 15 maggio 2023
Il vertice Armenia-Azerbajgian che si è tenuto a Brussel permette di concentrare l’attenzione sulla questione dei confini nazionali armeni e azerbajgiani la cui soluzione dovrebbe essere risolutiva e non creare ulteriori tensioni regionali.
Il 14 maggio 2023, ospiti del Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, si sono nuovamente incontrati il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, e il Primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan. Nessuno dei due ha rilasciato dichiarazioni al termine dell’incontro, durato oltre quattro ore, e l’unico documento ufficiale è una nota del padrone di casa che accoglie positivamente i colloqui, rimandando a ulteriori appuntamenti a Chisinau (Moldavia) il primo giugno e a Granada (Spagna) in ottobre.
Ancora una volta, così come nei precedenti vertici di ottobre 2022 (a Praga il 7 e a Sochi il 31), nel comunicato ufficiale viene riportato che le parti hanno «confermato il loro inequivocabile impegno nei confronti della Dichiarazione di Almaty del 1991 e della rispettiva integrità territoriale dell’Armenia (29.800 km2) e dell’Azerbaigian (86.600 km2). La delimitazione definitiva del confine sarà concordata attraverso i negoziati».
Ora, a prescindere da tutte le implicazioni che siffatto assunto può avere per la Repubblica de facto di Artsakh/Nagorno Karabakh, merita di essere evidenziata la circostanza che per la prima volta è stata specificata la superficie dei due Paesi: questa sottolineatura appare una risposta alle dichiarazioni a suo tempo rilasciate dalle autorità di Stepanakert secondo la quale «al momento della firma della Dichiarazione di Alma-Ata [oggi Almaty, NdA], il 21 dicembre 1991, l’Artsakh non faceva parte dell’Azerbajgian. Il 2 settembre 1991, fu proclamata la Repubblica di Artsakh» (così l’allora Ministro degli Esteri dell’Artsakh, Babayan, a dicembre 2022, in risposta a una dichiarazione del collega russo Lavrov).
Scenario geopolitico Armenia-Azerbajgian: la questione dei confini
Rimando in futuro l’analisi le prospettive per la regione contesa alla luce di quanto sopra, è chiaro che l’indicazione della superficie territoriale in quest’ultimo comunicato è un passo avanti a favore di Baku.
La questione dei confini tra Armenia e Azerbajgian rimane però irrisolta. A nulla è servita la creazione di una commissione ad hoc lo scorso anno dal momento che lo sviluppo dell’attività bellica ha di fatto annullato qualsiasi accordo eventualmente già raggiunto.
Giova ricordare che per tutta l’esperienza sovietica il confine tra la Repubblica Socialista Sovietica Azera e quella Repubblica Socialista Sovietica Armena era puramente simbolico: non vi era alcun controllo doganale e serviva solo a delimitare territorialmente l’applicazione dell’attività amministrativa di una repubblica piuttosto che dell’altra.
Lo scoppio della guerra nel 1992 e la conclusione del conflitto ha ulteriormente modificato la linea di demarcazione tra la Repubblica di Armenia e quella di Azerbajgian. Tutto il confine da Sotk (dove insiste una miniera d’oro a cielo aperto e che è stato teatro di un attacco azero nei giorni scorsi) fino al confine con l’Iran di fatto cessava di esistere dal momento che sia da una parte che dall’altra si trovavano gli Armeni: di qui quelli dell’Armenia, di là quelli dell’Artsakh nelle regioni di Karvachar (Kelbajar) e Kashatagh (Lachin, Qubadli e Zangilan). Due posti di controllo ingressi gestiti da Stepanakert lungo le due strade provenienti da Goris e da Vardanis (Armenia) erano, con la cartellonistica di rito, l’unica testimonianza del passaggio da una parte all’altra.
La conclusione dell’ultima guerra ha visto il netto successo militare dell’Azerbajgian e ha (ri)proposto il problema del confine fra i due Stati. Dal maggio 2021, a più riprese, fino all’invasione di settembre 2022 la parte azera ha occupato vaste porzioni di territorio armeno (oltre 200 km2) partendo dal presupposto che si trattava di “terre storiche azerbajgiane” e che – come dichiarato dallo stesso Presidente Aliyev – in mancanza di fortificazioni di confine nulla impediva agli Azeri di avanzare.
Questi sconfinamenti, ai quali sono seguiti opere di ingegneria militare per il mantenimento delle posizioni conquistate, erano e sono finalizzati (l’ultimo in ordine di tempo nei pressi del villaggio di Tegh all’imbocco del Corridoio di Lachin) al controllo del territorio armeno, all’allontanamento della popolazione dal confine e come possibile merce di scambio per future trattative.
Conclusioni
Ora, è evidente che il riconoscimento delle reciproche integrità territoriali porterà necessariamente a una ridefinizione delle posizioni sul campo essendo impensabile un qualsiasi accordo di pace fra due Paesi, uno dei quali occupa parzialmente l’altro. A tale scopo basterebbero le vecchie mappe di epoca sovietica o, più banalmente, i rilievi di Google Maps. Ma la definizione dei contenziosi nel Caucaso meridionale è sempre molto complicata.
Piuttosto, una questione, non di secondaria importanza, che rimane aperta è quella delle enclave/exclave che furono istituite in epoca sovietica. In Azerbajgian ve ne è una armena (Artsvashen), mentre in Armenia ve ne sono diverse: quella di Karki (Tigranashen) al confine con il Nakhjevan e alcune al confine tra le regioni di Tavush (ARM) e Qazakh-Tovuz (AZE).
Con la guerra degli anni Novanta sono state reciprocamente occupate. Dopo l’ultimo conflitto, l’Azerbajgian ha rimesso in discussione la rivendicazione delle stesse. Complessivamente si tratta di territori di pochi chilometri quadrati che tuttavia assumono un particolare rilievo strategico in quanto si trovano su importanti direttrici stradali in Armenia che si troverebbe così a dover costruire percorsi alternativi di non facile progettazione.
Già dopo l’accordo tripartito del novembre 2020, Yerevan si è ritrovata con uno dei suoi più importanti assi di collegamento fuori uso: il corridoio meridionale da Goris via Kapan verso Meghri e quindi l’Iran per alcuni chilometri è finito in territorio azero. Fin tanto che dall’altra parte del confine vi erano gli Armeni dell’Artsakh il problema non si poneva, ovviamente.
Dopo l’ultima guerra gli Azeri hanno occupato le sezioni di loro pertinenza impedendo di fatto il transito ai veicoli da e per l’Iran, ovvero da e verso una delle due uniche frontiere aperte per l’Armenia. Yerevan ha dovuto predisporre dunque un poco agevole percorso alternativo tra le montagne del Syunik il cui transito per i mezzi pesanti, specie in inverno, è alquanto problematico.
Se l’Azerbajgian ottenesse il controllo delle exclave del nord, il problema si riproporrebbe per una delle principali arterie che portano in Georgia, l’altro confine aperto dell’Armenia.
A margine dell’ultimo vertice di Brussel, il Viceministro degli Esteri dell’Armenia, Paruyr Hovhannisyan, ha dichiarato di non sapere se il tema delle enclave sia stato discusso nel suddetto incontro. Il che lascia aperta più di una incertezza sul futuro dei rapporti tra i due Stati.
Il tema dei confini tra Armenia e Azerbajgian (oltre agli altri temi in agenda, fra i quali il ritorno dei prigionieri armeni di guerra, lo sblocco dei commerci oltre ovviamente alla sorte della popolazione del Nagorno-Karabak/Artsakh) rimane dunque un aspetto molto importante da risolvere nel difficile cammino per una soluzione di pace. Che va ricercata ad ogni costo, ma facendo attenzione che la soluzione raggiunta non crei ulteriori insormontabili problemi soprattutto per la piccola Armenia.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-05-17 14:07:232023-05-18 14:08:10157° giorno del #ArtsakhBlockade. Far prevalere i propri interessi energetici porterà a un nuovo doloroso episodio ai confini europei che si sarebbe potuto prevenire (Korazym 17.05.23)
Era ancora lì, fiera ed elegante, che guardava l’orizzonte.
Me la ricordavo più bassa o forse ero io a sentirmi più grande prima.
Me la ricordavo più severa, o forse ero io a vederla con occhi più giudicanti prima.
Lei non è cambiata quindi evidentemente sono io ad esserlo.
Si dice che sia l’osservatore a fare il quadro e credo fermamente non ci sia nulla di più vero.
Il nostro stato d’animo, quello che abbiamo vissuto, il percorso che abbiamo fatto fino a quel momento, influenzano il nostro sguardo sulle cose.
E tornare nello stesso posto dopo del tempo ne è la conferma.
Mi è successo proprio qualche giorno fa quando mi sono svegliata e, una volta aperto il portellone del van, mi sono trovata davanti la statua di Madre Armenia.
Si tratta della gigantesca statua di una donna con in mano una spada. È posizionata su una collina sopra la città di Yerevan, la capitale armena. Realizzata per rappresentare le donne che decisero di andare in guerra al fianco dei mariti, oggi è diventata simbolo dell’importanza del ruolo femminile all’interno della società.
Madre Armenia era su quella collina lo scorso luglio quando preparavamo i nostri zaini. Stavamo per parcheggiare il minivan blu che ci aveva accompagnato dall’Italia fino a lì, per proseguire la nostra avventura a piedi, o meglio in autostop, in Iran.
E mi sembrava che un po’ mi giudicasse Madre Armenia come a dirmi “sei proprio sicura di quello che stai per fare?”
Dieci mesi dopo, quella statuona gigante la vedo più benevola, forse perché è anche la festa della mamma.
Non che la possente Madre Armenia mi ricordi mia mamma che in realtà è alta un metro e cinquanta, ha dei corti ricci biondi ed è tutto tranne che severa.
Credo di aver visto lo stesso sguardo di Madre Armenia sul volto di mia madre solo una volta. Avevo 6 o 7 anni e io e mia sorella avevamo appena disegnato delle belle righe colorate con i pennarelli sull’adorato tavolo di legno del salotto.
Non la prese bene, ma per fortuna non teneva in mano una spada come l’eroina armena!
Rivedere quella statua oggi, però, devo ammettere che mi ha fatto piacere.
È stato un po’ come chiudere un cerchio. Un cerchio grande come il mondo che abbiamo scoperto negli ultimi 10 mesi.
Un cerchio che racchiude l’emozionante e spropositata ospitalità iraniana. Racchiude la speziata e colorata follia indiana.
Racchiude la timidezza polverosa del Nepal e l’allegra genuinità dello Sri Lanka.
I miei occhi in questi mesi si sono abituati a così tanta bellezza, spiritualità e natura che forse ora vedono Madre Armenia in un modo completamente nuovo.
Come se ora leggessero l’amore dietro la severità dello sguardo, la protezione dietro la spada, l’eleganza dietro la fierezza.
Come se andassero oltre l’apparenza per cercare la sostanza, che poi è quello che devi fare in Armenia sennò ti sembrerà solo una distesa decadente di edifici in stile sovietico.
O forse, e questa credo sia l’ipotesi più probabile, sto iniziando ad avere le visioni per colpa del trauma che è stato tornare a vivere in van!
Sì è vero, ci sono traumi decisamente peggiori di viaggiare su uno sgangherato van blu.
Ma mentirei se dicessi che non mi ha quantomeno scombussolato tornare a vivere in due metri quadri con le ruote, un motore e senza una doccia.
Quello di cui più mi sono resa conto, però, è di quanto sia molto più solitaria questa vita su un mezzo.
Devi parcheggiati nella natura, spesso lontano da altre persone. Non sei più circondato costantemente dalla vita del Paese in cui ti trovi.
Non hai più il bisogno di appoggiarti ad estranei anche per le cose più basilari perché volendo sei autonomo e indipendente.
Necessariamente un po’ ti chiudi e finisci a parlare persino con una statua!
So che per molti questa è la tipologia di viaggio ideale (conversazioni con le statue escluse) ma per due come noi che amano il contatto con le persone del posto, che si emozionano nel gesto amorevole di uno sconosciuto, che si sentono vivi nel non avere nessuna barriera con il mondo che li circonda; ecco, per due così tornare a viaggiare con un mezzo è stato un trauma.
Una consuetudine a cui riabituarsi.
Paolo apre il portellone del van, guarda fuori.
“Hai salutato Madre Armenia?” gli chiedo.
“Buongiorno Madre Armenia! Dormito bene lassù? Ammazza che vista che hai, da lì vedi tutto il monte Ararat. Per caso si vede l’arca di Noè?”
Io l’avevo detto che questo cambiamento così bene non ci ha fatto!
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-05-17 04:11:552023-05-18 14:13:56In viaggio a tempo indeterminato/283: 'a colloquio' con Madre Armenia (Lecco On Line 17.05.23)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.05.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi, nel 156° giorno del blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) in corso da parte dell’Azerbajgian, altri nove pazienti gravemente malati, insieme a sette assistenti sono stati trasportati in ambulanza da Stepanakert a Yerevan, accompagnati dalle forze di mantenimento della pace russe, ha annunciato il Ministero della Sanità della Repubblica di Artsakh. Oltre 100 pazienti (di cui 25 in condizioni critiche) sono stati privati della possibilità di essere trasportati in Armenia per cure mediche cruciali da quando il 29 aprile scorso il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha dovuto interrompere le evacuazioni mediche e la fornitura di farmaci all’Artsakh.
Come abbiamo avuto già occasione di osservare, si tratta di persone con malattie molto gravi, disperate, con loro accompagnatori in ambulanza scortata dalle forze di mantenimento della pace russe, maltrattate moralmente in questo posto di blocco illegale nel Corridoio di Lachin occupato illegalmente delle forze militari dell’Azerbajgian, per una disgustosa propaganda di falsità.
Disinformazione e fake news. Un altro pezzo di propaganda nel classico stile minacciosa del regime autocratico dell’Azerbajgian, A parte del fatto che non si nota “formazioni dell’esercito armeno” nel filmato, va ricordato che l’accordo trilateriale del 9 novembre 2020 (violato costantemente in tutti i suoi punti dall’Azerbajgian) non parla dell’esercito di difesa dell’Artsakh, che ha il diritto di difendersi. Queste truppe sono sempre state lì per proteggere la popolazione armena dato l’obiettivo pubblico dell’Azerbajgian di annientare gli Armeni. Non sono, come viene sostenuto falsamente, di nuove truppe installate dopo il cessate il fuoco. Si tratta di propaganda per creare delle giustificazioni per l’attacco al territorio dell’Artsakh ancora rimasto libero.
«È difficile immaginare un accordo di pace genuino e sostenibile in una situazione in cui una parte ritiene di avere il diritto di ottenere concessioni dall’altra parte con ogni mezzo necessario. Inoltre, l’Azerbajgian continua a violare i termini della dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, ignorando le decisioni prese da organizzazioni e tribunali internazionali. Cerchiamo di essere chiari: qualsiasi decisione riguardante l’Artsakh non può essere presa senza la partecipazione attiva e la considerazione della sua gente» (Ruben Vardanyan, già Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh).
Le istituzioni europee stanno tentando di garantire lo scambio di azeri con prigionieri di guerra armeni
Le istituzioni europee, curando gli interessi dell’Azerbajgian, stanno cercando di garantire lo scambio di Azeri che hanno attraversato il confine dell’Armenia con prigionieri di guerra armeni, ha detto in un’intervista pubblicata da News.am Siranush Sahakyan, Presidente dell’International and Comparative Law Center.
Dopo l’incontro tripartito tra il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel e il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, che si è tenuto il 14 maggio scorso a Brussel, Michel aveva annunciato che molti altri detenuti saranno rilasciati nel prossime settimane. Aveva aggiunto di aver sottolineato la necessità di mantenere la comprensione reciproca sulla questione dei soldati che si erano persi e passati dall’altra parte saranno rilasciati con una procedura accelerata come prima.
Però, Sahakyan ha osservato che c’è un travisamento della realtà e che il punto di vista azero è stato presentato unilateralmente. “Non è basato sulla realtà e la posizione armena non si riflette. Non so perché le prove e la narrazione azera non siano state messe in evidenza rispetto alla posizione armena. Forse non sono a conoscenza della posizione armena o, essendone consapevoli, era auspicabile affidarsi al punto di vista azero. Ad ogni modo, i classici criminali azerbajgiani vengono presentati come soldati smarriti quando almeno uno di questi soldati ha anche pubblicato un video e i crimini da loro commessi sono avvalorati da molte prove. Di norma, quando militari si perdono in territori sotto il controllo delle forze armate di un altro Paese a causa del tempo o di altre condizioni, non commettono atti accompagnati da violenza ostile. In questo caso, vediamo che alcune azioni sono state eseguite intenzionalmente e sono stati violati valori così importanti come la vita”, ha affermato Sahakyan. Ha sottolineato che la suddetta narrazione sosterrà l’operazione di “scambio di prigionieri di guerra armeni con i militari azeri che si sono persi”.
“Credo dal momento che stanno lavorando con l’Azerbajgian con strumenti molto morbidi e non hanno fatto alcun passo per il rimpatrio dei prigionieri di guerra armeni negli ultimi sei mesi, la parte europea, tenendo conto degli interessi dell’Azerbajgian, sta cercando di garantire lo scambio con i prigionieri di guerra armeni”, ha osservato Sahakyan.
Michel ride, Aliyev sorride sotto i baffi e Pashinyan è scuro in volto. Il vertice di Brussel sembra segnare il destino degli Armeni dell’Artsakh lasciati al loro destino di sfollati o sudditi dell’autocrazia azera. Lo chiede l’Europa? Diritti umani calpestati.
La leadership dell’Unione Europea continua ad ignorare i diritti e gli interessi legittimi del popolo dell’Artsakh
Il Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh ha rilasciato una dichiarazione in merito alle osservazioni di Charles Michel a seguito della riunione tripartita tenutasi a Brussel il 14 maggio scorso [QUI], osservando che sia il contenuto della dichiarazione nel suo insieme, sia una serie di punti in essa contenuti indicano che la leadership dell’Unione Europea continua a ignorare i diritti e gli interessi legittimi del popolo dell’Artsakh ed è guidata esclusivamente dai propri interessi geopolitici e a breve termine nella regione, a scapito dei valori della democrazia e dei diritti umani dichiarati dall’Unione Europea.
Le stesse osservazioni valgono per le dichiarazioni di Josep Borrell, l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, membro del PSOE e del Partito Socialista Europeo, dopo l’incontro che ha avuto con il Ministro degli Esteri dell’Azerbajgian, Jeyhun Bayramov, a Brussel, in cui le parti hanno discusso questioni relative alla sicurezza nel Caucaso meridionale. In un post su Twitter, Borel ha valutato positivamente l’incontro: «Ho accolto con favore l’incontro tripartito ospitato dal Presidente del Consiglio Europeo. Ne abbiamo discusso i risultati e le vie da seguire, scambiato opinioni sulle relazioni Unione Europea-Azerbajgian. L’Unione Europea continua a impegnarsi per raggiungere una pace e una sicurezza durature nel Caucaso meridionale». Basta guardare la faccia di Pashinyan per capire come è andato l’incontro tripartita a Brussel.
Segue il testo della dichiarazione Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh, nella nostra traduzione italiana:
«Il 14 maggio, il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha rilasciato una dichiarazione alla stampa a seguito di un incontro trilaterale con il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, e il Presidente azero, Ilham Aliyev. Il contenuto della dichiarazione nel suo insieme, così come una serie di punti ivi contenuti, indicano che la leadership dell’Unione Europea continua a ignorare i diritti e gli interessi legittimi del popolo dell’Artsakh ed è guidata esclusivamente dai propri interessi geopolitici e a breve termine nella regione a scapito dei valori di democrazia e diritti umani dichiarati dall’Unione Europea.
Ciò è dimostrato in particolare dall’assenza nella dichiarazione di qualsiasi menzione del blocco di oltre 5 mesi del Corridoio di Lachin, l’istituzione di un checkpoint azero illegale all’ingresso del Corridoio e l’assedio di fatto della popolazione di 120.000 [Armeni] dell’Artsakh con tutte le conseguenze umanitarie che ne derivano. Ciò è un’indicazione del fatto che il Presidente del Consiglio Europeo non solo non impedisce, ma di fatto asseconda l’Azerbajgian nell’usare la sofferenza del popolo dell’Artsakh come strumento politico.
Tuttavia, se le intenzioni e le azioni visibili dell’Azerbajgian per provocare una catastrofe umanitaria e portare avanti la pulizia etnica nell’Artsakh non sono motivo di preoccupazione per il Presidente del Consiglio Europeo, avevamo ancora il diritto di aspettarci, che l’organizzazione che rappresenta, mostrasse interesse diretto al rigoroso rispetto da parte dell’Azerbajgian delle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Uniti, come uno dei pilastri dell’ordinamento giuridico internazionale contemporaneo. A questo proposito, il provocatorio disprezzo del Presidente del Consiglio Europeo per la costante inosservanza da parte dell’Azerbajgian dell’ordine giuridicamente vincolante del principale organo giudiziario delle Nazioni Unite e le sue sistematiche violazioni del diritto internazionale, in particolare il mancato uso o la minaccia della forza e il pacifico risoluzione delle controversie, è sconcertante.
Sono solo le misure efficaci da parte della comunità internazionale volte a costringere l’Azerbajgian ad adempiere immediatamente e incondizionatamente ai suoi obblighi ai sensi della Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020 e dell’Ordine della Corte Internazionale di Giustizia del 22 febbraio 2023, che possono testimoniare che coloro che agiscono come mediatori sono sinceramente interessati a una pace e stabilità durature nella regione. Crediamo che quegli attori internazionali che con la loro azione o inazione stanno incoraggiando Baku nelle loro politiche aggressive ed espansionistiche e negli atti illeciti a livello internazionale, non solo si assumono la responsabilità delle gravi conseguenze, ma giustificano anche il ripetersi di tali politiche e violazioni in altre parti del il mondo.
Ricordiamo ancora una volta che nel 1991 il popolo dell’Artsakh, nel pieno rispetto del diritto internazionale e della legislazione interna in vigore a quel tempo, esercitò il suo diritto inalienabile all’autodeterminazione e stabilì la propria statualità sulla stessa base dell’Azerbajgian e dell’Armenia. Le autorità della Repubblica di Artsakh hanno costantemente difeso e continueranno a difendere la legittima scelta ed espressione del libero arbitrio del proprio popolo.
I rappresentanti dei singoli Paesi e delle organizzazioni internazionali non hanno il diritto di decidere il destino del popolo dell’Artsakh. Inoltre, qualsiasi tentativo di imporre al popolo dell’Artsakh un’agenda basata sulla legittimazione dell’uso illegale della forza e del terrore in corso, equivale a complicità nell’attuazione dei piani criminali dell’Azerbajgian di pulizia etnica dell’Artsakh e al mantenimento di una fonte permanente di tensione nell’Artsakh, oltre a incoraggiare le ambizioni territoriali e le politiche aggressive di Baku.
A questo proposito, ribadiamo la determinazione del popolo e delle autorità della Repubblica di Artsakh a continuare la lotta per i propri diritti inalienabili in conformità con le norme e i principi del diritto internazionale. Siamo convinti che solo il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione esercitato dal popolo dell’Artsakh possa diventare la base per una soluzione sostenibile del conflitto e l’instaurazione di una pace e di una stabilità giuste e durature nella regione.
Ricordiamo, inoltre, che le autorità della Repubblica di Artsakh hanno sempre sostenuto una soluzione globale del conflitto Azerbajgian-Karabakh attraverso i negoziati. La Repubblica di Artsakh resta aperta alla discussione di tutte le componenti del conflitto e di ragionevoli proposte finalizzate a una soluzione pacifica, in un formato negoziale concordato e riconosciuto a livello internazionale, basato sulla parità di diritti delle parti e in presenza di forti garanzie internazionali per l’attuazione dei propri obblighi».
Il Rappresentante permanente dell’Armenia presso l’UNESCO è preoccupato per le minacce al patrimonio armeno nei territori controllati dall’Azerbajgian
La 216ª sessione del Consiglio Esecutivo dell’UNESCO è iniziata ieri 15 maggio 2023 presso la sede dell’organizzazione. Durante la prima sessione plenaria svoltasi lo stesso giorno, è intervenuto l’Ambasciatore Christian Ter-Stepanyan, Rappresentante permanente della Repubblica di Armenia presso l’UNESCO.
Secondo il comunicato diffuso dal Ministero degli Esteri della Repubblica di Armenia, riferito alle attività svolte dall’UNESCO in situazioni di emergenza e di guerra, il Rappresentante permanente della Repubblica di Armenia presso l’UNESCO ha ricordato l’aggressione scatenata dal forze armate dell’Azerbajgian contro il territorio sovrano dell’Armenia il 13 settembre 2022, la situazione creata, in particolare, il danno subito dal sistema educativo nei territori colpiti, e ha presentato i passi compiuti per superare la situazione.
Ter-Stepanyan ha espresso la convinzione che l’UNESCO abbia la responsabilità di tutte quelle persone il cui diritto all’istruzione viene violato. In tale contesto, ha menzionato le conseguenze del blocco del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbjigian per la popolazione armena del Nagorno-Karabakh, inclusa la violazione del diritto all’istruzione di 30.000 bambini. Ha ribadito l’urgenza di inviare una missione conoscitiva inter-agenzia delle Nazioni Unite a causa della situazione riferita.
Nel suo discorso, Ter-Stepanyan ha anche espresso la sua preoccupazione per le minacce al patrimonio culturale armeno nei territori del Nagorno-Karabakh controllati dall’Azerbajgian, in particolare nelle regioni di Shushi e Hadrut. Ha sottolineato che dal 2020 i numerosi casi di distruzione, vandalismo e appropriazione del patrimonio culturale armeno sono una prova eloquente dell’obiettivo di sradicare qualsiasi traccia culturale armena. In tale contesto, l’Ambasciatore Ter-Stepanyan ha ribadito la necessità di inviare con urgenza una missione UNESCO in Nagorno-Karabakh e territori limitrofi.
Nel parco dei khachkar a Yerevan è stato benedetto un khachkar dedicato a San Giovanni Paolo II
Si è svolta nel parco dei khachkar in via Pavstos Buzandi a Yerevan una cerimonia di inaugurazione e benedizione di un khachkar dedicato alla secolare amicizia armeno-polacca e a San Giovanni Paolo II.
L’evento segna il 1700° anniversario dell’adozione del cristianesimo come religione di stato da parte dell’Armenia e il 20° anniversario della storica visita di Papa Giovanni Paolo II, il grande figlio del popolo polacco, in Armenia.
Secondo Zareh Sinanyan, Capo della Commissione per la Diaspora della Repubblica di Armenia, il khachkar simboleggia e riafferma l’antica amicizia dei popoli armeno e polacco: «Le relazioni armeno-polacche hanno una ricca storia. Gli Armeni hanno vissuto in Polonia per più di sei secoli e grazie all’atteggiamento gentile del popolo polacco e dello Stato polacco, gli Armeni sono stati in grado di creare una cultura ricca e allo stesso tempo contribuire all’arricchimento della vita statale, socio-economica e culturale della Polonia in vari campi, che è stato apprezzato dal popolo e dalle autorità polacche».
Sinayan ha sottolineato che esiste anche una comunità polacca costituita in Armenia, che, sebbene sia piccola di numero, ha un ruolo attivo e significativo nella vita pubblica dello Stato ed è un ponte unico tra due popoli e Paesi amici. «L’inaugurazione della croce di pietra è una manifestazione dell’amicizia tra i popoli armeno e polacco che si è formata nel corso dei secoli ed è diventata una buona tradizione. Oggi ci sono tutti i presupposti per approfondire ed espandere questa amicizia», ha concluso Sinanyan.
Il Rappresentante plenipotenziario del governo polacco per la diaspora e i polacchi all’estero, il Segretario di Stato Jan Michal Dziedziczak, ha sottolineato: «Sono felice di essere in un luogo in cui il Cristianesimo è stato accettato per la prima volta come religione di Stato più di 1700 anni fa. Un luogo dove più di 20 anni fa San Giovanni Paolo II fece un pellegrinaggio in Armenia in occasione dell’adozione del Cristianesimo. A quel tempo, si è unito agli Armeni con le sue preghiere rivolte ai Cristiani uccisi durante il genocidio», ha detto Dziedziczak. Si è detto convinto che il khachkar non è solo un simbolo della cultura armena e una bellissima opera d’arte, ma anche un segno del nuovo inizio della salvezza dell’uomo attraverso Dio. Ha concluso che il khachkar inaugurato, simboleggia la connessione tra la fede dei Polacchi e degli Armeni.
Il khachkar è stato eretto grazie agli sforzi del Presidente del Comitato Pubblico Armeno-Polacco, il Console Onorario dell’Armenia in Polonia, Hrachya Boyajyan, e Direttore del Dipartimento delle Denominazioni Religiose e delle Minoranze Nazionali ed Etniche, Andrzej Sosnowski, con il patrocinio del Primo Ministro della Repubblica di Polonia e il Comitato Pubblico Armeno-Polacco.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-05-16 10:55:552023-05-18 10:56:30156° giorno del #ArtsakhBlockade. L’Unione Europea continua a ignorare i diritti e gli interessi legittimi del popolo dell’Artsakh (Korazym 16.05.23)
Gli archeologi hanno scoperto un panificio di 3000 anni a Metsamor, in Armenia.
La scoperta è stata fatta all’interno dei resti di una grande struttura, che ospitava più forni, che aveva ceduto a un incendio. “La farina è stata scoperta incastrata nel terreno. A prima vista sembrava cenere leggermente bruciata. Grazie ad alcune analisi abbiamo dimostrato che si tratta di farina, non di cenere”, ha riferito il capo della ricerca, il professor Krzysztof Jakubiak della Facoltà di Archeologia dell’Università di Varsavia. La farina aveva formato uno strato spesso diverse decine di centimetri. Si stima che nell’edificio fossero originariamente immagazzinate fino a 3,5 tonnellate di farina. Purtroppo nei secoli sono sopravvissuti solo pochi sacchi di materiale organico. Si utilizzava principalmente farina di frumento e le quantità indicano una produzione su larga scala e una certa cultura della panificazione all’interno della regione, sia a livello micro che macro. Simili scoperte di farina sono state fatte nella più ampia regione armena, come l’insediamento fortezza di Tejszebaini (attualmente noto come Karmir Blur), che apparteneva all’antico regno di Urartu. La regione del Caucaso ha una storia di utilizzo della farina per scopi divinatori, che potrebbe potenzialmente alterare l’interpretazione della funzione dell’edificio, ma questo resta da esaminare ulteriormente.
La struttura di dimensioni sontuose fu in uso dalla fine dell’XI secolo a.C. fino all’inizio del IX secolo a.C., funzionando inizialmente come edificio pubblico. In seguito, con l’aggiunta delle fornaci, l’edificio assunse un ruolo economico: uno spazio comune dove si usava la farina di frumento per cuocere il pane. Alla fine, un incendio ha portato al crollo della struttura. Forse ci sono stati molti altri periodi di transizione nel mezzo, ma questo non è chiaro al momento. Complessivamente l’edificio era costituito da due file di 18 colonne lignee che sostenevano un tetto in canne con trabeazione lignea. Gli elementi in legno non sono sopravvissuti alle ingiurie del tempo, ma le basi delle colonne in pietra e i frammenti bruciati di travi e lastre del tetto hanno conservato, dando uno sguardo alla costruzione originale. “È quindi una delle più antiche costruzioni conosciute di questo tipo provenienti dalle aree del Caucaso meridionale e dell’Anatolia orientale. I suoi resti sono sopravvissuti così bene solo grazie all’antico incendio che ha posto fine a questo oggetto”, ha aggiunto il professor Jakubiak. Il team archeologico polacco-armeno ha scoperto la struttura piena di farina all’interno di Metsamor, un sito archeologico di fama internazionale situato a poche decine di chilometri a ovest di Yerevan. Questo sito risale al IV millennio a.C. e fu inizialmente istituito come insediamento difensivo. La città fu abitata ininterrottamente dal IV millennio a.C. fino al XVII secolo. Nella Valle dell’Araksu rimase un importante centro culturale e politico fino al XVII secolo. Durante la sua esistenza, Metsamor copriva un’area di circa 10 ettari. La città era dominata da una rocca fortificata, circondata da complessi templari con sette santuari, mentre l’edificio infarinato era situato nella città bassa, al di fuori della primaria rete di fortificazione. L’identità degli abitanti dell’insediamento in quel periodo rimane incerta, in quanto non sono disponibili documenti scritti. Tuttavia, si ritiene che Metsamor facesse parte di un gruppo tribale proto-statale. Nell’VIII secolo a.C., Metsamor entrò a far parte del Regno di Urartu , noto anche come regno biblico di Ararat, in seguito alla sua conquista da parte del re Argiszti I. Il progetto di ricerca a Metsamor è stato uno sforzo congiunto che ha coinvolto la Facoltà di Archeologia dell’Università di Varsavia, il Centro per l’archeologia mediterranea dell’Università di Varsavia e il Dipartimento di antichità e protezione del patrimonio nazionale dell’Armenia. È stato guidato dal professor Ashot Piliposjan dalla parte armena, secondo un comunicato stampa di Science in Poland (PAP) .
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-05-16 10:54:052023-05-18 10:57:40Scoperto panificio di 3000 anni fa con sacchi di farina intatti (Scienze e notizie 16.05.23)
BRUXELLES – “Le discussione è stata franca, aperta e orientata al risultato, insieme abbiamo rivisto tutte le questioni all’ordine del giorno. I leader condividono la volontà comune di trovare una pace strategica. Dobbiamo ora mantenere lo slancio per trovare un accordo di pace definitiva”. Lo ha detto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, dopo il round di negoziati di pace tra il premier armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev da lui mediato oggi a Bruxelles. “Per quanto riguarda la questione dei detenuti, c’è intesa sul fatto che altri prigionieri saranno rilasciati nelle prossime settimane”, ha spiegato Michel.
“I leader di Armenia e Azerbaigian hanno confermato l’impegno inequivocabile al rispetto della dichiarazione di Almaty del 1991 sulla rispettiva integrità territoriale”, ha spiegato Michel in un commento alla stampa rilasciato dopo la riunione. “I colloqui hanno fatto evidenti passi avanti anche sul punto in agenda dedicato alla connettività ed allo sblocco dei collegamenti infrastrutturali ed economici nella regione. Le posizioni sul tema sono ormai molto vicine tra loro in particolare sulla riapertura dei collegamenti ferroviari da e via Nakhichevan”, ha commentato il presidente del Consiglio europeo.
“E’ stata anche affrontata la questione della sicurezza degli armeni che vivono nell’ex regione autonoma del Nagorno Karabakh. Ho incoraggiato l’Azerbaigian a impegnarsi nello sviluppo di un’agenda che abbia l’obiettivo di garantire loro diritti e sicurezza”, ha sottolineato Michel che poi concludendo ha confermato che un nuovo round di negoziati avverrà in luglio a Bruxelles ma solo dopo l’incontro trilaterale previsto a margine del vertice della Comunità politica europea a Chisinău a cui si aggiungeranno il presidente francese Emmanuel Macron ed il cancelliere tedesco Olaf Scholz.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-05-15 16:05:212023-05-18 10:54:04Michel, Armenia e Azerbaigian vogliono una pace strategica (Ansa 15.05.23)
S’alzano voci nella comunità armena di Gerusalemme che chiedono le dimissioni del patriarca, coinvolto nella firma di un contratto, considerato illegittimo, che autorizza l’affitto di proprietà immobiliari per 99 anni a un imprenditore ebreo australiano.
Un anziano ormai ex-prete viene esfiltrato dalla polizia, sommerso da una salva di fischi di 200 giovani armeni inferociti che gli urlano «Traditore!». È la scena insolita che si è svolta la sera del 10 maggio nel quartiere armeno di Gerusalemme. «Uno dei traditori responsabili della vendita di terre armene è stato punito», spiega Hagop Djernazian, un giovane molto attivo nella difesa della sua comunità. «Avrebbe dovuto lasciare il convento su ordine del patriarcato, ma la comunità non voleva consentirglielo senza che prima desse delle spiegazioni. Le porte del convento sono state sbarrate e il patriarcato ha chiesto l’intervento della polizia». Il sacerdote in questione è Baret Yeretzian, amministratore dei beni immobili del Patriarcato armeno di Gerusalemme. Il 6 maggio scorso è stato ridotto allo stato laicale dal Sinodo patriarcale per il suo coinvolgimento nella firma di un contratto di affitto «illegale» del terreno denominato Goveroun Bardez (Giardino delle vacche).
Firmato in segreto nel luglio 2021, il contratto prevede l’affitto del terreno per 99 anni a Daniel Rubenstein, un imprenditore ebreo australiano che intende costruirvi un hotel di lusso. Un contratto di locazione tanto lungo lascia intendere che il Patriarcato non riavrà mai indietro la sua proprietà. La vicenda, rivelata nel 2021 dal giornalista armeno-americano Harut Sassounian, coinvolge anche l’attuale patriarca Nourhan Manougian e l’arcivescovo Sevan Gharibian, gran sacrestano.
Adiacente al quartiere armeno, lungo le mura della città vecchia, il Giardino delle Vacche è gestito dal maggio 2021 dalla municipalità di Gerusalemme come parcheggio utilizzato principalmente dagli ebrei che si recano al Muro Occidentale, non molto distante. Sebbene il contratto con la municipalità sia stato firmato nel 2020 per un periodo di dieci anni, il tema dell’utilizzo di questo terreno da parte degli ebrei ha provocato reazioni tra gli armeni sin dal 2012. Degli scavi archeologici preventivi, realizzati nel marzo 2021, hanno portato alla luce i mosaici di una magnifica chiesa bizantina.
All’epoca, Ramzi Khoury, presidente dell’Alto comitato presidenziale palestinese per le questioni religiose, denunciò in un pubblico comunicato la natura deleteria di quella transazione per lo «status legale e storico di Gerusalemme», mentre «si moltiplicano i tentativi israeliani di ebraicizzare l’area intorno alla Porta di Giaffa».
Giordania e Autorità Palestinese “congelano” il patriarca armeno
Secondo le informazioni diffuse da Harut Sassounian, l’accordo con l’imprenditore australiano non è mai stato sottoposto al voto del Santo Sinodo (8 membri del clero armeno), né a quello dell’intera Fraternità di San Giacomo del Patriarcato armeno, il che lo renderebbe illegittimo. Anche altre proprietà sarebbero incluse in questi contratti d’affitto: quattro case armene, l’emblematico ristorante Boulghourji, i negozi di fronte all’ingresso principale del convento e gli edifici Tourianashen in via Jaffa, fuori dalla città vecchia.
Giovedì 11 maggio, il Regno hashemita di Giordania e l’Autorità Palestinese hanno lanciato una piccola bomba annunciando di aver sospeso il riconoscimento di Nourhan Manougian come patriarca della Chiesa armena ortodossa di Gerusalemme e di Terra Santa. «Al patriarca Manougian è stato chiesto di interrompere qualsiasi misura che possa ripercuotersi sullo status storico e legale di queste proprietà, e volta a mutare la loro natura demografica e geografica, ma egli non ha risposto a nessuna di queste richieste», si legge nella dichiarazione congiunta.
In questa mappa in inglese della città vecchia di Gerusalemme sono evidenziati in rosso il quartiere armeno e in verde il Giardino delle vacche, oggetto dei recenti grattacapi.
La gestione delle proprietà delle loro Chiese è una questione dolorosa per i cristiani locali. Finora erano i greco-ortodossi sulla graticola per vicende simili, dopo la controversa vendita di due alberghi, nel 2004, all’organizzazione di coloni ebrei Ateret Cohanim. Il Patriarcato armeno, a sua volta, ha ceduto in affitto a lungo termine alcune proprietà a Jaffa. Se vari ecclesiastici giustificano quei contratti adducendo la necessità di procurarsi rendite finanziarie per far fronte ai bisogni delle comunità locali, queste ultime non vedono in queste decisioni che corruzione e mancanza di appoggio. Il che alimenta ulteriormente la sfiducia dei fedeli nelle istituzioni ecclesiastiche.
Minacciata la presenza armena
I venti di protesta che soffiano nella comunità armena investono lo stesso patriarca Manougian. «Siamo arrabbiati perché il patriarcato sembra ritenere che la riduzione allo stato laicale di Baret Yeretzian, e il permesso di lasciare il Paese senza conseguenze, sia da considerare la massima punizione possibile e che non ci sia altro da fare», dice Hagop Djernazian. «Ci viene detto di aspettare, di essere pazienti e di lasciare che facciano il loro lavoro. Abbiamo aspettato abbastanza. Chiediamo informazioni precise sulle proprietà cedute, il ritiro della firma del patriarca e le sue dimissioni».
L’Armenia è stato il primo Paese a fare del cristianesimo la propria religione di Stato, nel IV secolo. Data l’importanza di Gerusalemme, una numerosa popolazione armena vi si stabilì sin da allora, diventando così la più antica diaspora armena. Tra il 1915 e il 1920, circa diecimila armeni si rifugiarono a Gerusalemme per sfuggire al genocidio perpetrato dagli ottomani. Il Patriarcato armeno li accolse e trasformò il suo convento in un vero e proprio quartiere. Oggi conta solo poche migliaia di residenti, riparati dietro alte mura.
«Siamo sul punto di scomparire – commentava Manuel Hassassian, ex ambasciatore palestinese di origine armena, in un’intervista del dicembre 2021 –. Se queste proprietà andranno perse, il patrimonio armeno e la presenza della nostra comunità saranno minacciati, mentre noi proteggiamo i Luoghi Santi da sedici secoli. Le cessioni smembrano il quartiere cristiano, privandolo della continuità geografica e demografica. Se perdiamo questo, cosa ci resta?».
Anche tra i più giovani si avverte preoccupazione per il futuro. «La comunità armena qui sta affrontando il periodo più difficile della sua lunga storia. Assenza di leadership, mancanza di opportunità, carenza di istruzione e di opportunità di carriera sono temi che ritornano in tutte le nostre conversazioni», dice Hagop Djernazian, membro del gruppo scout armeno, e in prima linea nella ribellione contro il patriarcato: «Ora o mai più. Dobbiamo agire e porre fine a un decennio di indifferenza, abbandono, furto e tradimento. Altrimenti perderemo tutto e saremo responsabili di non aver fatto nulla per impedirlo».
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